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Che cos'è la verità?

Aperto da maral, 24 Maggio 2016, 15:17:26 PM

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Phil

E se la Verità non fosse altro che il simulacro laico della Divinità, o slittando un po' la prospettiva, ciò che la metafisica ha posto come suo idolo e, nel caso di aletheia, definisce con una sorta di "teologia negativa"? Entrambe, Verità e Divinità sono postulate come uniche, trascendenti, assolute. etc.  e l'impervia ricerca di Verità non resta forse chiusa nel circolo vizioso, "sisifico", del "rincorro la mia ombra cercando di afferrarla"? L'aporia del non riuscire a (com)prenderla è causata da me, che ho scelto di provare a prendere ciò che ho posto io stesso come inafferrabile... talvolta si resta prigionieri della narrazione metaforica in cui la Verità viene personificata o intesa attivamente, per cui è Lei a ritrarsi, è Lei a velarsi, è Lei a darsi, etc. ma ciò pone per necessariamente ovvio che ci sia, la ritrosa e suadente damigella che per pudore si nasconde dietro il velo... ma per saperlo dovremmo averla già almeno avvistata (altrimenti è solo la proiezione di un desiderio), soprattutto se ci spingiamo fino a descriverne le intime caratteristiche e le languide movenze.
In fondo, ogni ricerca onesta presuppone anche la possibilità del suo fallimento, da intendere come ammissione della non esistenza del "cercato", mentre se si è dentro una tautologia, come per la Divinità o la Verità, il fallimento non è contemplato, oppure inteso solo come incapacità del cercatore (perché altrimenti verrebbe falsificato il presupposto dogmatico di partenza: "la Verità esiste, per certo; il problema è trovarla"). Direi che il '900 è stato proprio la presa di coscienza che forse si stava cercando solo qualcosa di sognato nell'epoca dei miti metafisici, la Verità, ma anche che il suo residuo fenomenologico, "il vero", mantiene comunque la sua utilità pragmatica come esisto possibile della corrispondenza fra la descrizione e il descritto (per cui l'anelata donzella si dimostra semplicemente una adaequatio rei intellectus, confinata nella semiologia più che nell'ontologia, e con tanto di iniziale minuscola...).

HollyFabius

Dove vive la verità? Nel nostro mondo del logos o nel mondo reale?
La verità è la corrispondenza di un nostro modello mentale condiviso con la realtà? Ma puoi esserci questa corrispondenza?
Nel mondo del logos, la verità è ciò che rimane dopo che abbiamo realizzato il processo di setaccio delle falsità.
Può esistere verità senza falsità?
Esiste verità senza autenticità?
Essere obiettivi significa dire il vero?
Possiamo avere certezza della verità?
La realtà è verità?
... continua  ::)

maral

Citazione di: Mariano il 27 Maggio 2016, 15:07:25 PM
Tutto il resto è poesia!
E la poesia non è forse verità? Forse l'unica possibile verità

Phil

Eppure, sperare che il dire poetante riesca dove ha fallito il dire filosofico, non è come affidarsi ad uno stregone dopo essere stati delusi da un omeopata? 
La poesia non è forse quella frontiera estrema del linguaggio totalmente disinteressata al vero, al punto di poterlo anche dire, stordire o tradire liberamente?
L'elezione di un poeta piuttosto che di un altro, come "profeta del vero", come può essere "veridica"? Holderlin e Basho raccontano la stessa verità?
Oggi, nella contemporaneità, la nostra verità è la nostra poesia?

Duc in altum!

**  scritto da maral:
CitazioneDuc scrive che la verità è l'illusione che poniamo (o da cui siamo posti?) a dirigere la nostra quotidianità; chissà se allora condivide la scettica ironia di Pilato che, a Gesù che gli diceva di essere venuto al mondo per dare testimonianza alla verità, replica proprio con questa domanda "Quid est veritas?" (Gv 18, 38), ma a cui nel passo non segue risposta.
Non segue risposta perché Pilato, come tantissimi altri da 2000 anni a questa parte, non desidera ascoltarla. Infatti esce dalla stanza, e si dirige verso l'accusa fallace (i Giudei), che Pilato sa, per esperienza, d'essere motivata soltanto dal rischio che quella verità toglierebbe loro il potere (non penso accadrebbe qualcosa di differente oggi, nel 2016, se c'incontrassimo nella stessa circostanza).
Inoltre Pilato non è ironico, ma impaurito: "...all'udire queste parole, Pilato ebbe ancora più paura..." (Gv 19, 8)
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

maral

Citazione di: Phil il 27 Maggio 2016, 23:03:48 PM
Eppure, sperare che il dire poetante riesca dove ha fallito il dire filosofico, non è come affidarsi ad uno stregone dopo essere stati delusi da un omeopata?
La poesia non è forse quella frontiera estrema del linguaggio totalmente disinteressata al vero, al punto di poterlo anche dire, stordire o tradire liberamente?
L'elezione di un poeta piuttosto che di un altro, come "profeta del vero", come può essere "veridica"? Holderlin e Basho raccontano la stessa verità?
Oggi, nella contemporaneità, la nostra verità è la nostra poesia?
La differenza sta appunto tra verità come correttezza da verificare formalmente, e verità come accadere (evento che ci coglie e ci comprende nel momento stesso in cui si presenta). Certamente il poeta è stregone, il cui lavoro di finzione, serve a preparare il terreno all'evento veridico, ma senza pre giudizi né sui poeti, né sugli stregoni, poiché non sono loro a raccontare la verità, ma solo a disporci alla manifestazione dell'esserci che gioca tra il vero e il falso riempiendo l'istante di un significato che nell'evento sta  sempre oltre il venire detto.

Citazione di: Duc in altum!Inoltre Pilato non è ironico, ma impaurito: "...all'udire queste parole, Pilato ebbe ancora più paura..."
Giusta osservazione, la verità non è mai rassicurante, ma più spesso fa paura, ci chiama in gioco oltre la logica e dal suo gioco non è detto che si esca riportando a casa se stessi, per questo per lo più accade di non volere che si presenti.

Lou

#21
Citazione di: Phil il 27 Maggio 2016, 19:47:50 PML'aporia del non riuscire a (com)prenderla è causata da me, che ho scelto di provare a prendere ciò che ho posto io stesso come inafferrabile...
Non posso che sottoscrivere, appare un processo circolare e sará proprio l'ermeneutica a rilevare ciò e come sia necessario imparare a stare nel circolo quale atto di incessante inesausta interpretazione.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Phil

Citazione di: maral il 29 Maggio 2016, 12:02:28 PMLa differenza sta appunto tra verità come correttezza da verificare formalmente, e verità come accadere (evento che ci coglie e ci comprende nel momento stesso in cui si presenta). Certamente il poeta è stregone, il cui lavoro di finzione, serve a preparare il terreno all'evento veridico, ma senza pre giudizi né sui poeti, né sugli stregoni, poiché non sono loro a raccontare la verità, ma solo a disporci alla manifestazione dell'esserci che gioca tra il vero e il falso riempiendo l'istante di un significato che nell'evento sta sempre oltre il venire detto
Se ho ben colto la tua spiegazione, oltre alla "verità formale", alludi ad una verità caratterizzata da un certo campo semantico dell'esperenziale: "accadere", "evento", "manifestazione dell'esserci", "istante", "significato che sta oltre il venir detto"... una verità che mi pare si quella del vissuto (non solo sensoriale ma anche esistenziale), quindi verità > v(er)ita > vita... tuttavia, se viene così denotata, ha (ancora) senso un interrogarsi filosofico al riguardo? E siamo sicuri che "verità" sia il termine adatto e non solo il residuo di una metafora metafisica dell'"ontologia delle maiuscole" (l'Essere, il Vero...)? La poesia stessa ci insegna a diffidare del suo uso del linguaggio, proprio in quanto parola alle soglie dell'indicibile/incomunicabile... secondo me, la v(er)ita evocata dai poeti, di cui loro non sarebbero custodi ma solo sacerdoti, può essere intesa come "verità" solo nel linguaggio poetico, che non deve rendere conto alla ragione; ma all'infuori di esso, fermandosi un passo prima dell'estetica, ci si chiederebbe, inevitabilmente, "cos'è allora la falsità"? Se i poeti (ribadisco: tutti? Se "no", come discriminarli?), ci dispongono "alla manifestazione dell'esserci che gioca tra il vero e il falso" (cit.), la falsità va intesa forse come non-essere (rischiando di chiamare in causa la "verità formale"), come indicazione beffardamente fuorviante dei poeti (che in quanto tali fanno del trascendere il vero e la realtà un loro diritto), come ricezione inautentica degli eventi (ma come fondare oggettivamente l'autentico?), o quale altro può essere il contraltare di quella verità? 
Se non si può contestualizzare ragionevolmente un termine, forse il suo uso è solo metaforico (v. autoreferenzialità della "verità" in poesia...).

Citazione di: Lou il 29 Maggio 2016, 12:59:28 PMNon posso che sottoscrivere, appare un processo circolare e sará proprio l'ermeneutica a rilevare ciò e come sia necessario imparare a stare nel circolo quale atto di incessante inesausta interpretazione.
... e l'ermeneutica del circolo ermeneutico (genitivo oggettivo), il circolare del cerchio stesso, trasforma il circolo in spirale (non "aurea")...

maral

Citazione di: Phil il 29 Maggio 2016, 13:26:45 PM
Se ho ben colto la tua spiegazione, oltre alla "verità formale", alludi ad una verità caratterizzata da un certo campo semantico dell'esperenziale: "accadere", "evento", "manifestazione dell'esserci", "istante", "significato che sta oltre il venir detto"... una verità che mi pare si quella del vissuto (non solo sensoriale ma anche esistenziale), quindi verità > v(er)ita > vita... tuttavia, se viene così denotata, ha (ancora) senso un interrogarsi filosofico al riguardo? E siamo sicuri che "verità" sia il termine adatto e non solo il residuo di una metafora metafisica dell'"ontologia delle maiuscole" (l'Essere, il Vero...)? La poesia stessa ci insegna a diffidare del suo uso del linguaggio, proprio in quanto parola alle soglie dell'indicibile/incomunicabile... secondo me, la v(er)ita evocata dai poeti, di cui loro non sarebbero custodi ma solo sacerdoti, può essere intesa come "verità" solo nel linguaggio poetico, che non deve rendere conto alla ragione; ma all'infuori di esso, fermandosi un passo prima dell'estetica, ci si chiederebbe, inevitabilmente, "cos'è allora la falsità"? Se i poeti (ribadisco: tutti? Se "no", come discriminarli?), ci dispongono "alla manifestazione dell'esserci che gioca tra il vero e il falso" (cit.), la falsità va intesa forse come non-essere (rischiando di chiamare in causa la "verità formale"), come indicazione beffardamente fuorviante dei poeti (che in quanto tali fanno del trascendere il vero e la realtà un loro diritto), come ricezione inautentica degli eventi (ma come fondare oggettivamente l'autentico?), o quale altro può essere il contraltare di quella verità?
Se non si può contestualizzare ragionevolmente un termine, forse il suo uso è solo metaforico (v. autoreferenzialità della "verità" in poesia...).
Il punto è che la "verità formale" non è verità proprio in quanto si presenta come solo formale, dunque è essa stessa che, nel suo essere formale, spinge oltre il limite logico formale che la definisce, oltre il suo poter essere detta secondo logica. La formalità logica che si impone sul linguaggio è quindi uno dei veli con cui la verità si maschera per rivelarsi nella sua danza, non la verità stessa e il crederla tale in virtù della sua potenza discriminativa logica significa solo cadere nella burla giocata dal divino fanciullo eracliteo (che poi è lo stesso gioco della poesia e dell'arte le cui figure non si possono prendere come "verificabili", o tanto meno degne di una doverosa fede letterale). Lo stesso fanciullo danzante non è certamente un vero fanciullo che possiamo pensare di dimostrare per procedimento analitico deduttivo o trovare da qualche parte come un bambino che balla, è a sua volta un inganno di cui siamo consapevoli, ma tale da richiamarci alla verità che non ha definizione poiché ogni definizione la tradisce.     
In tal senso la verità nell'evento non è il semplice negativo logico della falsità che la esclude come suo opposto.
Anche fondare oggettivamente la verità è velarla, poiché se la fondo oggettivamente, che ne è della verità soggettiva e perché mai dovrei escludere l'una in nome dell'altra? La verità non si preoccupa di essere né soggettiva né oggettiva, poiché gioca sempre tra soggetto e oggetto.
Il contraltare della verità dell'evento sta appunto nel negarla come evento per cristallizzarla per sempre in un puro costrutto formale che si pretende inamovibile in modo da poterlo dire con totale esattezza senza sentirne la potenza, o nella salma mummificata di un ente oggetto sempre perfettamente calcolabile e verificabile, o anche in un idolo supremo o una legge suprema, fosse pure quella di un divenire assoluto. Il contraltare della verità è la risata del fanciullo che si fa beffe di chi cade nei suoi tiri birboni tentando di prendere alla lettera ciò che dice per valutarne solo la lettera.
   

Lou

Citazione di: maral il 30 Maggio 2016, 20:11:23 PM
Il contraltare della verità dell'evento sta appunto nel negarla come evento per cristallizzarla per sempre in un puro costrutto formale che si pretende inamovibile in modo da poterlo dire con totale esattezza senza sentirne la potenza...
che poi non è che latenza.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

davintro

#25
Maral scrive:
"Anche fondare oggettivamente la verità è velarla, poiché se la fondo oggettivamente, che ne è della verità soggettiva e perché mai dovrei escludere l'una in nome dell'altra? La verità non si preoccupa di essere né soggettiva né oggettiva, poiché gioca sempre tra soggetto e oggetto."

La categoria di "vero" è applicabile a dei giudizi, che sono il prodotto di un pensiero soggettivo... in questo senso la verità certamente presuppone la soggettività, un pensiero pensante, ed è giusto distinguere il concetto di "verità" da quello di "realtà", al tempo stesso il criterio della viertà è la corrispondenza del giudizio alla realtà oggettiva: "la neve è bianca" è verità se e solo se la neve è realmente ed oggettivamente bianca. Soggetto e oggetto da un lato si oppongono nella misura in cui qualcosa di oggettivo trascende la mia soggettività empirica e relativa e mi trascende perchè mi sta "di fronte", dall'altro si implicano in quanto nel pensiero il soggetto si rivolge intenzionalmente alla conoscenza di una verità oggettiva, ed in questo rivolgersi ci esponiamo alla possibilità di dire il falso o il vero. Fintanto che ho semplicemente paura sono una soggettività ancora chiusa in se stessa, che subisce la paura in forma sostanzialmente passiva (passiva fino a un certo punto, ma per ora lasciamo stare), quando comincio a PENSARE di aver paura oggettivo la paura, mi distacco da essa e mi pongo nelle condizioni di dire il vero o il falso su questo stato psichico. In questo modo la verità è al contempo oggettiva, in quanto ha il reale come propria misura regolativa, e soggettiva in quanto presuppone un pensiero giudicante e che dica dunque la verità. Non si deve confondere il riferimento alla soggettività con il relativismo. Il relativismo sorge quando la soggettività si chiude in se stessa nel particolarismo e contingenza del proprio punto di vista tagliando ogni via d'uscita che la apre all'universalità del reale. Ed è la ragione il medium che collega la soggettività particolare con l'oggettività del reale. Confondere "soggettività" e "relatività" nasce dall'errore di pensare soggetto e oggetto come dimensioni chiuse in sè stesse ed incomunicabili invece che poli di una dialettica di reciproca interrelazione. Quando dico la verità, la dico in quanto soggetto che pensa e dice ma ho rappresentato uno stato di cose che sarebbe stato indipendentemente dal fatto che io abbia detto la verità o abbia mentito. Nel dire la verità il soggetto in un certo senso "esce fuori da sè", o meglio dalla sua singolarità contingente

Phil

Citazione di: Lou il 30 Maggio 2016, 20:40:54 PM
Citazione di: maral il 30 Maggio 2016, 20:11:23 PMIl contraltare della verità dell'evento sta appunto nel negarla come evento per cristallizzarla per sempre in un puro costrutto formale che si pretende inamovibile in modo da poterlo dire con totale esattezza senza sentirne la potenza...
che poi non è che latenza.
che è sintomo di assenza nella distanza...

Perché una 
Citazione di: maral il 30 Maggio 2016, 20:11:23 PMverità che non ha definizione poiché ogni definizione la tradisce [...] verità non si preoccupa di essere né soggettiva né oggettiva, poiché gioca sempre tra soggetto e oggetto
è una verità assente nell'evento della v(er)ita, assenza che noi interpretiamo come distanza di qualcosa (ecco il "cercarla"), come traccia (ecco il "braccarla" per divertissement dei poeti), come velata fascinazione (ecco lo sguardo che vuole penetrare e svelare)... ma se ciò che ci sembra di intravvedere fossero solo la polvere e lo sporco depositati sul velo e non l'ombra di ciò che è sotto? Se sotto il velo non ci fosse nulla, se non il nostro nudo desiderio di una presenza sognata? 

"Abbiamo scoperto una strana impronta sulla spiaggia dell'ignoto. Abbiamo escogitato profonde teorie, l'una dopo l'altra, per spiegarne la provenienza. Alla fine siamo riusciti a ricostruire la creatura che aveva lasciato quell'impronta. Ed ecco! è la nostra impronta!
(Sir Arthur Eddington)

maral

Citazione di: davintro il 30 Maggio 2016, 22:09:44 PM
La categoria di "vero" è applicabile a dei giudizi, che sono il prodotto di un pensiero soggettivo... in questo senso la verità certamente presuppone la soggettività, un pensiero pensante, ed è giusto distinguere il concetto di "verità" da quello di "realtà", al tempo stesso il criterio della viertà è la corrispondenza del giudizio alla realtà oggettiva: "la neve è bianca" è verità se e solo se la neve è realmente ed oggettivamente bianca.
Ma la verità non è necessariamente applicabile solo a dei giudizi (se per giudizio si intende un lavoro di verifica) e solo in questo senso è assoluta. Se Tizio sente di amare Maria e lo sente davvero, non è che ha bisogno di formulare un giudizio su cui valutare se è vero o no che la ama, è vero e se si mettesse a verificare cercando l'oggettività del suo amore significherebbe già che non la ama veramente. Ho tirato in ballo l'amore, ma la stessa cosa vale per il dolore: non ho bisogno di un giudizio che mi dica se il mio dolore è vero o falso, è oggettivo o soggettivo, lo sento, lo vivo, è vero. E così è per la paura, per l'angoscia (che, a differenza della paura, non ha né soggetto né oggetto), per la gioia. L'angoscia e la gioia non sono sentimenti che riguardano un soggetto (a lui relativi), suoi modi di sentire, ma accadimenti che lo trascendono accadendo, sono rivelazione.
Il reale si presenta nella verità del suo accadere e questo accadimento può porre insieme il suo soggetto e il suo oggetto. Fuori da questo puro accadere non c'è né soggetto né oggetto e il giudizio logico verificante è solo un problema del soggetto, della sua soggettività per come è determinata dall'evento.
Quando dico la verità non la dico, poiché l'evento della verità è indicibile, a meno che non sia il mio dire stesso questo evento di verità, prima che venga giudicato su un piano logico. E questo non significa che tutto è vero, è vero solo ciò che si presenta come evento di verità, come il male che sento se mi schiaccio un dito.

Citazione di: Philma se ciò che ci sembra di intravvedere fossero solo la polvere e lo sporco depositati sul velo e non l'ombra di ciò che è sotto? Se sotto il velo non ci fosse nulla, se non il nostro nudo desiderio di una presenza sognata?
E questo è il gioco che sempre si fa gioco di noi, poiché non definisce se non nel dubbio di quello che vorremmo arrivare a de-finire, rendendolo come un oggetto anziché come evento.

Donalduck

La verità è uno dei tanti termini "asintotici". Qualcosa a cui ci si può solo avvicinare, ma mai raggiungere.
L'unica definizione che potrei dare è riportare (riflettere) un flusso di informazione senza distorsioni, aggiunte o filtri di nessun genere.

sgiombo

Maral ha scritto:

Ma la verità non è necessariamente applicabile solo a dei giudizi (se per giudizio si intende un lavoro di verifica) e solo in questo senso è assoluta. Se Tizio sente di amare Maria e lo sente davvero, non è che ha bisogno di formulare un giudizio su cui valutare se è vero o no che la ama, è vero e se si mettesse a verificare cercando l'oggettività del suo amore significherebbe già che non la ama veramente. Ho tirato in ballo l'amore, ma la stessa cosa vale per il dolore: non ho bisogno di un giudizio che mi dica se il mio dolore è vero o falso, è oggettivo o soggettivo, lo sento, lo vivo, è vero. E così è per la paura, per l'angoscia (che, a differenza della paura, non ha né soggetto né oggetto), per la gioia. L'angoscia e la gioia non sono sentimenti che riguardano un soggetto (a lui relativi), suoi modi di sentire, ma accadimenti che lo trascendono accadendo, sono rivelazione.
Il reale si presenta nella verità del suo accadere e questo accadimento può porre insieme il suo soggetto e il suo oggetto. Fuori da questo puro accadere non c'è né soggetto né oggetto e il giudizio logico verificante è solo un problema del soggetto, della sua soggettività per come è determinata dall'evento.
Quando dico la verità non la dico, poiché l'evento della verità è indicibile, a meno che non sia il mio dire stesso questo evento di verità, prima che venga giudicato su un piano logico. E questo non significa che tutto è vero, è vero solo ciò che si presenta come evento di verità, come il male che sento se mi schiaccio un dito.

Rispondo:


Mi sembra che qui si confondano fatti e credenze, realtà (o meno) e verità (o meno).

L' amore di Tizio per Maria e il dolore sentito da Caio sono fatti (non credenze, predicati, giudizi, conoscenze; lo sarebbero casomai le affermazioni "Tizio ama Maria" o "Caio soffre", dette da Tizio, Caio o chiunque altro).
E come tali possono solo essere reali (o meno, a seconda dei casi), e non veri o falsi.
Veri o falsi possono essere solo credenze, predicati, giudizi, conoscenze.

Anche credenze, predicati, giudizi, conoscenze sono fatti (che dunque in quanto tali possono essere reali o meno); ma fatti del tutto peculiari: gli unici fatti che possono (anche) essere veri o falsi.




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