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Buddhismo

Aperto da acquario69, 16 Febbraio 2017, 04:59:05 AM

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green demetr

Per Sari e Apeiron:

Il mio pensiero trinitario (Soggetto-Oggetto-Desiderio) non può essere lasciato in nome di alcunchè.
Perchè è il frutto di un lungo doloroso processo di questioni filosofiche.

Dunque Induismo, Buddhismo, Ebraismo, Cabala, Ermetismo hanno potenzialità in me solo se riesco a rintracciarne i motivi che superino il metodo filosofico.

Se il Buddhismo è quella cosa naive presentatami da Sariputra allora è destinata a perire, come perì l'induismo all'epoca.

E' molto semplice, qualsiasi religione voglia reprimere la sessualità lo fa in nome del preteso Bene e Male.
Addirittura ci costruiscono su un sistema, vuoto e totalmente lontano da ciò che l'uomo è, a tutte le latitudini e longitudini, come lo studio antropologico ha ampiamente mostrato (pur quest'ultimo assumendo ancora cosa sia bene e male).

Chissà perchè le caste sacerdotali invece ne fanno sempre a meno.
E questo è storia.

Ma cosa è bene e cosa è male?
(la violenza non risolve un bel niente, o meglio risolve assoggettando l'altro, proprio ciò che non era da fare secondo i precetti di tutte le sedicenti, e perciò false, religioni del mondo, e intendo proprio tutte.)

Perchè bere prosecco porta all'infelicità?
Bizzarro, visto che i miti antichi invece lo assumevano addirittura a fondamento del loro vivere quotidiano.
Per mia esperienza personale, il vino non mi ha MAI portato infelicità.

Certo esiste il metron, se inizi a provare dolore per via del vino, ti moderi in proporzione: non lo metti come regola che tutti devono seguire.

In questo il pessimo Aristotele aveva ragione. Giustizia nel Medium.
Ossia alla diversità dei casi.

No per conto mio passo amici miei: riguardo i discorsi moralisti.

E invece io tornerei a bomba.

Ossia cosa è interessante proprio a livello filosofico.
Ossia cosa lo è a livello metafisico.
Dove risiede la trascendenza?

Tornando alle tradizione che maggiormente mi ha sempre convinto, quella filosofica appunto, distinguiamo dunque una Potenza e una Forma. (Platone, il pessimo Platone).

La cosa più interessante nel Buddismo è che per come ci sto ragionando per conto mio, e lontano dai testi: che la Forma è la Potenza del Vuoto.

Il che riformulato in altra maniera si pone come seconda mia personalissima pietra del paragone.


Ossia il primo punto che mi avete aiutato a risolvere era che:
1) Il vuoto è la forma del tutto.

E ora ancora più enigmatico è che:
2) Il reale(l'oggetto) è la forma del vuoto.


A proposito del dolore.

A mio parere è interessante che il buddista medio, si interroghi sul dolore.
E' mia convinzione da sempre che dal dolore nasce proprio il desiderio di salvezza, che poi è la questione oggi dimenticata per cui la filosofia è nata.

Certo ad oggi le domande più pregnanti sono quelle che riguardano la morte, e perciò la vita stessa in sè.
Ma ve ne era una ancora più originaria.

Sono tempi Buj.
Della religione for Dummies.

Io Sari eviterei di limitarti a solo quello.

Certo la filosofia è oggi parte dello stesso problema del perchè siamo in tempi buj.
Certo il filosofo oggi è oscuro e in mutande rispetto alla scienza.
E vogliamo dimenticarlo come figura al più presto.
Ma tutta quella tradizione, ridicola fino all'osceno, in realtà è vissuta a braccetto con le "sue" domande, che rimarranno vive per sempre (ovvero fin quando siamo vivi).
Le domande che sconfinano nella religione, sono quelle le cose che non dobbiamo MAI dimenticarci.
Altrimenti la religione stessa sarà vittima di se stessa, ossia dall'imponente numero di documenti istituzionali, aridi e puntualmente restringenti l'unica vera libertà dell'uomo: la libertà di pensare.

A presto.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Sariputra

#226
@ Green Demetr

E per fortuna che avevo scritto "semiserio"... :)

Mah!...Direi che a te non interessa veramente nessuna forma religiosa, ma cerchi in esse qualche intuizione che magari corrobori un filo di riflessione filosofica che porti avanti; una forma di concettualizzazione filosofica del movente spirituale direi.  Se è così, mi sembra limitativo, in quanto impedisce di andare in profondità nelle stesse, a parer mio. Infatti, per es. nella  tua drastica chiusura, nel rifiuto di qualsiasi cosa metta in discussione la sessualità, non osservi nemmeno che il buddhismo non la reprime affatto ( a parte nei monaci che scelgono questa strada..) ma spinge sul fatto di non cadere nell'ossessione per il sesso ( la sregolatezza), che è un'altra cosa che non la libertà. Che significato ha all'interno della pratica buddhista? Una sessualità sregolata viene ritenuta una forte radice dell'attaccamento all'esistenza, attaccamento che è in primis l'obiettivo che il Dhamma buddhista si prefigge di scardinare.  Se cerchiamo di ottenere una qualche forma di libertà dai bisogni, bisogna mettere in discussione anche il bisogno sessuale ( e qui per inciso ho una certa esperienza di 'sregolatezza' e , alla fine, per il disgusto che ne ho provato...  :( )
Lo stesso vale per la virtù/moralità sempre intesa come azione che libera dall'attaccamento e quindi fruttuosa, mai fine a se stessa. C'è una logica in questo, inerente alla pratica meditativa stessa ...
Per questo concordavo con Apeiron quando diceva che significato ha per un occidentale del 2018, che non ritiene l'attaccamento alla vita una cosa negativa, una dottrina così antica, esotica e 'naif', anzi...si viene spinti continuamente ad attaccarcisi sempre di più, alla vita!.. ;)
Al Buddhismo non interessa 'salvare il mondo', la storia non ha alcun senso, l'uomo non va da nessuna parte....di questo ne abbiamo già ampiamente discusso. Difficile da accettare forse, ma è così , è la loro impronta ( tipicamente indiana...).
Le abramitiche invece ci hanno 'lavorato' in profondità. Anche chi ormai non crede più, crede in qualche forma di progresso, di qualcosa da raggiungere...non si sa cosa, ma intanto ci credo, dentro di me...
Il discorso esclusivamente filosofico è solo una parte di un percorso religioso,e forse, a parer mio, ma sicuramente tu come filosofo su questo dissenti completamente, nemmeno il più importante.
Tutto questo a te sembra naif, superficiale, folkloristico...
Viceversa io ritengo che il problema sia invece la  posizione esclusivamente concettuale, che mette il pensiero innanzi ogni cosa ( che a volte rimprovero ad Apeiron...questo ossessionante bisogno di trovare una formula verbale  per ogni cosa ... :)).
Limite perché, nella prospettiva che intendo, non permette di 'lasciar andare le cose'...è un crinale insidioso quello che sta tra la creduloneria e il dubbio paralizzante...un gioco d'equilibri, direi...
ed è un motivo che ritengo non mi permetterà mai, oltre ai miei limiti al riguardo, di abbracciare il solo 'metodo' filosofico...vabbè, siam diversi e cerchiamo cose diverse. :)
Infatti dici: "Induismo, Buddhismo, Ebraismo, Cabala, Ermetismo hanno potenzialità in me solo se riesco a rintracciarne i motivi che superino il metodo filosofico."
Ossia la spiritualità, per te, deve essere subordinata alla speculazione e alla metodologia filosofica, mi par di capire. Praticamente il contrario di quello che dice , per es., il Cristo: "Ti ringrazio Padre che hai rivelato questo cose ai piccoli  e non ai sapienti"... ;)
Che poi il Buddhismo o altre forme di religiosità non possano sopravvivere è possibilissimo. Gli stessi buddhisti lo affermano da centinaia d'anni ormai. Tutti i buddhisti 'seri' sono ben consapevoli che il mondo non diventerà mai "buddhista". Questo non è Islam o Cristianesimo...
E' da vedere anche se la stessa filosofia ha possibilità di sopravvivenza nel mondo che verrà...forse i due saranno accomunati nello stesso infausto destino, presumo...:(
( tra l'altro, tra i due, quello che sembra godere di miglior salute al momento è proprio il buddhismo...in forte ripresa da cinquant'anni a questa parte)...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

SARIPUTRA
Al Buddhismo non interessa 'salvare il mondo', la storia non ha alcun senso, l'uomo non va da nessuna parte....di questo ne abbiamo già ampiamente discusso. Difficile da accettare forse, ma è così , è la loro impronta ( tipicamente indiana...).

APEIRON
Unico appunto sulla tua risposta... non porrei strettamente parlando in questo modo. Concordo che essendo la Storia secondo queste tradizioni indiane ciclica non ha un senso ultimo, un fine. Però il senso del buddhismo è proprio quello di "salvare", ovvero il "bodhi", il Risveglio. Anzi già la pratica della morale fa vedere come il "senso" in un certo senso (scusa il pessimo gioco di parole   ;D ) c'è. Anzi secondo l'India sembra che il senso della vita sia quello di "abbandonarsi", è il mondo in un certo senso che non capisce ciò (lo stesso vale, secondo me, per il daoismo)  ;) di certo in queste tradizioni (e il daoismo) non c'è alcun progresso del mondo, è sempre il solito "gioco" con le sue regole (il karma) che però non danno una soddisfazione ultima. Il problema, stando a queste tradizioni, è che cerchiamo il Senso (con la "S" maiuscola) nel futuro dove non c'è. Ma non direi che non c'è il Senso  :) concordo però che anche per chi in occidente è uscito dalle religioni abramitiche pensare che non ci sia progresso è molto deprimente :( in sostanza al buddhismo non interessa il "fine del mondo" ma ci vuole liberare dalla convinzione che ci sia un effettivo progresso ;)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

Citazione di: Apeiron il 14 Gennaio 2018, 20:20:54 PMSARIPUTRA Al Buddhismo non interessa 'salvare il mondo', la storia non ha alcun senso, l'uomo non va da nessuna parte....di questo ne abbiamo già ampiamente discusso. Difficile da accettare forse, ma è così , è la loro impronta ( tipicamente indiana...). APEIRON Unico appunto sulla tua risposta... non porrei strettamente parlando in questo modo. Concordo che essendo la Storia secondo queste tradizioni indiane ciclica non ha un senso ultimo, un fine. Però il senso del buddhismo è proprio quello di "salvare", ovvero il "bodhi", il Risveglio. Anzi già la pratica della morale fa vedere come il "senso" in un certo senso (scusa il pessimo gioco di parole ;D ) c'è. Anzi secondo l'India sembra che il senso della vita sia quello di "abbandonarsi", è il mondo in un certo senso che non capisce ciò (lo stesso vale, secondo me, per il daoismo) ;) di certo in queste tradizioni (e il daoismo) non c'è alcun progresso del mondo, è sempre il solito "gioco" con le sue regole (il karma) che però non danno una soddisfazione ultima. Il problema, stando a queste tradizioni, è che cerchiamo il Senso (con la "S" maiuscola) nel futuro dove non c'è. Ma non direi che non c'è il Senso :) concordo però che anche per chi in occidente è uscito dalle religioni abramitiche pensare che non ci sia progresso è molto deprimente :( in sostanza al buddhismo non interessa il "fine del mondo" ma ci vuole liberare dalla convinzione che ci sia un effettivo progresso ;)

Sì, giusta osservazione. Allora possiamo dire che al Buddhismo interessa salvare gli esseri senzienti dalla sofferenza, ma non ha un fine escatologico, non ci sono 'cieli nuovi e terra nuova' all'orizzonte.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

@Sari,
Sì direi che è una soteriologia senza escatologia...

Quando mi riferivo al "Senso" che è qui e ora mi riferivo al fatto che il Nirvana non è da ricercarsi nel futuro, ma il prima possibile. Addirittura anzi c'è anche adesso, "qui e ora"... il problema è che lo cerchiamo  ;D  "Vi è, monaci, un non-nato..." (si usa in fin dei conti il presente)

Stesse considerazioni si possono fare sicuramente sull'induismo: anche qui c'è samsara e il Senso non lo troveremo mai continuando nella "ruota".
Il daoismo forse è un po' diverso... però con la sua enfasi a "non-agire", "dimenticare" ecc si arriva alla spontaneità (cosa anche molto zen), ovvero ad agire senza scopo, senza "agenda" (ovvero senza piani) ecc. Siccome l'Escatologia in fin dei conti è un fine, un piano - direi che questo tipo di filosofie cercano di vedere il Senso Qui e Ora, non in un futuro lontano ma Adesso, in questo momento presente. Ed è proprio per questo che stanno avendo successo. Viceversa le religioni "escatologiche" stanno un po' perdendo, per così dire, la popolarità.

