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Buddhismo

Aperto da acquario69, 16 Febbraio 2017, 04:59:05 AM

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Sariputra

C'è un'intuizione fondamentale alla base di Shakyamuni Buddha: l'impermanenza nella sua completa originarietà. Il mondo come impermanenza. E tutto ciò che esiste solo come forma dell'impermanenza. Un'originario che dice: non-sei, ma divieni. Tutto il resto viene dopo, ne consegue: il dolore come insoddisfazione, la formulazione della dottrina dell'anatta ( non-sè indipendente), il Nirvana stesso come stato di libera osservazione e distacco dal divenire. Senza questo profondo esperire l'impermanenza non c'è buddhismo. Sono visioni che si presentano: il malato, il vecchio, il morente; non rappresentano che questo intuire. Dopo l'intuizione si genera l'angoscia, ci si arrovella: "Anch'io son così?" e, come nella Baghavad-Gita, c'è sempre questo carro che fugge o che porta verso...
Ma impermanenza è anche non-contraddizione...Mi siedo, chiudo gli occhi e vedo tutto il mio passare dentro; li apro e vedo tutto il mio passare fuori.
Tutte le cose sono impermanenti. Passano le stagioni, le età sfioriscono, la vita compie il suo ciclo. Attaccarsi alle cose, trasformarle in oggetti di desiderio, conoscenza intellettuale o possessi personali, significa voler andare contro corrente, voler fissare ciò che per sua natura è in continuo movimento, racchiudere in concetti particelle di vita vissuta, far bruciare del proprio ardore cenere di cenere. E' questa dolorosa 'follia' a condurre la nostra vita, la vita dei più...
Se la vita sentiamo che passa, dobbiamo far di tutto per allungarla, dobbiamo cercare qualcosa che ci permetta di allungarla e di goderla sempre più. Abbiamo bisogno di una scienza e di una tecnica...
Sorge la filosofia positiva corrente che recita così: l'uomo è parte del mondo, il raggiungimento della felicità è legato indissolubilmente a questa vita, ai piaceri e alle soddisfazioni che essa offre, a cui ognuno di noi attinge a seconda delle sue predisposizioni, dei suoi interessi e delle sue possibilità. La vita non è facile per nessuno, ma una buona 'qualità della vita' dipende da noi, dalla nostra volontà e dalla forza che imponiamo alla natura e agli eventi sociali, attraverso la scienza, la tecnologia, il diritto, l'economia. Non vi è niente al di là di questo, comunque niente che possa essere conosciuto, esperito, manipolato, desiderato...Ecco il messaggio positivo ufficiale che viene dalla società in cui viviamo, un messaggio costantemente amplificato dai media, ripetuto ossessivamente perfino ai parenti poveri dell'umanità, alle masse di diseredati che son disposti a vestire di stracci pur di potersi comprare un'antenna parabolica per puntarla verso le frequenze del ricco Occidente...
In fin dei conti non sono anche le contrapposizioni stridenti, violente della nostra epoca, che ci forniscono quel senso ddi sicurezza, di 'potenza' e di 'positività', senza il quale è difficile tirare avanti?...
Eppure, mistero!...è la stessa filosofia occidentale nel XIX e nel XX sec. ad esprimere una critica radicale, 'pessimista', alla cultura dominante del piacere e del benessere a tutti i costi. Abbiamo voci importanti : Leopardi, Schopenhauer, Nietzsche e poi Heiddeger, Jaspers, per arrivare a Sartre.  Tutti mettono il dito nella piaga che , seppur purulenta, si cerca di coprire con la benda miracolosa della tecnologia e del godimento, la piaga ineliminabile dell'angoscia, di quel diamante d'angoscia che sembra non aver nessun legame con tutto quello che stiamo facendo, con i nostri piaceri, le nostre soddisfazioni, le nostre esperienze affettive, lavorative o sociali...
L'angoscia come mal-essere assoluto ( e qui il dizionario recita:  latino ab-soluto participio passato da absolvo, slego, rendo indipendente, incondizionato), un'esperienza del limite, 'metafisica'...
Non è paura, non è ansia o preoccupazione...è qualcos'altro che non ha oggetto, o per meglio dire, che non ha un oggetto particolare. E' il nudo e crudo fatto di esistere divenendo senza posa. Provenienti da non si sa che cosa e destinati al nulla della morte...si precipita, come nei sogni, senza alcun appiglio...
Qui parte il sentiero di Siddhartha, dopo esser caduti senza fine...l'angoscia è lì, sotto gli occhi. La causa del 'mal di vivere' va cercata nella falsa credenza di un sé stabile, autonomo, separato; nell'attaccamento a questo o quel desiderio, nella 'voracità' con la quale si tenta di divorare il "proprio" tempo. La soluzione è difficile, ma per Siddhartha esiste... pensa di averla trovata...Occorre volontà e retta condotta, spirito di abnegazione nella pratica: quasi sempre non basta un'intera vita...
Ma è sempre l'esperienza a farla da padrone. La conoscenza intellettuale non ha mai salvato nessuno: la partita cruciale si gioca nella vita concreta, nei gesti quotidiani, anche i più inutili e insignificanti. La conoscenza deve farsi corpo, pelle, muscoli, ossa...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

#46
Faccio risorgere il dibattito sul rapporto Schopenhauer-buddismo...

"il concetto del nulla è essenzialmente relativo, e si
riferisce sempre ad alcunché di determinato, ch'esso
nega. Codesta relatività fu attribuita (specie da Kant)
soltanto al nihil privativum, indicato col segno – in opposizione
al segno +; il qual segno –, capovolgendo il
punto di vista, poteva diventare +; e in contrasto con
quel nihil privativum, si stabilì un nihil negativum, che
fosse il nulla sotto tutti i rapporti, per esempio, del quale
si cita la contraddizione logica, distruggente se stessa.
Ma, guardando più da vicino, un nulla assoluto, un vero
e proprio nihil negativum non si può neppure immaginare:
ogni nihil negativum, guardato più dall'alto o sussunto
ad un più ampio concetto, rimane pur sempre un nihil
privativum....Noi vogliamo piuttosto liberamente
dichiarare: quel che rimane dopo la soppressione
completa della volontà è invero, per tutti coloro che della
volontà ancora son pieni, il nulla. Ma viceversa per
gli altri, in cui la volontà si è rivolta da se stessa e rinnegata,
questo nostro universo tanto reale, con tutti i suoi
soli e le sue vie lattee, è – il nulla.
" (Arthur Schopenhauer)

"E qual è la proprietà del Nibbana senza nutrimento residuo ? In questo caso un monaco è un arahant i cui influssi impuri sono distrutti, che ha raggiunto il compimento, raggiunto lo scopo, deposto il fardello, raggiunto la meta suprema, distrutto il vincolo del divenire, ed è libero attraverso la perfetta conoscenza. Per lui, tutto ciò che è sperimentato, essendo senza piacere, si estinguerà durante la sua esistenza. Questa è chiamata la proprietà del Nibbana senza nutrimento residuo." (Canone Pali http://www.canonepali.net/itivuttaka-la-sezione-delle-coppie/)

"Questo è stato detto dal Beato, è stato detto dall'Arahant, e così ho sentito: "Vi è, monaci, un non-nato — non-divenuto — non-creato — non-formato. Se non ci fosse il non-nato — non-divenuto — non-creato — non-formato, non ci sarebbe alcuna conoscenza della liberazione da ciò che è nato— divenuto — creato — formato. Ma poiché vi è un non-nato — non-divenuto — non-creato — non-formato, vi è la conoscenza della liberazione da ciò che è nato— divenuto — creato — formato." (idem come sopra)

