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Buddhismo

Aperto da acquario69, 16 Febbraio 2017, 04:59:05 AM

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Apeiron

#210
Citazione di: Sariputra il 30 Dicembre 2017, 10:22:10 AM
Citazione di: Apeiron il 29 Dicembre 2017, 18:25:58 PM@Sariputra... concordo con te che il concetto di "mente senza oggetto" sembra contraddittorio perchè è come dire "soggetto senza oggetto" ovvero "pretendere" di eliminare un elemento di una dualità inscindibile. Però se interpreto termini come "cessazione dei condizionamenti", "cessazione della sofferenza", "cessazione delle discriminazione" non come la distruzione della mente ma come, appunto, la "cessazione" (un po' come quando il mare si calma, quello che viene distrutto non è il mare ma l'agitazione del mare) allora ecco che "coscienza che non si stabilisce", "cessazione della coscienza", "cessazione dell'esistenza/divenire" ecc cominciano ad essere interpretati in un modo diverso dalla distruzione della mente. La trovo una interpretazione plausibile. Anzi la citazione di Buddhadhasa ne è quasi una prova di questa interpretazione "mentale". In fin dei conti si parla di "chiarezza originaria" ecc. Un po' come quando il mare smette di essere agitato a causa delle tempeste (= cause esterne). Quello che rimane è una "mente" pacificata, ferma, "inattiva" ecc che non costruisce e non distrugge più nulla, che non si attacca e non è avversa a niente, che non ha più la limitazione dell'io e quindi "vuota". Posso concordare che è "strano" chiamarla mente ma in fin dei conti. Una mente che non costruisce e non distrugge più nulla ecc - perfetta calma. Un vero problema potrebbe sorgere: qual è la differenza ultima tra ciò e l'Atman di alcune scuole indù? A cui posso rispondere: dobbiamo per forza trovare una differenza così "netta" tra quei "tipi" di atman e la mente libera buddhista?
Una differenza importante sta proprio, a mio parere, nel sostanziare quella mente. Alla domanda:"Dove sta la mente?" un hindu forse risponderebbe:" In Brahman"; un buddhista invece:" In nessun luogo". L'atman 'è' , non ci sono dubbi per il rishi. Invece il buddhista non stabilisce in alcun luogo la mente, né in 'è' né in 'non è'. La 'mente' per il buddhista è vuota, galleggia in una grande vacuità, non viene da nessun luogo e non va in nessun luogo, è inafferrabile...non lascia tracce che si possano seguire, proprio " come un uccello in volo". E' l'interpretazione stessa dell'esperienza meditativa che porta a divergere le due strade. Nel samadhi il devoto hindu ritiene di realizzare l'unione con l'anima del Tutto, con l'eterno Brahman. Ishvara dimora nel cuore e nella sfera di luce che appare tra i due occhi: "Tu sei Quello". Dove Tu e Quello sono un'unica cosa, si realizza l'unione in satchitananda, nell' oceano di saggezza e beatitudine che trascende ogni dualità. Nel buddhismo samadhi non è altro che un cancello, non è la meta, bisogna ancora andare oltre, fino al sorgere di prajna, la visione profonda ... Il rishi invece afferma: Solo il Sè superiore (Atman) conosce il Sè superiore. Esso, Conoscenza assoluta, non può essere realizzato che da Lui stesso, Conoscenza assoluta. L'anima differenziata, fintanto che resta differenziata e vive sui piani inferiori, non può, come tale, realizzare l'Assoluto Divino. Soltanto il non-differenziato realizza il non-differenziato. E ciò spiega il vero senso dell'espressione:" Dio è ignoto e inconoscibile". (Ramakrshna-La realizzazione del Divino) Un giorno venne chiesto proprio a Sri Ramakrshna se Buddha era ateo e lui rispose: "Il Buddha non era ateo, ma non potè spiegare le sue realizzazioni. Sapete cosa vuol dire Buddha? Significa diventare una cosa sola con bodha , l'Intelligenza suprema, divenire la pura Intelligenza stessa, mediante una intensa meditazione. Un tale stato di realizzazione di sé sta fra asti e nasti, essere e non essere. L'essere e il non essere sono modifiche di Prakriti. La realtà li supera entrambi.". Notare che , nel Vedanta, Prakriti indica la natura, l'energia attiva ed in esecuzione, che si oppone al Purusha che osserva e sostiene senza prender parte all'azione. Elementi attivi e passivi del Reale, materia e spirito, caldo e freddo, oggetto di coscienza e coscienza passiva, ecc...qui R. sembra intendere che la realizzazione della 'buddhità' è di grado relativo rispetto al Brahmajnana, in quanto ancora all'interno di Prakriti, mentra la realtà del Brahman supera questa posizione tra "asti e nasti"...ma è proprio nello stare in questa "vacuità di posizione" che si manifesta il tratto caratteristico di ogni forma seria di Buddhismo, che non sostanzia, che non giunge a concludere:" Ma Dio trascende anche la vacuità"...perché questo lo farebbe ricadere nella posizione "atta", nell' "è", nell'essere che il Buddha ha definito come una concezione erronea della realtà...dibattito infinito tra Vedanta e Buddhismo, che per moltissimi aspetti, come Apeiron giustamente sottolinea, si rassomigliano...ma a me personalmente appare piuttosta chiara la diversità, che si fonda proprio nella concezione dell'anatta, il vero tratto che distingue il buddhismo da ogni altra forma religioso/filosofica, il 'cuore stesso del Dhamma' di Gotama Siddhattha...non c'è alcun atman risponderebbe con un sorriso il Buddha a Ramakrshna, sei ancora gabbato da Mara...ma il confronto continua... :)


Concordo la differenza c'è ed è (in un certo senso, purtroppo) molto netta pur essendo molto sottile e le parole di Ramarkrishna (e il commentario di Sariputra) mostrano molto chiaramente la differenza.

D'altronde c'è una sottigliezza tra una mente dire che "la mente non sta da nessuna parte" e dire che la mente "sta in Brahman (che potrebbe essere "in nessun luogo")".  Per un buddhista la posizione di Ramarkrishna è ancora una "prigione", un vincolo alla mente che ostacola la piena libertà. Viceversa per un vedantino la posizione buddhista è incompleta. Sottile differenza ma innegabile. E non c'è alcun modo (a parte, forse, la pratica spirituale) per verificare chi ha ragione.

C'è poi un'altra differenza più esplicita: Brahman è visto come il Sole del mondo (ovvero la "causa" analogalmente alla filosofia di Platone) mentre il Nibbana, anche quando è descritto come una "realtà incondizionata" non ha alcun legame causale col mondo.

P.S. 15 pagine di topic sul buddhismo... è un buon traguardo ;)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

green demetr

Ciao Apeiron e ciao Sari.

Avete aggiunto un sacco di informazioni, e ok, comincio a fare fatica a stare addietro al tutto. ;)

Comincio col dire che se mai vi fu una fase mistica (ma non la chiamerei così) quella è confinata agli anni dell'infanzia e della prima adoloscenza. Dell'induismo mi piaceva, mi piace tutt'ora sopratutto l'elemento metafisico. 
(motivo per cui ho deciso di ri-aprire all'India).

Ovviamente la metafisica occidentale è molto più vicina al mio modo di sentire, perchè si cala nel mio tempo storico, nel mio ora e qui.

Ora non immagino niente di più lontano che la sensibilità di chi vive un mondo radicalmente diverso dal nostro.

E ciò nonostante come dicevo il carisma dei maestri orientali ci raggiunge comunque.

Ma andiamo alla nostra chiaccherata/discussione.

Riprendendo da qui per Apeiron

cit
"in modo che "Nirvana" non sia la "mera estinzione". Anzi è la realtà più autentica 
e "reale" ma a differenza di Dao, Brahman, l'Uno platonico ecc non è in rapporto 

"causale" (in un certo senso) con le "cose" [e questo è un altro punto che mi 

disturba parecchio, personalmente ho capito che sono un "platonico" in un certo 

senso, peccato che l'Accademia è estina ecc ecc]"

Certamente che il mondo ideale sia un tutt'uno con il mondo reale, è stato il  grande sforzo platonico.
Sforzo occidentale se ce n'è uno.

Ma anche per l'induista (termine che ha senso solo per noi occidentali tra l'altro)  come per il Buddhista, la realtà è maya, velo, magia.

E' vero che l'atman coincide con "tu sei quello". Ma andando a leggere i testi della madukya upanishad, e dello yoga classico di Patanjali (perenni favoriti sia da noi che da loro) notiamo che quella affermazione non è centrale.
Direi piuttosto che è periferica. E'solo uno stato dell'energia cosmica, o prana.
Come già detto vi è un oltre a "tu sei quello". E coincide nel Samadhi. 
Ovvero l'annullamento del tu, a favore del cosmo. Processo irreversibile, comandato dal karma e dalle sue ruote dell'incarnazione perenne.
Ovvero il Nirvana.

La meditazione del Buddha è però peculiare, ossia originale, personale.
A mio modo di vedere egli fonde la tecnica, le tecniche di spersonalizzazione, con una fede in un mondo che si rivela come nulla.
Bizzarra questa cosa. 

Nondimeno anche dalle aggiunte complesse di cui ha parlato  Sari, ne è nata una corrente di pensiero, che dura tutt'oggi, anzi mi pare che il buddhismo sia in netta crescita e diffusione nel mondo. (pur rimanendo minoranza, 
se non sbaglio, e con infinite rotture interne.)

Ma insomma a me sorge il sospetto che si confonda la tecnica con il fine.
La tecnica di spersonalizzazione, che si basa sulla rinuncia del sè, porta alla 
paura del niente. Dunque oltre il sè c'è la mia paura, ossia c'è il niente.
Come altro intendere questo niente?

Probabilmente nel suo contrario, appunto come qualcosa.
Alla fine questo niente per sedurre comincia ad essere ornato di parole.
E queste parole rimandano a tutt'altra cosa, che la cosa in sè.
Ossia non rimandano al niente (che sarebbe la cosa in sè).
Rimandano a qualcosa che anzitutto è sottoteso al niente (dunque un qualcosa).
Ecco che forse allora si apre l'orizzonte in cui ricomprendere in cosa consista il buddismo.
Se di illuminazione si parla, qualcosa si deve pur vedere, qualcosa va illuminato.
A me interessa moltissimo la questione della vacuità, perchè se c'è un vacuo, è perchè è venuto meno, e dunque prima c'era, un qualcosa.

