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Che è l'uomo?

Aperto da maral, 15 Aprile 2017, 10:49:56 AM

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maral

L'uomo è un pezzo di universo, ma vi appare anche come una singolarità unica nella sua specificità cosciente e questo pianeta, per quanto finora ne sappiamo, è l'unico punto di tutto l'immenso universo in cui l'universo va conoscendo se stesso e questo non è affatto indifferente.
Dunque esiste un punto nell'universo in cui si esprime una disomogeneità radicale e centrale e di questo la fisica e la cosmologia (che restano in ogni caso prodotti del pensiero del soggetto umano) non possono in alcun modo darne conto, probabilmente nessuna forma di conoscenza può darne conto, solo si può dare rappresentazione a noi stessi della nostra fondamentale anomalia, viverla tenendone conto.
Ora la domanda è: cosa implica questo viverla e come possiamo tenerne conto per una corretta conoscenza? Quale posizione estetica, etica ed epistemica è necessario assumere a fronte dell'assoluta discontinuità che la "natura" va rappresentando in ogni singola e diversa esistenza umana per come si svolge? Come possiamo trovare posto e quale scienza e filosofia si rendono necessarie?

cvc

Secondo me ciò che differenzia l'uomo da tutte le altre cose è la sua facoltà di giudicare, che si può considerare la vera libertà. Nel mondo inorganico gli oggetti obbediscono aalle leggi fisiche, quindi non c'è libertà. Il mondo animale è governato dall'istinto della conservazione della specie, e a tale legge obbedisce. Ma anche l'uomo in un certo senso è schiavo, è schiavo del 'io penso' che non l'abbandona mai, di quella irrefutabile esigenza di dover giudicare ogni cosa che cade nella sfera della sua coscienza. La vita è opinione dice Marco Aurelio. Si potrebbe dire che ogni cosa è schiava della necessità, l'uomo è schiavo dell'opinione.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

anthonyi

Citazione di: maral il 15 Aprile 2017, 10:49:56 AM
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Dunque esiste un punto nell'universo in cui si esprime una disomogeneità radicale e centrale e di questo la fisica e la cosmologia (che restano in ogni caso prodotti del pensiero del soggetto umano) non possono in alcun modo darne conto, probabilmente nessuna forma di conoscenza può darne conto, solo si può dare rappresentazione a noi stessi della nostra fondamentale anomalia, viverla tenendone conto.


Questa conclusione, a mio parere, non è comprovata. E' indubbio che noi uomini siamo esseri coscienti, e che viviamo la sensazione di essere differenti rispetto all'Universo, ma questo non vuol dire che sia effettivamente così. In realtà tutto quello che noi viviamo (Coscienza, emozioni, giudizi morali, percezione della bellezza, fede in Dio ...) potrebbe essere spiegato sulla base di leggi fisiche.

Garbino

Che è l' uomo?

Prima di tutto auguro una Buona Pasqua a tutti. Avevo l' intenzione di redigere il post sulla volontà di potenza per questo augurio, ma non so se ne avrò il tempo e se soprattutto sia pronto. Ringrazio Maral per questa opportunità e mi tuffo senza ulteriore indugio in questo interessantissimo tema, che per molti versi è legato trasversalmente al mio e alla Hideggerriana Volontà di potenza come conoscenza in cui mi sono inoltrato.

X Maral

Sono completamente d' accordo con i presupposti e perciò passo subito al nocciolo della questione. E cioè su quali siano le implicazioni per viverla con l' animo di raggiungere la conoscenza e quali siano la scienza e la filosofia che si rendono necessarie per porci nella migliore prospettiva possibile per accedere alla conoscenza stessa.

A titolo introduttivo, a mio avviso, è che le implicazioni sono diverse e di difficile appropriamento. Sia dal punto di vista della comprensione del problema sia della difficoltà che un tale compito richiede.  La domanda cardine, a mio avviso, è questa: Disponiamo già di una scienza e di una filosofia che possano gestire una simile situazione? La mia risposta è no. La mia risposta cioè, non implica soltanto che è necessario che si giunga ad una consapevolezza condivisa di quanto sostenuto nella tesi iniziale, ma che ciò avvenga anche nei confronti del constatare che non disponiamo di tale scienza e filosofia, e che perciò sarà necessario fondarle. Mi sembra di aver già posto questa mia opinione e che sostanzialmente non ho modificato la mia opinione nel frattempo. Ricordo anche di aver sostenuto che questo è l' arduo compito che attende la filosofia e la scienza nel futuro. E cioè appena possibile. Da oggi.

