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Che cos'è la verità?

Aperto da maral, 24 Maggio 2016, 15:17:26 PM

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davintro

Completamente d'accordo con Sgiombo, la verità attiene al piano dei giudizi, ciò attraverso cui il soggetto prende posizione nei confronti di un mondo oggettivo, non a quello estetico dei sentimenti o delle sensazioni, che restano eventi in cui è ancora assente un'oggettivazione. Fintanto che mi limito ad avvertire un dolore, questo dolore non è tematizzato, non è oggetto di una presa di posizione per la quale posso dire cose vere o false. Non ha alcun senso dire che un dolore, una gioia, una paura, una tristezza è "vera", posso dire cose vere di essi nella misura in cui trascendo la condizione di soggetto senziente per farmi soggetto conoscente, dunque giudicante, giudicante nei confronti di questi sentimenti che vengono oggettivati. Eppure anche i sentimenti hanno a che fare con la realtà oggettiva. Ma non nel senso della "verità", ma dell' "adeguatezza". La paura dello studente il giorno prima dell' esame non è "vera" o "falsa", perchè la  paura di per sè non è giudizio. Io posso avere paura del fatto che l'esame possa andar male e tuttavia non emettere un giudizio negativo. Questo perchè mentre il giudizio vero-falso si pone come un aut-aut, un salto qualitativo tra due alternative che si escludono a vicenda, la paura come tutti i sentimenti sono una quantità, qualcosa che è presente "più o meno" in me, è presente in me condividendo uno spazio psichico con la speranza di un buon esito dell'esame. Se l'esame fosse più facile di quello che pensi si può dire che la mia paura è eccessiva in relazione all'evento che mi attende, ma non che è "falsa". E nel caso dell'amore ci allontaniamo ancora di più dall'ambito della verità, dato che, mentre la paura almeno è collegata all'eventualità di un fatto oggettivo (la non riuscita di un esame), l'amore è legato ad un gusto soggettivo, un'attribuzione di un valore soggettivo che l'amante rivolge nei confronti della persona amata, è vero che amo e che ho paura, ma nel momento in cui sto amando o temendo non sto affermando alcuna verità o falsità. La verità va considerata all'interno del piano logico e cognitivo dei giudizi, va distinto dal piano estetico dei sentimenti, è appannaggio della scienza (comprendente anche la filosofia), non dell'arte, quantomeno non in modo esplicito e diretto

Lou

davintro, fammi capire, dove non aattiene una oggettivazione non ha senso parlare di "veritá"? ???
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

davintro

Citazione di: Lou il 01 Giugno 2016, 22:19:39 PMdavintro, fammi capire, dove non aattiene una oggettivazione non ha senso parlare di "veritá"? ???

A mio avviso no, non avrebbe senso... Quantomeno se si accetta l'idea della verità come corrispondenza del giudizio con la realtà delle cose. Se non sono in grado di riferire i miei pensieri ad una realtà oggettiva allora mancherebbe il criterio in base a cui definire la corrispondenza dei miei giudizi con la realtà perchè... non ci sarebbe nulla a cui far corrispondere! Ciò che pongo come valore solo per la mia soggettività è al di qua della verità o falsità perchè in me mancherebbe l'idea di una realtà oggettiva di fronte a cui stabilire la verità dei miei pensieri. Le cose sarebbero diverse solo cambiando lo statuto e la definizione del concetto di "verità", slegando questa dalla relazione di corrispondenza con la realtà... ma secondo me ciò sarebbe la fine di qualunque senso si possa attribuire alla conoscenza scientifica, che cerca appunto la verità del reale, almeno così penso...

maral

Citazione di: sgiombo il 01 Giugno 2016, 11:41:02 AM
Veri o falsi possono essere solo credenze, predicati, giudizi, conoscenze.
E questo secondo te è vero o falso? In base a cosa?

CitazioneAnche credenze, predicati, giudizi, conoscenze sono fatti (che dunque in quanto tali possono essere reali o meno); ma fatti del tutto peculiari: gli unici fatti che possono (anche) essere veri o falsi.
E perché? In base a cosa fai questa distinzione tra fatti?

maral

Citazione di: davintro il 01 Giugno 2016, 22:14:46 PM
Fintanto che mi limito ad avvertire un dolore, questo dolore non è tematizzato, non è oggetto di una presa di posizione per la quale posso dire cose vere o false.
E' il suo diretto presentarsi che lo rivela vero, e indiscutibilmente vero. In questo caso la verità non è il risultato di un giudizio ponderato e oggettivo, ma di un puro accadere. Ammesso che sia mai esistito un giudizio puramente oggettivo che riguarda il vissuto (i giudizi oggettivi possono venire dati solo su preposizioni formali, come i teoremi matematici) e non piuttosto sempre condizionati dalla posizione soggettiva da cui si giudica. Anche la scienza riduce il concetto di oggettività a quello della costruzione di una soggettività condivisa, secondo un metodo applicabile in determinati campi e in altri no.
Citazionema nel momento in cui sto amando o temendo non sto affermando alcuna verità o falsità.
Come no, sto affermando la verità assoluta del mio amore, poiché semplicemente lo sento è vero e reale insieme.
CitazioneLa verità va considerata all'interno del piano logico e cognitivo dei giudizi, va distinto dal piano estetico dei sentimenti, è appannaggio della scienza (comprendente anche la filosofia), non dell'arte, quantomeno non in modo esplicito e diretto
E perché mai? Non sarebbe piuttosto meglio pensare che la verità, pur essendo una sola, ha diversi modi di presentarsi e a volte, anziché di un giudizio preceduto da analisi logica, ha bisogno di un'esperienza (che a volte può non avere né soggetto né oggetto, come l'angoscia, o la gioia senza motivo) o anche di un'interpretazione?


sgiombo

#35
Citazione di: maral il 05 Giugno 2016, 23:06:22 PM
Citazione di: sgiombo il 01 Giugno 2016, 11:41:02 AM
Veri o falsi possono essere solo credenze, predicati, giudizi, conoscenze.
E questo secondo te è vero o falso? In base a cosa?

CitazioneAnche credenze, predicati, giudizi, conoscenze sono fatti (che dunque in quanto tali possono essere reali o meno); ma fatti del tutto peculiari: gli unici fatti che possono (anche) essere veri o falsi.
E perché? In base a cosa fai questa distinzione tra fatti?

Proprio non capisco.
Quanto da me scritto sono semplicemente i significati comunemente attribuiti ai termini "reale" non reale", "vero" e "falso".

Il fatto che veri o falsi possono essere solo credenze, predicati, giudizi, conoscenze, ovvero la loro peculiarità di poter essere veri o falsi (oltre che, come tutti gli altri fatti, reali o meno) sono veri in base ai significati che comunemnete si attribuiscono a questi temini, a come di definiscono questi concetti, a ciò che si intende per essi, la loro connotazione.
Cioé é vero che questo di fatto comunemente si intende con questi concetti (e non con quello di "fatto in generale"); se tu attribuisci ad essi per qualche tuo motivo significati diversi, tali per cui ad esempio un sentimento di amore (e non: la dichiarazione di un sentimento di amore), oltre a poter essere reale o meno, a poter accadere o meno, può anche essere vero o meno, allora é necessario che ci traduciamo reciprocamente i differenti linguaggi che usiamo.

sgiombo

#36
Citazione di: maral il 05 Giugno 2016, 23:32:19 PM
Citazione di: davintro il 01 Giugno 2016, 22:14:46 PM
Fintanto che mi limito ad avvertire un dolore, questo dolore non è tematizzato, non è oggetto di una presa di posizione per la quale posso dire cose vere o false.
E' il suo diretto presentarsi che lo rivela vero, e indiscutibilmente vero. In questo caso la verità non è il risultato di un giudizio ponderato e oggettivo, ma di un puro accadere. Ammesso che sia mai esistito un giudizio puramente oggettivo che riguarda il vissuto (i giudizi oggettivi possono venire dati solo su preposizioni formali, come i teoremi matematici) e non piuttosto sempre condizionati dalla posizione soggettiva da cui si giudica. Anche la scienza riduce il concetto di oggettività a quello della costruzione di una soggettività condivisa, secondo un metodo applicabile in determinati campi e in altri no.
Citazionema nel momento in cui sto amando o temendo non sto affermando alcuna verità o falsità.
Come no, sto affermando la verità assoluta del mio amore, poiché semplicemente lo sento è vero e reale insieme.
CitazioneLa verità va considerata all'interno del piano logico e cognitivo dei giudizi, va distinto dal piano estetico dei sentimenti, è appannaggio della scienza (comprendente anche la filosofia), non dell'arte, quantomeno non in modo esplicito e diretto
E perché mai? Non sarebbe piuttosto meglio pensare che la verità, pur essendo una sola, ha diversi modi di presentarsi e a volte, anziché di un giudizio preceduto da analisi logica, ha bisogno di un'esperienza (che a volte può non avere né soggetto né oggetto, come l'angoscia, o la gioia senza motivo) o anche di un'interpretazione?

