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Buddhismo

Aperto da acquario69, 16 Febbraio 2017, 04:59:05 AM

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Carlo Pierini

Citazione di: Sariputra il 24 Settembre 2017, 09:33:32 AM


L'esperienza della vacuità ( di esistenza intrinseca dei fenomeni, ma anche della brama, dell'odio e dell'illusione) non è un rifiuto, una fuga, ma punta verso uno stato di Medesimalità assoluta, di vuoto assoluto che è assoluta pienezza. Essa parte dal presente assoluto che è esperienza pura, una esperienza in cui non vi è differenziazione e tuttavia non è uno stato di puro nulla. Nell'esperienza pura non vi è distinzione tra "dovrebbe" ed "è", tra forma e contenuto, e quindi non vi è in essa giudizio.

Capisco cosa vuoi dire perché nelle esperienze che ho tentato di sintetizzare nella sezione "Tematiche spirituali" ho vissuto anch'io, seppure per brevi momenti (ma estremamente illuminanti), degli stati di coscienza riconducibili alla tua descrizione. E tra quelle esperienze ce n'è una (una delle prime che ebbi all'inizio della mia ricerca) di cui non ho parlato e che riguarda proprio il Buddha. Se non mi crederai, o se la riterrai solo una mia fantasia estemporanea per apparire un "mistico", avrai tutta la mia solidarietà, ma mi azzardo lo stesso ad accennartela perché per me fu una delle prime "piccole grandi" rivelazioni, il primo "piccolo grande" segno che la nostra esistenza non si esaurisce in ciò che vediamo e che sperimentiamo ordinariamente. Se dovessi darle un titolo, sarebbe: "Il nostro Universo è un Buddha in meditazione". Ebbi questa "visione" fulminea - come anche le altre - in un momento di studio e di grande concentrazione riflessiva; salto la primissima parte della visione perché mi richiederebbe troppo spazio di scrittura, sebbene dimostrerebbe che non si trattò di una semplice fantasia, ma di una vera e propria esperienza. Nella seconda parte di essa mi ritrovo a contemplare un cielo notturno meraviglioso e costellato di stelle "viventi"; poi, all'improvviso, sono proiettato a velocità inusitata verso di esso fino a trovarmi ...fuori dell'Universo, in una oscurità assoluta ma pregna di vita, di beatitudine, di pienezza e di pace perfetta (il "non giudizio" di cui parlavi tu). Poi, alle mie spalle, avverto una presenza "magica"; mi volto e, con grande stupore, vedo la figura maestosa, immensa, del nostro Universo: la sua forma è quella, meravigliosa e regale, di uno stupendo Buddha in meditazione illuminato lateralmente da una luce divina (la cui sorgente era "fuori campo"). Qualcosa o qualcuno mi dice che io ero uscito da quell'Universo-Buddha attraverso il Suo "terzo occhio". ...E a questo punto terminò la visione e tornai in me.

Per il momento termino qui, perché devo uscire. Commenterò stasera il resto del tuo post.



L'angolo musicale:
GRUPPO ITALIANO: Tropicana
https://youtu.be/_a8KJUsDrbw

Apeiron

#91
Sari credo che il "mio vero sé" che trovo tra alcuni vedantini e alcuni daoisti (almeno a quanto mi pare di leggere nel Laozi e Zhuangzi) sia praticamente identico a quello che tu chiami "regno di consapevolezza non egoistica"  ;D concedo però che in ultima analisi da questo punto di vista il buddismo è mille volte più coerente delle tradizioni "affini" proprio perchè si fonda sulla dottrina dell'anatta/anatman/non-sé. Perchè se io chiamo "sé" ciò che rimane dopo aver tolto le "impurità" è una mia scelta arbitraria. Posso chiamare quel "regno" anche "sedia", "cavallo", "ragno" o "realtà ultima" ecc, la sostanza non cambia  ;D mi immagino che un advaitin (o qualcosa di simile) nel suo percorso spirituale del Neti-Neti faccia così: "queste forme sono impermanenti, quindi non sono il Sé; queste sensazioni sono impermanenti, quindi non sono il Sé; queste percezioni sono impermanenti, quindi non sono il Sé; queste fabbricazioni mentali sono impermanenti, quindi non sono il Sé; questa coscienza è impermanente, quindi non è il Sé". A livello del non-sé dei cinque aggregati ritengo che non ci sia davvero differenza tra i due approcci. Quello che cambia è questo.


Questo è quello che penso: ai tempi del Buddha sia in India che in Cina (ma anche altrove) andava di moda la ricerca dell'Immortalità, ossia andava di moda cercare una Via per la Liberazione da sofferenza, vecchiaia, avversioni, ignoranza (più precisamente direi "delirio")... E andava di moda l'idea che la Liberazione era ottenuta tramite un "Risveglio" in cui si capiva la "vera natura di sé stessi e della realtà". Così si sono formati in India i Sramana, la tradizione di asceti che appunto cercava la Realizzazione. E da questi asceti (o simili) sono nati il giainismo, molta filosofia indù e il buddismo. Ora quello che è bene notare è che in tutti questi casi la "salvezza" dalla Morte (nel buddismo Mara https://en.wikipedia.org/wiki/Mara_(demon) descrizione in inglese) arrivava grazie a questo "lampo", questa "chiara realizzazione" che toglieva tutto le catene del "delirio". Ottenuta questa Realizzazione quello che si arrivava ad avere era una Mente Libera. Ma mentre nel caso delle altre tradizioni i "presunti realizzati" parlavano di un Io (ossia quello che interpreto io è che c'è ancora un senso di "io-mio"), il nostro Buddha (=Risvegliato) ha ritenuto che questa Realtà, questa "Vera Natura" era "senza-io", ossia senza OGNI senso di "Io/Mio" e il risultato era che si aveva una Perfezione oltre che conoscitiva della Realtà Ultima anche etica e di compassione (invito a leggere https://www.piandeiciliegi.it/it/testi-e-documenti/52-metta-sutta). Buddha ovviamente - stando ovviamente al buddismo - era un "Risvegliato" perchè ha conosciuto questa Realtà e quindi anche la Verità (Dhamma). Ma la "specialità" del Buddha è che oltre ad essere riuscito a trovare la "Via" giusta è riuscito anche nel suo intento di insegnare la Via/Cammino/Sentiero ad altri esseri senzienti (per lo meno umani e deva che potevano capirlo). L'"unicità" del Buddismo è che appunto la Destinazione è quella "dimensione" dove non v'è più senso di "io" e di "mio" ossia di "distinzioni" e inoltre da questo punto di vista il Dhamma così come è tramandato oggi mi pare coerente.


Analizziamo ora ad esempio il Daoismo. Secondo Zhuangzi (parafraso la citazione di qualche post fa) "gli antichi non conoscevano distinzioni tra le cose", secondo Laozi bisognava essere come il Supremo Dao (Via) ossia "indistinto, senza desideri, semplice...". Ma vi è un'incoerenza se vogliamo. Infatti mentre il buddismo rigetta ogni distinzione (ogni "io/mio") parte della filosofia daoista e della filosofia vedanta invece sembra promettere una "immortalità" personale, ossia intesa come un "vero io" che sopravvive con ancora il senso di "io e mio". Ma un'analisi più precisa a mio giudizio mette in luce più analogie che differenze. In tutti e tre i casi in realtà l'io/mio viene trasceso. Questo "processo" di trascendenza ci "nasconde" dalla Morte:
"Così se ci fosse una casa con un tetto o una sala con un tetto che abbia finestre a nord, a sud o ad est. Quando il sole sorge, ed un raggio entra dalla finestra, dove si stabilisce? "
"Sul muro di ponente, signore."

"E se non c'è muro di ponente, dove si stabilisce? "

"Sul pavimento, signore."

"E se non c'è pavimento, dove si stabilisce? "

"Sull'acqua, signore."

"E se non c'è acqua, dove si stabilisce? "

"Non si stabilisce, signore."

"Allo stesso modo, dove non c'è desiderio per il nutrimento di cibo fisico, dove non c'è piacere, nessuna brama, allora la coscienza non si stabilisce e non cresce. Dove la coscienza non si stabilisce, il nome e la forma non si sviluppano. Dove il nome e la forma non si sviluppano, non c'è nessuna crescita delle predisposizioni karmiche. Dove non c'è crescita delle predisposizioni karmiche, non si genera il divenire per una nuova rinascita. Dove non si genera il divenire per una nuova rinascita, non c'è nascita , vecchiaia e morte. Quindi, vi dico, nessun dolore, afflizione o disperazione." (Atthi Raga Sutta, Samyutta Nikaya http://www.canonepali.net/sn-12-64-atthi-raga-sutta-dove-ce-avidita/)
La Morte ci trova fino a quando ci "stabiliamo" su qualcosa, fino a quando decretiamo che qualcosa è "mio" (o "io"). Ora: il buddismo ci sta dicendo anche che metafisicamente non c'è una realtà "eterna"? A mio giudizio NO. Perchè? Anzitutto c'è la "Verità Eterna" del Dhamma che usa il concetto di "eternità" per dire che "nulla è eterno"  ;D e inoltre alla domanda se "il cosmo è eterno" il Buddha non rispose né sì né no perchè il Dhamma "vale" in entrambi i casi. L'importante è arrivare alla Mente Libera, che come il raggio di luce "non si stabilisce".
Ma è davvero così diverso questo insegnamento da quello affine di certa filosofia indù e certa filosofia cinese? A mio giudizio no. Ma ciò non toglie che sulla descrizione del buddismo mi pare che il Sari sia corretto  ;)



Per Carlo. La differenza con la "bhakti", il sentiero "devozionale", è che la relazione con l'Assoluto in questi casi non è più una reazione tra due persone distinte. Quando una persona è devota ad un Dio Personale c'è una devozione tra l'"io" e il "Tu", l'"Altro". Volendo per certi versi la bhakti è anche più ricca visto che sia chi ha un Dio Impersonale, sia chi è vedantin, daoista o buddista in fin dei conti non può né inginocchiarsi a Qualcuno ma soprattuto non può ringraziare Qualcuno o servire Qualcuno (dando così se volgiamo significato alla propria vita). L'obbiettivo delle tradizioni devozionali (cristianesimo compreso) è una relazione con la Persona e quindi c'è ancora necessariamente un "io". Nelle tradizioni come il buddismo invece non si ha la fede che un Dio Personale possa salvare (ancora volendo dalla "Morte", vedi Paolo che dice: "l'ultimo nemico è la Morte"). La salvezza in questi casi è data dalla Realizzazione. Tuttavia ciò non toglie che tradizioni come il buddismo non contemplino una sorta di "storia universale" (vedi i Buddha passati e futuri che insegnano il Dhamma per salvare gli esseri senzienti), realtà "oltre i nostri sensi", entità infallibili (Arhat), Verità Assolute ecc. Una prospettiva "razionalistica" anche se può comprendere a livello concettuale la realtà dell'anatta non riuscirà mai ad essere come il buddismo proprio perchè manca tutta questa "storia" in più... Ritengo che il Pierinismo sia più vicino alla "bhakti"  ;)


P.S.

Per quanto riguarda le esperienze... anche io a volte mi sono sentito come se il "mio io si dissolvesse" o come se "tutto è collegato". Ma è anche vero che io sono strano e ho anche seriamente avuto la sensazione che "viviamo un po' come in un Libro che si sta scrivendo e ognuno di noi è un personaggio che può dare un contributo nella Storia" o "un po' come un nodo (non apparente come nel buddismo) nella Rete di relazioni della realtà" ecc. Ancora quindi non ho deciso quale "verità" fa per me: se per me è meglio un approccio "bhakti", simil-buddista, simil-vedantin ecc. Tutti mi sembrano che abbiano il loro valore. Tra le mie esperienze che ho citato solo la prima è geniunamente "compatibile con il (la dottrina del) buddismo". Il resto NO.

P.S.P.S Sari aggiungo due cosette. Primo concordo col maestro di meditazione che hai citato (e dice cose attribuite al Buddha stesso e anche al suo braccio destro, il Generale del Dhamma Sari ;) ). Secondo: il problema dell'epicureismo è che il buddismo è molto più ricco, non è materialista, il suo scopo va oltre la sola "ataraxia" perchè "promette" anche la perfezione etica oltre che quella del risveglio (e della conoscenza del Dhamma). Motivo per cui ritengo paradossalmente il buddismo più simile a Platone rispetto all'epicureismo (tranne ovviamente che sull'esistenza dell'anima)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

#92
Una  svolta , nel percorso di rendere unitarie le varie "anime" e tradizioni/scuole buddhiste si è avuta nel 1967 in un importante concilio tenutosi a Colombo nello Sri Lanka, dove si è trovata un'intesa su quelli che sono i punti fondamentali ai quali sia i Thera meridionali che il Mahayana si attengono. Riporto il testo per coloro che hanno seguito la discussione  tenuta fin'ora e che possono forse trarre un'impressione di "confusione" in merito all'interpretazione della dottrina di questa particolare religione. Questa è l'interpretazione ufficiale approvata all'unanimità:

Quelle che seguono sono le credenze di base del buddismo espresse in una formula unitaria Mahayana-Theravada presentata al primo congresso del World Buddhist Sangha Council nel gennaio 1967 dal Ven. Walpola Rahula e approvata all'unanimità. Tratto da Paramita n. 50.

Al primo Congresso Internazionale del World Buddhist Sangha Council tenutosi a Colombo, Sri Lanka, nel gennaio 1967, su richiesta del fondatore segretario generale, il compianto ven. Pandita Pimbure Sorata Thera, ho presentato una formula concisa per l'unificazione del Mahayana e del Theravada, che è stata APPROVATA ALL'UNANIMITÀ.


La formula è la seguente:
Qualunque sia il nostro gruppo, denominazione o sistema, in quanto buddisti, noi tutti vediamo nel Buddha il maestro che ci ha dato l'Insegnamento. Prendiamo rifugio nella tripla gemma: il Buddha, nostro maestro, il Dhamma, il suo insegnamento e il Sangha, la comunità. In altre parole, prendiamo rifugio nel maestro, nell'insegnamento e nell'insegnato.

Sia come Theravada sia come Mahayana non crediamo che il mondo sia stato creato e sia governato da un dio a suo piacimento. Seguendo l'esempio del Buddha, nostro maestro, che è l'incarnazione della grande compassione (maha-karuna) e della grande saggezza (maha-prajna), pensiamo che lo scopo della vita sia di sviluppare la compassione per tutti gli esseri, senza discriminazione, e di operare per il loro benessere, la loro felicità e la pace, sviluppando la saggezza che conduce alla realizzazione della verità ultima.

Accettiamo le quattro nobili verità insegnate dal Buddha, ovvero:

1) dukkha, il fatto che la nostra esistenza in questo mondo è una situazione difficile, impermanente, imperfetta, insoddisfacente, piena di conflitti;

2) samudaya, il fatto che questo stato è dovuto al nostro attaccamento egoico, basato su un'errata idea dell'io;

3) nirodha, il fatto che c'è comunque una possibilità di liberazione, di abbandono, di libertà da questo stato, attraverso lo sradicamento completo dell'io egoistico; e

4) magga, il fatto che tale liberazione può essere raggiunta con l'ottuplice via di mezzo, che mena alla perfezione della condotta etica (sila), della disciplina mentale (samadhi) e della saggezza (pañña).

Accettiamo la legge universale di causa ed effetto insegnata nelpaticcasamuppada (origine interdipendente o genesi condizionata) e, in accordo con questo, affermiamo che tutto è relativo, interdipendente e interrelato e che niente nell'universo è assoluto, permanente e duraturo.

Seguendo l'insegnamento del Buddha, riteniamo che tutte le cose condizionate (sankhara) siano impermanenti (anicca) e imperfette, e pertanto insoddisfacenti (dukkha) e che tutte le cose condizionate e non condizionate non abbiano un sé (anatta).

Accettiamo le 37 qualità che conducono all'Illuminazione come aspetti diversi del sentiero insegnato dal Buddha, che conduce alla liberazione, ovvero: le quattro basi della consapevolezza (satipatthana), i quattro giusti sforzi (sammappadhana), le quattro basi dei poteri yogici (iddhipada), le cinque facoltà (indriya: fede, energia, consapevolezza, concentrazione, saggezza), i cinque poteri (bala, lo stesso che le cinque facoltà sopra elencate), i sette fattori dell'illuminazione (bojjhanga), il nobile ottuplice sentiero (ariyamagga).

Ci sono tre modi per conseguire la bodhi o liberazione a seconda dell'abilità e della capacità di ciascun individuo:

1) come uno sravaka (discepolo),
2) come un pratyekabuddha (buddha individuale) e
3) come un samyaksambuddha (un buddha perfetto e compiutamente illuminato).

Accettiamo come l'atto più alto, nobile ed eroico seguire la via del bodhisattva e divenire un samyaksambuddha per salvare tutti gli esseri. Ma questi tre veicoli sono sullo stesso sentiero e non su sentieri diversi. Infatti il Sandhinirmocanasutra, un importante sutra mahayana, dice in modo chiaro e sottolinea che coloro che seguono la linea dello sravakayana (veicolo dei discepoli) o la linea del pratyekabuddbayana (veicolo dei buddha individuali) o la linea dei tathagata (mahayana) conseguono il supremo nirvana sul medesimo sentiero e che c'è un unico e solo sentiero di purificazione (visuddhimagga) e una sola e unica purificazione (visuddhi) e nessun'altra e che non ci sono sentieri diversi e purificazioni diverse e che lo sravakayana e il mahayana costituiscono l'unico veicolo, il solo yana (ekayana) e non veicoli o yana distinti e diversi.

Ammettiamo che in paesi diversi ci siano differenze rispetto ai modi di vita dei monaci buddisti, delle credenze popolari, delle pratiche, dei riti e rituali, delle cerimonie e delle abitudini.
Queste forme ed espressioni esteriori non devono però essere confuse con l'insegnamento fondamentale del Buddha.

Ven. Walpola Rahula
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

Bel post sull'"ecumenismo" Sari  ;)
leggendo però mi sono accorto di tre cose che non mi tornano, seppur minori.

La prima è questa:
"Accettiamo la legge universale di causa ed effetto insegnata nel paticcasamuppada (origine interdipendente o genesi condizionata) e, in accordo con questo, affermiamo che tutto è relativo, interdipendente e interrelato e che niente nell'universo è assoluto, permanente e duraturo."
Trovo la cosa in genere molto interessante e non a caso il Buddha se non erro arrivò ad eguagliare la Verità del paticcasamuppada con la verità del Dhamma stesso, ossia che il "cuore" della dottrina è proprio quello. L'unico "Assoluto", si potrebbe dire, è proprio la paticcasamuppada (ritengo infatti la "vacuità della vacuità" un sofismo) in quanto una volta appresa tale nozione chiaramente uno "lascia andare tutto" e ottiene la resa che è una vittoria. Questo in realtà in un certo senso era implicito con quanto dicevo nella mia "spiegazione mitologica", ossia che per "sconfiggere Mara bisogna arrendersi". Ma anche questo a mio giudizio mostra come la filosofia greca e il buddismo sia diversi: ossia un greco (e anche io) avrebbe detto che v'è una cosa non "interidpendente", ossia che "tutto è interdipendente" - chi infatti capisce fino in fondo questa verità dopotutto per così dire ha una prospettiva su una Verità Assoluta. Ma nel buddismo l'ontologia dei concetti e delle verità non è mai stata sviluppata, a differenza per esempio della filosofia vedanta (motivo per cui ritengo la filosofia greca e indù per certi versi più "ricca"). In ogni caso nuovamente non mi è chiaro la differenza tra l'affermare che "tutto è interdipendente" con l'affermare che "tutto è uno e uno è in tutto" (come tra l'altro a ragione secondo me la scuola Huayan mahayana ha espresso chiaramente https://en.wikipedia.org/wiki/Huayan), verità che per un occidentale che cerca di comprendere la "teoria" non è così diversa dalle affini scuole vedanta e daoiste (non tutte ovviamente). Ossia in sostanza che "qualcosa" (che non è un vero "qualcosa"  ;D ) di assoluto (metafisico) c'è anche nel buddismo. Ma ritengo che tutto questo mio appunto sia una noiosa riflessione semantica.
In ogni caso è ben evidente come il buddismo anche se probabilmente non è un assolutismo metafisico (perchè nulla viene proclamato come "entità sostanziale assoluta") è comunque un assolutismo per quanto concerne l'esistenza di una Verità "assoluta", ossia è un "assolutismo epistemologico"


La seconda (e più importante) è quella sull'ideale Bodhisattva. Qui invece ritengo che le differenze tra le scuole siano abbastanza grosse. Il "giuramento del Bodhisattva" se non erro è una cosa molto comune nel buddismo mahayana mentre in quello theravada non c'è. Anzi i Thera mi paiono abbastanza critici per chi crede di essere capace di "salvare il prossimo" senza essere lui stesso "(quasi) salvo". Non a caso il buddismo mahayana è molto più incline ad ammettere "bodhisattva laici" mentre quello theravada l'insegnamento è quasi sempre fatto da monaci.

La terza: non vedo nominato il trittico anicca-dukkha-anatta, nella forma delle tre caratteristiche dell'esistenza  :o  forse perchè anche per qualcun altro - oltre a me -  questo passo del Dhammapada:
277: "tutte le cose condizionate (sankhara) sono impermanenti..."
278: "tutte le cose condizionate (sankhara) di per sé insoddisfacenti..."
279: "tutte le cose (dhamma) sono prive di sé..." (condizionate e non)
risulta problematico. Ossia che quel "dhamma" è un po' ingiustificato o comunque è un non-sequitor rispetto alla patticcasamuppada? :o
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Carlo Pierini

Citazione di: Sariputra il 25 Settembre 2017, 09:52:52 AM
affermiamo che tutto è relativo... e che niente nell'universo è assoluto, permanente e duraturo.
....
 c'è un unico e solo sentiero di purificazione (visuddhimagga) e una sola e unica purificazione (visuddhi) e nessun'altra 

Se nell'universo <<niente è assoluto, permanente e duraturo>>, allora nemmeno l'insegnamento buddhista è assoluto, permanente e duraturo. Quindi potrebbe esistere più di UN sentiero di purificazione, come sostenevo io giorni fa. Oppure tutto è relativo tranne ciò che predica il buddhismo?  :)

Sariputra

@Apeiron
Penso che, per arrivare alla stesura di un testo condiviso, ogni posizione abbia dovuto ingoiare dei bei "rospi". Il fatto che sia stato approvato all'unanimità è sicuramente un bel risultato.
Dover digerire , per un seguace del Mahayana, che i tre modi della bodhi siano praticamente equiparati nella pari dignità deve esser stato piuttosto duro, come il fatto di accettare l'autorità di un testo come il Visudhimmagga, che è un testo fondamentale di Buddhaghosa e della scuola Theravada. Mentre per i thera sarà stata indigesta questa espressione: "Accettiamo come l'atto più alto, nobile ed eroico seguire la via del bodhisattva e divenire un samyaksambuddha per salvare tutti gli esseri. ". Mi sembra comunque un buon equilibrio ( o equilibrismo?... ;D ) raggiunto, che accontenta tutti.
Però pensa se il cristianesimo, nonostante tutti gli incontri e le tavole ecumeniche siano quasi sterili, arrivasse ad un testo condiviso tra cattolici, protestanti e ortodossi...almeno sui punti chiavi di quello che dovrebbe intendersi per "cristianesimo". E' ancora pura utopia...

La terza: non vedo nominato il trittico anicca-dukkha-anatta, nella forma delle tre caratteristiche dell'esistenza    

Lo trovi qua:  "Seguendo l'insegnamento del Buddha, riteniamo che tutte le cose condizionate (sankhara) siano impermanenti (anicca) e imperfette, e pertanto insoddisfacenti (dukkha) e che tutte le cose condizionate e non condizionate non abbiano un sé (anatta)."
Si può notare l'estensione del concetto di anatta/non-sé non solo ai sankhara condizionati e soggetti quindi a paticcasamuppada ma anche alle cose non condizionate. Ritengo fondamentale questa precisazione per evitare la possibilità che l'incondizionato venga concettualizzato come un' essenza o un Dio. L'elemento Nibbana è dunque "privo di un sé"...estensione della dottrina dell'anatta anche all'incondizionato ( punto molto difficile da introiettare questo, a parer mio...ma direi conseguenza logica e coerente ).

In ogni caso è ben evidente come il buddismo anche se probabilmente non è un assolutismo metafisico (perchè nulla viene proclamato come "entità sostanziale assoluta") è comunque un assolutismo per quanto concerne l'esistenza di una Verità "assoluta", ossia è un "assolutismo epistemologico"

Sono d'accordo che non si tratti di un assolutismo metafisico ed anche sul fatto che comunque propugna una forma di verità assoluta esperienziale ( il Dhamma).

P.S: Si possono trovare in rete alcune traduzioni leggermente diverse di questo testo ( come sempre purtroppo...) ma ho visto che si discostano di pochissimo. Quindi possiamo prendere la traduzione postata come sufficientemente buona...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Sariputra

Citazione di: Carlo Pierini il 25 Settembre 2017, 17:29:39 PM
Citazione di: Sariputra il 25 Settembre 2017, 09:52:52 AM
affermiamo che tutto è relativo... e che niente nell'universo è assoluto, permanente e duraturo. .... c'è un unico e solo sentiero di purificazione (visuddhimagga) e una sola e unica purificazione (visuddhi) e nessun'altra
Se nell'universo <>, allora nemmeno l'insegnamento buddhista è assoluto, permanente e duraturo. Quindi potrebbe esistere più di UN sentiero di purificazione, come sostenevo io giorni fa. Oppure tutto è relativo tranne ciò che predica il buddhismo? :)

Il buddhismo non ha in sé il concetto di "eternità" e quindi vede l'insegnamento stesso come contingente all'apparire di un buddha nel ciclo dell'esistenza. Solo la presenza e l'insegnamento di un liberato mette in moto la ruota del Dharma ( dà il primo giro ...), ruota che può continuare a girare se l'insegnamento viene trasmesso o se altri liberati appaiono nel mondo condizionato, come sparire in assenza delle condizioni adatte. Prima di Siddhartha, su questo pianeta ( su altri non lo sappiamo... ;D ) non vi era conoscenza di questa possibilità di liberazione. Adesso, dopo 2.500 anni, ne è rimasta "pochina" e sta via via scomparendo o snaturandosi in altro ( vedo tanti spinotti attaccati sulle zucche di bonzi attualmente... :( ).
E' come dire. ci può essere insegnamento senza insegnante? Ecco quindi che anche il buddhismo, in assenza de un insegnante, non è assoluto, non è permanente e purtroppo (  a gusto mio ma molti altri ne sarebbero felici...) non può durare. Ecco quindi l'importanza della trasmissione di questo insegnamento per tenerlo "vivo"... :)
Nel buddhismo, pur rivendicando per sé l'aderenza al "vero ascetismo", non c'è denigrazione degli altri sentieri purchè conducano alla liberazione...
In ogni caso si tratta di una religione e ogni forma religiosa, chi più e chi meno, chi in modo tollerante e chi in modo intollerante, è un pensiero "forte", quindi vitale, che porta all'agire, ecc.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Carlo Pierini

Citazione di: Sariputra il 23 Settembre 2017, 21:51:05 PM
Posto un contributo di Riccardo Venturini che lo spiega meglio di me:


La Realtà ultima, essendo nel buddhismo definita come Vacuità, risulta non oggettivabile, non concepibile, non raggiungibile dalla coscienza ordinaria. Non si ripeterà mai abbastanza che con Vacuità non si indica il nulla, ma la mancanza di esistenza intrinseca dei fenomeni, ossia l'aspetto relazionale e interdipendente della realtà fenomenica.

Nemmeno l'atomo, né l'energia, né i neutrini, né le leggi della Fisica, sono raggiungibili dall'esperienza diretta, eppure l'osservazione accurata e metodica del mondo (la scienza) li ha resi oggettivabili grazie alle loro manifestazioni osservabili. Questo vale anche per la Realtà ultima. La psicologia e la storia comparata dei simboli e delle idee religiose hanno scoperto, infatti, che  Essa si manifesta alla coscienza sotto forma di sogni, visioni, intuizioni, ispirazioni, ecc., in immagini simboliche riconoscibili per la loro struttura tipica, anzi, archetipica, diffuse universalmente in ogni tempo e in ogni luogo (si veda il mio topic: "Il concetto junghiano di archetipo"). Ed è lo studio di queste forme simbolico-archetipiche e delle loro proprietà ciò che trasformerà progressivamente la Realtà assoluta in un vero e proprio oggetto di conoscenza. Questa scoperta (ancora pressoché ignorata dall'intellighenzia "dormiente" delle religioni) produrrà nei decenni e nei secoli a venire una rivoluzione delle scienze dello spirito comparabile a quella che l'applicazione degli archetipi numerici ai fenomeni fisici (Galilei) ha prodotto nel campo delle scienze della natura. Come scrive Jung:

"L'ipotesi dell'esistenza di un Dio assolutamente metafisico, al di là di ogni esperienza umana, mi lascia indifferente; né io agisco su di lui, né lui su di me. Se invece so che Egli è un possente impulso nella mia anima, me ne devo interessare".    [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.59]
 
"Nel definire Dio o il Tao come un impulso dell'anima o uno stato psichico, ci si limita a compiere una asserzione su ciò che è conoscibile, e non invece su quanto è inconoscibile, intorno al quale non potremmo affermare assolutamente nulla".         [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.63]
 
"La scienza non ha mai scoperto Dio; la critica della conoscenza sostiene l'impossibilità di conoscere Dio, ma la psiche umana afferma l'esperienza di Dio. Se così non fosse, di Dio non si sarebbe mai parlato".    [JUNG: La dinamica dell'Inconscio - pg.353]

Ma, probabilmente, i religiosi saranno gli ultimi a rendersi conto e ad accettare questa nuova straordinaria prospettiva di avvicinamento dell'uomo alla Realtà Ultima, appartenendo alla componente più graniticamente conservatrice e dogmatica della cultura umana.

Carlo Pierini

Citazione di: Sariputra il 25 Settembre 2017, 17:51:06 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 25 Settembre 2017, 17:29:39 PM
Citazione di: Sariputra il 25 Settembre 2017, 09:52:52 AM
affermiamo che tutto è relativo... e che niente nell'universo è assoluto, permanente e duraturo. .... c'è un unico e solo sentiero di purificazione (visuddhimagga) e una sola e unica purificazione (visuddhi) e nessun'altra
Se nell'universo <<niente è assoluto, permanente e duraturo>>, allora nemmeno l'insegnamento buddhista è assoluto, permanente e duraturo. Quindi potrebbe esistere più di UN sentiero di purificazione, come sostenevo io giorni fa. Oppure tutto è relativo tranne ciò che predica il buddhismo?  :)

Il buddhismo non ha in sé il concetto di "eternità" e quindi vede l'insegnamento stesso come contingente all'apparire di un buddha nel ciclo dell'esistenza. Solo la presenza e l'insegnamento di un liberato mette in moto la ruota del Dharma ( dà il primo giro ...), ruota che può continuare a girare se l'insegnamento viene trasmesso o se altri liberati appaiono nel mondo condizionato, come sparire in assenza delle condizioni adatte. Prima di Siddhartha, su questo pianeta ( su altri non lo sappiamo... ;D ) non vi era conoscenza di questa possibilità di liberazione. Adesso, dopo 2.500 anni, ne è rimasta "pochina" e sta via via scomparendo o snaturandosi in altro ( vedo tanti spinotti attaccati sulle zucche di bonzi attualmente... :( ).
E' come dire. ci può essere insegnamento senza insegnante? Ecco quindi che anche il buddhismo, in assenza de un insegnante, non è assoluto, non è permanente e purtroppo (  a gusto mio ma molti altri ne sarebbero felici...) non può durare. Ecco quindi l'importanza della trasmissione di questo insegnamento per tenerlo "vivo"... :)
Nel buddhismo, pur rivendicando per sé l'aderenza al "vero ascetismo", non c'è denigrazione degli altri sentieri purchè conducano alla liberazione...
In ogni caso si tratta di una religione e ogni forma religiosa, chi più e chi meno, chi in modo tollerante e chi in modo intollerante, è un pensiero "forte", quindi vitale, che porta all'agire, ecc.


Vuoi dire che nell'universo tutto è relativo e impermanente, tranne le verità rivelate dei liberati? I liberati non fanno più parte dell'universo?

Sariputra

#99
Citazione di: Carlo Pierini il 26 Settembre 2017, 00:31:16 AM
Citazione di: Sariputra il 25 Settembre 2017, 17:51:06 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 25 Settembre 2017, 17:29:39 PM
Citazione di: Sariputra il 25 Settembre 2017, 09:52:52 AM
affermiamo che tutto è relativo... e che niente nell'universo è assoluto, permanente e duraturo. .... c'è un unico e solo sentiero di purificazione (visuddhimagga) e una sola e unica purificazione (visuddhi) e nessun'altra
Se nell'universo <>, allora nemmeno l'insegnamento buddhista è assoluto, permanente e duraturo. Quindi potrebbe esistere più di UN sentiero di purificazione, come sostenevo io giorni fa. Oppure tutto è relativo tranne ciò che predica il buddhismo? :)
Il buddhismo non ha in sé il concetto di "eternità" e quindi vede l'insegnamento stesso come contingente all'apparire di un buddha nel ciclo dell'esistenza. Solo la presenza e l'insegnamento di un liberato mette in moto la ruota del Dharma ( dà il primo giro ...), ruota che può continuare a girare se l'insegnamento viene trasmesso o se altri liberati appaiono nel mondo condizionato, come sparire in assenza delle condizioni adatte. Prima di Siddhartha, su questo pianeta ( su altri non lo sappiamo... ;D ) non vi era conoscenza di questa possibilità di liberazione. Adesso, dopo 2.500 anni, ne è rimasta "pochina" e sta via via scomparendo o snaturandosi in altro ( vedo tanti spinotti attaccati sulle zucche di bonzi attualmente... :( ). E' come dire. ci può essere insegnamento senza insegnante? Ecco quindi che anche il buddhismo, in assenza de un insegnante, non è assoluto, non è permanente e purtroppo ( a gusto mio ma molti altri ne sarebbero felici...) non può durare. Ecco quindi l'importanza della trasmissione di questo insegnamento per tenerlo "vivo"... :) Nel buddhismo, pur rivendicando per sé l'aderenza al "vero ascetismo", non c'è denigrazione degli altri sentieri purchè conducano alla liberazione... In ogni caso si tratta di una religione e ogni forma religiosa, chi più e chi meno, chi in modo tollerante e chi in modo intollerante, è un pensiero "forte", quindi vitale, che porta all'agire, ecc.
Vuoi dire che nell'universo tutto è relativo e impermanente, tranne le verità rivelate dei liberati? I liberati non fanno più parte dell'universo?

Se noti, nel testo che ho riportato ( riteniamo che tutte le cose condizionate (sankhara) siano impermanenti (anicca) e imperfette, e pertanto insoddisfacenti (dukkha) e che tutte le cose condizionate e non condizionate non abbiano un sé (anatta). , il concetto di impermanenza e di carattere insoddisfacente viene applicato, nel buddhismo, ai fenomeni condizionati che vengono definiti come sankhara. Ciò che è invece incondizionato ( come l'elemento Nibbana/Nirvana ) non soggiace all'impermanenza e a dukkha ( carattere insoddisfacente) ma  soggiace all'anatta/anatman (non-sé come trad.), questo per evitare che venga concettualizzato o ritenuto come un Dio, un'essenza eterna, ecc. come ho scritto nella risposta ad @Apeiron. Il Nibbana infatti necessita di essere realizzato seguendo il Dhamma/Dharma ( o qualunque altro sentiero ove sia presente il "vero ascetismo"). In mancanza di colui che lo realizza non si manifesta, come si può intendere la manifestazione di un Dio, di una divinità, di un'essenza eterna, ecc.
Quando si parla di relatività nel buddhismo si parla dell'interdipendenza dei sankhara, dei fenomeni condizionati:
"Ogni cosa dipende nella sua natura da tutte le altre, ogni fenomeno preso di per sé è vuoto di una sua "sostanzialità" inerente (non esiste di per sé ma solo in relazione agli altri)." T.R.V. Murti.
Sul discorso interessante che fai sui simboli del religioso e sugli archetipi non mi avventuro perché, come ho già scritto, non ho competenza in materia. Ne intuisco le possibili relazioni e profondità ma mi sembra veramente difficile ottenerne un "sistema" ( per di più di evidenza inoppugnabile , "oggettiva" come mi sembra sia il tuo obiettivo dichiarato, dimmi se sbaglio...).

Come fruitore di sogni e di visioni ne vedo l'incredibile molteplicità, ma anche il pericolo inerente...Per esempio io ho sempre una "visione" e un sogno relativo ricorrente: vedo donne nude ( sigh :-[)..Che sia per effetto del kamma/karma accumulato nelle precedenti esistenze nel samsara? Se è così trattasi sicuramente di vite passate...nell'"astinenza"!... ;D ;D .Scherzo ovviamente! Non te la prendere, son fatto ( male) così... ;D;D
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

#100
@Sariputra, probabilmente avevo dormito male ieri, ti giuro che non ho proprio letto la parola "anatta" (e dire che la cosa mi aveva pure un po' sconvolto)  ;D  ;D  ;D  c'erano le tre caratteristiche scritte chiaro e tendo, che figura di m.... ;D  ;D ;D

Sì ok forse ho capito (finalmente) perchè si dice che "Nibbana è anatta" anche se ritengo la cosa non così evidente come sembra e nemmeno così "unica" come sembra - anche se il Dhamma come ben ti sforzi a far notare "trascende" ciò che hanno insegnato gli stessi Buddha, Sari ecc  ;D  Sulla questione dell'assolutismo "epistemologico" direi che è una conclusione necessaria e che risponde proprio alle mie domande sull'"infallibilità del Buddha", ossia che il Buddha è colui che oltre ad avere una conoscenza perfetta della Verità, è anche perfetto nel saperla insegnare (e più passa il tempo, più l'imperfezione dell'uomo fa in modo che quindi non si capisca più nulla del Dhamma ;) ). Poi il Dhamma non è realmente "relativo" come sostieni Sari, proprio perchè come si è detto secondo i buddisti la paticcasamuppada è universale. Ergo dire che la paticcasamuppada è relativa mi pare che sia un (mal) celato sofismo, completamente inutile (dire che il Dhamma insegnato dal Buddha è relativo al tempo in cui è stato esposto non è di certo una "prova" che la verità del paticcasamuppada sia relativa, anzi mi pare una conferma della sua assolutezza). A livello esperienziale, poi, come ben dici tu ovviamente è assolutismo.



La cosa interessante è se davvero l'anatta esclude ogni tipo di "assolutismo"... A mio giudizio NO. Per esempio non riesco sinceramente a ben distinguere la differenza tra la filosofia del Dao a quella buddista a parte che il Dao talvolta viene pensato come "principio". Ma se il Dao non viene pensato come "principio" non mi pare così diverso (non fraintendermi, so che è diverso ma credo che la diversità sia compatibile con il fatto che due saggi possono descrivere la medesima cosa in modo diverso).

O almeno rimane comunque un assolutismo metafisico nel senso di quel meraviglioso e particolare assolutismo del "tutte le cose sono in una e una cosa è in tutte le cose" o dell'interpenetrazione, come sostiene l'Avatamsaka sutra (che perarltro devo ancora leggere e probabilmente non riuscirò mai a leggere) e della filosofia Huayan - motivo per cui la "dissoluzione" dell'io non è solo dissoluzione ma anche "trascendenza" ;)

Inoltre secondo la mia interpretazione il buddismo ha come obbiettivo quello di "purificare" la mente, ossia togliere tutte le "cose in più" per ottenere una mente "perfetta", proprio come dicono i rappresentanti della Tradizione della Foresta Thailandese. E questa "mente" si è raffreddata perchè non fa più attività, non crea più nulla perchè non è più stabilita. Ma forse dire che il Parinibbana è un tipo di "mente" è troppo, ma è l'unico modo per cui io posso apprezzare il buddismo, perchè continuare a non "dire nulla sul Nibbana perchè è trascendente" mi pare che sia un ostacolo alla concretezza stessa del buddismo. E poi un certo supporto questa mia "teoria" la prende anche dal fatto che nella filosofia Mahayana l'idea torna con la "Natura di Buddha", presente in ogni essere senziente.



Per @Carlo "tutto è relativo" in senso metafisico, ossia che non puoi trovare una "cosa" che è ontologicamente separata dal "resto". Ma non è un relativismo (vedi la mia risposta al Sari)... il Dhamma è la Verità. O più precisamente se vuoi la parte "verbale" del Dhamma, l'assoluto "verbale" è a mio giudizio la teoria del paticcasamuppada, dell'originazione dipendente - se vuoi è la "mappa perfetta" con cui il Buddha ha descritto il territorio. E qui è presente l'infallibilità del Buddha (altro assolutismo, se vuoi) in quanto è solo per fede che posso accettare (a meno che non ne abbia avuto esperienza io stesso) la verità che "tutte le cose condizionate sono impermanenti" (per esempio) o la verità del paticcasamuppada - posso fare argomenti di natura scettica su tale principio ma ciò non toglie che in ultima analisi per coloro che non hanno ancora avuto tale esperienza, tutto ciò è da prendersi per fede (per quanto ragionevole o meno sia).

@Per quanto riguarda l'ecumenismo... sì sarebbe bello vedere una cosa con una simile chiarezza anche nel cristianesimo. Però c'è da dire che il Secondo Concilio forse ha ispirato quello buddista visto che quello buddista mi pare posteriore. Ma il problema di fondo è che per come è stato impostato il cristianesimo, con la rigida aderenza alla dottrina, la vedo dura. Per esempio nella pratica di tutti i cristiani potrebbe esserci la coltivazione dell'agape ma è utopia, secondo me.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