Grazie per la cortese attenzione.

Garbino Vento di Tempesta,

acquario69

#4
Che e' l'uomo?  ::)
chissa se non  lo spiega bene pure il testo di questo bel brano musicale.. :) ..a me oltre che avermi fatto ridere di gusto, mi ha pero pure fatto riflettere  ???

https://www.youtube.com/watch?v=bUQnNGuS_ME

Buona pasqua a tutti!


This is a film about a man and a fish.
This is a film about dramatic relationship between a man and a fish.
The man stands between life and death.
The man thinks,
The horse thinks,
The sheep thinks,
The cow thinks,
The dog thinks.
The fish doesn't think.
The fish is mute.
Expressionless.
The fish doesn't think,
Because the fish knows everything...

Questo è un film su un uomo e un pesce.
Questo è un film sul drammatico rapporto tra un uomo e un pesce.
L'uomo si trova tra la vita e la morte.
L'uomo pensa,
Il cavallo pensa,
La pecora pensa,
La mucca pensa,
Il cane pensa.
Il pesce non pensa.
Il pesce è muto.
Inespressivo.
...........................
Il pesce non pensa,
Perché il pesce sa' ...

maral

#5
Auguro a tutti una buona Pasqua e passo alle vostre riflessioni.
CVC, è vero che l'uomo giudica e nel poter giudicare si sente libero (resta comunque da stabilire quanto lo sia effettivamente e in che termini vada inteso questo sentirsi libero), ma la capacità di giudizio è comunque data dalla capacità di darsi rappresentazioni del mondo, rappresentazioni che non sono semplicemente quelle che si vive, sono dei possibili che appaiono in alternativa e questa è la peculiarità umana che implica sempre un margine di incertezza e richiede un giudizio e quindi una scelta. Nell'uomo il mondo appare come possibilità.
Anthonyl, forse quello che noi viviamo potrebbe essere spiegato sulla base di leggi fisiche, ma le leggi fisiche sono il risultato del nostro modo del tutto umano di stare nel mondo essendone coscienti, dunque sono il nostro modo di parlarne che è la nostra singolare anomalia che vorremmo spiegare. Ma come si può spiegare qualcosa partendo proprio da ciò che dovrebbe essere spiegato, è un paradosso.
Garbino, sono perfettamente d'accordo che non possediamo già una scienza e una filosofia che possano gestire quella che si potrebbe chiamare una conoscenza sapiente, anche se spesso ci si illude. Penso anche che sia un problema la cui soluzione sta oltre la nostra attuale conoscenza scientifica e filosofica. Forse si dovrebbe cominciare dal sapere di non sapere socratico che andrebbe combinato con un non sapere di sapere che comunque guida le nostre esistenze e qui vengo alla azzeccatissima canzoncina che presenta Acquario.
E' vero, il pesce, sa tutto, ma non sa di sapere e forse proprio per questo sa tutto, ossia vive. Qualsiasi essere vivente, poiché vive, sa tutto, ma l'uomo solo può sapere di sapere e di non sapere. Allora in qualche modo una conoscenza sapiente dovrebbe fare riferimento alla propria vita che esprime la sapienza originaria, dovremmo cercare il modo di incontrare noi stessi, di mantenerci fedeli a noi stessi, come diceva Nietzsche. Un me stesso però che è sempre il me stesso vivente insieme agli altri e solo grazie agli altri, poiché vivere fin dall'inizio è sempre uno stare insieme nelle differenze che ognuno vive per la differenza che è. E' qui la difficoltà: come si vive la propria singolarità differente nel mondo in cui solo esistiamo, come possiamo essere quello che siamo nel mondo che è sempre necessariamente altro da noi? Su cosa possiamo fare affidamento?
Certo, il pesce non ha questi problemi, lui sa già farlo e non parla, beato lui. :)