I giudizi su proposizioni formali, come i teoremi matematici, sono giudizi analitici a priori, non giudizi circa la realtà (oggettiva) o meno, ma sui termini delle definizioni e degli assiomi (possono essere logicamente corretti o meno).
Quelli sui fatti empiricamente constatabili sono sintetici a posteriori; e questi ultimi possono essere in accordo con la realtà dei fatti (oggettivi, o meglio, secondo me, intersoggettivi) o meno.

Possono dunque darsi verità -o falsità- logiche (analitiche a priori) o empiriche (sintetiche a posteriori), ma non fatti (in generale; fatti diversi dai giudizi)  veri o falsi, bensì soltanto reali o meno (secondo il significato che comunemente si attribuisce a queste parole, che altrimenti necessitiamo, onde comunicare, di tradurci i nostri rispettivi, fra loro differenti linguaggi).

davintro

#37
Rispondo a Maral:

Cosa sarebbe la "verità assoluta del mio amore?" Quale verità posso dire riguardo all'amore che posso provare, per esempio, per una persona? Posso dire che la persona  che amo "merita" di essere amata", posso dire che "io sono innamorato di questa persona", ma queste verità (o falsità) sono prese di posizione che pongo in atto nel momento in cui pongo il mio sentimento non più come situazione che mi assorbe, ma come fatto che io rendo OGGETTO di una valutazione, nel momento in cui io in un certo senso mi scindo tra "me" in quanto soggetto che che valuta e che pensa cose vere e false e "me" in quanto oggetto che diviene il tema della valutazione, l'incapacità di questo duplicarsi renderebbe impossibile il pormi come soggetto della verità

Maral scrive:
"Ammesso che sia mai esistito un giudizio puramente oggettivo che riguarda il vissuto (i giudizi oggettivi possono venire dati solo su preposizioni formali, come i teoremi matematici) e non piuttosto sempre condizionati dalla posizione soggettiva da cui si giudica. Anche la scienza riduce il concetto di oggettività a quello della costruzione di una soggettività condivisa, secondo un metodo applicabile in determinati campi e in altri no."

Mi sembra (possibile che abbia capito male) che si stiano un pò confondendo i piani del discorso. Per il problema della definizione della verità è sufficiente riconoscere in generale l'idea di un mondo oggettivo come ideale regolativo, criterio trascendentale in base a cui pensare un giudizio come più o meno adeguato, cioè più o meno vero. Il fatto (innegabile) del condizionamento della posizione soggettiva nella nostra conoscenza della realtà non smentisce il dato che noi in quanto soggetti pensanti siamo intenzionalmente rivolti verso un'oggettività che cerchiamo di riconoscere, intepretare, giudicare. La questione dell'impossibilità di raggiungere una conoscenza pienamente oggettiva è altra rispetto a quella di ammettere, al di là di tutte le possibili concettualizzazioni o interpretazioni, l'esistenza di una realtà oggettiva pensata genericamente che funga da criterio di definizione della verità. Il "quid", l'essenza, della verità resta indipendente dal fatto che gli uomini per i loro limiti intrinseci siano impossibilitati a giungere a una piena conoscenza di tale verità: per dire che l'uomo non giungerà mai a una verità oggettiva slegata dal condizionamento soggettivo devo ammettere A PRIORI l'idea di sapere in cosa consiste il concetto di "verità" e di "oggettività". E questa apriorità separa il problema della definizione della verità da quello delle possibilità umane di conoscerla nelle sue determinazioni concrete.

Così come bisogna stare attenti a distinguere il piano fenomenologico da quello logico: giustamente distingui l'angoscia, che non ha presente il suo oggetto dalla paura, in cui ciò è presente, ma l'angoscia è assenza di oggetto dal punto di vista fenomenologico, nell'impossibilità di associare a tale angoscia un contenuto determinato e specifico, è un vuoto che non riesco fenomenologicamente (cioè intuitivamente) a "riempire materialmente". Ma dal punto di vista logico e formale l'oggetto c'è: questo vuoto, questa indeterminatezza, nella misura in cui ne ho coscienza diviene oggetto. Oggetto e soggetto sono poli di una dialettica logica e trascendentale che regolano ogni tipo di esperienza, non hanno bisogno di un riempimento empirico per costituirsi. Qualunque cosa può essere oggetto e soggetto, l'essere oggetto e soggetto non dipende da delle qualità "materiali" delle cose, ma dal tipo di relazioni logiche e formali che legano le cose ad altro cose E nel momento in cui riconosco di essere io il soggetto che prova angoscia l'angoscia acquisisce anche un soggetto, così come riflessivamente riconosco me stesso come il soggetto della mia gioia. La gioia non ha bisogno di avere un motivo per divenire oggetto: è sufficiente che sia tematizzata da un atto riflessivo del soggetto che prova gioia rivolto verso il proprio stato psichico, l'oggetto della gioia non sarà il motivo, ma il vissuto stesso che definiamo "gioia".

Comunque non vorrei passasse l'idea che io sia una sorta di iperrazionalista che esclude ogni legame tra la verità e il piano estetico dei sentimenti. Il nesso c'è. A parte le banalità sentimentalistiche sull' "amore cieco" o "l'amore che fa perdere la testa", l'amore presuppone un livello di conoscenza (dunque di giudicabilità) di ciò che si ama, dunque chi ama è amante in quanto presume delle verità (a prescindere da eventuali errori o illusioni) su ciò che ama: il formarsi dei sentimenti è in un certo senso la conseguenza di giudizi in cui sosteniamo verità o falsita riguardo le qualità di ciò che amiamo, dunque, retrospettivamente, i sentimenti che provo possono illuminarmi circa delle conoscenze in me latenti che divengono escplicito e chiaro contenuto di coscienza e di attenzione, che però senza l'emergere del sentimento sarebbero rimasti "inconsci". In questo senso il sentimento è un fondamentale supporto per la scoperta della verità, ma non perchè i sentimenti determino i giudizi, ma al contrario perchè i sentimenti che provo si formano a partire anche (non solo) a partire dai giudizi. Semplificando molto il discorso si può dire che risalgo dagli effetti alle cause

maral

Citazione di: sgiombo il 06 Giugno 2016, 08:20:04 AM
Proprio non capisco.
Quanto da me scritto sono semplicemente i significati comunemente attribuiti ai termini "reale" non reale", "vero" e "falso".

Il fatto che veri o falsi possono essere solo credenze, predicati, giudizi, conoscenze, ovvero la loro peculiarità di poter essere veri o falsi (oltre che, come tutti gli altri fatti, reali o meno) sono veri in base ai significati che comunemnete si attribuiscono a questi temini, a come di definiscono questi concetti, a ciò che si intende per essi, la loro connotazione.
Cioé é vero che questo di fatto comunemente si intende con questi concetti (e non con quello di "fatto in generale"); se tu attribuisci ad essi per qualche tuo motivo significati diversi, tali per cui ad esempio un sentimento di amore (e non: la dichiarazione di un sentimento di amore), oltre a poter essere reale o meno, a poter accadere o meno, può anche essere vero o meno, allora é necessario che ci traduciamo reciprocamente i differenti linguaggi che usiamo.
Scusa Sgiombo. ma quello che di fatto comunemente si intende è proprio quello che di fatto è filosoficamente doveroso analizzare e criticare chiedendosi perché comunemente lo si intende. Qual è il fondamento di questo comunemente. Se non ci si pone questa domanda, se dopo aver detto che comunemente la si intende così non si va a vedere cosa ci sta sotto allora non si sta facendo filosofia, ma chiacchiere (interessanti finché si vuole, e magari pure con un certo gusto filosofico, ma solo chiacchiere). Non è una questione di linguaggi diversi, ma di intenti. Per questo ti ho fatto le domande di cui sopra, per capire cosa ci sta sotto (e per vedere se si riesce a vederlo insieme). Il comunemente non giustifica nulla, anzi.

Mario Barbella

Più che una risposta al post di Davintro, questo è solo un mio convincimento riguardo al concetto di "verità".
La verità di un proposizione sta nella sua coerenza con l'intero sistema logico dell'Osservatore (con l'iniziale maiuscola). L'Osservatore può comunque "rivedere" il suo giudizio di verità ove si accorga di una possibile futura incoerenza. Sta proprio qui, in questo timore di possibile incoerenza: la flaccidità. si tratta della carenza di densità di Conoscenza che distanzia l'Osservatore dalla conoscenza assoluta, cioè da quella Singolarità  dove la densità è infinita,  questo limite di specialissima ed infinita densità viene spesso conosciuto come Dio. :)
Un augurio di buona salute non si nega neppure a... Salvini ! :)
A tavola potrebbe pure mancare il cibo ma... mai il vino ! Si, perché una tavola senza vino è come un cimitero senza morti  ;)  (nota pro cultura (ed anche cucina) mediterranea)

