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Che è l'uomo?

Aperto da maral, 15 Aprile 2017, 10:49:56 AM

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Sariputra

Che è l'uomo?
E' innanzi tutto una cosa che passa. E quindi, passando come ogni altra cosa, non bisogna prenderlo troppo sul serio... ;D
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

myfriend

#76
Citazione di: maral il 19 Aprile 2017, 23:37:40 PM
Citazione di: myfriend il 19 Aprile 2017, 20:20:36 PM
L'autocoscienza è una caratteristica del TUTTO. Ne fa parte.
E in noi si è manifestata.
E quindi anche nel TUTTO, dato che comunque ne siamo parte. Concordi?
Nel TUTTO tutte le caratteristiche esistono in forma di "Mente cosmica" o "Coscienza cosmica".
E tali caratteristiche si manifestano nella materia e grazie alla materia.

L'autocoscienza è una caratteristica del TUTTO, in essa è ed esiste. Come anche l'aggressività, l'egoismo, la compassione, la paura, l'intelligenza etc etc
Tutte le caratteristiche che noi osserviamo nella materia fanno parte del TUTTO ed esistono nel TUTTO.
E si manifestano in modo "visibile" attraverso la materia.
Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita.

paul11

Citazione di: anthonyi il 20 Aprile 2017, 08:12:19 AM

Direi che concettualmente siamo abbastanza d'accordo, forse la differenza è epistemologica e io credo che il nodo sia nel fatto che tu affermi l'impossibilità di differenziare l'uomo naturale, dall'uomo culturale. Io credo sia possibile, tutte le strutture concettuali possono essere separate (Magari sarà l'effetto dei miei studi nei metodi quantitativi dove tutto viene stimato diviso in percentuali e probabilità).
Vi è però un punto ulteriore, che è poi la chiave di tante domande che mi faccio: Ma l'uomo culturale è naturale (Cioè è spiegabile, o riducibile alle leggi fisiche) o no?
Perché se la risposta dovesse essere si è chiaro che il problema della differenziazione è irrilevante e la metafisica scompare.
Se invece dovesse essere, almeno in una certa percentuale (Io ragiono sempre con i metodi quantitativi) NO, allora ....

Rispondo con una provocazione culturale, c'è una morte fisica, ma non c'è una morte razionale: questo è il nostro fondamentale tormento. . Siamo in una verità originaria da cui si è "mosso" tutto, la termodinamica ci dice che nulla si crea e nulla si distrugge, il nostro apparato sensitivo ci dà fiducia in quello che vediamo, vediamo un morto e la coscienza razionale ci dice che è impossibile, ma non riusciamo a farcene una verità assoluta, incontrovertibile.
Personalmente, a mio modesto parere, ritengo che dentro di noi la coscienza abbia un principio di verità assoluta che è dato dall'origine, ma siamo condannati a conoscere e cercare verità che non sono mai assolute

Questo per risponderti che siamo fisicamente natura, ma siamo cultura. L'uomo non è riducibile SOLO  a cultura o  SOLO natura .
Direi che la natura umana (che comprende biologia e cultura, è ambigua per sue proprietà intrinseche siamo già noi un mondo complesso.

la contraddizione dei nostri comportamenti, la nostra ambiguità come natura umana  sta ne l fatto che siamo fisicamente animali che vivono dentro artefici e i costrutti culturali sono dentro in tutte le forme organizzate umane; una città è una rappresentazione completamente artefatta dove il verde pubblico ci ricorda che siamo animali biologicamente Ribadisco , il termine animale sta per naturale come un animale, non in termini spregiativi.

Ma quando un medico studia anatomia o metabolismo , applica un modello rappresentativo di conoscenza  come fa un fisico di particelle. La cultura può alterare la natura reinterpretandola, quindi scoperte o invenzioni tecniche mutano il rapporto cultura/natura.

Non dimentichiamo che una delle motivazioni della cultura è vincere la natura (la morte fisica soprattutto)

Garbino

Che è l' uomo?

X Maral

Il Nietzsche di Heidegger continua a sorprendermi. Ciò di cui mi rendo conto soltanto adesso, anche se l' ultima volta che ne parlammo appariva come sospetto, è che gli scritti inediti contengono aforismi interessantissimi ma che, guarda caso, non sono stati affatto inseriti nell' opera edita da Newton Compton che penso rifletta il testo passato per la maggiore. Heidegger però dimostra di averli letti tutti, e proprio ieri sera sono incappato in un aforisma da lui riportato e che parla del principio di non contraddizione. Ciò mi ha sorpreso perché Nietzsche non parla quasi mai di Aristotele ed il fatto stesso che ci siano brani che non vengano riportati ne La volontà di potenza lo considero un fatto grave. Omissione volontaria e o mistificatrice? Ignoranza nei confronti del contenuto? O dimenticanza? Non so. So solo che lo trovo veramente strano.

Comunque, a grandi linee, anche il principio di non-contraddizione rientrerebbe in quel bisogno di praticità che l' uomo ha sempre cercato nello schematizzare ciò che lo circonda. Fatto questo che darebbe alle teorie di Hegel sulla contraddizione tutto un altro spessore.

Nietzsche non afferma che è falso, renditi conto che lo leggo per la prima volta e perciò devo ancora acquisirlo bene, ma che ad esempio una stessa cosa sia e non sia nel medesimo istante è necessario che l' uomo lo ritenga impossibile. Non è mia opinione che tu debba trovare tanto strana questa ipotesi,  la cosa curiosa è l' indeterminatezza che acquisirebbe tutto il nostro vivere in rapporto sia a noi stessi che a ciò che ci circonda.

Una cosa è certa, se l' altra volta avevo espresso un forse nel desiderio di rintracciare il testo completo degli inediti, adesso ho una decisa volontà di procurarmelo e ne vado subito in caccia. Spero solo che gli inediti di una certa rilevanza non siano tanti e che soprattutto confermino la prospettiva, o sarebbe meglio dire già le più prospettive in cui inserivo la filosofia di Nietzsche. E lo spero perché altrimenti dovrei iniziare una nuova rivalutazione di tutta l' opera di Nietzsche, con tutto ciò che ne consegue.

A titolo soltanto informativo ti manifesto che nulla è più lontano dal mio pensiero che l' esistenza di una coscienza cosmica. Tutt' al più arrivo ad una materia che abbia in potenza un numero notevole di forme viventi. Ma oltre non vado.

Garbino Vento di Tempesta.

sgiombo

Citazione di: anthonyi il 20 Aprile 2017, 07:55:34 AM
Citazione di: sgiombo il 19 Aprile 2017, 19:59:56 PM
Citazione di: anthonyi il 19 Aprile 2017, 16:30:19 PM
Citazione di: paul11 il 19 Aprile 2017, 13:02:13 PM
Citazione di: anthonyi il 18 Aprile 2017, 17:17:49 PMGià il concetto di uomo mi sembra troppo ampio, così ti rilancio un altro smembramento, consideriamo l'istinto della pietà, l'atteggiamento di protezione nei confronti di chi si percepisce più debole e sfortunato. Per me è impossibile che questo atteggiamento possa provenire da meccanismi di scelta biologicamente determinati, esso è contro ogni logica evoluzionistica perché aiuta a sopravvivere specificamente i più deboli, ed è per me una delle prove di una componente metafisica umana.
CitazioneNo, questa é una vecchia e superatissima (anche se tutt' ora propalata con dovizia di mezzi in quanto utilissima alla conservazione del potere delle esigue e infami minoranze privilegiate che ci dominano) mistificazione ideologica circa la teoria scientifica dell' evoluzione biologica.

In realtà i comportamenti altruistici in generale non sono meno adatti e vantaggiosi alla sopravvivenza e diffusione delle specie che quelli egoistici.

Io non ho parlato genericamente di comportamenti altruistici, che sono evoluzionisticamente efficaci in una logica di reciprocità. Ma di pietà, cioè dell'individuazione specifica di soggetti deboli, che contrasta fortemente con la logica del meccanismo selettivo.
CitazioneNon contrasta fortemente con la selezione naturale, la quale non é una selezione in positivo dei soli "più adatti" o "adattissimi" a un determinato ambiente, che cambia continuamente, cosicché essere "troppo adatti" e"troppo e uniformi (per le specie animali e vegetali) nell' fortissimo adattamento" oggi significa avere grosse probabilità di non essere sufficientemente adatti domani), bensì una selezione in negativo che elimina i "meno adatti" (o meglio i soli "troppo inadatti"); e dunque come consente la diffusione delle corna dei cervi e delle code dei pavoni maschi, che certamente, secondo una concezione errata della selezione naturale stessa "contrastano fortemente con la -pretesa- logica del meccanismo selettivo" così (allo stesso modo, per gli stessi motivi), consente la diffusione della pietà verso gli individui deboli.
Sono d' accordo comunque che la cultura umana, senza contraddirla, comunque "supera dialetticamente" la biologia).

anthonyi

Citazione di: baylham il 20 Aprile 2017, 09:40:33 AM
Citazione di: anthonyi il 20 Aprile 2017, 07:55:34 AM
Io non ho parlato genericamente di comportamenti altruistici, che sono evoluzionisticamente efficaci in una logica di reciprocità. Ma di pietà, cioè dell'individuazione specifica di soggetti deboli, che contrasta fortemente con la logica del meccanismo selettivo.

L'altruismo, la pietà sono sentimenti in cui l'aspetto sociale, culturale prevale.
Data la specialità dell'uomo rispetto agli altri viventi, che individuo nella coscienza secondaria, superiore, rispetto a quella primaria degli altri animali, anche la logica del meccanismo selettivo dovrebbe essere speciale, adatta all'uomo.
Quale sarebbe allora la logica del meccanismo selettivo applicabile all'uomo?

La logica della selezione della specie è una legge probabilistica che si applica allo stesso modo ad ogni essere vivente. Tu puoi dire che l'uomo è un essere speciale, ma solo perché lo senti. Il problema che io mi pongo non è un problema di sensazioni ma di risultati formali (Perché per queste cose si fanno modelli formali che a volte spiegano caratteri comportamentali, a volte non li spiegano).

anthonyi

Citazione di: sgiombo il 20 Aprile 2017, 13:05:23 PM
Citazione di: anthonyi il 20 Aprile 2017, 07:55:34 AM
Citazione di: sgiombo il 19 Aprile 2017, 19:59:56 PM
Citazione di: anthonyi il 19 Aprile 2017, 16:30:19 PM
Citazione di: paul11 il 19 Aprile 2017, 13:02:13 PM
Citazione di: anthonyi il 18 Aprile 2017, 17:17:49 PMGià il concetto di uomo mi sembra troppo ampio, così ti rilancio un altro smembramento, consideriamo l'istinto della pietà, l'atteggiamento di protezione nei confronti di chi si percepisce più debole e sfortunato. Per me è impossibile che questo atteggiamento possa provenire da meccanismi di scelta biologicamente determinati, esso è contro ogni logica evoluzionistica perché aiuta a sopravvivere specificamente i più deboli, ed è per me una delle prove di una componente metafisica umana.
CitazioneNo, questa é una vecchia e superatissima (anche se tutt' ora propalata con dovizia di mezzi in quanto utilissima alla conservazione del potere delle esigue e infami minoranze privilegiate che ci dominano) mistificazione ideologica circa la teoria scientifica dell' evoluzione biologica.

In realtà i comportamenti altruistici in generale non sono meno adatti e vantaggiosi alla sopravvivenza e diffusione delle specie che quelli egoistici.

Io non ho parlato genericamente di comportamenti altruistici, che sono evoluzionisticamente efficaci in una logica di reciprocità. Ma di pietà, cioè dell'individuazione specifica di soggetti deboli, che contrasta fortemente con la logica del meccanismo selettivo.
CitazioneNon contrasta fortemente con la selezione naturale, la quale non é una selezione in positivo dei soli "più adatti" o "adattissimi" a un determinato ambiente, che cambia continuamente, cosicché essere "troppo adatti" e"troppo e uniformi (per le specie animali e vegetali) nell' fortissimo adattamento" oggi significa avere grosse probabilità di non essere sufficientemente adatti domani), bensì una selezione in negativo che elimina i "meno adatti" (o meglio i soli "troppo inadatti"); e dunque come consente la diffusione delle corna dei cervi e delle code dei pavoni maschi, che certamente, secondo una concezione errata della selezione naturale stessa "contrastano fortemente con la -pretesa- logica del meccanismo selettivo" così (allo stesso modo, per gli stessi motivi), consente la diffusione della pietà verso gli individui deboli.
Sono d' accordo comunque che la cultura umana, senza contraddirla, comunque "supera dialetticamente" la biologia).

La coda del pavone e le corna sono forme di riconoscimento sessuale, altro che essere contro il meccanismo selettivo. Comunque e chiaro che queste questioni ben strutturate richiederebbero un modello e non è questo lo spazio per discuterne. Giustamente ogni modello sarebbe soggetto alle ipotesi di partenza per cui sarebbe discutibile in ogni caso. Le mie considerazioni d'altronde sono intuitive e tendono a sottolineare la profonda differenza tra un atteggiamento altruistico ordinario (legato a rapporti di vicinanza o parentela) che è arci studiato e produce i risultati che tu dici, tra cui anche quello di mantenere la variabilità, e un atteggiamento pietistico che invece non produce questi risultati perché non c'è reciprocità e quindi non ci sono le condizioni formali perché quel carattere si affermi (Cioè si mantenga in una quota costante nella popolazione).

anthonyi

Citazione di: paul11 il 20 Aprile 2017, 10:51:45 AM
Citazione di: anthonyi il 20 Aprile 2017, 08:12:19 AM

Direi che concettualmente siamo abbastanza d'accordo, forse la differenza è epistemologica e io credo che il nodo sia nel fatto che tu affermi l'impossibilità di differenziare l'uomo naturale, dall'uomo culturale. Io credo sia possibile, tutte le strutture concettuali possono essere separate (Magari sarà l'effetto dei miei studi nei metodi quantitativi dove tutto viene stimato diviso in percentuali e probabilità).
Vi è però un punto ulteriore, che è poi la chiave di tante domande che mi faccio: Ma l'uomo culturale è naturale (Cioè è spiegabile, o riducibile alle leggi fisiche) o no?
Perché se la risposta dovesse essere si è chiaro che il problema della differenziazione è irrilevante e la metafisica scompare.
Se invece dovesse essere, almeno in una certa percentuale (Io ragiono sempre con i metodi quantitativi) NO, allora ....

Rispondo con una provocazione culturale, c'è una morte fisica, ma non c'è una morte razionale: questo è il nostro fondamentale tormento. . Siamo in una verità originaria da cui si è "mosso" tutto, la termodinamica ci dice che nulla si crea e nulla si distrugge, il nostro apparato sensitivo ci dà fiducia in quello che vediamo, vediamo un morto e la coscienza razionale ci dice che è impossibile, ma non riusciamo a farcene una verità assoluta, incontrovertibile.
Personalmente, a mio modesto parere, ritengo che dentro di noi la coscienza abbia un principio di verità assoluta che è dato dall'origine, ma siamo condannati a conoscere e cercare verità che non sono mai assolute

Questo per risponderti che siamo fisicamente natura, ma siamo cultura. L'uomo non è riducibile SOLO  a cultura o  SOLO natura .
Direi che la natura umana (che comprende biologia e cultura, è ambigua per sue proprietà intrinseche siamo già noi un mondo complesso.

la contraddizione dei nostri comportamenti, la nostra ambiguità come natura umana  sta ne l fatto che siamo fisicamente animali che vivono dentro artefici e i costrutti culturali sono dentro in tutte le forme organizzate umane; una città è una rappresentazione completamente artefatta dove il verde pubblico ci ricorda che siamo animali biologicamente Ribadisco , il termine animale sta per naturale come un animale, non in termini spregiativi.

Ma quando un medico studia anatomia o metabolismo , applica un modello rappresentativo di conoscenza  come fa un fisico di particelle. La cultura può alterare la natura reinterpretandola, quindi scoperte o invenzioni tecniche mutano il rapporto cultura/natura.

Non dimentichiamo che una delle motivazioni della cultura è vincere la natura (la morte fisica soprattutto)

Il post è molto bello ma secondo me ti accontenti di poco. A te basta osservare il "contrasto" tra cultura e natura. Fai del concetto di cultura un uso quasi fosse un ente dato e assoluto. Considerala qualcosa di più dinamico e allora sarà naturale domandarsi cosa c'è nel fondo del mare.
Io poi non considererei la morte così importante, la cultura è sovraindividuale, se ne frega se uno muore, l'importante è che essa sopravviva negli altri.

sgiombo

Citazione di: maral il 19 Aprile 2017, 23:10:23 PM
Mi scuso Sgiombo se ho male inteso alcune tue affermazioni, purtroppo il tuo stile fatto di molti incisi e parentesi per meglio definire, mi risulta spesso difficile, è certo questione di una mia crescente mancanza di attenzione mentale analitica.
CitazioneNo, purtroppo è un mio difetto di cui sono consapevole ma che non riesco a superare, nel desiderio di dire in poche parole considerazioni che andrebbero svolte più estesamente; del quale sono io a dovermi scusare.

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Citazione di: sgiombo il 19 Aprile 2017, 13:13:32 PM
E comunque le credenze circa la piattezza e fermezza della terra e il moto del sole intorno ad essa non sono immediate percezioni fenomeniche (dati di coscienza), bensì predicati o giudizi (errati, falsi) circa di esse.
Per quanto mi riguarda direi proprio di no. Se non avessi imparato a scuola che non è così, ti assicuro Sgiombo che la mia normale sensazione immediata è proprio quella di trovarmi su una terra piatta (salvo monti e colline) e ben ferma (eccetto in caso di terremoto che non è piacevole) e non su una palla che gira vorticosamente su se stessa come una trottola velocissima nel cosmo, di questo non ho proprio nessuna sensazione immediata e ringrazio che sia così, mi gira la testa solo a pensarci a una cosa simile. E ti dirò di più, la mia sensazione immediata, se sono in campagna e vedo il cielo notturno con tutte le sue lucine, è proprio quella di trovarmi al centro di uno spettacolo tutto intorno a me.
CitazioneIn realtà non si tratta di sensazioni immediate, ma di valutazioni di sensazioni immediate che tendono a sorgere spontaneamente accompagnandole con grande "forza persuasiva"; valutazioni tuttavia alternative ad altre altrettanto possibili (contrariamente alle sensazioni immediate le quali sono invece sostanzialmente sempre le stesse), per esempio quelle successivamente imparate a scuola).