"Vi è quella dimensione dove non c'è terra, né acqua, né fuoco, né vento; non vi è la dimensione dell'infinità dello spazio, né la dimensione dell'infinità della coscienza, né la dimensione del nulla, né la dimensione di 'né-percezione-né-non-percezione'; non vi è questo mondo, né un altro mondo, né sole, né luna. E lì, io dico, non vi è giungere, né andare, né rimanere; né scomparire né sorgere: non è fisso, né si evolve, senza sostegno (oggetti mentali). Questa, solo questa, è la fine della sofferenza." (Udana 8.1 http://www.canonepali.net/udana-8-1-nibbana-sutta-la-completa-liberazione-1/)

Solo io vedo somiglianze? In entrambi i casi non si parla di "annientamento" ma di "nulla relativo" (qualcosa di completamente diverso dal Samsara). E se quella vecchia volpe di Arthur ci avesse visto giusto?  ;D Io sinceramente ci vedo una fortissima somiglianza: la noluntas di Schop non è il "nulla" (la completa "cessazione" dell'esistenza). Tuttavia se vogliamo essere intellettualmente onesti non possiamo dire nient'altro che termini negativi. Il Nirvana non ha termini di paragone con l'esistenza comune, ergo è "oltre il linguaggio". In ambo i casi la descrizione negativa è chiarissima ma è unilaterale. Per non sciviolare nel Nulla, bisogna dunque anche fare una descrizione positiva. Ma vista la completa "diversità" del Nirvana, la descrizione positiva è poetica e quindi in fin dei conti "insensata"...
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

La Cessazione non è annullamento. E' molto importante comprendere questa differenza. La cessazione è la fine naturale di tutto ciò che sorge. Non è perciò un desiderio o qualcosa di nuovo che si crea nella mente, ma è semplicemente la fine di ciò che è cominciato, la sua morte, la morte di ciò che è nato. La Cessazione non ha un sé, non viene dalla volontà di "sbarazzarsi di qualcosa", ma è il permettere che ciò che è sorto, cessi. Per far questo bisogna risolversi ad abbandonare la brama d'esistere, lasciarla andare! Abbandonare significa lasciar andar via, nel buddhismo, non cacciare o rifiutare.
Con la Cessazione si sperimenta Nibbana. Quando abbiamo permesso di andare ad una cosa , di lasciarci, di cessare, allora si sperimenta la pace.
Questa è una pace che si può sperimentare nella meditazione quando, nella consapevolezza, lasciamo sorgere e cessare le cose, rendiamo palesi alla coscienza tutte le sofferenze che vivono nel nostro inconscio e che determinano gran parte del nostro agire e rapportarci all'esistenza. Quando ce ne siamo resi consapevoli, permettiamo loro di lasciarci, di andar via, di cessare; non le alimentiamo più con la nostra paura o con la nostra brama egoistica. Questo è realizzare la Terza Nobile Verità, la Verità della Cessazione.
Se non lasciamo andare, permettendo che si attui questo cessare, rischiamo di partire da degli assunti che noi stessi ci costruiamo, senza nemmeno renderci conto di quello che stiamo facendo.
Per esempio, solo con la meditazione mi sono reso consapevole che molte paure e sfiducie nascono nell'infanzia ( e nella mia in relazione anche a certe tribolazioni...). Le ho "viste" e ho permesso loro di lasciarmi, di cessare . La mente razionale si rende conto che è assurdo e ridicolo farsi influenzare dagli eventi spiacevoli occorsi, magari nell'infanzia, ma se non permetti loro di lasciarti, e lo puoi fare nella consapevolezza del loro sorgere e svanire, continueranno a salire dall'inconscio e a condizionare il rapporto che abbiamo con la realtà.
Ovviamente continuamente se ne ricreano nella mente ( il "lavoro" non si ferma mai... :) ) in relazione a quanto forti sono in noi le radici dell'attaccamento all'esistenza ( tanha).
E' corretto riferirsi al Nibbana (Nirodha) definendo ciò che non è (non nato- non divenuto-non composto-ecc.)  e anche la sua funzione : dare pace. Una Presenza, una possibilità di pace.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

paul11

#48
..se posso Sariputra,
sperando di non "inquinare"  i tuoi bei post come l'ultimo.
E'difficile, per noi occidentali, entrare nell'aspetto mentale buddista.
Noi abbiamo evoluto, giusto o sbagliato che sia, una tecnica che cambia il mondo fuori di noi a nostra immagine e somiglianza.
Il buddista lavora su se stesso .
I nostri concetti non sposano perfettamente i concetti buddisti; la vacuità, il vuoto in termini buddisti non corrispondono alle nostre definizioni perchè noi mentalmente li colleghiamo ad oggetti matematici  o fisico  fenomenici, il buddista ad aspetti mentali, intimi.

L'accettare ad esempio per l'occidentale e il conseguente cessare, è una forzatura della sfera della volontà, noi combattiamo sempre perfino nelle discussioni fra noi ,perchè la discussione diventa metafora della guerra.
il buddista invece "danza" nelle discussioni, i concetti rimangono a metà strada perchè ogni persona decide il proprio modo di declinarlo.
Persino i grandi filosofi buddisti (perchè il buddismo è, o anche è ,una filosofia) alternano momenti di studio e momenti di meditazione.
Questa metodologia ha creato in noi confusione, perchè la meditazione da noi è simile alla mistica religiosa e il pensare ad una filosofia. Noi "settiamo",dividiamo, ciò che per loro è naturale unire.
la forza del buddismo è che ciò che si impara concettualmente va rimeditato dentro di sè affinchè ogni gradino acquisito  dalla conoscenza corrisponda ad un nuovo stato di sapere e di saggezza intima. 
Il conoscere le cose del mondo serve a poco se non aiuta a riformulare dentro di me una corrispondente crescita.
Noi abbiamo eruditi che umanamente valgono poco; il buddista metabolizza il sapere dentro di sè  rimodulando  nel suo essere e  modo di fare ora una nuova maturità, un nuovo gradino.
Per me questa è una delle grandezze del buddismo, anche da noi la si fa ,ma come sporadica scelta individuale, non come cultura.

Apeiron

Citazione di: Sariputra il 03 Luglio 2017, 01:17:01 AMLa Cessazione non è annullamento. E' molto importante comprendere questa differenza. La cessazione è la fine naturale di tutto ciò che sorge. Non è perciò un desiderio o qualcosa di nuovo che si crea nella mente, ma è semplicemente la fine di ciò che è cominciato, la sua morte, la morte di ciò che è nato. La Cessazione non ha un sé, non viene dalla volontà di "sbarazzarsi di qualcosa", ma è il permettere che ciò che è sorto, cessi. Per far questo bisogna risolversi ad abbandonare la brama d'esistere, lasciarla andare! Abbandonare significa lasciar andar via, nel buddhismo, non cacciare o rifiutare. Con la Cessazione si sperimenta Nibbana. Quando abbiamo permesso di andare ad una cosa , di lasciarci, di cessare, allora si sperimenta la pace. Questa è una pace che si può sperimentare nella meditazione quando, nella consapevolezza, lasciamo sorgere e cessare le cose, rendiamo palesi alla coscienza tutte le sofferenze che vivono nel nostro inconscio e che determinano gran parte del nostro agire e rapportarci all'esistenza. Quando ce ne siamo resi consapevoli, permettiamo loro di lasciarci, di andar via, di cessare; non le alimentiamo più con la nostra paura o con la nostra brama egoistica. Questo è realizzare la Terza Nobile Verità, la Verità della Cessazione. Se non lasciamo andare, permettendo che si attui questo cessare, rischiamo di partire da degli assunti che noi stessi ci costruiamo, senza nemmeno renderci conto di quello che stiamo facendo. Per esempio, solo con la meditazione mi sono reso consapevole che molte paure e sfiducie nascono nell'infanzia ( e nella mia in relazione anche a certe tribolazioni...). Le ho "viste" e ho permesso loro di lasciarmi, di cessare . La mente razionale si rende conto che è assurdo e ridicolo farsi influenzare dagli eventi spiacevoli occorsi, magari nell'infanzia, ma se non permetti loro di lasciarti, e lo puoi fare nella consapevolezza del loro sorgere e svanire, continueranno a salire dall'inconscio e a condizionare il rapporto che abbiamo con la realtà. Ovviamente continuamente se ne ricreano nella mente ( il "lavoro" non si ferma mai... :) ) in relazione a quanto forti sono in noi le radici dell'attaccamento all'esistenza ( tanha). E' corretto riferirsi al Nibbana (Nirodha) definendo ciò che non è (non nato- non divenuto-non composto-ecc.) e anche la sua funzione : dare pace. Una Presenza, una possibilità di pace.