Dunque c'è una catena causale. Mi pare strano non ammetterla.

Altra cosa, è come raggiungere quel qualcosa, e come intendere quella catena.
Che a mio avviso è appunto la riflessione peculiarmente filosofica, filosofia speculativa, al suo massimo grado di astrazione.
Intendere il Nulla come qualcosa.

A questo punto dopo questa lunga premessa, che però spero faccia capire come la vedo io al riguardo, e ponendovi la domanda se vi trovate punti di intersezione o di futuro dialogo in queste premesse. Passiamo alla discussione rispetto ai vostri scritti.

Che farò domani. ;) insieme agli auguri per il buon anno ovvio.

e prosit!
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Apeiron

#212
@Green, anzitutto dico che in linea di massima concordo con te: la "pienezza" e la "vacuità" sono opposti inscindibili. In fin dei conti se uno è un completo egoista la sua vita sarà vuota, viceversa se uno è "senza-sé" (anatta) la sua vita paradossalmente sarà "piena" (da qui il messaggio di Zhuangzi: "dimentica gli anni, dimentica le distinzioni. Salta nell'infinito e rendilo la tua dimora" (capitolo 2)...). Curiosamente sto apprezzando molto di più anche il cristianesimo dopo aver studiato i testi buddhisti...


Secondo me bisogna anche considerare il contesto in cui Buddha ha insegnato. Come dicevo tempo fa a Pierini allora andava di moda la ricerca del nettare (amrita, ambrosia...) e l'idea era che si beveva tale "succo" trovandosi la cosa giusta con cui identificarsi. Buddha capì che questa strada era ancora in fin dei conti "egoistica" e quindi per "salvare" ha messo in risalto la "vacuità" e ha lasciato "implicita" la pienezza ("Il Tathagata è profondo...", "non riesci a capire il Tathagata nemmeno ora in questa vita", "non c'è alcun modo di misurare colui che è risvegliato", "monaci c'è un non-nato, non-formato"...). Il problema è che dire all'uomo occidentale moderno "il Buddhismo nega Dio e l'anima" fanno capire all'occidentale che il buddhismo è un'antica forma di epicureismo, cosa falsa. Ergo secondo me forse se Buddha esistesse ora probabilmente direbbe le stesse cose ma rimarcando di più l'aspetto positivo.

Un altro pensiero. Buddha non ha mai negato esplicitamente l'esistenza dell'Io anche se ha detto "ogni cosa è senza Sé" (l'unica volta che gli è stato chiesto perchè non lo ha negato esplicitamente ha detto che la posizione "l'Io non esiste" suggeriva un "annichilazionismo"). Non lo ha fatto per un motivo preciso secondo me: in fin dei conti è proprio la domanda "cosa sono io" quella che fa iniziare la ricerca spirituale e dire "l'Io non esiste" avrebbe stroncato sul nascere il cammino (più o meno è l'obiezione che ho fatto a Cannata nel topic aperto da viator su anima e spirito). Ergo secondo me e mi compiaccio di vedere che tu la vedi allo stesso mio modo la "positività" è semplicemente "implicita". In fin dei conti l'idea è che la meditazione e il graduale "impoverimento" dell'io renda la mente "luminosa" (mal che vada secondo i testi buddhisti uno con la "mente luminosa" rinasce come "deva" - essere "luminoso"). In sostanza si potrebbe quasi dire che chi rinuncia a tutto paradossalmente "vince su tutto".

La catena casuale: https://www.canonepali.net/2015/05/sn-12-2-paticca-samuppada-vibhanga-sutta-analisi-delle-coproduzioni/.

Unica cosa: la vacuità non dice che prima c'era qualcosa e ora c'è la vacuità. La vacuità dice che ciò che per il Risvegliato non c'è più è avidya ed è "cessato" il processo che si basava su avidya. Anzi è proprio il fatto che avidya è una realtà condizionata "il filo di Arianna" (espressione usata da Schopenhauer) per uscire dall'esistenza ciclica.

Riguardo al discorso della filosofia indiana vs occidentale. Sì concordo con te ed è un altro motivo per cui non riesco ad abbracciare in pieno la filosofia indiana. Nella Repubblica si richiede al "filosofo" addirittura di tornare indietro nella Caverna ad amministrare la politica (per certi versi ciò è simile al cristianesimo "bisogna essere nel mondo ma non del mondo"...). Una cosa simile difficilmente verrebbe in mente ad un indiano (non a caso indù e buddhisti vogliono uscire dal "ciclo" il prima possibile col "parinirvana") - però è anche vero che il buddhismo mahayana (e il daoismo...) sono più vicini alla posizione per cui bisogna rimanere nel mondo ma non essere "del mondo". Sinceramente questi parallelismi fanno riflettere. "Meravigliano"... ovvero inducono a riflettere  ;D

P.S. Se non erro https://www.canonepali.net/2015/06/udana-1-10-bahiya-sutta-bahiya/ contiene un parallellismo con un passo biblico:
"Dove acqua, terra, fuoco ed aria non trovano appoggio:
[le stelle non splendono]*

il sole non è visibile,
la luna non appare,
l'oscurità non si trova.
"
Mi pare che nella Bibbia si dica che nel Regno dei Cieli anche in assenza di Sole e Luna l'oscurità non si trova...
*nelle versioni inglesi è presente la frase "le stelle non splendono"
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

green demetr

#213
Preso da uno delle mie demoniache intuizioni mi chiedevo:

"Dunque c'è una catena causale. Mi pare strano non ammetterla."

Che voleva dire, che non ammetto il nulla, ma che invece ,mi aspetto qualcosa dal Buddismo, nelle sue correnti più filosofiche, che sia una vera rivelazione, una vera illuminazione, ossia cosa viene illuminato? il dito punta alla luna, o punta a se stesso?


La coproduzione causale.

Un tema che mi ha lanciato apeiron.

Di nuovo mi ritrovo a seguire questo sentiero nel labirinto filosofico.

A Savatthi... "Monaci, vi descriverò e vi analizzerò le coproduzioni condizionate.
"E cos'è una coproduzione condizionata? Dall'ignoranza come condizione derivano le predisposizioni karmiche. Dalle predisposizioni karmiche come condizione deriva la coscienza. Dalla coscienza come condizione derivano il nome e la forma. Dal nome e dalla forma come condizione derivano i sei sensi. Dai sei sensi come condizione deriva il contatto. Dal contatto come condizione derivano le sensazioni. Dalle sensazioni come condizione deriva la brama. Dalla brama come condizione deriva l'attaccamento. Dall'attaccamento come condizione deriva il divenire. Dal divenire come condizione deriva la nascita. Dalla nascita come condizione si producono l'invecchiamento e la morte, il dolore, i lamenti, l'angoscia e la disperazione. Tale è l'origine di questa massa intera di dolore e sofferenza.

Intanto la parola co-produzione a me non piace, infatti benchè esista una coscienza (e non una mente) essa non è co-producente.
La produzione, termine centrale su cui sto meditando da mesi, non è che del soggetto, e di nessun altro.
Se la produzione è insieme a qualcuno, allora è produzione comunitaria (ed è quello a cui ambisco).
Ma la produzione non è insieme a Dio, per intenderci.

I miei demoni mi suggeriscono di partire al contrario, perciò...ossia dal soggetto sensibile.
Per quel che posso vedere e ricordare il bambino prende atto del suo esistere, sensibile, solo in concomitanza di una paura primordiale, difficilmente spiegabile (gli scienziati parlando di memoria genetica, possibile spiegazione, seppure immaginifica).

Dunque è subito la paura di non esserci: frattanto un altra intuizione mi è sorta sul momento.
Poiche il testo parla di angoscia, è proprio di quell'angoscia, studiata da Freud, l'umwelt (il principale apporto di freud a mio parere), ossia quel non sentirsi a casa propria, pur essendo a casa propria.
La mia intuizione è proprio la sintesi tra queste 3 riflessioni, ossia che il soggetto si instaura praticamente da subito come minaccia di estinzione, ossia il soggetto ha paura radicalmente, originariamente.

Solo dopo arrivano i lamenti, il dolore e infine la morte, ossia l'apertura sull'abisso, la massima riflessione umana, è già nell'infanzia. Non è difficile trovare nel testo, la stessa identica funzione di riconoscimento, là chiamata "nascita".

Il divenire non mi pare possibile legato alla nascita, infatti come la morte è un tema che si può comprendere solo dopo.
Sono quindi estremamente critico su questo passaggio, che è chiaramente inferenzialmente errato.
(e già di per sè inficerebbe la dottrina che lo presenta, che infatti crede che esista questo divenire: non esiste alcun divenire, esiste solo un soggetto e la sua destinalità.)

A questo punto passiamo all'attaccamento, questa volta mi sembra molto forte come premessa, è abbastanza facile credo ravvisarlo.
L'infante comincia ad essere attaccato, a credere nel suo soggetto sensibile.

Certamente il sensibile è legato alla sua disperazione di non essere più, e perciò è legato come la filosofia occidentale ci insegna al proprio oggetto.
Ma andando più a fondo, e cioè insieme a Hegel, l'unico finora che lo dice esplicitamente, si unisce con l'oggetto che ha il terrore di perdere, tramite il nome. Si comincia a famigliarizzare con il linguaggio e cioè il soggetto sensibile sta per fare quel grande salto che lo distingue nel soggetto vero e proprio, ossia quello trascendentale. Ossia il soggetto sensibile entra nel regno del linguaggio, tramite il regno del nome. Quindi mi aspetterei da questi geni dell'intuizione profonda che sono gli indiani, che il prossimo passo sia il nome.
E invece rileggendo vedo che il nome è più in alto nella catena.
Questa scuola introduce il desiderio, la brama nella traduzione.
Accolgo volentieri questa proposta, in quanto rientra nella mia triade di interesse (soggetto-desiderio-oggetto).
La accolgo come in fin dei conti essa si deve essere presentata al bambino, la voglia di rivedere la medesima cosa.
(lo posso osservare facilmente). Non mi va a genio che si appiattisca solo a questo, ma è evidente, che è una riflessione non sul linguaggio, ma sull'origine. Sulla nascita.
A questo punto prima della senzazione, mettono il nome. Errore pacchiano, come può esserci nome senza sensazione?

E a questo punto la scuola si sfilaccia senza più rimedio, perchè credono che il nome e le forme, non siano dunque l'esito delle sensazione ma della coscienza. Dunque la coscienza è un oggetto, e come tale è dunque mente. Questa scuola non fa i conti con l'intero panorama filosofico occidentale. In paricolare ovviamente Cartesio: la mente come si concilia con l'oggetto? tramite Dio? tramite un genio maligno?
Siamo forse un cervello nella vasca??? etc...etc...io detesto la filosofia analitica e i loro falsi problemi.

