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Buddhismo

Aperto da acquario69, 16 Febbraio 2017, 04:59:05 AM

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Apeiron

#75
@Carlo. Riguardo al primo messaggio ti consiglio di leggere qualcosa sull'advaya, la non-dualità del buddhismo mahayana - in ogni caso anche qui c'è una "trascendenza" degli opposti ma più che unificati qui sono proprio oltrepassati in uno stato in cui essi non riescono a descrivere più nulla. Il fatto della non-separabilità "cancella" le distinzioni e quindi gli opposti vengono trascesi. Un po' come lo Zhuangzi diceva: "i saggi dei tempi antichi dicevano che non esistevano le cose. Dopo di loro altri non mettevano distinzioni fra esse" (traduzione un po' libera del capitolo 2). La "novità" rispetto al daoismo è che questo "stato" non si riferisce né ad un monismo né ad un Principio "creatore" nato prima degli opposti. Nel buddismo gli opposti vengono trattati come "concetti" (ossia mappe) non come "realtà". Il Pierinismo ( ;D ) assomiglia a queste idee ma non posso non fare il puntiglioso e fare una sana distinzione.
Riguardo al Buddha-Dhamma se mastichi un po' l'inglese: http://www.accesstoinsight.org/tipitaka/sn/sn22/sn22.087x.wlsh.html. Non sei il primo che nota la somiglianza  ;D in realtà a mio giudizio mentre Buddha voleva enfatizzare che il Dhamma trascende il Buddha, Gesù al contrario voleva enfatizzare che "il Logos si è fatto carne", ossia mentre Buddha voleva fare in modo che il discepolo osservasse l'aspetto "trascendente" nel concreto Gesù voleva al contrario enfatizzare che il trascendente si è concretizzato e si è fatto "carne" (non a caso nel cristianesimo si da molta importanza all'aspetto "concreto" della vita di Gesù - specie la sua sofferenza nella Crocifissione - mentre nel buddismo si fa per così dire il movimento opposto).


@Sariputra. Sì sono consapevole di aver fatto un "pasticcio" mescolando le mie convinzioni con la filosofia buddista e ci ho fatto una figura magra  ;D . Hai ragione nella tua obiezione. Tralasciando per un momento l'aspetto "mitico" a mio giudizio l'eternalismo non è compatibile col BuddhaDhamma quando si parla dell'atman. Affinché il Dhamma abbia senso è necessario che esso sia "trascendente", non a caso nella Vakkali Sutta Buddha dice: "Cosa c'è da vedere in questo vile corpo? Chi vede il Dhamma vede me; chi vede me vede il Dhamma.". Ossia la Buddhità essendo un "qualcosa" (lo so non è l'atman ma...) che è presente anche quando il Dhamma non è insegnato (vedi i "buddha privati") trascende il Buddha storico stesso, ergo la frase "cosa c'è da vedere in questo corpo?". Ebbene a mio giudizio il buddismo è sia assolutistico (il Dhamma è la Verità) e anche in un senso diverso da ogni altra tradizione (daoismo e induismo compresi) "eternalistico" in quanto siamo invitati a non "attaccarci" nemmeno al Buddha storico (come dicevo a Carlo, il Buddha con questo tipo di frasi che descrivono il Buddha e il Tathagatha vuole attirarci a vedere il "trascendente" nel concreto) ma all'aspetto "trascendente" - e inoltre dopo il Parinibbana non rinasciamo mai più - La Liberazione è eterna. Il grande vantaggio del buddismo è anche la pratica molto chiara e questo ci fa apprezzare l'insegnamento sempre di più il Dhamma stesso. Inoltre anche se non vi è un atman, mi pare molto chiaro che l'universo descritto dal materialista e dal buddista non abbiano molto in comune. E questo è il mio pensiero sul buddhismo. Non è eternalistico nel senso che non c'è nessuna "speranza" di avere un sè eterno. E su questo siamo d'accordo. Ma il come mi viene presentato di solito mi dà un'idea di una sorta di "epicureismo" più ricco, con qualche fenomeno paranormale in più. E invece nel caso buddhista c'è anche qualcosa che ha un valore intrinseco e non solo relativo: il (Pari)Nibbana. Che però è descritto dagli Udana così: "Vi è quella dimensione dove non c'è terra, né acqua, né fuoco, né vento; non vi è la dimensione dell'infinità dello spazio, né la dimensione dell'infinità della coscienza, né la dimensione del nulla, né la dimensione di 'né-percezione-né-non-percezione'; non vi è questo mondo, né un altro mondo, né sole, né luna. E lì, io dico, non vi è giungere, né andare, né rimanere; né scomparire né sorgere: non è fisso, né si evolve, senza sostegno. Questa, solo questa, è la fine della sofferenza." Sembra il Nulla/Oblio proprio perchè non c'è nulla in questo mondo a cui può essere paragonato. E questo a mio giudizio è quanto io ho capito del buddismo. Sul fatto dell'onniscienza...sì hai ragione non è possibile neanche per il Bhavagan conoscere tutto in una volta, errore mio. Ma siamo invitati a credere nella sua infallibilità. Questo è il mio pensiero sul buddhismo del Canone Pali. Se togli la trascendenza del Dhamma e della Buddhità, se togli tutte le descrizione positive del Nirvana... ottieni un nichilismo con la differenza che in questo siamo destinati a "fare più vite". E sinceramente - forse è un limite mio - ma non riesco a cogliere la differenza tra filosofie come quella di Nagarjuna e il nichilismo.

Nel messaggio di prima ho fatto un casino descrivendo anche quello che penso io. Non credo che ci siano stati davvero "uomini perfetti". Ritengo il Buddha un saggio - forse il più grande della storia - ma mi riesce molto difficile credere davvero che fosse "perfetto" sia nella moralità che nella comprensione delle cose. Su questo credo che l'aspetto mitico di cui parlavo sia molto importante. Per la Godhika Sutta:
"16. Il Beato con i monaci raggiunse la Roccia Nera su un lato dell'Isigili. Il Beato vide da lontano il corpo inerme disteso sul giaciglio del venerabile Godhika.

17. In quella circostanza un densa nebbia si muoveva verso est, poi verso ovest, poi di nuovo a sud e a nord, sopra e sotto e in tutte le direzioni.

18. Allora il Beato si rivolse ai monaci: "Monaci, vedete quella densa nebbia che si muove verso est, poi verso ovest, poi di nuovo a sud e a nord, sopra e sotto e in tutte le direzioni?" "Sì, venerabile signore."

19. "Monaci, quello è Mara il Maligno alla ricerca della coscienza di Godhika. Ma la coscienza di Godhika non è da nessuna parte, egli si è estinto." https://suttacentral.net/it/sn4.23
Sinceramente non riesco a convincermi che questo sia possibile. In matematica si ha il concetto di asintoto e di limite che può essere utile a capire queste perplessità. Posso capire che un uomo con meno attaccamenti è "più forte" ma l'uomo senza attaccamenti è qualcosa di qualitativamente diverso dall'uomo. Così come l'infinito è qualcosa di qualitativamente diverso dal finito. Così come credo che nel mondo nulla sia veramente infinito, allo stesso modo nutro forti sospetti sulla possibilità di un uomo di fare veramente un salto qualitativo del genere. Questo è il mio scetticismo, la mia visione delle cose. Così come tra una mente meno fallibile e una infallibile c'è il salto qualitativo. Questo salto qualitativo è quello che mi fa dire che il nirvana è impossibile. E non lo dico con la disperazione, lo dico semplicemente con lo scetticismo maturato negli anni.
Inoltre il buddismo in nessun testo mi ha veramente convinto che "tutte le cose sono prive di un sé (anatta)" (Dhammapada 279) anche perchè è una cosa mai dimostrata nemmeno nelle suttas. Quello che vedo è che "tutte le cose condizionate sono impermanenti "anicca", quindi "dukkha" e quindi "anatta"", ossia che l'"anatta" delle cose condizionate è conseguenza del dukkha dei condizionamenti che a sua volta è conseguenza dell'anicca. Ma "le cose incondizionate sono "anatta"" è una proposizione mai dimostrata, un dogma a mio giudizio necessario solo per dire di non essere "eternalisti" e per definire le eresie. Inoltre non vedo cosa possa c'entrare il BuddhaDhamma col fatto che il monismo sia falso che non ci sia un Principio Generatore ecc (tutte "eresie" rifiutate senza un minimo di argomentazione. Solo perchè sono tacciate con la sigla "papanca", proliferazione concettuale. O forse solo perchè il buddhismo nel tempo "voleva distinguersi"? Perchè ad esempio uno non può credere al Buddha e al Dao... ah giusto il Dao è eterno ma siccome non ci sono cose eterne perchè così è stato stabilito il Dao non esiste  ::)  questo non è spirito filosofico).
A differenza poi della maggioranza dei commentatori moderni ritengo che per essere "buddista" uno debba credere fino ad un certo punto (fino a che punto? non lo so) al mito.
Infine nelle sutras che ho letto non ho mai visto citato l'armonia nei fenomeni naturali che è centrale nella scienza. Quel "mistero" per cui il mondo è "comprensibile" che permette in ultima analisi la scienza. Ma anche questo a quanto pare è solo papanca.


Sul discorso dell'Amitaba credo che è nato proprio per la consapevolezza che la "perfezione" è un'ideale a cui tendere. Motivo per cui sono sorte le "dottrine" del "buddha cosmico". Nell'antichità era molto più comune di quello che pensiamo "agrapparsi" all'idea della possibilità di non solo tendere ad essere perfetti ma anche alla possibilità di diventarlo. Sinceramente ritengo che tendere alla perfezione sia giusto ma non credo che per l'uomo sia veramente possibile divenire perfetto.


Come vedi ci sono troppe cose che non mi permettono di essere buddista ma solo un ammiratore di esso. Purtroppo questo mio aspetto "ribelle" in cui "metto tutto in discussione" potrebbe costarmi parecchio...  ;D
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Carlo Pierini

Citazione di: Apeiron il 19 Settembre 2017, 18:24:21 PM
La "novità" rispetto al daoismo è che questo "stato" non si riferisce né ad un monismo né ad un Principio "creatore" nato prima degli opposti. Nel buddismo gli opposti vengono trattati come "concetti" (ossia mappe) non come "realtà".

Infatti, il limite del buddhismo è proprio questo: l'aver trascurato il fatto che le opposizioni nel mondo reale sono anch'esse reali e che se non si è in grado di armonizzarle-complementarle in una unità superiore, esse degenerano in dualismi cruenti e distruttivi.
Una trascuratezza, questa, che in un certo senso rende il buddhismo complice dei dualismi maligni di cui sopra, più che la loro cura.

ACQUARIUS
Il Pierinismo ( ;D ) assomiglia a queste idee ma non posso non fare il puntiglioso e fare una sana distinzione.
Riguardo al Buddha-Dhamma se mastichi un po' l'inglese: http://www.accesstoinsight.org/tipitaka/sn/sn22/sn22.087x.wlsh.html. Non sei il primo che nota la somiglianza  ;D in realtà a mio giudizio mentre Buddha voleva enfatizzare che il Dhamma trascende il Buddha, Gesù al contrario voleva enfatizzare che "il Logos si è fatto carne", ossia mentre Buddha voleva fare in modo che il discepolo osservasse l'aspetto "trascendente" nel concreto Gesù voleva al contrario enfatizzare che il trascendente si è concretizzato e si è fatto "carne" (non a caso nel cristianesimo si da molta importanza all'aspetto "concreto" della vita di Gesù - specie la sua sofferenza nella Crocifissione - mentre nel buddismo si fa per così dire il movimento opposto).


CARLO
Intanto, non mi sembra così netta la trascendenza del Dhamma laddove si dice "Chi vede me, vede il Dhamma", o, almeno, non più netta di quanto il Verbo Divino trascenda il Verbo incarnato Cristo.
In secondo luogo, l'interpretazione letterale dell'"Incarnazione", cioè, l'identificazione di Gesù con un uomo storico (invece che con un simbolo mandato da Dio) è solo un estremismo dell'esegesi cristiana che sconfina nell'idolatria, mentre in realtà il mito cristiano (il Vangelo) allude chiaramente ad una incarnazione del Verbo divino nel verbo umano. Quindi non si tratta solo di una vaga rassomiglianza tra Gesù e Buddha, ma di un medesimo significato superiore che si esprime in due figure simboliche storicamente e geograficamente distinte, come accade per moltissimi altri archetipi.
A questo proposito è molto interessante quanto osserva Guénon sulle analogie tra i simboli di Mercurio (anch'egli "messaggero del verbo divino"), di Cristo e del Buddha:

"In India, il pianeta Mercurio (o Ermete) è denominato Budha, parola la cui radice significa propriamente la Saggezza; anche in questo caso, è sufficiente determinare l'ordine in cui questa Saggezza, che nella sua essenza è il principio ispiratore di ogni conoscenza, deve trovare la sua applicazione più particolare, quando essa è rapportata a questa funzione specializzata (*non bisogna confondere il nome Budha con quello di Buddha [...], benché entrambi abbiano evidentemente il medesimo significato radicale e benché poi taluni attributi del Budha planetario siano stati trasferiti successivamente al Buddha storico, raffigurandosi quest'ultimo come «illuminato» dalla irradiazione di questo astro, di cui avrebbe, in qualche modo, assorbito l'essenza in sé. A tale proposito, notiamo che la madre di Buddha è denominata Mâyâ-Dêvî e che, presso i Greci e i Latini, Maia era anche la madre di Ermete o di Mercurio [e Maria la madre di Cristo: vedere la prossima *nota, pg.113]). A proposito del nome Budha, c'è poi un fatto curioso da segnalare: esso in realtà è identico a quello dello scandinavo Odino, Woden o Wotan (*si sa che Ia trasformazione della b in v o in w è un fenomeno Iinguistico frequentissimo.); i Romani dunque non assimilarono arbitrariamente quest'ultimo al loro Mercurio, e d'altronde, nelle lingue germaniche, il mercoledi, o giorno di Mercurio, è ancora oggi designato come il giorno di Odino. Forse ancor più degno di nota è il fatto che questo stesso nome si ritrova esattamente nel Votan delle antiche tradizioni dell'America centrale; questo del resto ha i medesimi attributi di Ermete: infatti è Quetzalcohuatl, l'«uccello-serpente», e l'unione di questi due animali simbolici viene rappresentata anche dalle ali e dalle serpi del caduceo. Bisognerebbe essere ciechi per non vedere in fatti del genere un segno dell'unità di fondo di tutte le dottrine tradizionali"   [R. GUÉNON: Forme tradizionali e cicli cosmici - pp.110-11]

"Nell'angeologia ebraica, Mikael è l'angelo del Sole e Raphael l'angelo di Mercurio, ma accade talvolta che i ruoli si invertano. D'altronde, se Mikael, in quanto rappresentante del Metatron solare, è assimilato esotericamente al Cristo, Raphael, conformemente al significato del suo nome, è il «divino guaritore», e il Cristo viene visto anche come «guaritore spirituale» e come «riparatore»; del resto, si potrebbero trovare ancora altre correlazioni fra il Cristo e il principio rappresentato da Mercurio fra le sfere planetarie (*Ricorderemo, a titolo di curiosità, che il mese di maggio deriva il suo nome da Maia, madre di Mercurio (che è detta essere una delle Pleiadi), alla quale era anticamente consacrato; ora, nel Cristianesimo, è divenuto il mese di Maria», con un'assimilazione certo non solo fonetica fra Maria e Maia).  Per la verità, presso i Greci la medicina era attribuita ad Apollo, cioè al principio solare, e a suo figlio Asklepios (trasformato in Esculapio dai Latini); ma, nei «libri ermetici», Asklepios diventa figlio di Ermete; si noti poi che il bastone che costituisce il suo attributo ha stretti rapporti simbolici con il caduceo. L'esempio della medicina permette allora di comprendere come una medesima scienza possa avere degli aspetti che si riferiscono in realtà a differenti ordini, dal che derivano corrispondenze ugualmente differenti, anche se gli effetti che si producono all'esterno sono apparentemente simili, poiché vi è la medicina puramente spirituale o «teurgica», e vi è la medicina ermetica o «spagirica». Tutto questo, è in rapporto diretto con la questione che stiamo considerando; e forse un giorno spiegheremo perché la medicina, dal punto di vista tradizionale, era ritenuta essenzialmente una scienza sacerdotale".   [R. GUÉNON: Forme tradizionali e cicli cosmici - pp.112-13]   



L'angolo musicale:
MOZART: Conc. piano 17 K453 III
https://youtu.be/0xzvFxW5kR0?t=1381

Sariputra

#77
@Apeiron
Bisognerebbe intendere il buddhismo come una specie di coniglio. Come fai a tenere fermo un coniglio? Lo afferri per le orecchie...Ecco, le orecchie del coniglio rappresentano il Dhamma. Se afferri il Dhamma tieni ferma l'intera speculazione costruita su questi. Quindi, avendo ben chiaro che si tratta di "una manciata di foglie" l'Insegnamento e che dopottutto si tratta solo del dolore, della sua causa e dalla sua cessazione, domande metafisiche classiche come "Esiste un Principio originario?", "Il mondo è eterno oppure no?" non sono rilevanti per la pratica tesa al fine della liberazione dal dolore. Quindi cosa risponde Siddhartha a tutti quelli che gli oppongono le loro opinioni, i loro dubbi, le loro domande metafisiche?  Se ne sta in silenzio!...Ma è un silenzio "assordante", perché invita a rientrare in sé, a spostare il fuoco dell'attenzione. "Sauron" non spazia più con l'occhio per la Terra di mezzo, ma si osserva... ;D
Nella pratica il Dhamma buddhista potrebbe risolversi in questo: osservare la propria mente con attenzione e consapevolezza. Ma ovviamente non è tutto qui perché, per arrivare a questa osservazione in modo proficuo, ci si deve agganciare ad una condotta di vita morale ( e qui inizia il discorso religioso...), e la consapevolezza non può che sostenersi con la saggezza ( satipanna), tanto che le due cose non possono che andare avanti insieme. Scrivi:

Posso capire che un uomo con meno attaccamenti è "più forte" ma l'uomo senza attaccamenti è qualcosa di qualitativamente diverso dall'uomo. Così come l'infinito è qualcosa di qualitativamente diverso dal finito.

L'uomo con meno attaccamenti non è più "forte", semmai è più libero di un uomo pieno d'attaccamenti ai fenomeni condizionati. La natura di ambedue è uguale. In ognuno risiede la possibilità di liberarsi dall'attaccamento. La natura priva d'attaccamento  ( di contaminazioni) viene vista nel buddhismo come la condizione naturale della mente, mentre l'attaccamento è una forma di distorsione di questa qualità naturale, limpida della mente. Perché allora ci attacchiamo? La risposta che dà Siddhartha, che crede di aver trovato, è che ci attacchiamo a causa del desiderio ( di possesso, di esistere, di ri-esistere, di non-esistere, di piacere, ecc.). Anche il dubbio stesso viene visto come una forma di attaccamento, perché si dubita di tutto perché non si vuol arrivare a mettere in discussione il proprio desiderio, al quale si è tenacemente aggrappati per timore di "sprofondare" nella noia, per non osservare la propria fragilità e impermanenza. Naturalmente , se non si lascia andare l'attaccamento al dubbio ( che non significa diventare delle persone acritiche...) , se non si "apre la mano", si finisce per soffrire di tutto questo dubitare; non troviamo alcuna pace nel dubitare continuo...( problema che riguarda tutti noi, perché il dubbio in un certo senso è anch'esso una componente naturale della mente, che fa della sua stessa distorsione   un elemento sul quale fare "sostegno", in mancanza di una chiara comprensione...il dubbio te lo ritrovi sempre durante il cammino , per chi segue questo sentiero, è l'ultimo baluardo di Mara :P ).

Inoltre non vedo cosa possa c'entrare il BuddhaDhamma col fatto che il monismo sia falso che non ci sia un Principio Generatore ecc (tutte "eresie" rifiutate senza un minimo di argomentazione. Solo perchè sono tacciate con la sigla "papanca", proliferazione concettuale. O forse solo perchè il buddhismo nel tempo "voleva distinguersi"? Perchè ad esempio uno non può credere al Buddha e al Dao... ah giusto il Dao è eterno ma siccome non ci sono cose eterne perchè così è stato stabilito il Dao non esiste    questo non è spirito filosofico).

Il buddhismo rifiuta ogni forma di eternalismo che consista nel credere in una sostanza o entità permanente, sia essa concepita come una moltitudine di anime o di identità personali, create o meno, o come una monistica "anima del mondo", o come una divinità di qualsiasi tipo, o una combinazione di tutte queste. Nel Samyutta Nikaya troviamo questo discorso :
"Questo mondo solitamente dipende da un dualismo: dal credere nell'esistenza o non-esistenza...Evitando questi due estremi, il Perfetto espone la dottrina di mezzo: le formazioni kammiche dipendono dall'ignoranza...Al cessare dell'ignoranza , le formazioni kammiche cessano..."
I due termini esistenza (atthita) e non-esistenza (natthita) indicano la dualità imprigionante il pensiero nella visione buddhista. Questi due termini alludono alle teorie dell'eternalismo e del nichilismo, le fondamentali concezioni errrate della realtà secondo Siddhartha. Questi due punti divista  concordano nel presumere  qualcosa di statico, che può essere di natura permanente o impermanente. Il Buddha  invece ritiene che la realtà, nella su vera natura, sia un flusso continuo di processi materiali e mentali che si manifestano a causa di condizioni appropriate. questo processo cesserà solo quando queste condizioni verranno a cessare.
Insondabile è l'inizio di questo flusso, ma non si può ritenere eterno perchè, in mancanza di condizioni (materiali e mentali) appropriate , verrà a cessare. La cessazione di questo flusso nell'individuo è il Nibbana, l'estinzione delle formazioni karmiche che lo alimentano. L'elemento del Nibbana "trascende" questo flusso ma, per non farlo ricadere all'interno delle due concezioni ritenute errate, lo si definisce solo in negativo: non-nato, non-divenuto, non-composto, ecc.
La produzione condizionata (paticcasamuppada), essendo un processo ininterrotto, esclude la credenza in una inesistenza assoluta, o nulla, al termine dell'esistenza individuale, mentre la cessazione condizionata esclude la credenza in un'esistenza assoluta e permanente. Agganciandosi alla pratica questi due stati indicano il sorgere e il cessare di ogni fenomeno ( materiale e mentale) di cui si può far esperienza.
Il buddhismo vede anche delle radici emotive profonde che alimentano l'idea dell'eternalismo e del nichilismo, degli atteggiamenti fondamentali nei confronti della vita. Propendere per l'una o per l'altra può riflettere gli stati d'animo dell'ottimismo o del pessimismo, della speranza o della disperazione, del desiderio di sentirsi "sicuri" trovando un sostegno metafisico, oppure dal desiderio di vivere senza restrizioni in un universo concepito materialisticamente.
Pertanto l'individuo, nel corso della vita, può cambiare spesso i punti di vista teorici dell'eternalismo e del nichilismo, in relazione ai corrispondenti stati d'animo o bisogni emotivi.
Il Nibbana non può essere oggetto di speculazione teorica. Queste speculazioni sulla sua natura sono viste come "futili" o persino di ostacolo allo sforzo rivolto alla realizzazione di questo stato. La Terza Verità del buddhismo deve essere realizzata: non deve essere capita ( come la Prima), né sviluppata ( come la Quarta).
Il Nibbana è così elusivo al ragionamento che gli stessi autori buddhisti, molto spesso, non seppero evitare una visione parziale e limitata. I Sautantrika, per es., avevano una concezione negativa, mentre le visioni mahayana delle "Terre di Buddha", del Buddha Primordiale, del Tathagatagarbha, ecc. favorivano un'interpretazione positiva e metafisica.
Non dovremmo però intenderle come dogmi, come affermazioni arbitrarie e non argomentate, ma come  degli "indicatori", delle frecce che indicano una via da realizzare... :)
Penso che sia un pò limitante valutare una religione solo approfondendo la sua componente filosofica, soprattutto se non si compie un eguale sforzo verso la sua componente pratica. Sarebbe come studiare la teologia cristiana e non perdere un attimo di tempo per aiutare un sofferente. La possiamo veramente capire?... :(

P.S. Apeiron, conosci indubbiamente in profondità la filosofia buddhista ma non ti senti di definirti un buddhista. Io penso che, per noi occidentali, sia veramente difficile definirsi, se non un pò folkloristicamente come dei "buddhisti", in quanto, come giustamente osservi, bisogna in un certo senso abbarcciare anche il retroterra culturale che lo differenzia in tante scuole  anche così diverse fra loro. Quindi anche l'importanza, all'interno delle varie tradizioni, del mito popolare sviluppatosi sopra. Per me, per esempio, ho trovato che una parziale definizione  ( al netto che io odio le definizioni...) potrebbe essere "ispirato dal Dhamma"... ;D

P.S.II Le affinità tra buddhismo ed epicureismo ci sono, e sono pure notevoli. Ma ci sono pure molte cose che li differenziano. Sarebbe interessante aprire una discussione sul confronto tra i due sistemi...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

@Carlo: sì in questi ultimi post mi sono messo a sottolineare la componente mitica. Certamente tu da questo punto di vista ne sai più di me e mi sono piaciuti i tuoi contributi (Anche su Maia e Maria - a volte comincio a pensare che l'assonanza linguistica sia per così dire indice di una connessione profonda... il problema è che anche l'apofenia a volte fa brutti scherzi  :P  ovviamente sono d'accordo con te che i miti di base si somigliano e anche parecchio. Pensa che in Cina sono riusciti a ritenere che Laozi era una sorta di incarnazione del Dao stesso, anche se una cosa del genere non è nemmeno accennata nei primi scritti "daoisti", motivi per cui sono scettico dell'esistenza di una religione daoista... ma questo fa notare come una "sorta di incarnazione dell'Assoluto" in realtà è un "archetipo", per usare parole jughiane, molto diffuso). In ogni caso sulla questione del Logos incarnato... sì puoi dire che l'insegnamento "a parole" del Buddha è il "Dhamma nel Logos umano" ma mentre l'idea buddista è quella di "oltre-passare" la condizione umana nel caso del cristianesimo l'idea a mio giudizio è quasi opposta, ossia che la vita "carnale" è molto importante tant'è che Dio stesso si è incarnato. Ovviamente sul fatto che ci sia una somiglianza tra "chi vede il Dhamma vede me (e viceversa)" e "chi vede me vede il Padre" ed espressioni simili trovate nelle scritture su Krsna è innegabile: l'idea è che in qualche modo l'Assoluto sia per così dire "a contatto" col relativo, il Perfetto è a contatto con l'imperfetto ecc. Su queste idee la mia personale filosofia si trova d'accordo proprio perchè ritengo, come scritto più o meno qui https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/ateismo-e-proiezione-umana-di-dio/, che l'Assoluto è qualcosa per cui possiamo avere un qualche tipo di relazione almeno dal punto di vista contemplativo (come oggetto di meditazione o come oggetto di contemplazione "apofatica"). Ti consiglio di leggerti qualcosa sulla scuola Huayen del buddismo cinese (il concetto di "interpenetrazione tra Assoluto e Relativo").

@Sariputra, ti ringrazio della pazienza e del chiaro contributo ma come puoi immaginare la "mia mente di scimmia" (come direbbe un maestro Zen mentre mi bacchetta  ;D ), quella mia tendenza a "mettere in discussione tutto" ovviamente ha qualcosa da dire.  Il problema è che il concetto di "eternalismo" secondo me è riferito al sé, ossia è un concetto non-metafisico. Quando il buddhismo nega l'eternalismo non mi sembra intenzionato a negare una Sostanza "metafisica", ossia il Dhamma mi pare essere uno studio incredibilmente accurato della mente. Ergo: l'anatta non mi pare una negazione dell'esistenza di un Essere quanto invece uno stato della mente, ossia quando smette di "avere un senso del sé" (cosa che fin qui accomuna il buddhismo con altre tradizioni). Leggo "ogni cosa condizionata è anicca, quindi è dukkha, quindi è anatta" e leggo che "le cose condizionate sono formate dagli aggregati" e leggo "chiunque abbia formulato una teoria concernente l'esistenza di un atta ha identificato il sé con uno dei cinque aggregati, ossia con qualcosa di condizionato". Viceversa Buddha cercò e trovò stando alle suttas, sutras e alle scuole l'elemento "incondizionato". Sankhara nella sua Advaita riconobbe che il mondo "relativo" è anicca, dukkha e anatta ma disse che l'incondizionato è "Sé" polemizzando con i buddhisti perchè l'induismo aveva come primo assioma l'esistenza del sé. Ora quando io confronto i due sistemi mi sembra di trovare un equivoco abbastanza assurdo: il Nibbana è incondizionato e "senza sé" mentre Nirguna Brahman è incondizionato ma è "un sé". Gli Advaitin poi affermano che il "saggio" è "senza senso del sé". Zhuangzi ci dice che "l'uomo perfetto (quando si accorda al Dao) è senza sé". Sarà la mia apofenia (la tendenza a riconoscere schemi nelle cose - che può essere anche erronea ovviamente) ma a mio giudizio tutte queste tradizioni puntano ad una analoga (non "uguale" ma "analoga") "verità ultima", seppur per vie differenti.* Ora il rigetto di ogni forma di eternalismo "metafisico" a me sembra fuori tema, anche perchè quando gli fu chiesto a Buddha "il cosmo è perpetuo (più che "eterno", preferirsco "perpetuo")?", lui non rispose. Mentre infatti la dottrina delle rinascite volendo può essere riferita solo ad una verità della mente ben diverso è fare affermazioni su "qualcosa di esterno" e coerentemente non ne ha fatte. Quello che non mi convince in sostanza è che proprio l'uso indiscriminato della "teoria dell'anatta". Stando ad essa gli Sautatrinka hanno ragione (e la cosa per me è inacettabile, come posso ritenere che il Nulla sia qualcosa a cui portare riverenza e dare importanza?): "tutto il contenuto dell'esperienza, una volta abbandonato, diverrà freddo: rimangono solo i resti corporali" - i Sautantrika erano per così dire epicurei proprio perchè negavano l'esistenza di qualcosa di trascendente, oltre i cinque aggregati.  Ma la Sautratrinka mi sembra qualcosa di molto banale (e chi attira se non i devoti del Nulla? Schopenhauer a confronto era un ottimista  ;D ), non posso inginocchiarmi, non posso ritenere l'obbiettivo dei Sautrantrika una "resa che è una vittoria" bensì solo una "resa". E ahimé dal punto di vista logico i Sautratrinka sono impeccabili perchè d'altronde "tutto si raffredda, rimangono solo i resti corporali", loro d'altronde erano ben chiari sul fatto che un Assolutismo fondato solo su una Verità Assoluta (il Dhamma) senza un Assoluto "reale-sostanziale" non può essere nient'altro che un nichilsimo metafisico - ossia se la Realtà Ultima non è "qualcosa" allora è "niente" e dire che è "oltre ogni descrizione" è dire che è "qualcosa" e non una "via di mezzo". I Sautrantrika hanno una filosofia dal punto di vista logico compatibile con la filosofia esposta nelle suttas fintantoché ritieni come "espressioni per rendere il Dhamma invitante" la descrizione positiva del (Pari-)Nibbana. Questo a mio giudizio fu l'errore di tale scuola ma non posso "provare" di aver ragione, purtroppo è solo una questione quasi di "fede" dovuta alla mia personale esperienza di vita. Per il resto sono d'accordo con te e infatti mi rendo conto di non capirci nulla di buddhismo, nonostante i miei studi. L'elemento del Nibbana lo ritengo l'assoluto "reale" più "rigoroso" di ogni altra tradizione proprio perchè Buddha non lo descrive mai, è puro "apofatismo" (su quanta differenza ci sia tra questo apofatismo completo e la posizione Sautratrinka non ne ho idea. Ma piuttosto della filosofia Sautratrinaka preferisco la filosofia dell'"eterna Citta", della "Mente" del Lankavatara e dello Zen ecc o addirittura del "vero Sé" di qualche scuola, ossia piuttosto una descrizione "positiva" del Nibbana non deducibile espressamente dalle parole scritte nel Canone Pali). E inoltre non riesco a dire se il buddhismo è "superiore" alle scuole "simili" indù e a certi "aspetti" del daoismo. Non lo so.

Riguardo al dubbio ritengo che qui come giustamente tu dici della teologia cristiana si rischia di dimenticarsi che si vive  :-[ . Ma proprio per questo quel salto qualitativo mi sembra ahimé impossibile (sarà un problema mio?). Posso essere meno attaccato (ho scritto "più forte" tra virgolette proprio perchè non intendevo "forte". Non mi veniva la parola giusta, ritengo che "più libero" dia ugualmente l'idea) ma essere senza attaccamenti?  :-[  non mi sembra "qualcosa di umano", mi sembra un ideale a cui tendere: la suprema purezza, la suprema perfezione ecc. Mi chiedo: alcuni sono impossibilitati (almeno in questa vita)secondo il buddhismo a raggiungere l'Illuminazione, a realizzare la Terza (Nobile) Verità? Lo chiedo perchè almeno per quanto mi riguarda, mi sembra davvero impossibile (per ragioni che spiego subito) come obbiettivo (ok mi rendo conto che il "pensiero dell'io"  ;D ). Mi sembra come essere convinti che si possa pensare l'infinito. Mi sembra qualcosa di "oltre" (Oracolo di Delfi: "conosci te stesso", "pensa come un mortale" ecc l'essere "senza attaccamenti" mi sembra un salto qualitativo irrealizzabile - o forse lo è solo per i nostri tempi di degradazione del Dhamma ;D ? come la consapevolezza delle proprie debolezze e limitazioni è compatibile con una tale eventualità?)



*[FUORI TEMA: Ben diversi sono gli approcci bhakti (devozionali) - presenti tra l'altro in certe forme di buddhismo - che si fondano sull'esistenza dell'Assoluto Personale con cui puoi avere una relazione "di amore e devozione" (e ci metto anche le tradizioni abramtiche), nelle quali il "senso del sé" non viene "eliminato" bensì "trasformato" (e quindi in un certo senso "eliminato"). D'altronde l'immortalità dell'atman (jiva-atman) individuale sembra "garantita" solo in presenza di un Dio Personale...]
   
P.S. Per definirmi ho fatto un tentativo: ho scritto di essere un misto (ossia né carne né pesce  :( ) tra Pirrone (il "fallibilismo") e Platone (l'esistenza di qualcosa che è il Massimo Valore, simile alla Forma del Bene) - ma so che entrambi si rivoltano nella tomba dopo aver letto questo ;D . Ma anche "ispirato dal Dhamma" (ma non solo) va bene
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

@Apeiron
Nessuna pazienza da parte mia,, anzi...è molto utile scambiare le nostre opinioni sul Buddhismo anche per il sottoscritto. Lo costringe a ritrovare , nella memoria, un filo di ricordi che rischia sempre di logorarsi, o di spezzarsi addirittura. Ci fu un tempo in cui Sari...beh!Lasciamo perdere... :D
Le difficoltà d'interpretazione del Nibbana non ci devono demoralizzare. Essendo una cosa che va realizzata e non "capita" intellettualmente, concettualmente, è inevitabile che, al momento di tentare di descriverla per concetti, si vada incontri a interpretazioni non omogenee. Ma sembra più un problema della concettualizzazione, dell'idea che ci siamo fatti del Nibbana che non del Nibbana in sé.
Se poi pensi che, dopo 2.500 anni, ci sono ancora differenze di visione tra gli stessi buddhisti, è assolutamente normale che ve ne siano anche tra noi, che magari non abbiamo nemmeno praticato tanto come loro il Dhamma. Quello che so è che, a tutt'oggi, non ci sono scuole  e tradizioni buddhiste che abbiano un'interpretazione negativa del Nibbana. L'annientamento totale, il nichilismo, non è accettato da nessuna di queste ( anche se , a volte, alcune traduzioni che arrivano in Occidente sembrerebbero "tirare" da quella parte...ma io mi fido del parere del grande Nyanaponika Mahathera al riguardo... ;) ).
Il Nibbana non è "niente" , ma non è nemmeno "qualcosa". Quando si afferma questo è come un tentativo di trascendere il dualismo tipico della mente umana: qualcosa-niente, soggetto-oggetto, ecc.
Come si fa a definire correttamente come "qualcosa" uno stato da realizzare che trascende il linguaggio? Allo stesso tempo come si fa a definirlo "niente", visto che c'è, che si realizza? Se lo si definiva come "qualcosa" si rischiava di "entificarlo", come "niente" si cadeva nell'estremo del nichilismo. Purtroppo il Nibbana sfugge ad ogni definizione che possiamo dargli usando i mezzi limitati del linguaggio umano. Il Nibbana si realizza, ne possiamo fare esperienza. Quando brama, odio e illusione sono sradicate...eccolo realizzarsi, è lì, c'è sempre stato. Se lo vediamo "fuori" non lo troviamo. E' in questo corpo ( alto cinque piedi, ecc.) che c'è il sorgere del dolore e il suo svanire , la Cessazione ( Cessazione è un termine bellissimo se ci pensi,  nel Buddhismo non viene mai inteso, come da noi, in senso negativo ma è...la cessazione del dolore e il risveglio alla nostra vera natura, al Nibbana...).
Quando Siddhartha si è trovato sull'orlo della morte, per la durissima, inumana ascesi. Spossato nel corpo e nella mente, disperato per constatare che gli enormi sforzi fatti lungo sette anni non l'avevano portato a superare il dolore...è una bella immagine che ho trovato in un testo di Thich Nhat Hanh...si trova sul punto di gettare la spugna. L'impresa sembra impossibile. Quando...osservando un giovane pastore di bufali che stava facendo abbeverare gli animali al fiume, ha un'intuizione che è un ricordo. Si ricorda che, una volta, mentre stava osservando i contadini al lavoro nei campi, sotto l'ombra di un albero, aveva provato una pace senza parole, una calma consapevolezza della mente, un riposo fuori dal tempo si potrebbe dire...allora pensa:"Quello stato che provavo era privo di dolore, c'era serenità e gioia in me, non vi era traccia di brama, odio e illusione"...ecco l'intuizione fondamentale che lo porterà alla Bodhi. Il Nibbana è sempre con me, devo solo "togliere", non "aggiungere". Ecco il Dhamma del non-attaccamento, del non-aggiungere ( altra brama, altro odio, altra illusione...). Se pensiamo che il Nibbana è qualcosa di mostruosamente "trascendente" saremo solo impauriti, presumiamo di non essere all'altezza, di essere troppo limitati, imperfetti, condizionati dalle cose. Ma se invece lo sentiamo in noi le cose cambiano, forse si comincia a "vedere"... ( e poi si fa sera, e la pioggia cade, e riposiamo nel suo lento tintinnare ...). :)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

Grazie ancora Sariputra  ;) 

Il problema in genere degli Assoluti è che essi sono al tempo stesso "conoscibili" e "non conoscibili". Questo è un problema perchè ci costringe al tempo stesso di parlarne ma evidenziare che le nostre parole non sono altro che un "andare a tentoni". Eppure è l'unico modo per "far capire" questi "(psuedo)-concetti" a noi poveri esseri ingabbiati da Mara  :( . Un punto a favore del buddismo potrebbe essere, per assurdo, il fatto che non è per niente comprensibile dall'uomo mentre in genere nelle altre tradizioni l'Assoluto ha sempre una qualche "narrativa" associate: la Sorgente delle Cose, "Dio creò" ecc. Tutto questo nel buddismo non c'è eppure nel buddismo le descrizioni positive del Nibbana sono: "il Rifugio", "l'Oltre", "la Pace" ecc ossia tutti termini presenti anche altrove [E la Pace come tu mi fai notare è la Cessazione, così come quando bevo smetto di avere sete]. Sulla parte destruens il buddismo è qualcosa di estremamente rigoroso e severo: ogni metafisica viene analizzata e rifiutata con una "violenza" (lasciami usare questo termine) unica. L'apofatismo d'altronde è proprio questo: mostrare che i concetti che noi utilizziamo sono dopotutto insufficienti. Tuttavia il problema dell'apofatismo è che rischia di esagerare: non "capirò" mai l'infinito matematico eppure lo uso tutti i giorni nei miei conti - devo per così dire considerarlo come un "numero" anche se come numero è diverso da tutti gli altri. Allo stesso modo il sospetto che mi viene è che utilizzare una "visione" così "rigorista" del Nibbana, ossia rifiutare ogni "concettualizzazione" (ossia ogni "narrativa" - il "Dao" per esempio pur essendo "ineffabile" ci viene detto qualcosa, anche se ovviamente nemmeno quello che ci viene detto esaurisce il Dao...) perchè è una "realtà troppo trascendente" finisce per perdere la concretezza che lo stesso buddismo sostiene di utilizzare. Così ad esempio se uno mi chiede "cos'è il Nibbana?" probabilmente gli risponderò è "la Natura di Buddha, un "qualcosa" che è diverso da ogni "qualcosa"". Se gli rispondo quello che dici tu, credo, l'effetto non sarebbe troppo diverso. Il problema di togliere la "metafisica", la "realtà" dietro ai concetti è che anche il Dhamma, per assurdo, rischia di divenire qualcosa di astratto. Togliere "ogni narrativa" finisce per allontanarci da queste "realtà" trascendenti ancora di più. Motivo per cui sono personalmente convinto che l'anatta sia una "guida per la pratica" più che un'affermazione sulla realtà - ossia un "upaya", un mezzo per progredire nella meditazione, come potrebbero affermare i Mahayana. Perchè dire che "anatta= negazione dell'esistenza del sé" è a mio giudizio non molto diverso che parlare del'atta. Se io chiamo la "Mente del Buddha"  "atta/atman/"vero io"" in fin dei conti finisco per usare una parola "atta" diversa da "Mente del Buddha". Il risultato è però lo stesso - o almeno a me pare così. La veemenza con cui storicamente sono stati malvisti coloro che parlavano di "vero io" secondo me è infondata - così come la veemenza di chi critica il buddismo per l'anatta è infondata. Personalmente ritengo Buddha "più vicino" alla filosofia Vedanta rispetto per esempio all'epicureismo. Mentre per esempio la filosofia Vedanta riesce a darmi l'idea di una filosofia contemplativa (la bellezza, l'ordine, l'armonia delle cose per esempio...) l'epicureismo mi sembra una "filosofia pratica" per chi non è ancora disposto a "contemplare". 

Sul discorso che dici tu sul fatto che il Nibbana è "troppo trascendente": sì il rischio è un allontanamento ancora maggiore, il rischio è quello di non essere più smossi. Ma per esperienza personale mi sembra di vedere che chi più fa introspezione più è consapevole dei propri limiti e quindi è consapevole di quanto sia distante dalla "perfezione". Ora non so dire se è perchè manca l'allenamento, perchè ormai la capacità di recepire il Dhamma è diminuita, se è perchè non siamo inseriti nel mito o se è perchè il Buddha - inteso come essere infallibile e non come "persona storica" - è una leggenda e Siddharta Gotama, l'uomo in carne ed ossa, in realtà è stato preso come "modello". Non lo so. 

Sul rapporto buddismo-scienza qui sinceramente vedo una sorta di "incompatibilità" che mi suggerisce che forse il Buddha storico quando parlava di anatta ecc probabilmente parlava di tecniche meditative più che di vere e proprie "affermazioni sulla realtà". Infatti secondo (per esempio) Einstein:
La cosa più lontana dalla nostra esperienza è ciò che è misterioso. È l'emozione fondamentale accanto alla culla della vera arte e della vera scienza. Chi non lo conosce e non è più in grado di meravigliarsi, e non prova più stupore, è come morto, una candela spenta da un soffio. Fu l'esperienza del mistero – seppure mista alla paura – che generò la religione. Sapere dell'esistenza di qualcosa che non possiamo penetrare, sapere della manifestazione della ragione più profonda e della più radiosa bellezza, accessibili alla nostra ragione solo nelle forme più elementari

A me basta il mistero dell'eternità della vita e la vaga idea della meravigliosa struttura della realtà, insieme allo sforzo individuale per comprendere un frammento, anche il più piccino, della ragione che si manifesta nella natura.

Potremmo dire che «l'eterno mistero del mondo è la sua comprensibilità»

Ora mentre posso aspettarmi che per esempio un vedantino o un platonista possano essere d'accordo con queste frasi. Non riesco però a immaginarmi come questo tipo di riflessioni possano essere apprezzate in un contesto buddista. A me le suttas sembrano proprio ignorare la questione del fatto che il mondo appare come ordinato, regolare ecc. E almeno io non riesco a notare quel "senso di mistero" che "ci scalda i cuori" di cui anche Einstein parlava. Anche riflessioni come queste personalmente mi rendono difficile l'allontanamento da un qualche tipo di "eternalismo". Maledetto dubbio  ;D  Sari, ti chiedo, conosci se qualche scritto buddista parla della "comprensibilità del mondo"?
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

#81
@Apeiron
Uno dei motivi, a mio parere, della differenza che si pone tra la realizzazione del Nibbana e la moksa nel Brahman è nel punto iniziale ( l'atman individuale come entità sostanziale/reale è negato nel buddhismo dalla concezione onnipervadente dell'impermanenza-anicca). Il buddhismo nega l'esistenza intrinseca di ogni cosa, pertanto la critica dei sistemi atta è radicale. La natura di buddha è la vacuità e il Nibbana è il supremo vuoto (Nibbanam paramam sunnam-Il Nibbana è il supremo vuoto/ Nibbanam paramam sukham-Il Nibbana è la suprema gioia). Nei testi il Buddha insegna a vedere il mondo come vuoto: "Vedete il mondo come vuoto. Se sarete consapevoli della natura vuota del mondo, la morte non vi troverà". Questa frase si potrebbe anche intendere come:"Chi vede il mondo come vuoto si pone al di là del potere di dukkha, della sofferenza, che ha il suo prnicipale rappresentante nella morte". Questo lascia intendere, secondo me, che il vedere il mondo come vuoto fa sì che questo stesso vuoto si riveli la cosa più "alta". Se il Nibbana, l'estinzione totale di dukkha, è identico al supremo vuoto, ne consegue che c'è un vuoto non supremo, un vuoto imperfetto per così dire, incompleto, non totale. In questa incompletezza si insinua l'idea del "Vero sé" advaita, che "profuma" ancora , non so se il termine va bene, di senso ancorchè sublimato, raffinato, dell'Io/Mio, ossia del costruttore della casa del dolore, l'architetto del dukkha. Se non viene reciso l'Io/mio alla radice, attraverso la pratica del Nobile sentiero, ma anzi lo si ritiene il nucleo più essenziale, ciò che è vero, all'interno di noi, è evidente che questa "fusione" dell'atman nel Brahman è una finzione dell'Io/mio, un modo raffinatissimo di sublimarla. L'Io/mio, a mio vedere, è disposto a salvarsi mettendo in campo un'astuto artifizio concettuale: ossia si sdoppia. Da una parte si toglie realtà all'aspetto più esteriore, l'ego, ma dall'altra questo serve a rafforzare il senso interno di essere-qualcosa di duraturo, non soggetto all'impermanenza. Nel supremo vuoto buddhista, nel Nibbana, non c'è traccia di alcun sé; di nessuno "vero sé" e di nessun "falso sé" o di qualcosa appartenente al sé.
Quando però si dice che il Nibbana è la suprema felicità sorge ovviamente la domanda : ma chi la percepisce se nel nibbana non c'è alcun senso dell'Io/mio , del sè? Bisogna andarci cauti quando si usa il termine felicità o gioia perché si salta subito alle conclusione: Wow! il Nirvana è qualcosa di meraviglioso!...
Non si tratta della felicità che sperimentiamo normalmente o quella che sogniamo. E' di tutt'altro significato E' uno stato vuoto di qualunque "cosa" che vortichi, cambi , costruisca, proliferi, scorra. E' appunta la Cessazione, ossia qualcosa di realmente soddisfacente.
Adesso scappo a letto, perché l'argomento è veramente enorme e spero solo di aver messo giù qualche spunto...
Sul consiglio che mi chiedi, ossia qualche testo che parli della comprensibilità del mondo secondo la visione buddhista non mi viene in mente niente...cercherò se trovo qualcosa  tra la polvere della biblioteca della VIlla... :)

P.S. Sono però altresì "assolutamente" ;D ...convinto , come mi par di capire anche te, che , se parliamo di realizzazione esistenziale autentica di questo Incondizionato, non si possono formulare distinzioni. Le distinzioni sorgono sempre quando si passa dal piano esperienziale a quello concettuale, del linguaggio. Se qualcosa di incondizionato è attingibile dall'esperienza umana la domanda allora è: "E' autentica questa mia "realizzazione"?  Il problema mi sembra sempre che sorga quando passiamo nel territorio delle designazioni mentali. Ecco allora che un termine come "vero sé" diventa inaccettabile per un buddhista, che definisce questa realizzazione come Shunya (vuoto/vacuità), mentre la formazione filosofica del vedantino lo porta a definirlo come "vero sé", riferendosi entrambi alla stessa esperienza ( al netto dell'insidiosissimo pericolo che la concettualizzazione come "vero sè" mi sembra contenere, come ho scritto sopra, questa notte...). :)
Sulla strada del bosco
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Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

Concordo sulle distinzioni così come a quanto pare concordava Zhuangzi: "La comprensione degli uomini nei tempi antichi andava davvero lontano! Quanto? Al punto che alcuni di essi credevano che le cose non erano mai esistite - così lontano, verso quel termine, dove niente può essere aggiunto. Quelli al livello subito inferiore pensavano che le cose esistevano ma non avevano confini tra di loro."  ;)  La vacuità come giustamente affermi tu può in effetti "portare" a ciò "che c'è di più alto".

[per dire la somiglianza tra daoismo e buddismo. Di recente ho trovato molto simili l'espressione di "tathagata libero da ogni classificazione" e il concetto daoista "libertà senza nomi e senza desideri" (pu, legno non scolpito).]


Se tutto è perfetto "vuoto" allora è chiaro che non ci sono distinzioni (ossia la Mente non distingue più tra l'io e il non-io) e l'esperienza della realtà diventa immediata, immacolata ecc. Tuttavia quando leggo che Advaita dice "il Vero Sé è Brahman" non mi pare così diverso dal buddismo proprio perchè ci viene detto dalla stessa filosofia advaitin che tale "sé" è senza "senso del sé". Ora visto che al Parinibbana del Buddha l'universo non è "finito" e lo spirito del Buddha non è andato in un altro universo, allora sincertamente non vedo molta differenza -a livello "fenomenico" (so che la parola è sbagliata) - tra "l'unione/riassorbimento con/in Brahman", il Pari-nibbana, e il "ritorno al Dao" o al "Wu" (nulla). Addirittura la filosofia vedanta ci viene a dire che lo stato di "unione" è per così dire "più pacifica di un sonno senza sonni"  ;D  - al che si potrebbe obbiettare che allora Brahman è il Nulla e leggo "Brahman è il Vuoto"  ;D... sarò "eternalista" io ma sinceramente non vedo una vera distinzione tra queste cose a livello ultimo. Ben diverso però - questo te lo concedo - è che la descrizione di tale "processo" è totalmente diversa. Secondo me il rischio delle filosofie "eternalistiche" è proprio quello che non si "cessa" il senso di "Io" e "Mio" e anzi invece di inginocchiarsi e togliere l'"io" individuale si finisce per avere una sorta di "mania di grandezza", ossia per esempio credersi uguali all'universo (e quindi "tutto è mio"), cosa che Buddha esplicitamente nega. Tuttavia il grande equivoco nasce secondo me dal fatto che mentre gli indù in genere descrivono il loro sentiero come "una ricerca del vero io" i buddisti descrivono il loro sentiero come "una ricerca della liberazione dall'io" - nozioni che sono superficialmente contrastanti ma che a mio giudizio non sono poi così distanti: in entrambi i casi l'obbiettivo è rimuovere "il falso io". In genere credo che ci sia un equivoco e che quando Buddha parla di "io" parli veramente di una "mente con senso del sé" mentre un indù ha in mente l'io come "qualcosa". Entrambi usano gli stessi termini ma in modo diverso. Da entrambi differisce di molto il gianismo nel quale è l'anima individuale a liberarsi, anche se forse anche in questo caso "il senso del sé viene elimitato"  ;D  Il punto è che in sostanza per un buddista le dottrine delle altre tradizioni in realtà possono essere anche "vere" ma l'unica che "libera" è quella buddista, proprio perchè mentre nel caso del daoismo uno comunque ha il "concetto del Dao" in mente, nel buddismo la mente è libera sia da oggetto che da soggetto. Schopenhauer intuì questo nella citazione che ho riportato nella risposta #46. Il buddismo perciò potrebbe essere la "retta visione" non perchè "è una teoria" ma perchè è un metodo per raggiungere quel "nulla", quella "cessazione", di cui parlano anche le altre tradizioni. Per quanto mi riguarda il vantaggio del buddismo è che nei millenni ha mantenuto molto bene le pratiche meditative mentre la filosofia vedanta non ha mai raggiunto tale sistematicità e ancora di meno il daoismo. Ma a livello di "dottrina", a livello di "intuizione", probabilmente sono agli stessi livelli e non riesco a preferirne davvero uno rispetto agli altri - da questo punto di vista la storia degli uomini ciechi con l'elefante potrebbe essere illuminante. Oppure è solo "apofenia" e sto accumulando "cattivo karma" ;D però quando uno vede le connessioni tra le idee difficilmente se ne sta zitto... ossia quando uno vede espressioni come "Brahman è il vuoto", "più pacifico del sonno senza sogni", "il Dao in eterno non agisce", "semplicità senza nomi è senza desideri", "il saggio desidera di non desiderare", "attieniti al supremo non-essere, stai nella massima calma", "Cessazione", "Vacuità" ecc non ci vedo questa grande differenza  ;) Dal punto di vista dottrinale "reintrodurre" il Sé mi sembra un "peccato" molto minore di chi ad esempio "toglie" sostanzialità al Nirvana così tanto da rimanere col Nulla inteso come lo intendiamo noi in occidente ;)


P.S. Mi è venuto in mente l'idea che il daoismo sia originato da una qualche filosofia di indiana. Mi pare troppo diverso da tutte le altre tradizioni cinesi ma forse anche questa è "apofenia" ::)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

Il ruolo centrale, fondamentale nel buddhismo è dato dalla diretta comprensione dell'impermanenza (anicca). Anicca sta all'inizio, al centro e alla fine del cammino di Siddhartha stesso. E' nell'incontro con anicca, nella figura del vecchio, del malato, del morente che Siddhartha matura la volontà di comprensione. E' nell'osservazione di anicca che trova la liberazione. Questo ruolo centrale dell'impermanenza è il tratto tipico del buddhismo che, a parere mio, lo differenzia dalle altre religioni ed è da tener presente nel confronto con i sistemi filosofici sorti sulle Upanishad. Gotama disse:
Meditatori, a colui che percepisce l'impermanenza si manifesta chiaramente la percezione dell'inconsistenza e mancanza di un Io. E in chi percepisce questa inconsistenza, l'egoismo viene distrutto. E, come risultato, ottiene la liberazione persino in questa stessa vita. La comprensione di anicca conduce automaticamente alla comprensione di anatta e dukkha (non-sé e sofferenza), e chiunque realizzi questi fatti si trova naturalmente sul cammino che conduce fuori dalla sofferenza. 
Sul fatto che trovi molte assonanze tra le varie forme spirituali dell'India e financo della Cina, ho trovato un passo di Sayagyi U Ba Khin, grandissimo maestro di meditazione buddhista morto nel 1971:
Le verità di cui egli parlava (il Buddha storico) erano conosciute anche prima di lui, ed erano comuni nell'India dei suoi tempi. Egli non inventò i concetti dell' impermanenza, della sofferenza e dell'inconsistenza dell'Io. La sua unicità e peculiarità consiste nell'aver trovato una via per passare dai discorsi sulla verità alla diretta esperienza della verità.
Per questo motivo il Dhamma è così fondamentalmente "pratico", diretto e, nonostante abbia nel tempo sviluppato una filosofia e una psicologia raffinatissime, mette quasi in secondo piano la speculazione. Questo magari ad un filosofo può in un certo senso dare "fastidio", essendo più attratto dal teorizzare che dal fare, dal meditare, dal perdere tempo ad osservarsi. Ma non è un problema del Dhamma, bensì dell'approccio che ne abbiamo singolarmente, personalmente...
Nel Brahamajala Suttanta il Buddha fa un elenco di tutte le credenze, le opinioni e i punti di vista del suo tempo e poi afferma di conoscere qualcosa molto oltre tutti quei punti di vista:
Avendo fatto esperienza di come realmente sono il sorgere e il passare delle sensazioni, l'attaccamento verso di esse,il pericolo insito in esse e il distaccarsi da esse, l'Illuminato, o monaci, è diventato distaccato e liberato.
In questo passo Siddhartha dichiara che è diventato un Buddha osservando le sensazioni fisiche come manifestazioni di impermanenza. L'impermanenza, ancora, si rivela il fatto centrale che bisogna comprendere. senza comprensione di anicca non può esserci Nibbana. E' osservando l'impermanenza delle sensazioni corporee che il meditante si avvicina allo stadio incondizionato del Nibbana, al di là delle esperienze sensoriali.
Nei sistemi vedici, come ho già scritto, sembra palesarsi una sorta di sdoppiamento: falso Io/ vero Io. Ma nella meditazione questa frattura non esiste. esiste solo la consapevolezza dei fenomeni fisici e mentali e la loro impermanenza, soggetti al sorgere e cessare. Non è dato trovare alcun "falso Io" e nemmeno nessun "vero io". La consapevolezza non può essere un "Io", che è un aggregato.
Non è che possiamo buttare fuori dalla porta il "falso sé" e quello poi rientra dalla finestra ( mistica finestra) come "vero sé". Per il Buddha c'è un unico sè, ed è vuoto di esistenza intrinseca, come tutti i fenomeni che hanno origine dipendente. :)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Carlo Pierini

Citazione di: Sariputra il 23 Settembre 2017, 00:53:46 AM
Il ruolo centrale, fondamentale nel buddhismo è dato dalla diretta comprensione dell'impermanenza (anicca). Anicca sta all'inizio, al centro e alla fine del cammino di Siddhartha stesso. E' nell'incontro con anicca, nella figura del vecchio, del malato, del morente che Siddhartha matura la volontà di comprensione. E' nell'osservazione di anicca che trova la liberazione. Questo ruolo centrale dell'impermanenza è il tratto tipico del buddhismo che, a parere mio, lo differenzia dalle altre religioni ed è da tener presente nel confronto con i sistemi filosofici sorti sulle Upanishad. Gotama disse:
Meditatori, a colui che percepisce l'impermanenza si manifesta chiaramente la percezione dell'inconsistenza e mancanza di un Io. E in chi percepisce questa inconsistenza, l'egoismo viene distrutto. E, come risultato, ottiene la liberazione persino in questa stessa vita. La comprensione di anicca conduce automaticamente alla comprensione di anatta e dukkha (non-sé e sofferenza), e chiunque realizzi questi fatti si trova naturalmente sul cammino che conduce fuori dalla sofferenza.
Sul fatto che trovi molte assonanze tra le varie forme spirituali dell'India e financo della Cina, ho trovato un passo di Sayagyi U Ba Khin, grandissimo maestro di meditazione buddhista morto nel 1971:
Le verità di cui egli parlava (il Buddha storico) erano conosciute anche prima di lui, ed erano comuni nell'India dei suoi tempi. Egli non inventò i concetti dell' impermanenza, della sofferenza e dell'inconsistenza dell'Io. La sua unicità e peculiarità consiste nell'aver trovato una via per passare dai discorsi sulla verità alla diretta esperienza della verità.
Per questo motivo il Dhamma è così fondamentalmente "pratico", diretto e, nonostante abbia nel tempo sviluppato una filosofia e una psicologia raffinatissime, mette quasi in secondo piano la speculazione. Questo magari ad un filosofo può in un certo senso dare "fastidio", essendo più attratto dal teorizzare che dal fare, dal meditare, dal perdere tempo ad osservarsi. Ma non è un problema del Dhamma, bensì dell'approccio che ne abbiamo singolarmente, personalmente...
Nel Brahamajala Suttanta il Buddha fa un elenco di tutte le credenze, le opinioni e i punti di vista del suo tempo e poi afferma di conoscere qualcosa molto oltre tutti quei punti di vista:
Avendo fatto esperienza di come realmente sono il sorgere e il passare delle sensazioni, l'attaccamento verso di esse,il pericolo insito in esse e il distaccarsi da esse, l'Illuminato, o monaci, è diventato distaccato e liberato.
In questo passo Siddhartha dichiara che è diventato un Buddha osservando le sensazioni fisiche come manifestazioni di impermanenza. L'impermanenza, ancora, si rivela il fatto centrale che bisogna comprendere. senza comprensione di anicca non può esserci Nibbana. E' osservando l'impermanenza delle sensazioni corporee che il meditante si avvicina allo stadio incondizionato del Nibbana, al di là delle esperienze sensoriali.
Nei sistemi vedici, come ho già scritto, sembra palesarsi una sorta di sdoppiamento: falso Io/ vero Io. Ma nella meditazione questa frattura non esiste. esiste solo la consapevolezza dei fenomeni fisici e mentali e la loro impermanenza, soggetti al sorgere e cessare. Non è dato trovare alcun "falso Io" e nemmeno nessun "vero io". La consapevolezza non può essere un "Io", che è un aggregato.
Non è che possiamo buttare fuori dalla porta il "falso sé" e quello poi rientra dalla finestra ( mistica finestra) come "vero sé". Per il Buddha c'è un unico sè, ed è vuoto di esistenza intrinseca, come tutti i fenomeni che hanno origine dipendente. :)

Continuo a vedere il buddhismo come una filosofia gravemente mutilata. Se all'uomo togli il mondo e il corpo (maya, impermanenza), la verità nella parola e nell'intelletto (la conoscenza), il suo "io" e la sua relazione con Dio, resta solo un ombellico individuale che, perdipiù, è ...vuoto! ...C'e qualcosa che non torna!

Sariputra

@C.Pierini scrive:
Continuo a vedere il buddhismo come una filosofia gravemente mutilata. Se all'uomo togli il mondo e il corpo (maya, impermanenza), la verità nella parola e nell'intelletto (la conoscenza), il suo "io" e la sua relazione con Dio, resta solo un ombellico individuale che, perdipiù, è ...vuoto! ...C'e qualcosa che non torna!

No, resta un "regno" di consapevolezza non egoistica, non fondata sull'Io/mio, sui suoi attaccamenti e sul suo ritenersi altro da ciò che lo circonda. In questa consapevolezza sorge spontanea una vera compassione, non una compassione utilitaristica fondata sulla paura. Resta anche un "regno" di libertà autentica seppur forzatamente limitata dalla condizione umana ( il Kamma che necessariamente deve maturare i suoi frutti...). La vacuità è pure un "regno" di spazio illimitato dove la mente può percepire, nell'impermanenza di ogni cosa, una immensa, struggente Bellezza.
Quello che si toglie  quindi fa spazio a qualcosa di enormemente più alto, più "nobile" ( in senso spirituale...). Perdendo si guadagna molto di più.  :)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
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Carlo Pierini

Citazione di: Sariputra il 23 Settembre 2017, 18:09:08 PM
@C.Pierini scrive:
Continuo a vedere il buddhismo come una filosofia gravemente mutilata. Se all'uomo togli il mondo e il corpo (maya, impermanenza), la verità nella parola e nell'intelletto (la conoscenza), il suo "io" e la sua relazione con Dio, resta solo un ombellico individuale che, perdipiù, è ...vuoto! ...C'e qualcosa che non torna!

No, resta un "regno" di consapevolezza non egoistica, non fondata sull'Io/mio, sui suoi attaccamenti e sul suo ritenersi altro da ciò che lo circonda. 


La "con-sapevolezza" presuppone l'esistenza di un soggetto cosciente e di un oggetto di cui il soggetto è con-sapevole ("con-" presuppone una dualità). Ma se tu mi togli l'"io" - che rappresenta il soggetto - e poi mi presenti come illusorio sia il mondo esterno (maya) sia la realtà interiore (il vuoto), cosa resta da considerare come "con-sapevolezza"? Il Nulla assoluto? Se l'io è illusorio, come fa ad "attaccarsi" a qualcosa di altrettanto illusorio? Chi "si attacca" a cosa?
Va bene rifiutare il Logos, ma se poi si vogliono scrivere dei testi sul buddhismo utilizzando il Logos, se ne devono rispettare le regole più elementari; oppure si sta in silenzio e non si scrivono libri. Insomma, non si può pretendere la botte piena e la moglie ubriaca. Vedo che c'è più Logos in questo topic sul buddhismo che in qualunque altro topic di questo forum. Per cui decidetevi, ...o buddhisti! O rifiutate il Logos e state in silenzio, oppure ne fate uso rispettandone i canoni.  Altrimenti mi sembra troppo comodo fare affermazioni e poi nascondersi alle critiche con il pretesto che esse seguono le regole inaccettabili del Logos, come se le vostre affermazioni non facessero parte del Logos.  ...Dico bene?




L'angolo musicale:
MARIE LAFORET - La vendemmia dell'amore
https://youtu.be/q4oPhGUxFRk

Sariputra

#87
Citazione di: Carlo Pierini il 23 Settembre 2017, 21:03:51 PM
Citazione di: Sariputra il 23 Settembre 2017, 18:09:08 PM@C.Pierini scrive: Continuo a vedere il buddhismo come una filosofia gravemente mutilata. Se all'uomo togli il mondo e il corpo (maya, impermanenza), la verità nella parola e nell'intelletto (la conoscenza), il suo "io" e la sua relazione con Dio, resta solo un ombellico individuale che, perdipiù, è ...vuoto! ...C'e qualcosa che non torna! No, resta un "regno" di consapevolezza non egoistica, non fondata sull'Io/mio, sui suoi attaccamenti e sul suo ritenersi altro da ciò che lo circonda.
La "con-sapevolezza" presuppone l'esistenza di un soggetto cosciente e di un oggetto di cui il soggetto è con-sapevole ("con-" presuppone una dualità). Ma se tu mi togli l'"io" - che rappresenta il soggetto - e poi mi presenti come illusorio sia il mondo esterno (maya) sia la realtà interiore (il vuoto), cosa resta da considerare come "con-sapevolezza"? Il Nulla assoluto? Se l'io è illusorio, come fa ad "attaccarsi" a qualcosa di altrettanto illusorio? Chi "si attacca" a cosa? Va bene rifiutare il Logos, ma se poi si vogliono scrivere dei testi sul buddhismo utilizzando il Logos, se ne devono rispettare le regole più elementari; oppure si sta in silenzio e non si scrivono libri. Insomma, non si può pretendere la botte piena e la moglie ubriaca. Vedo che c'è più Logos in questo topic sul buddhismo che in qualunque altro topic di questo forum. Per cui decidetevi, ...o buddhisti! O rifiutate il Logos e state in silenzio, oppure ne fate uso rispettandone i canoni. Altrimenti mi sembra troppo comodo fare affermazioni e poi nascondersi alle critiche con il pretesto che esse seguono le regole inaccettabili del Logos, come se le vostre affermazioni non facessero parte del Logos. ...Dico bene? L'angolo musicale: MARIE LAFORET - La vendemmia dell'amore https://youtu.be/q4oPhGUxFRk

Il "logos" buddhista  ha la finalità di indicare una via da praticare. E' semplicemente il dito che indica la Luna. Non è la Luna. Tu invece, mi sembra di capire, ritieni che il logos sia la Luna stessa.  Questo concetto non è accettato come valido nella filosofia e nella pratica buddhista.
E' la funzione cosciente (vinnana) della mente che è consapevole, il lucido specchio su cui i fenomeni si specchiano , compreso il senso dell'Io/mio ( che è una sensazione come le altre percepita da vinnana/coscienza, sensazione intesa come percezione psicologica, impressione...). Dalla assunzione della sensazione di un "Io" come di qualcosa di durevole, immutabile, stabile, nasce ciò che appartiene all'io, cioè il Mio, e quindi ogni forma di attaccamento.

E' sicuramente molto più saggio stare in silenzio, ma d'altronde si ha pure a volte la necessità di mettere in guardia che si sta prendendo il dito per la Luna... :)
Poi, vista la penuria di utenti che scrivono, diventa quasi un'esigenza , anche solo per bilanciare le varie posizioni e , se uno ci riesce, suscitare un interesse , una curiosità verso modi e mondi di pensiero altri ai nostri consueti occidentali; mondi di fronte ai quali mi sento non più di un'umile apprendista... ;)

Posto un contributo di Riccardo Venturini che lo spiega meglio di me:

Il silenzio del Buddha sulla Realtà ultima non è dunque un silenzio agnostico o strumentale, ma — per usare un termine della tradizione cristiana — un silenzio "apofatico", aspetto essenziale non solo dell'insegnamento, ma della stessa dottrina. L'inesprimibilità della Verità ultima non ha, cioè, origine da un'insufficienza conoscitiva umana, ma è un carattere costitutivo della verità. Solo una via apofatica, una via "negativa", può essere quindi proposta riguardo a
essa, una via che si ponga al di là di tutti i dualismi propri dell'intelletto discorsivo e discriminante.
L'insegnamento supremo di tutti i Buddha è giocato continuamente nella dialettica tra verità convenzionale (e mezzi didattici "provvisori"), da un lato, e Verità ultima, inesprimibile, dall'altro. Leggiamo nel Sutra del loto:
Questo Dharma è inesprimibile, è al di là del regno dei termini, [...] non è cosa che possa essere compresa mediante il ragionamento discorsivo e la discriminazione; solo i Buddha possono conoscerlo.
La Realtà ultima, essendo nel buddhismo definita come Vacuità, risulta non oggettivabile, non concepibile, non raggiungibile dalla coscienza ordinaria. Non si ripeterà mai abbastanza che con Vacuità non si indica il nulla, ma la mancanza di esistenza intrinseca dei fenomeni, ossia l'aspetto relazionale e interdipendente della realtà fenomenica.
È stato detto, dal filosofo Whitehead, che il cristianesimo è una religione che ha cercato una metafisica attraverso la quale interpretarsi, mentre il buddhismo è una dottrina di vita che ha cercato di farsi religione per potersi esprimere. Dobbiamo riconoscere che il buddhismo ha usato felicemente il veicolo religioso, perché, anche se in esso possiamo trovare molti punti in comune, ad esempio, con dottrine etiche dell'antichità classica, queste sono oggi soltanto capitoli di storia della filosofia, mentre il buddhismo continua a essere una grande, vivente realtà spirituale, in cui si riconoscono milioni di uomini. In verità, per rispondere a questa domanda occorre interrogarci su quello che, parafrasando Rolan Barthes, si potrebbe chiamare il "grado zero della religione". Al suo grado zero, il sentimento religioso sembra caratterizzarsi come domanda sul senso ultimo della vita, accompagnata da un sentimento di insoddisfazione nei confronti della realtà del mondo, ovvero dalla convinzione che quella del mondo ordinario non sia l'unica realtà o, ancora, che il modo ordinario di guardare il mondo non sia l'unico modo. Attraverso un diverso
atteggiamento e un diverso modo di guardare è infatti possibile intravvedere una realtà altra, stabilire con essa una qualche forma di comunicazione e, possibilmente, di comunione.
Come si esprime con grande semplicità un sociologo della religione, J. A. Beckford,
sarà sufficiente definire la religione un interesse per un sentimento di universalità o per il significato ultimo delle cose . 

P.S. Il Sari e il giovane filosofo Apeiron, con il contributo di altri, hanno cercato di sviluppare , nei loro limiti, un tema portando le loro riflessioni, critiche ed esperienze personali. In altre discussioni si finisce spesso per "litigare" verbalmente , tutto a scapito dell'approfondimento del tema, approfondimento che così viene a latitare...
Sulla strada del bosco
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Carlo Pierini

#88
Citazione di: Sariputra il 23 Settembre 2017, 21:51:05 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 23 Settembre 2017, 21:03:51 PM
Citazione di: Sariputra il 23 Settembre 2017, 18:09:08 PM@C.Pierini scrive: Continuo a vedere il buddhismo come una filosofia gravemente mutilata. Se all'uomo togli il mondo e il corpo (maya, impermanenza), la verità nella parola e nell'intelletto (la conoscenza), il suo "io" e la sua relazione con Dio, resta solo un ombellico individuale che, perdipiù, è ...vuoto! ...C'e qualcosa che non torna! No, resta un "regno" di consapevolezza non egoistica, non fondata sull'Io/mio, sui suoi attaccamenti e sul suo ritenersi altro da ciò che lo circonda.
La "con-sapevolezza" presuppone l'esistenza di un soggetto cosciente e di un oggetto di cui il soggetto è con-sapevole ("con-" presuppone una dualità). Ma se tu mi togli l'"io" - che rappresenta il soggetto - e poi mi presenti come illusorio sia il mondo esterno (maya) sia la realtà interiore (il vuoto), cosa resta da considerare come "con-sapevolezza"? Il Nulla assoluto? Se l'io è illusorio, come fa ad "attaccarsi" a qualcosa di altrettanto illusorio? Chi "si attacca" a cosa? Va bene rifiutare il Logos, ma se poi si vogliono scrivere dei testi sul buddhismo utilizzando il Logos, se ne devono rispettare le regole più elementari; oppure si sta in silenzio e non si scrivono libri. Insomma, non si può pretendere la botte piena e la moglie ubriaca. Vedo che c'è più Logos in questo topic sul buddhismo che in qualunque altro topic di questo forum. Per cui decidetevi, ...o buddhisti! O rifiutate il Logos e state in silenzio, oppure ne fate uso rispettandone i canoni. Altrimenti mi sembra troppo comodo fare affermazioni e poi nascondersi alle critiche con il pretesto che esse seguono le regole inaccettabili del Logos, come se le vostre affermazioni non facessero parte del Logos. ...Dico bene? L'angolo musicale: MARIE LAFORET - La vendemmia dell'amore https://youtu.be/q4oPhGUxFRk

Posto un contributo di Riccardo Venturini:

Il silenzio del Buddha sulla Realtà ultima non è dunque un silenzio agnostico o strumentale, ma — per usare un termine della tradizione cristiana — un silenzio "apofatico", aspetto essenziale non solo dell'insegnamento, ma della stessa dottrina. L'inesprimibilità della Verità ultima non ha, cioè, origine da un'insufficienza conoscitiva umana, ma è un carattere costitutivo della verità. Solo una via apofatica, una via "negativa", può essere quindi proposta riguardo a
essa, una via che si ponga al di là di tutti i dualismi propri dell'intelletto discorsivo e discriminante.
L'insegnamento supremo di tutti i Buddha è giocato continuamente nella dialettica tra verità convenzionale (e mezzi didattici "provvisori"), da un lato, e Verità ultima, inesprimibile, dall'altro. Leggiamo nel Sutra del loto:
Questo Dharma è inesprimibile, è al di là del regno dei termini, [...] non è cosa che possa essere compresa mediante il ragionamento discorsivo e la discriminazione; solo i Buddha possono conoscerlo.

Il rischio del metodo "apofatico" è che, se non è bilanciato dal suo opposto complementare "catafatico", a forza di "togliere" si finisce col non far restare nulla.
Voglio dire: è vero che la Realtà ultima in sé è inesprimibile, ma è anche vero che se Essa fosse assolutamente separata e isolata dalla realtà immanente, se fosse una assoluta "Vacuità", nessuno ne avrebbe mai avvertito la presenza, né mai se ne sarebbe sentito parlare. Mentre, al contrario, la storia umana è stracolma fino all'inverosimile di testimonianze di "contatti" attorno ai quali si sono cristallizzate miriadi di religioni e di civiltà fondate sui loro insegnamenti. Inoltre, non è concepibile che la nostra realtà immanente non abbia alcun legame con la Realtà assoluta, che sia, cioè, una sorta di accidentalità cosmica assolutamente illusoria e priva di senso e da cui non resta che "staccarsi" ("non attaccamento", ascetismo) per poi fuggire quanto prima e tornare al "Grembo materno" dell'Assoluto. Mi sembra molto più ragionevole credere che, se siamo stati "catapultati" da quel "Grembo materno" in questo nostro Mondo materiale, una ragione dovrà pur esserci; e mi pare altrettanto ragionevole pensare che questo stesso nostro Mondo non sia affatto un capriccio del caso, ma che derivi in qualche modo dall'Assoluto, che ne sia una emanazione "fatta a Sua immagine e somiglianza" e che, pertanto, come intuiva Tommaso, nella conoscenza profonda di esso sia possibile vedervi rispecchiato l'Assoluto stesso.
Se così fosse, allora, il nostro scopo non sarebbe quello di fuggire attraverso il "non-attaccamento" e l'ascetismo, ma quello di amare il nostro Mondo e di conoscerlo profondamente, sapendo di amare in lui l'immagine dell'Assoluto; un'immagine non più ineffabile e inesprimibile, ma perfettamente dicibile e rappresentabile come Principio del Mondo. ...E chissà che il famoso detto: "Chi vede me, vede il Dhamma", non voglia significare proprio questo; che il Buddha, cioè, non sia che un simbolo del Mondo in cui si rispecchia il Dhamma Assoluto, il Verbo creatore.


L'angolo musicale:
CATHERINE SPAAK: Quelli della mia età
https://youtu.be/hQJJR59LZU4

Sariputra

#89
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Settembre 2017, 02:47:47 AM
Citazione di: Sariputra il 23 Settembre 2017, 21:51:05 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 23 Settembre 2017, 21:03:51 PM
Citazione di: Sariputra il 23 Settembre 2017, 18:09:08 PM@C.Pierini scrive: Continuo a vedere il buddhismo come una filosofia gravemente mutilata. Se all'uomo togli il mondo e il corpo (maya, impermanenza), la verità nella parola e nell'intelletto (la conoscenza), il suo "io" e la sua relazione con Dio, resta solo un ombellico individuale che, perdipiù, è ...vuoto! ...C'e qualcosa che non torna! No, resta un "regno" di consapevolezza non egoistica, non fondata sull'Io/mio, sui suoi attaccamenti e sul suo ritenersi altro da ciò che lo circonda.
La "con-sapevolezza" presuppone l'esistenza di un soggetto cosciente e di un oggetto di cui il soggetto è con-sapevole ("con-" presuppone una dualità). Ma se tu mi togli l'"io" - che rappresenta il soggetto - e poi mi presenti come illusorio sia il mondo esterno (maya) sia la realtà interiore (il vuoto), cosa resta da considerare come "con-sapevolezza"? Il Nulla assoluto? Se l'io è illusorio, come fa ad "attaccarsi" a qualcosa di altrettanto illusorio? Chi "si attacca" a cosa? Va bene rifiutare il Logos, ma se poi si vogliono scrivere dei testi sul buddhismo utilizzando il Logos, se ne devono rispettare le regole più elementari; oppure si sta in silenzio e non si scrivono libri. Insomma, non si può pretendere la botte piena e la moglie ubriaca. Vedo che c'è più Logos in questo topic sul buddhismo che in qualunque altro topic di questo forum. Per cui decidetevi, ...o buddhisti! O rifiutate il Logos e state in silenzio, oppure ne fate uso rispettandone i canoni. Altrimenti mi sembra troppo comodo fare affermazioni e poi nascondersi alle critiche con il pretesto che esse seguono le regole inaccettabili del Logos, come se le vostre affermazioni non facessero parte del Logos. ...Dico bene? L'angolo musicale: MARIE LAFORET - La vendemmia dell'amore https://youtu.be/q4oPhGUxFRk
Posto un contributo di Riccardo Venturini:
Il silenzio del Buddha sulla Realtà ultima non è dunque un silenzio agnostico o strumentale, ma — per usare un termine della tradizione cristiana — un silenzio "apofatico", aspetto essenziale non solo dell'insegnamento, ma della stessa dottrina. L'inesprimibilità della Verità ultima non ha, cioè, origine da un'insufficienza conoscitiva umana, ma è un carattere costitutivo della verità. Solo una via apofatica, una via "negativa", può essere quindi proposta riguardo a essa, una via che si ponga al di là di tutti i dualismi propri dell'intelletto discorsivo e discriminante. L'insegnamento supremo di tutti i Buddha è giocato continuamente nella dialettica tra verità convenzionale (e mezzi didattici "provvisori"), da un lato, e Verità ultima, inesprimibile, dall'altro. Leggiamo nel Sutra del loto:

Questo Dharma è inesprimibile, è al di là del regno dei termini, [...] non è cosa che possa essere compresa mediante il ragionamento discorsivo e la discriminazione; solo i Buddha possono conoscerlo.
Il rischio del metodo "apofatico" è che, se non è bilanciato dal suo opposto complementare "catafatico", a forza di "togliere" si finisce col non far restare nulla. Voglio dire: è vero che la Realtà ultima in sé è inesprimibile, ma è anche vero che se Essa fosse assolutamente separata e isolata dalla realtà immanente, se fosse una assoluta "Vacuità", nessuno ne avrebbe mai avvertito la presenza, né mai se ne sarebbe sentito parlare. Mentre, al contrario, la storia umana è stracolma fino all'inverosimile di testimonianze di "contatti" attorno ai quali si sono cristallizzate miriadi di religioni e di civiltà fondate sui loro insegnamenti. Inoltre, non è concepibile che la nostra realtà immanente non abbia alcun legame con la Realtà assoluta, che sia, cioè, una sorta di accidentalità cosmica assolutamente illusoria e priva di senso e da cui non resta che "staccarsi" ("non attaccamento", ascetismo) per poi fuggire quanto prima e tornare al "Grembo materno" dell'Assoluto. Mi sembra molto più ragionevole credere che, se siamo stati "catapultati" da quel "Grembo materno" in questo nostro Mondo materiale, una ragione dovrà pur esserci; e mi pare altrettanto ragionevole pensare che questo stesso nostro Mondo non sia affatto un capriccio del caso, ma che derivi in qualche modo dall'Assoluto, che ne sia una emanazione "fatta a Sua immagine e somiglianza" e che, pertanto, come intuiva Tommaso, nella conoscenza profonda di esso sia possibile vedervi rispecchiato l'Assoluto stesso. Se così fosse, allora, il nostro scopo non sarebbe quello di fuggire attraverso il "non-attaccamento" e l'ascetismo, ma quello di amare il nostro Mondo e di conoscerlo profondamente, sapendo di amare in lui l'immagine dell'Assoluto; un'immagine non più ineffabile e inesprimibile, ma perfettamente dicibile e rappresentabile come Principio del Mondo. ...E chissà che il famoso detto: "Chi vede me, vede il Dhamma", non voglia significare proprio questo; che il Buddha, cioè, non sia che un simbolo del Mondo in cui si rispecchia il Dhamma Assoluto, il Verbo creatore. L'angolo musicale: CATHERINE SPAAK: Quelli della mia età https://youtu.be/hQJJR59LZU4

L'esperienza della vacuità ( di esistenza intrinseca dei fenomeni, ma anche della brama, dell'odio e dell'illusione) non è un rifiuto, una fuga, ma punta verso uno stato di Medesimalità assoluta, di vuoto assoluto che è assoluta pienezza. Essa parte dal presente assoluto che è esperienza pura, una esperienza in cui non vi è differenziazione e tuttavia non è uno stato di puro nulla. Nell'esperienza pura non vi è distinzione tra "dovrebbe" ed "è", tra forma e contenuto, e quindi non vi è in essa giudizio.
La distruzione dei desideri e delle brame, a cui nel buddhismo viene data tanta enfasi, tanto rilievo ( in particolare nel buddhismo delle origini...), non deve essere intesa in senso negativistico ( "E poi cosa mi resta?"...Come scrivi :) ), ma nella pratica si tratta di trasformare questo attaccamento al "mondo" nel karuna, trasformare cioè l'amore egocentrico in compassione autentica, non "pelosa", utilitaristica o basata sulla paura (Di punizioni divine , dell'altrui opinione, del giudizio sociale, ecc.).
La filosofia e la pratica del Dhamma inizia con ciò che è primariamente dato alla nostra coscienza/vinnana, che sopra ho defintito come "pura esperienza" ( tieni sempre presente che l'uso dello strumento del linguaggio è. un "dito che indica", uno "mezzo provvisorio"...infatti dire "pura esperienza" significa impegnarsi in qualcosa che sembra già collocato in qualche altro luogo, e quindi l'esperienza cessa di essere pura...). Il Dhammapada riflette questo pensiero quando definisce il punto di partenza della filosof: buddhista come "senza impronta" (apada), illimitabile e vuoto (quindi vacuità/sunna), senza dimora, senza forma e liberato.
In termini psicologici viene descritto così: libero dal dolore, libero da ogni lato (punto di vista), senza paura e senza brama egoistica. Se questi termini vengono interpretati
superficialmente e linguisticamente possono essere facilmente fraintesi, arrivando a considerarli come negativismo.
L'esperienza della buddhità, come viene interpretata nel buddhismo ( ché buddhità e buddhismo sono ovviamente due cose diverse...essendo il buddhismo una sorta di galassia di opinioni/papanca sulla buddhità,compresa la mia ovviamente... ;D ) ha qualcosa di noetico (concepito col pensiero) ma, nello stesso tempo, ha pure qualcosa di volitivo o affettivo, che viene inteso come riflettente la natura della Realtà stessa, costituita da prajna ( saggezza trascendente/visione intuitva, ecc.,, è intraducibile nelle lingue occidentali...)  e da karuna (compassione/agape).  :)

P.S.Il Buddha non è un dio. Il buddhismo non nega l'esistenza degli dèi ( nel Canone Pali, quindi i testi più antichi a disposizione, sono presenti, sono soggetti all'impermanenza come ogni cosa, e vengono ad ascoltare il Dhamma predicato da Siddhartha) ma nega l'esistenza di un Dio personale che si prende a cuore il desino di ogni sua singola creatura. La prima Nobile verità, quella del dolore, ritiene insuperabile la contraddizione insita in questa idea di Dio.
In questo il buddhismo è simile , per esempio, all'epicureismo, come ha già sottolineato @Apeiron...
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