Sono molto d'accordo con te e credo che anche Arthur lo era (non a caso parla di un nulla "relativo"... secondo me è stato male interpretato, di certo il suo disprezzo per la vita che aveva non ha aiutato nessuno... te possino Arthur). L'unica cosa su cui potrei non essere d'accordo è la completa ostinazione dei buddisti a "non ammettere" che Nirvana/Nirodha potrebbe essere "qualcosa di reale". Chiaramente sarebbe uno "stato" senza referimenti all'io e al non-io, senza desideri ecc (d'altronde la Pace (con la "P" maiuscola) richiede completezza) ma questo non significa che il Nirvana sia il nulla. Visto che "è la cessazione della nascita" me lo immagino come un oceano in calma piatta, senza onde (l'esistenza condizionata). Questo non è panteismo perchè il panteismo ha ancora un'attaccamento all'io. Però non è il Nulla perchè l'assoluta calma, il "raffreddamento" di tutti i processi non è necessariamente il nulla:) Anzi ritengo che la positività del Nirvana sia molto importante (non a caso il Buddha era compassionevole e felice, non era "distaccato" ma "non-attaccato" ecc).
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

Citazione di: Apeiron il 06 Luglio 2017, 19:53:36 PM
Citazione di: Sariputra il 03 Luglio 2017, 01:17:01 AMLa Cessazione non è annullamento. E' molto importante comprendere questa differenza. La cessazione è la fine naturale di tutto ciò che sorge. Non è perciò un desiderio o qualcosa di nuovo che si crea nella mente, ma è semplicemente la fine di ciò che è cominciato, la sua morte, la morte di ciò che è nato. La Cessazione non ha un sé, non viene dalla volontà di "sbarazzarsi di qualcosa", ma è il permettere che ciò che è sorto, cessi. Per far questo bisogna risolversi ad abbandonare la brama d'esistere, lasciarla andare! Abbandonare significa lasciar andar via, nel buddhismo, non cacciare o rifiutare. Con la Cessazione si sperimenta Nibbana. Quando abbiamo permesso di andare ad una cosa , di lasciarci, di cessare, allora si sperimenta la pace. Questa è una pace che si può sperimentare nella meditazione quando, nella consapevolezza, lasciamo sorgere e cessare le cose, rendiamo palesi alla coscienza tutte le sofferenze che vivono nel nostro inconscio e che determinano gran parte del nostro agire e rapportarci all'esistenza. Quando ce ne siamo resi consapevoli, permettiamo loro di lasciarci, di andar via, di cessare; non le alimentiamo più con la nostra paura o con la nostra brama egoistica. Questo è realizzare la Terza Nobile Verità, la Verità della Cessazione. Se non lasciamo andare, permettendo che si attui questo cessare, rischiamo di partire da degli assunti che noi stessi ci costruiamo, senza nemmeno renderci conto di quello che stiamo facendo. Per esempio, solo con la meditazione mi sono reso consapevole che molte paure e sfiducie nascono nell'infanzia ( e nella mia in relazione anche a certe tribolazioni...). Le ho "viste" e ho permesso loro di lasciarmi, di cessare . La mente razionale si rende conto che è assurdo e ridicolo farsi influenzare dagli eventi spiacevoli occorsi, magari nell'infanzia, ma se non permetti loro di lasciarti, e lo puoi fare nella consapevolezza del loro sorgere e svanire, continueranno a salire dall'inconscio e a condizionare il rapporto che abbiamo con la realtà. Ovviamente continuamente se ne ricreano nella mente ( il "lavoro" non si ferma mai... :) ) in relazione a quanto forti sono in noi le radici dell'attaccamento all'esistenza ( tanha). E' corretto riferirsi al Nibbana (Nirodha) definendo ciò che non è (non nato- non divenuto-non composto-ecc.) e anche la sua funzione : dare pace. Una Presenza, una possibilità di pace.
Sono molto d'accordo con te e credo che anche Arthur lo era (non a caso parla di un nulla "relativo"... secondo me è stato male interpretato, di certo il suo disprezzo per la vita che aveva non ha aiutato nessuno... te possino Arthur). L'unica cosa su cui potrei non essere d'accordo è la completa ostinazione dei buddisti a "non ammettere" che Nirvana/Nirodha potrebbe essere "qualcosa di reale". Chiaramente sarebbe uno "stato" senza referimenti all'io e al non-io, senza desideri ecc (d'altronde la Pace (con la "P" maiuscola) richiede completezza) ma questo non significa che il Nirvana sia il nulla. Visto che "è la cessazione della nascita" me lo immagino come un oceano in calma piatta, senza onde (l'esistenza condizionata). Questo non è panteismo perchè il panteismo ha ancora un'attaccamento all'io. Però non è il Nulla perchè l'assoluta calma, il "raffreddamento" di tutti i processi non è necessariamente il nulla:) Anzi ritengo che la positività del Nirvana sia molto importante (non a caso il Buddha era compassionevole e felice, non era "distaccato" ma "non-attaccato" ecc).

"Qualcosa di reale" e "Qualcosa di irreale" formano una dualità e l'elemento Nibbana è al di là di ogni dualità del pensiero. In più se si definisce il Nibbana come "reale" si rischia che sia inteso come qualcosa di esistente in sé, dotato di esistenza intrinseca, o come un Dio, cadendo nell'estremo positivo metafisico dell'eternalismo. Viceversa se si definisce come "irreale" si rischia di cadere nell'estremo opposto del nichilismo e perciò, per evitare questo, viene correttamente stabilito come "non-nato-non-divenuto-non composto- ecc." ( ovviamente uso i termini eternalismo e nichilismo nell'accezione filosofica buddhista ). Il Nibbana non è il nulla, ma non è nemmeno "qualcosa"...
Nel Visuddhimagga viene data questa definizione del NIbbana, che si serve di tre categorie, che trovo interessante:

Il Nibbana ha come sua caratteristica la pace. la sua funzione è il non morire; oppure la sua funzione è il confortare. Viene manifestato come privo di segni ( senza i segni, o tracce, del desiderio, dell'odio e dell'illusione); oppure è manifestato come non diversificazione.

Nell'argomentare su questo passo Buddhagosa dapprima rigetta il punto di vista di vista secondo il quale il Nibbana è non esistente, affermando che deve esistere in quanto può essere realizzato praticando il sentiero . Non è nemmeno possibile intenderlo semplicemente come l'assenza di tutti i fattori dell'esistenza, cioè i famosi "cinque aggregati", perchè può essere realizzato nel corso della vita, mentre gli aggregati sono ancora presenti. Non è possibile intenderlo neanche come semplice estinzione dell'odio, dell'illusione e della brama di esistere, perché questo lo ridurrebbe ad un evento temporale ( la distruzione delle "contaminazioni" infatti succede nel tempo...) e , oltre a ciò, sarebbe "condizionato", in quanto la distruzione avviene tramite determinate condizioni.
Viene definito come la distruzione della brama, dell'odio e dell'illusione perché, essendo non-condizionato, è la base ( o il sostegno) per operare la completa liberazione da queste ostruzioni.
IL Nibbana viene raggiunto tramite il sentiero, ma non è prodotto da esso ( altrimenti cadrebbe all'interno di paticcasammupada, la catena di produzione condizionata...), pertanto è increato, senza un inizio, e quindi ovviamente, libero da invecchiamento e morte.
Ancora Buddhagosa:

"Poiché può essere raggiunto tramite la discriminazione della conoscenza che ha successo grazie ad una assidua perseveranza, il Nibbana non è inesistente per quanto riguarda la sua natura in senso ultimo; infatti è detto: "Vi è, o bhikkhu, il non-nato, il non-divenuto, il non-fatto, il non-composto" (Udana 8:3; itivuttaka 45)

Se l'elemento Nibbana fosse non esistente, come potrebbe essere descritto con espressioni come "profondo" ( nascosto, difficile a comprendersi, sereno , elevato, inaccessibile al ragionamento, sottile ) o come "l'incorruttible", il vero, l'altra sponda, oppure come "karmicamente neutro, non condizionato" ?  :)


Non è l'"Annullamento" la meta suprema del buddhismo, nemmeno di quello originario , del Theravada, o persino del Canone Pali. Ma se il Nibbana non è sicuramente da intendersi come non-esistente , non si deve nemmeno intendersi come esistente nella concezione che il pensiero dà di questo termine. Infatti dobbiamo considerare che la teoria dell'anatta ( non-sé) non va riferita solamente al mondo dei fenomeni condizionati, ma va estesa correttamente anche al Nibbana. Questo per evitare di far cadere il Nibbana all'interno dell'estremo positivo della metafisica e della tentazione della mente di definirne una "identità" ( mentre qualunque tipo di identità concepibile non potrebbe che rientrare nei fenomeni condizionati ). Nella Parabola del serpente si afferma che io e mio, chi possiede e la proprietà, sostanza e attributo, soggetto e predicato sono termini inseparabili e correlativi, che mancano di realtà in senso ultimo.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

#51
Sariputra, sono d'accordissimo con te. D'altrondei il Nibbana deve essere il "Completamente Altro" rispetto al samsara. Nel samsara ci sono distinzioni tra io e mio, ragionamenti per merito/demerito... Il Nirvana è tutt'altro. Non è nemmeno né esistenza né non-esistenza perchè esistenza e non-esistenza  sono sempre legati al nostro modo di vivere "samsarico". In un certo senso si può dire che è una "non-esistenza" perchè è la Cessazione del samasara (e dei concetti relativi al samsara). Ed è una "esistenza" perchè non è il nulla che capiamo noi "esseri colti dal delirio dell'io". La cosa che mi preoccupa è che il "buddismo secolare" e certe sotto-sette Theravada (e forse anche sotto-sette Zen) arrivano con "prove" logiche ad affermare che Nirvana=Nulla. Quindi qui abbiamo monaci che dicono che Nirvana=Nulla e questo lo ritengono giusto perchè in un certo senso è meglio la Morte rispetto alla vita samsarica.

A mio giudizio invece, leggendo anche i tuoi commenti e quelli di altra gente mi sembra di vedere che Nibbana=Vita. Come dici tu ci si libera dalla morte: non si muore perchè dopotutto nel senso ultimo morte, vita ecc sono tutte illusioni. Dopo questa perla però rimango nel mio samsara. Ultimamente mi stanno affascinando le filosofie dello Dzogchen e della scuola Yogacara.

In ogni caso secondo me il buddismo è anch'esso incompleto, seppur a mio giudizio la più sviluppata e "demitologizzata" delle religioni. In ogni caso il Nibbana mi sembra "simile" al Tao, perchè d'altronde il Tao "non crea, non possiede...". Probabilmente la "verità" è proprio in mezzo a queste posizioni.

Edit: avevo messo questo link https://sujato.wordpress.com/2011/05/13/vinna%E1%B9%87a-is-not-nibbana-really-it-just-isn%E2%80%99t/ come esempio di "Nirvana=Nulla". Ricordavo male. L'autore non fa questa conclusione...
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Apeiron

***Precisazione***

Per essere davvero completo: segnalo https://dhammawiki.com/index.php?title=Nibbana . Ad un certo punto c'è scritto: "
A number of teachers have argued that the person does not exist, the being, no matter how great, including the Buddha, cannot be contacted. They argue that there is no soul, no permanent self and that Nibbana is the extinguishment of all defilements, all craving, all suffering, all becoming. They argue that it is not annihilation since there was no being, no soul to begin with." In sostanza visto che non c'era un "io" in partenza alla morte del Realizzato finisce un processo e quindi non rimane niente. Secondo me questa visione delle cose è una visione di un nichilista sconfitto, di un disperato che ha preso in odio la vita. E non credo che Buddha era così. Dire che non è "annientamento" perchè non c'era niente in partenza non si salva dal nichilismo. Chi la pensa così a mio giudizio è incapace di cogliere il "Valore" della vita.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Apeiron

#53
Per caso è l'anatta (la dottrina del "non-io") la compassione completa? Il completo dono di se stessi come direbbero i cristiani? Non è che per caso non sia importante ritenerla una dottrina, quanto invece uno stato, un'esperienza?

Mi è venuto in mente considerando che nel taoismo (ad esempio il capitolo 37 del Tao Te Ching) l'"immobilità" è lo stato raggiunto quando si è liberi dai desideri.... e l'immobilità è anche detta la "semplicità senza nome" (!) e l'ideogramma che è usato per questa situazione è quello di un blocco di legno non modellato ("pu"), ossia senza nome! Quando leggo questi scritti mi sembra di vedere che il sincretismo forse contiene qualcosa di vero: in questo caso la semplicità senza nome, il non-sé, il dono di sé stessi ecc sono descritti come la massima "gioia", il nirvana.

In questo senso si potrebbe quasi pensare che questo tipo di "concetti" e "teorie" possono essere pensati come "strumenti" da usare nella meditazione (e non come teorie metafisiche sulla realtà). Ossia non è come dice ben Sariputra l'annullamento dell'esistenza ma paradossalmente la "pace", la "calma", il "rifugio"... ossia l'esistenza portata al massimo valore!

Kierkegaard: "se mi etichetti mi annulli"...nirvana: liberazione dalle etichette?
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

#54
Per comprendere meglio il Dharma buddhista dobbiamo, prima di tutto, capire che il sentiero tracciato dal Shakyamuni ruota attorno allo sforzo di liberarsi dalle tre radici nocive.  Vorrei porre l'accento in questo breve scritto ( per quei due, tre a cui può interessare... ;D )sull'influsso profondo che queste hanno sull'esercizio, da parte dei potenti, DELLA VIOLENZA E DELL'OPPRESSIONE:

Ci sono, o monaci, tre radici di ciò che è nocivo: la brama, l'odio e l'illusione.
La brama, l'odio e l'illusione di qualsiasi tipo, sono nocivi.
Qualunque kamma accumulato, tramite azioni, parole o pensieri, da una persona avida, in preda all'odio o all'illusione, è anche esso nocivo. Ogni sofferenza che una tale persona, sopraffatta dalla brama, dall'odio e dall'illusione, i cui pensieri sono controllati da essi, infligge con falsi pretesti agli altri (uccidendo, imprigionando, confiscando i beni, con false accuse o con l'espulsione, a causa del pensiero: " Io ho potere e io voglio il potere") tutto ciò è pure nocivo. In una tale persona si manifestano così molti stati mentali negativi e nocivi, che nascono e sono originati dalla brama, dall'odio e dall'illusione, che sono causati dalla brama, dall'odio e dall'illusione.        Anguttara Nikaya, 3:69