Personalmente non nego di avere l'illusione (?) del progresso e anzi non mi è facile accettare la sua assenza :( ancora più difficile mi è accettare che oltre al fatto che siamo "intrappolati" in questa ciclica esistenza la liberazione è raggiunta solo da pochissimi.



Ah la frase "Unico appunto sulla tua risposta... non porrei strettamente parlando in questo modo." Errata Corrige: "Unico appunto sulla tua risposta... non porrei [la questione,] strettamente parlando[,] in questo modo." ormai perdo le parole per strada  :(



@Green,
se ti interessa la parte più "esoterica" delle religioni prova ad informarti sul Vajrayana (tantrismo). Su di esso so praticamente niente, però se è la parte "esoterica" che ti interessa credo che ti possa interessare ;)  come poi dice il Sari il buddhismo non condanna la "mondanità": ci sono azioni buone, quelle che in sostanza "migliorano" il karma. Ergo anche i piaceri sensoriali non sono condannati di per sé. Il problema è che non danno la liberazione e la soddisfazione ultima, quella per cui appunto nasce la religione. Di per sé anzi da questo punto di vista in oriente con i piaceri sono molto più equilibrati e liberi da taboo che da noi. Però se uno ricerca il "sovramondano"  ;D



Sul resto concordo col Sari, specialmente sull'eccesso della concettualizzazione... ad un certo punto bisogna "lasciar andare"  anche quella ;)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Apeiron

#230
@Sari,
comunque quando hai scritto: "Se "brama, odio e illusione" sono le radici di ciò che è nocivo, quali sono le radici di ciò che è salutare, per il buddhista?
-assenza di brama è salutare
-assenza di odio è salutare
-assenza d'illusione è salutare
Si continua a presentare ciò che è positivo con una terminologia che è di negazione. Questo ricorre continuamente nei testi ed è una caratteristica tipica del Buddhismo, che a noi occidentali suona forse 'fastidiosa', visto che siamo  gente che tende ad 'affermare'. Ma ovviamente ha pure il suo fascino... e  permette di evitare di cadere in definizioni  forse troppo circoscritte e limitative, date dal linguaggio...


Riguardo all'Abhidhamma... Ho letto da qualche parte che al posto di nirvana si usa "asankhata-dhatu", ovvero "elemento non-condizionato". E nuovamente si dice che non è questo, non è quello, non ha quelle caratteristiche ecc. Tutto molto "apofatico"    cosa si nasconde dietro a queste negazioni?

Noi naturalmente vorremmo una chiara definizione e affermazione di cos'è questo stato e invece...si continua per negazioni:
L'elemento detto Nibbana è:
-estinzione della sofferenza
-assenza di ciò che è condizionato.
-estinzione del ciclo di nascita e morte.
-non-nato, non-divenuto, non-composto, ecc.
-cessazione della sofferenza.

Buddha Gotama è perfettamente consapevole dei pericoli di qualunque affermazione sull'elemento  detto Nibbana/Nirvana. Qual'è un pericolo? Nel momento che lo si definisce in un concetto , immediatamente la mente lo pone 'esterno' ad essa. Una nuova cosa da investigare. Diventa un condizionamento, un nuovo kilesa.  Siddhartha vuole indicare che il Nibbana non è un nuovo concetto da aggiungere alla propria collezione. Non si 'studia' il Nibbana, si realizza ( è più simile alla bastonata che alla rflessione su cos'è una bastonata... ). E' uno stato di liberazione esistenziale. Il 'cibo' va gustato, ecc.
E qui ritorna il problema della moralità (sila)...
"

Qui hai centrato in pieno la questione. Mi spiego: anche io sono "convinto" che dietro alle negazioni ci sia l'affermazione. Ovvero "assenza di brama = generosità" (o meglio: l'assenza di brama "rende libera" la generosità) come ben dici tu. Il problema è che "logicamente" per così dire "assenza di brama" è semplicemente "assenza di brama". Ovvero logicamente se si legge "Il Nibbana è l'assenza della sofferenza" oppure "il Nibbana è la cessazione dell'esistenza (= che a livello ultimo è sofferenza)" non si capisce la "positività". E l'interpretazione "negativistica" in fin dei conti dice: "il Nibbana è l'assenza della sofferenza". L'ambiguità per noi occidentali è proprio qui: per noi l'assenza di sofferenza è semplicemente "assenza di sofferenza", non è un qualcosa di "positivo". Allo stesso modo quando viene detto "Il Nibbana è la cessazione del samsara" non è "automatico" capire che dietro la negazione del samsara "c'è dell'altro". Ovviamente dire che "Il Nibbana è la cessazione del samsara e nient'altro" è diverso da dire che "il Nibbana è la cessazione del samsara". Però come chiaramente sono d'accordo con te: il Nibbana buddhista non è la "semplice cessazione" come alcuni buddhisti antichi e moderni pensano. Ma è come con la "generosità" e "l'assenza della brama": così come uno "diventa" generoso quando non ha brame, allo stesso modo il linguaggio negativo/apofatico non è definitivo ma rimanda ad altro. Ovvero "il Nibbana è la liberazione dai condizionamenti" significa: "il Nibbana è il non-condizionato" ovvero una "realtà" (ergo per seguire l'esempio della brama/generosità... "la realtà del Nibbana si "manifesta" con la cessazione del Samsara"). Il problema è la"reificazione": se uno si crea un concetto del Nibbana rischia di allontanarsi da esso, come giustamente dici ;) Certo in fin dei conti ci vuole fede e convinzione, bisogna per così dire esserne "convinti"  ::)  


P.S. Sul resto rispondi quando vuoi... tanto il problema è sempre quello di "avere fiducia"  ;) personalmennte mi ci vuole un po' di "positività" anche nel linguaggio per essere convinto ma in fin dei conti non è certo un problema del buddhismo, ma è di Apeiron  ;D  direi anche che se ne è discusso abbastanza e credo che sia giunta l'ora di interrompere la discussione, per quanto mi riguarda (ovviamente Sari, la tua risposta la leggo  :) )... al massimo scriverò un post in cui metto insieme le informazioni più interessanti che sono uscite in questa lunghissima discussione (dura da metà febbraio 2017  :o ) e risponderò a chiarimenti se qualcuno è interessato. Però direi che non credo di avere altro di nuovo o di necessario da condividere su questo argomento. Su questo tema quindi o si accetta che è "mera negatività" come fanno alcuni (cosa che personalmente non farei mai per "coscienza"), oppure si ha la fiducia che dietro al linguaggio negativo ci sia l'espressione della positività (fiducia, che si dà il caso, non ho  ;D ). Credo che la sotto-discussione del buddhismo riguardante "cosa è il Nibbana?" abbia raggiunto il termine, andare avanti forse crea solo confusione.
Dunque è ora che questa discussione cessi... (dietro a queste parole c'è una battuta semi-seria  ;D )

Ad ogni modo, dimentiavo, ringrazio tutti coloro che hanno partecipato alla discussione. Ma mi si lasci ringraziare in particolare il Sari per la sua chiarezza, disponibilità e pazienza  ;)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Apeiron

@Sari,

Forse ho trovato una analogia interessante per la vacuità.

Per esempio si dice che "la forma è vacuità, le sensazioni sono vacuità..." (parafrasi Sutra del Cuore) ecc.

Analogamente l'energia (della fisica) "esiste" come "energia a riposo, energia cinetica, energia potenziale...". Tuttavia anche se puoi osservare tutte queste forme di "energia", non puoi osservare mai "l'energia in-sé"   :D e questo permette all'energia di continuare a cambiare forma - e questo permette il cambiamento, che rihiede la conversione di una forma di energia nell'altra (per esempio "collisione di particella-antiparticella" -> "emissione di fotoni").  ;D  ;D
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

Citazione di: Apeiron il 06 Febbraio 2018, 12:42:00 PM@Sari, Forse ho trovato una analogia interessante per la vacuità. Per esempio si dice che "la forma è vacuità, le sensazioni sono vacuità..." (parafrasi Sutra del Cuore) ecc. Analogamente l'energia (della fisica) "esiste" come "energia a riposo, energia cinetica, energia potenziale...". Tuttavia anche se puoi osservare tutte queste forme di "energia", non puoi osservare mai "l'energia in-sé" :D e questo permette all'energia di continuare a cambiare forma - e questo permette il cambiamento, che rihiede la conversione di una forma di energia nell'altra (per esempio "collisione di particella-antiparticella" -> "emissione di fotoni"). ;D ;D


Non ci capisco granché di fisica, ma mi sembra un'analogia interessante.

A questo punto...hai già scritto al tuo collega fisico Achaan Brahm per raggiungerlo nel suo vihara a Perth, in Australia?... ;)  ;D  ;D

A parte gli scherzi, la visione di una realtà totalmente 'dinamica' come quella propugnata dal Dhamma buddhista, credo possa "affascinare" e interessare anche un cultore di una disciplina scientifica com'è la fisica... :)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

green demetr

Citazione di: Apeiron il 15 Gennaio 2018, 00:19:50 AM

@Green,
se ti interessa la parte più "esoterica" delle religioni prova ad informarti sul Vajrayana (tantrismo). Su di esso so praticamente niente, però se è la parte "esoterica" che ti interessa credo che ti possa interessare ;)  come poi dice il Sari il buddhismo non condanna la "mondanità": ci sono azioni buone, quelle che in sostanza "migliorano" il karma. Ergo anche i piaceri sensoriali non sono condannati di per sé. Il problema è che non danno la liberazione e la soddisfazione ultima, quella per cui appunto nasce la religione. Di per sé anzi da questo punto di vista in oriente con i piaceri sono molto più equilibrati e liberi da taboo che da noi. Però se uno ricerca il "sovramondano"  ;D

Sul resto concordo col Sari, specialmente sull'eccesso della concettualizzazione... ad un certo punto bisogna "lasciar andare"  anche quella ;)

Sto bazzicando da quelle parti, già da un pò, ma non perchè mi interessi, cerco solo se vi sono elementi utili alla mia indagine, che è la trascendenza. ( ossia il rapporto tra soggetto e domanda sull'originario, che spero tra una decina d'anni, avremo ancora l'occasione di poterne parlare).

Sì il tantrismo lo conosco (in maniera generale) e avevo iniziato Avhinagupta (o come si chiamo, presso i tipi dell'Adelphi).


Nel tantrismo e in generale nello gnosticismo, i piacere sessuali, non vengono considerati piaceri, ma pratiche di controllo dei sensi.

Il pubblico che consulta queste fesserie è rispetto alle questioni teologiche e filosofiche, ENORME.
Te lo dico subito: non c'è nessuna differenza, è sempre la solita solfa (così ci mettiamo anche un pà di ironia, visto che il minerale è adorato da quelli).
IN NOME DI QUALCOSA (di controllato, di dovuto) qualcuno di potente (ossia di riconosciuto) si profitta di qualcuno più debole.
C'è qualcosa che si salvi? No! come potrebbe essere? (le religioni sono tutte sessuofobiche, ossia barrano il desiderio, salvo poi usarlo nella logica predatore-predato).
Ma di queste cose è meglio tacere.
E io mi attengo al protocollo.


Ma torniamo a bomba, ossia alla questione del trascendente, o del reale trascendente come mi pare tu cerchi.

Sono d'accordo anzitutto con entrambi voi.
L'eccessiva concettualizzazione non ha senso.

Forse non ne ho ancora parlato, ma per me, la trascendenza, non nasce MAI dalla meditazione interiore, piuttosto dalla osservazione del reale.

Il principio per il quale, è solo nella memoria che si radunano i ricordi, ma là fuori tutto è in movimento.

Credo che sia proprio dal divenire che nasce la domanda sulla trascendenza. (e per questo ogni fisico in cuor suo ha aspirazioni trascendenti, almeno un fisico teorico).

Ossia cosa pulsa sotto la vita?

Questa domanda che ha serpeggiato per secoli nella filosofia, che nasce monolitica, perchè si credeva mitica, in grecia, evolve, progredisce, prende per caso questa strada, sotto le macerie di roma su, su fino alla fondazione del sacro impero, fino all'emergere degli stati nazione, ed oggi verso le forme di imperialismo geolocalizzato, dove ogni territorio e ogni rotta marittima diventano strategia politica.
Sotto le macerie della dissoluzione la PHISIS greca diventa la scienza protocollare, da mito diventa lotta politica a colpi di fascicolo protocollari.

Oggi come oggi, l'attenzione si sposta dagli Dei ai morti annegati nel mediterraneo.

Come spiega immensamente Nietzche sembra che il progresso sia possibile solo sotto la prospettiva di laghi di sangue.

Così L'India paese perennemente in guerra, perennemente invaso dagli stranieri, e sotto assedio anche fre le sue popolazioni. Tra il sud ricco e il nord povero, etc...etc...

Non poteva non nascere una religione che consolasse come quella buddhista fa.

Il fatto è che a me non mi interessa nè le loro pratiche ascetiche e le scemenze che ho sentito dai vari maestri tibetani che sono numerosi su internet! ( non vedo NESSUNA differenza con gli imbonitori e i preti nostrani, semplicemente dicono e chiedono di fare, in nome di pratiche diverse, le stesse cose.
E cioè il caro vecchio ORA ET LABORA, ossia stai zitto a capo chino e dammi i soldi e il tuo lavoro).

Nemmeno mi interessa il lato filosofico (che è parimenti imbonitore, e quindi ancora più idiota del semplice richiesta di sudditanza alla chiesa).

Mi interessa invece dove è arrivata la filosofia occindentale, immensamente più avanti.

Dicevamo della Fisica, a parte le demenze degli analitici, la filosofia era gloriosamente arrivata a capire finalmente che la realtà è fenomeno.

Mi interessa quindi una lettura fenomenologica del Buddhismo, e in generale delle religioni.

E' per questo che trovo interessante il lato più propriamente teologico del buddhismo.

Ossia la riflessione attorno al concetto di vuoto.

Perchè la fenomenologia non è proprio la LOGIA del FENOMENO?

Ossia ciò che lega, che raduna, che unisce ciò che appare(fenomeno).

Poichè se una cosa appare, è certamente in quanto appare, regolata dalle sue forme, ma siccome "ad - parum" e cioè ciò che mi viene incontro, è anche qualcosa d'altro che forma pura.

Il punto è che ciò che ci viene incontro NON APPARE in sè.

Appare a noi, cioè proviene da un luogo e va verso un altro (particella di moto a luogo) AD PARUM.
E questo altro luogo siamo noi.

Noi lo vediamo arrivato, ma non lo vediamo partire.

Per questo si dice che esiste un originario, l'originario è il luogo fantomatico da cui è partita.


Questa idea nasce dal fatto che ciò che appare sparisce.

Quando chiudiamo gli occhi l'albero sparisce. Quando ci giriamo l'albero svanisce.

Noi sappiamo che esiste solo perchè riappare, come lo vediamo, quando riapriamo gli occhi o ci ri-giriamo.

Ossia ci appare come forma che garantisce la sua sussistenza. E il deliro consiste nel credere che quella forma sia sostanza.

Ma niente ci garantisce che quella forma rimanga, anzi sappiamo per esperienza storica, che quella cosa cesserà prima o poi di apparire.

L'uomo ha creato i segni, per poter tramandare che quella forma non smetterà di apparire.
Ma in realtà scopre sempre di più che quella forma appare sempre in forme diverse, in base alle epoche, agli strumenti etc...

L'impero dei segni, è l'impero del delirio che qualcosa esista sotto una unica forma, appunto quella dei segni, che si sono scelti, dopo un bel bagno di sangue altrui.


Credere nelle forme in quanto in sè, è consegnarsi ad una prepotenza.

La storia lo dice e lo illustra in lungo e in largo, e chissà quanti altri secoli dovranno passare, prima di uscire da questa impasse ridicola.


Facendo finta quindi di passare oltre l'impasse, rimane il meglio che il buddismo ha da offrirmi, ossia in quanto metafisica, ossia in quanto oltre ciò che appare.

Bisogna distingure con attenzione fra la superstizione, ossia dalle prese di posizioni, tutte formidabilmente imbecilli dei maestri, e invece la discussione, la polemica, che ha fatto progredire le forme del pensiero su un tema centrale.


Come quello della verità oltre le apparenze. O almeno questo è il nome occidentale con cui solitamente ci siamo abituati a taggare per indicare l'argomento.

Il tema della verità della NON APPARENZA, come visione del NULLA, o della MANCANZA.


Il paradosso è evidente e chiede illustrazioni e presunzioni credibili, per questo mi riferivo alla ricerca di qualche intellettuale che anzitutto sappia ragionare, e questo visto la mia consocenza di Patanjali so che è avvenuto nel medioevo indiano.


Ovviamente il paradosso è che NULLA appaia come QUALCOSA, e che Ciò che MANCA compaia come sua COMPLEMENTARITA'.


Gli analitici e gli scienziati più beceri, hanno facile gioco a prenderci per i fondelli.

Non esiste questo NULLA e questa MANCANZA, proprio perchè esiste SOLO QUALCOSA, o i più temerari TUTTO, e che la complementarità del mancante, è il complementare stesso.

Ossia che la filosofia e la religione si occupino di problemi falsi, poichè logicamente mal posti.

Certamente il trend di non vederci oltre il limite del proprio naso, non è solo della gente comune, ma anche degli scienziati.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Sariputra

#234
Rispolvero questo vecchio topic silente per aggiungere una brevissima riflessione sull'etica buddhista...
Gli studiosi della logica buddhista hanno messo in evidenza la netta differenza tra questa logica e quella aristotelica. L'elemento discriminante é proprio la mancanza del principio di non-contraddizione. La logica buddhista si fonda sul superamento del principio di non-contraddizione proprio in conseguenza di come questa dottrina concepisce il reale. Il reale é solo apparenza e rappresentazione, per giunta un'apparenza non definitiva, ma in continuo divenire. Così si nega che qualcosa sia, perché tutto é in divenire e si dissolve; ma, nello stesso tempo, non si può nemmeno dire che non sia, perché vi é un'apparenza con cui ci si deve confrontare. Non vi é la categoria dell'essere, ma non vi é nemmeno la categoria del non-essere. Così nel Buddhismo occorre evitare i quattro estremi considerati errati: dire che qualcosa sia, che qualcosa non sia, che qualcosa sia e non sia, che qualcosa né sia né non sia.
Il Buddhismo parla di "intenzione", riferendosi ad una volontà che deve spingere l'uomo a porsi in un rapporto di solidarietà, di benevolenza con tutti e con il tutto. Però questa intenzione alla benevolenza e alla compassione è diversa dall'agape cristiano per la presenza di due motivi inerenti al Dhamma buddhista stesso: la negatività del desiderio, che porta inevitabilmente all'attaccamento, e la negazione dell'individualità. Naturalmente un'intenzione deve basarsi su qualcuno che la scelga; quindi su una 'individualità'. Questa individualità nel Buddhismo è più simile ad una 'costruzione' fatta con mattoncini Lego mai stabili, sempre in divenire, impermanenti. Si può dire allora che l'intenzione ha il fine di rendere consapevole il buddhista che l'altro é se stesso, e quindi di far conoscere la dimensione di non-individualità . Mentre l'agape cristiano necessità di un 'altro' posto dinnazi a noi, sostanzialmente altro da noi, per poter amarlo, la religiosità buddhista è come riconoscere e accogliere nell'altro la propria immagine riflessa in uno specchio...
Perché dunque, non riconoscendo la sostanziale individualità degli esseri, l'etica buddhista insiste così tanto nello sforzo per coltivare benevolenza e compassione? Perché chi si é 'distaccato' dall'idea di un sé permanente e sostanziale  non ha più nulla in sé che lo isoli dalle altre creature e lo eriga contro di esse ostile e nemico: nulla c'é più al mondo a cui essere unito gli sia particolarmente discaro (ma nemmeno nulla a cui essere unito gli sia particolarmente caro...a cui valga la pena di attaccarsi). La benevolenza del buddhista non distingue, non predilige, non s'inchina di qua più che di là: é indifferente e neutrale. Essa é sostanzialmente compassione e pietà per chi, ancora travolto dall'ignoranza, si dibatte tra le onde del `Samsara'. Ora, compatendo , benevolendo e praticando il distacco il  buddista non entra veramente in rapporto con la risposta che riceve in cambio , gli è in fondo indifferente.  Per questo il Buddismo può in pari tempo invitare a non commuoversi di nulla e di aver somma compassione di tutti...Perciò il Buddismo ha creato un ordine, non una chiesa...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Phil

Citazione di: Sariputra il 17 Dicembre 2018, 11:40:29 AM
Il Buddhismo parla di "intenzione", riferendosi ad una volontà che deve spingere l'uomo a porsi in un rapporto di solidarietà, di benevolenza con tutti e con il tutto. [...] presenza di due motivi inerenti al Dhamma buddhista stesso: la negatività del desiderio, che porta inevitabilmente all'attaccamento, e la negazione dell'individualità. [...] Perché dunque, non riconoscendo la sostanziale individualità degli esseri, l'etica buddhista insiste così tanto nello sforzo per coltivare benevolenza e compassione? [...] La benevolenza del buddhista non distingue, non predilige, non s'inchina di qua più che di là: é indifferente e neutrale. Essa é sostanzialmente compassione e pietà per chi, ancora travolto dall'ignoranza, si dibatte tra le onde del `Samsara'.
Qui forse c'è l'aporia a cui il buddismo si espone, se vuole proporsi in chiave etica ai popoli della terra: «indifferenza» e «neutralità« non sono facilmente compatibili con «compassione» e «pietà». Se anche la compassione-pietà per il prossimo non è imposta da un precetto, ma sboccia spontaneamente dalla «retta visione», nel momento in cui la pratico intenzionalmente, significa che il prossimo non mi è indifferente (mi rivolgo a lui) e io non gli sono neutrale (so che potrei/vorrei modificarlo).
Pur abbandonando l'identificazione di «io» e «prossimo», il mio rivolgermi a "lui" in un certo modo (benevolo, o qualunque esso sia), dimostra non-indifferenza e non-neutralità (verso quella parte del tutto che chiamo «lui»). Se anche non premedito alcuna finalità, né nel prossimo («come fine e non come mezzo» diceva qualcuno) né nell'azione compassionevole che gli dedico, la mia bene-volenza non può che essere dettata dalla discriminazione bene/male: se fosse relazione gratuita e disinteressata, indifferente e neutrale, allora non distingueremmo (eppur lo facciamo) fra benevolenza e malevolenza, al punto che la non-compassione e non-pietà rientrerebbero nella visione del non-attaccamento e non-discriminazione. Queste due farebbero dunque legittimamente parte di quella «intenzione», che tratteggi, non a caso, come «volontà che deve spingere l'uomo a porsi in un rapporto di solidarietà, di benevolenza con tutti e con il tutto» (corsivo mio) ed ecco il dovere morale inteso all'occidentale...
Certo, nel buddismo tale bene-volenza coincide con la volontà "illuminata", che non può non volere ciò che una discriminazione (pre-illuminazione) definirebbe come «bene»; tuttavia, proprio tale volere compassionevole, in quanto tale, non è di fatto né indifferente né neutro.

Estinguere la propria sofferenza (dovuta all'attaccamento), non comporta estinguere anche l'attaccamento alla sofferenza altrui? A questo punto, illuminati e consapevoli della "ruota del karma", perché la sofferenza altrui non ci potrebbe anche lasciare indifferenti e neutrali? Il voto di salvare tutti gli essere senzienti è una missione tutt'altro che indiscriminante e impersonale...
Se estinguiamo anche questo ulteriore attaccamento (alla sofferenza altrui), il mondo ci sarà indifferente e noi saremo indifferenziati dal mondo; l'etica sarà allora solo un "gioco di società" fra esseri senzienti e differenzianti; gioco che ci lascerà... indifferenti  :)

Sariputra

Non-attaccamento non è indifferenza o neutralità. E' vero che il Buddhismo  tiene in massimo conto il fattore detto 'equanimità', ma questo non ha il significato di 'sterilizzare' la mente. La compassione e la benevolenza sbocciano spontaneamente da una mente che si è affrancata dalla brama, dall'avversione e dall'illusione ( di essere un'individualità distinta..). La mente non s' impone di provare compassione  ( per seguire un precetto buddhista...), è la sua natura  il provarlo quando è libera dalle radici nocive presenti in essa. Si parla infatti, in questo caso, di una mente praticante che "segue la legge della propria specie". Questa legge( "di specie") è la virtù (sila). Nel Buddhismo questo processo di distacco, di affrancamento non costituisce una sorta di 'violenza contro natura'; è un legittimo processo di crescita, di superamento di ciò che non è più oggetto di attaccamento, come un serpente che lascia la vecchia pelle consunta (Uraga Sutta). Pertanto non ha senso parlare di affrancarsi dall'attaccamento alla compassione verso l'altrui sofferenza in quanto non esiste una cosa simile.  Può esistere l'attaccamento all'idea di essere una persona distinta che prova compassione per l'altro e pertanto di sentirsi 'speciali', autogratificando l'io illusorio e contribuendo al suo 'solidificarsi', ma questa non è autentica compassione.  Quando il serpente si libera della vecchia pelle logora, si libera di un 'peso', così è per la mente quando si libera di tutte le cose riconosciute come 'estranee' e allora risplende nella sua purezza il diamante, che riflette quelli che nel Buddhismo sono definiti come i quattro stati mentali sublimi: l'amore o benevolenza, la compassione, la gioia altruistica e l'equanimità. Ed è proprio il fattore equanimità che preserva la mente dall'attaccamento alla risposta che può ricevere in cambio del suo 'dono', sia di accettazione che di rifiuto.
Questi quattro stati mentali, detti 'salutari', sono incompatibili con una mente in preda alla brama, all'odio e alla soddisfazione di sentirsi 'io' distinto dall'altro. Una mente 'risvegliata'  dimora costantemente nei quattro stati salutari non provando alcun attaccamento verso di essi ma bensì lasciandoli fluire liberamente. E' la 'natura di Buddha' ...Se non c'è più l'"io barriera" che separa, la mente non è diminuita dal suo dare, e non diviene povera quando dona agli altri le ricchezze del suo cuore.
L'equanimità viene vista come il perfetto, incrollabile equilibrio della mente, naturalmente fondato sulla visione profonda. Questo non significa che l'equanimità, per rispondere alla tua domanda, se l'ho ben intesa, sia indifferente, fredda e 'senza cuore'. La sua perfezione non è dovuta ad un vuoto emotivo, ma ad una 'pienezza' di comprensione, nata dal vedere la sofferenza nella sua vastità, e al fatto che essa è completa in se stessa. La sua natura, con un esempio, non è quella della fredda pietra insensibile e senza vita, ma bensì la manifestazione della massima forza mentale. Infatti qualunque causa di 'ristagno' viene distrutta, ogni muro mentale abbattuto. Svaniscono i tumulti delle emozioni e le divagazioni intellettuali. Il 'flusso' della coscienza scorre senza impedimenti, come un placido e maestoso fiume, limpido e splendente. L' attenzione si armonizza con l'acume della saggezza; la volontà si rafforza nella calma mentale (samadhi)e la fede nell'Insegnamento trova continuo alimento. Queste 'forze interiori' emanano dalla mente libera dall'attaccamento e agiscono sul 'mondo', ma poco potrebbero senza la vigile costanza della presenza mentale...
Come un fiore emana la sua essenza, così la mente emana benevolenza, gioia e compassione quando sono rimossi gli ostacoli al dispiegarsi della sua 'natura'. Questo non impedisce ai pensieri e ai desideri di sorgere ( di tutti i tipi perché il kamma continua la sua azione anche se la mente perviene al distacco...) ma, visti ora con equanimità,  si possono 'lasciar andare'...questo , con la pratica, diventa spontaneo. La presenza mentale è fondamentale. Non esiste seria pratica buddhista che possa fare a meno della coltivazione costante di essa. Non si può comprendere il Buddhismo leggendo solo i discorsi  o i commentari filosofici. Questi vengono SEMPRE dopo la pratica. Alcuni maestri della tradizione della foresta arrivano a considerarli quasi accessori, irrilevanti...Io condivido la loro opinione.
Come certi riflessi spontanei proteggono il corpo automaticamente, così la mente necessita della protezione di una "difesa spirituale", chiamiamola così; quasi come una vacca scorticata che viene inesorabilmente attaccata da innumerevoli insetti e animali, senza una difesa. La presenza mentale è questa difesa. Fondamentale. In una mente impreparata i più nobili sentimenti vengono spesso assaliti dallo scoppio improvviso di passioni e di pregiudizi che li sotterrano sotto un cumulo di brama o  di avversione. La pura attenzione aiuta a non farsi travolgere e 'condurre' da questi, spesso dove non vogliamo andare...
Sull' "intenzione " nel Buddhismo dobbiamo aiutarci con una bella , secondo me, definizione che si trova nel "Mistero del fiore d'oro" : "Raggiungere intenzionalmente l'assenza di intenzioni, ecco la giusta via". Questa affermazione è anche un famoso detto in Pali: Sasankharena asankharikam pattabbam, ossia "La spontaneità può essere ottenuta tramite uno sforzo intenzionale premeditato". La spontaneità della pennellata dell'artista arriva sempre dopo, molto dopo, l'intenzione di imparare a dipingere... :)

Mi sono dilungato un pò... :(
Namaste e Buon Avvento
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Ipazia

Citazione di: Phil il 17 Dicembre 2018, 16:12:51 PM
... ecco il dovere morale inteso all'occidentale...
Certo, nel buddismo tale bene-volenza coincide con la volontà "illuminata", che non può non volere ciò che una discriminazione (pre-illuminazione) definirebbe come «bene»; tuttavia, proprio tale volere compassionevole, in quanto tale, non è di fatto né indifferente né neutro.

Estinguere la propria sofferenza (dovuta all'attaccamento), non comporta estinguere anche l'attaccamento alla sofferenza altrui? A questo punto, illuminati e consapevoli della "ruota del karma", perché la sofferenza altrui non ci potrebbe anche lasciare indifferenti e neutrali? Il voto di salvare tutti gli essere senzienti è una missione tutt'altro che indiscriminante e impersonale...
Se estinguiamo anche questo ulteriore attaccamento (alla sofferenza altrui), il mondo ci sarà indifferente e noi saremo indifferenziati dal mondo; l'etica sarà allora solo un "gioco di società" fra esseri senzienti e differenzianti; gioco che ci lascerà... indifferenti  :)

Il "dovere morale inteso all'occidentale" non è univoco. Basti pensare alla teoria della predestinazione fiorente in ambito protestante che "neutralizza" l'altrui malasorte introducendo un fondamento morale simile al karma.

In ambito giapponese (buddista-scintoista) l'altruismo va dosata per non porre in una vergognosa (haji) condizione di obbligo (on) il beneficiato. Il che sarebbe ancora peggio dell'indifferenza.

Mi pare che la posizione buddista descritta da Sari sia più realistica di quella evangelica che, anche in occidente, appartiene più alla teoria che alla prassi. Divaricazione che aprirebbe un vaso di Pandora sull'uso mistificante della teoria nel pensiero occidentale.

pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Citazione di: Sariputra il 18 Dicembre 2018, 21:28:44 PM
La mente non s' impone di provare compassione  ( per seguire un precetto buddhista...), è la sua natura  il provarlo quando è libera dalle radici nocive presenti in essa. Si parla infatti, in questo caso, di una mente praticante che "segue la legge della propria specie" [...]
con la pratica, diventa spontaneo. La presenza mentale è fondamentale. Non esiste seria pratica buddhista che possa fare a meno della coltivazione costante di essa. Non si può comprendere il Buddhismo leggendo solo i discorsi  o i commentari filosofici. Questi vengono SEMPRE dopo la pratica. [...]
"Raggiungere intenzionalmente l'assenza di intenzioni, ecco la giusta via". Questa affermazione è anche un famoso detto in Pali: Sasankharena asankharikam pattabbam, ossia "La spontaneità può essere ottenuta tramite uno sforzo intenzionale premeditato". La spontaneità della pennellata dell'artista arriva sempre dopo, molto dopo, l'intenzione di imparare a dipingere... :)
L'aporia a cui accennavo, quella fra l'aspetto sociale e quello individuale del buddismo, è proprio il contrasto fra l'esigenza (e l'urgenza) di un'etica pre-illuminazione e lo svanire dell'etica nell'illuminazione (lasciando posto ad una benevola spontaneità "impersonale"). Se la pratica è fondamentale per raggiungere la consapevolezza adeguata (che ci renda compassionevoli), è anche vero che tale pratica sarà guidata da precetti e concetti (come tutti quelli che hai giustamente citato: sila, 4 stati mentali salutari, etc.) che rendono l'etica buddista un'altra etica «all'occidentale» (@Ipazia, ovviamente generalizzo per continenti), con regole e norme da seguire perché orientate al bene (che in questo caso è l'illuminazione che interiorizza tali norme al punto di renderle "istintive").
Se la via per l'illuminazione è lastricata di buone intenzioni, di regole e concetti canonizzati, di fatto è questa l'etica che viene generalmente praticata (fra una sesshin e l'altra), e non accade per spontaneità, ma per applicazione e studio di un culto (che è il mio preferito, a scanso di equivoci :) ).
Se mi metto d'impegno ad imparare a dipingere, «dopo, molto dopo» (quasi tardi?) nella peggiore delle ipotesi, smetterò per insoddisfazione dei risultati o per eventi avversi; nella migliore delle ipotesi, acquisirò una pennellata spontanea... perché tale pennellata era da sempre "in me" (buona natura innata) o perché l'ho "costruita" io ("educazione" alla benevolenza)?
D'altronde, se invece mi metto d'impegno e d'intenzione a dare attente martellate al marmo, non potrò diventare pittore, semmai diverrò "spontaneo" scultore...
Secondo me, l'intenzione e l'applicazione plasmano più di quanto rivelino (pur partendo da una base minimamente compatibile).

P.s.
Prendendo per le corna il toro, anzi il bue (quello della parabola): i praticanti dell'etica buddista, la praticano in quanto etica indotta da cultura, lettura, etc. (il che non è un peccato) o in quanto spontaneo risultato dell'illuminazione?
Quando mi riferivo all'aporia del «proporsi in chiave etica ai popoli della terra» mi riferivo a questo; per pochi (quasi nessuno?) e non per tutti  :) 

P.p.s.
Sul non-attaccamento come indifferenza alla mondanità e alla socialità (e al prossimo, anche se suona male  ;) ), forse sono eloquenti le scelte di alcuni maestri (illuminati?) di ritrarsi in solitudine, prendendo rifugio nella solitudine dei boschi più che nello sangha. Sempre che non si tratti di leggende, non sono molto informato in merito.



Citazione di: Ipazia il 19 Dicembre 2018, 10:01:16 AM
Mi pare che la posizione buddista descritta da Sari sia più realistica di quella evangelica che, anche in occidente, appartiene più alla teoria che alla prassi.
Se parliamo di etica, l'aggettivo «realistico» mi pare in netto fuorigioco; se parliamo di quale dei due approcci sia più facilmente comprensibile e coerentemente praticabile dalle masse, l'evangelismo è in esiguo vantaggio (più semplice, leggermente meno incompatibile con inevitabili "inciuci" economico-politici della vita laica); se poi devo dirti a quale mi sento personalmente ed esistenzialmente più vicino, propendo per il personaggio che ha in croce solo le gambe sul grembo e dal sorriso enigmatico e insondabile tipo Gioconda  :)

Ipazia

Citazione di: Phil il 19 Dicembre 2018, 12:11:57 PM
Se parliamo di etica, l'aggettivo «realistico» mi pare in netto fuorigioco; ...

Questa è la maledizione del pensiero occidentale. L'etica, per funzionare, deve incarnarsi. In tal senso il pensiero orientale è decisamente più "realistico", malgrado tutto la sua accentuazione sull'"apparenza". Col risultato che l'apparenza orientale dimostra all'atto pratico, nei comportamenti, una risposta sociale maggiore del "pragmatismo" occidentale, infarcito di ideologismi occultati e mascherati.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri