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Buddhismo

Aperto da acquario69, 16 Febbraio 2017, 04:59:05 AM

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acquario69

Sariputra..te la sentiresti di spiegare, se e per quanto possibile il Buddhismo?

ho pensato che aprendo questo Topic specifico si potrebbe tentare cosi di fare più chiarezza e in maniera più raccolta,di quanto finora mi e' capitato di leggere dai tuoi numerosi interventi in merito.

Per quanto mi riguarda non sarei per niente interessato ad una "cronistoria" del buddhismo,bensi di quella che sarebbe la sua filosofia (ma e' una filosofia il buddismo?) insomma la sua essenza in tutti i suoi aspetti.

per cominciare prendo spunto da quanto avresti scritto qui sotto in un altro Topic dicendo;

CitazioneCome sai un buddhista, alla tua domanda se è una metafisica ti guarderebbe strano e ...ti manderebbe a pelare le patate! Questo perché il Dharma è la pratica. Non esiste una filosofia buddhista autentica  che prescinda dalla pratica. Ciò non toglie che, secoli dopo la morte del fondatore, del grande medico della sofferenza umana, si sia sentito il bisogno di dare una sistematicità filosofica all'insegnamento. A parer mio, sperando che qualche maestro non mi legga, la filosofia è una metafisica. Metafisica che si pone l'obiettivo di superare la metafisica stessa, senza sfociare nel nichilismo o nel dogmatismo. La Via di Mezzo, ossia stare lontani da ogni estremo,  è consapevolezza dell'impossibilità del pensiero di trascendere i suoi limiti.. 


Per provare a capire meglio non ho potuto fare a meno di constatare (almeno dal mio punto di vista) delle contraddizioni che se ti fara piacere mi spiegherai meglio tu.

Prima di tutto non penso che la filosofia e' una metafisica e poi come può la metafisica superare se stessa se questa nel suo implicito significato e' infinita e illimitata?
"Superare" intende oltrepassare un limite,altrimenti cosa ci sarebbe da superare?

un altro esempio quando in diverse occasioni mi pare che tu affermi che non ce nessun "Se" o se preferisci non esiste nessun fondamento o nessuna origine a nulla (cosi mi sembra di aver capito da quanto dici)
Ma se non ce un identita fondativa,poiche ci sarebbero solo aggregati effimeri ed inesistenti chi sarebbe a proclamarlo?  l'effimero e l'inesistente? Ma se e' inesistente allora non dovrebbe nemmeno esserci qualcuno o qualcosa che lo proclama

Oppure nel momento che tu affermi sostanzialmente che non vi sia un identita,non sarebbe nello stesso affermare qualcosa,l'affermazione stessa dell'identita? (Spero che la parola identità non porti ad equivoci,l'identita a cui faccio riferimento non e' l'IO - soggetto "isolato")


E poi..il buddismo e' una filosofia? Un metodo?...che aiuta a liberarsi dalla sofferenza,(giusto?) ...ma "chi" e' ad abbandonare la sofferenza,ossia da dove proviene questo "chi" se come sopra non dovrebbe affatto sussistere e percio fare la benché minima comparsa?

Sariputra

@ Acquario69
Qualcosa di meno faticoso no, Eh...? Mi chiedi di riassumere 2.500 anni di Dharma in poche parole. Un argomento su cui cui disponiamo di una letteratura immensa. Per non essere noioso e ripetitivo e continuare a ripetere le stesse cose, che troviamo poi in maniera abbondante nei vari siti web dedicati, penso che sia più interessante spiegare  cos'è il buddhismo per il Sari, l'essere inadeguato che vive a Sotto il Monte. Quindi...perdonami se ti parlo di cos'è il Dharma per me, ma penso che risulti più comprensibile, più "vero" e probabilmente meno noioso. Tra l'altro il Dharma, per come lo intendo io, che non sono un achaan ( un maestro ) è quella possibilità di colui che sa più poetica e profonda in cui mi sono imbattuto e sempre fonte di ispirazione e di conforto. Se non c'è comprensione profonda, non comprensione intellettuale, ma un sentire autentico, profondo della vastità dell'esperienza della sofferenza umana è difficile rivolgersi alla ricerca di una medicina per alleviarla. Questo sentire la sofferenza come "il problema" è alla base del mettersi nel cammino insegnato dal principe Siddhartha del clan degli Shakya. Il piccolo Sari, per le vicende della vita, s'imbattè presto, prestissimo con questa realtà della sofferenza ( che non è una realtà metafisica o relativa, ma qualcosa che fa proprio male...). Lunghi periodi di cecità , a causa di problemi agli occhi che vennero risolti solo con il tempo e con gli interventi chirurgici, altri problemi di salute e quindi l'isolamento, la solitudine, il dover continuamente rincorrere gli altri a scuola, gli resero evidente che quello ero il vero problema della vita. Tutti noi siami figli della nostra storia. Io non credo affatto a tutta la leggenda del principe Siddharta che viveva solo nel piacere e nella beata ignoranza del dolore. Era innanzi tutto un uomo che percepiva , forse come nessun'altro prima, la vastità e l'urgenza di dare una risposta a questo "sentire". E cosa fa un principe indo-ariano per cercare la strada di uscire da questo dolore? Usa i metodi che sono tipici della sua millenaria cultura , ossia i metodi dello yoga, della meditazione e della concentrazione, ossia del rivolgersi all'interno della propria mente e non cercare le risposte all'esterno, come avremmo fatto noi, magari correndo in cerca di qualche farmaco in farmacia...Compresa questa necessità, comprendiamo il primo 'fondamento' del Dharma : tendere all'estinzione di dukkha ( dolore, sofferenza, carattere insoddisfacente della vita, ecc.). Visto però che l'esperienza della sofferenza è un'esperienza diretta interna che si sperimenta, anche il rimedio deve essere un'esperienza diretta interna sperimentabile. Abbiamo quindi il secondo fondamento: la pratica del Dharma deve possedere una coerenza interna sperimentabile direttamente, senza dover ricorrere alla fede in un'altra persona. Sono due requisiti imprescindibili. Il Buddha si rifiutò di occuparsi di tutto ciò che non conduce all'estinzione di dukkha, senza prenderlo nemmeno in considerazione. Domande come: il mondo è eterno o non è eterno, il paesaggio esiste o non esiste, è assoluto o relativo, ecc. rimangono semplicemente sullo sfondo. Tutte le problematiche che non conducono all'estinzione di dukkha, non hanno il minimo rapporto con l'insegnamento del Buddha ( ci lavoreranno molto sopra gli infedeli seguaci nel corso della storia...). Chi si pone queste domande non ha modo di verificarle direttamente e deve affidarsi o credere alle parole altrui. A poco a poco l'argomento si allontana dall'Insegnamento e si trasforma in qualcosa di diverso, estraneo al problema dell'estinzione di dukkha. Oggigiorno l'etichetta 'Buddhismo' viene applicata a qualcosa di molto nebuloso, talmente vasto da non essere nemmeno identificabile. Al tempo di Buddha si usava la parola Dharma ( Dhamma in lingua pali). Il Dharma del Buddha ricevette il nome di 'Dharma dell'asceta Gotama'. Chi seguiva un determinato Dharma ( Insegnamento) lo esaminava e lo metteva in pratica com'era, nudo e crudo, senza imbrogli, senza la selva di congetture che gli sono state costruite sopra in seguito. Se pensiamo anche al messaggio fondamentale del Cristo, 'Ama il prossimo tuo come te stesso', era così, semplice , nudo e crudo, lo ascoltavi e provavi a metterlo in pratica. L'uomo moderno ha perso questa semplicità, che è anche immediatezza, riconoscere l'essenziale, impegnarsi autenticamente in un cammino spirituale. L'uomo moderno fa semplicemente raccolta di nozioni spirituali, ma non le pratica. Le legge , le studia, ci si azzuffa sopra, uno contro l'altro, la mia idea contro la tua, e poi le mette là, nella libreria, a ricoprirsi di polvere...
Per adesso mi fermo, che ho le dita anchilosate dal battere, spero che qualche volenteroso prosegua (Apeiron, Bluemax?...) , ripagherò con due dita di prosecco ( in orizzontale s'intende... :)).