Questo testo dimostra chiaramente che, per il Buddha, le tre radici nocive producono terribili ripercussioni sulla società, in quanto causa di dolore, crudeltà e sopraffazioni. Il Buddha le descrive come le reali motivazioni che sono alla base dell'uso indiscriminato del potere e gli esempi ci fanno capire che si riferiva specificamente all'uso politico di questo potere. Abuso che un governante esercita verso il suo stesso popolo o verso altri popoli di un paese considerato "nemico" in tempo di guerra. Sicuramente Siddhartha era uno spettatore attento alle vicissitudini del suo tempo e avrà assistito a molti casi di violenza e di oppressione. La falsa propaganda o la calunnia verso delle vittime prescelte tra gli abitanti dello stesso paese governato esistevano di sicuro anche 2.500 anni fa. Infatti, tutti gli esempi di violenza e di sopraffazione citati in questo testo antichissimo ci sono familiari. Naturalmente, oggi come un tempo, le forze che li stimolano son sempre le stesse: la brama smodata di potere, l'odio verso tutto ciò che limita o si oppone a questa brama e l'illusione ideologica. Nella storia moderna , la radice che ha preso il sopravvento, che ha occupato il ruolo centrale, a mio parere, è l'illusione, che è all'origine di svariate ideologie di tipo religioso, politico o etnico.. Penso che Siddhartha ripensasse alla sua vita di nobile principe del clan Shakya, alla corte del padre  quando pronunciò i famosi ( e commoventi, per me) versi che aprono l' Atta-danda Sutta ( il sutra chiamato "L'Uso del Bastone"):

Dal bastone brandito nasce la paura, guarda la gente che fa vittime:
Io voglio narrare la commozione, come è stata da me sperimentata.
Vedendo la gente brulicare, come pesci in poca acqua,
Vedendo l'uno ostacolare l'altro, un terrore mi è sorto.
(Sutta Nipata, vv 935-936)

Di solito, negli atti di violenza e di oppressione, sono presenti tutte e tre le radici nocive. Nei vari casi specifici però una delle tre può essere predominante sulle altre. Però sarà sempre presente un elemento di illusione, o ignoranza ( avidya). L'illusione, per esempio, era l'elemento predominante nelle guerre di religione del passato, mentre nel presente l'elemento brama ( di ricchezza, di dominio economico, di supremazia politica, ecc.) pare prevalere, servendosi naturalmente sempre della radice nociva dell'odio per stimolare il desiderio di combattere del popolo ( usando la subdola arma della propaganda...).
L'illusione, in questi casi, genera l'odio , mentre la brama sta sempre in agguato sullo sfondo. L'interazione delle tre radici è spesso assai complessa per via del fatto che si alimentano a vicenda, aumentando così la loro forza violenta. La psicologia del potente, al tempo del Buddha come ai giorni nostri, è fondamentalmente sempre la stessa. Tutti questi atti contro i più deboli vengono compiuti per brama di potere: per godere del potere, per il desiderio di ottenerlo e per lo stimolo continuo ad allargarlo sempre di più. La smania di potere è un 'illusione ossessiva, intimamente legata all'autorità.
Questa smania minaccia sempre di prendere il sopravvento in tutti coloro che esercitano una qualche forma di autorità sugli altri, dal dittatore al capo di un governo "democraticamente" eletto. Non sfuggono ad essa neppure i più meschini burocrati; anch'essi provano piacere nell'esercitare la loro piccola fetta di potere e , a volte, ad ostentare i segni della propria autorità.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
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Sariputra

#55
Vorrei ora mettere in evidenza uno dei più grandi problemi che si affrontano nella cosiddetta "vita spirituale"( e non solo): la presunzione.  Nei suoi discorsi Buddha Shakyamuni parla di tre tipi di presunzione che hanno tutti la loro radice nel concetto base "Io sono". Da questa radice nascono: "Io sono più grande", "Io sono uguale" e "Io sono meno". Si possono definire come presunzione di superiorità, d'uguaglianza e d'inferiorità. L'ultima può impedire che una persona compia qualunque sforzo: "Per lui va bene, ma io come diavolo potrei riuscirci?". Quella di mezzo impedeisce di apprendere da coloro che sanno di più e hanno praticato di più:" Chi si crede di essere costui? Io sono esattamente come lui". La prima però è la più pericolosa per chi medita ( tralascio qui il fatto che probabilmente è anche la più fastidiosa in generale , in tutti i campi della vita ordinaria...). Una persona inizia a credere di sapere più degli altri, fatto questo che, come ben sappiamo, viene spesso tradito dal tono stesso della voce e dai gesti fatti. Si può giungere persino a credere di aver fatto esperienza del Nibbana, di essere un saggio e quindi di non aver più contaminazioni, mentre purtroppo le contaminazioni sono evidenti a tutti fuorché all'interessato  ;D . Ricordo, per esempio, un incontro di meditazione al quale partecipai permeato dalla soffocante presunzione di superiorità di un gruppetto di meditatori laici. Una cosa veramente penosa. Di solito, quando una persona manifesta la propria presunzione, si crea un certo imbarazzo, cala uno strano silenzio. E' difficile affrontare una presunzione troppo evidente e smaccata. In termini buddhisti questo crea un aumento di dukkha ( sofferenza). Dalla presunzione nascono le opinioni che sono fondamentalmente concetti. La presunzione-radice "Io sono" si dirama, proprio come le radici di un grande albero, in miriadi di opinioni, quello che il Buddha ha descritto come:"Il roveto delle opinioni, il deserto delle opinioni, la distorsione delle opinioni, il vacillare delle opinioni, il legame delle opinioni".
Le opinioni sostengono il concetto dell'io e, proprio per questo, molte persone sono sensibili e suscettibili quando le loro opinioni vengono messe in discussione. Il concetto dell'io comporta attaccamento alle opinioni...un bel problema nella pratica.  Persone tenacemente attaccate alle proprie opinioni  vengono chiamate, dai maestri di meditazione, mana-ditthi, una persona di presunzione-e-opinioni, difficilmente addestrabile. Diciamocelo chiaramente: se una persona non ne vuol sapere di deporre il suo fardello di opinioni...non può vedere il Dhamma. Se la sua testa è piena di concetti su Dio, io, anima, ecc. di concetti esclusivisti come "Solo questo è giusto", oppure concetti di superiorità come "La nosta via è quella giusta, la nostra filosofia è corretta , la nostra scienza è superiore", il Dhamma non trova spazio. Possiamo vedere, anche all'interno della storia del buddhismo, come questi concetti si siano fatti strada. Nella distinzione tra Grande Veicolo (Mahayana) e Basso Veicolo ( Hinayana), sono presenti due concetti che il Buddha non avrebbe mai potuto pronunciare, essendo del tutto privo di presunzione. Una persona intelligente può indovinare chi ha inventato questi termini (Hina è un termine spregiativo e non significa piccolo o minore).
La presunzione è una vera sfortuna per i praticanti buddhisti. Nelle altre religioni almeno si coltiva l'umiltà di mettersi in adorazione di un Dio, fatto questo che permette di non aumentare a dismisura la propria presunzione ( anche se non sempre...come ben vediamo e...leggiamo ;D). Ma i praticanti buddhisti non hanno queste opinioni e queste pratiche di adorazione, non credendo in un Dio creatore onnipotente, e quindi l'intero loro "cammino" dipende dal loro sforzo; sforzi fatti da se stessi, mediante la virtù, la meditazione e la visione profonda-saggezza.
Senza la guida di qualcuno, questi sforzi spesso portano, purtroppo, ad una crescita della presunzione. Il buddhismo non è certo la religione del "fatelo da soli"...
Collegata a questa presunzione legata alle opinioni-concetti vi è la presunzione che complessità è uguale a profondità. Molte persone studiano il Dhamma buddhista per anni e anni. Arrivano ad avere una profondissima conoscenza dell'Abhidhamma o di tutti i sistemi scolastici della filosofia buddhista, al di fuori dei Discorsi in pali e del Vinaya ( ossia della Disciplina...). Studiano il Sentiero di Mezzo di Nagarjuna, la Mente-sola di Asanga o la filosofia dell'interrelazione di tutte le cose dello Hwa-Yen. Questo però può diventare ( e spesso lo è...) un vero pericolo nei confronti della pratica concreta che non richiede tutte queste complessità. Nel cristianesimo potremmo dire che "Non è necessario conoscere l'intera teologia cattolica per amare Dio", essendo la pratica dell'amore-agape il cuore di questa religione e non certo la sua comprensione esclusivamente intellettuale  :).
La mente guidata dal desiderio, dalla presunzione e dalle opinioni è abilissima nel produrre filosofia, che però, in Oriente come in Occidente, non vanno nella direzione della calma e della visione profonda. Il Buddha definì il filosofeggiare come una varietà della proliferazione concettuale (papanca) e dichiarò che è la via giusta per i legami (ovviamente molti filosofi che scrivono sul forum non saranno d'accordo... ;D).
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Apeiron