sgiombo

Citazione di: maral il 15 Aprile 2017, 10:49:56 AM
L'uomo è un pezzo di universo, ma vi appare anche come una singolarità unica nella sua specificità cosciente e questo pianeta, per quanto finora ne sappiamo, è l'unico punto di tutto l'immenso universo in cui l'universo va conoscendo se stesso e questo non è affatto indifferente.
Dunque esiste un punto nell'universo in cui si esprime una disomogeneità radicale e centrale e di questo la fisica e la cosmologia (che restano in ogni caso prodotti del pensiero del soggetto umano) non possono in alcun modo darne conto, probabilmente nessuna forma di conoscenza può darne conto, solo si può dare rappresentazione a noi stessi della nostra fondamentale anomalia, viverla tenendone conto.
Ora la domanda è: cosa implica questo viverla e come possiamo tenerne conto per una corretta conoscenza? Quale posizione estetica, etica ed epistemica è necessario assumere a fronte dell'assoluta discontinuità che la "natura" va rappresentando in ogni singola e diversa esistenza umana per come si svolge? Come possiamo trovare posto e quale scienza e filosofia si rendono necessarie?
CitazioneSono perfettamente d' accordo con l' unicità dell' uomo nell' universo in quanto autocosciente (unicità presumibilmente ma non sicuramente oggettivamente vera, per quanto si può sapere); e soggettivamente, per noi, di straordinaria, incommensurabile importanza.

Per fare il pignolo credo che "qualcosina" (incomparabilmente meno che noi uomini) dell' universo conoscano anche per lo meno molti degli altri animali, che ritengo coscienti).

Credo che fisica e cosmologia (e tutte le altre scienze naturali o "scienze in senso forte o stretto") sulla coscienza (animale, e men che meno sull' autocoscienza umana) non abbiano nulla da dire, se non rilevare che (ammesse certe premesse indimostrabili che delle scienze stesse sono conditiones sine qua non) necessariamente (almeno a quanto ci é dato di sapere) vi é una corrispondenza biunivoca fra certi determinai eventi di di certe determinate coscienze e certi determinati eventi materiali (neurofisiologici in ceti determinati cervelli o analoghi organi nervosi centrali).

L' esistenza della coscienza (delle coscienze, se indimostrabilmente si rifiuta il solipsismo; e  in particolare della coscienza umana, che é anche autocoscienza), la quale include l' universo materiale - naturale (oltre alla "res cogitans") come insieme di suoi attuali o potenziali costituenti puramente fenomenici, il cui "esse est percipi" e non é nient' altro) viene prima della conoscenza scientifica dei suoi contenuti materiali - naturali ("res extensa"), essendone una necessaria premessa o condizione: non sono le coscienze a trovarsi nell' universo materiale -naturale (in particolare nei cervelli), bensì é l' universo materiale - naturale (in particolare i cervelli) ad essere nelle coscienze!

Come valutarla e tenerne conto?
Secondo me soggettivamente come "la pupilla dei nostri occhi", per dirlo metaforicamente, cioé come quanto di più importante possa darsi (per noi).
Oggettivamente per l' appunto, come accennato appena qui sopra, come la necessaria premessa e condizione di tutta la conoscenza scientifica, di cui tenere ben conto (filosoficamente!) se la conoscenza scientifica sessa si vuole comprendere nella sua realtà, limiti, condizioni di verità, nel suo "autentico significato", nella sua "collocazione reale" (nell' ambito della realtà complessivamente, generalissimamente intesa).

sgiombo

Citazione di: anthonyi il 15 Aprile 2017, 11:47:02 AM
Citazione di: maral il 15 Aprile 2017, 10:49:56 AM
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Dunque esiste un punto nell'universo in cui si esprime una disomogeneità radicale e centrale e di questo la fisica e la cosmologia (che restano in ogni caso prodotti del pensiero del soggetto umano) non possono in alcun modo darne conto, probabilmente nessuna forma di conoscenza può darne conto, solo si può dare rappresentazione a noi stessi della nostra fondamentale anomalia, viverla tenendone conto.


Questa conclusione, a mio parere, non è comprovata. E' indubbio che noi uomini siamo esseri coscienti, e che viviamo la sensazione di essere differenti rispetto all'Universo, ma questo non vuol dire che sia effettivamente così. In realtà tutto quello che noi viviamo (Coscienza, emozioni, giudizi morali, percezione della bellezza, fede in Dio ...) potrebbe essere spiegato sulla base di leggi fisiche.
Citazione
Sulla base di leggi fisiche si può benissimo spiegare ciò che accade nel cervello di ognuno di noi e che necessariamente coesiste e corrisponde biunivocamente a coscienza, emozioni, giudizi morali, percezione della bellezza, fede in Dio ... ma é ben altra cosa!

Anche il polo, positivo di un magnete coesiste col polo negativo e viceversa, ma di certo non per questo essi si identificano!