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Questo per dire che, a quanto mi risulta, la conoscenza non è per nulla confermata dall'esperienza sensibile immediata, io non faccio alcuna esperienza immediata di atomi, fotoni, bosoni, big bang, campi gravitazionali o elettromagnetici; non ho nessuna sensazione dello spazio tempo relativistico, ma neanche di virus e batteri, ho imparato a interpretare le cose in questo modo e in questi segni che mi sono diventati un po' familiari, come se fossero (alcuni più, altri meno) reali.
CitazioneCerto!
Il fatto che l' esperienza sensibile immediata è tutto (e solo) ciò di cui può aversi immediatamente certezza al di là di ogni dubbio non comporta che essa si identifichi con la conoscenza di essa; la quale ultima è invece costituita da (-l' esperienza immediata di) predicati o giudizi circa di essa ad essa relativamente, limitatamente adeguati o "conformi" (veri); cosa che non è assolutamente garantita: accanto a giudizi adeguati e veri possono darsi e si danno anche giudizi totalmente falsi, come quelli circa la fissità e piattezza della terra e la sua posizione centrale in universo finito.
E infatti (concordo; almeno limitatamente alla conoscenza scientifica) che:

Tutto quello che mi hanno insegnato è il risultato di una esperienza sempre mediata da strumenti che necessita di interpretazione secondo un dato metodo rigorosamente quantificante, ma non c'è nulla di immediato in questo, anzi. Non basta mettersi davanti a un telescopio o a un microscopio per vedere le cose e credere che quello che si vede sono proprio come sono per tutti e per nessuno, ossia oggettivamente in sé, i microscopi non vedono la cosa in sé, ma la cosa attraverso il microscopio dietro il quale c'è un soggetto che impara a usarlo e a interpretare quello che vede. Per questo la conoscenza scientifica è un prodotto culturale che risulta da prassi praticate insieme, e che generano dei significati come qualsiasi tipo di conoscenza, pure quella mitica. La validità di questa conoscenza sta nel permettere o meno un accordo per tutti i soggetti che vi partecipano nel contesto in cui si vive insieme in reciproca relazione, non in un accordo con un mondo oggettivo in sé di cui nulla sappiamo e mai nulla potremo sapere, proprio perché oggettivo e in sé e dunque, in quanto tale, assolutamente impermeabile ai nostri sguardi. Il nostro sguardo, se conosce, non è mai, né mai sarà oggettivo.
CitazioneChe del mondo oggettivo in sé (se pure esiste, come credo senza poterlo dimostrare) nulla sappiamo e mai nulla potremo sapere (con certezza), proprio perché oggettivo e in sé e dunque, in quanto tale, assolutamente impermeabile ai nostri sguardi sono perfettamente d' accordo.
Ma se si ammette "un minimo di tesi indimostrabili" (tali che tutte persone comunemente ritenute sane di mente si comportano per o meno come se vi credessero), allora la conoscenza scientifica del mondo fenomenico materiale (non di quello mentale) é concorde per tutti i soggetti che vi partecipano a qualsiasi titolo, contrariamente a qualsiasi altro prodotto culturale risultante da prassi praticate insieme; e lo è per il fatto che può essere considerata (conformemente per lo meno al comportamento di fatto di tutti coloro che sono comunemente ritenuti sani di mente) in accordo con un mondo fenomenico materiale non oggettivo ma comunque intersoggettivo, cioè univocamente e puntualmente corrispondente nell' ambito di tutte le esperienze coscienti (per l' appunto fenomeniche) di tutti i soggetti di sensazioni (direttamente o almeno indirettamente nel caso di diversa sensibilità, come nel caso di animali che percepiscono ultrasuoni o addirittura dei pipistrelli che li percepiscono "morfologicamente" in modo analogo alle nostre percezioni visive).

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Ma so anche che questo per molti è incredibilmente difficile da accettare, perché i presupposti culturali su cui basiamo la nostra visione del mondo diventano invisibili, dunque si crede (come si è sempre creduto) che il mondo per come culturalmente lo vediamo nella nostre mappe cognitive, sia proprio il mondo così com'è lì davanti a noi, l'oggetto neutro chiaro e distinto davanti a un occhio neutro o comunque neutralizzabile. Ecco, forse questa credenza è una sensazione immediata di ogni luogo ed epoca su cui la filosofia chiede oggi (non in passato, non ai tempi dell'epoca d'oro della filosofia) di rifletterci sopra per non farla diventare una nuova superstizione, per compiere anche in termini epistemici la rivoluzione copernicana: il soggetto c'è sempre, anche quando si immagina di non esserci, fa parte del fenomeno che guarda, è sempre nel fenomeno che guarda.
CitazioneQuesto mi sembra puramente e semplicemente un atteggiamento privo di senso critico razionale quale spontaneamente tende a verificarsi da parte di tutti nel corso dello sviluppo infantile e adolescenziale; atteggiamento superabile atteggiandosi "filosoficamente" (come è accaduto fin dai tempi delle filosofie più antiche storicamente note -in Grecia e in Occcidente i "presocratici"- e probabilmente ad altre ancor più antiche di cui si è persa traccia) verso la realtà e le proprie credenze su di essa.
 
Dissento dal fatto che il soggetto delle sensazioni, distinto da esse, che esiste anche quando esse non esistono  (per esempio nel sonno senza sogni) faccia parte dei fenomeni che percepisce: questa è una patente contraddizione, la pretesa che qualcosa sia/accada realmente anche quando non é/accade realmente! 

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Detto questo non dobbiamo certo abbandonare i risultati scientifici per altra roba soggettivamente esoterica, per io universali, al contrario, i risultati della scienza sono il prodotto del nostro modo di vedere e di esistere attuali e sono il risultato utilissimo di millenni di storia culturale, solo occorre mettere tra parentesi questa pretesa di oggettività, lasciarla perdere, perché nessuna oggettività ci è né ci fu mai concessa, forse solo le piante o organismi animali molto semplici, nella loro esistenza che non conosce, ma sa, potranno magari essere oggettivi, non noi. Le macchine che usiamo, i telescopi e i microscopi sono oggettivi, ma non chi vede e conosce con quegli arnesi e non basta che li usi per diventare oggettivo come loro. I concetti, leggi di gravitazione compresa restano solo mappe, segni, come il colore blu che indica il mare su una carta geografica, ma non è il mare, sono indispensabili per muoverci, agire e orientarci, ma niente di più. E ogni epoca ha le sue mappe e i suoi segni, che funzionano o meno in quel mondo e non in un altro.
CitazioneHo già risposto sopra alle obiezioni circa la conoscenza scientifica e la sua intersoggettività (e non oggettività).
 
Ma non vedo differenza fra "sapere" e "conoscere".
 
Che la conoscenza (in generale e in particolare scientifica) di qualcosa =/= (tale) qualcosa mi sembra ovvio.
Per esempio il fatto (1) di sapere che due masse si attraggono gravitazionalmente è altra cosa dal fatto (2) dell' attrarsi di due masse.
 
Le mappe "danze della pioggia" degli stregoni animisti non funzionano né hanno funazionato mai da nessuna parte (se talora è piovuto è stato per puro caso fortuito)!

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CitazioneL' esperienza cosciente non è inclusa nel mondo fisico – materiale per il semplice fatto che è l' universo fisco – materiale ad essere incluso nell' esperienza cosciente: "esse est percipi" (Berkeley).
Si può sempre vederla all'opposto e non c'è ragione per non farlo. D'altronde se materia e spirito sono separati e non si incontrano, come fa lo spirito della conoscenza cosciente di un mondo materiale a includere quel mondo fisico materiale? Come fa anche solo ad accorgersene? E noi dove stiamo per dire che non si incontrano, come facciamo a dirlo? Come facciamo ad avere la visione panoramica che include spirito e materia come sempre discosti e separati?
CitazioneLa ragione per non credere che la coscienza è nel mondo fisico è che nel mondo fisico (che è nella coscienza di chi lo osserva) ci sono solo cervelli fatti di neuroni, assoni, sinapsi, ecc., a loro volta fatti da molecole, atomi, particelle/onde subatomiche, campi di forze , ecc., e non affatto costituiti dalle esperienze coscienti che tali cervelli, tramite i loro nervi, muscoli, corpi in generale ci dicono di vivere (d' altra parte, se lo si pretendesse si giungerebbe all' assurdo risultato per cui ci sarebbero "coscienze dentro coscienze", le une non distinguibili dalle altre dal momento che ciò che è dentro un' esperienza cosciente è per definizione parte integrante di quella stessa esperienza cosciente e non di altre).
 
Lo spirito (res cogitans) di un' esperienza cosciente non comprende la materia (res extensa) di quella stessa esperienza cosciente (né di alcun altra), ma semplicemente le accade "accanto" (accade inoltre; oltre ad essa).
La res cogitans (i fenomeni mentali) non va confusa col soggetto delle sensazioni fenomeniche che (se realmente c' è) é cosa in sé e non fenomeni, né mentali, né materiali.
Res cogitans e res extensa, entrambe fenomeniche ("esse est percipi"!) non possono reciprocamente interferire causalmente per la chiusura causale del mondo fisico, che è necessario ammettere se si crede alla conoscenza scientifica.

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Citazionelo potrebbe anche pensare un marito cornuto che non avesse mai visto sua moglie a letto col suo migliore amico o collega; ma non per questo sarebbe meno cornuto di quanto di fatto é.[/font][/size]
E' così di fatto perché qualcun altro lo ha visto, e certamente lo hanno visto la moglie fedifraga e il collega, sono loro i soggetti a cui risulta, non a una oggettività senza soggetto.
CitazioneA loro risulta, ma indipendentemente da questo, il fatto accade realmente (nell' ipotesi -deprecabile!- considerata); e non è che accada perché risulta loro, ma casomai risulta loro perché accade (altrimenti il marito, al quale non risulta, e dunque per quel che lo riguarda il fatto non accadrebbe, non sarebbe cornuto, mentre invece purtroppo per lui lo é eccome!).

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CitazioneMa dove sarebbe mai "presente" la soggettività sentimentale ed emotiva nella dimostrazione dei teoremi di Euclide e che effetti ("intrinseci diretti", sui loro "contenuti teorici" e non di mero "accompagnamento" e interferenza con il loro svolgersi: per esempio facilitandoli nel caso servano a superare un esame che fortemente si desidera superare oppure ostacolandoli nel caso di uno che cercasse di farlo essendo fortemente terrorizzato per un grave pericolo imminente) avrebbe mai sul risultato di tali ragionamenti?[/font][/size]
E' presente nell'intenzionalità di Euclide che si mette a ragionare di teoremi, anziché stendersi al sole e dormire, è presente nella motivazione e nel progetto che è il tratto che sempre guida il soggetto in ogni cosa che fa e non può essere separata da quello che fa. E se il progetto dà luogo a speranze e delusioni, se riesce o non riesce tutta la faccenda si colora di un'enorme risonanza emotiva. Noi, anche se prendiamo quei teoremi come faccende neutre, partecipiamo indirettamente della intenzionalità soggettiva di chi li ideò sperando in una conoscenza razionale, certa e universale, che pur tuttavia, era la razionalità della sua vita per il senso prodotto dalle prassi e dai contesti dell'epoca in cui viveva. Come si sa infatti i teoremi di geometria nascono dall'esigenza progettuale umana di misurare i terreni, la geo-metria è il prodotto del progetto intenzionale dell'agrimensore con le sue prospettive e i suoi modi di pensare il mondo attraverso gli strumenti e i metodi che quel mondo gli presenta e gòielo fa vedere, soggettivamente a lui, come un campo da misurare e suddividere per coltivarlo o fondare città.
CitazioneDunque la soggettività sentimentale non c' è intrinsecamente ai teoremi, non ha alcun effetto intrinseco ad essi, ma solo effetto estrinseci, di "facilitazione o difficilitazione" della realizzazione di essi, come da me sostenuto, ne accompagna, facilitandoli o meno, la dimostrazione, ha effetti sull' accadere della dimostrazione, ma non su ma non ne detta alcun elemento, non ne influenza i "contenuti" alla maniera nella quale secondo i Musulmani Dio avrebbe dettato a Maometto (i "contenuti de-) il Corano.
 
La geometria nasce di fatto da esigenze pratiche, ma si sviluppa storicamente anche come conoscenza fine a se stessa, praticata (anche) perchè e bello, perché da soddisfazione farlo (col che non significa che, contrariamente all' arte per lo meno in molti casi, i teoremi dimostrati nelle geometrie e non altri si dimostrano perché sono belli o brutti, ma perché sono veri, contrariamente ad altri ipotizzabili -che ne so? Che in un piano euclideo esistono poligoni con un numero di lati diverso dal numero degli angoli- che non li sono).

sgiombo

Citazione di: anthonyi il 20 Aprile 2017, 13:58:16 PM

La coda del pavone e le corna sono forme di riconoscimento sessuale, altro che essere contro il meccanismo selettivo. Comunque e chiaro che queste questioni ben strutturate richiederebbero un modello e non è questo lo spazio per discuterne. Giustamente ogni modello sarebbe soggetto alle ipotesi di partenza per cui sarebbe discutibile in ogni caso. Le mie considerazioni d'altronde sono intuitive e tendono a sottolineare la profonda differenza tra un atteggiamento altruistico ordinario (legato a rapporti di vicinanza o parentela) che è arci studiato e produce i risultati che tu dici, tra cui anche quello di mantenere la variabilità, e un atteggiamento pietistico che invece non produce questi risultati perché non c'è reciprocità e quindi non ci sono le condizioni formali perché quel carattere si affermi (Cioè si mantenga in una quota costante nella popolazione).
CitazioneCorna dei cervi e code dei pavoni, poiché facilitano -e non poco!- la cattura da parte dei predatori sono contro un preteso (ma falso) meccanismo selettivo che operasse "in positivo" salvaguardando e diffondendo solo l' "adattissimo" a un ambiente in costante mutamento. 

Mentre la realtà della selezione naturale é ben diversa!

E infatti ha diffuso (non solo nell' uomo, in conseguenza del "salto di qualità culturale") anche atteggiamenti "pietistici" anche indipendentemente dalla parentela e dalla reciprocità (per esempio mammiferi madri che in natura allattano e accudiscono anche cuccioli "adottati" di altre specie, sottraendo parte del proprio tempo e delle proprie energie ai loro propri discendenti portatori di una copia del loro DNA o comunque ad altri piccoli della loro specie, loro parenti più o meno stretti, con DNA molto più affine al loro).

myfriend

#85
Gli animali non hanno l'obiettivo di salvare la propria specie. Hanno l'obiettivo di salvare se stessi o, al massimo, il clan o il gruppo a cui appartengono.
Facciamo un esempio.
Se su tutta la terra fossero rimasti due soli leoni maschi, questi non si porrebbero il problema di salvare la propria specie. Si batterebbero tra loro per avere il predominio e uno ucciderebbe l'altro uccidendo poi anche i suoi cuccioli, riducendo così le possibilità di sopravvivenza della specie.
Allo stesso modo, una gazzella, mangia tutta l'erba che trova. Non si pone il problema di salvaguardare le piante del suo habitat....semplicemente quando è finita l'erba o emigra o muore.

L'uomo non è così.
Grazie all'autocoscienza e alla compassione (caratteristiche tipiche ed esclusive dell'homo sapiens), l'uomo è in grado di farsi domande e di darsi delle risposte. E, da queste domande e risposte, elabora la "cultura". E, grazie alla cultura, è in grado di "modificare il proprio comportamento".
Ad esempio l'homo (facendosi domande e trovando le risposte) può comprendere che salvaguardare la biodiversità è importante e, quindi, può arrivare a vietare la caccia alle balene (per fare un esempio), o può arrivare a costruire parchi, o può arrivare a vaccinare i bambini o può arrivare  a salvare le tartarughe ferite. Cioè, grazie alla cultura, l'homo può modificare il suo comportamento non solo per salvare se stesso, ma per salvare i suoi simili e l'intero pianeta.

In altre parole, l'autocoscienza ci è stata data per "partecipare al processo creativo" che, fino all'homo sapiens, era di esclusiva pertinenza della "Natura" e delle sue leggi. Cioè di esclusiva pertinenza della "Coscienza cosmica".
Con l'homo sapiens, la Coscienza cosmica chiama le "sue" creature a partecipare al "processo creativo" tramite la "compassione".
E' questa una grande responsabilità. Il nostro "creatore" ci chiama a partecipare al suo processo creativo.

Questa possibilità è, però, solamente potenziale.
Perchè è solo potenziale?
Perchè l'homo ha una doppia natura e vive costantemente il conflitto tra queste due nature.
Ha una natura inferiore (la sua natura animale) che lo porta ad agire in modo inconsapevole (esattamente come il leone e la gazzella di cui ho parlato all'inizio).
E ha una natura superiore (l'autocoscienza e la compassione) che può aprirlo a partecipare consapevolmente al processo creativo della Coscienza cosmica.

Ma mentre la natura inferiore è fortemente radicata in noi (è il frutto di milioni di anni di evoluzione), la nostra natura superiore è giovane ed è presente nella Realtà solo da poco più di 200mila anni.
Ecco, quindi, che l'homo è chiamato a "domare" la sua natura inferiore e a coltivare e incoraggiare la sua natura superiore.
Questa opera di sintesi tra natura inferiore e natura superiore è quella che si chiama "crescita spirituale".
Contrariamente a quanto comunemente si pensa, la crescita spirituale non ha a che fare con cristi, madonne, vangeli, budda, o maometto, chiese, fedi, preti e suore. Ma ha a che fare con la crescita e lo sviluppo della nostra natura superiore. Cioè lo sviluppo della Consapevolezza.
E il "risveglio" è una tappa fondamentale e ineludibile in questo cammino di "crescita spirituale".
Ed è, questo, un cammino a cui tutti sono e siamo chiamati. E' la nostra specificità.
Essere pienamente homo, quindi, significa percorrere questo cammino di crescita spirituale.
Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita.

Jean

Paul11 - ... e l'universo ha originato la domanda...

Questa è un'essenza della problematicità esistenziale: perché l'universo ci condanna a conoscere senza sapere la verità? Proprio per questo siamo costretti a correlare fra loro i particolari per costruire una rappresentazione del quadro generale e queste correlazioni hanno denominatori comuni, le leggi fisiche, psichiche, spirituali, e li enunciamo attraverso i linguaggi e a loro volta tentiamo di sintetizzarli in un'unica Legge che risponda a tutte le domande a tutti i fenomeni fisici e non fisici che significa capire l'origine da cui tutto si è manifestato.
 
 
Post14-myfriend- Le "caratteristiche" dell'homo sono tutte caratteristiche della Coscienza cosmica.

Post13-Garbino- Ciò che intendo dire è che è necessario che ciascuno si rimetta in gioco totalmente, e che purtroppo questa è la cosa più difficile.

Post12-Sgiombo- Devo dire che trovo molto oscure queste tue considerazioni Non comprendo assolutamente la distinzione che poni fra piano "rappresentativo" e piano "fenomenico"; per me si tratta di meri sinonimi. 
 
Post11-green- Anche il comprendere dunque cela in sè il concetto che "qualcosa si accompagna a qualcosa".

Post10-paull11- E' la dimostrazione della scienza  il limite, ma nello stesso tempo è ciò che si avvicina di più all'evidenza, alle convenzioni .....ad oggi.

Post9-Anthonyi- Ma per dimostrare che sono parte di questo mondo fisico bisogna spiegarle come effetto delle leggi fisiche e i risultati ottenuti, al riguardo, a tutt'oggi sono limitati.

Post8-paull11- Se ne deduce che una sola è la Legge alle quali devono esser ricondotti tutti i domini con le loro specifiche leggi.

Post7-Sgiombo- Anche il polo, positivo di un magnete coesiste col polo negativo e viceversa, ma di certo non per questo essi si identificano!

Post6-Sgiombo- Come valutarla e tenerne conto?

Post5-Maral- La capacità di giudizio è comunque data dalla capacità di darsi rappresentazioni del mondo, rappresentazioni che non sono semplicemente quelle che si vive, sono dei possibili che appaiono in alternativa. 

Post4-Acquario- Il cane pensa. Il pesce non pensa.

Post3-Garbino- Disponiamo già di una scienza e di una filosofia che possano gestire una simile situazione? 

Post2-Anthonyi- Questa conclusione, a mio parere, non è comprovata.

Post1-Cvc- Si potrebbe dire che ogni cosa è schiava della necessità, l'uomo è schiavo dell'opinione.

Post0-Maral-L'uomo è un pezzo di universo... 

 
Post15-Jean ... e l'universo ha originato la domanda...


 
Dal post nel quale ho risposto (n°15) avevo, risalendoli, preso un piccolo spezzone dei precedenti interventi, sino al post origine, cui ho assegnato il numero "0".

Nel risultato sembra quasi di veder confrontarsi due personaggi, certo con una "logica" nel loro discorrere (dovuta all'arbitraria scelta dei frammenti) alquanto opinabile, anche se mi par vada via via migliorando... parallelamente all'aumentare del tasso di humor (soggettivo) che qualcuno potrebbe scorgervi.

Il ritornare all'origine della domanda implica un soggetto che la pone.

La persona  "Maral" identifica uno dei possibili  "contenitori"  del processo metafisico che è il pensiero (o come dice paul11, mente metafisica), con ciò facendo ancor più retrocedere l'origine dell'evento domanda... infatti, come si forma in chi la propone, una tale domanda (o una di simile)?

Qui le interpretazioni saranno tante quanti siano chi vi si cimenti, poiché devono necessariamente attraversarne la conoscenza individuale accumulata ed attiva (che si può ben constatare dal variegato numero di risposte nel topic).

Rispondere a quel che c'è prima (o al di là) del post "0"  non potrà che esser parziale... tuttavia, spersonalizzando la faccenda, se siamo di fatto un minuscolo pezzetto d'universo è del tutto plausibile che sia rintracciabile in esso (non necessariamente dappertutto, può esser in una sua parte) l'origine d'ogni cosa, domande comprese.

Giungendo così al cuore della questione, ben individuato da paul11, nella cui replica si può scorgere come quella condanna a conoscere, quella costrizione, divenga operante in chi arrivi ad oltrepassare una certa soglia, un certo livello d'interesse.
E, parlando d'universo, tale soglia è metafora dell'irresistibile attrazione gravitazionale (in opposizione all'espansione) quasi vi sia una sorta di buco nero cui resistiamo al contempo che aneliamo cedervi... 
 
Ho formulato una risposta che chiudesse il "cerchio" (sino al punto della lettura) e al contempo fosse del tutto "inclusiva", costruendola scherzosamente a tal modo per mantenervi la presenza di ognuno degli interlocutori che vi abbiano preso parte (sino al post 14) poiché tutte le diverse opinioni, vite, esperienze ecc. sono parte imprescindibile di quel che è l'uomo, piaccia o meno.
  
Col proseguire degli interventi, divien sempre più probabile (non certo) che la specificità di ognuno cristallizzerà una diversa sintesi partendo dalla questione posta, ma a mio modo di vedere le possibilità confluiscono in due strade:

-    alla domanda "che è l'uomo" corrisponde una sola risposta (o verità) e allora è lecito parlar di "Legge unica" e nel provar a raffigurarla dovrebbero comparire via via elementi comuni/riconoscibili all'interno delle varie prospettive (matematica, biologica, filosofica... religiosa ecc.).
 
-    Oppure vi son più risposte, con ciò necessariamente arrivando a tutte le risposte possibili (infatti con quali criteri escluderne alcune?) e in tal caso han ben ragione, per la delusione o la straordinaria complessità della faccenda, coloro che s'affidano al nettare degli dei...
 
 
Oppure, c'è ancora un'altra strada... e chi vivrà vedrà... ma dubito si presenti prima della fine di questo topic e personalmente non ho tempo e denari sufficienti per scommetterci.
 


Un cordiale saluto


Jean

Sariputra

Che è l'uomo?

Nasce l'uomo a fatica,
Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell'esser nato.
Poi che crescendo viene,
L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell'umano stato:
Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perchè dare al sole,
Perchè reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura,
Perchè da noi si dura?
Intatta luna, tale
E' lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
E forse del mio dir poco ti cale.

G.Leopardi (Canto notturno di un pastore errante...)
Domani 21 Aprile è Sant'Anselmo... ;D
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

green demetr

#88
x sari

cit sari
"Quella nuda innocenza valeva meno ( era meno significante...) della conoscenza acquisita? Era inevitabile che, la mano che diventava sempre più abile a fabbricar armi e utensili, plasmasse per sé una maschera per coprire l'orrore del proprio volto? Lo spavento di non riuscire a specchiarsi più in nulla?"


Diciamo che nel tuo vagabondare filosofico (rabdomantico) , hai colto un passo significativo. Che la significazione è sempre un segno.
E il segno è sempre un maschera, una veste, una traccia che rimanda a qualcosa d'altro.
Il segno rivela il significato che sottende.
Il punto non è che non ci specchiamo più in nulla ma che ci specchiamo in ogni cosa.
La maledizione dell'uomo è questa, che riesce a nominare tutto quello che vede.
Tranne se stesso. Lo stesso dire se-stesso, infatti non significa alcuna cosa, è solo un modo per tentare di rimanere Integri.(dei soggetti appunti)
Ma un vecchio utente di questo forum, che purtroppo ci ha lasciati, ci lasciò in eredita le terribili parole.
Labirinto: non siamo altro che i mille riflessi di uno specchio andato in frantumi. Più niente ha senso.
Questo la filosofia orientale lo ha mai capito, mi chiedo???
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

x maral

cit maral
"Semplicemente ritengo che il naturale sia il sentimento soggettivo che lega la mia relazione con il contesto che mi produce. Questa relazione è continuamente ambivalente, per cui il naturale è sia ciò che con la sua presenza ci si oppone,  ostacola limitandoci, ci resiste e minaccia terrorizzandoci, sia ciò che ci nutre e ci si dà come nicchia di riparo e di incanto. "


ma perchè chiamarlo naturale? sembra quasi una reminescenza leopardiana.
Ma il grande poeta nella immensa poesia arimane, lo chiama con il suo NOME, il MALE. (anche l'amore è male!)

Giacomo Leopardi

Inno ad Arimane (versione recitata da Carmelo Bene)

https://www.youtube.com/watch?v=97B-WeFIKrk
(una delle mie esperienze più profonde...la voce di CARMELO!!!)
Non potete non conoscerlo, non potete non rabbrividire.;)

Re delle cose, autor del mondo, arcana
Malvagità, sommo potere e somma
Intelligenza, eterno
Dator de' mali e reggitor del moto,
io non so se questo ti faccia felice, ma mira e godi, contemplando eterno...
... Natura è come
un bambino che disfa subito il fatto.
Vecchiezza.
Noia o passioni piene di dolore e disperazione: amore.
Te con diversi nomi il volgo appella Fato, Natura e Dio.
Ma tu sei Arimane.
Taccio le tempeste, le pesti, tuoi doni, che altro non sai donare.
Tu dai gli ardori e i ghiacci e il mondo delira cercando nuovi ordini e leggi e spera perfezione.
Ma l'opra tua rimane immutabile, perché natura dell'uomo sempre regneranno l'ardimento e l'inganno, e la sincerità e la modestia resteranno indietro, e la fortuna sarà nemica al valore, e il merito non sarà buono a farsi largo, e il giusto e il debole sarà oppresso.
Vivi, Arimane e trionfi, e sempre trionferai.
Invidia dagli antichi attribuita agli dèi verso gli uomini.
Perché, dio del male, hai tu posto nella vita qualche apparenza di piacere? L'amore? Per travagliarci col desiderio, col confronto degli altri e del tempo nostro passato?
Io non so se tu ami le lodi o le bestemmie. Tua lode sarà il pianto, testimone del nostro patire. Pianto da me per certo tu non avrai: ben mille volte dal mio labbro il tuo nome maledetto sarà.
Ma io non mi rassegnerò.
Se mai grazia fu chiesta ad Arimane concedimi ch'io non passi il settimo lustro.
Io sono stato, vivendo, il tuo maggior predicatore, l'apostolo della tua religione. Ricompensami. Non ti chiedo nessuno di quelli che il mondo chiama beni: ti chiedo quello che è creduto il massimo de' mali, la morte (non ti chiedo ricchezze, non amore, sola causa degna di vivere). Non posso, non posso più della vita.



cit maral
"Credo che l'originario sia assolutamente indefinibile e al di là della nostra portata, noi siamo sempre compresi nell'originario e lo viviamo negli errori delle rappresentazioni che ce ne facciamo nel tentativo di rendercelo presente"


Si scusa intendevo l'apertura all'originario, non l'originario stesso.  :-[

cir maral
"Abbiamo sempre la necessità di tornare, tornare al nostro saper vivere che il sapere di vivere ci nasconde, il naturale coincide per me con questo saper vivere e il ritorno significa scoprire che non sappiamo di sapere, ma per arrivare a non sapere di sapere è necessario conoscere, è necessario cioè passare attraverso il sapere di sapere e di non sapere, per poi decostruire questa conoscenza. E' necessario che l'orgoglio dei monumenti di sapienza e la delusione continuamente franante dei loro esiti si compiano rivelandoci a noi stessi e gli uni agli altri quanto non sappiamo di sapere. Quando questo accade resta un'impronta sul cammino percorso che  è una rivelazione che ci consente di proseguire ancora."


Molto ben scritto Maral. Ottimo!
Vai avanti tu che mi vien da ridere