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Che è l'uomo?

Aperto da maral, 15 Aprile 2017, 10:49:56 AM

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sgiombo

Citazione di: green demetr il 18 Aprile 2017, 06:01:46 AM
x Sgiombo  :)



cit sgiombo
"Se intendi dire (per lo meno "fra l' altro", oltre a considerazioni diverse; come mi par di capire) che la certezza assoluta (della verità) di qualsiasi conoscenza é impossibile (ovvero che lo scetticismo non é razionalmente superabile) sono perfettamente d' accordo."

No! sto dicendo che qualcosa accompagna qualcos'altro.

Se vogliamo matematizzare: che abbiamo un sistema a 2 variabili (una nota, e l'altra no).

Di cui una variabile coincide (indimostrabilmente essendo all'interno di un altra rappresentazione presupposta) con la coincidenza tra rappresentazione (dell'io penso) e fenomeno (da ciò che è indagato da quell'io penso).
Ma l'altra è impossibile da pensare. Appunto la variabile originaria, da cui inevitabilmente, pena la cancellazione della categoria (universale) di esistente, sappiamo che vi è un qualcosa.
Quello che intendo è che appunto non è rappresentabile.

Ma non ammetto in alcuna maniera alcun scetticismo, poichè una variabile è conosciuta appunto, è" vista"!

(Lo scetticismo, dovresti saperlo, non l'ho mai preso in considerazione, questa cosa la lascio ai filosofi analitici, alla scuola americana, e ora anche ai corsi ridicoli delle università milanesi).
CitazioneCerco di capire, ma continuo a non riuscirci.
Se per "rappresentazione" intendi (i fenomeni, le sensazioni mentali costituenti) "il pensiero dei (di altri) fenomeni predicati dal pensiero stesso accadere realmente e -se essi effettivamente accadono realmente- conosciuti accadere realmente" (in generale; e in particolare i fenomeni, le sensazioni mentali costituenti il pensiero, il predicato "io penso"), allora non vedo come lo scetticismo possa essere superato.
Infatti (con Hume contro Cartesio) ritengo che di tali sensazioni fenomeniche ("cogito"), come di qualsiasi altra sensazione fenomenica (anche di quelle materiali), l' "esse est percipi": di sicuro vi è unicamente il loro accadere in quanto tali (sensazioni fenomeniche; e null' altro di in sé, permanente anche oltre ad esse e dunque - distinto da esse, che ne sia il soggetto-oggetto (l' ego che cogitat – cogitatur); ed anche questa conoscenza certa certezza -se e quando accade-  è effimera, limitata al fuggente lasso di tempo presente in cui accade (in cui accadono le sensazioni fenomeniche costituenti il pensiero "cogito", dalle quali non consegue necessariamente l' ulteriore "esse" di un "ego").




cit sgiombo
"Non comprendo assolutamente la distinzione che poni fra piano "rappresentativo" e piano "fenomenico"; per me si tratta di meri sinonimi: le sensazioni (tutto ciò che ci é immediatamente e indubitabilmente -per lo meno nell' istante presente in cui accadono- esperibile e conoscibile; tutto il resto essendo degno di dubbio) costituiscono "rappresentazioni coscienti" ovvero "fenomeni" (apparenze coscienti).
Casomai si può ipotizzare (e, volendo, credere realmente esistente senza poterlo dimostrare) un ulteriore "piano ontologico" in sé, non apparente ovvero "rappresentativo", non empiricamente constatabile, ma solo "congetturabile" (noumeno)."


Esatto! la rappresentazione co-sciente presuppone un ipotetico "in sè".
Il mio problema è relato al fatto che questo inevitabile, pena la contraddizione di ogni categoria di esistente, in-sè non è rappresentabile.(e infatti anche dire "in sè", mi crea forti problemi).
Il pegno da pagare è che questa "medianità seconda", e più originaria, non è una vera e propria origine, ma una fondamentale "rappresentazione della rappresentazione", "rappresentazione fantasma", "rappresentazione mimesi", mera supposizione, immagino nel tuo caso (possiamo sbizzarrici nel dargli i nomi che vogliamo.)
MA politicamente, e cioè filosoficamente, questo prevede che l'individuo Sgiombo porrà scarsa attenzione, se non addirittura ignoranza del problema della fondazione, nel caso appunto questa medianità dell' "altra medianità" (che è lo scontro, più che l'incontro, fra rappresentazione-intenzionale e fenomeno-resistenza) sia considerata un'altra supposizione, come se questa supposizione sia della stessa "materia" degli unicorni.
Senza polemica, rispetto la tua opinione, ma non la condivido.
E invece valorialmente è il cuore stesso della filosofia (e di irrazionale non ha nulla, in quanto fa riferimento a categorie logiche) porsi il problema di questa medianità e da Aristotele a Heidegger, è stato comunque sempre così.
Ma ovviamente questa è la mia opinione.
CitazioneContinuiamo a non capirci, purtroppo.
Per me la rappresentazione co-sciente non presuppone necessariamente un ipotetico "in sè", che per l' appunto é ipotetico, non dimostrabile logicamente -cioè "teoricamente evitabile", pensabile non essere reale "senza alcuna contraddizione di ogni categoria di esistente"- né tantomeno constatabile empiricamente).
 
Ma questo ipotetico "in sé", se realmente esiste, allora necessariamente, onde evitare una patente contraddizione, non può essere "rappresentabile (fenomenicamente per l' appunto", ma solo pensabile, congetturabile ("rappresentazione sensibile, apparente ai sensi, fenomenica" è ben altra cosa che "supposizione" o "congettura") senza alcun problema, a mio parere.
E senza per questo porre scarsa attenzione, se non addirittura ignoranza del problema dei rapporti fra cosa in sé e fenomeni, che credo invece della massima importanza filosofica.
 
Le cose in sé, infatti, se reali, avrebbero ben altra "consistenza" degli unicorni: questi ultimi (se la conoscenza scientifica è vera) sono fenomeni che si può dimostrare (se si ha sufficiente conoscenza della biologia) non esistono realmente, mentre quelle, se reali, anche se non lo si può dimostrare, esistono realmente.




cit sgiombo
"Non capisco che cosa possa intendersi per "fantasia - delirio della fisica".
La fisica (e anche le altre scienze naturali) si basa su alcuni presupposti indimostrabili, come ci ha insegnato soprattutto David Hume, ma compie osservazioni empiriche, sperimentali, induzioni e ipotesi da sottoporre a verifica-falsificazione empirica.
Mi sembra si tratti di tutt' altro che "fantasie - deliri", quali sono invece casomai quelli proposti da religioni, superstizioni e irrazionalismi vari."


Certo, siamo d'accordo! intedevo per fantasia, il genio visionario di un Einstein o di un Tesla, e delirio, qualsiasi altra visione non testimoniata da falsificazione. (per quanto il modello falsificazionosta di cui parli Sgiombo è solo uno dei modelli possibili).
Ribadisco che tentavo di mettere in evidenza il carattere valoriale della visione come mera rappresentazione.
Non voleva essere un attacco alla scienza (per questa volta).

Al massimo possiamo discutere se questa posizione (opinione etc) sia razionale o meno. Ma non trovo elementi nel tuo intervento che mi indichino questa necessità di risposta. Non mi sembra che l'hai posta esplicitamente perlomeno.
CitazioneBeh, di solito per "delirio" si intende un discorso fantastico senza denotazioni reali e non le asserzioni empiricamente non falsificate delle scienze.
Non so Tesla, ma non credo proprio che Einstein gradirebbe l' epiteto di "visionario".
 
Credo, da seguace di Hume piuttosto che di Popper, che sia razionalmente possibile dimostrare con certezza la falsità e non la verità delle leggi fisiche ipotizzabili.
 
Non ho capito le tue ultime considerazioni: credi forse che religioni, superstizioni e "affini" siano o possano esser considerati razionali o razionalistico il seguirli?



cit sgiombo
"Inoltre non comprendo in che senso l' etica sia "sottoposta all' episteme" e (a mio avviso contraddittoriamente: sia l' etica sia la politica sono ricerca ed eventualmente conoscenza sul come -si possa e/o si debba- agire) "tutto sia politica" (dunque l' azione comprenderebbe, e mi pare dunque in qualche modo inevitabilmente determinerebbe o almeno condizionerebbe, "sottoporrebbe a sé", la conoscenza)."

A mia volta non ho inteso bene cosa intendi dire qui.
Contradditoriamente si riferisce a me? (in quel caso però dovresti indicarmi in cosa consista la contradizione).
CitazioneAffermare che l' azione (etica e politica) è sottoposta alla conoscenza (episteme) è contraddittorio con l' affermare che tutto è azione (politica) e dunque anche la conoscenza è sottoposta (come parte al tutto) all' azione (salvo eventuali diversi e per me alquanto oscuri significati di "sottoporre").

La conoscenza sul come -si possa e/o si debba- agire, come anche esplicitato dalla tua discussione con Eutidemo, però a sua volta si basa sul principio di "chi(più che di che cosa) si decide di avvalersi".
CitazioneQuesto non l' ho proprio capito.

La decidibilità del valore razionale "corretto", è in fin dei conti una sciocchezza, infatti in quella correzione sta per esempio quella "esportazione della democrazia" sui cui supinamente (ognuno atterrito in cuor suo, tanto atterrito da uniformarsi agli ordini dei nostri aguzzini, fino a DIVENTARE i nostri aguzzini) la morale occidentale e tutto questo forum si basa, tranne qualche sporadica eccezione.
Correzione è più costrizione che altro d'altronde.
CitazioneContinuo a non capire: i mezzi per perseguire scopi quali l' obbrobriosa pretesa imperialistica di esportare la (pseudo!)- democrazia" possono essere più o meno razionali e "razionalmente corretti".
Ma gli scopi si avvertono e non si deducono razionalmente.

Dunque il sapere dell'agire si risolve non tanto nell'agire, ma nel essere comandati da quel sapere.
Per cui qualsiasi agire è il risultato di una ideologia, di un prendere parte, e questa partizione è sempre una questione di guerra.
CitazioneQui per me è "buio pesto"!

Ma tu da comunista inveterato dovresti saperlo meglio di me, se non fosse che da uomo di scienza e della scienza ritieni che possa esistere una innocenza primaria, una meccanica a cui tutto possa rispondere.
CitazioneMa che vuol dire?
Se (ma sto brancolando nel buio più pesto) che le ideologie sono fattori importantissimi ma in ultima analisi non determinanti della storia e che questa è in ultima analisi determinata dalla lotta di classe, allora da "comunista inveterato" e (del tutto coerentemente anche da) "uomo di scienza" sono certamente d' accordo.

Non esiste quella meccanica, in sè, appunto, è solo il frutto di una macchinazione, di una tecnica per piegare qualcosa a qualcosa, la quantistica per esempio alla meccanica, e fin lì siamo a dei modelli, ma se quel qualcosa sono esseri umani, bè quella macchinazione deve fare i conti con le emozioni (le angosce, le paure, i dolori), e facendone di conto, pensa bene di usarli, come mezzo di propaganda.(strumentalizza le emozioni per la propaganda)
In fin dei conti la propaganda è l'episteme, questo sto paventando.(ovviamente esagerando, ma con un discorsco più complesso non so nemmeno se sono molto lontano dal vero).
E ognuno si fida di ciò che è scienza e verità (quando non lo è affatto).
CitazioneCome fai a dirlo?
A volte, certo, si sbaglia e si ignora, ma non credo proprio sempre e necessariamente!

In questo senso ogni azione politica, ogni prendere parte a questo o a quello dispositivo, induttivamente RIVELA l'episteme che si cela dietro a quelle azioni.


Ma in questo post non volevo tanto riferirmi al problema critico delle azioni politiche, quanto al problema che COMUNQUE SIA ESISTE UNA RAPPRESENTAZIONE che si accompagna a qualcosa che non sappiamo cosa sia.
E noi SAPPIAMO che vi sia proprio perchè abbiamo una rappresentazione CO-RELATA.
CitazionePersonalmente non credo che il noumeno sia dimostrabile, ma credo che se reale, allora non è "rappresentazione (fenomenica)" e dunque non é certo conoscibile "alla maniera in cui lo sono i fenomeni".


MA se manca, e DIO solo sa quanto manca, la riflessione sulla medianità, appunto su cosa è l'uomo, allora non può esistere nemmeno una critica a quella presunta episteme!
E come vedi i nostri ruoli si invertono, quello che per te è il cuore della filosofia (l'episteme) è per me mera presunzione, e quello che per me è il cuore della filosofia (il fondamento) è per te mera presunzione.

Ti ho messo delle parole in bocca provocatoriamente, mi aspetto una risposta tosta!
CitazionePer me la filosofia non si identifica certo con la scienza; è anzi, fra l' altro, critica razionale (anche, oltre che a tutto il resto del "razionalmente criticabile" anche ) della conoscenza scientifica.

Spero di essere stato all' altezza delle aspettative.

green demetr

x Garbino  :(

cit Garbino
"Mio caro Green, ma che cos' è l' uomo se non un essere vitale e naturale? Come lo è qualsiasi forma vivente? E te lo ripeto io non vedo in ciò un sistema, un tutt' uno, ma soltanto un tentativo di dare a ciò che è vivo e naturale un' identità. Nient' altro. In senso metafisico sono con Nietzsche entrambe sono dei contenitori vuoti come l' essere."

Non capisco perchè continui ad usare il termine naturale con tale disinvoltura (con me per lo meno).
Mi fermerei al termine vitale, nel senso di partecipante della Elrlebnis della vita vissuta in carne ed ossa, secondo la famosa frase di Husserl. Penso non dovremmo essere troppo lontani come concettualizzazione.
Io non ti contesto niente a questo riguardo, al fatto del tentativo di identificazione cioè, ora però non capisco perchè hai liquidato il mio intervento così.
(Tra l'altro non so nemmeno come faccio a essere ancora sveglio, non ho chiuso occhio.)

La mia domanda (come fai a liberarti dai lacci culturali in cui sei immerso) non è mica per forza legata ad un sistema.

Che vi sia una possibile sistematica potrebbe benissimo essere un mio problema, ed esclusivamente mio.

Ma la domanda su come avviare il "nuovo", sarebbe lecita comunque, con o senza sistema.

cit Garbino
"E cosa vuoi che mi importi che a livello matematico si siano fatti progressi da gigante sull' infinito? Carta è carta rimane, come la quantistica e molto altro in campo scientifico. "

Non capisco questa volgarità che hai scritto, a parte che sei tu che hai fatto l'esempio matematico, io ho solo fatto una notazione a margine di quello che tu hai scritto. Non c'era nessuna critica occulta.

cit Garbino
"Contemporaneamente alla dimostrazione di Aristotele, ricordo, ancora prima di leggere Nietzsche, che mi trovai a confutare quella scienza meravigliosa che è la matematica, ritenendola troppo inficiata da criteri volti a superare le sue contraddizioni. E non dimentichiamo che la logica non è che l' applicazione della matematica al discorso. E mi sembra strano che proprio tu che contesti il ritrovare ciò che era dato in partenza, possa poi avere dei dubbi su quanto da me opinato. "

Continuo a non capire, ci deve essere stato un fraintendimento, io non ho dubitato di alcunchè ,mi sembra ,rispetto al matematico, che tu hai tirato in ballo.

cit Garbino
"Per quanto riguarda la logica, ripeto ancora una volta, sono con Kant che afferma: Non è possibile l' uso della logica nella Metafisica."

Ma infatti siamo d'accordo, se hai la pazienza di leggere la mia risposta a Paul (mi sembra) c'è un pezzo che dice esattamente lo stesso.

Lasciando da parte la questione del naturale, che prima o poi dovremo trattare, e che presupporebbe che mi informassi meglio su come nella storia della filosofia è emersa come problema (da Montesquieu in poi, mi par di ricordare, ma non ci giurerei, non è mai stato un mio "tema caro", ma mi sto accorgendo che necessita di una esposizione esauriente, se no rimane nebuloso).
E quindi presuppone che io mi sbatta per qualcosa su cui non voglio sbattermi.Sorry per la terminologia il sonno comincia a diventare tiranno.

Appunto dicevo tralasciando il naturale, a mio avviso non hai ancora esposto almeno approssimativamente la questione.
Per i chiarimenti poi c'è tempo! così per la volontà di potenza heidegeriana.
Faresti un favore a tutti credo esponendo il tuo sunto, la tua opinione, che appunto è figlio/a di un altro "sbattimento" (questa volta tutto tuo, e di questo ti ringrazieremo sempre).
Vai avanti tu che mi vien da ridere

maral

#32
Green, è interessante la distinzione che hai posto tra universo e natura. Se l'universo è la categoria dell'altro tuttavia si può istituire un collegamento, laddove l'io appare come altro del mio altro. E questo potrebbe consentire di con-prendere universo e natura, pur mantenendone la distinzione fondamentale.  La scienza, che vede l'oggetto per formalizzarlo, può dunque vedere nell'universo il soggetto e considerarlo come suo oggetto formale, per il quale si rende possibile una lettura formalizzante oggettiva che  rimanda al soggetto. E analogamente, ma in senso opposto, l'universo oggetto si riflette nell'immagine di un soggetto che gli corrisponde . Questa reciproca corrispondenza, direbbe Sini, è mediata dallo strumento, ossia di quel qualcosa che mi è dato tra me e il mondo e ne permette la conoscenza a distanza mantenendo il collegamento nella prassi di uso dello strumento . Lo strumento è ciò che riempie il vuoto di quella distanza e primo strumento e prima tecnica è il linguaggio che si esprime in gesti e segni vocali e somatici.
La dimensione linguistica corrisponde alla dimensione cognitiva che si muove attorno all'esistenza  (il saper vivere) mostrandola. Il nostro stesso vivere è quel "qualcosa" di cui umanamente tentiamo di sapere. Questo è il motivo per cui solo l'essere umano può con-prendere, ossia comprendere la distanza tra il vivere e il conoscere, ove conoscere e vivere continuamente si intersecano e si implicano, pur rimanendo nella reciproca distanza che continuamente oscillando si ripete. La nostra esistenza è alternativamente compresa dalla nostra conoscenza e la comprende in sé, per venirne di nuovo ricompresa.  Appare quindi un ritmo che, con il suo andare e venire della pulsazione che ritorna, si colloca a fondamento originario ed estatico di ogni epistemologia.

P.S.
Citazione di: Green DemetrIl mio problema è relato al fatto che questo inevitabile, pena la contraddizione di ogni categoria di esistente, in-sè non è rappresentabile.
Scusa il PS, ma credo sia importante. L'in-sé è in realtà continuamente rappresentato e si dà proprio nello scorrere continuo delle sue immagini parziali. In tal senso non è un problema: la totalità non è che le parzialità che si succedono in cammino, ognuna delle quali viene rappresentandola proprio per come è, senza mai poter essere la totalità/verità compiuta, ma la totalità/verità che si compie. Dunque non c'è un inganno mimetico, semmai un errore che sempre si ripete in forma diversa, ma questo ripetersi dell'errore è il presentarsi della verità stessa.

myfriend

Che cos'è la "mente cosmica" o "coscienza cosmica"?
Beh...certamente uno non può capire cos'è la "mente cosmica" se prima non ha capito almeno la sua "mente individuale".  :D 

Per rspondere a queste domande occorre superare i confini del pensiero filosofico tradizionale.
Guardiamo, per esempio, allo sviluppo embrionale.
L'homo nasce come organismo unicellulare.
Poi si sviluppa come embrione nell'acqua.
L'embrione assume le forme del pesce, poi del rettile, infine del mammifero.
Poi acquisisce la struttura ossea.
Cosa significa questo?
Significa che l'embrione sintetizza in 9 mesi tutte le fasi della evoluzione sulla Terra.
A partire dalle pietre (scheletro) e dall'acqua (Liquido amniotico).
Non solo.
Il sistema linfatico dell'homo ricalca il sistema linfatico delle piante.
Quindi in noi c'è anche il mondo vegetale.

Le pietre, l'acqua, le piante, gli animali...sono tutti stadi evolutivim cioè stadi in cui la "Coscienza cosmica" si manifesta e manifesta nella materia quelle che sono le sue caratteristiche.
Nell'homo, oltre a tutte le caratteristiche degli step evolutivi precedenti, si è manifestata una nuova caratteristiche della "Coscienza cosmica": l'autocosicenza e la compassione.

Ma la cosa straordinaria è che questo viaggio non è finito. Tra 500mila anni, tra 10milioni di anni, la "Coscienza cosmica" manifesterà altre sue caratteristiche grazie alla quali la specie che verrà dopo di noi vivrà in modi che noi nemmeno possiamo immaginare. Percepirà la "Realtà" in modi sempre più profondi e si avvarrà di altre capacità per comunicare e interagire nella Realtà.

L'evoluzione non è finita.
Il percorso evolutivo grazie al quale la Coscienza cosmica manifesta le sue caratteristiche, non è finito.
Noi siamo solo una tappa intermedia.
Ci siamo da soli 200mila anni. Magari ci saremo per altri 3 o 4 milioni di anni.
Ma è sicuro. Dopo di noi la Coscienza cosmica si manifesterà in una forma più evoluta che avrà un nuovo cervello e nuovi strumenti per interagire nella Realtà.
Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita.

green demetr

x sgiombo

cit sgiombo
"Cerco di capire, ma continuo a non riuscirci.

Se per "rappresentazione" intendi (i fenomeni, le sensazioni mentali costituenti) "il pensiero dei (di altri) fenomeni predicati dal pensiero stesso accadere realmente e -se essi effettivamente accadono realmente- conosciuti accadere realmente" (in generale; e in particolare i fenomeni, le sensazioni mentali costituenti il pensiero, il predicato "io penso"), allora non vedo come lo scetticismo possa essere superato.
Infatti (con Hume contro Cartesio) ritengo che di tali sensazioni fenomeniche ("cogito"), come di qualsiasi altra sensazione fenomenica (anche di quelle materiali), l' "esse est percipi": di sicuro vi è unicamente il loro accadere in quanto tali (sensazioni fenomeniche; e null' altro di in sé, permanente anche oltre ad esse e dunque - distinto da esse, che ne sia il soggetto-oggetto (l' ego che cogitat – cogitatur); ed anche questa conoscenza certa certezza -se e quando accade-  è effimera, limitata al fuggente lasso di tempo presente in cui accade (in cui accadono le sensazioni fenomeniche costituenti il pensiero "cogito", dalle quali non consegue necessariamente l' ulteriore "esse" di un "ego")."

Certamente se l'in-se che tu poni nella argomentazione stia all'interno del fenomenico. Ma io prendo in considerazione l'in-sè come categoria dell'esistente, dell'essere, dell'esistenzialità (scegli pure il termine che più ti confà) fuori dalla rappresentazione.
Quindi non parlo dell'esse percepi. Dovresti capirmi meglio se uso il termine anima, spirito, Dio. Il fatto è che quei termini andrebbero ridefiniti razionalmente e non irrazionalmente come di solito si fa.Nella storia della filosofia l'hanno chiamato il problema dell'Essere, ma avrebbero potuto anche chiamarlo pinco-palla, in quanto riguarda qualcosa che è fuori dall'esistente fenomenico, e che ha a che vedere con la stessa categoria, universale di esistente. Qualcosa esiste, qualcosa è come se esistesse.
Come hai detto tu trattasi di una ulteriore congettura. Che io credo tu ritenga pretenziosa.
All'interno invece del campo fenomenico, la temporalità è ovviamente una delle molte sfacettature del discorso scettico.
Però ti faccio notare che hai usato nella argomentazione il termine accade, qualcosa se pur di effimero, accade.
E se accade dovrebbere in linea di principio esistere. Cosa sia non si sa perchè non si vede. Ma per esempio un Platone afferma che si puà udire, ascoltare nell'altro. E l'altro qua è da intendere proprio come esistente di una alterità assoluta.
Diffido di Platone, perchè non capisce che questa alterità in fin dei conti è una semplice categoria. Non è Il BENE!
(vabbè le ultime note sono per un pubblico più vasto, non solo per te Sgiombo, comunuqe...)


cit sgiombo
"Continuiamo a non capirci, purtroppo.
Per me la rappresentazione co-sciente non presuppone necessariamente un ipotetico "in sè", che per l' appunto é ipotetico, non dimostrabile logicamente -cioè "teoricamente evitabile", pensabile non essere reale "senza alcuna contraddizione di ogni categoria di esistente"- né tantomeno constatabile empiricamente).
 
Ma questo ipotetico "in sé", se realmente esiste, allora necessariamente, onde evitare una patente contraddizione, non può essere "rappresentabile (fenomenicamente per l' appunto", ma solo pensabile, congetturabile ("rappresentazione sensibile, apparente ai sensi, fenomenica" è ben altra cosa che "supposizione" o "congettura") senza alcun problema, a mio parere."

No hai capito benissimo, infatti per me è una congettura, la contraddizione sarebbe se fosse esistente come fenomenico.
Ma come ho tentato di spiegarti sopra è invece un esistente logico, formale se vuoi. Una mera astrazione.

cit sgiombo
"E senza per questo porre scarsa attenzione, se non addirittura ignoranza del problema dei rapporti fra cosa in sé e fenomeni, che credo invece della massima importanza filosofica.
 
Le cose in sé, infatti, se reali, avrebbero ben altra "consistenza" degli unicorni: questi ultimi (se la conoscenza scientifica è vera) sono fenomeni che si può dimostrare (se si ha sufficiente conoscenza della biologia) non esistono realmente, mentre quelle, se reali, anche se non lo si può dimostrare, esistono realmente."

Se provi a rileggere quanto da me scritto però ti comincerai a chiedere quale è la consistenza, la realtà di questa congettura, ossia della cosa in sè.
Se la cosa in sè esiste per sè, allora non potrà mai essere fenomeno.
Questo fu il problema su cui Kant stesso si arenò (mi informa un giovane amico) infatti per esigere che la cosa in sè abbia a che fare col mondo fenomenico, si deve inventare, ideare, fare astrazione su una relazione.
Ma quale relazione ci può essere fra qualcosa che è congettura e ciò che è fenomeno/realtà? se non appunto che una altra rappresentazione.
Nel mondo odierno conveniamo che sia la scienza a darne conto, con uno dei modelli verificazionisti da essa scienza ideati.
Ma il rompicapo è proprio questo che se una cosa in sè diventa rappresentazione-realtà, allora quella cosa in sè altro non sarà che una rappresentazione. Dunque la rappresentazione della cosa in sè, è di fatto la rappresentazione di una cosa, e non la cosa in sè.
Spero mi stai seguendo.

alcune notazioni di storia della filosofia.
Ci voleva una distinzione, che venne solo in seguito a kant che comunque aveva già apparecchiato lui stesso per tutti i filosofi a venire, quando si dice che kant è la ripartenza della filosofia, si parla ovviamente della sua invenzione delle categorie, degli apriori, e della cosa in sè.
Questa distinzione si chiama filosofia negativa, ossia la cosa in sè, è l'in-sè della sua contraddizione.
In sè è noumeno solo perchè non può essere fenomeno.
Le implicazioni sono quelle che la relazione è il frutto di una negazione infinita. Perchè se il fenomeno appare per quello che NON è, in quanto la cosa in sè è negazione, allora qualsiasi fenomeno è la negazione della sua negazione. Che non è come in matematica
 una doppia negazione, ma una negazione alla potenza. Ossia la relazione è una assoluta negazione che possa essere qualcosa, appunto che sia qualcosa d'altro, ma non il fenomeno stesso.
La rilevanza che vado dicendo se sia materia dell'universo degli unicorni o se sia la verità, è a mio parere frutto di una lunga meditazione sul nostro vivere quotidiano, sui fatti che ci succedono.
Quando ai giorni nostri si parla di filosofia dell'evento, non si parla tanto di un accadimento del qui ed ora, piuttosto del suo contrario, ossia che vi sia una eventualità, che questo accadere accade.
Ossia che non vi è una storia qualsiasi, ma questa storia, questo succedersi di cose, esiste una immanenza, che si descrive solo come 
 impermanenza, noi siamo solo perchè scompariamo, moriamo dirà infine Heidegger.
Ossia tutto ciò che è reale è razionale, a patto che sia una razionale negativo.


Tornando di nuovo a noi dunque possiamo certamente dire che laddove per te è importante la coincidenza fra cosa-in-sè e fenomeno, dove la cosa in sè diventa sinonimo di mentale, per me invece questa coincidenza è del tutto fittizia, in quanto si dà come relazione misteriosa, fra un dato e la sua causa, ove con causa si intende non la meccanica, ma il suo darsi formale-logico di co-relazione impossibile e dunque come relazione negativa.

In parole povero non coincidono eppure nella loro alterità sono correlate come negativo, o è l'una o è l'altro.
O è parte o è Universale.

Ma il punto che chiedevo, e solo ora mi rendo conto che effettivamente è una sedimentazione mia, forse troppo ardita per i limiti di questo forum, che in fin dei conti cerca di essere il più generico e intendibile.
Dicevo che il mio punto sta che per me, qualcosa non è la cosa in sè. Se fosse mera correlazione negativa, infatti non si capirebbe come mai esiste qualcosa di originario, e se esiste non può essere il tutto (che in hegel vuol dire il niente, e forse meno del niente, come dirà Zizek)
Ossia che esiste qualcosa che pre-esiste al riflesso o meglio come dico io, che accompagna.
La cosa in sè in fin dei conti è semplicemente una congettura di tipo logico categoriale.
Come potrei dire albero se non sapessi che esiste qualcosa d'altro, altrimenti chiamerei qualsiasi cosa albero.
Ma il fatto che esista in quanto qualcosa, foss'anche tutto albero, è il problema stesso del presupporre che esista una materia sottesa primordiale.
Era stato per Primo Aristotele a parlare di forma e sostanza. Ma è ovvio che quello che ci interessa non è mai la sostanza, bensì la forma che esso prende.
Rimane però imprescindibile che ci può essere forma solo se vi è sostanza.
La scienza Sgiombo si è così per dire ferrata sulle forme, sui fenomeni e sulle loro leggi.
Come avviene che qualcosa si formi. Ma la riflessione sulla sostanza è rimasta nell'ombra.
Ma d'altronde quando Aristotele parla di sostrato sensibile, non si riferiva proprio a quella cosa in sè.
Ossia ad una sua categorizzazione formale, logica.

La mia domanda è invece proprio su cosa consista la sostanza. Perchè se non riesco a decriverne nulla, ne va della stessa concezione di cosa sia umano.
L'unico ad averci capito qualcosina è stato heidegger, che vedeva nella medianità del rapporto con la sostanza, con l'essere dice lui, il problema di qualsiasi ontologia. Ossia dell'entificazione di quell'essere.
Noi siamo un ente, siamo qualcosa, che attinge da una dimensione evenenziale, la filosofia dell'ereibnis, è questa germinazione alla radura dell'essere. E' l'inizio della stradina nel bosco dirà ancora in Sentieri.
La nostra entificazione ha a che fare con questa dimensione abissale, con questa proiezione, con questo essere per la morte.
Noi siamo enti destinali, destinati alla morte.

Certamente se uno è interessato solo all'aspetto formale, delle forme, di come una fenomeno sia correlato, irrelato, relato, univocamente, biunivocamente, è lecito e forse anche meno complicato.
Ma non capiremo mai quale sia il suo fine ma solo i suoi mezzi, i suoi enti.

cit sgiombo
"Beh, di solito per "delirio" si intende un discorso fantastico senza denotazioni reali e non le asserzioni empiricamente non falsificate delle scienze.
Non so Tesla, ma non credo proprio che Einstein gradirebbe l' epiteto di "visionario".
 
Credo, da seguace di Hume piuttosto che di Popper, che sia razionalmente possibile dimostrare con certezza la falsità e non la verità delle leggi fisiche ipotizzabili.
 
Non ho capito le tue ultime considerazioni: credi forse che religioni, superstizioni e "affini" siano o possano esser considerati razionali o razionalistico il seguirli?"

Povero einstein, il termine è proprio infelice.
Non penso affatto che le considerzioni cui sopra possano essere considerate religione, al massimo fantasmagorie.
Questione di opinioni se lo siano o meno.
Le religioni io non le sopporto più.



cit sgiombo
"Continuo a non capire: i mezzi per perseguire scopi quali l' obbrobriosa pretesa imperialistica di esportare la (pseudo!)- democrazia" possono essere più o meno razionali e "razionalmente corretti".
Ma gli scopi si avvertono e non si deducono razionalmente."

Ma se gli scopi appartengono ad una presunta conoscenza, in questo caso di cosa sia la democrazia, e chi debba appropriasene, allora saranno deducibili razionalmente.

Nella lunga serie di cosultazioni ai membri del consiglio presidenziale, il problema non era quale era lo scopo ma perchè razionalemte non funzionava quel tipo di esportazione.

Lo scopo è semplicemente l'applicazione di una presunta conoscenza, quella della democrazia.

Quando dico che tutto è politica mi riferisco ovviamente al fatto che anche la conoscenza, non è una mera conoscenza, ma è una conoscenza che qualcuno ha deciso essere tale.

Ma siccome l'ideologia la spaccia per episteme, allora non mi rimane che conludere che allora ogni azione deriva da quella episteme.

Vi è una decisione su cosa sia episteme che poco ha a che vedere con la scienza. Per tutto quello che abbiamo detto prima sulla efferemità delle cose. E cosa c'è di più effimero di un uomo di una politica etc....???

Direi che sono epistemi assai deboli. Che hanno bisogno sempre dell'imboccata tecnica-tecnologica, magari un f-25 a ricordare a tutti chi esporta cosa.
L'f-25 non parte mica per una mera azione.

Non capisco cosa c'è che non capisci. Dovresti saperlo bene.

quello che intendo è che se tutto nasce da una politica, tipo faccio partire l'f-25, poi per convincere la nazione, invento una epsiteme, che dice che democrazia è quella cosa che deve essere esportata.
e che episteme è allora mi chiedo io??? :(

Con lo scontro di Eutidemo mi riferivo al fatto che lui leggeva la storia in chiave atlantista e tu in chiave filo-russa.
Ognuno di voi 2 si è riferita a fonti e uomini, totalmente in buona fede, ma senza porvi minimanente il dubbio delle fonti.il sottotesto alla vostra diatriba sarebbe stato chi decide cosa.


e ora penso che mi riposerò un pò!!!
scusa per la brevità delle ultime considerazioni.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

maral

Citazione di: Garbino il 17 Aprile 2017, 08:59:05 AM
Che è l' uomo?

Fondare una scienza ed una filosofia non significa rifondarle. Non significa cioè salvare il salvabile e ripartire da quel punto, ma ripartire da zero. Salvare il salvabile infatti identificherebbe che ciascuno tenderebbe a salvare ciò che ritiene non opinabile ed ogni sforzo di fondare qualcosa cadrebbe nel vuoto.  Ma inoltre e sempre a mio avviso è necessario astrarsi dal tempo in cui si vive e che è già il risultato di tutti gli errori che la nostra conoscenza cela dietro ogni virgola.

Ciò che intendo dire è che è necessario che ciascuno si rimetta in gioco totalmente, e che purtroppo questa è la cosa più difficile. Infatti possiamo constatare che già sulla premessa iniziale, alquanto generica e per niente vincolante, la condivisione è ardua.
Certo, è necessario rimettersi totalmente in gioco nelle nostre convinzioni, vederne il continuo inevitabile franare, ma senza scordarci che noi siamo il risultato di quelle e che ciò che in esse frana è l'immagine che ci diamo di noi stessi e del mondo. Ma queste immagini non svaniscono nel nulla, nemmeno un atto di volontà potrebbe farle svanire nel nulla, ma lasciano dei segni indelebili e questi segni sono tracce in cui possiamo conoscerci, sono tracce su un percorso. Noi siamo un percorso che muove da lontano e del quale restano solo tracce. Non si può ricominciare da zero, poiché l'universo non nasce oggi, anche se solo adesso si presenta ripetendo.


green demetr

Citazione di: maral il 18 Aprile 2017, 12:45:25 PM
Green, è interessante la distinzione che hai posto tra universo e natura. Se l'universo è la categoria dell'altro tuttavia si può istituire un collegamento, laddove l'io appare come altro del mio altro. E questo potrebbe consentire di con-prendere universo e natura, pur mantenendone la distinzione fondamentale.  La scienza, che vede l'oggetto per formalizzarlo, può dunque vedere nell'universo il soggetto e considerarlo come suo oggetto formale, per il quale si rende possibile una lettura formalizzante oggettiva che  rimanda al soggetto. E analogamente, ma in senso opposto, l'universo oggetto si riflette nell'immagine di un soggetto che gli corrisponde . Questa reciproca corrispondenza, direbbe Sini, è mediata dallo strumento, ossia di quel qualcosa che mi è dato tra me e il mondo e ne permette la conoscenza a distanza mantenendo il collegamento nella prassi di uso dello strumento . Lo strumento è ciò che riempie il vuoto di quella distanza e primo strumento e prima tecnica è il linguaggio che si esprime in gesti e segni vocali e somatici.
La dimensione linguistica corrisponde alla dimensione cognitiva che si muove attorno all'esistenza  (il saper vivere) mostrandola. Il nostro stesso vivere è quel "qualcosa" di cui umanamente tentiamo di sapere. Questo è il motivo per cui solo l'essere umano può con-prendere, ossia comprendere la distanza tra il vivere e il conoscere, ove conoscere e vivere continuamente si intersecano e si implicano, pur rimanendo nella reciproca distanza che continuamente oscillando si ripete. La nostra esistenza è alternativamente compresa dalla nostra conoscenza e la comprende in sé, per venirne di nuovo ricompresa.  Appare quindi un ritmo che, con il suo andare e venire della pulsazione che ritorna, si colloca a fondamento originario ed estatico di ogni epistemologia.

Si anche. Mi sono perso un attimo sui vari passaggi che porterebbe l'universale ad essere un naturale.
Ma evidentemente tu e Garbino avete deciso che esista questo naturale, evvabè pazienza, ci scontreremo su un 3d che a questo punto aprirò io stesso.

Comunque diciamo così che se l'universale coincide con quel tentativo di rendere formale il soggettivo, tramite le prassi di un essere vivente, nel mondo direbbe heideger, allora l'oscillazione fra ciò che sappiamo come formalmente universale e corrispondete ad un soggetto vivente, consisterebbe nel suo aprirsi come originariamente ri-comprendente (ri-comprendente-si) la sua eccedenza, ossia ciò che di volta in volta non ci torna.
Stando così le cose l'originario sarebbe in fine dei conti la storia degli errori delle prassi, e delle sue correzioni.

Ma ovviamente non ho niente da eccepire a queste considerazioni assai pratiche, il punto è che per me questo originario, viene prima del soggetto formale.
Perciò non c'è alcun ritorno ad alcun naturale.
Anzi direi quasi che sarebbe una complicazione di una prima formalizzazione, quella dell'uomo come uomo storico.
Ossia che c'è qualcosa che viene prima della storia e di cui ne va proprio del soggetto.
Per questo parlo di destinalità piuttosto che di naturalità.
Non intendo perciò dire che il destino abbia caratteri religiosi, bensì che le religioni siano un tentativo di risposta, a questa destinalità, al nostro morire per essere chiari.
Quando mai l'uomo veramente si convincerebbe che egli è solo corpo??
Siamo nell'era della moltiplicazione delle narrazioni, la letteratura sta impazzendo im una fioritura di generi letterari pop-fantascientifici, relegati sotto il nome di post-romanzo.
La cosa che invece sempre più scompare è la visibilità della morte.
La morte è rimossa e spedita su marte.
In questo senso ho un forte bisogno di confronto col pensiero heidegeriano, che unicum nel panorama filosofica si è posto la domanda, se la entizzazione dell'essere, o come abbiamo deciso prima, la formalizzazione di un soggetto, come universale. Abbia o meno a che fare col suo essere, col suo esistente originario.
Intendo dire che l'originario non sta nel mondo, come vorrebbe Sini, ma che come dice Heideger l'originario si dà da sempre nel mondo.
Vale a dire che l'uomo si dà subito dentro un mondo (ne è gettato dentro, ricordi?)
E questa sua gettatezza ha a che fare con la sua angoscia.
E l'angoscia è sempre legata a ciò che non può essere conosciuto.
Per questo il lampo della filosofia è quello che illumina in un instante, quello del presente, la mondanità, il nostro essere nel mondo, dando un senso, e una destinalità che è oltre le pratiche.
Il problema della tecnica, è così non tanto quello di essere strumentale alla stessa costruzione del soggetto universale formale, perchè quello è strutturale alla stessa conoscenza, di cosa sia un uomo.Quanto del fatto che essa FA DIMENTICARE l'essenza stessa del nostro mediare (o oscillare come dici tu) che è essenzialmente la capacità di pensare.
Nel discorso di Sini, benchè questa ricomprensione sia di fatto un ripensamento (del soggetto e delle sue pratiche) si nega l'esistenza di questa originariertà, di questa apertura direbbe heideger, bollandolo come presunzione.
Eppure ogni apertura ha a che fare con la sua chiusura, ovvero con la sua morte e col suo destino.
Se per Sini anche la morte è una delle narrazioni, per Heidegger è invece lo scopo, il senso di ogni interrogazione.
Vale a dire che sull'orlo del precipizio noi siamo ancora accompagnati da qualcosa, è lo stesso qualcosa che per Heideger si da non come fenomeno ma come interrogazione.
ossia come parola.E' la parola infine ad essere originaria, e non la prassi.
Inutile dire che gli ebrei ci hanno costruito su una religione.
E' la capacitò di nominazione che rende l'uomo immortale. Ossia pronunciando un nome io possiedo quella cosa nominata.
La capacità di traversata dell'abisso finirà col dire Heideger è la sua capacità di ideazione.
Ossia di co-appartenenza all'originario, come parola.
(l'avevano già detto Nietzche e Freud, ma non ebbero mai la sua capacità di formalizzazione, di sistemizzazione)
Per non morire io devo ancora saper nominare qualcosa. E' per questo ritengo che non potremo mai nominare TUTTO e qualcosa rimarrà sempre al coperto.
Mi scuso per la brevità, sono temi che anch'io conosco solo per infatuazione, non per una effettiva argomentazione.
Che comunque si potrà fare.

e sono al decimo caffè!  ;)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

maral

Citazione di: davintro il 18 Aprile 2017, 01:33:57 AM
se garantire il bene dell'uomo vuol dire rispettare la sua libertà non è per un irragionevole permissivismo relativista, ma perché l'uomo è razionale, cioè ha in se stesso i criteri per giudicare le proprie azioni rivolte a garantire il suo bene
Temo però che se è vero che il giudizio razionale è in grado di rendere la libertà all'uomo (e a partire da Parmenide ed Eraclito la filosofia non ha fatto che questo: sollecitare il giudizio razionale), può, nel momento in cui si ritiene definitivo, cioè in grado di eliminare completamente l'aspetto irrazionale che è il vivente stesso, rischia di tramutarsi in gabbia dalle sbarre di acciaio che soffoca la vita stessa. E una gabbia razionale in cui ogni effetto si crede perfettamente calcolabile, non è certo meno letale per l'essere umano. Credo piuttosto che il problema sia come poter danzare su un filo sempre oscillante in bilico sull'abisso, senza sfracellarsi tra le mitologie e i teoremi che dovrebbero salvaguardarci da ogni caduta.

Garbino

Che è l' uomo?

X Green Demetr.

Con naturale intendo tutto ciò che di vitale non risente direttamente dell' intervento dell' uomo, anche se più si va avanti e più questa distinzione diventerà quasi, se non lo è già, impossibile. L' operato dell' uomo è folle. E folle è la sicurezza sulla cultura che lo contraddistingue. E spero proprio che tu non sia tra coloro che difende tutto questo nel nome della scienza.

La scienza e la matematica, che io amo come scienza ma non come applicazione, come richiamo e specchio di ciò che ci circonda, tanto da ritenere gran parte delle conoscenze da lei scaturite di scarso valore, come appunto la quantistica e molto della fisica moderna, perché si trascinano e si avvalgono di criteri che non sono accettabili a livello logico-matematico proprio perché rientrano nel campo metafisico come appunto l' infinito ( ma anche lo zero ). E se tu affermi che ciò vale in filosofia perché non dovrebbe valere per la scienza?

Citazione dal tuo post su Paul11: crediamo di dimostrare l' esistenza di qualcosa tramite la presunzione che quella stessa cosa esista e tramite essa si AUTO-AFFERMA, e che ti posso garantire è lo stesso processo che avviene sia in matematica che in fisica. Siamo dei ciechi, caro Green, dei ciechi che pensano di essere muniti di una vista impeccabile, superiore a quella della lince. 

La Filosofia.

Siamole grati ma non schiavi. Tutto ciò che è cultura oggi si basa ancora su Platone ed Aristotele. Due grandissimi, ma oggi possiamo renderci conto, se vogliamo, che la loro immane genialità era figlia del loro tempo e che non poteva che basarsi sulle conoscenze del loro tempo. L' anamnesi di Platone infatti è geniale ma non tiene conto della genetica, e perciò è purtroppo una teoria, che lui ritiene vera, inutile. Per me il suo crollo era preesistente alla lettura di Nietzsche come molto della logica aristotelica. In Nietzsche ne ho trovato soltanto la conferma.

Ritenere che si possa ri-partire è pura velleità ( anche se ad affermarlo è Sini ). Io continuo a pensare con la mia testa. E ti confermo che dovresti smetterla di leggere queste voci dell' intellettualità contemporanea e leggere sempre la fonte. 

Mio caro Green se ti dicessi quanti sono gli anni che leggo Nietzsche e quanti ce ne sono voluti perché filtrasse profondamente nel mio pensiero rimarresti di stucco. Nietzsche ha ucciso la Metafisica e con essa la filosofia antecedente e molta di quella che l' ha seguita. Non c' è che da prenderne atto e fondarla di nuovo. Come? Ricominciando da zero. Difficile? Certo!! Impossibile? Non lo so, ma di certo qualsiasi altra strada sarebbe soltanto illusione di rifondazione.

Per quanto riguarda il Nietzsche di Heidegger è impensabile che possa affrontare un sunto su un testo preso a prestito ( non ho alcuna intenzione di investire una cifra intorno ai cento euro per un testo che comunque posso procurarmi diversamente anche se per brevi periodi ) in biblioteca, né so se ne sarei all' altezza. Perciò penso proprio che dovrò declinare l' invito. 

XMaral

Solo adesso leggo il tuo post con le tue considerazioni. Penso comunque che la mia risposta giaccia già in quanto esposto a Green. Sull' ultimissimo sono pienamente d' accordo.

Garbino Vento di Tempesta.

maral

Citazione di: acquario69 il 18 Aprile 2017, 04:50:55 AM

maral...un paio di "mie" considerazione che vorrei appunto esprimere senza pretese,in merito a quanto scritto sopra..e cioè',

Che la parte può avere "coscienza" di essere anche il tutto, perche e' pur sempre parte del tutto...
In altre parole la parte non può non avere la sua stessa essenza, o in altre ancora e' solo il tutto che può realizzare la parte e non il contrario.
Se e' vero che sono comunque la medesima cosa sembrerebbe altrettanto vero che ce una relazione,(Relazione = Manifestazione) ma anche una gerarchia.

suona chiaro come mi e' venuta di dire? :)
Sì, mi sembra chiaro, stai dicendo che tra parte e tutto il tutto viene prima (e direi anche ultimo, dato che la parte è comunque nel tutto e dal tutto muove verso il tutto tornandoci sempre). Però direi anche che il Tutto solo facendosi via via parte può riconoscersi, come incarnandosi, prendendo forma. La parte che emerge dal tutto e ha il tutto come sfondo è la singolarità che fa la differenza, è l'eccezione trasgressiva che appare nella sua pretesa/ volontà aurorale, è, nel suo manifestarsi ora, la totalità stessa che emerge come forma dall'informe indifferenziato in cui ogni parte è equivalente rispetto al tutto, mentre ora in essa c'è il tutto.
Questa credo sia fondamentalmente quello che accade nella performance artistica.

Lou

#40
@maral
"L'uomo è un pezzo di universo, ma vi appare anche come una singolarità unica nella sua specificità cosciente e questo pianeta, per quanto finora ne sappiamo, è l'unico punto di tutto l'immenso universo in cui l'universo va conoscendo se stesso e questo non è affatto indifferente."
Non capisco perchè l'universo non può conosce sè stesso anche attraverso gli occhi di un gatto, di una scimmia, di un serpente? A me piacerebbe ad esempio, sapere come appare l'animale uomo agli altri  animali, chissà se magari agli occhi dei gatti sono i gatti a sentirsi misura di tutte le cose.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Sariputra

Citazione di: Lou il 18 Aprile 2017, 15:33:49 PM@maral "L'uomo è un pezzo di universo, ma vi appare anche come una singolarità unica nella sua specificità cosciente e questo pianeta, per quanto finora ne sappiamo, è l'unico punto di tutto l'immenso universo in cui l'universo va conoscendo se stesso e questo non è affatto indifferente." Non capisco perchè l'universo non può conosce sè stesso anche attraverso gli occhi di un gatto, di una scimmia, di un serpente? A me piacerebbe ad esempio, sapere come appare l'animale uomo agli altri animali, chissà se magari agli occhi dei gatti sono i gatti a sentirsi misura di tutte le cose.

Il gatto sicuramente fa il gatto, ma l'uomo...fa l'uomo? ( O recita la parte dell'uomo?... :-\ )
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

davintro

#42
intanto direi che io ci provo sempre ad argomentare ciò che scrivo, ad essere il più chiaro possibile,  ma inevitabilmente, per evitare di dilungarmi troppo e rendere ulteriormente difficoltoso il dialogo sono costretto a lasciare nell'implicito parecchi punti e collegamenti. Mi spiace molto se risulto dogmatico o eccessivamente assertivo, ma non è assolutamente mia intenzione

sì, io lego il concetto di libertà ad "in sé" interiore della persona, ma la contraddizione fra la presenza di tale interiorità come presupposto della libertà e il fatto che poi la libertà si esprima nello spazio pubblico è contraddizione reale solo se si considera questo "in sé" come "res", sostanza autosufficiente dualisticamente separata da una sostanza superficiale, non libera, che sarebbe il nostro corpo, secondo la prospettiva del rigido dualismo antropologico cartesiano. Se le cose stessero così sarebbe certamente corretto pensare che ogni agire pubblico, ma non solo politico, anche sociale, estetico... comporti uno snaturamento dell'interiorità che uscendo, disperdendosi fuori di sé, smarrisce se stessa, e con l'Io si nega come soggetto libero. Ma io non la intendo così, così come non lo intende così, almeno credo non lo intenda così, il personalismo cristiano, al di là delle sue varie differenti sfumature. Il pensiero cristiano in questo recupera la lezione aristotelica, (tramite Tommaso, ma non in opposizione con Agostino) che vede l'essenza dell'individuo non come un'entità del tutto trascendente e separata, ma come immanente all'individuo stesso, e si determina più propriamente come "forma", elemento costitutivo dell'individualità intesa come tale. Individuo, cioè "non-diviso", implica un fattore unificante, che non può identificarsi con la materia, estensione indeterminata, che però riceve dalla forma una determinazione unitaria, un senso, un modo d'essere che le appartiene.  L'interiorità è il luogo dove nasce il movimento teso formare la materia alla luce delle proprietà che sono intrinseche alla forma del movimento, cioè non è separata dalla materia, perché noi non siamo né pura forma, né pura materia, ma sintesi dei due elementi, e se la materia conduce l'individuo alla relazione con lo spazio esterno, allora inevitabilmente la libertà, intesa come condizione in cui il processo formativo della personalità nasce dall'interno, ma non si chiude in sé, ma si esprime seppur non in piena trasparenza, all'esterno, cerca un'espressione pubblica, cioè la forma ha bisogno di una materia su cui agire. Non necessariamente l'oggettivazione, la spazializzazione si pone come dispersione dell'interiorità, al contrario quest'ultima trova in ciò un canale di comunicazione, un "riscatto" nei confronti di un mondo che può apparirle come pura alterità ad essa indifferente, adeguando la materia esteriore alla sua libertà, alla qualità che costituisce il modo d'essere profondo dell'individuo. Tutto ciò emerge chiaramente nella creazione artistica, dove l'artista trasfigura un'insensata materia, un insensato spazio, un blocco di marmo, una tela bianca, imprimendo ad essa la traccia della sua interiorità, del suo stile che caratterizza la sua irripetibilità inconfondibile, e la riprova di ciò è la critica artistica che riesce a risalire all'autore di un quadro sulla base degli elementi pittorici, quasi come fossero impronte digitali. Eppure la politica stessa condivide, anche se in misura meno profonda e meno evidente, con l'arte questa idea di espressione di libertà, quando un politico agisce nella società in base ai suoi valori interiori, al suo modello di "società giusta", interviene nello spazio pubblico, esterno, modellandolo sulla bade delle sue idee, così come l'artista trasfigura la percezione della realtà oggettiva sulla base del suo sentire interiore, l'impegno politico (quando è coerenza ideale e non lotta per il potere e tutela dell'interesse economico) condivide così con l'arte questa idea di attività tesa ad adeguare l'esterno all'interno, l'idea della libertà, cioè l'umanità, che cerca una manifestazione, un'oggettivazione seppur parziale

spero di aver ora chiarito meglio, anche a me stesso, il mio pensiero

anthonyi

Volevo rispondere a @paul11 risposta 10.

Le argomentazioni che tu presenti evidenziano la possibilità di dimostrare, con aspetti fisici non conosciuti, a anche quelli già conosciuti, che alcuni aspetti umani (spiritualità, coscienza, percezione della bellezza, emozioni ...) che molti esseri umani sentono come superiori rispetto alla realtà fisica, possano essere spiegati con le leggi fisiche. Da negazionista io credo che questa possibilità debba essere sempre ammessa.
Ma dimostrare che realmente questi aspetti, uno per uno siano spiegabili è un'altra cosa, al riguardo ci sono ipotesi, confronti dialettici e spesso vi sono argomenti interessanti.
Ma affermare che, semplicisticamente, visto che si è dimostrato che l'universo viene da un big bang iniziale, allora noi siamo esclusivamente figli di questo big bang ce ne passa. Se l'argomento del noi è tutto quello che percepiamo esistere nella nostra coscienza come possiamo avere la certezza che è tutto il prodotto di un processo elettrico meccanico che avviene nel nostro cervello. Certo il processo elettrico-meccanico c'è, ma come cai ad essere essere sicuro che esso spieghi il 100% delle tue percezioni e dei tuoi pensieri?   

maral

Citazione di: Lou il 18 Aprile 2017, 15:33:49 PM
Non capisco perchè l'universo non può conosce sè stesso anche attraverso gli occhi di un gatto, di una scimmia, di un serpente? A me piacerebbe ad esempio, sapere come appare l'animale uomo agli altri  animali, chissà se magari agli occhi dei gatti sono i gatti a sentirsi misura di tutte le cose.[/size][/font][/color]
Domanda difficile.
Come dicevo l'uomo appare a se stesso come l'unico essere in cui l'aspetto del conoscere nel significato è soverchiante alla sua stessa esistenza, tanto da comprenderla fino a metterla in dubbio. Non posso sapere come a un gatto, a un serpente o a una scimmia appaia se stesso e il mondo, non posso sapere nemmeno se in qualche modo appare un qualsiasi significato. Essi come noi respirano e hanno occhi per vedere, ma i significati non si vedono con gli occhi, ma con quella forma di linguaggio che è capace di articolarli, di farne segno significante, di intendere anche il proprio corpo come mezzo per fare segno. Nessun animale imbelletta il proprio corpo per renderlo un simbolo per gli altri, perché è il proprio corpo, non ce l'ha.