Infatti, come fa ben rilevare David Chalmers con le sue considerazioni circa il fatto che alcuni o tutti gli altri uomini (e animali)  potrebbero benissimo essere in linea teorica o di principio meri zombi del tutto privi di coscienza e non potremmo in alcun modo accorgercene, gli eventi cerebrali sono fatti materiali - naturali che di per sé potrebbero benissimo non essere affatto accompagnati da esperienza cosciente senza che le leggi fisiche alla quali tutta scienza é in linea di principio perfettamente riducibile -e che l' esperienza cosciente non prevedono, non considerano affatto- cambierebbero di una virgola.

paul11

La nostra mente in quanto coscienza non è la scienza moderna  se intesa come semplice dimostrazione.
La mente tende ad andare oltre il dimostrato, a coniugare conoscenze e dare quella rappresentazione che Maral diceva.
Che siamo parte dell'universo lo dicono tutte le forme di conoscenza, ma il motivo della specificità umana e dell'individualizzazione della propria singolarità determinata nell'esistenza rimane una forma di coscienza universale che solo  la filosofia può tentare di razionalizzare.
Se siamo parte siamo dentro un insieme definito universo, ma siamo diversi dalle altre parti che lo compongono.

L'esistenza umana implica un'origine comune di tutto,questo unisce le innumerevoli parti che sono differenziate e da quì sorgono quelle domande che portano all'essere, enti ed enti esistenti(essenti).
La corretta conoscenza viene mantenuta nel rapporto  fra il Tutto e le parti; non è il solo Tutto o le sole  singole parti la verità, ma è dal loro rapporto che scaturisce la verità.
Si tratta di ragionare anche nella scienza attuale e nella filosofia, a loro volta di saperle relazionare e quindi avere una rappresentazione logica che relazioni.
Se ne deduce che una sola è la Legge alle quali devono esser ricondotte tutti i domini con le loro specifiche leggi.
Quindi, ad esempio, l'etica o la morale, non possono essere specificità temporali o spaziali(oggi va bene e domani, no, in quel luogo è giusta, in altro è sbagliato). Il contraddittorio che implica il razionalizzare è il nostro grado di conoscenza e in fondo di libertà, in quanto ci rende  coscienti quali sono e come si manifestano le condizioni fisico/materiali o morali contraddittorie che non rispettano il rapporto fra il principio universale e le singolarità.
L'essere coscienti delle proprie restrizioni è già in qualche modo essendo comprese, una forma di liberazione.
Non soffro esistenzialmente di ciò che so, perchè ne faccio una ragione e capisco i miei limiti, le mie necessità, le mie possibilità.

Buona Pasqua

anthonyi

Citazione di: paul11 il 16 Aprile 2017, 14:54:00 PM

Che siamo parte dell'universo lo dicono tutte le forme di conoscenza,

Non mi sembra che la dimostrazione di una totale appartenenza al mondo fisico delle espressioni dell'uomo sia un risultato mai ottenuto, sono d'accordo sul fatto che la "sensazione" che coscienza, etica, fede, bellezza, non siano parte del mondo fisico non basti, ma per dimostrare che sono parte di questo mondo fisico bisogna spiegarle come effetto delle leggi fisiche e i risultati ottenuti, al riguardo, a tutt'oggi sono limitati.

paul11

#10
Citazione di: anthonyi il 16 Aprile 2017, 15:36:38 PM
Citazione di: paul11 il 16 Aprile 2017, 14:54:00 PMChe siamo parte dell'universo lo dicono tutte le forme di conoscenza,
Non mi sembra che la dimostrazione di una totale appartenenza al mondo fisico delle espressioni dell'uomo sia un risultato mai ottenuto, sono d'accordo sul fatto che la "sensazione" che coscienza, etica, fede, bellezza, non siano parte del mondo fisico non basti, ma per dimostrare che sono parte di questo mondo fisico bisogna spiegarle come effetto delle leggi fisiche e i risultati ottenuti, al riguardo, a tutt'oggi sono limitati.

Sì se consideriamo la teoria cosmologica ,in cui al tempo zero tutto era energia senza ancora lo spazio e senza la comparsa delle forze(elettromagnetismo, gravità, nucleari).
E  chi può dire che esista una sola forma di energia fisica come oggi la conosciamo e che le forze siano solo riconducibili a quelle elencate? Mai sentito "l'energia oscura" che a sua volta comprende la materia oscura e che dovrebbe rappresentare più del 60% dell' Universo e che spiega la teoria dell'espansione dell' universo?

