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Che cos'è la verità?

Aperto da maral, 24 Maggio 2016, 15:17:26 PM

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maral

I Greci chiamavano la verità aletheia ove quell' a è alfa privativo, quindi la parola significa in negativo: non-latenza, non-velato. Vero è qui il negativo di ciò che  si nasconde e la verità sta nel nudo apparire delle cose, nel loro darsi spontaneo in superficie, senza maschere a sovrapporsi. Heidegger, proprio riprendendo il pensiero greco partendo dalla fenomenologia,  intenderà la verità come radura dell'essere corrispondente all'ente. L'ente come ente (corrispondente propriamente per Heidegger solo all'uomo) è lo svelarsi dell'essere, dunque aletheia, verità.

Ben diverso da quello greco classico è il concetto che maturerà sulla verità il pensiero filosofico posteriore, cristiano e poi scientifico. La verità (intesa non più nell'accezione greca, ma in quella latina di veritas): diventerà sotterranea, recondita e profonda, essa abiterà l'interiorità sotto la superficie per cui occorrerà scavare per trovarla sotto una miriade di mascheramenti e superficiali apparenze ingannevoli messe in atto dalla natura nel mondo e nell'uomo. La verità non è più aletheia, ma prodotto risultante da una ricerca fatta per costringere la natura a svelarsi usando un preciso metodo di interrogazione (come fa il giudice in tribunale, dice Kant) e con mezzi di indagine e tortura sempre più sofisticati. La verità non è più un nudo mostrarsi spontaneo, ma un denudare la natura refrattaria per poi usarle violenza.

Cosa ha determinato nella storia del pensiero occidentale il passaggio della verità da uno stato di spontaneo naturale manifestarsi allo scavo che costringe la natura a manifestarla? Dall'apparire della nudità all'apparire del nascondimento che occorre sistematicamente forzare?
E dove e quanto della verità come aletheia è in realtà ancora tra noi?

davintro

#1
Non riesco a vedere una contrapposizione tra le due accezioni della verità, quantomeno non necessaria. L'idea della verità come disvelamento del reale presuppone la concezione realista per cui è l'adeguazione del pensiero soggettivo alla realtà oggettiva a porsi come misura della verità Se il pensiero cristiano, direi soprattutto l'agostinismo, e la modernità a partire dalla svolta cartesiana ha considerato la necessità di fondare la conoscenza della verità come uno scavo interiore, ciò non contraddice l'idea della verità come rivelazione, ma indica un metodo finalizzato a porre l'uomo nelle condizioni ideali per ricevere la rivelazione, o manifestazione della verità nel modo più chiaro e meno ambiguo possibile. Il riconoscimento dell'arbitrarietà della pretesa di identificare la propria esperienza soggettiva con la realtà oggettiva, che si radicalizza nell'assunzione della possibilità del solipsismo, ha portato alla necessità di fondare la conoscenza con un dato stabile e al di là della dubitabilità, e tale dato è rinvenibile nella coscienza, ciò la cui esistenza non può essere messa in dubbio in quanto il suo essere coincide per definizione con l'esperienza e l'apparenza stessa e comprende in sè la stessa possibilità di errare. Questo passaggio dall'esteriorità all'interiorità implica certamente un ruolo più attivo del soggetto ricercante la verità, ma resta pur sempre un'attività non autoreferenziale, ma strumentale al recupero di una passività più adeguata ad accogliere la rivelazione dell'essere. Dalla svolta moderna del cogito cartesiano non discende solo l'idealismo immanentista, ma anche lo spiritualismo metafisico di un Rosmini per cui la verità è un dono che l' uomo riceve da una trascendenza, l'idea dell'essere come oggetto interiore presente alla mente o la stessa fenomenologia husserliana che anelava al "ritorno alle cose stesse", e il concetto di "cosa stessa" ha senso in relazione all'idea classica  e realista della verità come rivelazione... Perchè la verità per "rivelarsi" dovrebbe per forza provenire dall'esteriorità e non invece "risalire" da un'interiorità, da una profondità che viene scoperta dall'uomo che si rivolge alla conoscenza di se stesso? Non c'è alcuna "violenza", un violentare la natura, semplicemente la si riconosce a partire da un diverso punto di vista, "la violenza" semmai la rivolgiamo verso noi stessi in quanto soggetti conoscenti modificando il nostro punto di vista per rendere questo il più possibile "degno" di ricevere la rivelazione.

maral

Citazione di: davintro il 24 Maggio 2016, 18:00:08 PM
Non riesco a vedere una contrapposizione tra le due accezioni della verità, quantomeno non necessaria. L'idea della verità come disvelamento del reale presuppone la concezione realista per cui è l'adeguazione del pensiero soggettivo alla realtà oggettiva a porsi come misura della verità Se il pensiero cristiano, direi soprattutto l'agostinismo, e la modernità a partire dalla svolta cartesiana ha considerato la necessità di fondare la conoscenza della verità come uno scavo interiore, ciò non contraddice l'idea della verità come rivelazione, ma indica un metodo finalizzato a porre l'uomo nelle condizioni ideali per ricevere la rivelazione, o manifestazione della verità nel modo più chiaro e meno ambiguo possibile. Il riconoscimento dell'arbitrarietà della pretesa di identificare la propria esperienza soggettiva con la realtà oggettiva, che si radicalizza nell'assunzione della possibilità del solipsismo, ha portato alla necessità di fondare la conoscenza con un dato stabile e al di là della dubitabilità, e tale dato è rinvenibile nella coscienza, ciò la cui esistenza non può essere messa in dubbio in quanto il suo essere coincide per definizione con l'esperienza e l'apparenza stessa e comprende in sè la stessa possibilità di errare. Questo passaggio dall'esteriorità all'interiorità implica certamente un ruolo più attivo del soggetto ricercante la verità, ma resta pur sempre un'attività non autoreferenziale, ma strumentale al recupero di una passività più adeguata ad accogliere la rivelazione dell'essere. Dalla svolta moderna del cogito cartesiano non discende solo l'idealismo immanentista, ma anche lo spiritualismo metafisico di un Rosmini per cui la verità è un dono che l' uomo riceve da una trascendenza, l'idea dell'essere come oggetto interiore presente alla mente o la stessa fenomenologia husserliana che anelava al "ritorno alle cose stesse", e il concetto di "cosa stessa" ha senso in relazione all'idea classica  e realista della verità come rivelazione... Perchè la verità per "rivelarsi" dovrebbe per forza provenire dall'esteriorità e non invece "risalire" da un'interiorità, da una profondità che viene scoperta dall'uomo che si rivolge alla conoscenza di se stesso? Non c'è alcuna "violenza", un violentare la natura, semplicemente la si riconosce a partire da un diverso punto di vista, "la violenza" semmai la rivolgiamo verso noi stessi in quanto soggetti conoscenti modificando il nostro punto di vista per rendere questo il più possibile "degno" di ricevere la rivelazione.
L'osservazione che fai è giusta, se si intende aletheia (non latenza), come qualcosa di originariamente nascosto che si rivela in particolari condizioni che è necessario determinare in se stessi, una sorta di educazione interiore per preparare il terreno allo svelamento. A quel punto sul terreno dissodato dalla educazione, la verità potrà mostrarsi nella sua pura nudità. E certo questo in realtà è anche nell'intento del greco, e penso a Platone, a Socrate, alla sua maieutica volta a far partorire la verità che già c'è. Ma non mi pare che la scienza occidentale abbia assunto questa strada e Kant lo mostra chiaro quando dice che l'uomo di scienza deve comportarsi con la natura come il giudice in tribunale. Il giudice non interroga se stesso per disporsi verso uno svelamento, ma il presunto reo che sospetta voglia nascondere qualcosa e qui il presunto reo è la natura. Quella a-letheia è una condizione che impone, non una manifestazione spontanea che ha imparato ad accogliere. In questo senso c'è violenza, la violenza di chi pensa necessario scoprire ciò che il mondo vuole ingannevolmente tenergli nascosto e per far questo, in nome della verità, ogni mezzo è lecito, un po' come in un tribunale dell'inquisizione di fronte al quale il reo va messo a nudo.
La fenomenologia di Husserl va indubbiamente in senso opposto (non per nulla egli denuncia la crisi delle scienze europee e propone una scienza fenomenologica), ma vede questo dissodamento come opera fondamentalmente logica, da specialisti, e non come un approccio di origine esistenziale che nasce dal soggetto concreto piuttosto che da un immaginario soggetto trascendentale.   

Lou

#3
é cooriginario nascondimento /svelamento, non si da l'uno senza l'altro, Heidegger la mostra questa coorigeneriatá, il mistero dell'essere viene alla luce, circondato, custodito dall'ombra, tra l'ombra.  Cosí come ama nascondersi, si disvela. O mi sbaglio?
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

paul11

#4
la verità è il tentativo che l'uomo costruisce nel sistema di relazione generalmente fra tre fondativi: natura o realtà od oggettività;
pensiero o mente o coscienza o soggettività e infine parola o linguaggio.
Come ci si sposta gerarchicamente fra i tre fondativi, chi si focalizza sulla natura o la realtà, chi si focalizza sulla mente o coscienza, chi sul linguaggio, muta il sistema di relaziione  che può essere metafisico fino all'analitica del linguaggio.
Quando si cercò concettualmente di legare l'essere e gli enti del naturale e soprannaturale, ci si accorse anche che i fatti in sè e per sè erano veri ,ma che il pensiero che si fa parola e costruisce  le proposizioni poteva essere vero  o falso relativo al fatto descritto.
Quindi il primo problema o criterio di verità fu la coerenza fra il fatto e la proposizione che costruì il sistema formale della logica predicativa, affinchè il pensiero che si  fa parola fosse  coerente con il fatto, vale a dire corrispondente.
Nascono quindi le necessità di identità e il principio di non contraddizione e i loro derivati,così come i paradossi.

cvc

Verità è inganno vengono poi a identificarsi in ragione e sensibilità. Non che la ragione sia la verità in sé, ma in quanto ciò che riteniamo vero è inscindibile dal razionale, dal logos. Ciò che intendiamo per vero è dunque legato alla finitezza del linguaggio coi suoi paradossi, come quello del mentitore. I sensi ingannano ma sono il nostro contatto con il mondo. Un contatto ingannevole ben rappresentato dalle ombre nel mito della caverna. Quindi di dicotomia in dicotomia ecco quella fra rappresentazione e cosa in sé, dove ciò che è  manifesto è ingannevole, mentre la verità è la ragione interna all'uomo. Ma in tutte queste dicotomie fra verità e inganno, ragione e sensi, fenomeno e noumeno, ogni tentativo di mediazione da Platone a Hegel ha lasciato insoddisfatti. La realtà è armonia degli opposti dice Eraclito, ma è un'armonia assai flebile e instabile, sempre messa in forse dai conflitti delle dicotomie. L'uomo sente dentro di sé un profondo desiderio di pace, ma pare che l'uomo non sia stato fatto per la pace. Dire che la ragione media è riduttivo, la ragione combatte. La ragione non è un setaccio che separa l'irrazionale dal razionale, ma piuttosto uno spirito che assimila a sé l'irrazionale addomesticandolo. Un fuoco che trae nutrimento da ciò che brucia
Al di fuori del logos non esistono verità e falsità, ma solo vita e morte, azione e reazione.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

Duc in altum!

Ciò che poniamo, quale illusione, a dirigere la nostra quotidianità.
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

Mariano

Scusate la mia intromissione da ignorante della storia della filosofia , ma di che verità si vuole parlare?
La parola e' estremamente ambigua e non può essere usata in termini assoluti.
Una cosa è la verità se un fatto è successo oppure no, altra cosa è cercare la verità sul perché un fatto è successo; una cosa è chiedersi se un oggetto che noi abbiamo definito ad esempio mela ( perché frutto di un albero che chiamiamo melo) sia una mela, facilmente dimostrabile, e diversamente affermare che la mela e' dolce: dipende dalla sensibilità di ciascuno.
In sintesi vorrei dire che non si può parlare di verità in senso lato, ma solo relativamente al quesito proposto ed al soggetto.

paul11

Mariano
Propiro perchè la parola è ambigua è nata la logica formale.Ma sfugge il linguaggio naturale al formalismo.
Ma si cerca di descriverlo un fatto, in che modo rientra nella causalità oppure casualità ad esempio, e così via.
La soggettività ha ad esempio dei limiti, è meno condivisibile da una comunità in quanto meno verificabile.
Ognuno dei punti che ho illustrato ha dei limiti, per questo è ardua una verità assoluta.
Ma è interessante vedere come noi stessi costruiamo una nostra idea di mondo con i suoi meccanismi, in fondo i pensatori
,le scienze iniziano da tautologie, evidenze irriducibili, vale a dire non altrimenti scomponibile; mattone dopo mattone se vogliamo che la costruzione prenda corpo il legante deve avere delle coerenze interne

acquario69

Citazione di: maral il 24 Maggio 2016, 15:17:26 PM
Cosa ha determinato nella storia del pensiero occidentale il passaggio della verità da uno stato di spontaneo naturale manifestarsi allo scavo che costringe la natura a manifestarla? Dall'apparire della nudità all'apparire del nascondimento che occorre sistematicamente forzare?
E dove e quanto della verità come aletheia è in realtà ancora tra noi?

la riduzione dell'uomo al puramente umano,l'aver reciso il suo legame con l'universo,in altri termini con il suo archetipo immutabile e permanente,così gli e' rimasto solo il "terrestre",mutevole e relativo..(da notare come mano a mano questa inerente trasformazione lo stia facendo diventare sempre più inconsistente,oggi direi virtuale..forse e' il punto estremo della sua stessa relativizzazione...)
e' maya che viene scambiata per presunta Verita,in un processo che ha finito per rendere maya stesso (pseudo) assoluto,invertendo parodisticamente le cose,quindi chiudendo ogni possibilità di svelamento

Garbino

Che cos' è la verità?

Proprio ieri ho fatto una piccola ricerca sulla verità per Aristotele e ho trovato la definizione: 
La Verità è la capacità di adeguarsi nell' intelletto alla cosa. E questa affermazione mi sembra abbastanza  in linea con il termine Aletheia. 
Ma, come più volte denuncia Nietzsche con attacchi tremendi, è Platone che crea un Mondo Altro ( mondo delle Idee o Iperuranio ) che sposta la verità in un ambito di completa velatura alla mente umana. E' solo l' anima che grazie all' anamnesi ( ricordo ) può penetrare in quel Mondo e riportarlo alla coscienza.
Da ciò mi sembra naturale che la verità a partire da Platone abbia nel tempo assunto un aspetto diverso e cioè dall' apparire della nudità all' apparire del nascondimento che occorre sistematicamente forzare ( come tu affermi nel finale ).

Spero di essere stato di aiuto. Grazie per la cortese attenzione. 

Garbino Vento di Tempesta.

HollyFabius

Qualche decina di anni fa cercai di elencare tutte le possibili definizioni del termine verità.
Ricordo che mi fermai arrivato vicino alla decina, ma probabilmente avrei potuto continuare la ricerca.

maral

#12
Già, ci sono molti modi per dire la verità, anche se in linea di principio, la verità dovrebbe essere una sola, perché se ognuno ha la sua verità nessuno è nella verità. La cosa è però quanto meno assai problematica, bisognerebbe capire se la verità è in ciò che si sente o in ciò che si dice, o nel rapporto tra ciò che si sente e ciò che si dice, o, per uscire da questo soggettivismo di moda che riduce ogni filosofia a psicologismo, essa sta nel rapporto tra ciò che è e ciò che si dice, come mi pare intendano Platone, per il quale la luce della verità è nella trascendenza ideale, e Aristotele, per il quale l'essere è uno pur dicendolo appunto in molti modi (correttamente secondo le categorie che l'intelletto gli assegna) e da qui l'analisi della correttezza linguistica che studia il giusto rapporto logico tra le preposizioni. Ma è poi corretto ritenere che la verità sia solo un rapporto corretto tra preposizioni? Che stia tutta nel principio di ragion sufficiente?
E se la verità non fosse per nulla una faccenda proposizionale? Cos'è quella a-letheia, non latenza?
Certo Lou ha ragione quando ricorda che per Heidegger, che avrebbe tanto voluto fondare una nuova metafisica a partire dalla "meraviglia delle meraviglie" per cui "l'ente è anziché nulla", l'essere gioca continuamente (come il divino fanciullo di Eraclito) a svelarsi e nascondersi, a mostrarsi e mascherarsi, dunque tra verità e inganno, un po' - se mi si permette l'accostamento- come fa la dea Maya danzando con i suoi veli, e mascherandosi si scopre, come se alla fine la verità, quella vera, quella profonda e indicibile (di cui, come direbbe Wittgenstein, non si deve dire nulla, ma di cui, come ancora direbbe Wittgenstein, non possiamo non voler dire a dispetto della ragion sufficiente che subito mostra la sua insufficienza).
In fondo questo divino fanciullo che gioca con noi e si fa gioco di noi  non è proprio ciò che l'arte con le sue finzioni che vogliono poter dire il vero tenta sempre di evocare?
Torna ancora Heidegger, la sua fascinazione per la parola poetica. Heidegger che ritenne Nietzsche (il cui studio appassionato lo portò ai limiti del suicidio) il compimento di Platone, l'espressione finale e tragica di quella metafisica dell'Occidente a cui Platone aveva dato inizio e Aristotele aveva portato alla sua massima espressione filosofica. Platone, Aristotele... Nietzsche (passando per Hegel e tutti gli altri, ognuno a interpretare la sua scena grandiosa destinata all'oblio eterno), l'alfa e l'omega di una storia immensa giunta al suo epigono tragico, tutti legati dalla stessa metafisica a cui lo stregone della Selva Nera sognava di dare un significato radicalmente nuovo, una nuova aurora, ma ne fu incapace, se ne sentì incapace (solo un Dio ci può salvare, giunse a dire), o forse quella metafisica nuova ce l'aveva davanti, era paradossalmente l'antimetafisica radicale della tecnica che mostrava un mondo senza uomo, la fine dell'ente per eccellenza nel niente.
Duc scrive che la verità è l'illusione che poniamo (o da cui siamo posti?) a dirigere la nostra quotidianità; chissà se allora condivide la scettica ironia di Pilato che, a Gesù che gli diceva di essere venuto al mondo per dare testimonianza alla verità, replica proprio con questa domanda "Quid est veritas?" (Gv 18, 38), ma a cui nel passo non segue risposta.

Mi si perdoni questo volo velocissimo, superficiale e impasticciato su millenni di ricerca della verità, il senso che vorrei qui si capisse è che tutti noi pensiamo di possederla la verità vera (fosse pure la verità di una mela che tutti dicono che è una mela, ma che ognuno alla fine la trova un po' diversa e la sua è certo la mela più vera), anche quando apparentemente sembriamo disposti ad ammettere che la verità è solo questione personale, che dipende dai punti di vista senza accorgersi che dopotutto anche questa è una pretesa che vuole che valga per tutti (escluso lui, mentre dice questo). E' come se ognuno, anche il più scettico, sapesse cos'è la verità in positivo (per questo mi era piaciuta la definizione al negativo degli antichi Greci) e tenta di dirlo e si arrabbia pure, ma non ci riesce a dirlo senza contraddirsi. Il divino fanciullo di Eraclito è proprio un gran burlone: non solo velandosi si svela, ma pure svelandosi si vela, la contraddizione si ripete all'infinito nella danza e chi cerca onestamente e senza fingere la verità rischia di trovarla solo nella follia che lo mena per il naso senza pietà.

Mariano

Citazione di: maral il 27 Maggio 2016, 00:50:12 AM
Già, ci sono molti modi per dire la verità, anche se in linea di principio, la verità dovrebbe essere una sola, perché se ognuno ha la sua verità nessuno è nella verità. La cosa è però quanto meno assai problematica, .....
Tutto il resto è poesia!
Mi azzardo a dire: l'unica verità vera e' che la verità non esiste.
Oppure, come ci tramandano che disse Gesù,: io sono la via, la verità, la vita (Giovanni: 14.1)

Freedom

Secondo me la verità è sapere come stanno le cose.
E per saperlo bisogna avere un quadro di riferimento: da dove veniamo, dove andiamo e perché siamo qui.
E credo anche che la verità debba essere eterna e immutabile.
Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

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