memento

Citazione di: maral il 24 Maggio 2016, 15:17:26 PM
I Greci chiamavano la verità aletheia ove quell' a è alfa privativo, quindi la parola significa in negativo: non-latenza, non-velato. Vero è qui il negativo di ciò che  si nasconde e la verità sta nel nudo apparire delle cose, nel loro darsi spontaneo in superficie, senza maschere a sovrapporsi. Heidegger, proprio riprendendo il pensiero greco partendo dalla fenomenologia,  intenderà la verità come radura dell'essere corrispondente all'ente. L'ente come ente (corrispondente propriamente per Heidegger solo all'uomo) è lo svelarsi dell'essere, dunque aletheia, verità.

Ben diverso da quello greco classico è il concetto che maturerà sulla verità il pensiero filosofico posteriore, cristiano e poi scientifico. La verità (intesa non più nell'accezione greca, ma in quella latina di veritas): diventerà sotterranea, recondita e profonda, essa abiterà l'interiorità sotto la superficie per cui occorrerà scavare per trovarla sotto una miriade di mascheramenti e superficiali apparenze ingannevoli messe in atto dalla natura nel mondo e nell'uomo. La verità non è più aletheia, ma prodotto risultante da una ricerca fatta per costringere la natura a svelarsi usando un preciso metodo di interrogazione (come fa il giudice in tribunale, dice Kant) e con mezzi di indagine e tortura sempre più sofisticati. La verità non è più un nudo mostrarsi spontaneo, ma un denudare la natura refrattaria per poi usarle violenza.

Cosa ha determinato nella storia del pensiero occidentale il passaggio della verità da uno stato di spontaneo naturale manifestarsi allo scavo che costringe la natura a manifestarla? Dall'apparire della nudità all'apparire del nascondimento che occorre sistematicamente forzare?
E dove e quanto della verità come aletheia è in realtà ancora tra noi?

Bisogna riconoscere che il pensiero cristiano,pur con tutti i suoi difetti,ha dato un grande impulso alla ricerca della verità. Rifiutando tutto ciò che è immediato,superficiale,sensibile,aletheia appunto,il cristiano ha educato l'uomo europeo al problema della verità con una serietà e profondità mai viste in nessun altra civiltà antica,compresa quella greca. Se il metodo della Scienza moderna è nato e si è affinato in Europa,lo si deve in parte alla tirannia della metafisica cristiana.
Non credo oggi sia necessario riscoprire la verità come aletheia. Ci manca la maturità di una civiltà come quella della Grecia antica,la maturità di uno sguardo che si ferma alla superficie,e se ne acquieta. Noi non sapremmo resistere alla tentazione di dare una sbirciatina dietro,e nemmeno Heidegger lo fa,quando separa l'essere dalla sua manifestazione,l'ente.

Cos'è la verità? Per risponderti con parole di Nietzsche:
[font='Helvetica Neue', Helvetica, 'Nimbus Sans L', Arial, 'Liberation Sans', sans-serif]"Un mobile esercizio di metafore, metonimie, antropomorfismi, in breve una somma di relazioni umane che sono state potenziate poeticamente e retoricamente, che sono state trasferite e abbellite, e che dopo un lungo uso sembrano a un popolo solide, canoniche e vincolanti: le verità sono illusioni di cui si è dimenticata la natura illusoria, sono metafore che si sono logorate e hanno perduto ogni forza sensibile, sono monete la cui immagine si è consumata e che vengono prese in considerazione soltanto come metallo, non più come monete."[/font]

maral

Citazione di: davintro il 06 Giugno 2016, 21:20:45 PM
Cosa sarebbe la "verità assoluta del mio amore?" Quale verità posso dire riguardo all'amore che posso provare, per esempio, per una persona? Posso dire che la persona  che amo "merita" di essere amata", posso dire che "io sono innamorato di questa persona", ma queste verità (o falsità) sono prese di posizione che pongo in atto nel momento in cui pongo il mio sentimento non più come situazione che mi assorbe, ma come fatto che io rendo OGGETTO di una valutazione, nel momento in cui io in un certo senso mi scindo tra "me" in quanto soggetto che che valuta e che pensa cose vere e false e "me" in quanto oggetto che diviene il tema della valutazione, l'incapacità di questo duplicarsi renderebbe impossibile il pormi come soggetto della verità
Ma sentire che si ama una persona e dirlo in verità (a quella persona, al mondo intero, a se stessi), non ha nulla a che vedere con il giudicare oggettivamente se quella persona merita o meno il mio amore, le due cose sono infinitamente lontane e non è che per questo che quel sentire che mi spinge a dire quello che sento (e sento e dico vero) ben prima di giudicarlo non ha nulla a che vedere con la verità. La situazione si svela per quello che è con il suo semplice apparire, nell'esperienza in atto che faccio desituandomi. Vogliamo chiamare questo "realtà", come dice Sgiombo, riservando il termine vero e la sua negazione al solo giudizio? Va bene, ma non ne vedo il motivo (di cui chiedevo ragione a Sgiombo che non può cavarsela dicendomi che comunemente la si intende così, giacché il comunemente non ha nessuna rilevanza e nega l'autenticità più effettiva dell'esperienza). La verità coincide nell'esperienza con la realtà in quanto sento che quella realtà è del tutto vera e quindi oggetto e soggetto in essa non sono più uno di fronte all'altro con il secondo che valuta il primo, ma sono fusi in quello che accade, sono nell'accadere di quello (qui l'amore) che accade.

CitazioneLa questione dell'impossibilità di raggiungere una conoscenza pienamente oggettiva è altra rispetto a quella di ammettere, al di là di tutte le possibili concettualizzazioni o interpretazioni, l'esistenza di una realtà oggettiva pensata genericamente che funga da criterio di definizione della verità.
.
Certo che è altra, ma quella verità che dici che deve oggettivamente esistere e a cui occorre adeguarsi, oggettivamente non esiste (senza che questo significhi che esista soggettivamente), ossia non esiste in oggetto proprio come non esiste in soggetto. Cos'è il concetto oggettivo di verità che devo ammettere a priori? Soprattutto quando lo posso definire sempre solo a posteriori, magari istituendo una regola formale? E il punto essenziale che con la mia risposta precedente volevo mettere in luce è che quella regola formale, per quanto oggettiva possa credere che sia, è sempre un soggetto che la stabilisce, ma da quale posizione la stabilisce se non dalla sua soggettiva posizione? Ed è per questo che, ribadisco, non c'è alcuna verità oggettiva: la verità se è tale non è né oggettiva né soggettiva, sta oltre qualsiasi oggetto e qualsiasi soggetto, poiché è essa che pone ogni soggetto e ogni oggetto semplicemente accadendo e accadendo coincide con la realtà, il suo accadere attuale ha già risolto ogni giudizio.
Il piano logico e fenomenologico vanno certamente distinti, ma non si può separarli, perché se la verità è vera è una, anche se può esprimersi in modi diversi, dunque esiste un modo logico e uno fenomenologico in cui l'unica verità si rivela e questi 2 modi si riferiscono al medesimo unico vero a cui entrambi rimandono, dalle rispettive posizioni. Se la logica legge il vuoto dell'angoscia come un oggetto non può che falsificare l'esperienza fenomenologica che non è per nulla quella di un oggetto-vuoto. "Il vuoto accade", questa è l'esperienza fenomenologica che il linguaggio può tradurre solo in modo molto approssimativo con tutto il rischio di oggettualizzare quel vuoto come se fosse cosa separata dal suo accadere (dalla presente eternità del suo accadere), da cui la coscienza viene assorbita, per cui io non sono soggetto di fronte a quell'angoscia oggetto, ma sono proprio quell'angoscia, sono la stessa cosa, essa è me. Le relazioni logico formali non hanno nulla a che vedere con questa verità, esse istituiscono solo una grammatica, ma la verità va sempre oltre ogni possibilità grammaticale di dirla.  


CitazioneLa gioia non ha bisogno di avere un motivo per divenire oggetto: è sufficiente che sia tematizzata da un atto riflessivo del soggetto che prova gioia rivolto verso il proprio stato psichico, l'oggetto della gioia non sarà il motivo, ma il vissuto stesso che definiamo "gioia".
Ma non è questa la gioia che accade: il soggetto che tematizza la propria gioia, se la tematizza non la vive per nulla e allora cos'è che tematizza? Forse solo il ricordo di quella gioia, la sua pallida traccia.
CitazioneIn questo senso il sentimento è un fondamentale supporto per la scoperta della verità, ma non perchè i sentimenti determino i giudizi, ma al contrario perchè i sentimenti che provo si formano a partire anche (non solo) a partire dai giudizi. Semplificando molto il discorso si può dire che risalgo dagli effetti alle cause
I sentimenti non si formano a partire dai giudizi, semmai sono i giudizi che possono formarsi a partire dai sentimenti e si formano nella speranza di trattenerli, ossia di trattenerne nella verità di un giudizio il simulacro della verità che accade, la traccia che di essa resta quando è passata e, poiché quel simulacro rimasto è sempre sbiadito, in dubbio, si preoccupa di giudicare se quella pallida traccia rimasta sia vera o falsa.

maral

Citazione di: memento il 06 Giugno 2016, 22:27:37 PM
Bisogna riconoscere che il pensiero cristiano,pur con tutti i suoi difetti,ha dato un grande impulso alla ricerca della verità. Rifiutando tutto ciò che è immediato,superficiale,sensibile,aletheia appunto
Spostando appunto la verità dal suo manifestarsi all'aperto nuda al suo nascondersi nell'interiorità dell'io. E poi non c'è da stupirsi se questo io cresce a dismisura, giacché è lui che ha dentro di sé la verità nascosta, così tutta nascosta dentro che fuori resta solo il mondo oggetto, vuoto di verità, quindi a totale disposizione. E così la verità diventò profondamente interiore.
CitazioneCos'è la verità? Per risponderti con parole di Nietzsche:
"Un mobile esercizio di metafore, metonimie, antropomorfismi, in breve una somma di relazioni umane che sono state potenziate poeticamente e retoricamente, che sono state trasferite e abbellite, e che dopo un lungo uso sembrano a un popolo solide, canoniche e vincolanti: le verità sono illusioni di cui si è dimenticata la natura illusoria, sono metafore che si sono logorate e hanno perduto ogni forza sensibile, sono monete la cui immagine si è consumata e che vengono prese in considerazione soltanto come metallo, non più come monete."
Quelle monete la cui immagine è consumata sono appunto quei simulacri che tentiamo ancora di trattenere nei giudizi di verità, l'ultimo resto di una verità che ormai può apparire solo come illusione, poiché troppo è sprofondata e troppe incrostazioni l'hanno ricoperta.[/quote]

sgiombo

Citazione di: maral il 06 Giugno 2016, 22:05:20 PM
Citazione di: sgiombo il 06 Giugno 2016, 08:20:04 AM
Proprio non capisco.
Quanto da me scritto sono semplicemente i significati comunemente attribuiti ai termini "reale" non reale", "vero" e "falso".

Il fatto che veri o falsi possono essere solo credenze, predicati, giudizi, conoscenze, ovvero la loro peculiarità di poter essere veri o falsi (oltre che, come tutti gli altri fatti, reali o meno) sono veri in base ai significati che comunemnete si attribuiscono a questi temini, a come di definiscono questi concetti, a ciò che si intende per essi, la loro connotazione.
Cioé é vero che questo di fatto comunemente si intende con questi concetti (e non con quello di "fatto in generale"); se tu attribuisci ad essi per qualche tuo motivo significati diversi, tali per cui ad esempio un sentimento di amore (e non: la dichiarazione di un sentimento di amore), oltre a poter essere reale o meno, a poter accadere o meno, può anche essere vero o meno, allora é necessario che ci traduciamo reciprocamente i differenti linguaggi che usiamo.
Scusa Sgiombo. ma quello che di fatto comunemente si intende è proprio quello che di fatto è filosoficamente doveroso analizzare e criticare chiedendosi perché comunemente lo si intende. Qual è il fondamento di questo comunemente. Se non ci si pone questa domanda, se dopo aver detto che comunemente la si intende così non si va a vedere cosa ci sta sotto allora non si sta facendo filosofia, ma chiacchiere (interessanti finché si vuole, e magari pure con un certo gusto filosofico, ma solo chiacchiere). Non è una questione di linguaggi diversi, ma di intenti. Per questo ti ho fatto le domande di cui sopra, per capire cosa ci sta sotto (e per vedere se si riesce a vederlo insieme). Il comunemente non giustifica nulla, anzi.

Ma infatti in primo luogo non si tratta di giudicare ma di stabilire il significato che diamo alle parole che usiamo, in modo da capirci (e conseguentemente confrontare le rispettive convinzioni e credenze).

Non puoi chiedermi di dimostrare perché i fatti (in generale) possono essere reali o meno e (soltanto quei molto peciìuliari fatti che sono) i predicati possono (inoltre) essere veri o falsi: é una domanda senza senso, trattandosi dei significati dei termini usati (i quali sono quel che sono perché, onde intendersi, li si stabilisce arbitrariamente per definizione.

sgiombo

#44
Citazione di: maral il 06 Giugno 2016, 23:20:54 PM

Ma sentire che si ama una persona e dirlo in verità (a quella persona, al mondo intero, a se stessi), non ha nulla a che vedere con il giudicare oggettivamente se quella persona merita o meno il mio amore, le due cose sono infinitamente lontane e non è che per questo che quel sentire che mi spinge a dire quello che sento (e sento e dico vero) ben prima di giudicarlo non ha nulla a che vedere con la verità. La situazione si svela per quello che è con il suo semplice apparire, nell'esperienza in atto che faccio desituandomi. Vogliamo chiamare questo "realtà", come dice Sgiombo, riservando il termine vero e la sua negazione al solo giudizio? Va bene, ma non ne vedo il motivo (di cui chiedevo ragione a Sgiombo che non può cavarsela dicendomi che comunemente la si intende così, giacché il comunemente non ha nessuna rilevanza e nega l'autenticità più effettiva dell'esperienza). La verità coincide nell'esperienza con la realtà in quanto sento che quella realtà è del tutto vera e quindi oggetto e soggetto in essa non sono più uno di fronte all'altro con il secondo che valuta il primo, ma sono fusi in quello che accade, sono nell'accadere di quello (qui l'amore) che accade.

Citazione


Se così fosse il giornalista che descrive (conoscenza) le imprese dello sportivo (fatti) sarebbe uguale allo sportivo stesso, il poeta che parla di Paolo e Francesca (conoscenza) sarebbe la stessa persona (di Paolo; o magari entrambi? Fatti), lo storico che descrive l' impresa dei Mille (conoscenza) sarebbe la stessa cosa di Garibaldi (fatti), ecc.


Certo che è altra, ma quella verità che dici che deve oggettivamente esistere e a cui occorre adeguarsi, oggettivamente non esiste (senza che questo significhi che esista soggettivamente), ossia non esiste in oggetto proprio come non esiste in soggetto. Cos'è il concetto oggettivo di verità che devo ammettere a priori? Soprattutto quando lo posso definire sempre solo a posteriori, magari istituendo una regola formale? E il punto essenziale che con la mia risposta precedente volevo mettere in luce è che quella regola formale, per quanto oggettiva possa credere che sia, è sempre un soggetto che la stabilisce, ma da quale posizione la stabilisce se non dalla sua soggettiva posizione? Ed è per questo che, ribadisco, non c'è alcuna verità oggettiva: la verità se è tale non è né oggettiva né soggettiva, sta oltre qualsiasi oggetto e qualsiasi soggetto, poiché è essa che pone ogni soggetto e ogni oggetto semplicemente accadendo e accadendo coincide con la realtà, il suo accadere attuale ha già risolto ogni giudizio.
CitazioneRitengo (concordo? Non so se ti ho ben capito) che lo scetticismo non sia suparebile e che non si possa avere certezza della conoscenza, ma solo si può credere vero qualcosa (qualche affermazione) che vero potrebbe benissimo non essere.

Ma per conoscenza o credenza vera si intende (o almeno io intendo, con il "popolo bue"; e se tu ritieni che i filosofi seri dovverbbero dare un altro significato alla parola dovresti spiegarmi il significato stesso "filosofico", oltre che giustificarne l' uso in alternatva a quello corrente) il fatto che si predica qialcosa circa la realtà e che la  realtà sia o divenga, almeno in qualche misura, conformemente alla predicazione stessa (che della conoscenza vera "se ne disponga" o meno; indipendentemente dall' insuperabilità del dubbio scettico).




I sentimenti non si formano a partire dai giudizi, semmai sono i giudizi che possono formarsi a partire dai sentimenti e si formano nella speranza di trattenerli, ossia di trattenerne nella verità di un giudizio il simulacro della verità che accade, la traccia che di essa resta quando è passata e, poiché quel simulacro rimasto è sempre sbiadito, in dubbio, si preoccupa di giudicare se quella pallida traccia rimasta sia vera o falsa.

CitazioneCredo che in un certo senso talora i giudizi "nascano" da sentimenti, nel senso che questi spingono a compiere osservazioni e ragionamenti; ma talaltra i sentimenti nascano da giudizi (per esempio giudico i burocrati euristi e i loro tirapiedi politici dei nemici del popoplo e da questo giudizio nascono in me sentimenti di disprezzo e di odio profondo).

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