E' la dimostrazione della scienza  il limite, ma nello stesso tempo è ciò che si avvicina di più all'evidenza, alle convenzioni .....ad oggi.

green demetr

Tema bello complesso caro Maral.
Di quelli che piacciono a me.
E temo che finiremo per farci domande a vicenda. ;)

cit maral
"L'uomo è un pezzo di universo."

Sono d'accordo tendelziamente, ma cercando di fare luce su questo concetto, pongo dei distinguo. In primis l'Universo non è da intendere come la NATURA.
L'universo è per contro quella categoria del pensiero, che vede nella classificazione di tutto quello che non è "l'IO" (possiamo anche dire l'io penso di cartesiana memoria, anche se io lo intendo come processo psichico per l'esattezza). Ossia l'universo è l'altro categorizzato come univerale a livello formale.
Il concetto di uomo è perciò fuori dall'io penso, e questo già definisce meglio cosa si intenda per "concetto" di uomo.

E non credo di sbagliare che sia un "concetto", infatti concordiamo in maniera significativa riguardo al valore da dare alle parole coscienza e rappresentazione.

Ma è proprio sulla parola coscienza che direi che inevitabilmente la domanda poi si porrà in tutta la sua pregnanza filosofica.

Ma intanto la coscienza, è una coscienza di una rappresentazione.
Trovo questo tuo passaggio fondamentale.

Bisognerebbe se non vogliamo cadere nelle trappole del naturalismo ingenuo, distinguere bene però.

cit maral
"Ora la domanda è: cosa implica questo viverla e come possiamo tenerne conto per una corretta conoscenza?"

La coscienza è la conoscenza, la conoscenza che esiste altro certo, dai greci ai giorni nostri ha preso nome di SCIENZA.

Noi siamo coscienti, ovverso siamo accompagnati (co- dal latino CUM, andare insieme) dal nostro "scire", capire, comprendere.
Che è certamente un "cum" "prendo" un prendere con sè, un assicurarsi il valore delle COSE.

Anche il comprendere dunque cela in sè il concetto che "qualcosa si accompagna a qualcosa".

Il problema è capire cosa sia quel "qualcosa".

La domanda è eminetemente filosofica. Perchè se da un lato siamo scietemente certi che qualcosa esista là fuori.
Non sappiamo chi o cosa, accompagni quel esistente esterno a "noi".

Sono anni che questa domanda fondamentale mi ronza in testa. Cosa accompagna cosa?

Il fatto non è facilmente solvibile, sebbene con Cartesio l'uomo ha provato ad intendersi come cosa mentale, mal si sposa con il concetto più vasto di coscienza.

L'uomo ha sempre bisogno della mediazione, che sia quelle metafisica, che da Aristotele porta ad Heidegger, o che sia quella della TECNICA, ossia come cavalletto reggente la rappresentazione, non si ha mai chiaro quale sia la rappresentazione che dovrebbe descrivere l'atto riflessivo.

Probabilmente che il Forum si chiami riflessioni è solo un caso, ma in effetti a me sembra sempre più chiaro che la riflessione, è la problematizzazione di qualsiasi fondamento.

Credere come fa sgiombo che vi sia una (del tutto indimostrabile) coincidenza fra piano rappresentativo e piano fenomenico, sembra la risposta più sensata, e comunemente accettata (sebbene non elaborata, non tutti sono filosofi).

Il problema grave però è prenderla per buona senza analizzarne le conseguenze.

Non essendo dimostrabile è in gioco lo stesso piano epistemico.

cit maral
"Quale posizione estetica, etica ed epistemica è necessario assumere a fronte dell'assoluta discontinuità che la "natura" va rappresentando in ogni singola e diversa esistenza umana per come si svolge? Come possiamo trovare posto e quale scienza e filosofia si rendono necessarie?"

Anzitutto la posizione epistemica caro Maral.

La parola riflessione è ambigua, e rimanda quasi ad un domandare infinito.

Infatti presuppone che qualcosa sia re-flesso.  posto un qualcosa (a) e un qualcosa (b) sarebbe quel a che fa tornare indietro un b che fletteva sul a.

lo scontro tra un a e un b, sembrerebbe pendere a favore di a, ma quello che "vediamo" (rappresentiamo) è solo b.

Questo significa che noi ipotizziamo (essendo quel a) che esistiamo in nome di una resitenza, ossia un ritorno esistente.

E' indubitabile che l'oggetto b è sempre stato identificato come la conoscenza, pur essendo quella solo un risultato, ciò che rimane di uno scontro.
E' per questo che Parliamo di un dualismo, il punto caro maral, è che è un dualismo asimmetrico.
Questa asimmetria decide dell'individuazione di qeullo che chiamiamo Io. una esperienza temporale che situa uno spazio del tutto anarchico, che ci ostiniamo a considerare NOSTRO. Ma di nostro non c'è niente, in quanto è solo una rappresentazione di quel punto anarchico di convergenze del reflusso epistemico. Ossia a è ritenuto il totale dei b respinti.
Ma su quale base epistemica farlo? Certo potremmo usare un metodo riduzionista, e decidere che un certo numero (il più basso possibile) di risposte b, sia di fatto il carattere fondamentale di a (e nel nostro triste mondo malato, crediamo di essere solo DNA). Ma come ignorare che l'uomo può decidere di prendere un numero infinito di ripsote b, e di fatto amettere che l'infinità di risposte che avrà sarà proprio quel a.
Se il riduzionismo è allora l'episteme di oggi, allora è uno degli epistemi più deboli di sempre.
Se inveve il pluralismo fosse valido allora non avremmo più alcuna episteme.
Io credo sia questa la vera debolezza strutturale dell'uomo, a cui si risponde con la crezione del potere.
Il potere è quel a che respinge non più un b ma un altro a. Nei casi più radicali è un a che sopprime un altro a.
In ballo chiaramente sta nel decidere chi debba avere il diritto sul valore degli infiniti b.

E' dunque da sempre una lotta di epistemi. e con questo abbiamo anche deciso che l'etica è subordinata alla episteme dunque.

Rimarrebbe la dimensione estetica, che secondo molti decide in fin dei conti anche di cosa sia l'uomo (vedi un Kant).

Abbiamo detto che il soggetto a, chiamandosi IO, decide di fatto di appropriarsi della sua esperienza temporale.
Ma se un io, crede di essere un IO, allora la sua universalizzazione, altro non sarà che l'insieme degli io, che chiamerà per comodità uomo.
Dunqe anche l'estetica sarà decisa da una posizione epistemica. riduzionista o pluralista che sia.

Ma dicevo del mio ronzio in testa caro Maral.

E concludo con la domanda, ma di quel a originario, veramente abbiamo la certezza di qualcosa???

Non sto qui a perdere tempo con i riduzionisti (le nuove generazioni di filosofi), ma dico che anche i pluralisti, come fanno a essere certi quale possa MAI essere la rappresentazione originanria, quella secondo cui per sgiombo piano rappresentazionale e fenomenico dovrebbero unirsi?
Facciamo un esempio, se fosse DIO quel a, a cui come risposta ci sarebbe la medianità dell'io, e quindi decidermmo bene o male i confini di quel b particolare ossia un (b) che anticipa un altro b.
Amettiamo che noi siamo quel riflesso, che siamo quella conoscenza, quel "omnis determinatio est a negatio", ma chi ci garantirà mai che non sia invece proprio un b, ossia la rappresentazione stessa il frutto di un rimbalzo anarchico, e incontrollabile.
Infatti per ogni b mediano, nessuno può decidere che vi sia un a originario.
Potrebbe per esempio essere il punto di forza di una collisione di più rimbalzi. O qualsiasi altra fantasia-delirio della fisica.
O certo potrebbe non c'entrare alcunchè con la fisica.
Ossia ripeto nel tentativo di farmi capire, che quel a "deciso" non sia nè più nè meno che una rappresentazione del tutto errata.

Io temo che quel a non sarà mai nemmeno intuibile se non a condizione di una forzatura, di una presa di posizione.
Di una lotta di potere caro MARAL. (e dunque di quella disimmetria, bisognerebbe proprio intendere il suo enigmatico seguito, ossia la creazione di innumerevoli a, che si potranno dare solo come politica dell'ALTRO, e quindi Nietzche è l'unico filosofo ad aver osato insistere su questo punto, guerra-amicizia)

E come al solito come in un dejavù in loop, siamo sempre al mio punto: tutto è politica.

NB. spero per questo che si capisca perchè all'inizio del psot parlavo di concetti, e non di verità.
L'uomo è un mero concetto.
e la filosofia è il lugo di una lotta perenne di concetti.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

sgiombo

Citazione di: green demetr il 17 Aprile 2017, 05:27:25 AM

Ma intanto la coscienza, è una coscienza di una rappresentazione.
Trovo questo tuo passaggio fondamentale.

Bisognerebbe se non vogliamo cadere nelle trappole del naturalismo ingenuo, distinguere bene però.

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Noi siamo coscienti, ovverso siamo accompagnati (co- dal latino CUM, andare insieme) dal nostro "scire", capire, comprendere.
Che è certamente un "cum" "prendo" un prendere con sè, un assicurarsi il valore delle COSE.

Anche il comprendere dunque cela in sè il concetto che "qualcosa si accompagna a qualcosa".

Il problema è capire cosa sia quel "qualcosa".

La domanda è eminetemente filosofica. Perchè se da un lato siamo scietemente certi che qualcosa esista là fuori.
Non sappiamo chi o cosa, accompagni quel esistente esterno a "noi".

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Probabilmente che il Forum si chiami riflessioni è solo un caso, ma in effetti a me sembra sempre più chiaro che la riflessione, è la problematizzazione di qualsiasi fondamento.

Credere come fa sgiombo che vi sia una (del tutto indimostrabile) coincidenza fra piano rappresentativo e piano fenomenico, sembra la risposta più sensata, e comunemente accettata (sebbene non elaborata, non tutti sono filosofi).

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Se il riduzionismo è allora l'episteme di oggi, allora è uno degli epistemi più deboli di sempre.
Se inveve il pluralismo fosse valido allora non avremmo più alcuna episteme.
Io credo sia questa la vera debolezza strutturale dell'uomo, a cui si risponde con la creazione del potere.
Il potere è quel a che respinge non più un b ma un altro a. Nei casi più radicali è un a che sopprime un altro a.
In ballo chiaramente sta nel decidere chi debba avere il diritto sul valore degli infiniti b.

E' dunque da sempre una lotta di epistemi. e con questo abbiamo anche deciso che l'etica è subordinata alla episteme dunque.

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E concludo con la domanda, ma di quel a originario, veramente abbiamo la certezza di qualcosa???

Non sto qui a perdere tempo con i riduzionisti (le nuove generazioni di filosofi), ma dico che anche i pluralisti, come fanno a essere certi quale possa MAI essere la rappresentazione originanria, quella secondo cui per sgiombo piano rappresentazionale e fenomenico dovrebbero unirsi?
Facciamo un esempio, se fosse DIO quel a, a cui come risposta ci sarebbe la medianità dell'io, e quindi decidermmo bene o male i confini di quel b particolare ossia un (b) che anticipa un altro b.
Amettiamo che noi siamo quel riflesso, che siamo quella conoscenza, quel "omnis determinatio est a negatio", ma chi ci garantirà mai che non sia invece proprio un b, ossia la rappresentazione stessa il frutto di un rimbalzo anarchico, e incontrollabile.
Infatti per ogni b mediano, nessuno può decidere che vi sia un a originario.
Potrebbe per esempio essere il punto di forza di una collisione di più rimbalzi. O qualsiasi altra fantasia-delirio della fisica.
O certo potrebbe non c'entrare alcunchè con la fisica.
Ossia ripeto nel tentativo di farmi capire, che quel a "deciso" non sia nè più nè meno che una rappresentazione del tutto errata.

Io temo che quel a non sarà mai nemmeno intuibile se non a condizione di una forzatura, di una presa di posizione.
Di una lotta di potere caro MARAL. (e dunque di quella disimmetria, bisognerebbe proprio intendere il suo enigmatico seguito, ossia la creazione di innumerevoli a, che si potranno dare solo come politica dell'ALTRO, e quindi Nietzche è l'unico filosofo ad aver osato insistere su questo punto, guerra-amicizia)

E come al solito come in un dejavù in loop, siamo sempre al mio punto: tutto è politica.

NB. spero per questo che si capisca perchè all'inizio del psot parlavo di concetti, e non di verità.
L'uomo è un mero concetto.
e la filosofia è il lugo di una lotta perenne di concetti.
CitazioneDevo dire che trovo molto oscure queste tua considerazioni (che qui ho selvaggiamente tagliato) ed accenno brevemente a ciò che meno mi convince.

Se intendi dire (per lo meno "fra l' altro", oltre a considerazioni diverse; come mi par di capire) che la certezza assoluta (della verità) di qualsiasi conoscenza é impossibile (ovvero che lo scetticismo non é razionalmente superabile) sono perfettamente d' accordo.

Non comprendo assolutamente la distinzione che poni fra piano "rappresentativo" e piano "fenomenico"; per me si tratta di meri sinonimi: le sensazioni (tutto ciò che ci é immediatamente e indubitabilmente -per lo meno nell' istante presente in cui accadono- esperibile e conoscibile; tutto il resto essendo degno di dubbio) costituiscono "rappresentazioni coscienti" ovvero "fenomeni" (apparenze coscienti).
Casomai si può ipotizzare (e, volendo, credere realmente esistente senza poterlo dimostrare) un ulteriore "piano ontologico" in sé, non apparente ovvero "rappresentativo", non empiricamente constatabile, ma solo "congetturabile" (noumeno).

Non capisco che cosa possa intendersi per "fantasia - delirio della fisica".
La fisica (e anche le altre scienze naturali) si basa su alcuni presupposti indimostrabili, come ci ha insegnato soprattutto David Hume, ma compie osservazioni empiriche, sperimentali, induzioni e ipotesi da sottoporre a verifica-falsificazione empirica.
Mi sembra si tratti di tutt' altro che "fantasie - deliri", quali sono invece casomai quelli proposti da religioni, superstizioni e irrazionalismi vari.

Inoltre non comprendo in che senso l' etica sia "sottoposta all' episteme" e (a mio avviso contraddittoriamente: sia l' etica sia la politica sono ricerca ed eventualmente conoscenza sul come -si possa e/o si debba- agire) "tutto sia politica" (dunque l' azione comprenderebbe, e mi pare dunque in qualche modo inevitabilmente determinerebbe o almeno condizionerebbe, "sottoporrebbe a sé", la conoscenza).

Garbino

Che è l' uomo?

Fondare una scienza ed una filosofia non significa rifondarle. Non significa cioè salvare il salvabile e ripartire da quel punto, ma ripartire da zero. Salvare il salvabile infatti identificherebbe che ciascuno tenderebbe a salvare ciò che ritiene non opinabile ed ogni sforzo di fondare qualcosa cadrebbe nel vuoto.  Ma inoltre e sempre a mio avviso è necessario astrarsi dal tempo in cui si vive e che è già il risultato di tutti gli errori che la nostra conoscenza cela dietro ogni virgola.

Ciò che intendo dire è che è necessario che ciascuno si rimetta in gioco totalmente, e che purtroppo questa è la cosa più difficile. Infatti possiamo constatare che già sulla premessa iniziale, alquanto generica e per niente vincolante, la condivisione è ardua.

Diversi anni fa mi trovai di fronte alla dimostrazione di Aristotele che l' infinito cadeva nel campo finito e subito mi resi conto che non era accettabile. In essa Aristotele prendeva in esame una retta infinita, la tagliava in un punto x e poi spostava una delle due semirette nel campo finito da far così cadere l' infinito nel campo finito. Ciò che mi saltò subito agli occhi è che l' eventuale spostamento della semiretta non avrebbe spostato assolutamente l' infinito nel campo finito, l' avrebbe soltanto allungata. La semiretta non avrebbe mai cioè abbandonato l' infinito. 

Non so se qualcuno abbia già fatto questa riflessione sia prima che dopo di me, e non è per vanto che la riporto, il motivo è legato strettamente agli universali del sillogismo la cui veridicità dovrebbe, a mio avviso, ritenersi inversamente proporzionale alla tendenza all' infinito dei soggetti presi in esame. 

Ma questo esempio dimostra anche quanto errore possa risiedere nel nostro sistema conoscitivo e quanto sia indispensabile, se si vuole fondare una scienza ed una filosofia, ripartire da zero. 

X Maral

Ricordo che al sapere di non sapere socratico avevo collegato la tendenza dell' uomo alla menzogna per costruire uno schema che gli rendesse più facile la vita. Tema che trovo affrontato profondamente da Heidegger nel corso di lezioni sull' argomento Volontà di potenza come conoscenza che sto affrontando adesso. E' ovvio che è mia intenzione inserire le mie opinioni nella discussione da me aperta su Nietzsche, ma volevo chiederti se ritieni opportuno che ne parli anche in questa.

Garbino Vento di Tempesta.

myfriend

L'homo è una particolare "forma" o "manifestazione" della Coscienza cosmica - o mente cosmica - di cui tutto è manifestazione.
Le "caratteristiche" dell'homo sono tutte caratteristiche della Coscienza cosmica.
L'evoluzione è quel processo grazie al quale le "caratteristiche" della Coscienza cosmica si manifestano. E si manifestano grazie alla "materia", nella "materia" e sotto forma di "materia".
Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita.