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Che cos'è la verità?

Aperto da maral, 24 Maggio 2016, 15:17:26 PM

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maral

Citazione di: sgiombo il 12 Giugno 2016, 15:57:35 PM
Ovviamente ogni accadimento c'è [tempo presente] solo nel presente finché c'è; ma se si prolunga nel tempo (se ha una durata, fatto possibilissimo), allora c' era [tempo passato] anche prima e ci sarà [tempo futuro] anche poi.
E ogni dolore se dura delle ore è sempre presente finché c'è, quindi ha una durata di alcune ore (se invece fosse costantemente presente, allora avrebbe una durata infinita, cioè sarebbe eterno).
E di nuovo, il dolore ha una durata nel momento in cui lo descrivi come un soggetto vede un oggetto, non nel momento in cui accade. Nella durata c'è un soggetto e un oggetto e per questo il soggetto concepisce il durare dell'oggetto, rispetto al diverso durare di se stesso (diversità di durata che non esiste nel momento in cui il dolore direttamente appare).

CitazioneSe è vero, come è vero, che (in generale, "di regola", le definizioni dei concetti significati dalle parole sono sempre in qualche misura inadeguate e quindi sempre suscettibili di ridefinizione (secondo me possibile, non sempre e comunque necessaria, altrimenti si cadrebbe inevitabilmente in una Babele tale da impedire qualunque comunicazione), tuttavia ogni ridefinizione è comunque stabilita arbitrariamente, per convenzione: bisogna cercare di mettersi d' accordo (e cercare di stabilire se le lingue preesistono ai significati o viceversa mi sembra un po' come cercare di stabilire se sia nato prima l' uovo o la gallina).
Non ho detto che è sempre necessario, è necessario quando si intende esaminare filosoficamente la questione, non ci si può arrestare davanti alla definizione, ma occorre metterla in discussione per capirne il senso che ha portato al significato che essa fa vedere nascondendone altri per far vedere solo quello. La definizione non è né un dato di natura, né un dato arbitrariamente convenuto, ma un aspetto particolare messo in luce del significare delle cose. Mettere in discussione le definizioni non significa cadere in una babele dove non ci si capisce più, ma al contrario esplorare la realtà delle cose per coglierne la verità che la dispiega. Si è in cammino e ogni passo consiste nel ribaltare ogni definizione per vedere cosa nasconde e cosa svela.
Poi se invece di voler esplorare le definizioni vogliamo fare logica matematica va bene, ma mi sa che non ne saremmo per nulla in grado (almeno non io: non ne possiedo il rigoroso linguaggio formale specialistico che necessita)

CitazioneIl "non piovere adesso" è un significato (di un predicato, un pensiero) che esprime esattamente (= veracemente), il (fatto) reale e positivo (del) non piovere adesso (nota l' assenza delle virgolette), è l'accadere di un predicato negativo (= una negazione nel predicare, nel pensare): per lo meno in linea di principio le stesse cose si possono dire, pensare, predicare tanto in forma positiva, quanto in forma negativa (mentre le "cose", gli enti ed eventi reali possono realmente o accadere oppure non accadere: fra il dire o pensare in forma positiva o negativa sussiste una differenza puramente formale, mentre fra l' accadere e il non accadere realmente sussiste una ben diversa differenza reale, ontologica).
E "Nulla accade" è un significato (di un predicato, un pensiero) che esprime esattamente (ma falsamente) questo evento che nulla accade (nota l' assenza delle virgolette) nel suo significato (del predicato! E non della realtà!) evidente (in lingua italiana); e che è falso ma non contraddittorio (sarebbe contraddittorio casomai "nulla accade e contemporaneamente accade qualcosa").
Il "non piovere adesso" è la verità del non piovere adesso, la verità dell'evento che sta nel suo significato, ossia nel suo stesso accadere. Accade che adesso non piove, accade che nulla accade, e queste cose accadono come evidenti significati. Se dico che "accade che non piove", mentre accade che piove dico il falso non perché mi riferisco in modo errato a ciò che realmente accade, ma perché mi riferisco in modo giusto a ciò che realmente accade nascondendolo, ove ciò che realmente accade è che accade che adesso piove, ma non voglio che  si sappia. La falsità sta nel voler mantenere nascosto lo svelarsi di ciò che effettivamente accade (il referente di Phil) come significato inscindibile da esso. Ciò che si dice non è mai disgiunto da ciò che accade, nemmeno nella predicazione e la contraddizione non c'è in ultima analisi né nella realtà né nel dire, poiché se ci fosse nel dire, quel dire la contraddizione sarebbe non dire nulla.

CitazioneIl fatto del dolore (di qualsiasi dolore, come di qualsiasi gioia; e non il significato della parola "dolore") viene ben prima di qualsiasi definizione stipulata per convenzione; ma con le parole possiamo benissimo parlare anche di enti ed eventi inesistenti, irreali (come per esempio minotauri, chimere, imprese di Ercole ecc.), attribuendo alle (stipulando per le) parole anche significati che non denotano alcunché di venuto prima, né che mai verrà (presumibilmente) dopo di esse.
Non si parla mai di enti non esistenti, ma di enti il cui significato si vuole tenere nascosto. magari con un riferimento letterale. I minotauri, le chimere e via dicendo non sono enti non essenti (e dunque contraddizioni), ma esistono (accadono) proprio per quello che propriamente significano.
Non c'è un mondo che si dice o si pensa in contrapposizione a un mondo reale che si può direttamente sentire e in cui il primo gode di illimitati gradi di libertà rispetto al secondo. Il mondo semantico è espressione diretta del mondo sentito accadere e il mondo sentito è espressione di quello che si pensa e hanno esattamente la stessa necessità che risiede nel loro manifestarsi come un unico mondo avente il significato di unico mondo.

CitazioneChe un dolore (che è un fatto! E infatti si può discutere della sua realtà o meno, non della sua verità) è presente mentre è presente è una tautologia.
Non è il predicato di un'esperienza: è quell' esperienza (sempre in lingua italiana, come in qualsiasi altra lingua).
Ma il fatto è nient'altro che una tautologia che si è compiuta nel suo significare. E proprio per questo non se ne può discutere (almeno finché non appare che forse non si era compiuta, che era rimasto nascosto il suo compimento e, a quel punto, il fatto non è più un fatto e lo si può rimettere in discussione).

cvc

La ricerca della verità porta alla conclusione che la certezza assoluta non esiste, così come non esiste l'incertezza assoluta. Ci si muove nello spazio di gradi di certezza e quindi di gradi di verità. Le decisioni vengono prese in condizioni di incertezza più o meno alta.  L'episteme di è spostata dall'essere alla metodologia. La   conoscenza non è più rivolta alla ricerca di una realtà assoluta che spieghi il tutto, ma si pone degli obbiettivi particolari, e ciò che conta è la verità nelle metodologie che portano al raggiungimento di tali obiettivi. Non esiste più la filosofia intesa come contemplazione disinteressata, come osservazione di ciò che emerge dal superamento di una visione contingente del reale. Le scoperte della scienza sono il raggiungimento di obiettivi prefissati. Ciò che è vero è tale in quanto sono esatte le metodologie che portano a quella tale conclusione. Non esiste più la verità in quanto non esiste più la fede nella verità. La verità è diventata un qualcosa che deve sempre essere messo alla prova dalla verificazione del metodo, e non qualcosa in cui credere. Ciò che conta è che il metodo sia esatto, e non la verità in quanto portatrice di un senso. Se esiste una verità portatrice di un senso (Dio, il bene assoluto, la giustizia cosmica,...), allora la nostra vita risulta vincolata ad esso, occorre comportarsi in vista di tale senso. Invece il metodo ci libera da ogni legame col vincolo, se il metodo è esatto null'altro conta più. La certezza nel metodo ha sostituito la certezza nel senso. Siamo liberi dalla necessità di dare un senso alla vita perché sappiamo che in ogni caso abbiamo delle metodologie che ci permettono di raggiungere degli obiettivi. Peccato non esista anche una metodologia che ci permetta di dare un senso alla vita, quando questo bisogno emerge al di la di ogni apparente necessità. Le metodologie non scavano nel profondo delle persone, nei labirinti della psiche.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

Duc in altum!

**  scritto da CVC:
CitazioneNon esiste più la verità in quanto non esiste più la fede nella verità.

Molto perspicace tutta la tua ultima riflessione, penso che sia un'interessante analisi sulla ricerca della verità nella società, ma penso sia doveroso confutare a questo semplice e profondo concetto.

La verità, intesa come dimensione o valore assoluto, non può non esistere, qualunque essa sia. Così come non esiste la facoltà umana di poter esistere nel pianeta Terra senza aver fede, qualunque sia l'oggetto di questa fiducia. In effetti ogni esistenza, volente o nolente, che lo sappia, lo eviti o dissimuli di non sapere, è vincolata, come tu ben dici: Se esiste una verità portatrice di un senso (Dio, il bene assoluto, la giustizia cosmica,...) allora la nostra vita risulta vincolata ad esso, occorre comportarsi in vista di tale senso. - a quella verità di/per fede.


Quando la certezza nel metodo sostituisce la certezza nel senso, la fiducia si trasferisce, inevitabilmente, da una speranza metafisica che concerne ed include un'attesa,una pazienza, una rassegnazione, ad un'aspettativa fulminea, al desiderio di appagare istantaneamente quell'obbiettivo, adesso, ora, "mò mò".
Quindi ben venga la metodologia che mi concede il piacere subitaneo, a discapito dell'arrendevole e paziente fede nel senso ultimo e primo delle cose, ma non è che con questi metodi si annulli l'ansia del dubbio di essere nella menzogna. Forse, anzi certamente s'incontra una metodologia che ci permette di convivere con essa, ma questo è un compromesso che comporta l'avere fede che quella sia la verità.
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

sgiombo

Citazione di: maral il 12 Giugno 2016, 22:51:04 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Giugno 2016, 15:57:35 PM
Ovviamente ogni accadimento c'è [tempo presente] solo nel presente finché c'è; ma se si prolunga nel tempo (se ha una durata, fatto possibilissimo), allora c' era [tempo passato] anche prima e ci sarà [tempo futuro] anche poi.
E ogni dolore se dura delle ore è sempre presente finché c'è, quindi ha una durata di alcune ore (se invece fosse costantemente presente, allora avrebbe una durata infinita, cioè sarebbe eterno).
E di nuovo, il dolore ha una durata nel momento in cui lo descrivi come un soggetto vede un oggetto, non nel momento in cui accade. Nella durata c'è un soggetto e un oggetto e per questo il soggetto concepisce il durare dell'oggetto, rispetto al diverso durare di se stesso (diversità di durata che non esiste nel momento in cui il dolore direttamente appare).
CitazioneIl rapporto fra la durata del fatto "dolore"  e del fatto "descrizione, conoscenza del dolore", essendo un rapporto necessita per avere senso di entrambi i termini fra i quali si stabilisce, ed entrambi devono essere finiti (compresa la durata del fatto "dolore", che non può dunque essere istantanea ovvero infinitamente piccola).

CitazioneSe è vero, come è vero, che (in generale, "di regola", le definizioni dei concetti significati dalle parole sono sempre in qualche misura inadeguate e quindi sempre suscettibili di ridefinizione (secondo me possibile, non sempre e comunque necessaria, altrimenti si cadrebbe inevitabilmente in una Babele tale da impedire qualunque comunicazione), tuttavia ogni ridefinizione è comunque stabilita arbitrariamente, per convenzione: bisogna cercare di mettersi d' accordo (e cercare di stabilire se le lingue preesistono ai significati o viceversa mi sembra un po' come cercare di stabilire se sia nato prima l' uovo o la gallina).
Non ho detto che è sempre necessario, è necessario quando si intende esaminare filosoficamente la questione, non ci si può arrestare davanti alla definizione, ma occorre metterla in discussione per capirne il senso che ha portato al significato che essa fa vedere nascondendone altri per far vedere solo quello. La definizione non è né un dato di natura, né un dato arbitrariamente convenuto, ma un aspetto particolare messo in luce del significare delle cose. Mettere in discussione le definizioni non significa cadere in una babele dove non ci si capisce più, ma al contrario esplorare la realtà delle cose per coglierne la verità che la dispiega. Si è in cammino e ogni passo consiste nel ribaltare ogni definizione per vedere cosa nasconde e cosa svela.
Poi se invece di voler esplorare le definizioni vogliamo fare logica matematica va bene, ma mi sa che non ne saremmo per nulla in grado (almeno non io: non ne possiedo il rigoroso linguaggio formale specialistico che necessita)
Citazione
Ovviamente ogni definizione é sempre discutibile e modificabile; ma non per questo non é arbitraria, convenzionale (e modificabile arbitrariamente per convenzione): non ha nulla di "oggettivo".
Ogni definizione semplicemente "ha" un significato, appunto quello stabilito arbitrariamente e attribuito al concetto del quale é definizione.


CitazioneIl "non piovere adesso" è un significato (di un predicato, un pensiero) che esprime esattamente (= veracemente), il (fatto) reale e positivo (del) non piovere adesso (nota l' assenza delle virgolette), è l'accadere di un predicato negativo (= una negazione nel predicare, nel pensare): per lo meno in linea di principio le stesse cose si possono dire, pensare, predicare tanto in forma positiva, quanto in forma negativa (mentre le "cose", gli enti ed eventi reali possono realmente o accadere oppure non accadere: fra il dire o pensare in forma positiva o negativa sussiste una differenza puramente formale, mentre fra l' accadere e il non accadere realmente sussiste una ben diversa differenza reale, ontologica).
E "Nulla accade" è un significato (di un predicato, un pensiero) che esprime esattamente (ma falsamente) questo evento che nulla accade (nota l' assenza delle virgolette) nel suo significato (del predicato! E non della realtà!) evidente (in lingua italiana); e che è falso ma non contraddittorio (sarebbe contraddittorio casomai "nulla accade e contemporaneamente accade qualcosa").
Il "non piovere adesso" è la verità del non piovere adesso, la verità dell'evento che sta nel suo significato, ossia nel suo stesso accadere. Accade che adesso non piove, accade che nulla accade, e queste cose accadono come evidenti significati. Se dico che "accade che non piove", mentre accade che piove dico il falso non perché mi riferisco in modo errato a ciò che realmente accade, ma perché mi riferisco in modo giusto a ciò che realmente accade nascondendolo, ove ciò che realmente accade è che accade che adesso piove, ma non voglio che  si sappia. La falsità sta nel voler mantenere nascosto lo svelarsi di ciò che effettivamente accade (il referente di Phil) come significato inscindibile da esso. Ciò che si dice non è mai disgiunto da ciò che accade, nemmeno nella predicazione e la contraddizione non c'è in ultima analisi né nella realtà né nel dire, poiché se ci fosse nel dire, quel dire la contraddizione sarebbe non dire nulla.
CitazioneNon posso che rassegnarmi a constatare che non riesci a cogliere la differenza fra fatti e pensieri, realtà e verità (o meno), eventi non simbolici (=senza significato) e simboli .

CitazioneIl fatto del dolore (di qualsiasi dolore, come di qualsiasi gioia; e non il significato della parola "dolore") viene ben prima di qualsiasi definizione stipulata per convenzione; ma con le parole possiamo benissimo parlare anche di enti ed eventi inesistenti, irreali (come per esempio minotauri, chimere, imprese di Ercole ecc.), attribuendo alle (stipulando per le) parole anche significati che non denotano alcunché di venuto prima, né che mai verrà (presumibilmente) dopo di esse.
Non si parla mai di enti non esistenti, ma di enti il cui significato si vuole tenere nascosto. magari con un riferimento letterale. I minotauri, le chimere e via dicendo non sono enti non essenti (e dunque contraddizioni), ma esistono (accadono) proprio per quello che propriamente significano.

CitazioneBeh quando parlo dell' ippogrifo parlo di un ente non esistente e non intendo affatto tenere nascosto alcunché (in particolare il fatto che non esste).

I minotauri, le chimere e via dicendo non esistono; esistono soli i concetti di "minotauro", "chimera", ecc. (per "essente" non so cosa si intenda).

Non c'è un mondo che si dice o si pensa in contrapposizione a un mondo reale che si può direttamente sentire e in cui il primo gode di illimitati gradi di libertà rispetto al secondo. Il mondo semantico è espressione diretta del mondo sentito accadere e il mondo sentito è espressione di quello che si pensa e hanno esattamente la stessa necessità che risiede nel loro manifestarsi come un unico mondo avente il significato di unico mondo.
CitazioneSe così fsse saremmo degli dei onniscienti e infallibili!

CitazioneChe un dolore (che è un fatto! E infatti si può discutere della sua realtà o meno, non della sua verità) è presente mentre è presente è una tautologia.
Non è il predicato di un'esperienza: è quell' esperienza (sempre in lingua italiana, come in qualsiasi altra lingua).
Ma il fatto è nient'altro che una tautologia che si è compiuta nel suo significare. E proprio per questo non se ne può discutere (almeno finché non appare che forse non si era compiuta, che era rimasto nascosto il suo compimento e, a quel punto, il fatto non è più un fatto e lo si può rimettere in discussione).
CitazioneRibadisco la mia rassegnazione a constatare che non cogli la differenza fra fatti e pensieri, realtà e verità (o meno), eventi non simbolici (=senza significato) e simboli .

maral

Citazione di: CVCL'episteme di è spostata dall'essere alla metodologia. La   conoscenza non è più rivolta alla ricerca di una realtà assoluta che spieghi il tutto, ma si pone degli obbiettivi particolari, e ciò che conta è la verità nelle metodologie che portano al raggiungimento di tali obiettivi.
Ma questo non fa che spostare il problema senza risolverlo. Se ormai siamo giunti a pensare che non c'è più la pretesa di una realtà assolutamente vera, c'è pur sempre la pretesa di un metodo assolutamente vero. E su che cosa si basa tale pretesa? Sul fatto che l'applicazione tecnica a cui quel metodo dà luogo funziona. Dunque la verità assoluta è il funzionare della tecnica. Ma davvero funziona o è lecito dubitarne?

davintro

La metodologia è un mezzo, uno strumento da utilizzare, per un fine, che è, in sede filosofica, la scoperta della verità, ma non può mai essere fine a se stessa. Io teorizzo epistemologicamente un metodo di ricerca perchè ho l'obiettivo di arrivare ad un risultato che è la conoscenza della verità. Se avessi perso la fiducia nella possibilità di raggiungere tale conoscenza,a che pro affannarmi a definire un metodo migliore di ricerca? La necessità del metodo sorge non dalla perdita di fede (o fiducia) nell'obiettivo, ma dalla coscienza di difficoltà ed ostacoli che vanno rimossi, e la rimozione presuppone il superamento di una condizione esperienziale meramente ingenua, spontanea, premetodica. Non si può dire che la riflessione sul metodo sostituisca quella sulla verità o sul sul senso delle cose, perchè si tratta di due aspetti correlati. Se io in sede epistemologica prediligo la logica deduttiva a quella induttiva ciò ha dirette implicazioni sulla visione ontologica: se per me  il metodo di ricerca della verità è deduttivo è perchè pongo come punto di partenza della ricerca un'apriorità del discorso (da cui poi dedurre) che colgo perchè a tale apriorità corrisponde una verità e un senso delle cose, appunto, "a-priori", trascendente la realtà contingente, vale a dire il riconoscimento di un livello dell'essere metafisico. Mentre una metafisica su base induttiva è assurda. In pratica per ogni metodologia è sempre sottesa, magari implicitamente e senza piena consapevolezza da parte dell'epistemologo stesso che teorizza il metodo, un'opzione ontologica, cioè una tesi sulla verità delle "cose stesse". Per ogni metodo corrisponde un aspetto, un livello della realtà all'interno del quale considerare la verità

cvc

Citazione di: maral il 13 Giugno 2016, 13:50:06 PM
Citazione di: CVCL'episteme di è spostata dall'essere alla metodologia. La   conoscenza non è più rivolta alla ricerca di una realtà assoluta che spieghi il tutto, ma si pone degli obbiettivi particolari, e ciò che conta è la verità nelle metodologie che portano al raggiungimento di tali obiettivi.
Ma questo non fa che spostare il problema senza risolverlo. Se ormai siamo giunti a pensare che non c'è più la pretesa di una realtà assolutamente vera, c'è pur sempre la pretesa di un metodo assolutamente vero. E su che cosa si basa tale pretesa? Sul fatto che l'applicazione tecnica a cui quel metodo dà luogo funziona. Dunque la verità assoluta è il funzionare della tecnica. Ma davvero funziona o è lecito dubitarne?
Il metodo scientifico è adatto per dirci cosa c'è nel nostro ambiente e come funziona, ma non è in grado di darci indicazioni sul valore. Almeno secondo il mio limitato punto di vista.  Ha senso dire che la nostra vita ha più valore di quella di un uomo primitivo? Sono due momenti diversi di una stessa evoluzione, ma il valore dell'evoluzione non cambia a seconda dello stadio che consideriamo, perché il conseguente esiste in virtù del precedente. Quando capiamo, ma forse sarebbe meglio dire intuiamo e poi verifichiamo, il senso della vita e dell'esistenza, è allora che percepiamo la verità. Ma la verità non può essere rinchiusa in un metodo, contrariamente a quello che oggi, secondo me, si pensa. La verità è forse più uno stato d'animo che un concetto oggettivo.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

cvc

Citazione di: davintro il 13 Giugno 2016, 15:43:47 PM
La metodologia è un mezzo, uno strumento da utilizzare, per un fine, che è, in sede filosofica, la scoperta della verità, ma non può mai essere fine a se stessa. Io teorizzo epistemologicamente un metodo di ricerca perchè ho l'obiettivo di arrivare ad un risultato che è la conoscenza della verità. Se avessi perso la fiducia nella possibilità di raggiungere tale conoscenza,a che pro affannarmi a definire un metodo migliore di ricerca? La necessità del metodo sorge non dalla perdita di fede (o fiducia) nell'obiettivo, ma dalla coscienza di difficoltà ed ostacoli che vanno rimossi, e la rimozione presuppone il superamento di una condizione esperienziale meramente ingenua, spontanea, premetodica. Non si può dire che la riflessione sul metodo sostituisca quella sulla verità o sul sul senso delle cose, perchè si tratta di due aspetti correlati. Se io in sede epistemologica prediligo la logica deduttiva a quella induttiva ciò ha dirette implicazioni sulla visione ontologica: se per me  il metodo di ricerca della verità è deduttivo è perchè pongo come punto di partenza della ricerca un'apriorità del discorso (da cui poi dedurre) che colgo perchè a tale apriorità corrisponde una verità e un senso delle cose, appunto, "a-priori", trascendente la realtà contingente, vale a dire il riconoscimento di un livello dell'essere metafisico. Mentre una metafisica su base induttiva è assurda. In pratica per ogni metodologia è sempre sottesa, magari implicitamente e senza piena consapevolezza da parte dell'epistemologo stesso che teorizza il metodo, un'opzione ontologica, cioè una tesi sulla verità delle "cose stesse". Per ogni metodo corrisponde un aspetto, un livello della realtà all'interno del quale considerare la verità
Sono d'accordo che la metodologia non è fine a se stessa. Ma la metodologia oggi sporge di gran lunga sulla filosofia, perché tante piccole verità certe sono preferite ad una grande verità non verificabile. La scienza avanza al motto di 'dividi et impera'. Tanto è vero che il concetto di grandezza oggi si è perso tranne che nell'accezione di valore relativo.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

davintro

Citazione di: cvc il 13 Giugno 2016, 16:31:27 PM
Citazione di: davintro il 13 Giugno 2016, 15:43:47 PMLa metodologia è un mezzo, uno strumento da utilizzare, per un fine, che è, in sede filosofica, la scoperta della verità, ma non può mai essere fine a se stessa. Io teorizzo epistemologicamente un metodo di ricerca perchè ho l'obiettivo di arrivare ad un risultato che è la conoscenza della verità. Se avessi perso la fiducia nella possibilità di raggiungere tale conoscenza,a che pro affannarmi a definire un metodo migliore di ricerca? La necessità del metodo sorge non dalla perdita di fede (o fiducia) nell'obiettivo, ma dalla coscienza di difficoltà ed ostacoli che vanno rimossi, e la rimozione presuppone il superamento di una condizione esperienziale meramente ingenua, spontanea, premetodica. Non si può dire che la riflessione sul metodo sostituisca quella sulla verità o sul sul senso delle cose, perchè si tratta di due aspetti correlati. Se io in sede epistemologica prediligo la logica deduttiva a quella induttiva ciò ha dirette implicazioni sulla visione ontologica: se per me il metodo di ricerca della verità è deduttivo è perchè pongo come punto di partenza della ricerca un'apriorità del discorso (da cui poi dedurre) che colgo perchè a tale apriorità corrisponde una verità e un senso delle cose, appunto, "a-priori", trascendente la realtà contingente, vale a dire il riconoscimento di un livello dell'essere metafisico. Mentre una metafisica su base induttiva è assurda. In pratica per ogni metodologia è sempre sottesa, magari implicitamente e senza piena consapevolezza da parte dell'epistemologo stesso che teorizza il metodo, un'opzione ontologica, cioè una tesi sulla verità delle "cose stesse". Per ogni metodo corrisponde un aspetto, un livello della realtà all'interno del quale considerare la verità
Sono d'accordo che la metodologia non è fine a se stessa. Ma la metodologia oggi sporge di gran lunga sulla filosofia, perché tante piccole verità certe sono preferite ad una grande verità non verificabile. La scienza avanza al motto di 'dividi et impera'. Tanto è vero che il concetto di grandezza oggi si è perso tranne che nell'accezione di valore relativo.

ma la stessa idea del "dividi et impera" ha alle spalle un'idea della totalità: se penso che la ricerca della verità consista nell'assommare tante piccole verità, scartando una visione globale, è perchè rifiuto una concezione dell'essere di tipo olistico: rifiuto un olismo ontologico secondo cui "il tutto è più della somma delle parti", in favore di una visione frammentata e atomistica della realtà in cui ogni singola parte va trattata separatamente dalle altre per poi operare una riunificazione meramente addizionale ed esteriore, senza considerare un complesso di relazioni che lega ogni singola parte al tutto e che dovrebbe porre come assurda l'idea di comprendere la parte come isolata dal resto. Una concezione atomista e antiolistica che, condivisibile o meno, è comunque pur sempre un modello ontologico, cioè filosofico, a cui è correlata una certa metodologia. La metodologia non "fuoriesce" dalla filosofia perchè  è parte integrante e basilare di questa

Phil

Citazione di: cvc il 13 Giugno 2016, 08:59:43 AML'episteme si è spostata dall'essere alla metodologia
La domanda chiave, secondo me, è: perché è avvenuto tale spostamento?
Probabilmente tale spostamento è stato dovuto all'avanzamento di alcune discipline scientifiche che hanno scalzato le ipotesi puramente teoretiche con analisi più oggettive, spingendo l'episteme ad "aggiornarsi" con i nuovi paradigmi scientifici.  
Un effetto collaterale, per me, è stato il depauperamento del concetto di Verità Assoluta che ha portato, da un lato, alla riduzione (anche in senso fenomenologico) del suo campo di applicazione a quello della pura verifica di proposizioni (verità come corrispondenza); dall'altro, ha lasciato spazio al criterio di funzionalità, che ne ha quasi preso il posto, in veste di strumento mondano per (tentare di) risolvere molte questioni (e non solo tecnologiche, basti pensare allo statuto epistemologico della psicologia...). 

A questo punto, come ogni elemento obsoleto, la Verità intesa come Assoluta Trascendenza, può essere ancora oggetto di considerazioni storiografiche (anche nel senso di storia della filosofia), di archiviazione filologica, di conservazione o esposizione come "feticcio vintage", o anche usata ancora dalle comunità che scelgono farvi appello (similmente a quanto avviene per la superstizione: fa parte della storia dell'uomo, qualcuno la studia, qualcuno la pratica, ma non riconoscere che sia poco più di un'autosuggestione, senza effettivo valore causale sul mondo circostante, significa essere rimasti qualche pagina indietro; il che non è detto sia poi un male...). 

Citazione di: davintro il 13 Giugno 2016, 15:43:47 PMLa metodologia è un mezzo, uno strumento da utilizzare, per un fine, che è, in sede filosofica, la scoperta della verità, ma non può mai essere fine a se stessa. Io teorizzo epistemologicamente un metodo di ricerca perchè ho l'obiettivo di arrivare ad un risultato che è la conoscenza della verità. [...] Per ogni metodo corrisponde un aspetto, un livello della realtà all'interno del quale considerare la verità
Si può dire, oggi, che la filosofia cerca ancora la verità? Che l'abbia cercata in passato è un dato di fatto; ma attualmente i filosofi (ri)cercano la verità? Non c'è forse la prevalenza speculativa dell'interpretazione (ermeneutica, sempre meno "ontologizzata"), della riflessione metodologica sui principi delle altre scienze (esempio lampante: bioetica), un atavico legame con il politico ed il sociale, etc. con la ricerca della verità ormai demandata alle "scienze della natura" (o alla logica proposizionale)? Davvero l'episteme di oggi ha per oggetto la Verità?

Il legame Verità-Senso-Metafisica, per come la vedo, è un'eredità teoretica di un pensiero antico, che forse si è consumato senza spegnersi totalmente, covando sotto la cenere il proprio ardere, o magari scaldandoci anche oggi che, a differenza del passato, possiamo optare anche di usare i termosifoni...  ;)

HollyFabius

Citazione di: Duc in altum! il 13 Giugno 2016, 10:01:36 AM
**  scritto da CVC:
CitazioneNon esiste più la verità in quanto non esiste più la fede nella verità.

Molto perspicace tutta la tua ultima riflessione, penso che sia un'interessante analisi sulla ricerca della verità nella società, ma penso sia doveroso confutare a questo semplice e profondo concetto.

La verità, intesa come dimensione o valore assoluto, non può non esistere, qualunque essa sia. Così come non esiste la facoltà umana di poter esistere nel pianeta Terra senza aver fede, qualunque sia l'oggetto di questa fiducia. In effetti ogni esistenza, volente o nolente, che lo sappia, lo eviti o dissimuli di non sapere, è vincolata, come tu ben dici: Se esiste una verità portatrice di un senso (Dio, il bene assoluto, la giustizia cosmica,...) allora la nostra vita risulta vincolata ad esso, occorre comportarsi in vista di tale senso. - a quella verità di/per fede.


Quando la certezza nel metodo sostituisce la certezza nel senso, la fiducia si trasferisce, inevitabilmente, da una speranza metafisica che concerne ed include un'attesa,una pazienza, una rassegnazione, ad un'aspettativa fulminea, al desiderio di appagare istantaneamente quell'obbiettivo, adesso, ora, "mò mò".
Quindi ben venga la metodologia che mi concede il piacere subitaneo, a discapito dell'arrendevole e paziente fede nel senso ultimo e primo delle cose, ma non è che con questi metodi si annulli l'ansia del dubbio di essere nella menzogna. Forse, anzi certamente s'incontra una metodologia che ci permette di convivere con essa, ma questo è un compromesso che comporta l'avere fede che quella sia la verità.
Io credo che Popper abbia chiarito questo punto. Le due cose possono tranquillamente convivere.
La verità scientifica non esiste ma esiste bensì la verificabilità scientifica ovvero la falsificabilità, le teorie sono scientifiche se contengono almeno un criterio di falsificabilità, ovvero se contengono nel loro orizzonte dei possibili risultato sperimentale che neghino la verità della tesi esposta dalla teoria.
La verità scientifica è un processo di avvicinamento basato sul metodo ma è chiaro che questo processo non interviene sulla formulazione di tesi, ovvero le tesi sono a priori sempre basate su principi e su idee perfettibili.
Uno scienziato può tranquillamente essere convinto che tutto sia generato da Dio, oppure che tutto sia generato da una forza irrazionale, oppure da due forze contrapposte, oppure da tre forze contrapposte, ecc. ecc.
Tutto ciò può essere la sua rotta spirituale, il suo convincimento personale ma le sue tesi per essere scientificamente valide devono poter contenere esperimenti di invalidazione, criteri di falsificabilità.


cvc

Che la ricerca della verità si sia concentrata sul metodo e non sull'essere credo non sia solo una mia opinione.  Kahneman e Smith vinsero entrambi il Nobel sostenendo tesi opposte in quanto entrambe le loro metodologie furono giudicate corrette. Che poi lo scienziato possa avere le sue tesi esistenziali, chi lo nega? Ma a chi interessano le tesi esistenziali dello scienziato? Semmai ai filosofi, non certo o comunque molto meno agli altri scienziati. La mia opinione è che le scoperte scientifiche poco o nulla dicono sull'essere, in quanto sono sempre una parte di un tutto che nulla dice sulla sua totalità, nulla dice sulla coincidenza fra universo osservato e senso dell'umanità. Se il senso dell'uomo è quello di poter prendere decisioni sul suo destino, questo senso si è perso poiché si delega ogni decisione alla scienza. Persino quando le sue teorie risultano inconsistenti, come nel caso delle teorie di mercato che dovrebbero valere partendo da dei presupposti: concorrenza perfetta, simmetria informativa, assenza di esternalità. Presupposti che di fatto non si verificano mai o quasi.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

sgiombo

#72
Citazione di: cvc il 13 Giugno 2016, 19:50:13 PM
Che la ricerca della verità si sia concentrata sul metodo e non sull'essere credo non sia solo una mia opinione.  Kahneman e Smith vinsero entrambi il Nobel sostenendo tesi opposte in quanto entrambe le loro metodologie furono giudicate corrette. Che poi lo scienziato possa avere le sue tesi esistenziali, chi lo nega? Ma a chi interessano le tesi esistenziali dello scienziato? Semmai ai filosofi, non certo o comunque molto meno agli altri scienziati. La mia opinione è che le scoperte scientifiche poco o nulla dicono sull'essere, in quanto sono sempre una parte di un tutto che nulla dice sulla sua totalità, nulla dice sulla coincidenza fra universo osservato e senso dell'umanità. Se il senso dell'uomo è quello di poter prendere decisioni sul suo destino, questo senso si è perso poiché si delega ogni decisione alla scienza. Persino quando le sue teorie risultano inconsistenti, come nel caso delle teorie di mercato che dovrebbero valere partendo da dei presupposti: concorrenza perfetta, simmetria informativa, assenza di esternalità. Presupposti che di fatto non si verificano mai o quasi.

La scienza non é la filosofia.

Le teorie scientifiche possono veracemente parlare solo di ciò che é scientificamente indagabile, conoscibile (in quanto intersoggettivo e quantitativamente misurabile), la "res extensa", l' ambito materiale - naturale della realtà (e qui sono assolutamente imbattibili da qualsiasi preteso "sapere alternativo").
Non possono parlare di (ovvero: non possono che dire castronerie se prenedono di farlo) ciò che non é intersoggettivo e quantitativamente misurabile, la "res cogitans", il mondo mentale, sentimentale, etico, estetico, ecc.; oppure anche la realtà in quanto considerata nella sua generalità e non limitatamente alla res extensa (ontologia, metafisica: vedi le sciocchezze ripetutamente propalate da fior di scienziati su "multiverso", "principio antropico", ecc.).

Quanto poi alla economia (borghese-capitalistica) si tratta solo di pessima ideologia reazionaria, pressocché l' esatto conrario della scienza (chiunque non abbia chili di fette di salame sugli occhi può quotidianamente constatare che "bocconiani e affini", oltre ad essere miserabili nemici del popolo al servizio delle vampiresche -insaziabili di sangue umano- e criminalissime caste usuraie dominanti sono anche del tutto sprovveduti scientificamente, "non ne imbroccano mai una che é una, nemmeno per isbaglio"; un esempio per tutti: la megera Fornero).
Se il dominio delle classi sfruttatrici e parassitarie si fondasse, anziché sulla forza bruta e su un sofisticatissimo e potentissimo e monopolistico -assoltamente antidemocratico- sistema di disinformazione e inganno di masa, sulla loro perspicacia e la loro pretesa "scienza" sarebbe già miseramente crollato da un bel pezzo! .

cvc

Citazione di: sgiombo il 14 Giugno 2016, 08:21:39 AM
Citazione di: cvc il 13 Giugno 2016, 19:50:13 PM
Che la ricerca della verità si sia concentrata sul metodo e non sull'essere credo non sia solo una mia opinione.  Kahneman e Smith vinsero entrambi il Nobel sostenendo tesi opposte in quanto entrambe le loro metodologie furono giudicate corrette. Che poi lo scienziato possa avere le sue tesi esistenziali, chi lo nega? Ma a chi interessano le tesi esistenziali dello scienziato? Semmai ai filosofi, non certo o comunque molto meno agli altri scienziati. La mia opinione è che le scoperte scientifiche poco o nulla dicono sull'essere, in quanto sono sempre una parte di un tutto che nulla dice sulla sua totalità, nulla dice sulla coincidenza fra universo osservato e senso dell'umanità. Se il senso dell'uomo è quello di poter prendere decisioni sul suo destino, questo senso si è perso poiché si delega ogni decisione alla scienza. Persino quando le sue teorie risultano inconsistenti, come nel caso delle teorie di mercato che dovrebbero valere partendo da dei presupposti: concorrenza perfetta, simmetria informativa, assenza di esternalità. Presupposti che di fatto non si verificano mai o quasi.

La scienza non é la filosofia.

Le teorie scientifiche possono veracemente parlare solo di ciò che é scientificamente indagabile, conoscibile (in quanto intersoggettivo e quantitativamente misurabile), la "res extensa", l' ambito materiale - naturale della realtà (e qui sono assolutamente imbattibili da qualsiasi preteso "sapere alternativo").
Non possono parlare di (ovvero: non possono che dire castronerie se prenedono di farlo) ciò che non é intersoggettivo e quantitativamente misurabile, la "res cogitans", il mondo mentale, sentimentale, etico, estetico, ecc.; oppure anche la realtà in quanto considerata nella sua generalità e non limitatamente alla res extensa (ontologia, metafisica: vedi le sciocchezze ripetutamente propalate da fior di scienziati su "multiverso", "principio antropico", ecc.).

Quanto poi alla economia (borghese-capitalistica) si tratta solo di pessima ideologia reazionaria, pressocché l' esatto conrario della scienza (chiunque non abbia chili di fette di salame sugli occhi può quotidianamente constatare che "bocconiani e affini", oltre ad essere miserabili nemici del popolo al servizio delle vampiresche -insaziabili di sangue umano- e criminalissime caste usuraie dominanti sono anche del tutto sprovveduti scientificamente, "non ne imbroccano mai una che é una, nemmeno per isbaglio"; un esempio per tutti: la megera Fornero).
Se il dominio delle classi sfruttatrici e parassitarie si fondasse, anziché sulla forza bruta e su un sofisticatissimo e potentissimo e monopolistico -assoltamente antidemocratico- sistema di disinformazione e inganno di masa, sulla loro perspicacia e la loro pretesa "scienza" sarebbe già miseramente crollato da un bel pezzo! .
Il problema penso stia proprio nel campo di applicazione della scienza. I successi del metodo sperimentale soprattutto nel campo della meccanica, della chimica e della fisica in generale hanno dato l'illusione, sulla scorta del positivismo e del sentimento di fiducia nel progresso illuministico e ottocentesco, che gli stessi risultati potessero essere replicati nelle scienze sociali, una volta dette umanistiche. Il problema è tutto qua visto che, parlando di verità, le verità che emergono dalle scoperte scientifiche, che d'altra parte alimentano l'illimitata fiducia nel progresso, sono verità che incontrano forti limitazioni quando vengono applicate nella sfera delle scienze sociali o umane. Questo perché emerge prepotentemente il problema della libertà. La libertà è tanto importante per l'uomo che viene protetta con le leggi. Ma le possibilità di manipolazione che ha raggiunto, ad esempio, la biologia si sono sviluppate ad una velocità tale per cui le leggi non riescono più a stargli dietro. Si è raggiunta la possibilità di attuare la procreazione assistita ma non si riesce a trovare una legge soddisfacente che la regoli. Lo stesso vale per le cellule staminali e altre problematiche che conosci meglio di me. In definitiva si è creato uno scarto per cui le leggi dell'uomo, il nomos, non riesce più a stare dietro alle leggi di natura, la physis. Tanto che oramai, secondo me, la tendenza è quella di ignorare il problema delle leggi in quanto dibattito sulla libertà, perché l'illimitata fiducia nel progresso spera che anche la soluzione di questo problema si possa trovare studiando la physis.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

paul11

la scienza non è filosfia così come non è arte e nemmeno spiritualità o metafisca , perchè ogni dominio legge la realtà e verità a modo suo.
E adatto che ad un certo punto della storia il vedere è stato più importante del credere, la vista vede una realtà che si scambia per verità e ne fa un metodo accertativo e veritativo. Ma è solo un dominio E noi come singoli umani siamo molto più di quel solo dominio che da un parte ci allieta con le sue scoperte e invenzioni e dall'altra ci aliena ,dimentico di una verità perduta.
Noi non siamo solo induzione scientifica, siamo deduzione metafisica e intuizione artistica creativa e meditazione spirituale,

La semiologia pone alla fine l'accento sul significante perchè è l'osservativo interpretativo che decide se il segno simbolo è corrispondente al referente oggetto.Ovvero è l'uomo che decide culturalmente quale dominio gerarchico decide sugli altri.

Leibniz pensava che la parola potesse divenire esatta come il numero matematico, aritmetico, geometrico, la risposta è che la logica formale predicativa o proposizionale non può esaurire il pensiero che divine parola, ovvero quel segno -referente .
E' assai arduo trasferire cervelli che sono menti che sono coscienze e financo autocoscienze dentro un linguaggio formale che al massimo può dare un giudizio di falso o vero solo per quella proposizione.
Cosi siamo ridotti a cercare verità nei particolari e a continuare a stupirci di fronte ad una visione di un cielo stellato che ci pone le consuete e desuete domande sulla nostra esistenza.

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