#101
Citazione di: Apeiron il 26 Settembre 2017, 10:06:41 AM@Sariputra, probabilmente avevo dormito male ieri, ti giuro che non ho proprio letto la parola "anatta" (e dire che la cosa mi aveva pure un po' sconvolto) ;D ;D ;D c'erano le tre caratteristiche scritte chiaro e tendo, che figura di m.... ;D ;D ;D Sì ok forse ho capito (finalmente) perchè si dice che "Nibbana è anatta" anche se ritengo la cosa non così evidente come sembra e nemmeno così "unica" come sembra - anche se il Dhamma come ben ti sforzi a far notare "trascende" ciò che hanno insegnato gli stessi Buddha, Sari ecc ;D Sulla questione dell'assolutismo "epistemologico" direi che è una conclusione necessaria e che risponde proprio alle mie domande sull'"infallibilità del Buddha", ossia che il Buddha è colui che oltre ad avere una conoscenza perfetta della Verità, è anche perfetto nel saperla insegnare (e più passa il tempo, più l'imperfezione dell'uomo fa in modo che quindi non si capisca più nulla del Dhamma ;) ). Poi il Dhamma non è realmente "relativo" come sostieni Sari, proprio perchè come si è detto secondo i buddisti la paticcasamuppada è universale. Ergo dire che la paticcasamuppada è relativa mi pare che sia un (mal) celato sofismo, completamente inutile (dire che il Dhamma insegnato dal Buddha è relativo al tempo in cui è stato esposto non è di certo una "prova" che la verità del paticcasamuppada sia relativa, anzi mi pare una conferma della sua assolutezza). A livello esperienziale, poi, come ben dici tu ovviamente è assolutismo. La cosa interessante è se davvero l'anatta esclude ogni tipo di "assolutismo"... A mio giudizio NO. Per esempio non riesco sinceramente a ben distinguere la differenza tra la filosofia del Dao a quella buddista a parte che il Dao talvolta viene pensato come "principio". Ma se il Dao non viene pensato come "principio" non mi pare così diverso (non fraintendermi, so che è diverso ma credo che la diversità sia compatibile con il fatto che due saggi possono descrivere la medesima cosa in modo diverso). O almeno rimane comunque un assolutismo metafisico nel senso di quel meraviglioso e particolare assolutismo del "tutte le cose sono in una e una cosa è in tutte le cose" o dell'interpenetrazione, come sostiene l'Avatamsaka sutra (che perarltro devo ancora leggere e probabilmente non riuscirò mai a leggere) e della filosofia Huayan - motivo per cui la "dissoluzione" dell'io non è solo dissoluzione ma anche "trascendenza" ;) Inoltre secondo la mia interpretazione il buddismo ha come obbiettivo quello di "purificare" la mente, ossia togliere tutte le "cose in più" per ottenere una mente "perfetta", proprio come dicono i rappresentanti della Tradizione della Foresta Thailandese. E questa "mente" si è raffreddata perchè non fa più attività, non crea più nulla perchè non è più stabilita. Ma forse dire che il Parinibbana è un tipo di "mente" è troppo, ma è l'unico modo per cui io posso apprezzare il buddismo, perchè continuare a non "dire nulla sul Nibbana perchè è trascendente" mi pare che sia un ostacolo alla concretezza stessa del buddismo. E poi un certo supporto questa mia "teoria" la prende anche dal fatto che nella filosofia Mahayana l'idea torna con la "Natura di Buddha", presente in ogni essere senziente. Per @Carlo "tutto è relativo" in senso metafisico, ossia che non puoi trovare una "cosa" che è ontologicamente separata dal "resto". Ma non è un relativismo (vedi la mia risposta al Sari)... il Dhamma è la Verità. O più precisamente se vuoi la parte "verbale" del Dhamma, l'assoluto "verbale" è a mio giudizio la teoria del paticcasamuppada, dell'originazione dipendente - se vuoi è la "mappa perfetta" con cui il Buddha ha descritto il territorio. E qui è presente l'infallibilità del Buddha (altro assolutismo, se vuoi) in quanto è solo per fede che posso accettare (a meno che non ne abbia avuto esperienza io stesso) la verità che "tutte le cose condizionate sono impermanenti" (per esempio) o la verità del paticcasamuppada - posso fare argomenti di natura scettica su tale principio ma ciò non toglie che in ultima analisi per coloro che non hanno ancora avuto tale esperienza, tutto ciò è da prendersi per fede (per quanto ragionevole o meno sia). @Per quanto riguarda l'ecumenismo... sì sarebbe bello vedere una cosa con una simile chiarezza anche nel cristianesimo. Però c'è da dire che il Secondo Concilio forse ha ispirato quello buddista visto che quello buddista mi pare posteriore. Ma il problema di fondo è che per come è stato impostato il cristianesimo, con la rigida aderenza alla dottrina, la vedo dura. Per esempio nella pratica di tutti i cristiani potrebbe esserci la coltivazione dell'agape ma è utopia, secondo me.

Anch'io dormo spesso male... :(
Sul fatto che vedi profonde similitudini tra il daoismo e il buddhismo sono d'accordo. Il daoismo è più letterario, poetico ( infatti ha influenzato e liberato tutta la poesia e letteratura cinese e dell'Estremo Oriente; i cui effetti sono quasi palpabili ancor'oggi) meno freddo e sistematico. In un certo senso è forse anche più vicino ad alcuni aspetti della nostra sensibilità occidentale. Non è un caso che un appassionato di buddhismo lo sia spessissimo pure di daoismo ( come l'inadeguato  Sari... :) ). Questo sarebbe strano se non vi fossero profonde affinità tra le due forme di spiritualità/filosofia. Affinità "elettive" che non potevano non riconoscersi nell'incontro tra i due e che, dall'arrivo di Bodhidharma in Cina in poi, ha dato origine alla grande stagione del buddhismo Chan e Hwa Yen ( Con un'immagine simbolica possiamo immaginare Siddhartha che ha dato il primo giro alla ruota dell' Insegnamento, Nagarjuna il secondo  e Hui Neng, il sesto patriarca, il terzo...). Come si può leggere e non amare le pagine di Ciuang Tze?...
Se però cerchi un insegnamento concreto, pratico , attuabile, con qualche maestro che ti può dare delle indicazioni, dei suggerimenti...beh! Sei quasi costretto, in presenza di questa attrattiva verso ambedue, a rivolgerti al buddhismo. Troppo "etereo" il daoismo, troppo legato alla personale esperienza, tradotta in altissima letteratura, di questi Antichi...
Ed essendo il Sari più portato e amante della letteratura che non della filosofia pura, confessa che spessissimo trova più ispirazione nel leggersi qualche storia tratta dall'opera di Ciuang Tze, che non le spesso infinite ripetizioni di un sutra buddhista del Canone Pali... :P
Sulla tua considerazione:"credo che la diversità sia compatibile con il fatto che due saggi possono descrivere la medesima cosa in modo diverso". La domanda è: E' possibile che, in un linguaggio diverso, entrambi indicassero la stessa esperienza? ...E qua, personalmente, non ho una rsposta e credo francamente sia impossible trovarla. Si può provare una grande ammirazione per ambedue, senz'altro...

P.S.  Vorrei ora porti una domanda un pò personale ( sei ovviamente padrone di ignorarla...): Cosa ritieni che sia cambiato , nella tua visione della vita, nel tuo rapporto con gli altri, con la tua weltanshauung (ho scritto corretto?...) personale da quando hai avvicinato e ti sei interessato a queste forme di spirtualità/filosofia? Come vedi le cose "concrete" dell'esistenza adesso?
Ti faccio questa domanda per uscire un pò dalla parte teorica che abbiamo abbondantemente sviluppato. Penso che qualche cristo che ci legge potrebbe essere interessato anche a questo. Altrimenti: "Sì, bello interessante...ma poi?"...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

#102
Caro Sari,
Dalla foga che avevo stamani mi sono dimenticato di dire che in effetti come "equilibrio" tra Theravada e Mahayana ci sta quello che c'è scritto nel documento ecumenico sulla questione del Bodhisattva. Anche perchè è un buon accordo visto che si parte da differenze molto profonde.
Sulla questione daoismo-buddismo, concordo sul fatto che uno è più poetico e l'altro più sistematico. Motivo per cui parlavo qualche post fa di una "differenza di espressione" ma che è forse una differenza di approccio sulla filosofia e spiritualità. Per certi versi il buddismo sino-giapponese delle scuole Chan e Huayan d'altronde mi affascinano parecchio proprio perchè sembra anche influenzato dal daoismo e non mi sorprenderebbe se qualcuno in futuro dimostrasse che il daoismo ha origini indiane (o nepalesi  ;D... invertendo così la storia secondo cui Laozi era il maestro di Siddharta  ;D  ). Il "bello" del daoismo è in un certo senso proprio il fatto che è molto adattabile alla persona, viene molto incontro all'esigenza individuale visto che dottrinariamente è molto "povero". Affascina molto anche perchè, oltre all'influenza sui movimenti artistici, è una filosofia da "outcasts", da persone "particolari" (vedi Zhuangzi/Chuang-tze col suo utilizzo di "pazzi", "mutilati" ecc come portatori della verità.). Inoltre frasi presenti nel Dadejing come "il bene supremo è come l'acqua...fluisce nei posti che la gente odia e quindi è simile al Dao", "il re è colui che si prende i mali del regno" oltre che la già menzionata enfasi dello Zhuangzi che la saggezza si trova anche tra "pazzi", "mutilati" (ossia "peccatori contro la legge" dell'impero) ricordano più che vagamente certe tematiche cristiane, quindi per un occidentale in cerca di una strada (dao  ;D ) personale è perfetto. Il problema è che l'assenza di sistematicità lo fa andare in secondo piano rispetto al buddismo, il quale è ben sistematico su ciò che forse conta di più, ossia la pratica (oltre al fatto che l'Immortalità promessa dalla parte "religiosa" del daoismo lascia molto perplessi  ;) ). Ma l'aderenza ad una dottrina per chi è curioso e scientifico è difficile e ritengo che un forte merito del daoismo e del buddismo sino-giapponese sia proprio questo "affrancamento" dalle dottrine. Ovviamente ciò non deve essere interpretato come una negligenza nella ricerca del Bene e della Verità, bensì come un'impostazione più adattabile alla persona (per esempio seguire alcune delle regole del Vinaya mi sembra assurdo, non ne capisco proprio il senso  ;) ma ovviamente questo perchè sono fatto così io, non ho assolutamente nulla con chi pensa che esse siano sensate  ;) ). Motivo per cui dottrine "radicali" come sunyata per me sono difficili da apprezzare quando ad esempio trovi insegnameni meravigliosi che richiedono un assoluto "metafisico" oltre che "epistemologico" - il principio dell'interpenetrazione della scuola Huayan da questo punto di vista sembra essere una "espressione positiva" ma equivalente della dottrina del sunyata e ricorda la "poesia" del daoismo. Motivo per cui l'ho segnalata. Credo che sia una cosa che vari da persona a persona: chi è più portato ad aderire a dottrine preferirà le scuole più rigorose, chi invece è più portato alla creatività e alla ricerca personale della realtà e del significato della vita (come ritengo siamo entrambi) preferirà scuole più "flessibili" sia nella pratica che nella dottrina (e forse più "umane" per certi aspetti). Nel mio caso ritengo che la mia "tendenza a filosofare" per fortuna o purtroppo mi rimarrà tutta la vita e impormi una qualsiasi dottrina in modo rigido per me è impossibile. Motivo per cui dottrine diverse per me sono ugualmente apprezzate, anche perchè ritengo che la rigidità nella storia avrà magari "liberato" molte persone ma è stata anche causa di molti guai sia in oriente che in occidente...

SARIPUTRA
P.S.  Vorrei ora porti una domanda un pò personale ( sei ovviamente padrone di ignorarla...): Cosa ritieni che sia cambiato , nella tua visione della vita, nel tuo rapporto con gli altri, con la tua weltanshauung (ho scritto corretto?...) personale da quando hai avvicinato e ti sei interessato a queste forme di spirtualità/filosofia? Come vedi le cose "concrete" dell'esistenza adesso?
Ti faccio questa domanda per uscire un pò dalla parte teorica che abbiamo abbondantemente sviluppato. Penso che qualche cristo che ci legge potrebbe essere interessato anche a questo. Altrimenti: "Sì, bello interessante...ma poi?"...

APEIRON
All'inizio non volevo rispondere - non perchè non voglio o perchè ho paura di "espormi", ma proprio perchè non voglio allontanare le persone da questo tipo di filosofia, visto che personalmente non sono né buddista, ne daoista, né indù... Poi però ho cambiato idea e ritengo che invece anche la mia esperienza può essere importante (anche perchè forse è utile sentire l'esperienza dei pochi che un po' studiano e un po' praticano). Farò una risposta forse troppo breve, ma vorrei cercare di rendere l'idea con la minima quantità di parole. Inoltre la risposta sarà molto "sistematica" (leggendo si capisce cosa intendo). Anticipo fin da subito che più che un Alan Watts sono uno Schopenhauer, ossia troppo attento alla weltanshauung  (ok hai scritto bene  ;) ) e alla "teoria" e non me ne vanto per niente (visto che so che la pratica è più importante della teoria).

1) visione della vita: qui in effetti sono cambiato molto. Adesso ho una percezione molto più "vissuta" della transitorietà delle cose e questo mi porta da un lato a vedere oltre "il mio orticello" ma dall'altro mi causa molta nostalgia (i giapponesi direbbero mono no aware). Inoltre cosa assurda è che mi sento al contempo al "centro di tutto" e insignificante e questo ovviamente causa a volte problemi di varia natura come ogni trasformazione comporta. Tendo poi ad essere molto passivo, a non voler controllare niente ecc

2) rapporto con gli altri: da un punto di vista cognitivo sono più consapevole delle sofferenze altrui e più aperto alla diversità, ma ciò ahimé è solo a livello di "consapevolezza". Sono anche più volenteroso a aiutare gli altri utilizzando consigli (a volte cito, senza dirlo, alcune parole delle suttas). Rimango però eccessivamente "egocentrico" e la conoscenza di queste tradizioni mi rende consapevole dei miei problemi (e delle mie inadeguatezze ;)) con il "metta" e la "rinuncia" (o con l'agape e la "kenosi" cristiana, o con il "sommo bene" daoista ecc... ci siamo capiti  ;) ). Schopenhauer - e gli si può dare dell'ipocrita ma almeno a volte era anche onesto - dal canto suo ci teneva a precisare come il "filosofo non è il santo" (ma solitamente lo ammira), motivo per cui io se proprio devo definirmi mi definisco come "pensatore". Tant'è che ad esempio in questi giorni mi chiedo se ho "troppi amici" - vorrei essere più selettivo - ma al contempo vorrei anche "essere in buoni rapporti con tutti". Edit: sulla questa dell'avere "troppi amici", non voglio essere frainteso come se il buddismo &co mi avessero insegnato di essere asociale... in sostanza mi hanno reso consapevole che certe attività che usualmente si praticano "per divertimento" finiscono per essere anche dannose a lungo termine - ossia sono divertenti per un po' ma poi sono cose da abbandonare. Tuttavia l'assurdo è che essere troppo "inseriti" nella società certamente diminuisce la sofferenza dovuta alla solitudine ma allo stesso tempo finisce per mettere talvolta catene. E poi ho anche l'impressione che chi non ha fatto un po' di percorso spirituale in genere troverà un discorso simile quasi come "offensivo", anche perchè d'altronde sono viste come provocazioni.

3) Per quanto riguarda le cose "concrete". Sono come ho detto molto più passivo e molto più consapevole ai problemi che nascono a causa dell'incontrollabilità della vita ordinaria, pur rendendomi conto che questo tipo di visione delle cose "concrete" non mi da molte possibilità di successo. Per certi versi sono diventato ancora più critico di quello che ero sulla società e sulla sua incapacità di accettare valori che sono contrari a quelli moderni. Anzi a volte le cose "concrete" le vedo come una seccatura proprio perchè ho una volontà di libertà ancora maggiore di quando non conoscevo questo tipo di filosofie/spiritualità - più precisamente non le "disprezzo" ma vedendole per quello che sono in fin dei conti mi pare che la società odierna sia troppo "attaccata" ad esse.

Ma è anche vero che vorrei anche "trasmettere" questo mio punto di vista a più persone possibili, vorrei vedere un "sommovimento" dello spirito quando parlo di queste cose... ma a quanto pare non sono bravo a trasmettere.
Che dire? Certamente il Dhamma &co mi hanno aperto gli occhi e mi hanno reso consapevole su molte cose. Mi hanno reso consapevole di quanti comportamenti ritenuti "sani" in realtà non lo sono per niente e di quanto sia "vera" la verità dell'impermenenza. Mi hanno reso consapevole della virtù del non-attaccamento (che è diverso dall'essere "distaccati"). Tuttavia per ora il mio egocentrismo è ancora lì, le mie paure ridicole sono ancora lì, il mio carattere difficile è ancora lì (anzi a volte proprio la conoscenza della saggezza - che è diversa dalla vera saggezza - di quei maestri mi rende iper-critico) e le mie difficoltà sono ancora lì. Quindi per ora non mi hanno reso "un campione dal punto di vista etico" ma hanno accentuato certi tratti già presenti nella mia persona (per quanto illusoria essa sia  ;D ). Ma ahimé i problemi sono ancora gli stessi e sempre presenti  ;) ne vale la pensa quindi? Io credo di sì, ritengo che la consapevolezza sia importantissima.  


P.S. A quanto pare le persone interessate alla spiritualità sono spesso insonni... probabilmente un collegamento c'è...
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

@Apeiron, grazie per l'esauriente e onesta risposta.
Dal canto mio posso raccontare di come la mia vita sia una specie di lotta per "restare semplice". Spesso uso o faccio dell'ironia proprio per questo, perchè una risata ha il potere immediato di ricondurre alla sua semplicità la mente. In effetti restare semplici non è facile in un mondo in cui facciamo continuamente accumulo di una quantità enorme, eccessiva di informazioni. Penso , in questo momento, alla quantità di informazioni che conservo in questo pc con cui sto scrivendo. Tutte informazioni a cui posso accedere con un click, mentre fino  a 10-15 anni fa dovevo per forza recarmi in una biblioteca, o cercare sulla scrivania...Tutti concordano che questo è un progresso, una semplificazione della vita e della fatica. Così mi trovo con suttas, testi vari, interpretazioni di tutti i tipi, news le più disparate...
Visto che stiamo parlando di buddhismo , spesso mi chiedo se , tutto questo Dhamma a cui posso attingere, se lo voglio, in ogni momento, sia davvero necessario per me...
Si dice che, ai tempi del Buddha, ad alcuni bastava ascoltare un solo sutta per comprendere in profondità l'Insegnamento e trovare un pò di felicità/equilibrio nella propria vita, Oggi invece molti divorano informazioni, fanno un'autentica raccolta d'informazioni. Così, come abbiamo il corpo in sovrappeso per l'eccesso di buon cibo ( accompagnato da un buon vinello di casa...), ci troviamo la mente obesa e in sovrappeso per un eccesso d'informazioni. Un filosofo o uno scienziato penso che istintivamente rifiutino questa immagine della mente cicciona, con palle di lardo informativo che la appesantiscono, ma se questo eccesso non è ben digerito può solo creare confusione. Così a volte, per ritrovare un pò di "leggerezza" mentale mi ripeto che non devo dimenticare il valore della semplicità. Essere semplici è anche un operare con gentilezza verso gli altri e verso se stessi. E, nel caso del buddhismo, è ricordare che l'Insegnamento è semplice: non fare il male, fare il bene, purificare la mente.
Spesso gli insegnamenti semplici sono i migliori. In questo periodo di lutto per la morte di mia mamma ( per la fine della sua penosissima sofferenza sarebbe più corretto dire...) ho compreso come gli insegnamenti semplici che mi ha dato, nella sua semplicità contadina, siano quelli che più profondamente hanno inciso in me e siano i migliori che posso "trattenere".
L'importante è il modo come agiamo e le azioni giuste si riconoscono dai risultati. Questo kamma  :) semplice  non viene dalla valle del Gange, dal Magadha, ma dalle storie che ci raccontava da piccoli, attorno al tavolo, quando parlava di "buona semina" e del "bravo contadino"...
La gioia che può dare la semplice leggerezza è una sorta, almeno per come la vivo io, di libertà e di pace. Però è qualcosa di vissuto nella mente, dato che la sofferenza fisica è inevitabile . Più si procede negli anni e più la sofferenza del corpo , che si logora, tende ad aumentare il suo peso nella nostra vita, il suo condizionamento. La meditazione aiuta anche da affrontare il disagio di avere un corpo che finirà ( quasi sempre male purtroppo :(). E' chiaro che per un giovane questo fatto sembra sempre più in là, non urgente da affrontare. Lo pensavo anch'io... :'(
Il Dhamma mi ha aiutato ad osservare la sofferenza e vederla come un fatto ineludibile della vita. Questo non lo accettavo ( ancor oggi mi è a volte indigesto...).
Nei sutta i grandi arahant affermano che il mondo è solo sofferenza che sorge e sofferenza che passa. Questo insegnamento spesso lo ritrovo quando una vecchietta con le borse della spesa mi ferma per chiedermi notizie dei vecchi. In realtà non vuole avere notizie, vuole solo qualcuno che ascolti il racconto delle sue sofferenze. Quasi sempre, in vario modo, terminano con:"Cosa vuto...a vita a xe solo tribolar!" ( trad. dal dialetto tipico della Contea: "Cosa vuoi...la vita è solo tribolazione!") :)
Un giorno , rispondendo a Upali, Siddhartha disse che per capire se qualcosa è in accordo con il Dhamma, in accordo cioè con il sentiero, bisogna osservare se fa nascere in noi una buona sensazione di libertà e pace ( credo lo si trovi nell' Anguttara Nikaya...). La via corretta quindi, sempre ricordando questa frase, non è l'accumulo di informazioni sul buddhismo , ma bensì tutto quello che porta alla libertà, alla tranquillità e alla pace ( nei limiti imposti dalla nostra condizione umana, impermanente e soggetta alla sofferenza...):Che questo richieda anche la comprensione  è chiaro, però questa comprensione si può fondare su una "manciata di foglie", tutto quello che serve...
Personalmente, proprio perché sono spesso contorto, trovo nell'atto di "restare semplici" uno dei valori più alti, totalmente non settario, della spiritualità.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Sariputra

#104
"All'inizio tutto appariva nuovo e strano, ineffabilmente eccezionale, delizioso e bello. Ero un piccolo straniero che, entrando nel mondo, fu festeggiato e circondato da innumerevoli gioie.La mia conoscenza era divina. Conoscevo per intuizione quelle cose che ricordavo di nuovo per mezzo della ragione più alta. La mia ignoranza era un vantaggio. Sembravo una persona ancora nello stato d'innocenza.Tutte le cose erano immacolate, pure e gloriose: sì, e infinitamente mie, e piene di gioia e preziose. Ignoravo che esistessero peccati, sofferenze o leggi. Non pensavo a povertà, controversie o vizi. lacrime e contrasti erano nascosti ai miei occhi. Tutto era pacifico, libero e immortale. Non sapevo nulla di malattie, di morte, di divisioni o di esazioni, sia di denaro sia di pane.  In assenza di tutte queste cose, m'intrattenevo come un angelo nelle opere di Dio, con il loro splendore e la loro gloria e vedevo tutto nella pace dell'Eden. Cielo e Terra cantavano le lodi del mio creatore e non potevano essere più melodiche per Adamo che per me. Il tempo era eternità e un perpetuo sabato di festa. Non è forse strano che un bambino sia l'erede del mondo intero e veda quei misteri che i libri dei dotti non hanno mai spiegato?
Il grano era un frutto immortale che nasceva da solo e che non doveva essere né mietuto né essere seminato. Credevo che esistesse da sempre. La polvere e le pietre della strada erano preziose come l'oro: cancelli chiudevano i confini del mondo. I verdi alberi, quando li vidi per la prima volta attraverso uno dei cancelli, m'incantarono e mi affascinarono; la loro dolcezza e la loro eccezionale bellezza mi fecero balzare in petto il cuore e mi fecero quasi impazzire di estasi, tanto erano strani e meravigliosi. E gli uomini...oh, quali venerabili e nobili creature sembravano i vecchi! E i giovani sembravano  angeli sfolgoranti e sfavillanti e le fanciulle strani e serafici modelli di vita e di bellezza! I ragazzi e le ragazze, mentre camminavano per le strade e giocavano, sembravano gioielli viventi. Ignoravo che essi fossero nati e dovessero morire; ogni cosa sussisteva eterna, al suo giusto posto.
L'eternità si manifestava alla luce del giorno e qualcosa d'infinito appariva dietro a ogni cosa, il che corrispondeva alle mie aspettative e veniva incontro ai miei desideri. la città sembrava far parte dell'Eden o essere costruita in Cielo. Le strade erano mie, il tempio era mio, la gente era mia, i loro vestiti e il loro oro e argento erano miei, così come i loro occhi sfavillanti, la loro gradevole pelle e i loro rosei visi. I cieli erano miei, così come il sole e la luna e le stelle, e tutto il mondo era mio, e io ne ero il solo spettatore e fruitore. Ignoravo ogni rozza proprietà, ogni legame, ogni divisione; tutte le proprietà e tutte le divisioni erano mie, nonché tutti i tesori e i loro possessori. Così, soltanto con molto fastidio, io fui corrotto e imparai gli sporchi meccanismi di questo mondo. Devo perciò dimenticare queste cose e diventare di nuovo, per così dire, un bambino per poter entrare nel Regno di Dio."

Questo è un passo tratto da uno scritto di Thomas Traherne, poeta metafisico del XVII sec, mistico e santo della chiesa anglicana.
E' interessante notare come, nel solco delle considerazioni fatte sulle similitudini tra buddhismo e daoismo, o per meglio dire sull'eventuale comune esperienza di una realtà ineffabile, troviamo sponde anche nell'esperienza mistica cristiana. Non sembra , con un linguaggio diverso, che venga additata la stessa esperienza di medesimalità  che è la base dello stato mentale che nel buddhismo zen, per esempio, viene definito come sono-mama? Quello che William Blake definiva come "tenere l'infinito nel palmo della mano e l'eternità in un'ora"?
Per quanto sia difficile guardare il mondo in questa maniera scopriamo che poi non è diverso da come lo guardavamo "da bambini" ( e questo si riallaccia prepotentemente alle ragioni e al valore della "semplicità"...). E' il bambino che si meraviglia della scoperta di un fiore tra le sterpaglie...

Quando meno te lo aspetti
scopri un nazuna in fiore
sotto la siepe
(Basho, haiku del XVIII sec.)

P.s. Scusate i "justify" disseminati. sembra che utilizzando il copia/incolla non si riesca ad evitarli. Però era un passo troppo lungo quello del Traherne per ricopiarlo ribattendolo interamente...certo che rovinano la lettura :(
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.