Menu principale

Che è l'uomo?

Aperto da maral, 15 Aprile 2017, 10:49:56 AM

Discussione precedente - Discussione successiva

Jean

 A- Le "caratteristiche" dell'homo sono tutte caratteristiche della Coscienza cosmica.

B- Ciò che intendo dire è che è necessario che ciascuno si rimetta in gioco totalmente, e che purtroppo questa è la cosa più difficile.

-Non comprendo assolutamente la distinzione che poni fra piano "rappresentativo" e piano "fenomenico"; per me si tratta di meri sinonimi.  

-Anche il comprendere dunque cela in sé il concetto che "qualcosa si accompagna a qualcosa".

-E' la dimostrazione della scienza il limite, ma nello stesso tempo è ciò che si avvicina di più all'evidenza, alle convenzioni... ad oggi.

-Ma per dimostrare che sono parte di questo mondo fisico bisogna spiegarle come effetto delle leggi fisiche e i risultati ottenuti, al riguardo, a tutt'oggi sono limitati.

-Se ne deduce che una sola è la Legge alle quali devono esser ricondotti tutti i domini con le loro specifiche leggi.

-Anche il polo, positivo di un magnete coesiste col polo negativo e viceversa, ma di certo non per questo essi si identificano!

-Come valutarla e tenerne conto?

-La capacità di giudizio è comunque data dalla capacità di darsi rappresentazioni del mondo, rappresentazioni che non sono semplicemente quelle che si vive, sono dei possibili che appaiono in alternativa. 

-Il cane pensa. Il pesce non pensa.

-Disponiamo già di una scienza e di una filosofia che possano gestire una simile situazione? 

 -Questa conclusione, a mio parere, non è comprovata.

-Si potrebbe dire che ogni cosa è schiava della necessità, l'uomo è schiavo dell'opinione.

-L'uomo è un pezzo di universo...

 
x - ... e l'universo ha originato la domanda...



 
un cordiale saluto


Jean

maral

Sgiombo, d'accordo, l'unicità dell'uomo in quanto autocosciente è soggettivamente vera, ma cos'è mai oggettivamente vero? Non è che mi affaccio alla finestra e vedo un mondo oggettivo davanti a me, come se non fossi lì anch'io, nel mondo che vedo, come se fossi un'altra cosa non partecipante.
Può essere che "qualcosina" di questa coscienza e forse pure di questa autocoscienza appartenga anche ad alcuni altri animali, ma essa resta del tutto inclusa nel loro saper vivere, mentre nell'uomo no, nell'uomo travalica ampiamente questo saper vivere e vuole includerlo infatti dici "è l'universo materiale – naturale a esserne incluso"), finendo poi per esserne a sua volta inclusa. Di sicuro per l'uomo non c'è conoscenza senza rappresentazione.
Mi sa che Chalmers dica qualcosa di piuttosto assurdo se consideriamo che le leggi fisiche che non cambierebbero in alcun modo senza esperienza cosciente, sono il prodotto dell'esperienza cosciente.

maral

Citazione di: paul11 il 16 Aprile 2017, 14:54:00 PM
La corretta conoscenza viene mantenuta nel rapporto  fra il Tutto e le parti; non è il solo Tutto o le sole  singole parti la verità, ma è dal loro rapporto che scaturisce la verità.
Si tratta di ragionare anche nella scienza attuale e nella filosofia, a loro volta di saperle relazionare e quindi avere una rappresentazione logica che relazioni.
Se ne deduce che una sola è la Legge alle quali devono esser ricondotte tutti i domini con le loro specifiche leggi.
Quindi, ad esempio, l'etica o la morale, non possono essere specificità temporali o spaziali(oggi va bene e domani, no, in quel luogo è giusta, in altro è sbagliato). Il contraddittorio che implica il razionalizzare è il nostro grado di conoscenza e in fondo di libertà, in quanto ci rende  coscienti quali sono e come si manifestano le condizioni fisico/materiali o morali contraddittorie che non rispettano il rapporto fra il principio universale e le singolarità.
L'essere coscienti delle proprie restrizioni è già in qualche modo essendo comprese, una forma di liberazione.
Non soffro esistenzialmente di ciò che so, perchè ne faccio una ragione e capisco i miei limiti, le mie necessità, le mie possibilità.
MI pare tu dica qualcosa di fondamentale, ossia che la corretta conoscenza è nella giusta relazione tra le parti e il tutto. Ma, se noi siamo una parte, come possiamo definire la correttezza di questo rapporto? Il tutto a cui ci riferiremo sarà sempre un tutto parziale, visto dalla nostra parzialità. Come possiamo comprendere il tutto come tutto? Ossia prenderlo tutto con noi (come dice bene Green)? Manteniamoci nei nostri limiti, tu dici, e sono d'accordo, ma se ci manteniamo nei nostri limiti come possiamo fondare un'etica o una morale che non siano specificità temporali o spaziali? Non sono forse proprio il tempo e lo spazio in cui viviamo proprio il nostro limite in cui dovremmo mantenerci?

maral

Data la tarda ora e la mia attuale stanchezza, rifletterò domani sulle impegnative considerazioni di Green Demetr e Garbino, che invito senz'altro a postare le sue opinioni sulla volontà di potenza come conoscenza anche qui, sperando che ci illuminino sul quesito. :)

paul11

#19
Citazione di: maral il 17 Aprile 2017, 23:02:08 PM
Citazione di: paul11 il 16 Aprile 2017, 14:54:00 PM
La corretta conoscenza viene mantenuta nel rapporto  fra il Tutto e le parti; non è il solo Tutto o le sole  singole parti la verità, ma è dal loro rapporto che scaturisce la verità.
Si tratta di ragionare anche nella scienza attuale e nella filosofia, a loro volta di saperle relazionare e quindi avere una rappresentazione logica che relazioni.
Se ne deduce che una sola è la Legge alle quali devono esser ricondotte tutti i domini con le loro specifiche leggi.
Quindi, ad esempio, l'etica o la morale, non possono essere specificità temporali o spaziali(oggi va bene e domani, no, in quel luogo è giusta, in altro è sbagliato). Il contraddittorio che implica il razionalizzare è il nostro grado di conoscenza e in fondo di libertà, in quanto ci rende  coscienti quali sono e come si manifestano le condizioni fisico/materiali o morali contraddittorie che non rispettano il rapporto fra il principio universale e le singolarità.
L'essere coscienti delle proprie restrizioni è già in qualche modo essendo comprese, una forma di liberazione.
Non soffro esistenzialmente di ciò che so, perchè ne faccio una ragione e capisco i miei limiti, le mie necessità, le mie possibilità.
MI pare tu dica qualcosa di fondamentale, ossia che la corretta conoscenza è nella giusta relazione tra le parti e il tutto. Ma, se noi siamo una parte, come possiamo definire la correttezza di questo rapporto? Il tutto a cui ci riferiremo sarà sempre un tutto parziale, visto dalla nostra parzialità. Come possiamo comprendere il tutto come tutto? Ossia prenderlo tutto con noi (come dice bene Green)? Manteniamoci nei nostri limiti, tu dici, e sono d'accordo, ma se ci manteniamo nei nostri limiti come possiamo fondare un'etica o una morale che non siano specificità temporali o spaziali? Non sono forse proprio il tempo e lo spazio in cui viviamo proprio il nostro limite in cui dovremmo mantenerci?
Myfriend è vicino a quello che penso.

Maral ,
il problema sono le definizioni. Cosa significa coscienza, mente, illusione, concetto, fenomeno?
Un animale osserva e prova sensitivamente sulle sue lunghezze di frequenza ciò che il mondo gli manifesta,
Ha una labile lettura, perchè comunque utilizza strategie per cacciare.
Noi siamo oltre quel cervello analogico che sa leggere i fenomeni, siamo oltre la strategia di caccia, siamo orami più cultura che natura, Se Green per politica, intende come senso molto esteso la cultura , allora ha ragione, ma erra nella sua argomentazione.
Noi umani abbiamo la capacità di astrazione che è propria del dominio metafisico, perchè è da lì che arriva logica e matematica,C' è qualcosa in noi che è prima ancora di esistenza e non riusciamo ancora a capire il perchè , il come:sono quegli apriori.
Siamo capaci di correlare il mondo fisico e materiale che si manifestano spazio/temporalmente astraendoli dal mondo dei sensi, del sensibile.,persino dallo spazio/tempo. Quindi necessariamente costruiamo un sistema di relazione nei diversi linguaggi segnici, quindi trasponiamo un dominio naturale dentro un dominio astratto.L'incontro fra questi domini in quel sistema di relazione lo svolgono la parola, la logica, la matematica oltre che linguaggi psichici, artistici e direi spirituali. Il concetto è il punto di equilibrio nel dominio logico matematico e quindi nel razionale fra fenomeno e capacità astrattiva e forma la conoscenza, ma il vero attore è la coscienza che chiama in causa la conoscenza ,laddove quest'ultima forma la coscienza. Perchè è la coscienza che motiva e muove la conoscenza a esplorare,comprendere.
A sua volta la coscienza correlando più fenomeni in modo razionale astraendoli e concettualizzandoli costruisce una mappa conoscitiva poichè a sua volta correla i concetti. Quindi c'i sono più sistemi a crescere per arrivare ad una verità che non può essere che la sintesi della mappa conoscitiva concettuale, che costruisce la nostra rappresentazione del fenomeno nella coscienza.
La coscienza tende per sua natura, quell'apriori, alla sintesi muovendosi dall'analisi.

Il nostro movimento della coscienza non può che essere dettato dalla natura dell' universo e ritorno quindi a ciò che ha scritto Myfriend. Ciò che fa oggi il fisico nucleare è confrontare il modello standard dentro le teorie cosmologiche, quindi lega il particolare con l'universale. Il microfisico sta all'astrofisico come i particolari stanno all'universo. le scoperte grazie alle immani potenze date ai sincrotroni sono un sempre più avvicinarsi al punto zero. Il prossimo sincotrone o quel che sarà, dovrà essere ancora più potente energeticamente per "risalire" a particelle oltre il bosone di Higgs.Il filosfo compie anche lui questo movimento verso l'origine, come lo fa in fondo ogni uomo che si pone delle domande oltre il mondo sensibile, astraendosi, concettualizzando.

O crediamo alla scienza fisica nucleare oppure pensiamo che sia essa stessa metafisica.
O è vero che lo spazio/tempo di Einstesin è una curva o crediamo al sensibile della nostra forma ambientale molto, ma molto relativa.
Quì sta la contraddizione. Noi viviamo in linguaggi convenzionali che esulano persino dalle conoscenze fisiche dell'ultimo secolo e oltre. Continuiamo a fidarci di ciò che vediamo. Va bene per camminare, per osservare, ma meno per razionalizzare. E' anche  per questo che l'uomo continua a fare gli stessi errori.
C'è una Cultura, ma noi preferiamo una cultura a nostra misura di umani che si fidano delle evidenze del sensibile.
L'uomo oggi è culturalmente sbandato, vive praticamente in un tutto culturale costruito da lui, comprese le astrazioni, ma si comporta ancora come se la Cultura che lo ha costruito e persino condizionato in quanto formato educativamente, non ci fosse, o meglio prende le parte che gli convengono, costruisce i convenevoli ele sue credenze e socialmente le convenzioni. Quì dò ragione a Green, se intende per  politica la forma culturale delle organizzazioni umane. 
questa contraddizione nasce per quanto detto prima,,,, quando l'uomo non riesce a relazionare il sensibile con l'astratto concettualizzando ,creando quindi una conoscenza. ma se la conoscenza non torna alla coscienza noi non ci crediamo, non ci fidiamo : questo è il problema fra il razionale  e l'irrazionale. L'umanità fa parecchi atti animali e poco culturali, quando le motivazioni irrazionali sono più forti della ragione.
Il contrasto è fra una pulsione naturale irrazionale e la coscienza razionale che genera cultura: questa è la vera lotta.

davintro

io partirei dalla definizione aristotelica di uomo come "animale razionale". La razionalità determina una relazione dell'uomo con il mondo che non è di passivo assorbimento degli stimoli esterni, ma come presenza di un "filtro" critico per il quale l'uomo si interroga e giudica su tali dati sulla base di criteri intellettivi, morali, estetici presenti nella sua soggettività mentale; buono, vero, giusto... se questo giudicare esprime un'attività, per cui l'uomo attribuisce un senso ai dati dell'esperienza, un senso, che tali dati, nella loro mera fattualità oggettiva non possiederebbero (un panorama non può essere bello se non per una coscienza estetica formata che prova piacere nell'osservarlo), allora occorre attribuire a tale soggetto giudicante e interpretante un'autonomia interiore, che consente di introdurre nella propria esperienza oggettiva, un elemento di soggettività, di "novità", esiste qualcosa di "creativo" anche in ogni giudizio o interpretazione, anche se in accezione diversa rispetto alle forme dell'agire performativo. In poche parole, la razionalità coincide con la libertà, che porta il soggetto razionale ad una certa autonomia soggettiva nell'attribuire significato a un dato dell'ambiente circostante, dato che non può determinare nella sua oggettività una reazione univoca ed esteriormente prevedibile. Le conseguenze epistemologiche consisterebbero nell'ammissione dell'impossibilità di una conoscenza piena e autentica dell'uomo sulla base di forme di sapere oggettivanti che studiano l'uomo osservandolo dall'esterno, cioè considerandolo come una realtà statica, la cui realtà profonda dovrebbe coincidere con l'apparenza con cui si manifesta all'esterno, non tenendo conto di quello scarto, che porta l'uomo ad agire liberamente nel mondo esterno (quando per "agire" in questo contesto andrebbe considerato anche il pensare e giudicare"), mentre solo un sapere che pone come base fondativa l'introspezione, la riflessione in prima persona su di sé, può davvero avvicinarsi alla conoscenza del nucleo di questa soggettività libera, la cui libertà sta proprio nell'essere irriducibile a qualcosa di totalmente indagabile dall'esterno, un puro oggetto passivo. Questo tipo di sapere vede il suo soggetto come immanente al proprio oggetto, un pensiero che si riconosce come presente nell'esistenza che cerca di indagare, sebbene anche l'autocoscienza non può pervenire ad un sapere compiuto, in quanto nella condizione umana, non c'è piena coincidenza tra soggetto ed oggetto, e la realtà dell'uomo lascia spazi di oscurità anche per un soggetto che coincide con il suo stesso pensiero con le sue categorie. Dal punto di vista politico credo che attestare la libertà come carattere fondamentale dell'uomo debba coerentemente condurre all'idea che il bene dell'uomo non possa mai essere realizzato in forme di società totalitarie o dittatoriale dove uno o più uomini si arrogano il diritto di decidere su tutti, di regolare ogni aspetto, anche il più intimo, della vita umana, cioè togliendogli la libertà, ma che invece solo una liberaldemocrazia, dove lo stato interviene il minimo necessario a garantire i diritti fondamentali dell'individuo, lasciandolo libero di compiere le sue scelte, può garantire il massimo benessere possibile dell'uomo, agendo nel rispetto del tratto fondamentale della sua natura, la libertà, implicato nella razionalità: se garantire il bene dell'uomo vuol dire rispettare la sua libertà non è per un irragionevole permissivismo relativista, ma perché l'uomo è razionale, cioè ha in se stesso i criteri per giudicare le proprie azioni rivolte a garantire il suo bene

acquario69

CitazioneE' vero, il pesce, sa tutto, ma non sa di sapere e forse proprio per questo sa tutto, ossia vive. Qualsiasi essere vivente, poiché vive, sa tutto, ma l'uomo solo può sapere di sapere e di non sapere. Allora in qualche modo una conoscenza sapiente dovrebbe fare riferimento alla propria vita che esprime la sapienza originaria, dovremmo cercare il modo di incontrare noi stessi, di mantenerci fedeli a noi stessi, come diceva Nietzsche.


CitazioneMI pare tu dica qualcosa di fondamentale, ossia che la corretta conoscenza è nella giusta relazione tra le parti e il tutto. Ma, se noi siamo una parte, come possiamo definire la correttezza di questo rapporto? Il tutto a cui ci riferiremo sarà sempre un tutto parziale, visto dalla nostra parzialità. Come possiamo comprendere il tutto come tutto? Ossia prenderlo tutto con noi


maral...un paio di "mie" considerazione che vorrei appunto esprimere senza pretese,in merito a quanto scritto sopra..e cioè',

Che la parte può avere "coscienza" di essere anche il tutto, perche e' pur sempre parte del tutto...
In altre parole la parte non può non avere la sua stessa essenza, o in altre ancora e' solo il tutto che può realizzare la parte e non il contrario.
Se e' vero che sono comunque la medesima cosa sembrerebbe altrettanto vero che ce una relazione,(Relazione = Manifestazione) ma anche una gerarchia.

suona chiaro come mi e' venuta di dire? :) 
non lo so, ad ogni modo ci ho provato ad esprimerla.

E sempre a proposito di espressione questa credo sia la nostra caratteristica, diciamo pure la nostra forma particolare..quando appunto pensiamo e' come se in quel momento siamo la parte, quando siamo nel silenzio (metaforicamente come il pesce) allora siamo "nel" tutto, cioe senza distinzioni o senza forme...il nel sopra fra virgolette proprio perché non ce' nessun luogo,o nessuno spazio-tempo.

green demetr

x Sgiombo  :)



cit sgiombo
"Se intendi dire (per lo meno "fra l' altro", oltre a considerazioni diverse; come mi par di capire) che la certezza assoluta (della verità) di qualsiasi conoscenza é impossibile (ovvero che lo scetticismo non é razionalmente superabile) sono perfettamente d' accordo."

No! sto dicendo che qualcosa accompagna qualcos'altro.

Se vogliamo matematizzare: che abbiamo un sistema a 2 variabili (una nota, e l'altra no).

Di cui una variabile coincide (indimostrabilmente essendo all'interno di un altra rappresentazione presupposta) con la coincidenza tra rappresentazione (dell'io penso) e fenomeno (da ciò che è indagato da quell'io penso).
Ma l'altra è impossibile da pensare. Appunto la variabile originaria, da cui inevitabilmente, pena la cancellazione della categoria (universale) di esistente, sappiamo che vi è un qualcosa.
Quello che intendo è che appunto non è rappresentabile.

Ma non ammetto in alcuna maniera alcun scetticismo, poichè una variabile è conosciuta appunto, è" vista"!

(Lo scetticismo, dovresti saperlo, non l'ho mai preso in considerazione, questa cosa la lascio ai filosofi analitici, alla scuola americana, e ora anche ai corsi ridicoli delle università milanesi).

cit sgiombo
"Non comprendo assolutamente la distinzione che poni fra piano "rappresentativo" e piano "fenomenico"; per me si tratta di meri sinonimi: le sensazioni (tutto ciò che ci é immediatamente e indubitabilmente -per lo meno nell' istante presente in cui accadono- esperibile e conoscibile; tutto il resto essendo degno di dubbio) costituiscono "rappresentazioni coscienti" ovvero "fenomeni" (apparenze coscienti).
Casomai si può ipotizzare (e, volendo, credere realmente esistente senza poterlo dimostrare) un ulteriore "piano ontologico" in sé, non apparente ovvero "rappresentativo", non empiricamente constatabile, ma solo "congetturabile" (noumeno)."


Esatto! la rappresentazione co-sciente presuppone un ipotetico "in sè".
Il mio problema è relato al fatto che questo inevitabile, pena la contraddizione di ogni categoria di esistente, in-sè non è rappresentabile.(e infatti anche dire "in sè", mi crea forti problemi).
Il pegno da pagare è che questa "medianità seconda", e più originaria, non è una vera e propria origine, ma una fondamentale "rappresentazione della rappresentazione", "rappresentazione fantasma", "rappresentazione mimesi", mera supposizione, immagino nel tuo caso (possiamo sbizzarrici nel dargli i nomi che vogliamo.)
MA politicamente, e cioè filosoficamente, questo prevede che l'individuo Sgiombo porrà scarsa attenzione, se non addirittura ignoranza del problema della fondazione, nel caso appunto questa medianità dell' "altra medianità" (che è lo scontro, più che l'incontro, fra rappresentazione-intenzionale e fenomeno-resistenza) sia considerata un'altra supposizione, come se questa supposizione sia della stessa "materia" degli unicorni.
Senza polemica, rispetto la tua opinione, ma non la condivido.
E invece valorialmente è il cuore stesso della filosofia (e di irrazionale non ha nulla, in quanto fa riferimento a categorie logiche) porsi il problema di questa medianità e da Aristotele a Heidegger, è stato comunque sempre così.
Ma ovviamente questa è la mia opinione.

cit sgiombo
"Non capisco che cosa possa intendersi per "fantasia - delirio della fisica".
La fisica (e anche le altre scienze naturali) si basa su alcuni presupposti indimostrabili, come ci ha insegnato soprattutto David Hume, ma compie osservazioni empiriche, sperimentali, induzioni e ipotesi da sottoporre a verifica-falsificazione empirica.
Mi sembra si tratti di tutt' altro che "fantasie - deliri", quali sono invece casomai quelli proposti da religioni, superstizioni e irrazionalismi vari."


Certo, siamo d'accordo! intedevo per fantasia, il genio visionario di un Einstein o di un Tesla, e delirio, qualsiasi altra visione non testimoniata da falsificazione. (per quanto il modello falsificazionosta di cui parli Sgiombo è solo uno dei modelli possibili).
Ribadisco che tentavo di mettere in evidenza il carattere valoriale della visione come mera rappresentazione.
Non voleva essere un attacco alla scienza (per questa volta).

Al massimo possiamo discutere se questa posizione (opinione etc) sia razionale o meno. Ma non trovo elementi nel tuo intervento che mi indichino questa necessità di risposta. Non mi sembra che l'hai posta esplicitamente perlomeno.

cit sgiombo
"Inoltre non comprendo in che senso l' etica sia "sottoposta all' episteme" e (a mio avviso contraddittoriamente: sia l' etica sia la politica sono ricerca ed eventualmente conoscenza sul come -si possa e/o si debba- agire) "tutto sia politica" (dunque l' azione comprenderebbe, e mi pare dunque in qualche modo inevitabilmente determinerebbe o almeno condizionerebbe, "sottoporrebbe a sé", la conoscenza)."

A mia volta non ho inteso bene cosa intendi dire qui.
Contradditoriamente si riferisce a me? (in quel caso però dovresti indicarmi in cosa consista la contradizione).

La conoscenza sul come -si possa e/o si debba- agire, come anche esplicitato dalla tua discussione con Eutidemo, però a sua volta si basa sul principio di "chi(più che di che cosa) si decide di avvalersi".
La decidibilità del valore razionale "corretto", è in fin dei conti una sciocchezza, infatti in quella correzione sta per esempio quella "esportazione della democrazia" sui cui supinamente (ognuno atterrito in cuor suo, tanto atterrito da uniformarsi agli ordini dei nostri aguzzini, fino a DIVENTARE i nostri aguzzini) la morale occidentale e tutto questo forum si basa, tranne qualche sporadica eccezione.
Correzione è più costrizione che altro d'altronde.
Dunque il sapere dell'agire si risolve non tanto nell'agire, ma nel essere comandati da quel sapere.
Per cui qualsiasi agire è il risultato di una ideologia, di un prendere parte, e questa partizione è sempre una questione di guerra.
Ma tu da comunista inveterato dovresti saperlo meglio di me, se non fosse che da uomo di scienza e della scienza ritieni che possa esistere una innocenza primaria, una meccanica a cui tutto possa rispondere.
Non esiste quella meccanica, in sè, appunto, è solo il frutto di una macchinazione, di una tecnica per piegare qualcosa a qualcosa, la quantistica per esempio alla meccanica, e fin lì siamo a dei modelli, ma se quel qualcosa sono esseri umani, bè quella macchinazione deve fare i conti con le emozioni (le angosce, le paure, i dolori), e facendone di conto, pensa bene di usarli, come mezzo di propaganda.(strumentalizza le emozioni per la propaganda)
In fin dei conti la propaganda è l'episteme, questo sto paventando.(ovviamente esagerando, ma con un discorsco più complesso non so nemmeno se sono molto lontano dal vero).
E ognuno si fida di ciò che è scienza e verità (quando non lo è affatto).


In questo senso ogni azione politica, ogni prendere parte a questo o a quello dispositivo, induttivamente RIVELA l'episteme che si cela dietro a quelle azioni.


Ma in questo post non volevo tanto riferirmi al problema critico delle azioni politiche, quanto al problema che COMUNQUE SIA ESISTE UNA RAPPRESENTAZIONE che si accompagna a qualcosa che non sappiamo cosa sia.
E noi SAPPIAMO che vi sia proprio perchè abbiamo una rappresentazione CO-RELATA.



MA se manca, e DIO solo sa quanto manca, la riflessione sulla medianità, appunto su cosa è l'uomo, allora non può esistere nemmeno una critica a quella presunta episteme!
E come vedi i nostri ruoli si invertono, quello che per te è il cuore della filosofia (l'episteme) è per me mera presunzione, e quello che per me è il cuore della filosofia (il fondamento) è per te mera presunzione.

Ti ho messo delle parole in bocca provocatoriamente, mi aspetto una risposta tosta!
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

x Garbino

Ripartire da zero o dal salvabile non cambia niente rispetto alle domande che nei secoli si sono fatti, parlo ovviamente di quelle inevase o comunque attualissime, se intendi dire che bisogna pensare con la propria testa comunque hai ragione, è che lo do talmente per scontato che non mi accorgo proprio mai che invece è il problema principale da cui partire, ri-partire.

cit Garbino
"Non so se qualcuno abbia già fatto questa riflessione sia prima che dopo di me, e non è per vanto che la riporto, il motivo è legato strettamente agli universali del sillogismo la cui veridicità dovrebbe, a mio avviso, ritenersi inversamente proporzionale alla tendenza all' infinito dei soggetti presi in esame.
Ma questo esempio dimostra anche quanto errore possa risiedere nel nostro sistema conoscitivo e quanto sia indispensabile, se si vuole fondare una scienza ed una filosofia, ripartire da zero."


Beh però la concettualizzazione di infinito per esempio in matematica ha raggiunto una tale complessità, che dubito alcun filosofo capirà mai.
Certo come diceva all'univerità Franchella i greci aveva terrore di tutto quello che è illimitato, avevano come orizzonte la POLIS, e dunque hai ragione comunque a far notare che quell'errore è figlio di un'orizzonte totalmente interno al tempo greco appunto.
Il punto è come penso di sottrarti a questo tempo in cui tu stesso sei immerso per poter ripartire da zero?


PS
A Sini gli viene un colpo comunque se gli dici una cosa del genere.
Nel suo libro "un nuovo inizio", si parla più di una pratica nuova della filosofia, ossia di una filosofia che faccia i conti con le pratiche che l'hanno circondata, e che l'hanno uccisa.
Nella prefazione si parla chiaramente di un inizio che più che altro è una fine.
Ossia la fine, è esattamente il nostro dover stare DENTRO le pratiche.

Nel suo concetto di SOGLIA, si cela il cuore pulsante di tutto il suo pensiero, proteso tra la maschera e la vita, tra la maschera che vuole essere vita, ossia tra la proiezione critica e il suo confrontarsi continuo col tempo presente, del qui ed ora.
Il punto è se quella maschera (che io chiamo fantasma, doppio) sia mimesi, ossia se aderisca a sua insaputa all'interno delle pratiche ACRITICHE, per fare un esempio se aderisca ad una troika.
Penso sopratutto nel tuo caso alle nostre divergenze, anche se mai veramente affrontate in  maniera precisa, e quindi pur sempre nebulose, riguardo a temi come il lavoro e la natura.
Come pensi che la tua idea di lavoro e natura sia originale per esempio? Come pensi di sottrarti al fatto che veniamo da una cultura che ci ha insegnato cosa sia il lavoro e cosa sia la natura?
Non sono cose semplici, anche guardando al caso dei grandi filosofi, che cedono alle lusinghe del potere, da Platone ad Heideger.
Contraddicendo ogni singolo pensiero che avevano espresso.
E' difficile scrollarsi di dosso il peso della storia e il peso del suo insegnamento occulto.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

x davintro :(


Siamo d'accordo per la questione del soggetto che non può essere immanente al suo oggetto.
Anche perchè l'immanenza è l'essere immersi in un tempo e non in un oggetto.
Il punto è che però se il tempo è lo spazio allora l'oggetto è la spazializzazione razionale di quel soggetto.
Per lo più il concetto di libertà mi pare sopravalutato.
Lo ritengo per lo più uno di quei concetti che fanno da contenitore ad una miriade di opinioni.
E' quindi sospetto a dire poco.
Se la libertà è l'innegabile decisione di fare qualcosa del nostro tempo, ossia di spazializzarlo in un qui ed ora (kant), questo non decide niente del valore a cui noi ci riferiamo (kant per favore smettila!).
Nel tuo caso parli di un sè interiore, che guardacaso è il frutto della propaganda cristiana, originata da S.Agostino in poi.
Anche ammettendo che esista questo sè interiore, bisogna però connotarlo dei suoi caratteri di razionalità e quindi si ipotizza di conoscenza acquisibile in potenza.
Peccatto che essendo cristiano, l'acquisizione rimanda quasi sempre ad una dimensione extratemporale, e che quindi con la libertà non c'entra niente.
A meno che questa libertà sia veramente qualcosa che non appartiene al sè interiore (e d'altronde tu non avendolo specificato, dai adito a me a qualsiasi supposizione)!
E infatti la traslazione dal sè interiore (non immanente se non a se stesso, uno di quei meravigliosi A=A che tanto odio, una autocoscienza immagino!) all'improvviso si contraddice e vuole diventare spazio, spazio pubblico ovviamente, e ovviamente almeno per te visto che non argomenti praticamente NIENTE, uno spazio LIBERAL DEMOCRATICO, una cosa che in questi tempi non so bene cosa voglia dire, la LIBERAL DEMOCRAZIA mi sembra lievemente in crisi GLOBALE.
Le libertà mi sembrano palesemente in picchiata, dovute per esempio alla cessione delle conquiste sociali, insomma il liberismo e la sua casa della libertà ha dimostrato una totale incongruenza con quanto vorrebbe tanto essere associata: con la parola libertà.
Mi sembra insomma che non abbiamo ancora risolto niente di quelle premesse che tu hai dato, pensando che fossero auto-sufficienti.
Autoposte e autorispondentesi.
Cosa è il sè interiore, cosa è la liberal democrazia, e quale sarebbe questo bene che è intrinseco all'uomo (ma non avevi detto che siamo irriducibili a qualsiasi definizione? :-\ )
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

per Paul  :-\


cit Paul
"Noi siamo oltre quel cervello analogico che sa leggere i fenomeni, siamo oltre la strategia di caccia, siamo orami più cultura che natura, Se Green per politica, intende come senso molto esteso la cultura , allora ha ragione, ma erra nella sua argomentazione.
Noi umani abbiamo la capacità di astrazione che è propria del dominio metafisico, perchè è da lì che arriva logica e matematica,C' è qualcosa in noi che è prima ancora di esistenza e non riusciamo ancora a capire il perchè , il come:sono quegli apriori."

La politica non è esattamente la cultura! contiene in sè la mia critica a quella cultura, a quel suo voler essere metafisica, verità.
Ovviamente essendo critica si avvale strumenti della stessa cultura in cui è immersa, quindi possiamo ben intenderci, con questi distinguo.
La logica e la matematica nonostante esistano sempre scuole che vogliano dire il contrario e farla diventare metafisica, vedasi la scuola francese del progetto bourbaski, da Godel in poi è costretta a dirsi eminentemente formale.
Ossia ipotesi, modello, non necessariamente veritativo (e perciò stesso non è metafisica, la metafisica dice la Verità).
Gli apriori ti voglio ricordare sono quelli inventati da Kant, e altro non sono che il tempo e lo spazio.
Da allora ne hanno aggiunti altri radunantesi intorno al concetto di propriocezione.

cit http://www.asia.it/adon.pl?act=doc&doc=1077
"Un contemporaneo di James, Charles S. Peirce, che con lui si può considerare il fondatore del Pragmatismo americano, ha prodotto una sorta di fenomenologia indipendente da quella europea (da lui battezzata Faneroscopia - osservazione di ciò che si mostra) che individua tre modalità fondamentali dell'esperienza: la prima di queste ha molto a che fare con il sentire pre-riflessivo.
Peirce la chiama "Primarietà", ed ha la caratteristica di unità, istantaneità e assenza di relazione con altro; non è il sentire di (qualcosa), né il sentire per (me). Il sentire primario aderisce a  se stesso in una perfetta coincidenza che, come afferma Michel Bitbol,  è "certezza o almeno convinzione" 2. Ne è un esempio il sobbalzo inconfutabile, che non sa nulla di sé e non si riconosce ancora come 'paura' o  'io'."


cit Paul
"Il concetto è il punto di equilibrio nel dominio logico matematico e quindi nel razionale fra fenomeno e capacità astrattiva e forma la conoscenza, ma il vero attore è la coscienza che chiama in causa la conoscenza ,laddove quest'ultima forma la coscienza. Perchè è la coscienza che motiva e muove la conoscenza a esplorare,comprendere."

Ma coscienza non è un apriori amico mio! la stessa radice della parola, che pure tu chiami, e secondo me assai bene in causa, dice che è qualcosa che si unisce ad uno scire, ad una conoscenza dunque.
Nella tua argomentazione invece la conoscenza su "invito della coscienza" si scopre come tale.
Ma se fosse così amico mio, e se cioè noi veramente conoscessimo la nostra coscienza, come potrebbe rimanere un apriori?
Quando diciamo di conoscere il tempo e lo spazio, intendiamo dire che NON CONOSCIAMO il TEMPO e lo misuriamo tramite lo spazio (kant).
Ma nel caso della coscienza da te ideato (diciamo pure dal cristianesimo inventata) non è proprio così, e lo sappiamo benissimo tutti e 2. La tua coscienza non è mai una coscienza apriori, è bensì una costruzione all'interno di una cultura.
Nel caso poi non fosse un apriori, e cioè fosse principio come appunto nel cristianesimo, allora la coscienza non dimostrerebbe mai la conoscenza, perchè farebbe il solito errore che da leibniz in poi chiamiamo come "errore della dimostrazione alla maggiore", ossia crediamo di dimostrare l'esistenza di qualcosa tramite la presunzione che quella stessa cosa esista e tramite essa si AUTO-AFFERMA.
Ma quella da Schopenauer a Nietzche in poi non è coscienza o peggio autocoscienza (agostino) bensì volontà di potenza.
Dunque la coscienza non sarebbe mai una conoscenza, non sarebbe mai una acquisizione.
Ti invito dunque a riflettere maggiormente sul mio problema della variabile sconosciuta. Ma d'altronde dopo Husserl e Heidegger, meglio, sappiamo trattarsi del problema della ERLEBNIS, della vita vissuta, e non della vita presunta.
(crisi delle scienze europee etc..) Il mio problema diciamo semplificato sarebbe quello della verità e delle insidie della presunzione.La conoscenza è solo la maniera in cui si manifesta la relazione, o correlazione che dir si voglia, non è nè la causa, nè la premessa.

cit Paul
"A sua volta la coscienza correlando più fenomeni in modo razionale astraendoli e concettualizzandoli costruisce una mappa conoscitiva poichè a sua volta correla i concetti. Quindi c'i sono più sistemi a crescere per arrivare ad una verità che non può essere che la sintesi della mappa conoscitiva concettuale, che costruisce la nostra rappresentazione del fenomeno nella coscienza.
La coscienza tende per sua natura, quell'apriori, alla sintesi muovendosi dall'analisi."

Correggendo ovviamente, per un proficuo scambio di idee, la parola coscienza con conoscenza, dobbiamo però ricordare che la mappa non è mai il territorio.
Questa profonda lezione della psicologia topologica, oggi applicatissima nei disturbi delle angosce contemporanee dalla psicologia generica (dinamica e psichiatrica) starebbe anch'essa a dire il valore della vita, rispetto alle mappe cognitive, e d'altronde la psicologia dinamica contemporanea è ovviamente un psicologia cognitiva (comportamentale).
Se le mappe cognitive però debbano poi essere anche comportamentali, dovrebbe fare ghiacciare le vene a qualsiasi filosofo, che sa che  verrebbe (e viene) spacciato come giusto e morale qualcosa che invece è una costruzione e meglio una costrizione sociale.
Il comportamento socialmente accettabile è il comportamento collaborativo di tipo lavorativo, ossia è il lavoro.
In nome del lavoro si decide della vita. Quando Lacan ammoniva che la frase più importante del prossimo secolo (il nostro) sarà quello che capeggiava fuori dai campi di sterminio "il lavoro rende liberi" si riferiva ovviamente a tutto questo lato rimosso che sarebbe oggetto anche di questo 3d, cosa è appunto l'uomo, perchè possiamo rinnegare quanto vogliamo il nazismo, ma non che fossero stati degli uomini a fare quello che hanno fatto. E quale sarebbe dunque il valore aprioristico di questa coscienza? se non appunto di una conoscenza (la psichiatria ha fatto salti qualitativi impensabili a livello di studi cavia sull'essere umano) completamente accecata e avvitata su se stessa (sulla paranoia in particolare).
La mia argomentazione non solo è maggiormente valida a livello logico, ma contempla nel suo discorso lato, anche la comprensione di queste deviazioni supponenti e ignoranti del problema fondamentale.(il discorso sull'ALTRO, sul nostro prossimo in chiave cristiana se vuoi).

cit Paul
"L'uomo oggi è culturalmente sbandato, vive praticamente in un tutto culturale costruito da lui, comprese le astrazioni, ma si comporta ancora come se la Cultura che lo ha costruito e persino condizionato in quanto formato educativamente, non ci fosse, o meglio prende le parte che gli convengono, costruisce i convenevoli ele sue credenze e socialmente le convenzioni. Qui dò ragione a Green, se intende per  politica la forma culturale delle organizzazioni umane. 
questa contraddizione nasce per quanto detto prima,,,, quando l'uomo non riesce a relazionare il sensibile con l'astratto concettualizzando ,creando quindi una conoscenza. ma se la conoscenza non torna alla coscienza noi non ci crediamo, non ci fidiamo : questo è il problema fra il razionale  e l'irrazionale. L'umanità fa parecchi atti animali e poco culturali, quando le motivazioni irrazionali sono più forti della ragione.
Il contrasto è fra una pulsione naturale irrazionale e la coscienza razionale che genera cultura: questa è la vera lotta."

Mi sembra che ovviamente sbagliando l'argomentazione a livello logico ti stai avvitando su te stesso.
Siamo d'accordo, d'accordissimo sulla questione culturale.
Ma totalmente in disaccordo sulla questione di dove dovrebbe risiedere la lotta, la guerra.
Qua non c'è tempo di affrontare il tema della guerra, anche perchè non vedo nemmeno un utente che lo possa anche lontanamente intendere. (il buon Garbino m'ha tradito in questo ;)  ).

Andiamo dunque a tentare di avvicinarci alla questione, cercando di smontare quell'impianto cristiano che lo supporta.

Lo sappiamo tutti che dietro la chiesa c'è Ratzinger, c'è la presunzione che tutto ciò che è razionale si accompagni e anzi debba farlo con la fede.

Ora se la coscienza è un atto di fede, in quanto apriori, nel tuo ragionamento, allora dovrà rispondere ad un atto razionale equivalente. Quindi capisco benissimo quello che intendi.

A me però sembra che c'è una stortura nella tua argomentazione.
Infatti prima dicevi che è la coscienza spinge la conoscenza a esplorarla.
E allora come mai questo non avviene in quelli che tu spregiativamente chiami atti animali? (tra l'altro non si capisce a cosa alludi) :(
Argomenti dicendo che noi non crediamo negli atti di ragione della fisica, dell'astrazione: ma non dovrebbero essere proprio quelli che la coscienza dovrebbe spingere a rivelare? che coscienza è quella che non sa indirizzare alla giusta conoscenza?  :(

Mi sembra che sei nel medesimo loop argomentativo di prima, se la coscienza deve essere un atto astrattivo, allora la coscienza sarà esattamente quell'atto astrattivo che riguarda una mappa mentale di una cultura di un gruppo di persone di un individuo. E oltre che non spiegare per nulla come mai non conduca a questa fantomatica coscienza ci sarebbe la questione in sospeso, mica tanto banale di Chi dovrebbe decidere quale debba essere l'atto originario di coscienza e quale conoscenza dovrebbe applicarsi alla coscienza???
Alias quale cultura, quale gruppo sociale, quel individuo deciderà della verità di questo apriori chiamato coscienza?

Sono tutte domande che non trovano riposta nelle tue righe, e che decidono che vi debba essere una guerra di ragione, ma quale ragione però, di chi è la ragione, contro una supposta animalità. E chi decide cosa è contro e cosa no? (anche se temo per te vi sia qualcosa come il naturale che lo garantirebbe, un naturale che a me pare molto artificiale, ma sarebbe un altro 3d).

Per tornare anche solo ad accennare invece la guerra è proprio tra individuo e individuo. Nella loro capacità di darsi valore o meno, nel loro riconoscersi o meno.

Certamente tutto ciò non centra con la domanda sul fondamento, e sull'umano, che è invece una domanda sull'originario.

E l'originario non è certo una astrofisica (nè una fisica), aggiungo ancora, onde evitare ulteriori considerazioni.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Sariputra

#26
Che è l'uomo?
Ma...c'è un uomo da qualche parte? Io non ne vedo...voi vedete uomini? Se li vedete indicatemeli, così che anch'io possa goderne della vista. Deve essere una cosa magnifica un uomo...alto, intelligente, bello ( soprattutto bello...) , ricolmo di coscienza cosmica universale...ah! Che goduria la vista di un uomo, anche se...è di certo più apprezzabile quella di una donna; almeno per qualcuno di basso, brutto, addormentato...privato di quella meravigliosa Mente Universale. Uno fatto un pò così, con la gamba destra che lo tira da una parte e la sinistra che vuol andare diritta...che è coscientemente preso dalla forma  armonica di un posteriore o da lucenti capelli sciolti. Che poi...sta cosa...la Coscienza Universale...ma chi l'ha mai vista? Io c'ho provato a fondermi con la Mente Universale, ma mi sembrava di grattar specchi. Il noumeno? Oh...che meraviglia il noumeno...che dite? E' inattingibile? Una botte piena senza rubinetto? E' meraviglioso esser coscienti che la botte è piena ma non c'han fatto quello schifoso rubinetto per poter riempire la caraffa di dolce noumeno. Ci tocca ubriacarci di  volgare prosecco?...Suvvia, datemelo, quest'altra botte è più generosa.
Nel silenzio risplende la Mente. Ma ci state mai in silenzio per poter dire una simile corbelleria? Provateci e vedrete come corre la Mente Universale , senza posarsi mai. Ehi, Mente Universale, com'è che sei così scema da non saper di esserlo? Perchè non ti fermi mai un attimo a riflettere su quanto sei meravigliosa e universale? Non ci riesci per caso? Ahia...
Siamo tutti epifenomeni...beh, lasciam da parte gli epi e vediamo quanto siam fenomeni. E' fenomenale la nostra capacità di essere fenomeni. C'è gente così fenomenale che raggiunge i duecento chili mangiando e altri che scendono a trenta non mangiando...se penso alla mostruosità di un tubo digerente da duecento chili...ecco ...mi sembra di vedere l'uomo. E' di certo un grande uomo un essere capace di simili imprese...che dite è malato?...Va bè, lo siam tutti no? Bulimici di pensieri e di idee. Non ci basta esser uomini, meglio sarebbe andare oltre l'uomo, diventare superuomini...rinunciare alle pantagrueliche abbuffate scientifiche, non magnarsi pure gli smartphone...ma infine fondersi nel Grande Sè Indifferenziato. Il sogno di ogni grande tubo digerente: la Fusione Suprema...Io non mi cibo più, io...Sono il Cibo, finalmente. Ah!...la Suprema Abbuffata...l'apoteosi dell'uomo. La Mente Universale, il Sè indifferenziato che emette il Rutto definitivo...alfine s'è digerito codesto mondo infame...

P.S. Che poi, signori...lo sappiam bene tutti...quando si esagera ti arriva la stitichezza. Quelle stitichezze croniche da cervello sovraffaticato. Ecce homo!...Il Risvegliato con la stipsi...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

cvc

Non è  male nemmeno la metafora di Baudelaire: l'uomo è come un albero, con le radici che scavano nella terra fra le impurità e i rami che si allungano verso il cielo.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

sgiombo

Citazione di: maral il 17 Aprile 2017, 22:50:34 PM
Sgiombo, d'accordo, l'unicità dell'uomo in quanto autocosciente è soggettivamente vera, ma cos'è mai oggettivamente vero? Non è che mi affaccio alla finestra e vedo un mondo oggettivo davanti a me, come se non fossi lì anch'io, nel mondo che vedo, come se fossi un'altra cosa non partecipante.
Può essere che "qualcosina" di questa coscienza e forse pure di questa autocoscienza appartenga anche ad alcuni altri animali, ma essa resta del tutto inclusa nel loro saper vivere, mentre nell'uomo no, nell'uomo travalica ampiamente questo saper vivere e vuole includerlo infatti dici "è l'universo materiale – naturale a esserne incluso"), finendo poi per esserne a sua volta inclusa. Di sicuro per l'uomo non c'è conoscenza senza rappresentazione.
Mi sa che Chalmers dica qualcosa di piuttosto assurdo se consideriamo che le leggi fisiche che non cambierebbero in alcun modo senza esperienza cosciente, sono il prodotto dell'esperienza cosciente.
CitazioneSe, come comunemente accade, per oggettivo si intende "reale (anche) indipendentemente dal (-l' eventuale) soggetto di sensazione o di conoscenza", allora (ammesso che esista un soggetto delle sensazioni fenomeniche immediatamente avvertite; -o meglio: accadenti) ciò che è immediatamente avvertito e constatato e dunque conoscibile con certezza sono per l' appunto unicamente le sensazioni fenomeniche il cui accadere è dipendente dall' esistere/divenire del soggetto stesso, e dunque non oggettivo; e se oggetti delle sensazioni stesse sono/divengono realmente (anche) indipendentemente da esse, allora non si identificano con esse (pena la caduta in una patente contraddizione!), alle quali dunque non può attribuirsi propriamente alcuna "oggettività", ma casomai (almeno a parte di esse) un' "intersoggettività" nel senso di "corrispondenza puntuale ed univoca fra più esperienze coscienti di più soggetti", i quali tutti ne possono conseguentemente parlare allo stesso modo (nei medesimi termini, mediante gli stessi simboli verbali).
Gli oggetti (in sé e non sensibilmente apparenti -non fenomeni- ma solo pensabili, congetturabili: noumeni) delle sensazioni, se reali (cosa indimostrabile), sarebbero altre "cose (enti e/o eventi)" dalle sensazioni fenomeniche coscienti stesse ben distinti e pensabili come ad esse puntualmente e univocamente corrispondenti.
 
Secondo me l' universo materiale (esattamente come i fenomeni mentali) é incluso nelle (fa parte delle) esperienze coscienti, che non possono in alcun modo esserne incluse a loro volta (vi sono invece inclusi i cervelli o analoghi naturali o al limite eventualmente pure artificiali, i quali alle esperienze coscienti possono essere considerati, e non dimostrati, corrispondere biunivocamente, ma certo non con esse identificarsi).
 
Il mondo naturale – materiale (fenomenico: facente parte di esperienze coscienti) con le sue leggi non ha alcun rapporto causale "dualistico - cartesiano" con le esperienze fenomeniche coscienti che si possono ritenere corrispondenti ai cervelli e "affini", e dunque continuerebbe a divenire esattamente allo stesso modo in cui diviene, del tutto indistinguibilmente, anche se almeno ad alcuni degli altri cervelli (oltre che al "proprio") non corrispondessero esperienze fenomeniche coscienti; ovviamente continuerebbe a divenire esattamente allo stesso modo non nell' ambito di tali esperienze coscienze che non esisterebbero (e dunque sarebbe effettivamente assurdo), bensì in quello di altre esistenti, per lo meno della "propria" immediatamente esperita (e dunque senza nulla di assurdo).
 

Garbino

Che è l' uomo?

X Green Demetr

Mio caro Green, ma che cos' è l' uomo se non un essere vitale e naturale? Come lo è qualsiasi forma vivente? E te lo ripeto io non vedo in ciò un sistema, un tutt' uno, ma soltanto un tentativo di dare a ciò che è vivo e naturale un' identità. Nient' altro. In senso metafisico sono con Nietzsche entrambe sono dei contenitori vuoti come l' essere.

E cosa vuoi che mi importi che a livello matematico si siano fatti progressi da gigante sull' infinito? Carta è carta rimane, come la quantistica e molto altro in campo scientifico. 

Contemporaneamente alla dimostrazione di Aristotele, ricordo, ancora prima di leggere Nietzsche, che mi trovai a confutare quella scienza meravigliosa che è la matematica, ritenendola troppo inficiata da criteri volti a superare le sue contraddizioni. E non dimentichiamo che la logica non è che l' applicazione della matematica al discorso. E mi sembra strano che proprio tu che contesti il ritrovare ciò che era dato in partenza, possa poi avere dei dubbi su quanto da me opinato.  

Per quanto riguarda la logica, ripeto ancora una volta, sono con Kant che afferma: Non è possibile l' uso della logica nella Metafisica.

XMaral

Ti ringrazio per la fiducia, ma il contesto non è dei più positivi, ed ho paura che bisognerebbe archiviare anche quel minimo di premessa sull' argomento uomo che avevo indicato come accettabile.

La lettura del corso di lezioni di Heidegger su La volontà di potenza come conoscenza, mi ha sinceramente dato un' innervazione di fiducia sulle mie opinioni su Nietzsche e sul suo messaggio filosofico e rimango stupito che il Nietzsche di Heidegger venga così poco considerato, visto che è illuminante, sempre a mio avviso. Ma siamo sempre coinvolti in una cultura filisteica che non vuole il nuovo, perché non gli appartiene e nei confronti del quale è profondamente impreparata. 

Sorvolando sui frequenti richiami all' aspetto metafisico di cui ho già parlato, Heidegger si incunea profondamente nella filosofia di Nietzsche e riscontra l' errore di valore attribuito alla verità a vantaggio del valore superiore del vivente che è immerso nel divenire e cerca un sistema per fissare un ordine nel caos che gli si presenta. 

Questo il contesto e mi fermo qui perché devo ancora terminarlo. Ma lo spunto mi sembra di un interesse elevato.

Garbino Vento di Tempesta.