C'è un grado superiore alla coscienza-mente, ed è quello karmico. Che poi sarebbe il cervello nella vasca versione orientale.

Dunque la diagnosi della proposta fattami da Apeiron è assolutamente negativa, non si indica la luna, l'illuminazione, ma si indica il dito, ossia che possa esistere questa fantomatica mente. E che quindi dietro la mente, c'è la mente. Uno di quei mortiferi A=A che non volgiono dire niente. Ahimè!

Più in fondo a esplicitare ancora meglio dove sia l'errore:

""E cos'è la coscienza? Questi sono i sei i tipi di coscienza: coscienza visiva, uditiva, olfattiva, gustativa, fisica e mentale. Questo stato è chiamato coscienza."

Coscienza è coscienza dei sensi. Dunque è mentale.

Interessante il "dunque" della questione filosofica, se il dolore è mentale, allora bisogna bloccare la mente.

Ossia diventa una questione scientifica. E infatti la psicologia del profondo di matrice olandese, transumana mi sembra, sta riscuotendo un grande successo nella cura paliativa ai malati di cancro.

Con la meditazione profonda è possibile bloccare i sintomi del dolore. (io c'ho provato con il mal di denti: non ha funzionato)


Ovviamente Apeiron ha sbagliato a propormi questo autore del pali, mi attendo ancora grandi cose dal pensiero medievale indiano.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: Apeiron il 03 Gennaio 2018, 19:01:59 PM
@Green, anzitutto dico che in linea di massima concordo con te: la "pienezza" e la "vacuità" sono opposti inscindibili. In fin dei conti se uno è un completo egoista la sua vita sarà vuota, viceversa se uno è "senza-sé" (anatta) la sua vita paradossalmente sarà "piena" (da qui il messaggio di Zhuangzi: "dimentica gli anni, dimentica le distinzioni. Salta nell'infinito e rendilo la tua dimora" (capitolo 2)...). Curiosamente sto apprezzando molto di più anche il cristianesimo dopo aver studiato i testi buddhisti...


Secondo me bisogna anche considerare il contesto in cui Buddha ha insegnato. Come dicevo tempo fa a Pierini allora andava di moda la ricerca del nettare (amrita, ambrosia...) e l'idea era che si beveva tale "succo" trovandosi la cosa giusta con cui identificarsi. Buddha capì che questa strada era ancora in fin dei conti "egoistica" e quindi per "salvare" ha messo in risalto la "vacuità" e ha lasciato "implicita" la pienezza ("Il Tathagata è profondo...", "non riesci a capire il Tathagata nemmeno ora in questa vita", "non c'è alcun modo di misurare colui che è risvegliato", "monaci c'è un non-nato, non-formato"...). Il problema è che dire all'uomo occidentale moderno "il Buddhismo nega Dio e l'anima" fanno capire all'occidentale che il buddhismo è un'antica forma di epicureismo, cosa falsa. Ergo secondo me forse se Buddha esistesse ora probabilmente direbbe le stesse cose ma rimarcando di più l'aspetto positivo.

Un altro pensiero. Buddha non ha mai negato esplicitamente l'esistenza dell'Io anche se ha detto "ogni cosa è senza Sé" (l'unica volta che gli è stato chiesto perchè non lo ha negato esplicitamente ha detto che la posizione "l'Io non esiste" suggeriva un "annichilazionismo"). Non lo ha fatto per un motivo preciso secondo me: in fin dei conti è proprio la domanda "cosa sono io" quella che fa iniziare la ricerca spirituale e dire "l'Io non esiste" avrebbe stroncato sul nascere il cammino (più o meno è l'obiezione che ho fatto a Cannata nel topic aperto da viator su anima e spirito). Ergo secondo me e mi compiaccio di vedere che tu la vedi allo stesso mio modo la "positività" è semplicemente "implicita". In fin dei conti l'idea è che la meditazione e il graduale "impoverimento" dell'io renda la mente "luminosa" (mal che vada secondo i testi buddhisti uno con la "mente luminosa" rinasce come "deva" - essere "luminoso"). In sostanza si potrebbe quasi dire che chi rinuncia a tutto paradossalmente "vince su tutto".

La catena casuale: https://www.canonepali.net/2015/05/sn-12-2-paticca-samuppada-vibhanga-sutta-analisi-delle-coproduzioni/.

Unica cosa: la vacuità non dice che prima c'era qualcosa e ora c'è la vacuità. La vacuità dice che ciò che per il Risvegliato non c'è più è avidya ed è "cessato" il processo che si basava su avidya. Anzi è proprio il fatto che avidya è una realtà condizionata "il filo di Arianna" (espressione usata da Schopenhauer) per uscire dall'esistenza ciclica.

Riguardo al discorso della filosofia indiana vs occidentale. Sì concordo con te ed è un altro motivo per cui non riesco ad abbracciare in pieno la filosofia indiana. Nella Repubblica si richiede al "filosofo" addirittura di tornare indietro nella Caverna ad amministrare la politica (per certi versi ciò è simile al cristianesimo "bisogna essere nel mondo ma non del mondo"...). Una cosa simile difficilmente verrebbe in mente ad un indiano (non a caso indù e buddhisti vogliono uscire dal "ciclo" il prima possibile col "parinirvana") - però è anche vero che il buddhismo mahayana (e il daoismo...) sono più vicini alla posizione per cui bisogna rimanere nel mondo ma non essere "del mondo". Sinceramente questi parallelismi fanno riflettere. "Meravigliano"... ovvero inducono a riflettere  ;D

P.S. Se non erro https://www.canonepali.net/2015/06/udana-1-10-bahiya-sutta-bahiya/ contiene un parallellismo con un passo biblico:
"Dove acqua, terra, fuoco ed aria non trovano appoggio:
[le stelle non splendono]*

il sole non è visibile,
la luna non appare,
l'oscurità non si trova.
"
Mi pare che nella Bibbia si dica che nel Regno dei Cieli anche in assenza di Sole e Luna l'oscurità non si trova...
*nelle versioni inglesi è presente la frase "le stelle non splendono"

Ciao Apeiron,

Sì infatti anch'io (forse per altre ragione dalle tue) cerco la positività del buddhismo, così come la cerco nell'induismo.  :)

Penso che però per come stanno le cose, quel voler introdurre il nulla, il niente con la soppressione delle predisposizione mentale sia veramente un rischiare di non dire nulla di sensato (cioè di positivo).
Certamente cercare di fuggire dal dolore ha senso in sè.
Nessuno di noi vuol soffrire, ma tant'è.

Il senso di sublime, come lo avevano chiamato i romantici, è sicuramente da ricercare nella solitudine, e nel silenzio. Mi sembra che il tuo entusiasmo derivi in gran misura da quello.

Non vedo come coniugarlo in chiave filosofico-buddhista. Tra l'altro potrebbe benissimo appartenere a qualsiasi visione religiosa.(ma su quello ti vedo molto aperto, e questo è un bene).

Insomma io voglio la luna (vedi post mio sopra), e da questi ultimi passaggi non mi pare di poterla evincere.  :-[

Non sto intervenendo nel 3d di viator, proprio perchè mi sembra troppo generico.
Ho presente l'obiezione di Angelo, ossia se il soggetto sia poi così importante:
ma va da sè che mancandogli le basi filosofiche e le intuizioni che lo sorreggono non abbia in testa il problema vero.
Nel buddismo invece la questione viene presa di petto, e annichilita in maniera abbruttente e assolutamente anti-filosofica.

Apro una parentesi.
Ma c'è maestro e maestro. Nel medioevo indiano i pensatori che univano misticismo e filosofia sono parecchi. Per quel che ne sò il lavoro di riscoperta è agli albori.
Basta andare a vedere l'incredibile numero di testi scansionati dalle università.
Chissà quante perle, quante sorprese ci riserva questa culla delle civiltà e del pensiero!
Il problema contemporaneo è che non esiste ancora una filologia locale.
Di fatto i giovani indiani, stanno apprendendo il metodo di studio proprio da noi occidentali, stanno imparando e vogliono impegnarsi nella riscoperta del loro patrimonio nascosto.
Li attende un lavoro enorme, io sono rimasto un pò fuori, dovremmo guardare ovviamente alle pubblicazioni in inglese. Perchè da quando feci il mio corso di Sanscritto all'università (e no, non l'ho passato  ;) ) saranno passati anche una ventina d'anni  ;D . Mi auguro che nel frattempo qualcosa di meraviglioso sia uscito nel frattempo. A presto.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Apeiron

@Green, ti rispondo parzialmente sulla questione della coproduzione. Sì diciamo che è uno dei temi più "controversi". Qui l'idea è che ogni fenomeno - eccetto il Nirvana - "nasce" secondo condizioni e non appena il "nutrimento" finisce "cessa". La legge della coproduzione per un buddhista non è solo "mentale" ma è anche per la "materia" e non a caso gli esempi che Buddha (o chi per lui) porta sono anche fisici: il fuoco, la bolla d'acqua, il miraggio ecc. Nessuno di questi fenomeni è "permanente" proprio perchè non esiste senza alcune condizioni che lo "alimentano" e tolto il "nutrimento" cessa*. Riguardo all'idea della catena dei 12 elementi (ignoranza...) anche questi si danno "manforte" l'uno con l'altro ed è proprio questo il motivo per cui ci può essere la liberazione. Se uno di essi fosse incondizionato la salvezza non sarebbe possibile (cosa non capita, fra gli altri, da Schopenhauer che assolutizzò "tanha", la brama). Questa fu l'intuizione che ebbe sotto l'albero ovvero che "questo nasce perchè c'è quello... questo cessa perchè non c'è più quello". Ergo lo stesso vale anche per "soggetto" ed "oggetto": tolto l'attivo cessa anche il passsivo. Ma i condizionamenti sono ciò che mantengono in vita un fenomeno che è destinato, una volta mutate le condizioni, a perire. E questo non è un problema ovviamente per le entità inanimate (da qui credo la passione per la natura presente in ogni cultura) ma diventa causa di violenza, dolore, conflitto, competizione e prevaricazione tra gli esseri "senzienti". L'unico modo per "svincolarsi" è appunto quello di lasciar andare il "nutrimento" e ciò chiaramente porta alla "cessazione". Cosa rimane? altra questione spinosa. Alcuni dicono una Realtà Incondizionata (Abhidhamma, Theravada classica...), altri parlano di uno stato indefinibile (Nagarjuna), altri di una mente senza alcun supporto e altri ancora ritengono che non rimane proprio niente.

Qui si capisce che il buddhismo, ancor più dell'induismo, è assimilabile allo gnosticismo: in fin dei conti se il "nutrimento" è il male l'unica cosa sensata da fare è svincolarsi. Fortunatamente però questa tendenza gnostica è moderata dagli insegnamenti sull'amore, compassione, servizio, dono (dana), mente luminosa ecc. Però concordo con te, resto anche io perplesso da tutto questo. Dici che sono un romantico e che mi piace la gioia solitaria (vero). Ma mi piace moltissimo anche condividere la gioia, la mia esperienza e sentire quella altrui. Ma anche questa attività necessita in fin dei conti di un nutrimento  :-[  ergo è impermanente...  :-[

E se non si accetta questa tendenza buddhista-advaitin-spinozista sulla "rinuncia "incondizionata" a sé"... beh rimane poco altro: forse appunto la Comunione con altre "anime" e soprattutto col "Soggetto" con la "S" maiuscola. Solo un Dio dopotutto può trasformare il condizionato in incondizionato ecc. E col Dio cristiano il Buddha condivide "solo" l'infallibilità (non può mai mentire, mai fare una azione errata, può conoscere il karma di tutti ecc) ma non l'eternità o l'onnipotenza (né tantomeno la capacità di creare dal Nulla). Se non si accetta il cristianesimo si può accettare ad esempio sia la reincarnazione e la presenza di un Dio personale. Oppure... oppure qualcosa come il platonismo (teista o meno) dove la virtù si manifesta nella vita "concreta". Il mercato in realtà è pieno di "offerte" però secondo me ognuna ha i suoi aspetti problematici, purtroppo.

Di certo la sola filosofia però non ci porta alla Luna, purtroppo e spesso ci fa perdere di vista perfino il dito!

*Ritengo interessante che così come la coscienza "visiva" è chiamata così perchè si "nutre" della vista, lo stesso vale in quei testi per il fuoco - il nome viene dato al nutrimento. Quando il fuoco non ha più nutrimento cessa, quando la coscienza non ha più nutrimento cessa. Ma cosa voleva dire per un indiano del tempo "cessare"? 

Completo la risposta appena posso ;)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

green demetr

Ciao Sari e Apeiron

Passo molto velocemente:

Dunque il paticca-samuppada-vibhanga è un testo molto importante. Viste le reazioni immediate  ;)

Non ho ben capito perchè (sopratutto perchè sari ha minacciasto 200 pagine e passa di risposte...lol...fammelo leggere prima in toto allora) ma mi scuso subito.

Per carità, non vorrei fare l'elefante che entra nel negozio di cristalli.

alle prossime

Vai avanti tu che mi vien da ridere

Apeiron

Ciao Green risposta flash (se ti va di leggerla prima di imbarcarti nell'impresa  ;D ),

direi che il paticca-samuppada è il "nucleo" del buddhismo (una sutta credo che faccia l'equazione Dhamma=paticca-samuppada). Ogni "fenomeno" è senza essenza perchè esiste a causa di condizioni ("nutrimento") e queste condizioni a loro volta esistono a causa di un nutrimento ulteriore, il quale a sua volta esiste se c'è nutrimento.... Se ci fosse un'essenza il nesso causale si bloccherebbe ad un certo punto (un po' come mettere un sasso in una corrente).

Mi ricorda Spinoza, anche se con le ovvie precisazioni. Secondo Spinoza (che però era determinista) da un lato c'era la catena di fenomeni ma dall'altro c'era la Sostanza che era la causa "ontologica" di questa catena.

Diverso è il discorso del buddhismo: similmente c'è la catena causale - questo dipende da quello, quello da quell'altro ecc ma non c'è un "principio ontologico" (senza il quale non esisterebbe nulla). La "liberazione" in fin dei conti è la "cessazione della catena". Quindi a questo punto la domanda è: cosa rimane?

Per Spinoza era semplice: la Sostanza stessa.

Per il buddhismo personalmente vedo un'ambiguità e non a caso ho parlato di 4 possibilità. 1) uno "stato indefinibile" "per il risvegliato non esiste alcuna misura ecc" 2) una "mente indefinibile"* 3) l'unica realtà incondizionata "esiste un non-nato..." 4) il nulla. La "4" secondo me nasce dall'utilizzo del riduzionismo: non siamo nient'altro che i condizionamenti.

Se il Sari ci porta 200 pagine di risposte... beh probabilmente farà azzittire la mia "mente di scimmia"  ;D



*Qui si capisce lo zen quando dice "tu sei già risvegliato, te ne devi solo rendere conto  ;D "


Ma secondo me con la metafora del fuoco il principio del patticca-samuppada è chiaro: la nostra "esistenza" (ovviamente parola da interpretare) è come una fiamma. Finché si nutre continua a bruciare, tolto il nutrimento si estingue. Ergo intuitivamente è chiaro: dove c'è la condizione del mantenimento del "divenire" (o "esistenza") questo continua, una volta tolta la condizione esso si estingue. Ovviamente una cosa è l'intuizione immediata, un'altra è l'interpretazione corretta (ovviamente la "4" volendo è la più intuitiva ma quella che è più sbagliata, secondo me  ;) )


Buona ricerca!
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

green demetr

Citazione di: Apeiron il 05 Gennaio 2018, 22:45:00 PM
Ciao Green risposta flash (se ti va di leggerla prima di imbarcarti nell'impresa  ;D ),

direi che il paticca-samuppada è il "nucleo" del buddhismo (una sutta credo che faccia l'equazione Dhamma=paticca-samuppada). Ogni "fenomeno" è senza essenza perchè esiste a causa di condizioni ("nutrimento") e queste condizioni a loro volta esistono a causa di un nutrimento ulteriore, il quale a sua volta esiste se c'è nutrimento.... Se ci fosse un'essenza il nesso causale si bloccherebbe ad un certo punto (un po' come mettere un sasso in una corrente).

Mi ricorda Spinoza, anche se con le ovvie precisazioni. Secondo Spinoza (che però era determinista) da un lato c'era la catena di fenomeni ma dall'altro c'era la Sostanza che era la causa "ontologica" di questa catena.

Diverso è il discorso del buddhismo: similmente c'è la catena causale - questo dipende da quello, quello da quell'altro ecc ma non c'è un "principio ontologico" (senza il quale non esisterebbe nulla). La "liberazione" in fin dei conti è la "cessazione della catena". Quindi a questo punto la domanda è: cosa rimane?

Per Spinoza era semplice: la Sostanza stessa.

Per il buddhismo personalmente vedo un'ambiguità e non a caso ho parlato di 4 possibilità. 1) uno "stato indefinibile" "per il risvegliato non esiste alcuna misura ecc" 2) una "mente indefinibile"* 3) l'unica realtà incondizionata "esiste un non-nato..." 4) il nulla. La "4" secondo me nasce dall'utilizzo del riduzionismo: non siamo nient'altro che i condizionamenti.

Se il Sari ci porta 200 pagine di risposte... beh probabilmente farà azzittire la mia "mente di scimmia"  ;D



*Qui si capisce lo zen quando dice "tu sei già risvegliato, te ne devi solo rendere conto  ;D "


Ma secondo me con la metafora del fuoco il principio del patticca-samuppada è chiaro: la nostra "esistenza" (ovviamente parola da interpretare) è come una fiamma. Finché si nutre continua a bruciare, tolto il nutrimento si estingue. Ergo intuitivamente è chiaro: dove c'è la condizione del mantenimento del "divenire" (o "esistenza") questo continua, una volta tolta la condizione esso si estingue. Ovviamente una cosa è l'intuizione immediata, un'altra è l'interpretazione corretta (ovviamente la "4" volendo è la più intuitiva ma quella che è più sbagliata, secondo me  ;) )


Buona ricerca!


Leggere i testi sacri senza aiuto lo trovo impossibile, quando leggo i veda, non leggo niente, ho bisogno dei maestri che mi spieghino cosa ci vedono loro.
In poche parole ho bisogno di parole illumiate, che indichino Dio.

Ora il testo principale del buddismo parte dicendo che vi è una predisposizione alla sensazione, ovvero alla possibilità della stessa prima di tutto.

Che sia questa la nutrizione? Per quel che ne sò, e anche dentro di me, il fuoco, l'agni originario della religione indiana, è distruzione.

Ora bisogna vedere come dentro di te, si sviluppa questa immagine, e come possiamo alchimicamente commutarla in concetto all'interno di questo orizzonte misterioso che viene prima.

Ma questo venire prima è una pre-comprensione? (spero vivamente che lo sia perchè così la sento).
O è una pre-determinazione?  :(

Mi paiono domande tutte da sviluppare. Se prendiamo il testo alla lettera non mi convince, troppo sentenze e poca spiegazione.

(che ci sta in un libro che rivela antichi misteri, su cui l'umanità ha meditato, ma come già detto ho bisogno di maestri, perciò sebbene per via molto caotica, mi sto affidando anche a voi cari amici, per trovare questo maestro: non so se sia Nagarjuna come Sari mi ha consigliato. Ovviamente vi sarà sapere, solo per dire che questa lettura del canone pali non è nella mia lista principale, dove c'è già la bibbia, lo sarà invece quella del maestro/scuola che pazientemente aspetto si manifesterà)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Apeiron

#219
Cerco ora di completare la risposta, visto che nei prossimi giorni non avrò molto tempo.

La questione dei maestri... beh è da un po' di tempo che ci penso anche io. In effetti l'idea della successione "apostolica", ovvero del fatto che la "verità" è tramandata da persona a persona è un tema ricorrente in moltissime tradizioni, buddhismo compreso. Nello zen c'è la questione dei patriarchi: lo zen si "auto-giustifica" facendo risalire i primi maestri zen da una catena di "maestri" (ovviamente, risvegliati) che culmina col Buddha stesso. Nel buddhismo tibetano pare che sia ancora più importante la presenza del "guru". Nel buddhismo theravada la presenza diretta del maestro è meno importante però chiaramente anche qui è presente l'idea che è "nella scuola" theravada che è contenuta la "verità" (da quanto ho capito in certe "sotto-scuole" c'è la figura del patriarca, ma potrei sbagliare). Quello che c'è da chiedersi è: quanta "conta" la differenza tra lo studio individuale e lo studio sotto un maestro (anche qui secondo quanto si sa della vita del Buddha, anche lui prima del risveglio ha "studiato" sotto vari maestri)? Personalmente - ma potrei sbagliarmi - non credo che in assenza di maestro la saggezza si interrompa, sarebbe un controsenso: di certo però la presenza del maestro aiuta nell'apprendimento (e di molto) però la scelta di un maestro in fin dei conti è una scelta che condiziona, è una scelta definitiva. Se, per esempio, scelgo di seguire il buddhismo insegnato da "x" allora mi affido a lui. Viceversa un approccio senza un maestro fisso rischia di essere superficiale. Ergo l'idea sarebbe quella di sceglierne uno ma restando "mentalmente aperti". Purtroppo è difficile conciliare le due tendenze e certamente la presenza di moltissime sotto-scuole della miriade di scuole esistenti con ciascuna che dichiara di contenere la "verità" non aiuta per niente. Ritengo interessante lo sviluppo del dialogo inter-religioso inziato (in particolare) il secolo scorso: probabilmente il numero di "tradizioni" calerà. Sinceramente lo spero visto che questa molteplicità genera un sacco di confusione (per esempio ormai anche dire di essere cristiano o buddhista significa dire poco vista la miriade di "sottoscuole".).

Riguardo al "sublime" sì è una cosa che mi interessa molto e ritengo "valida" per me una religione se riesce a darmi il senso del sublime, ovvero il senso di essere dinnanzi a qualcosa che posso riuscire ad ammirare. Il buddhismo per esempio mi lascia con un senso di "meraviglia"/ammirazione proprio quando parla dell'immisurabilità, della profondità, dell'incondizionalità ecc e anzi scoprire che questa "profondità" la si può "trovare" "purificando" noi stessi lo trovo estremamente interessante. Il platonismo invece mi piace per un motivo che può essere definito "opposto": ovvero dalla contemplazione non di questo potenziale bensì nell'ammirazione dell'ordine che si manifesta nel kosmos. Considerando che appunto il "kosmos" è un tema che non è trattato dai buddhisti (a meno che non si identifichi esso con la "coproduzione") e che lo studio della matematica (per esempio) è anche uno studio del "logos"  e che in fin dei conti questi concetti hanno avuto l'acme proprio nella filosofia greca e platonica (curiosamente nella filosofia buddhista il concetto più vicino al logos è il Dhamma...)... beh comprendi che per me è difficile abbracciare il buddhismo, come invece ha fatto Sari. Ma tornando ai "maestri": il platonismo ben che vada lo leggo dagli scritti e le eventuali pratiche "dietro" di esse sono oggi estinte. Quindi capisco benissimo la tua perplessità nella mancanza che certamente si ha senza seguire una tradizione "viva".

Poi inoltre l'idea buddhista è che bisogna "svincolarsi" anche dalla coproduzione condizionata: non c'è certamente uno spirito "affermativo" della legge di causalità, come invece è presente in Spinoza (anche se per motivazione differenti, d'altronde Spinoza riteneva ogni evento inevitabile...). Quindi la tua triade "soggetto-oggetto-desiderio" dev'essere "abbandonata" nel buddhismo (la cosa interessante è,come dicevo, cosa significa questo "abbandonare"/svincolarsi). Ma anche qui il buddhismo non è un blocco unico e in fin dei conti Nagarjuna scrisse che tra samsara e nirvana non c'è la minima differenza.

Infine per quanto riguarda la "predisposizione": credo che l'idea sia che ci sia un "livello" della nostra coscienza attivo anche prima delle sensazioni. Questa se vogliamo è la "base" su cui si fonda tutto il nostro "bagaglio karmico", ovvero come percepiamo il mondo, le nostre predisposizioni: ovvero è il livello che di fatto è la base della nostra "personalità" - ovvero è quello ciò che fonda "l'io empirico" (se vuoi è alla base della differenza individuale ed è quello che mantiene in essere la stessa persona dalla nascita alla vecchiaia). Chiaramente un buddhista ti direbbe che devi "abbandonare" anche questa tua "identità".
Infine sul nutrimento e la distruzione... beh credo che entrambe le letture siano corrette per quanto riguarda l'esistenza condizionata: infatti il "divenire" non è altro che la continua creazione e distruzione di fenomeni momentanei e quindi in un certo senso il fuoco è l'esempio migliore - è un processo di creazione e di distruzione (una vera e propria sintesi di "opposti" e non a caso piaceva ad Eraclito ma mentre Eraclito voleva il fuoco sempre acceso, Buddha lo voleva estinguere...). L'idea - credo - è che finché si rimane nell'esistenza condizionata non si può avere una "creazione" libera dalla possibilità della "distruzione"*. La soluzione per i buddhisti? "Estinguere" il processo completamente  ;)

*ogni esistenza condizionata in fin dei conti ha sempre il pericolo della distruzione. Infatti se le condizioni vengono meno vi è la distruzione. A rigore secondo me l'esistenza condizionata è contingente (nel senso che può essere distrutta - per definizione). L'affermazione che "tutta l'esistenza condizionata è impermanente" ovvero che l'esistenza condizionata prima o poi verrà distrutta è l'affermazione indimostrabile dalla semplice definizione di "condizionamento" su cui "devi avere fede" (e la fede è data in fin dei conti dalla fede nella Perfetta Saggezza/Inerranza del Buddha che non è "onniscienza" ma è qualcosa in fin dei conti di "simile"....)

P.S. Per dare un esempio di quanto poco sia ben definito il "buddhismo" oggi. Ho trovato questa citazione (http://www.friesian.com/undecd-1.htm in inglese) attribuita a Zhiyi, il fondatore del buddhismo Tendai (538-597 d.c.): "quello che uno può dire è che l'unica mente è tutte i fenomeni (dharmas) e che tutti i fenomeni sono l'unica mente... [la relazione tra l'unica mente e i fenomeni] è oscura, sottile ed estremamente profonda...". Ci sono tendenze "monistiche" innegabili anche nel buddhismo, specie in quello cinese.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

#220
PICCOLO ABC SEMISERIO DEL BUDDHISMO ( per aspiranti occidentali al Buddhadhamma).
Prima Parte

Partendo da una constatazione iniziale di cui abbiamo già parlato (la sofferenza) si sviluppa il 'sentiero' per il Nibbana (Nirvana in sanscrito):

[ dolore (dukkha) ] -----> [ fede (saddha) ]----> [ gioia (pamojja ]-----> [ estasi (piti) ] ----->[ serenità (passaddhi ) ] -----> [ felicità (sukha) ] -----> [ Samadhi ] -----> [ retta conoscenza ] ----->[ avversione (nibidda) ] ----->[ distacco (viraga) ]------>[ liberazione (vimutti) ] -----> [ conoscenza dell'estinzione (khaye nana) ].

Secondo la psicologia buddhista, tutti i processi hanno un carattere dinamico, sono cioè legati all'intenzionalità e sono creativi. E' una psicologia di carattere eminentemente pratico; questo significa che tutti i bisogni vengono valutati con riferimento al fine cui, per loro tramite, si perviene. Il Buddhismo riconosce, in linea di massima, tre grandi fini:
a) una migliore rinascita.
b) libertà dalla rinascita.
c) la felicità in questa vita.
Nell'Abhid. il Buddha afferma: " Io sono uno di quelli che vivono felici nel mondo" (ye ca pana loke sukham senti aham tesam annataro ti).
I punti a e bnon sono compatibili tra loro. Il c è compatibile sia con il primo che con il secondo.
Il fine 'a' è alla portata del laico buddhista che segue i cinque precetti e coltiva benevolenza e compassione verso ogni essere senziente.
il fine 'b' è specificamente l'obiettivo del monaco buddhista ( bhikkhu ) ma non è negato alle possibilità del praticante laico.
Il fine 'c' è realizzabile da ogni praticante buddhista, laico o monaco che sia.
Il laico segue cinque precetti, ma può estenderli a otto.
Il monaco molti di più (decine a seconda delle varie tradizioni e scuole).
I cinque precetti base seguiti da ogni buddhista sono:
-astenersi dall'uccidere o provocare danno agli esseri viventi.
-astenersi dal prendere ciò che non è stato dato.
-astenersi da una vita sessuale sregolata.
-astenersi dal mentire e dall'usare toni volgari e offensivi.
-astenersi dal prosecco ( sigh!  :( ), dalle droghe e dalle sostanze che alterano la lucidità mentale.
A questi se ne aggiungono tre di facoltativi:
-astenersi dal mangiare dopo mezzogiorno e fino all'alba seguente.
-astenersi dal cantare, ballare , far casino , ecc. e dai gioielli, profumi costosi, trucchi cosmetici vari.
-astenersi dal riposare in letti troppo comodi e troppo grandi.
I monaci poi ne seguono un altro di importantissimo, per l'ordinato:
-astenersi dal ricevere denaro, oro, argenti, criptovalute, assegni postdatati, obbligazioni subordinate Tier I e Tier II, ecc.

Abbiamo un duplice sistema di valori, che si ricollega a tre tipi fondamentali di 'bisogni':
1) bisogni nocivi ( akusala) che non conducono a nessuno dei punti a-b-c- sopra descritti.
2) bisogni salutari ( kusala) che conducono ad una migliore rinascita ed almeno ad un certo grado di felicità in questa vita.
3) libertà dai bisogni, che conduce alla libertà dalla rinascita e alla felicità compiuta in questa vita.

La rinascita è un problema, non è cosa da augurarsi, per il buddhista. Ma se proprio dobbiamo rinascere è meglio un buona rinascita piuttosto che una pessima...e fin qua tutti si dicono d'accordo.
Il problema più importante , agli occhi del Buddha, riguardava i motivi che spingono alle azioni e ai pensieri nocivi. Egli riteneva che, il potersene liberare,  era di per sè una motivazione per seguire la moralità ( sila) e creare così i presupposti per la realizzazione dei punti a-b-c.
Per il Buddhismo i fattori motivazionali dell'azione non sono innati né ereditati, quanto secondari, condizionati dalla percezione sensoriale.
Se ci si libera da questi motivi, apparirà "qualcosa" di simile ad una 'purezza' originaria della mente ( citta ): "Questa citta era luminosa ma venne corrotta da macchie provenienti dall'esterno" (Ab. I 10).

Il Buddhismo, generalmente, usa una terminologia negativa che però ha un valore emotivo positivo, così come si presenta nella letteratura buddhista.

Il Buddhismo delle origini era un metodo pratico, non una scienza e nemmeno una filosofia, pertanto è naturale che l'unica classificazione realistica  del Sentiero risulti basata sui risultati dei bisogni.

Oltre alla classificazione in risultati buoni e risultati cattivi troviamo due ulteriori distinzioni:
-distinzione in relazione ai gradi di coscienza.
-distinzione in relazione ai gradi di pianificazione e premeditazione impliciti.

Se un essere immerso nei pensieri mondani vi chiede ( a voi aspiranti occidentali al buddhismo che avete letto fin qui e vi siete ormai convertiti... 8) ) "Cos'è il Buddhismo, o fuori di testa?"
Voi rispondete semplicemente: "Nulla a cui aggrapparsi".
Ma se il pedante interlocutore, insistendo , vi chiedesse ancora:" E cosa significa ? " accompagnando la domanda con uno sguardo di commiserazione...
Rispondete: "Astenersi dal male, praticare il bene, purificare la mente".
Se insiste maliziosamente: "E cos'è il male? Cosa il bene?" rivelandosi così il classico filosofo buontempone, voi con consapevolezza e con la mente ricolma di metta ( benevolenza-amorevolezza) assestategli un colpo deciso con un nodoso bastone tra la groppa e le reni che lo porterà all'immediata risalita di Kundalini lungo la spina dorsale... 8)
Di solito, un colpo così ben assestato, risolve al filosofo tutti i suoi dubbi al riguardo del bene e del male, realizzando così con immediatezza la profonda differenza tra i due... :o
Se volete poi far sfoggio della vostra erudizione del Dhamma buddhista potete aggiungere, mentre si massaggia la schiena dolorante: "Questo si chiama phassa che vuol dire 'contatto' , 'impressione sensoriale'...

Namaste :)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

SARIPUTRA
I cinque precetti base seguiti da ogni buddhista sono:
-astenersi dall'uccidere o provocare danno agli esseri viventi.
-astenersi dal prendere ciò che non è stato dato.
-astenersi da una vita sessuale sregolata.
-astenersi dal mentire e dall'usare toni volgari e offensivi.
-astenersi dal prosecco ( sigh!   ), dalle droghe e dalle sostanze che alterano la lucidità mentale.

APEIRON
-astenersi dal mentire e dall'usare toni volgari e offensivi. (sigh! ahia non posso far polemiche  ;D )
Tornando seri credo che già se si seguissero solo questi precetti, anche con la dovuta moderazione (mi riferisco alle sostanze che alterano la lucidità mentale  ;D ) il mondo sarebbe veramente un posto migliore senza aggiungerci gli altri... Interessante! Ma ahimé l'uomo è "peccaminoso"  ::)

SARIPUTRA
A questi se ne aggiungono tre di facoltativi:
-astenersi dal mangiare dopo mezzogiorno e fino all'alba seguente.
-astenersi dal cantare, ballare , far casino , ecc. e dai gioielli, profumi costosi, trucchi cosmetici vari.
-astenersi dal riposare in letti troppo comodi e troppo grandi.
APEIRON
Nooooooooooooooooooo che faccio col mio letto comodissimo su cui voglio giacere dopo una lunga giornata in cui ho provato a fare qualcosa di produttivo? Uffa  e siamo solo ai primi 8 precetti  :(

SARIPUTRA
I monaci poi ne seguono un altro di importantissimo, per l'ordinato:
-astenersi dal ricevere denaro, oro, argenti, criptovalute, assegni postdatati, obbligazioni subordinate Tier I e Tier II, ecc.
APEIRON
Questo è molto interssante... mi pare di aver visto che in alcune scuole Mahayana e tibetane (ah, ho scoperto che tibetano =/= vajrayana) ci sono monaci che possiedono qualcosa che appartiene a quanto stai dicendo. E da qui mi sorge la domanda (in realtà due non indipendenti): come fanno questi a praticare un "buddhismo" autentico? O inversamente: quanto di "settario" c'è nel Canone Pali?  ::)

SARIPUTRA
[ dolore (dukkha) ] -----> [ fede (saddha) ]----> [ gioia (pamojja ]-----> [ estasi (piti) ] ----->[ serenità (passaddhi ) ] -----> [ felicità (sukha) ] -----> [ Samadhi ] -----> [ retta conoscenza ] ----->[ avversione (nibidda) ] ----->[ distacco (viraga) ]------>[ liberazione (vimutti) ] -----> [ conoscenza dell'estinzione (khaye nana) ].
APEIRON
Un po' di commenti. Ritengo molto interssante che è proprio "dukkha" il primo anello di questa catena (che tra l'altro ha 12 elementi, come l'altra che ci condanna a "declino e morte"  :o ): come dire che ci vuole un certo grado di dukkha per veramente praticare il buddhismo. Il secondo poi è "saddha"... ovvero quando ormai sei messo male l'unica cosa che puoi fare è "ancorarti" al "rifugio". Poi è interessante che c'è una fase in cui "si sta bene" (fino al "samadhi")... ma poi c'è una fase di "avversione" (traduzione errata?) subito prima della "liberazione" e della "conoscenza dell'estinzione" (conoscenza di che?). Comunque mi chiedo se questa catena valga anche in altri contesti ::)

SARIPUTRA
Il Buddhismo riconosce, in linea di massima, tre grandi fini:
 a) una migliore rinascita.
b) libertà dalla rinascita.
c) la felicità in questa vita.
Nell'Abhid. il Buddha afferma: " Io sono uno di quelli che vivono felici nel mondo" (ye ca pana loke sukham senti aham tesam annataro ti).
I punti a e bnon sono compatibili tra loro. Il c è compatibile sia con il primo che con il secondo.
Il fine 'a' è alla portata del laico buddhista che segue i cinque precetti e coltiva benevolenza e compassione verso ogni essere senziente.
il fine 'b' è specificamente l'obiettivo del monaco buddhista ( bhikkhu ) ma non è negato alle possibilità del praticante laico.
Il fine 'c' è realizzabile da ogni praticante buddhista, laico o monaco che sia.
APEIRON
E qui secondo me c'è qualcosa di molto curioso. Anzitutto il fatto che la migliore rinascita è visto come qualcosa di "rispettabile" e questo secondo me contrasta l'interpretazione per cui il Buddhismo significa "tutto fa schifo, meglio svincolarsi anche se ciò significa il Nulla". Riguardo al "c"... ecco credo che questo punto sia per così dire ciò che attrae al buddhismo molte persone: i risultati sono in questa vita, quindi tutti possono usare la saggezza buddhista per questo motivo. Il "b"... Sommum Bonum: bhavanirodha ("cessazione dell'esistenza" ovviamente tutto dipende da cosa significa "esistenza"  :( )


Abbiamo un duplice sistema di valori, che si ricollega a tre tipi fondamentali di 'bisogni':
1) bisogni nocivi ( akusala) che non conducono a nessuno dei punti a-b-c- sopra descritti.
2) bisogni salutari ( kusala) che conducono ad una migliore rinascita ed almeno ad un certo grado di felicità in questa vita.
3) libertà dai bisogni, che conduce alla libertà dalla rinascita e alla felicità compiuta in questa vita.

SARIPUTRA
La rinascita è un problema, non è cosa da augurarsi, per il buddhista. Ma se proprio dobbiamo rinascere è meglio un buona rinascita piuttosto che una pessima...e fin qua tutti si dicono d'accordo.
Il problema più importante , agli occhi del Buddha, riguardava i motivi che spingono alle azioni e ai pensieri nocivi. Egli riteneva che, il potersene liberare,  era di per sè una motivazione per seguire la moralità ( sila) e creare così i presupposti per la realizzazione dei punti a-b-c.
Per il Buddhismo i fattori motivazionali dell'azione non sono innati né ereditati, quanto secondari, condizionati dalla percezione sensoriale.
Se ci si libera da questi motivi, apparirà "qualcosa" di simile ad una 'purezza' originaria della mente ( citta ): "Questa citta era luminosa ma venne corrotta da macchie provenienti dall'esterno" (Ab. I 10).

Il Buddhismo, generalmente, usa una terminologia negativa che però ha un valore emotivo positivo, così come si presenta nella letteratura buddhista.

Il Buddhismo delle origini era un metodo pratico, non una scienza e nemmeno una filosofia, pertanto è naturale che l'unica classificazione realistica  del Sentiero risulti basata sui risultati dei bisogni.

Oltre alla classificazione in risultati buoni e risultati cattivi troviamo due ulteriori distinzioni:
-distinzione in relazione ai gradi di coscienza.
-distinzione in relazione ai gradi di pianificazione e premeditazione impliciti.

Se un essere immerso nei pensieri mondani vi chiede ( a voi aspiranti occidentali al buddhismo che avete letto fin qui e vi siete ormai convertiti... ) "Cos'è il Buddhismo, o fuori di testa?"
Voi rispondete semplicemente: "Nulla a cui aggrapparsi".

APEIRON
Quanto puntualizzi qua è molto interessante: noi occidentali che vediamo il buddhismo "da fuori" ci concentriamo immediatamente sul suo "Summum Bonum". Però come ben dici qui in realtà il "primo nemico" del buddhismo sono le azioni nocive e quindi lo sviluppo di sila. Ergo sila in sostanza è quella pratica per cui si "prepara" la mente per riuscire a liberarsi. Noi commentatori occidentali ce ne dimentichiamo e pensiamo che sia il "nirvana" il primo "obbiettivo": invece no, è sila. Si parte da lì, si comincia a "tirar fuori" la "luminosità", dopo si comincia con la meditazione ecc.
Il problema è che il mondo del 2018 (passa il tempo  :(  ormai è dal 2015 che mi informo sul buddhismo, sono passati tre anni e continuo a girare attorno  ;D ) è ben diverso dal mondo di quei tempi... e questo è un problema perchè riuscire a "tradurre" il buddhismo delle origini "in questo mondo" è qualcosa di strano  :(

Riguardo alla definizione "nulla a cui aggrapparsi"... beh in fin dei conti è un "motivo" ricorrente in molte tradizioni e filosofie. La "promessa" è che quando non ci si aggrappa a nulla, paradossalmente si ha il "massimo". La positività in fin dei conti è molto chiara in quasi tutte le tradizioni, nel buddhismo per qualche motivo si mette la "a" privativa ovunque: asankhata, amata (non-condizionato, non-morte ecc). Questo ahimé crea ambiguità.

Riguardo all'Abhidhamma... Ho letto da qualche parte che al posto di nirvana si usa "asankhata-dhatu", ovvero "elemento non-condizionato". E nuovamente si dice che non è questo, non è quello, non ha quelle caratteristiche ecc. Tutto molto "apofatico"  ;)  cosa si nasconde dietro a queste negazioni?

Per alcuni, come molto probabilmente per i Sautrantika, niente. Il nirvana è "la cessazione".

Per gli abhidharma (non solo theravada): una volta capita l'insostanzialità dell'esistenza condizionata si "prende conoscenza" dell'"asankhata dhatu", che è qualcosa che "esiste". Di certo non è la "mera assenza" dei cinque aggregati. Per l'abhidhamma theravada l'universo è composto da 4 elementi (ho letto da qualche parte): citta (mennte), cetasika (stati mentali), rupa (materia) e "asankhata dhatu" (o nirvana). I primi due sono "mente", il terzo è materia e l'ultimo non è materia e nemmeno "mente". Ad ogni modo in queste scuole è riconosciuto come un "qualcosa che esiste, un incondizionato"  :)

Infine il Mahayana... Qui si parla di vacuità. Questo è vuoto, quello è vuoto, tutto è vuoto ecc.  Ma "vacuità" significa potenzialità? Mi spiego: in una stanza vuota posso muovermi e posso vivere! Ovvero la vacuità è "pura potenzialità"? Se "la vacuità è materia, la materia è vacuità" (Sutra del Cuore), questo significa che il vuoto è la potenzialità per cui può esistere la forma? Anche perchè non è molto diverso dai Sautrantika, altrimenti. Se sparisce tutta l'esistenza condizionata non rimane nulla  ;)  e sappiamo che "sabbe sankhara anicca e dukkha" (tutta l'esistenza condizionata è impermanente e dolorosa). Ma questo come fa a non essere nichilismo?  ::)  vabbeh ormai è da anni che ci penso e non mi ha mai convinto veramente. Credo che sia una causa persa... o che sono una causa persa  ;D
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Apeiron

Per chi è attratto dal concetto di "vacuità" ma è allo stesso tempo respinto da tale concetto (come me) ritengo che sia interessante considerare questa cosa.

Nella Repubblica di Platone, Socrate dice che "La Forma de Bene" è la causa ontologica di tutto ciò che è conoscibile: ciò pone tale "Forma" oltre ogni cosa. Certamente sia in occidente che in oriente spesso l'Assoluto è stato posto oltre ciò che "è" e ciò "non è" (almeno in qualche senso della parola "essere").  In fin dei conti l'idea è che la causa contenga "in potenza" l'effetto - e che quindi l'effetto in qualche modo "pre-esista" nella causa: senza la causa l'effetto non esiste. Per esempio: il fuoco può accendersi dove è presente l'ossigeno. Quando questo viene meno viene meno la possibilità dell'accensione del fuoco: il fuoco cioè esiste come possibilità. Chiaramente tutto ciò che esiste è "possibile": se per esempio la gravità funzionasse in modo diverso pianeti, stelle, galassie ecc non potrebbero esistere. Il ragionamento dunque che Platone (e molti altri filosofi, in realtà spesso vicini all'eresia dell'ortodossia che è in voga in un dato momento storico  ;D ) fa è il seguente: tutto ciò che "accade" se accade è anzitutto "possibile", ovvero il "programma" dell'universo ne permette l'esistenza! Ergo anche la distinzione potenza-atto di Aristotele: la pianta "pre-esiste" nel seme come "potenzialità". Il nostro stesso corpo "pre-esiste" nella materia come possibilità. L'attualizzazione però dipende da un certo numero di cause, senza le quali l'esistenza non avviene.

Quest'ultima parte del discorso è ciò che accomuna tutte le scuole buddhiste, in fin dei conti nel documento ecumenico buddhista citato da Sariputra:
"Accettiamo la legge universale di causa ed effetto insegnata nelpaticcasamuppada (origine interdipendente o genesi condizionata) e, in accordo con questo, affermiamo che tutto è relativo, interdipendente e interrelato e che niente nell'universo è assoluto, permanente e duraturo."
Tutto ciò che esiste grazie a determinate condizioni (o cause) è impermanente, condizionato e quindi in ultima analisi "incompleto". Questa è una verità che è in fin dei conti accettata da molte filosofie che ho citato sopra: ogni "cosa" in fin dei conti per esistere e non meramente essere possibile necessita di condizioni, tolte le quali "non esiste". La differenza del buddhismo è che secondo questa "filosofia" tutto ciò che "partecipa" a questa "legge universale di causa effetto" non ha l'assoluta priorità ontologica, ovvero non esiste alcuna "Causa Prima" in alcun senso di questa espressione. Qui si discosta pesantemente dal pensiero di Platone, Daodejing, delle Upanishads, di alcuni mistici cristiani ecc
Tuttavia come in questo passo dell'Itivukkata https://suttacentral.net/it/iti43:
"Questo è stato detto dal Beato, è stato detto dall'Arahant, e così ho sentito: "Vi è, monaci, un non-nato—non-divenuto—non-creato—non-formato. Se non ci fosse il non-nato—non-divenuto—non-creato—non-formato, non ci sarebbe alcuna conoscenza della liberazione da ciò che è nato—divenuto—creato—formato. Ma poiché vi è un non-nato—non-divenuto—non-creato—non-formato, vi è la conoscenza della liberazione da ciò che è nato—divenuto—creato—formato."... L'unica salvezza è calma, permanente oltre il comune ragionare, non-nata, non-prodotta, priva di sofferenza, senza macchia, la cessazione di tutte le sofferenze,"

E sempre nel documento ecumenico:
"Seguendo l'insegnamento del Buddha, riteniamo che tutte le cose condizionate (sankhara) siano impermanenti (anicca) e imperfette, e pertanto insoddisfacenti (dukkha) e che tutte le cose condizionate e non condizionate non abbiano un sé (anatta)."

Ma cosa sarà mai questo "incondizionato"?  :)  Sicuramente non un "primum ontologico", un Sole del Mondo che è causa (in qualche senso della parola) di tutto altrimenti sarebbe la stessa cosa in fin dei conti di Brahman, Dao ecc Ma cos'è?

Risposta breve e secca (sautrantika): la permanente cessazione della sofferenza. Ovvero la permanente cessazione dell'insorgere di fenomeni impermanenti prodotti da cause e condizioni.

Risposta alternativa (classica): un "qualcosa" che è fuori dall'universo (d'altronde è nell'"universo" che non si trova niente di permanente come afferma il documento ecumenico).


Altra risposta: è la "vacuità" (mahayana). La vera natura di tutte le cose: ovvero il non essere "cose". E nemmeno il "non essere cose" è una cosa. Come pensare questo? Una immagine che mi sono fatto io è la seguente: pensiamo ad esempio al cielo. Se ci sono le nuvole sembra che che ci siano "cose solide". Tuttavia a ben guardarle non sono "cose" (a differenza di ciò che dicono Platone &co). Nemmeno il cielo è una cosa. Ma è proprio grazie al fatto che "non sono cose solide" che anche nelle giornate nuvolose si ha comunque un po' di luce. Quindi la vacuità è anche "apertura", "luminosità", "trasparenza". "essere senza confini" ecc. Dire che l'incondizionato è qualcosa è sbagliato. Semplicemente la liberazione è questa "apertura". Ma che ne è di Platone & co?
In sostanza hanno "reificato" tutto, ovvero hanno "reso reali" dei concetti astratti. Certamente convenzionalmente ci sono rocce, esseri ecc ma a ben guardare (dicono i buddhisti) non ci sono rocce, esseri ecc a livello ultimo. E quindi non c'è bisogno di una "causa prima". In un certo senso paradossalmente mentre Platone &co dicevano che l'assoluto è "oltre l'esistenza e la non-esistenza" la vacuità dice: tutto, ogni cosa, in un certo senso è oltre esistenza e non-esistenza. In sostanza l'errore di Platone &co è stato confondere l'ontologia con l'epistemologia.
Abbiamo così liberato la mente dai dubbi e dalle perplessità? Forse  ;D
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

Prima di fare alcune considerazioni sulle tue domande, vorrei sottolineare come , in questo topic sul Buddhismo, oltre a sviluppare e approfondire il significato di parte di questa complessa e antica dottrina, siamo riusciti a presentare pure i dubbi,  le apparenti incongruenze, le difficoltà all'approccio date da un sistema culturale e filosofico profondamente diverso dal nostro, nel quale viviamo e siamo cresciuti; oltre alle difficoltà interpretative dovute alla traduzione di termini che non hanno un corrispettivo esatto nei nostri vocabolari. Questo trovo sia interessante per coloro che, magari, leggeranno o rileggeranno questi post che, almeno personalmente, propongo senza intenti missionari o di proselitismo.Probabilmente restano più utili a chi li scrive che non a chi li legge, visto che, del Buddhismo e sul Buddhismo, nel web si può trovare un'incredibile vastità di informazioni, impossibile solo da immaginare quand'ero giovane e mi avvicinavo con curiosità all'argomento. 
 
cit.Apeiron:
Tornando seri credo che già se si seguissero solo questi precetti, anche con la dovuta moderazione (mi riferisco alle sostanze che alterano la lucidità mentale   ) il mondo sarebbe veramente un posto migliore senza aggiungerci gli altri... Interessante! Ma ahimé l'uomo è "peccaminoso"  

E' così. Si potrebbe definire buddhisticamente, questa incapacità di seguire ciò che è salutare, come la "seduzione prodotta da ciò che è nocivo". A causa di questa "seduzione" restiamo incatenati al divenire.
Comprendiamo che sarebbe meglio coltivare ciò che è salutare, ma finiamo spesso per fare ciò che è nocivo.
Il Buddha ha indicato in avidya (ignoranza) e di conseguenza nei kilesa ( principalmente brama, odio e illusione) la causa del nostro 'precipitare' continuamente in ciò che è nocivo,,, 
Se "brama, odio e illusione" sono le radici di ciò che è nocivo, quali sono le radici di ciò che è salutare, per il buddhista?
-assenza di brama è salutare
-assenza di odio è salutare
-assenza d'illusione è salutare
 Si continua a presentare ciò che è positivo con una terminologia che è di negazione. Questo ricorre continuamente nei testi ed è una caratteristica tipica del Buddhismo, che a noi occidentali suona forse 'fastidiosa', visto che siamo  gente che tende ad 'affermare'. Ma ovviamente ha pure il suo fascino... ;) e  permette di evitare di cadere in definizioni  forse troppo circoscritte e limitative, date dal linguaggio...
Così:

cit.Apeiron:
Riguardo all'Abhidhamma... Ho letto da qualche parte che al posto di nirvana si usa "asankhata-dhatu", ovvero "elemento non-condizionato". E nuovamente si dice che non è questo, non è quello, non ha quelle caratteristiche ecc. Tutto molto "apofatico"    cosa si nasconde dietro a queste negazioni?

Noi naturalmente vorremmo una chiara definizione e affermazione di cos'è questo stato e invece...si continua per negazioni:
L'elemento detto Nibbana è:
-estinzione della sofferenza
-assenza di ciò che è condizionato.
-estinzione del ciclo di nascita e morte.
-non-nato, non-divenuto, non-composto, ecc.
-cessazione della sofferenza.

Buddha Gotama è perfettamente consapevole dei pericoli di qualunque affermazione sull'elemento  detto Nibbana/Nirvana. Qual'è un pericolo? Nel momento che lo si definisce in un concetto , immediatamente la mente lo pone 'esterno' ad essa. Una nuova cosa da investigare. Diventa un condizionamento, un nuovo kilesa.  Siddhartha vuole indicare che il Nibbana non è un nuovo concetto da aggiungere alla propria collezione. Non si 'studia' il Nibbana, si realizza ( è più simile alla bastonata che alla rflessione su cos'è una bastonata... :) ). E' uno stato di liberazione esistenziale. Il 'cibo' va gustato, ecc.
E qui ritorna il problema della moralità (sila)...

cit.Apeiron:
Quanto puntualizzi qua è molto interessante: noi occidentali che vediamo il buddhismo "da fuori" ci concentriamo immediatamente sul suo "Summum Bonum". Però come ben dici qui in realtà il "primo nemico" del buddhismo sono le azioni nocive e quindi lo sviluppo di sila. Ergo sila in sostanza è quella pratica per cui si "prepara" la mente per riuscire a liberarsi. Noi commentatori occidentali ce ne dimentichiamo e pensiamo che sia il "nirvana" il primo "obbiettivo": invece no, è sila. Si parte da lì, si comincia a "tirar fuori" la "luminosità", dopo si comincia con la meditazione ecc. 
Il problema è che il mondo del 2018 (passa il tempo    ormai è dal 2015 che mi informo sul buddhismo, sono passati tre anni e continuo a girare attorno   ) è ben diverso dal mondo di quei tempi... e questo è un problema perchè riuscire a "tradurre" il buddhismo delle origini "in questo mondo" è qualcosa di strano 


Il fondamento della pratica è la moralità. Senza moralità non si ha meditazione fruttuosa. Senza meditazione fruttuosa non si ha saggezza (prajna) e quindi possibilità reale di liberazione dalla sofferenza e dal ciclo di nascita-morte. Perchè abbiamo visto e vediamo 'santoni' truffaldini, guru interessati vari,monaci buddhisti improponibili, occidentali che si buttano nella meditazione alternandola a sesso e droga senza cogliere alcuin frutto dalla pratica meditativa? Perchè non hanno alcuna intenzione di rinunciare a ciò che è nocivo. La moralità è un 'peso'. Si preferisce evitare questo punto...In nome della 'libertà dalla moralità' ci si incatena sempre più ai kilesa...
Da questo punto di vista la strada del Buddhismo autentico e quella del mondo del 2018 non possono essere più divergenti, pertanto...sì, suona strano ai nostri orecchi.
Attenzione però a intendere la moralità/virtù come qualcosa che ci viene 'imposto' dall'esterno, come siamo abituati a pensare avendo una formazione cristiana ( o abramitica nel complesso).
La ricerca dell'autentica moralità è lo stato naturale, per il Buddhismo, di una mente non irretita nei kilesa ( condizionamenti). Pertanto ogni agire libero dai kilesa è un agire 'virtuoso':
-l'assenza di brama è una condizione di generosità ( dana). Si ammetteranno i difetti presenti in un oggetto gradevole.
-l'assenza di odio è una condizione di virtù (sila). Si ammetteranno le virtù presenti in un oggetto sgradevole.
-l'assenza d'illusione è una condizione di visione non deformata da brama e odio della realtà. Si ammetterà la realtà dei fatti e si agirà di conseguenza.
Ovviamente sono solo esempi. Il discorso è vastissimo...
Infine:

cit.Apeiron:
Infine il Mahayana... Qui si parla di vacuità. Questo è vuoto, quello è vuoto, tutto è vuoto ecc.  Ma "vacuità" significa potenzialità? Mi spiego: in una stanza vuota posso muovermi e posso vivere! Ovvero la vacuità è "pura potenzialità"? Se "la vacuità è materia, la materia è vacuità" (Sutra del Cuore), questo significa che il vuoto è la potenzialità per cui può esistere la forma? Anche perchè non è molto diverso dai Sautrantika, altrimenti. Se sparisce tutta l'esistenza condizionata non rimane nulla    e sappiamo che "sabbe sankhara anicca e dukkha" (tutta l'esistenza condizionata è impermanente e dolorosa). Ma questo come fa a non essere nichilismo?    vabbeh ormai è da anni che ci penso e non mi ha mai convinto veramente. Credo che sia una causa persa... o che sono una causa persa  

Più che una causa persa sei una causa non a tiro del bastone nodoso che ho appoggiato sull'uscio...sai che grandinata!!  ;D  ;D  ;D

P.S. Ho letto adesso il tuo ultimo post. Risponderò con calma...vedo che giri intorno al Nirvana come un leone attorno alla gazzella. Ma la gazzella è veloce e il leone è...'appesantito'  ;D
Sul concetto filosofico di 'appesantito' lascio a te la riflessione,,,
 Scherzo ovviamente e, a proposito di scherzi, una barzelletta buddhista:


Che cosa accade a uno studente buddhista completamente assorbito dal computer con cui sta lavorando?
Entra nel Nerdvana !  ;D
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

Grazie della sempre ottima risposta, ci "mediterò" sopra  ;) risponderò con molta calma nei prossimi giorni! Lasciami fare due commenti:



SARIPUTRA


Prima di fare alcune considerazioni sulle tue domande, vorrei sottolineare come , in questo topic sul Buddhismo, oltre a sviluppare e approfondire il significato di parte di questa complessa e antica dottrina, siamo riusciti a presentare pure i dubbi,  le apparenti incongruenze, le difficoltà all'approccio date da un sistema culturale e filosofico profondamente diverso dal nostro, nel quale viviamo e siamo cresciuti; oltre alle difficoltà interpretative dovute alla traduzione di termini che non hanno un corrispettivo esatto nei nostri vocabolari. Questo trovo sia interessante per coloro che, magari, leggeranno o rileggeranno questi post che, almeno personalmente, propongo senza intenti missionari o di proselitismo.Probabilmente restano più utili a chi li scrive che non a chi li legge, visto che, del Buddhismo e sul Buddhismo, nel web si può trovare un'incredibile vastità di informazioni, impossibile solo da immaginare quand'ero giovane e mi avvicinavo con curiosità all'argomento.



APEIRON
Sì esatto! Lo stesso vale per me sull'intenzione: mi considero un "mero" viandante... semplicemente mi piace esplorare. Tuttavia ritengo che questo tipo di discussione possa andar bene sia per chi è veramente interessato al buddhismo sia per chi ne vuole avere una conoscenza "superficiale": fa sempre bene ascoltare prospettive diverse sulla realtà, proprio per evitare il proselitismo di cui parli. Riguardo all'utilità per chi scrive: certamente, ritengo la scrittura un'aiuto per "riordinare" la mente e devo dire che il Forum è un ambiente che aiuta molto. Ma ritengo che anche chi legge può ricevere utilità: l'argomento in fin dei conti è molto complesso ed è facile perdersi nei "meandri" della rete. Se si cercano informazioni sul "nirvana" (per esempio) si trova un sacco di informazioni apparentemente contraddittorie dovute al diverso uso delle parole stesse. Banalmente essere consapevoli di ciò aiuta secondo me  ;) ovviamente il sapere che c'erano 18 scuole buddhiste nei primi tempi e sapere le dottrine di ciascune non aiuta un granché a capire l'essenza di questa "religione" se non si pratica. Tuttavia aiuta ad avere una "prospettiva" d'insieme, a limitare la tendenza al "fondamentalismo" ecc. Direi che anche l'aver scritto ben 4 (!) interpretazioni del "nirvana" differenti, ad esempio, sia utile. Il rischio ovviamente è restare sulla superficie e vagare a vuoto ... oltre che un sovraccarico di informazioni completamente inutile (l'obesità intellettuale di cui parlavi). Ci vorrebbe una via di mezzo, credo. 





SARIPUTRA

Più che una causa persa sei una causa non a tiro del bastone nodoso che ho appoggiato sull'uscio...sai che grandinata!!     

P.S. Ho letto adesso il tuo ultimo post. Risponderò con calma...vedo che giri intorno al Nirvana come un leone attorno alla gazzella. Ma la gazzella è veloce e il leone è...'appesantito' 
Sul concetto filosofico di 'appesantito' lascio a te la riflessione,,,
 Scherzo ovviamente e, a proposito di scherzi, una barzelletta buddhista:


Che cosa accade a uno studente buddhista completamente assorbito dal computer con cui sta lavorando?
Entra nel Nerdvana ! 


APEIRON
In quel secondo messaggio effettivamente ho fatto un esercizio di ordine: semplicemente ho scritto una sorta di "sommario" (in esso non c'è nulla di nuovo) di quanto ho capito sul "nirvana" in questi mesi (manca l'interpretazione "mentalistica" a dire il vero ma è un "misto" tra la seconda e la terza che ho scritto...). Riguardo al mio rapporto col nirvana: l'analogia è molto buona... anzi a dire il vero questo "girare attorno" è anche rischioso: diventa quasi una "droga". Si prende gusto a farlo e allo stesso tempo è una cosa molto fastidiosa, magari ad un certo punto questo processo di "girare in tondo" cessa da sé una volta che mi ha completamente stufato ;D ... ma perchè lo faccio? è solo una mancanza di "fede"  :-[ motivo per cui bisogna "praticare".



Riguardo al Nerdvana (battuta bellissima ;) ) purtroppo hai ragione. Sto lavorando alla tesi ed effettivamente sto 8-12 ore al PC al giorno... anche in questo senso ragionare ad esempio sul Dhamma è qualcosa che aiuta... ma come diceva un mio amico una volta: si vive con i piedi e non con la testa ::)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)