In quella dottrina o regola in cui, o Subhadda, non viene praticato il nobile ottuplice sentiero,là non vi può essere un asceta (sotapanna), là non vi può essere un secondo asceta (che ritorna una volta), là non vi può essere un terzo asceta (colui che non ritorna), là non vi può essere un quarto asceta (arhat, "santo" liberato). (MahaParnibbana Sutta)


Secondo i buddisti il Buddha poteva essere in errore o era una mente infallibile? Ossia è possibile trovare un "santo" che non sia buddista? Se il Buddha ha proferito quelle parole ed era infallibile sicuramente NO. Se il Buddha era infallibile ma non ha proferito quelle parole (o se si riferiva ad un gruppo ristretto di insegnamenti oppure se era infallibile ma il suo insegnamento era incompleto) invece è possibile. Se il Buddha era sì liberato ma non inerrante allora ovviamente è possibile.

Per me un buddista per essere tale deve credere che il Buddha era infallibile e quello che ha proferito è la verità. Ma potrei sbagliarmi. Infatti il fondamento su cui basarsi per sapere se una cosa è vera o no, morale o no ecc sono le parole del Buddha (e gli insegnamenti "pratici" da lui insegnati).


Quindi chiedo a chi ne sa più di me (il Sari di sicuro  ;D ): il Buddha era infallibile per i buddisti? il suo insegnamento era una zattera?


Mi pare che i cinesi hanno tentato di asserire che buddismo, taoismo e confucianesimo
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

#57
Citazione di: Apeiron il 13 Settembre 2017, 16:11:29 PMIn quella dottrina o regola in cui, o Subhadda, non viene praticato il nobile ottuplice sentiero,là non vi può essere un asceta (sotapanna), là non vi può essere un secondo asceta (che ritorna una volta), là non vi può essere un terzo asceta (colui che non ritorna), là non vi può essere un quarto asceta (arhat, "santo" liberato). (MahaParnibbana Sutta) Secondo i buddisti il Buddha poteva essere in errore o era una mente infallibile? Ossia è possibile trovare un "santo" che non sia buddista? Se il Buddha ha proferito quelle parole ed era infallibile sicuramente NO. Se il Buddha era infallibile ma non ha proferito quelle parole (o se si riferiva ad un gruppo ristretto di insegnamenti oppure se era infallibile ma il suo insegnamento era incompleto) invece è possibile. Se il Buddha era sì liberato ma non inerrante allora ovviamente è possibile. Per me un buddista per essere tale deve credere che il Buddha era infallibile e quello che ha proferito è la verità. Ma potrei sbagliarmi. Infatti il fondamento su cui basarsi per sapere se una cosa è vera o no, morale o no ecc sono le parole del Buddha (e gli insegnamenti "pratici" da lui insegnati). Quindi chiedo a chi ne sa più di me (il Sari di sicuro ;D ): il Buddha era infallibile per i buddisti? il suo insegnamento era una zattera? Mi pare che i cinesi hanno tentato di asserire che buddismo, taoismo e confucianesimo

Già nella citazione del Mahaparinibbanasutta si può notare come Siddhartha mette in evidenza che dove è possibile trovare il N.Ott.Sentiero là si trova il vero ascetismo ( Vuoto di dispute, che invita a venire a vedere, ecc.): Pertanto , a mio parere, questa frase fa intendere che , nello spirito originario dell'Insegnamento non è la figura umana, storica del Buddha il centro, ma è il Dhamma , l'Insegnamento. Questo mi sembra molto importante anche per rispondere alle tue domande.
"Il Buddha aveva una mente infallibile?". Era infallibile nella comprensione del Dhamma e sulla natura ultima di nama-rupa ( nome e forma), vinnana, samadhi, kamma, ecc.. Era infallibile nell'uso di abili mezzi d'insegnamento per ottenere prajna ( saggezza, visione intuitiva) a riguardo di questa natura. Certamente non possiamo pensare che il Buddha conoscesse la composizione molecolare dell'albero della Bodhi. La sua non era una conoscenza scientifica, empirica. Era un'infallibile saggezza/conoscenza esistenziale. Nei testi posteriori del Mahayana si comincia a profilare un'immagine di Gotama come quella di un Dio, di una divinità onnisciente e onnipotente. Questo penso non sarebbe stato gradito al Buddha stesso. Certamente la pressione fideistica delle masse ( e di molti bikkhu suppongo) era notevole...tutto ciò è cominciato a penetrare anche nei testi, rendendoli a volte veramente "variopinti"...
"E' possibile trovare un santo che non sia buddhista?". Secondo l'Insegnamento è possibile trovarlo, sempreché  (e ci colleghiamo con sopra...) abbia praticato il "vero ascetismo" ( il Nob.Ott:Sent.). Buddha non era "un buddhista". Spesso nei testi si parla di quanto siamo fortunati di vivere in un'epoca in cui è possibile apprendere il Dhamma. Non è sicuro, anzi! ,viene spesso ricordato, che ciò sarà sempre possibile o che sia stato possibile in epoche precedenti al Buddha.
Per me un buddista per essere tale deve credere che il Buddha era infallibile e quello che ha proferito è la verità.
Un vero buddhista deve sicuramente avere fede che l'Insegnamento dato dal Buddha lo porterà alla liberazione dal dolore ( Nibbana). E' implicito, a parer mio, che questo comporti la fede nell'infallibilità del Buddha a riguardo di questo insegnamento e nell'infallibilità dell'insegnamento stesso.
Più fallibile è la capacità dell'uomo comune ( Siddhartha era sicuramente un uomo dalle qualità fuori dal comune. Tutte le qualità...) di giungere alla meta additata da Gotama. La fede è sicuramente molto importante ( lo è in ogni pratica spirituale)e questa aumenta con l'aumentare della Pratica. Le due cose vanno insieme: fede e pratica, pratica e fede.
"Il suo insegnamento era una zattera?"
Sì, Buddha lo dice chiaramente: l'Insegnamento è una zattera. Giunti all'altra riva si deve deporre la zattera. Quando si è guariti non ha più senso continuare a prendere la medicina per guarire. Deporre non significa abbandonare. La compassione generata da vipassana porta spontaneamente a tentar di guarire altri. Deporre significa deporre l'attaccamento "anche" nei riguardi dell'insegnamento stesso...
"Ci sono santi buddhisti oggigiorno?"...Questa domanda la pongo io. La risposta: spero tanto che ci siano, ma ho seri dubbi al riguardo... :(
"Orsù dunque, o monaci, io vi esorto: periscono tutte le cose; lottate senza tregua." La tradizione tramanda queste come le ultime parole di Gotama  prima del Parinibbana. Ma l'uomo moderno, i monaci moderni stessi, sono in grado di "lottare senza tregua " ?...
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Apeiron

#58
Grazie Sari! ;)
Più o meno erano le risposte che mi aspettavo. In sostanza anche nel buddismo c'è il concetto di "infallibilità", non a caso il Tatthagatha viene detto "colui che vede e conosce la Realtà così come è". Ossia si parla di un "assolutismo", seppur molto particolare, unico rispetto a tutti gli altri visto che nega sia "Atman" che "Brahman"... sono incerto se nega ogni tipo di "Assoluto metafisico". Sinceramente non credo, specie leggendo gli Udana, il Dhammapada, il fatto che il Tathagatha è "incommensurabile"... qui si parla di qualcosa di Trascendente. Sinceramente sono convinto che sia la filosofia più "precisa" nella caratterizzazione dell'Assoluto proprio perchè nega che ogni nostra concettualizzazione possa "comprenderlo". Da questo punto di vista mi sembra simile al "Dao" e al "Pu" (il legno non scolpito) del daoismo (non a caso il Chan...), ma nuovamente "meno metafisico e più "silenzioso"". Ecco a mio giudizio dare dell'assolutismo al buddismo non lo vedo come un "insulto"  ;D anzi lo rende più plausibile vista l'infallibilità implicita del Buddha. Da questo punto di vista il buddismo Mahayana paradossalmente mi sembra più coerente del Canone Pali, specialmente la filosofia implicita nel "Buddha Vairocana" e dell'Avatamsaka Sutra (filosofia implicita a mio giudizio anche nel Canone Pali). Il Dhamma d'altronde è la Verità secondo il buddismo (e dire che "ogni cosa è vacua" d'altronde è un'affermazione molto forte). Appunto il Dhamma è il centro, vero sempre e in ogni luogo (come dimostrato dalla figura dei "Buddha privati" e dal fatto che a me di "quasi santi" mi pare di vederli un po' in tutte le tradizioni).

Sulla questione dei santi. Ecco vedi io invece ho un'opinione molto diversa. A mio giudizio non ce ne sono e probabilmente non ce ne sono mai stati. Così come non credo ai "santi" dello giainismo, indù, daoisti ecc. In sostanza li ritengo tutti ideali, quasi "archetipi" se vogliamo usare un termine caro a Carlo Pierini che ci costringono ad inginocchiarci e a "trasformare l'io" (nel caso del buddismo addirittura a trascendere ogni "io"). Sono tutti personificazioni seppur estremamente sviluppate. Tutte queste tradizioni puntano verso... "quella dimensione monaci...". Probabilmente una volta c'erano più "quasi santi" ma non sono molto incline a dire che erano davvero esistenti.  

La mia "fede" al momento è che ci sia un Assoluto (che trascende ogni "dottrina" visto che queste ne descrivono per così dire un "aspetto") e che sia possibile una mente infallibile (o più menti infallibili che "vedono e conoscono diversi aspetti dell'Assoluto/Realtà così come sono") ma ritengo ahimé che non mi sia più possibile abbracciare una tradizione (con "senso di smarrimento" associato :( ). Per esempio la stessa storia del Buddha, del principe che fu promesso dalla profezia che rinuncia ai "regni della terra" per scoprire ciò che ha un valore "imparagonabile alle cose mondane" e che quindi diventa il "vero re" mi pare un archetipo. Qualcuno ci ha visto anche "l'archetipo dell'eroe" nella storia di Siddharta. Credo che anche questo vada ben notato quando si parla di buddismo o altre tradizioni. Anche l'idea per la quale il Dhamma col tempo viene "dimenticato" e poi restaurato lo vedo molto simile a cose che si riscontrano in molti miti e molte religioni. Il che mi fa pensare che nemmeno il buddismo "scappi" da concetti per certi versi analoghi alla "provvidenza", la "storia del mondo" ecc

P.S. Grazie anche degli altri post che non ho (per ora) tempo di commentare, sui quali sono quasi d'accordo  ;)


P.S.P.S. Per esempio anche nei vedanta è entrata l'idea del "risveglio istantaneo con pratica graduale" (ma secondo me anche in occidente e in altre tradizioni orientali - si pensi alle "epifanie" associate alla pratica cristiana per esempio). Anche nello studio, specialmente nel caso della matematica, per quanto mi riguarda ho "illuminazioni" inserite in una pratica graduale. Idem per l'arte ecc ecc
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

Citazione di: Apeiron il 14 Settembre 2017, 17:23:04 PMGrazie Sari! ;) Più o meno erano le risposte che mi aspettavo. In sostanza anche nel buddismo c'è il concetto di "infallibilità", non a caso il Tatthagatha viene detto "colui che vede e conosce la Realtà così come è". Ossia si parla di un "assolutismo", seppur molto particolare, unico rispetto a tutti gli altri visto che nega sia "Atman" che "Brahman"... sono incerto se nega ogni tipo di "Assoluto metafisico". Sinceramente non credo, specie leggendo gli Udana, il Dhammapada, il fatto che il Tathagatha è "incommensurabile"... qui si parla di qualcosa di Trascendente. Sinceramente sono convinto che sia la filosofia più "precisa" nella caratterizzazione dell'Assoluto proprio perchè nega che ogni nostra concettualizzazione possa "comprenderlo". Da questo punto di vista mi sembra simile al "Dao" e al "Pu" (il legno non scolpito) del daoismo (non a caso il Chan...), ma nuovamente "meno metafisico e più "silenzioso"". Ecco a mio giudizio dare dell'assolutismo al buddismo non lo vedo come un "insulto" ;D anzi lo rende più plausibile vista l'infallibilità implicita del Buddha. Da questo punto di vista il buddismo Mahayana paradossalmente mi sembra più coerente del Canone Pali, specialmente la filosofia implicita nel "Buddha Vairocana" e dell'Avatamsaka Sutra (filosofia implicita a mio giudizio anche nel Canone Pali). Il Dhamma d'altronde è la Verità secondo il buddismo (e dire che "ogni cosa è vacua" d'altronde è un'affermazione molto forte). Appunto il Dhamma è il centro, vero sempre e in ogni luogo (come dimostrato dalla figura dei "Buddha privati" e dal fatto che a me di "quasi santi" mi pare di vederli un po' in tutte le tradizioni). Sulla questione dei santi. Ecco vedi io invece ho un'opinione molto diversa. A mio giudizio non ce ne sono e probabilmente non ce ne sono mai stati. Così come non credo ai "santi" dello giainismo, indù, daoisti ecc. In sostanza li ritengo tutti ideali, quasi "archetipi" se vogliamo usare un termine caro a Carlo Pierini che ci costringono ad inginocchiarci e a "trasformare l'io" (nel caso del buddismo addirittura a trascendere ogni "io"). Sono tutti personificazioni seppur estremamente sviluppate. Tutte queste tradizioni puntano verso... "quella dimensione monaci...". Probabilmente una volta c'erano più "quasi santi" ma non sono molto incline a dire che erano davvero esistenti. La mia "fede" al momento è che ci sia un Assoluto (che trascende ogni "dottrina" visto che queste ne descrivono per così dire un "aspetto") e che sia possibile una mente infallibile (o più menti infallibili che "vedono e conoscono diversi aspetti dell'Assoluto/Realtà così come sono") ma ritengo ahimé che non mi sia più possibile abbracciare una tradizione (con "senso di smarrimento" associato :( ). Per esempio la stessa storia del Buddha, del principe che fu promesso dalla profezia che rinuncia ai "regni della terra" per scoprire ciò che ha un valore "imparagonabile alle cose mondane" e che quindi diventa il "vero re" mi pare un archetipo. Qualcuno ci ha visto anche "l'archetipo dell'eroe" nella storia di Siddharta. Credo che anche questo vada ben notato quando si parla di buddismo o altre tradizioni. Anche l'idea per la quale il Dhamma col tempo viene "dimenticato" e poi restaurato lo vedo molto simile a cose che si riscontrano in molti miti e molte religioni. Il che mi fa pensare che nemmeno il buddismo "scappi" da concetti per certi versi analoghi alla "provvidenza", la "storia del mondo" ecc P.S. Grazie anche degli altri post che non ho (per ora) tempo di commentare, sui quali sono quasi d'accordo ;) P.S.P.S. Per esempio anche nei vedanta è entrata l'idea del "risveglio istantaneo con pratica graduale" (ma secondo me anche in occidente e in altre tradizioni orientali - si pensi alle "epifanie" associate alla pratica cristiana per esempio). Anche nello studio, specialmente nel caso della matematica, per quanto mi riguarda ho "illuminazioni" inserite in una pratica graduale. Idem per l'arte ecc ecc

No, non è un insulto ritenere il buddhismo un assolutismo ( tra l'altro sei in buona compagnia, nel ritenerlo...) ma con la consapevolezza  che è, come dici tu "molto particolare, unico rispetto agli altri". Tra l'altro è assai complesso parlare di "buddhismo" tout-court perchè , con i secoli, è diventato una specie di contenitore dove troviamo di tutto e di più, anche cose che forse non ci azzeccano molto ( penso in particolare al lamaismo, con la sua forte componente di tantrismo e l'esperienza di una forte secolarizzazione dell'ordine monastico...).
Meglio concentrarci sul Dhamma e la sua pratica... :) 
Trovo che, per un praticante odierno, non sia utile inoltrarsi in quel folto bosco di miti, archetipi, leggende, note di colore, paragoni,ecc. che caratterizzano l'aspetto esteriore della dottrina. Nel 90% dei casi sono incrostazioni posteriori, I sutra non sono testi ispirati da Dio, ma l'opera di bikkhu che hanno cercato  di mettere per iscritto tradizioni orali che si sono perpetuate per almeno un paio di secoli, prima di trovare collocazione in un testo. La nostra speranza è riposta nella stupefacente capacità mnemonica di quei primi monaci, che utilizzavano i discorsi del Buddha come base di meditazione.
Non trovo importante credere o no in queste cose. L'importante per un praticante penso sia aver ben chiaro la motivazione da cui si muove Siddhartha, il suo obiettivo e il risultato conseguito. Quindi le quattro Nob.Verità e i tre sigilli. Ajahn Sumedho diceva che , solamente la prima delle quattro , può riempire una vita di ricerca...
A proposito di Sumedho , che insegnava un buddhismo pratico, molto concreto riporto un passo, da "So che non so"

Abbiamo tutti diverse tendenze di carattere, la mia personale tendenza è di opporre resistenza alla vita: il modo in cui tendevo a relazionarmi all'esperienza, quando ero laico, si manifestava, in generale, attraverso il tentativo di oppormi e di controllare le cose. Quindi, notavo che le mie aspirazioni religiose andavano più verso un desiderio di annichilimento che di felicità. Mia madre, da buona cristiana, era l'opposto, mirava alla felicità eterna. Aveva un'enorme fede nell'insegnamento cristiano, una fede tale che pensava che, una volta morta, avrebbe vissuto con Dio in uno stato di permanente felicità. Non era una cosa che io desiderassi particolarmente, non mi attraeva, quello che volevo io era una sorta di sparizione nel vuoto.
Notando questa tendenza nella mia vita monastica, che si manifestava come desiderio di liberarmi delle cose, desiderio di non esistere, desiderio di non essere niente, scoprii che questa tendenza verso ciò che chiamiamo annichilimento, o nichilismo, era un desiderio molto forte. E divenni consapevole, attraverso la consapevolezza intuitiva, attraverso la pratica della presenza mentale, di una sorta di resistenza automatica alle cose. Potevo avvertire interiormente me stesso che cercavo di spingere la vita lontano da me. Attraverso la consapevolezza, cominciai ad accorgermi che questa attitudine si manifestava a livello sottile, non era un rifiuto intenzionale di qualcosa, era più che altro una reazione inconscia.
Cominciando a riconoscere e ad accorgermi della sofferenza che questa resistenza alla vita produceva, fui in grado di lasciarla andare, mi fu possibile smettere di farlo; quando riuscii a vedere me stesso mettere in atto questa resistenza e potei accoglierla come un'esperienza pienamente cosciente, solo allora mi fu possibile lasciarla andare.
...
Talvolta, basta uscire di notte e guardare l'immensità del cielo, il fatto che sia così vasto, che l'universo in cui viviamo sia così sconfinato, e noi non possiamo in realtà capirlo, non possiamo realmente conoscerlo. Talvolta ci sentiamo rapiti o presi dalla meraviglia davanti al mistero e alla maestosità dell'universo, che possiamo percepire, ma non conoscere.
Nella pratica di presenza mentale, di consapevolezza intuitiva, non abbiamo bisogno di conoscere niente riguardo a nient'altro, abbiamo solo bisogno di conoscere le cose come sono in questo preciso momento, entro la limitazione del corpo umano, della coscienza sensoriale, sentendo ciò che è presente, ciò che possiamo osservare ora. Il Buddha paragonava il suo insegnamento delle Quattro Nobili Verità a una manciata di foglie: non sono tutte le foglie della foresta, è solo una manciata. Entro la limitatezza della nostra coscienza umana, non possiamo relazionarci con tutte le foglie della foresta, o contare tutti i granelli di sabbia del fiume Gange.
Quello che stiamo facendo è imparare da questa manciata di foglie, che in realtà è come il corpo, la coscienza, le esperienze sensoriali, il modo in cui sono le cose, per come le possiamo sperimentare direttamente nel momento presente. È un'esperienza che rende molto umili, perché il percorso spirituale non fa inorgoglire, non fa diventare un essere spirituale altamente evoluto che fluttua per aria, qualcuno al di sopra di tutti gli altri. Non diventiamo esseri fantastici spiritualmente evoluti, giacché la nostra meta, la vera misura della visione spirituale, inclina a una profonda umiltà. Ci si sente paghi, grati di piccole cose; anziché cercare di sapere tutto su qualsiasi cosa, anziché essere un'autorità, un esperto, si è più consapevoli di non sapere, e che non è necessario sapere tutto, basta conoscere la differenza tra il condizionato di cui facciamo ora esperienza e l'incondizionato.
Ora sono monaco da trentatre anni e il risultato di trentatre anni di pratica come monaco buddhista è che so di non sapere. So che c'è la sofferenza, quando è presente, e conosco le cause della sofferenza, e so quando la sofferenza non c'è. E so quando la mia personalità è attiva e quando non c'è persona. È la diretta conoscenza di ciò che chiamiamo ñana dassana, la conoscenza e la saggezza che provengono dalla comprensione intuitiva diretta, dall'osservazione, anziché dal collezionare conoscenze sulle cose. Il mio insegnante in Thailandia, Ajahn Chah, una volta mi raccontò che quando iniziò a praticare la meditazione disse al suo maestro: "Stai cercando di farmi diventare stupido"... ;D
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