P.S: Adesso che lo rileggo , mi rendo conto che forse non è adatto alla sezione 'filosofia' ma a quella 'spiritualità'. Ma forse Apeiron o Bluemax sapranno rimediare...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

acquario69

Citazione di: Sariputra il 16 Febbraio 2017, 09:44:04 AM
Qualcosa di meno faticoso no, Eh...?

;D


Per quanto riguarda la sofferenza "presto, molto presto" ti assicuro che ne so qualcosa anch'io..e se permetti posso arrivare a capire e condivido con te che ognuno e' figlio della nostra storia e poi apprezzo la franchezza "nudo e crudo senza imbrogli" insieme all' "ama il prossimo come te stesso"

quindi va bene i libri e le congetture mettiamoli pure da parte, sono d'accordo con te...
allora il buddhismo che sarebbe,un metodo,una modalità "personalizzata" utile per liberarsi dalla sofferenza?

per questo fai cenno allo yoga..ma lo yoga non e' da intendersi come unione cioè' come intuizione di far parte stessa del Tutto? ...o sarebbe solo una sensazione e percio chiusa al proprio interno?

..chissa se a Duc leggendo il tuo intervento,non gli sia proprio venuto subito dopo di fare questo commento (?)

CitazioneMa sia il relativismo che la metafisica sono nient'altro che mezzi e non il fine dell'esistenza: le scelte quotidiane.


si ma cosa distingue il fine dai mezzi?.. sono forse da ritenersi la stessa cosa? ..e sono davvero soltanto le umane scelte quotidiane a fare la distinzione?

Sariputra

#3
@acquario69

Sì. il Dharma del Buddha ( Dharma è un termine più corretto rispetto a 'Buddhismo' , che vuol dire tutto e niente...) è essenzialmente un metodo pratico, una 'medicina'  per superare lo stato insoddisfacente della propria esistenza ( quindi doloroso ) per 'dimorare' in uno stato privo di questa sofferenza ( quello che viene comunemente chiamato Nirvana). Questo dimorare è una qualità sempre presente nella mente , ma che viene offuscata dall'attaccamento o dall'avversione ai fenomeni sensoriali, dall'ignoranza della propria autentica realtà e da pensare di essere 'separata', quindi "Io". ' Coperta' da quello che chiamano samsara ( che lett. vuol dire 'coperto'). Tu dirai, ma se non c'è "Io" chi è che dimora nella non-sofferenza? Qui non posso darti una definizione , perché tradirei l'Indescrivible, autocontraddicendomi . Qualunque definizione e paragone non è adeguato. Si può solo indicare la via per raggiungere questa 'dimora', consapevoli che non si tratta di andare da qualche parte. Questo Indescrivibile ha preso tanti nomi nel corso dei secoli: la 'Pura Terra', la 'Mente di Buddha', la 'Dimora senza nome', la 'Casa della pace', ecc.
Personalmente , vista la mia tara mentale, mi piace chiamarlo 'Il suono del vento tra gli alberi', quello che amo ascoltare alla notte... :) ( fatto mio dalla grande scrittrice e poetessa giapponese Murasaki Shikibu e tratto dalla sua opera Genji Monogatari...)
Tieni conto però che il mio è un 'dharma mistico', se così si può dire. Io sono un buffone del Buddha... ;D
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

I miei "two cents":

Il "nucleo dottrinale" del buddismo è riassunto nelle Quattro Nobili Verità e nei Tre Caratteri Fondamentali dell'Esistenza. Le quattro nobili verità:
1) Esiste il "dukkha": ossia l'esistenza è sofferenza. Perchè mai ciò è vero? Ebbene perchè o vi è sofferenza oppure perchè quando arriva qualcosa che ci rende felici inesorabilmente prima o poi quel qualcosa svanisce;
2) C' una causa del "dukkha": la causa della sofferenza è l'attaccamento a questi stati piacevoli.
3)Fin qui sarebbe veramente deprimente. Ma arriva una luce di speranza che è la terza nobile verità: esiste per così dire uno "stato" privo dalla sofferenza, il Nirvana ("estinzione").
4) Esiste un modo pratico per ottenere l'Estinzione. E questa è la parte principale del buddismo, ossia la pratica!

Collegato a ciò si deve anche giustificare tutto questo e lo si fa con i tre caratteri fondamentali:
1)anicca: ossia impermanenza. Precisamente: tutto ciò che dipende da condizioni è impermanente. Quindi TUTTI gli esseri viventi, compresi quelli residenti nel più infimo degli inferni (naraka), sia i deva che si godono il paradiso sono in realtà soggetti al declino. Per questo motivo ogni attaccamento è un male. E qui d'altronde c'è la dolorosa verità, ossia la "diagnosi" che bisogna accettare pienamente: tutti gli stadi dell'esistenza sono impermanenti. E ciò che è impermanente causa dolore (dukkha)!
2)dukkha (non lo descrivo)
3)anatta. L'anatta è molto più "subdolo", nel senso che è difficile da comprendere e guarda caso è proprio la comprensione di questa dottrina che ti conduce alla liberazione. L'anatta significa "non-sé". In senso stretto è una conseguenza di anicca e dukkha: ciò che è impermanente è doloroso e quindi non può essere né (veramente) "mio", né "me". E il Nirvana? Ecco qui in realtà non c'è un "vero consenso". Il Dhammapada però è lapidario: "tutto è anatta" (versetto 279). Ora Nirvana è descritto come "amata" (senza morte), permanente ecc. La domanda sorge: come può essere dunque "un non-sé"? In nessuna sutta è davvero spiegato questo problema. Anzi sembra che Buddha ritenga questa domanda come "inutile". Perchè? L'importante è la pratica! Solamente quando arriverai alla Liberazione/Nirvana capirai cos'è! In ogni caso è descritto come uno "stato" in cui ci si è liberati da ogni attaccamento e quindi da ogni pensiero di "io" e di "mio". In sostanza è una sorta di "suicidio epistemologico" in quanto il pensiero è morto. E non a caso il Nemico Mara (parola che è legata al concetto di "morte") cerca di ingannare facendo in modo che al praticante vengano i pensieri del tipo "io e mio".  Mara d'altronde, il Re del Samsara, vuole che continui il ciclo delle rinascite per continuare il ciclo di sofferenza e di morte. Come vincere Mara? Beh arrendendosi! Ci si deve arrendere da ogni pretesa di identificazione, da ogni pretesa di possesso.

Fatta questa escursione spero che sia chiaro che per il buddismo il vero problema è che "io" e "mio" conducono all'attaccamento per "cose" impermanenti. Questo è l'atto di fede che devi fare per inziare la pratica: non ci sono rinascite permanenti. Realizzato ciò "si inizia".

P.S. Per quanto mi riguarda credo che la dottrina abbia un grosso problema perchè non c'è vera distinzione tra l'Eterno Oblio e il Nirvana. Ma questa è una mia opinione...
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

acquario69

#5
Citazione di: Sariputra il 16 Febbraio 2017, 12:13:58 PM
...se così si può dire. Io sono un buffone del Buddha... ;D

Be' Misa che siamo piu o meno tutti un po "buffoni" in questi esistenza,ognuno con una parte gia assegnata in partenza....
Comunque secondo me la tua parte la sai fare molto bene   8)


Noto Che al momento il buddhismo non desta particolare interesse...a parti due miseri cents appena incassati  ;D


Grazie per il confronto  :)

Duc in altum!

**  scritto da acquario69:
Citazionesi ma cosa distingue il fine dai mezzi?.. sono forse da ritenersi la stessa cosa? ..e sono davvero soltanto le umane scelte quotidiane a fare la distinzione?

La scelta rende a colori ciò che era in bianco e nero (o in sfumature di grigio, visti i tempi). Il fine è centrare il bersaglio, può essere una vita piena o una duratura, o quel che uno intende col realizzarsi esistenzialmente, tanto il desiderio che attiva i mezzi: la spiritualità, la metafisica, il relativismo o la religione, è sempre lo stesso.
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

Apeiron

#7
acquario69, non è vero che c'è poco interesse per il buddismo. Personalmente lo ritengo una filosofia MOLTO interessante. Tuttavia in questo thread ho enunciato le mie perplessità sullo "scopo finale": https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/nirvana-moksha-karma-e-'eutanasia'/

Ci sono concetti davvero molto belli come ad esempio: l'impermanenza, la sofferenza che nasce dall'errata identificazione, la sofferenza che nasce dall'illusione del possesso. Inoltre è anche una filosofia che non è molto antropocentrica (anche se in verità una rinascita umana è "speciale" e l'uomo e l'animale sono sempre distinti). Non c'è nemmeno il problema secondo me del "risentimento", anzi c'è l'idea che si possa avere un progresso spirituale tra una vita ed un'altra.

Ritengo il Canone Pali (ne trovi una parte consistente qui: http://www.canonepali.net/index.html) un'opera di una genialità incredibile e ne consiglio la lettura. Magari per iniziare leggi il Dhammapada http://www.canonepali.net/dhp/dhp_index.htm.

In sostanza trovo nel buddismo molte cose buone, tuttavia non mi considero "buddista" appunto perchè non sono d'accordo con tutto.

In ogni caso il taoismo è praticamente identico anche in riferimento alla dottrina dell'anatta anche se ad un buddista non piacerebbe l'idea di "unirsi al Tao", anche se nel taoismo questo concetto mi sa tanto di puro valore "metaforico" (nel senso che l'importante anche qui è liberarsi del'io):
"«L'uomo perfetto è senza io, l'uomo ispirato è senza opera, l'uomo santo non lascia nome». [...]
La grande intelligenza abbraccia, la piccola discrimina [...].
Come ha potuto il Tao oscurarsi al punto che vi debba essere distinzione tra il vero e il falso? Come ha potuto la parola offuscarsi al punto che vi debba essere distinzione tra l'affermazione e la negazione? [...] Il Tao è offuscato dalla parzialità. La parola è offuscata dall'eloquenza. [...]
Che l'altro e se stesso cessino di opporsi, questo è il perno del Tao. [...]
È camminando che si traccia la via; è nominandole che le cose sono. [...] Ogni cosa ha la sua verità; ogni cosa ha la sua possibilità. [...]
È così che lo stelo sottile e il grosso pilastro, la brutta donna o la bellissima Xi-shi, il grande e lo straordinario, l'astuzia e la mostruosità, si riassorbono tutti nell'unità del Tao. [...]
La comprensione conduce all'unità [...].
Compiere senza sapere perché, ecco il Tao"
(dal Zhuang-zi, capp. I-II).
In generale come dice Sariputra forse sarebbbe più saggio non soffermarsi sulla dottrina ma concentrarsi sulla pratica e chiamare il buddismo "Dharma".

P.S. Ho problemi a fare le citazioni degli altri post. Anche a voi succede?
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

acquario69

#8
Citazione di: Apeiron il 16 Febbraio 2017, 14:40:12 PM
acquario69, non è vero che c'è poco interesse per il buddismo. Personalmente lo ritengo una filosofia MOLTO interessante. Tuttavia in questo thread ho enunciato le mie perplessità sullo "scopo finale": https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/nirvana-moksha-karma-e-'eutanasia'/

Ci sono concetti davvero molto belli come ad esempio: l'impermanenza, la sofferenza che nasce dall'errata identificazione, la sofferenza che nasce dall'illusione del possesso. Inoltre è anche una filosofia che non è molto antropocentrica (anche se in verità una rinascita umana è "speciale" e l'uomo e l'animale sono sempre distinti). Non c'è nemmeno il problema secondo me del "risentimento", anzi c'è l'idea che si possa avere un progresso spirituale tra una vita ed un'altra.

Ritengo il Canone Pali (ne trovi una parte consistente qui: http://www.canonepali.net/index.html) un'opera di una genialità incredibile e ne consiglio la lettura. Magari per iniziare leggi il Dhammapada http://www.canonepali.net/dhp/dhp_index.htm.

In sostanza trovo nel buddismo molte cose buone, tuttavia non mi considero "buddista" appunto perchè non sono d'accordo con tutto.

In ogni caso il taoismo è praticamente identico anche in riferimento alla dottrina dell'anatta anche se ad un buddista non piacerebbe l'idea di "unirsi al Tao", anche se nel taoismo questo concetto mi sa tanto di puro valore "metaforico" (nel senso che l'importante anche qui è liberarsi del'io):
"«L'uomo perfetto è senza io, l'uomo ispirato è senza opera, l'uomo santo non lascia nome». [...]
La grande intelligenza abbraccia, la piccola discrimina [...].
Come ha potuto il Tao oscurarsi al punto che vi debba essere distinzione tra il vero e il falso? Come ha potuto la parola offuscarsi al punto che vi debba essere distinzione tra l'affermazione e la negazione? [...] Il Tao è offuscato dalla parzialità. La parola è offuscata dall'eloquenza. [...]
Che l'altro e se stesso cessino di opporsi, questo è il perno del Tao. [...]
È camminando che si traccia la via; è nominandole che le cose sono. [...] Ogni cosa ha la sua verità; ogni cosa ha la sua possibilità. [...]
È così che lo stelo sottile e il grosso pilastro, la brutta donna o la bellissima Xi-shi, il grande e lo straordinario, l'astuzia e la mostruosità, si riassorbono tutti nell'unità del Tao. [...]
La comprensione conduce all'unità [...].
Compiere senza sapere perché, ecco il Tao"
(dal Zhuang-zi, capp. I-II).
In generale come dice Sariputra forse sarebbbe più saggio non soffermarsi sulla dottrina ma concentrarsi sulla pratica e chiamare il buddismo "Dharma".

certo non ho dubbi nemmeno io che il buddismo non sia una filosofia (?) molto interessante.
per me tutte le dottrine hanno Valore a prescindere, diciamo la Spiritualita',che e' alla fine la stessa e identica per tutti gli esseri, non solo umani (a prescindere se questa viene o meno avvertita)

Il Tao e' senz'altro quello che rientra di più nelle mie corde e citazioni come quelle sopra, spesso entrano come fulmini a ciel sereno...un lampo e in quell'istante comprendi tutto.. o ugualmente e per certi versi "opposti" una spiegazione rigorosamente logica che fa un percorso per arrivare al "cuore" Unico delle cose tutte (cuore inteso come comprensione e non come sentimento!)
altra fonte inesauribile dove posso attingere e' la Natura,quando me ne capita l'occasione nonostante venga sempre di più accerchiata e ridimensionata...davvero triste.
Sari per esempio cita il suono del vento tra gli alberi...una meraviglia appunto indescrivibile, proprio perché l'identita soggettiva scompare

in quell'altra discussione a un certo punto scrivi:
CitazioneDunque ottenuta la completa liberazione cosa succede?

Credo qualcosa di simile di quanto appena provato ad esprimere (e che non si può descrivere, quindi ci si può solo arrivare da soli) ...mentre la domanda sopra te la fai per la "ragione" della tua stessa identita soggettiva,ma estinto il soggetto si estingue la domanda stessa..non so se sono riuscito a farti intendere dove volevo arrivare :)

Apeiron

#9
acquario69, sì penso di aver capito dove vuoi arrivare e capisco anche la tua obiezione alla mia obiezione  ;D

In ogni caso il taoismo ha rispetto al buddismo il vantaggio di avere meno "suovrannaturalismo" (ossia non ci sono devas, rinascite, inferni ecc). Nel taoismo in particolare la morte è vista come un processo naturale di "trasformazione". Ciò penso che sia dovuto al fatto che il taoismo nasce da un contesto culturale dove si aveva una concezione positiva della vita. In India invece le religioni dharmiche sono molto più "negativiste": infatti la stessa concezione del samsara è come una sorta di una perpetua prigione dove gli esseri nascono, soffrono e muoiono. L'obbiettivo finale mi pare però lo stesso, solo espresso in modi diversi: la cancellazione totale dell'individualità, la liberazione completa da pensieri del tipo che sono legati al soggetto. Ossia il Silenzio, il "suicidio epistemologico", la rinuncia totale alla volontà, la noluntas.... Non a caso da buddismo e taoismo è nato lo Zen che a mio giudizio è ancora più aggressivo nei confronti del ragionamento analitico di buddismo e taoismo (vedi le koans).
Lo svantaggio del taoismo è in verità proprio la sua concezione "positiva" dell'esistenza: dire che ogni cosa è una "manifestazione del Tao" mi pare un'assurdo, una sottomissione rispetto al male che dilaga nel mondo. Nel taoismo (e anche nell'Advaita Vedanta) in ultima analisi si evita il problema del male non pensandoci più, ossia dissolvendo il problema stesso: tuttavia è davvero la dissoluzione, ovvero il non pensarci più, una soluzione al problema? A mio giudizio no! In occidente anche Spinoza diceva "quando capisco che la sofferenza è causata da Dio, allora non è più sofferenza ma diventa piacere". Tuttavia a questo punto diventiamo tutti catatonici e ci "scolleghiamo" dalla realtà, tanto anche in questo caso non si soffre più. A dire il vero molti "risvegli" che ho avuto sono stati dolorosi, in quanto mi hanno fatto capire proprio la realtà del male.

Così invece il buddismo riconosce il problema dell'esistenza, dukkha. Nel buddismo il Male è proprio l'Esistenza Condizionata. Il problema del male fa nascere in noi Samvega, il pungolo esistenziale, che ci porta alla rinuncia e quindi all'Estinzione. Paradossalmente però gli individui "perfetti" delle due tradizioni sono descritti allo stesso modo: hanno superato i desideri, non producono più distinzioni, cessano il karma (concetto in realtà presente anche nel taoismo), si liberano dall'io.  Personalmente mi trovo più incline ad apprezzare il buddismo proprio perchè mi pare che abbia uno sguardo più disincantato rispetto alla realtà. Inoltre da un punto di vista pratico il Dharma vanta di una tradizione molto più salda del taoismo (anche perchè da quel che so io non c'è davvero un "taoismo").

Sul discorso dell'io la mia obiezione è la seguente (dovuta molto probabilmente al fatto che apprezzo anche il cristianesimo). In sostanza mi sembra che abbandonare l'io mostri una volontà di "fuga" dalla realtà anzichè una volontà di "combattere", ossia di "agire attivamente". Poi eh magari tutta questa mia "ostilità" deriva dal mio attaccamento all'io e dalla mia limitata comprensione, tuttavia tutto questo "rinunciare all'io" mi sembra una fuga (seppur molto comprensibile). Poi eh riconosco anche che il buddismo ha un fortissimo stampo etico (non so quanto ciò valga per il taoismo e lo Zen) e infatti anche il buddismo ha una forte componente di "attivismo" (penso che Sariputra sappia benissimo farti esempi in cui "metta", l'amore, viene messo in pratica in modo eccellente da azioni concrete dei buddisti).

P.S. Più che altro voglio far presente che a dire ciò sono molto ipocrita. Sono personalmente un codardo e un'ipocrita. Uno che fugge quando sa di non doverlo fare. E ho paura che il fascino che mi danno appunto le religioni orientali ("liberazione dalla sofferenza, dall'io") è dovuto al mio carattere. Forse non sono la cosa giusta per me adesso. Quindi sì sono il primo che fugge anche se sono convinto che "non si deve fuggire"...
Forse Kierkegaard aveva ragione quando diceva che bisognava soprattutto cercare una verità per se stessi?
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Phil

Chiedo conferma a chi è più erudito in materia, ma credo che la peculiarità del taoismo sia quello di non avventurarsi esplicitamente in elucubrazioni sul post-mortem umano, e quindi non si propone come filosofia/religione "consolatoria". 
Da quel che so, il bene e il male non vengono banalizzati o equiparati, piuttosto "dinamicizzati" (seguendo le "mescolanze" di yin e yang), per cui la sofferenza mantiene tutta la sua lancinante identità, ma viene inserita in dinamiche concrete che la contestualizzano, senza avere conseguenze ultraterrene (convocazione in tribunali divini o cicli di rinascite). Il taoismo mi pare quindi estremamente pragmatico, forse troppo per affascinare chi cerca risposte a domande mistiche o gli si accosta possedendo già i concetti di anima, divinità, etc. (non mi riferisco ad Apeiron, ma solo alla precomprensione occidentale che può viziare l'approccio al taoismo). 
Se non erro, la "Via" del taoismo può essere declinata anche in ambiti che non hanno nulla di ascetico, essendo il "meccanismo" (licenza poetica ;D ) che regola gli eventi umani (e non solo); basti pensare all'arte, o meglio, "via" della guerra (in cui, Apeiron, forse già sai che la ritirata ha un ruolo importante ;) ), a tutte le altre "vie" caratterizzate dal suffisso "do" (derivato da "dao"): arti marziali (ma anche "spirituali") come judo e aikido; l'etica militare del bushido e il tiro con l'arco, kyudo; la disposizione dei fiori, kado; la celeberrima cerimonia del tè, sado; l'arte della calligrafia, shodo, etc.
Lo Zen ha ben colto questo immanentismo taoista, e l'alludere "asintotico" dei koan oltre il linguaggio, secondo me, è proprio un invito a non trascendere la vita presente nel suo fluire, perché l'agognato "satori" è per i vivi (e non ha bisogno di nozioni e classificazioni trascendenti che forse appesantivano un po' troppo di fideismo il buddhismo indiano).

Sariputra

Rieccomi...mi "sembra" che sia tutto a posto, ora :)
Vorrei ora parlare di una cosa strana, che forse esiste solo nel Dharma  e di cui anche i buddhisti non vogliono parlare...una cosa che va veramente contro il senso comune...una cosa che nessuno vuol mai sentire: vorrei scrivere del 'dolore dato dalla felicità'. Tutti, a questo punto, alzano le sopracciglia e ti guardano strano...di solito. Eppure questo è un altro cardine del Dharma di quell'antico principe indiano.
Parlando della sua vita nei palazzi del padre, Siddhartha passa in rassegna tutti i piaceri e le felicità possibili per un essere umano, felicità di cui godeva in abbondanza. C'erano ricchezze, potere, arte, musica , filosofia, leggiadre fanciulle disposte a tutto per un giovane principe, una moglie adorabile, un tenero figlio, Rahula. Eppure...prima ancora degli incontri con il vecchio ammalato e poi del morente, Siddhartha soffre...E' quel dolore indefinibile, quel senso di mancanza, quella tristezza nascosta sotto i gioielli e le lusinghe , sotto morbidi abbracci. E' un'inquietudine inspiegabile...Val la pena essere felici? E di essere infelici? Le mani si alzano di scatto...tutti vogliono essere felici. Ma Siddharta, proprio colui che ha tutto per essere felice...è infelice! Ecco allora che comincia a balenargli in testa l'idea che, proprio la felicità per cui tutti schiamazzano, è una forma di infelicità. Siddhartha è un tipo fondamentalmente depresso? La psicanalisi moderna vorrebbe ingabbiare anche questo sentimento forse...ma non è così, per Siddhartha è un pungolo, è qualcosa di più che lo porta ad agire. E'la "tristezza esistenziale" che gli dimostra l'inconsistenza di tutte le forme possibili di felicità. Ecco allora un primo intuito dellla strada che deve seguire: non si tratta di trovare una Suprema Felicità, che non esiste essendo anche la felicità un fenomeno condizionato, si tratta di vedere se, per caso, forse, da qualche parte, in qualche foresta sperduta...ci sia un luogo dove ' dimora' uno stato che non sia toccato dalla felicità o dall'infelicità. Per lui non ci sono dubbi...le persone felici provano il dukkha della felicità, la sofferenza insita nella felicità stessa. E qui il Sari non ha molta difficoltà ad immedesimarsi in questo sentimento...forse nessuno  di noi ha veramente difficoltà a farlo. La difficoltà sta nell'ammetterlo...non c'è verso che la felicità ci renda felici...tutte le barriere possibili, a questo punto, si alzano. Sei pazzo, ti dicono...se ci togli anche la speranza di essere , un giorno, in un'altra vita magari, finalmente felici , cosa ci resta? Vediamo subito qui un'inevitabile conseguenza di questa idea del Buddha: il Nirvana non è uno stato di felicità. Quando un achaan ( maestro) del Dharma dice questo, la maggior parte degli ascoltatori, soprattutto gli occidentali come sono io, si agita nervosamente, comincia a guardare di qua e di là...quasi non vuole più ascoltare. Nella felicità Siddhartha vede un subdolo nemico, qualcosa che vive insieme alla felicità: l'attaccamento. Non è possibile essere felici senza provare attaccamento alla sensazione felice e , se c'è attaccamento, ci sarà pure condizionamento.
Anche le forme più sottili di felicità che derivano dal samadhi ( meditazione di concentrazione) : purezza, chiarezza, stabilità, calma, prontezza e dominio della mente sono macchiate dalla possibilità infida dell'attaccamento. Appena si produce la sensazione 'Io sono felice'...ecco la spina nascosta nella carne della felicità; chi ambisce a queste felicità "spirituali" date dall''assorbimento' meditativo ( jhana), soffrirà di quel particolare tipo di sofferenza. Siamo senza tregua alla ricerca della felicità: quella del bambino, del giovane Apeiron, dell'adulto acquario69, dell'anziano, del potente, della persona influente...Difficilmente un giovane capisce che la felicità non si raggiunge mai, che è inafferrabile, che ha sempre una spina conficcata...ma gli anziani sì, spesso lo capiscono...quando ormai è tardi...
Come vedi acquario69, è un campo immenso in cui non posso far altro che spigolare... :)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Sariputra

#12
Citazione di: Phil il 17 Febbraio 2017, 22:20:38 PMChiedo conferma a chi è più erudito in materia, ma credo che la peculiarità del taoismo sia quello di non avventurarsi esplicitamente in elucubrazioni sul post-mortem umano, e quindi non si propone come filosofia/religione "consolatoria". Da quel che so, il bene e il male non vengono banalizzati o equiparati, piuttosto "dinamicizzati" (seguendo le "mescolanze" di yin e yang), per cui la sofferenza mantiene tutta la sua lancinante identità, ma viene inserita in dinamiche concrete che la contestualizzano, senza avere conseguenze ultraterrene (convocazione in tribunali divini o cicli di rinascite). Il taoismo mi pare quindi estremamente pragmatico, forse troppo per affascinare chi cerca risposte a domande mistiche o gli si accosta possedendo già i concetti di anima, divinità, etc. (non mi riferisco ad Apeiron, ma solo alla precomprensione occidentale che può viziare l'approccio al taoismo). Se non erro, la "Via" del taoismo può essere declinata anche in ambiti che non hanno nulla di ascetico, essendo il "meccanismo" (licenza poetica ;D ) che regola gli eventi umani (e non solo); basti pensare all'arte, o meglio, "via" della guerra (in cui, Apeiron, forse già sai che la ritirata ha un ruolo importante ;) ), a tutte le altre "vie" caratterizzate dal suffisso "do" (derivato da "dao"): arti marziali (ma anche "spirituali") come judo e aikido; l'etica militare del bushido e il tiro con l'arco, kyudo; la disposizione dei fiori, kado; la celeberrima cerimonia del tè, sado; l'arte della calligrafia, shodo, etc. Lo Zen ha ben colto questo immanentismo taoista, e l'alludere "asintotico" dei koan oltre il linguaggio, secondo me, è proprio un invito a non trascendere la vita presente nel suo fluire, perché l'agognato "satori" è per i vivi (e non ha bisogno di nozioni e classificazioni trascendenti che forse appesantivano un po' troppo di fideismo il buddhismo indiano).

Phil, Phil...sai bene che del dao non si può parlare.
"Chi conosce il dao non ne parla, chi ne parla non lo conosce"... :)
Preciserei che il Buddhismo indiano era fideista nelle masse popolari, che presto trasformarono l'uomo Siddhartha in un principio  eterno, una specie di dio, anzi...più grande degli dei, che venivano ad ascoltarlo per esserne educati. Non credo che gli autentici seguaci lo abbiamo ritenuto una divinità. La fede era essenzialmente fede nel Suo Insegnamento. E' sempre il Dharma il centro, come lo è il Dao per il taoista. Per me il daoismo si serviva del linguaggio , spesso in maniera poetica, altre volte contraddittoria, per provocare una sorta di cortocircuito del pensiero logico.
Il Daoismo ( anche qui termine improprio) penso abbia sofferto di una mancanza di sistematicità che lo ha infine relegato in una posizione marginale, quasi da elite . In effetti appare impossibile, e questo è anche un motivo,a  mio parere, del suo fascino, avvicinarsi per "imparare" qualcosa. Il Confucianesimo si impose facilmente con le sue precise norme e i suoi precetti regolatori la società cinese e certamente non possedeva la profondità del daoismo ( anche se un'approfondimento di questo poveraccio bistrattato di Confucio sarebbe interessante. Non penso proprio fosse così scemo come lo dipingevano gli scrittori daoisti...). Come poter inquadrare nelle categorie occidentali il daoismo? Tu dici 'immanente' ,ed è vero che non si avventurava in elocubrazioni e fantasie sul post-mortem,ma il Dao appare come qualcosa di inafferrabile, indescrivible, si può solo indicare , ecc. Quindi non saprei se si tratta proprio di immanentismo come lo intendiamo solitamente. Sicuramente cercava di 'stare con le cose', di vederne l'armonia, ma forse anche qualcosa 'oltre'. Per es. in questo passo di Ciuang Tze:

Lucedistella interrogò Nonessere: "Maestro, esistete o non esistete?"
Lucedistella non ebbe risposta, e guardò fissamente la sembianza di Nonessere: era un profondo vuoto. Guardò un giorno intiero; non vide nulla. Ascoltò; non udì nulla. Volle abbracciarlo; non strinse nulla. Disse Lucedistella:" Questa è perfezione! Chi può raggiungerla?"

Non ti sembra , con altre parole, più poetiche, riecheggiare lo stesso suono della shunyata buddhista? Era inevitabile che il daoismo rivivesse in quella che fu la grande stagione del Buddhismo Chan e Hwa Yen. Ne smussò la rigidità indiana e ne diede un'afflato mistico e poetico , a mio parere, insuperabile...

Boschi e prati mi fanno lieto e felice; ma prima che la felicità abbia termine, ecco il dolore. Piacere e dolore io non posso impedirli; quando se ne vanno non posso trattenerli. Quanta tristezza è pensare che l'uomo non abbia ad essere che un albergo per le cose esterne! Egli conosce ciò che incontra, non conosce ciò che non incontra; può soltanto quanto è nelle sue forze, non può quanto non è nelle sue forze. Questa ignoranza e questa incapacità è ciò che l'uomo non potrà mai evitare. E tentare sempre di evitare ciò che l'uomo non può evitare non è altra tristezza?     Ciuang Tze

C' è anche una sana consapevolezza della reale situazione esistenziale umana. E anche un profondo disincanto, a mio modesto parere. C'è una grandissima affinità tra il Dharma e il Daoismo, non c'è alcun dubbio. E' come salire sulla stessa montagna da due strade diverse...
Sulla strada del bosco
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Apeiron

Ma con le mie parole non volevo denigrare nessuna filosofia, anche perchè non me ne viene in tasca nulla  ;D

Sì so che anche nel taoismo c'è una forte componente esistenziale (e ci mancherebbe, d'altronde anche qui si richiede di abbandonare il lusso, le ricchezze, gli studi (!),...) tuttavia volevo semplicemente mettere in evidenza una "proprietà" presente in molte "religioni della rinuncia": ossia quello di considerare il fattuale/reale come "giusto" e di considerare il "dover essere" una "mera invenzione". Secondo ad esempio il taoismo la sofferenza nasce dall'opposizione che noi abbiamo contro i fatti. Da questa opposizione, nasce la sofferenza e dalla sofferenza nascono le cattive intenzioni, le cattive parole e i cattivi gesti. Quello che un taoista ti direbbe è: "abbandonati alla corrente del grande Fiume del Tao". In modo simile Spinoza - non a caso definito lo stoico del '600- ti dice: "è perchè caro mio non capisci che tu in realtà non puoi davvero far niente contro il Destino, per questo soffri!". Poi eh in entrambi i casi il Realizzato diventa compassionevole, gentile, perfetto ecc. Però se devo dire onestamente la mia sul loro concetto di "rassegnazione" secondo me è errato, che vi devo dire  ;D Poi eh il taoismo è una religione veramente strana in quanto è forse la più pragmatica di tutte: è tutta basata sul Quì e Ora. Ma secondo me un sistema religioso-filosofico deve anche cercare di andare oltre al Quì e Ora. In sostanza credo che siano religioni e filosofie "innocenti" (ossia che non vedono il "male" proprio perchè sono un po' infantili - ma nel senso della parole inglese "childlike" non "childish")


Nel buddismo invece trovo una consapevolezza del dolore più sviluppata. Non è perchè "tu non ti rassegni" ma perchè d'altronde è proprio a causa della natura dell'esistenza condizionata che si prova dolore. Anzi gli stessi piaceri "sensuali" (non "condannati" dal taoismo!, il taoismo semmai "condanna" il modo con cui le fai.) vengono ora visti come "tentazioni" della Morte. La prospettiva mi pare che sia completamente diversa, seppur l'obbiettivo sia identico: la Liberazione della Sofferenza tramite l'annullamento dell'io (o meglio di pensieri legati a tale "io"). Anzi sinceramente credo che qui valga davvero il concetto di "sincretismo": sono semplicemente due strade diverse per arrivare alla stessa meta. Solo che per me il buddismo mi pare più "onesto". 

Il cristianesimo invece ti sfida. In sostanza qui si distingue tra buona e cattiva volontà e l'io è visto come l'agente di tale volontà. In un certo senso è come se in questo contesto si tenta di "valorizzare" l'io. In sostanza il "male" qui è condotto alla cattiva intenzionalità e alle cattive azioni e all'io è richiesta proprio la rinuncia al piacere che tali azioni possono dare. La sofferenza stessa è rivalutata: non è una cosa da cui bisogna liberarsi ma è una cosa che a volte può essere pedagogica. C'è poi l'idea di soffrire-per-l'altro che in un'ottica orientale potrebbe essere vista come un ennesimo attaccamento. Tuttavia è anche interessante notare che questo tipo di compassione in realtà è presente anche nel buddismo Mahayana (e non solo Theravada) in cui il bodhisattva ritarda volontariamente la sua Estinzione proprio per "insegnare il Dharma" agli altri. In sostanza nel buddismo mahayana e nel cristianesimo è più attivo l'aspetto "missionario", ossia la "lotta" contro il male. La grossa differenza è che nel cristianesimo l'obbiettivo di tale lotta è la salvezza del proprio e dell'altrui "io" mentre nel buddismo mahayana l'obbiettivo è la salvezza propria e altrui dall'io. 

Per me, in questo momento l'idea di "abbandonare l'io" mi sembra non una ritirata per un successivo ritorno ma proprio l'idea di fuggire. Ciò non significa che però possa apprezzare la saggezza che mi sembra di trovare nelle varie tradizioni. E magari questa fuga la vedo solo io, in questo momento. Come ho già detto altrove la nostra comprensione di una determinata cosa muta nel tempo: forse non sono semplicemente pronto. Però sono abbastanza convinto che filosofie come spinozismo e stoicismo mi paiono davvero fughe in una "realtà di fantasia". Forse il taoismo e il buddismo non li conosco abbastanza, vuoi il mio background, il mio carattere ecc. D'altronde è possibile che per un buddista il concetto di "liberazione dall'io" sia ben diverso dal mio di quando leggo tale espressione. Ogni tradizione va capita nel suo contesto e da qui ci sono tutte le difficoltà...
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

donquixote

Citazione di: Apeiron il 18 Febbraio 2017, 14:20:02 PMLa grossa differenza è che nel cristianesimo l'obbiettivo di tale lotta è la salvezza del proprio e dell'altrui "io" mentre nel buddismo mahayana l'obbiettivo è la salvezza propria e altrui dall'io.

Non è affatto così, anche se fa scena la sottile distinzione; entrambe le dottrine ambiscono al medesimo risultato, ovvero all'estinzione dell'io che si risolve nel Sé universale. Usano simboli ed espressioni differenti ma l'essenza è la medesima. Poi qui si conosce il Cristianesimo più dal punto di vista sociale che dottrinale mentre il Buddhismo è stato studiato più dal lato "filosofico" (ma più che una filosofia io direi che è una "via di liberazione") e quindi emergono più facilmente certe cose piuttosto che altre, ma questa è una mera contingenza. Se si studiassero i fondamenti del Cristianesimo con lo stesso spirito con cui si studia il Buddhismo (cioè non dando per scontato che tutti qui conosciamo il Cristianesimo perchè più o meno ci viviamo in mezzo) si potrebbe comprendere; magari non così facilmente perchè il Cristianesimo è stato massacrato negli ultimi secoli da ogni sorta di esegeta parvenu, ma comunque si può ancora fare.
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD