Caino e Abele: un monito archetipico

Aperto da Carlo Pierini, 21 Maggio 2019, 18:21:09 PM

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Carlo Pierini

Il mito di Caino e Abele non è un (inesistente) archetipo del "fratricidio originario" (come se la soppressione del fratello fosse un modello-guida presente tra gli altri modelli-archetipi dell'"Iperuranio"), ma è proprio l'esatto contrario: è il simbolo dell'inevitabile archetipica opposizione che esiste tra "Spirito" (Abele) e "Natura" (Caino) e della tragedia che si consuma quando chi si identifica con la Natura vede lo Spirito come una contraddizione, come un nemico da sopprimere, invece  che come una realtà opposta-complementare da integrare armonicamente con la propria. 
Quindi, più che di un archetipo, si tratta di un monito archetipico: <<Ogni tragedia nasce da una violazione del Principio di complementarità degli opposti>>. 
In altre parole, il mito di Caino e Abele ci parla dello stesso dramma eterno che si consuma in ogni luogo, anche in questo NG, dove gli adepti della Natura considerano la realtà spirituale come illusoria, superflua, nemica della Ragione e quindi da sopprimere. 

0xdeadbeef

Ciao Carlo
Interessante (vedo che ultimamente cominciamo a trovare qualcosa su cui concordare...).
Mi richiama alla mente un saggio del giurista Guido Rossi ("Il ratto delle Sabine"), che
tra gli altri argomenti tratta del rapporto fra Romolo e Remo quasi negli stessi termini in cui
tu descrivi quello fra Caino e Abele.
Nel saggio di Rossi, Romolo è "potenza pura" (mentre Remo rappresenta anche la ragione),
ed uccide solo in virtù di questa: solo perchè Remo non obbedisce al suo comando imperioso.
Dal mio punto di vista (notoriamente kantiano...), tutto questo si può "leggere" anche come
confutazione della "sintesi" idealistica di tesi e antitesi (che sempre, nel reale, si
riduce ad uno solo dei termini - da qui la necessità di non sintetizzare, o almeno di lasciare
"aperta" la sintesi).
saluti

Carlo Pierini

#2
Citazione di: 0xdeadbeef il 21 Maggio 2019, 19:47:35 PM
Ciao Carlo
Interessante (vedo che ultimamente cominciamo a trovare qualcosa su cui concordare...).
Mi richiama alla mente un saggio del giurista Guido Rossi ("Il ratto delle Sabine"), che
tra gli altri argomenti tratta del rapporto fra Romolo e Remo quasi negli stessi termini in cui
tu descrivi quello fra Caino e Abele.
Nel saggio di Rossi, Romolo è "potenza pura" (mentre Remo rappresenta anche la ragione),
ed uccide solo in virtù di questa: solo perchè Remo non obbedisce al suo comando imperioso.
Dal mio punto di vista (notoriamente kantiano...), tutto questo si può "leggere" anche come
confutazione della "sintesi" idealistica di tesi e antitesi (che sempre, nel reale, si
riduce ad uno solo dei termini - da qui la necessità di non sintetizzare, o almeno di lasciare
"aperta" la sintesi).
CARLO
Sarò breve. Scrive Cusano:

"Ho trovato un luogo in cui Tu sarai scoperto in maniera rivelata, luogo cinto dalla coincidenza degli opposti. Ed è questo il muro del paradiso nel quale tu abiti, la cui porta è custodita dallo spirito più alto della ragione, che bisogna vincere se si vuole che l'ingresso si apra. Ti si potrà vedere al di là della coincidenza degli opposti, ma mai al di qua".  [N. CUSANO: De visione Dei]

Ricordi quando dicevo che Kant ha eretto un muro invalicabile tra il Trascendente divino e l'esperienza umana (trascendent-ale)? Ecco, metaforicamente parlando, quel muro è il muro degli opposti non risolti, non sintetizzati, non complementarizzati. E' il muro della sua "dialettica" che si arresta di fronte all'apparente insanabilità di quelle che egli (come Caino) considera erroneamente delle contraddizioni non passibili di sintesi. E questa incapacità di sintesi lo blocca al di qua del muro, impedendogli la "visione Dèi" che invece è consentita alla "coincidenza degli opposti" di Cusano. Nell'impossibilità di conciliare Dio e Natura, Caino e Kant sopprimono entrambi la relazione uomo-Dio.

InVerno

Citazione di: Carlo Pierini il 21 Maggio 2019, 18:21:09 PM
Il mito di Caino e Abele non è un (inesistente) archetipo del "fratricidio originario" [...], ma è proprio l'esatto contrario: è il simbolo dell'inevitabile archetipica opposizione che esiste tra "Spirito" (Abele) e "Natura" (Caino) e della tragedia che si consuma quando chi si identifica con la Natura vede lo Spirito come una contraddizione, come un nemico da sopprimere, invece  che come una realtà opposta-complementare da integrare armonicamente con la propria.

Tu dici che cosi "è", e non dubito che qualche speculatore successivo possa aver usato questo mito per trarne questa narrativa, e quindi "sia" (per lo speculatore) così, ma di questo non si ha traccia nel testo. Sapresti per esempio documentare che gli ebrei possedessero un concetto di "natura" o equivalente  da apporre a questo archetipo come tu lo intendi? Sono d'accordo che si tratta di una opposizione inevitabile, infatti molto banalmente si tratta dei primi esseri umani generati non creati successivi al peccato originale, perciò la loro opposizione è narrativamente funzionale all'argomento della corruzione umana. La narrazione tralaltro descrive solamente le loro mansioni e il loro ordine di nascita, oltre che il comportamento davanti al sacrificio, spiegando equilibri sociali rituali e introducendo temi come quello dell'obbedienza e del male. Di quel che parli tu invece non mi pare vi sia alcuna traccia nel testo , posto che poi uno può prendere dei simboli e usarli per conveire i propri significati, come è legittimo tu faccia.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Carlo Pierini

Citazione di: InVerno il 22 Maggio 2019, 00:05:08 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 21 Maggio 2019, 18:21:09 PM
Il mito di Caino e Abele non è un (inesistente) archetipo del "fratricidio originario" [...], ma è proprio l'esatto contrario: è il simbolo dell'inevitabile archetipica opposizione che esiste tra "Spirito" (Abele) e "Natura" (Caino) e della tragedia che si consuma quando chi si identifica con la Natura vede lo Spirito come una contraddizione, come un nemico da sopprimere, invece  che come una realtà opposta-complementare da integrare armonicamente con la propria.

INVERNO
Tu dici che cosi "è", e non dubito che qualche speculatore successivo possa aver usato questo mito per trarne questa narrativa, e quindi "sia" (per lo speculatore) così, ma di questo non si ha traccia nel testo.


CARLO
I miti sono come i sogni: nei loro contenuti non è compresa l'interpretazione.

INVERNO
Sapresti per esempio documentare che gli ebrei possedessero un concetto di "natura" o equivalente  da apporre a questo archetipo come tu lo intendi? Sono d'accordo che si tratta di una opposizione inevitabile, infatti molto banalmente si tratta dei primi esseri umani generati non creati successivi al peccato originale, perciò la loro opposizione è narrativamente funzionale all'argomento della corruzione umana. La narrazione tralaltro descrive solamente le loro mansioni e il loro ordine di nascita, oltre che il comportamento davanti al sacrificio, spiegando equilibri sociali rituali e introducendo temi come quello dell'obbedienza e del male.

CARLO
Si tratta di una favola, non di un trattato di sociologia. Caino è associato all'elemento "terra" (agricoltore) e agli istinti  («il peccato è alla tua porta, verso di te è il suo istinto, ma tu dòminalo»); mentre Abele è associato alle greggi, che sono simbolo di dolcezza, innocenza e purezza.

0xdeadbeef

Citazione di: Carlo Pierini il 21 Maggio 2019, 22:38:38 PM Nell'impossibilità di conciliare Dio e Natura, Caino e Kant sopprimono entrambi la relazione uomo-Dio.



Ciao Carlo
Non sono d'accordo; e semplicemente perchè, nell'immediato periodo post-kantiano, sarà semmai
l'Idealismo (con il materialismo che ne è figlio legittimo), con la sua pretesa di sintesi fra
reale ed ideale, a porre le basi per l'annientamento di uno dei due termini.
Non che prima, s'intende, non fosse conosciuta la sintesi "reale" che si instaura, ad esempio,
fra vinto e vincitore...
Già in Platone infatti, nel dialogo sulla "giustizia", è chiaro come la posizione
di Socrate non sia una posizione che tende alla "sintesi" (e sia perciò una posizione "kantiana").
Al sofista Trasimaco, che afferma la giustizia come l'utile del più forte, Socrate non dice: "sbagli",
ma dice: "la giustizia è l'utile del più debole", contrapponendo cioè il "nomos" umano alla "physis"
naturale senza cercare di sintetizzarli in una "reductio ad unum" che avrebbe come risultato
necessario l'annientamento di uno dei due termini (ben di rado, nella storia, si è assistito ad
una sintesi "bilanciata" fra la tesi e l'antitesi).
saluti

Carlo Pierini

#6
OXDEADBEEF
l'Idealismo (con il materialismo che ne è figlio legittimo), con la sua pretesa di sintesi fra
reale ed ideale, a porre le basi per l'annientamento di uno dei due termini.

CARLO
Dipende da cosa si intende per "idealismo".

OXDEADBEEF
Non che prima, s'intende, non fosse conosciuta la sintesi "reale" che si instaura, ad esempio,
fra vinto e vincitore...

CARLO
Una delle regole della dialettica è <<pari dignità degli opposti>>. Tra vincitore e vinto non c'è pari dignità, quindi non ci può essere sintesi, ma tutt'alpiù un accordo-capestro.
Insomma, fin quando il concetto di "dialettica" non avrà uno statuto di regole che lo renda univocamente riconoscibile (io l'ho abbozzato nelle sue regole principali), rimarrà sempre un concetto ambiguo sul quale si potrà dire tutto e il contrario di tutto.

OXDEADBEEF
Già in Platone infatti, nel dialogo sulla "giustizia", è chiaro come la posizione di Socrate non sia una posizione che tende alla "sintesi" (e sia perciò una posizione "kantiana").
Al sofista Trasimaco, che afferma la giustizia come l'utile del più forte, Socrate non dice: "sbagli", ma dice: "la giustizia è l'utile del più debole", contrapponendo cioè il "nomos" umano alla "physis" naturale

CARLO
Non troverai mai qualcuno che sacrifichi (renda sacra) la propria vita per <<l'utile>>. Non c'è niente che sia più <<utile>> della vita. La storia, invece, ci mostra immensi cimiteri di martiri per la giustizia; perché solo un ideale autentico (archetipo) può valere PIU' della vita. Per questo nelle culture più evolute la Giustizia è simbolizzata da una divinità.

OXDEADBEEF
senza cercare di sintetizzarli in una "reductio ad unum" che avrebbe come risultato necessario l'annientamento di uno dei due termini.

CARLO
Questo è ciò che crede chi non capisce che la sintesi NON E' una "reductio ad unum", ma una elevatio ad unum, cioè, la convergenza del due verso un'unità SUPERIORE. Come scrivevo nell'esempio dell'unità amorosa:  <<...si tratta di una unità che NON CANCELLA la dualità, bensì la esalta, cioè porta al suo massimo compimento sia la virilità di lui, sia la femminilità di lei. La massima dualità nella massima unità!

0xdeadbeef

Ciao Carlo
Tu affermi che Kant, al pari di Caino, sopprime la relazione uomo-Dio...
Io dico invece che Kant SICURAMENTE non effettua nessuna sintesi (cioè resta "al di qua
del muro"), ma non per questo sopprime la "relazione" (fra uomo e Dio come fra uomo e uomo,
o così pure fra Nomos e Physis). E' Caino che "sopprime", non Kant...
Così come era stato per Socrate, che non nega la verità della Physis, ma che le oppone quella
del Nomos; così come per Levinas, che afferma l'irriducibilità dell'"altro" all'"io" (ci ho
fatto anche un post, tempo fa), così per Kant le "parti" restano distinte.
Ma è proprio questo "restare distinte" che le preserva da una sintesi che, sia essa idealistica
o materialistica, finisce col ridurre la parte "debole" a quella "forte".
Sicuramente alla base di questa teoresi c'è una concezione negativa dell'essere umano (come del
resto alla base della tua c'è una concezione positiva), ma io credo che questo ci insegni la
storia (e saremmo stolti se non sapessimo imparare nulla dalle sue lezioni...).
Io credo, in sostanza, che buoni steccati facciano buoni vicini...
saluti

Carlo Pierini

OXDEADBEEF
Tu affermi che Kant, al pari di Caino, sopprime la relazione uomo-Dio...
Io dico invece che Kant SICURAMENTE non effettua nessuna sintesi (cioè resta "al di qua
del muro"), ma non per questo sopprime la "relazione" (fra uomo e Dio come fra uomo e uomo,
o così pure fra Nomos e Physis). E' Caino che "sopprime", non Kant...


CARLO
Postulare un Trascendente inaccessibile all'esperienza umana, significa erigere una barriera invalicabile tra uomo e Dio e trasformare la fede in superstizione allo stato puro. E' vero che anche la teologia postula l'inconoscibilità di Dio, ma quantomeno ammette l'esperienza del cuore, la percezione dell'"Amor Dèi" e in questo modo la fede non perde il suo fondamento. Ma Kant - il furbacchione - tace su questo aspetto, poiché se ammettesse una relazione d'amore autentica, cioè bilaterale tra uomo e Dio, la domanda sorgerebbe spontanea: perché il cuore sì e l'intelletto no? Sorgerebbe il dubbio sulla vera natura di questa "inaccessibilità", e si rischierebbe di scoprire che si tratta di un dogma assolutamente arbitrario e privo di fondamento.
In poche parole Kant non ha fatto altro che isolare l'uomo sia rispetto al mondo (l'inconoscibilità della cosa in sé) sia rispetto a Dio. Cioè ha a elevato a principio quella che probabilmente deve essere stata la sua condizione personale: l'isolamento dal mondo della scienza e l'incapacità di relazionarsi con Dio.

OXDEADBEEF
Così come era stato per Socrate, che non nega la verità della Physis, ma che le oppone quella
del Nomos; così come per Levinas, che afferma l'irriducibilità dell'"altro" all'"io"

CARLO
Queste sono elucubrazioni astratte, fredde e ignare del mondo reale. Infatti nel mondo reale, la condivisione profonda e appassionata di un grande ideale può UNIFICARE UN POPOLO intero. Così come pure un sentimento di amore profondo e reciproco tra "io" e l'"altro" può produrre un'unità indissolubile. Solo le pippe mentali (in quanto puramente analitiche**) separano gli enti, mentre gli archetipi REALI li uniscono.

** Analizzare significa separare.

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