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Buddhismo

Aperto da acquario69, 16 Febbraio 2017, 04:59:05 AM

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Sariputra

#240
cit.Phil: L'aporia a cui accennavo, quella fra l'aspetto sociale e quello individuale del buddismo, è proprio il contrasto fra l'esigenza (e l'urgenza) di un'etica pre-illuminazione e lo svanire dell'etica nell'illuminazione (lasciando posto ad una benevola spontaneità "impersonale").

La spontaneità personale dell' "illuminato" è la manifestazione piena di un'etica che nella pre-illuminazione è solo un seme. Seme che, non coltivato dalla pratica di sila, non fiorisce, sommerso dall'attaccamento e dall'illusione/ignoranza della propria natura verso il 'mondo'...nell'"illuminazione" la pratica di una vita etica non è più qualcosa da coltivare o perseguire, diventa lo stato normale della mente.

Se la pratica è fondamentale per raggiungere la consapevolezza adeguata (che ci renda compassionevoli), è anche vero che tale pratica sarà guidata da precetti e concetti.

Infatti si parla di Dhamma, ossia di Insegnamento. Per ottenere un risultato bisogna esercitarsi (anche per imparare a scrivere bene, per esempio o per vendemmiare...infatti da piccolo mi veniva spontaneo staccare tutti gli acini dal grappolo, uno ad uno, e riporli nella cesta; poi qualcuno mi ha "fatto vedere"...). L'insegnamento  è qualcosa di vivo, che passa 'da cuore a cuore'...non è una bella formuletta scritta in qualche famoso testo; quelle non funzionano e non sono convincenti, alla lunga...

Se la via per l'illuminazione è lastricata di buone intenzioni, di regole e concetti canonizzati, di fatto è questa l'etica che viene generalmente praticata (fra una sesshin e l'altra), e non accade per spontaneità, ma per applicazione e studio di un culto.

Dipende. Come in tutte le cose ci sono varie gradazioni. Ci sono individui che hanno bisogno di praticare poco e altri moltissimo ( e per molte vite, secondo il Buddhismo...). L' etica praticata per imposizione sociale e culturale non ha valenza  simile all'etica che si nutre di consapevolezza e comprensione.

Se mi metto d'impegno ad imparare a dipingere, «dopo, molto dopo» (quasi tardi?) nella peggiore delle ipotesi, smetterò per insoddisfazione dei risultati o per eventi avversi...

Infatti moltissimi abbandonano e lasciano la pratica perché ritenuto troppo difficile...

...nella migliore delle ipotesi, acquisirò una pennellata spontanea... perché tale pennellata era da sempre "in me" (buona natura innata) o perché l'ho "costruita" io ("educazione" alla benevolenza)?

Era da sempre in me, il mio sforzo è stato solo quello di 'liberarla', ma per liberarla seguire un insegnamento è più semplice che far da sé...Se devo vangare l'orto sarà meglio che qualcuno mi insegni ad usare la vanga adatta o grattare  la terra con le unghie?...Scavo anche con le unghie, ma mi stancherò prestissimo e 'mollerò' tutto, così l'orto resta incolto e pieno di erbacce... (l'orto è la 'mente' ovviamente...).

Secondo me, l'intenzione e l'applicazione plasmano più di quanto rivelino (pur partendo da una base minimamente compatibile).

L'importante è ciò che ottieni. Forse sarei arrivato da solo a staccare tutto il grappolo dalla vite, anche senza essere 'plasmato' dal nonno...ma così ho sicuramente imparato più in fretta. Insegnare non è negativo. Bisognerebbe riscoprire il grandissimo valore dell' Insegnamento ( volutamente con la I maiuscola ) , soprattutto in quest'epoca di stipendiati dell'insegnamento...
l' Insegnamento "fa vedere", non impone... (infatti adesso ho escogitato un sistema più rapido di quello insegnatomi dal nonno per vendemmiare...)  

Prendendo per le corna il toro, anzi il bue (quello della parabola): i praticanti dell'etica buddista, la praticano in quanto etica indotta da cultura, lettura, etc. (il che non è un peccato) o in quanto spontaneo risultato dell'illuminazione?

Pensi ce ne siano tanti di "illuminati" ? Ce ne sono molti che dicono di esserlo forse...
Penso che , domande che investono il vissuto e le convinzione etiche delle persone, tendano  sempre a generalizzare e a fare di tutta un'erba un fascio. C' è sicuramente un pò di tutto anche nei paesi influenzati dalla cultura buddhista: tutta la scala dei colori...

Quando mi riferivo all'aporia del «proporsi in chiave etica ai popoli della terra» mi riferivo a questo; per pochi (quasi nessuno?) e non per tutti

Si, ma consideriamo che l'intenzione buddhista non è carica di aspettiative che verranno inevitabilmente deluse dalla poca accoglienza nelle masse, le quali forse si accontenteranno di "seguire" senza convinzione profonda. Adesso siamo in periodo natalizio e le luci e lucette variopinte del 'mondo' attraggono gli orientali come gli occidentali...

Sul non-attaccamento come indifferenza alla mondanità e alla socialità (e al prossimo, anche se suona male  ;) ), forse sono eloquenti le scelte di alcuni maestri (illuminati?) di ritrarsi in solitudine, prendendo rifugio nella solitudine dei boschi più che nello sangha. Sempre che non si tratti di leggende, non sono molto informato in merito.

Come fa un seguace del Dhamma ad essere indifferente al prossimo e alla sua sofferenza? Ricordo che l'imperatore Asoka, convertitosi al Buddhismo, faceva costruire ospedali lungo le vie carovaniere e persino luoghi per la cura degli animali (2.300 anni fa circa...).
È stato detto che «l'apporto teorico più originale prodotto dal Buddhismo consiste nella formulazione  di  una  prospettiva  che,  in  termini  moderni,  potremmo  chiamare  "modello  a rete" (Pasqualotto). Il 'mondo' infatti non viene visto come un insieme di enti a sé stanti che entrano in relazione, ma come il frutto di un insieme di relazione sincroniche e di trasformazioni diacroniche che generano l'esistente momento per momento.
In siffatta visione l'affermazione dell'"assenza del sé" è proprio ciò che permette l'apertura all'empatia compassionevole con gli altri, venendo radicalmente superata la concezione dualistica che oppone un "io" ad un "tu" esterno a se stesso. La compassione buddhista nasce infatti dall'interazione e interdipendenza tra due "non sé- in sé" ( vedere sopra la logica buddhista, diversa da quella aristotelica...) i quali, avendo superato finalmente l'illusione di essere distinti, si possono 'incontrare' veramente ( e non artificiosamente , con maschere protettive...).

La ricerca della solitudine (relativa, perché l'interazione con la natura è potentissima e ci ha dato pagine di poesia incredibili, a parer mio...) nei boschi o in luoghi appartati è anche un bisogno di "essenzialità"...

cit.Ipazia:
In ambito giapponese (buddista-scintoista) l'altruismo va dosata per non porre in una vergognosa (haji) condizione di obbligo (on) il beneficiato. Il che sarebbe ancora peggio dell'indifferenza.

Trovo molto bello questo. E' una forma di rispetto che l'altruismo deve avere. 

Namaste-Ciao-forse arriva la neve per Natale

Son sempre troppo 'lungo' vero? Portate pazienza , è tutto lungo qui a Villa sariputra... ;D
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Phil

Non ti trovo affatto prolisso, anzi (mi) risulti chiaro e ben misurato (senza voler sminuire i lunghi corridoi e le lunghe notti, presto innevate, della Villa  ;) ).
Tuttavia, proprio quello che non hai commentato del mio post, è forse ciò che mi lascia più perplesso del rapporto fra Istruzione (buddista, e non solo) ed Etica:
Citazione di: Phil il 19 Dicembre 2018, 12:11:57 PMD'altronde, se invece mi metto d'impegno e d'intenzione a dare attente martellate al marmo, non potrò diventare pittore, semmai diverrò "spontaneo" scultore...
oppure, riprendendo la tua metafora dell'orto: se semino pomodori, non nascerà insalata... ovvero, almeno a quanto pare (guardandosi intorno), ogni culto-cultura può essere interiorizzato-a al punto da diventare "spontaneo-a" (anche quelli-e meno favorevoli al prossimo...).

P.s.
Nondimeno, ci siamo già spiegati in precedenza sulle rispettive differenti vedute sulla "naturale" indole umana; non voglio ripetere l'impasse  :)

Sariputra

Riporto uno stralcio da un'intervista a Claudio Naranjo, psichiatra, psicoterapeuta e antropologo cileno, uno dei massimi esponenti della terapia della Gestalt ( e grande conoscitore del Buddhismo, ma non solo...).  Fondamentale, nel suo pensiero, è l'analisi critica della mente "patriarcale", che domina ancora la civiltà occidentale e ne limita l'evoluzione, producendo falsi valori che frenano il pieno sviluppo del potenziale umano, e una società malata, fondata sulla prepotenza, la forza, il dominio e l'aggressione. ...

...La mia visione è che tutto il mondo passionale o tutto il mondo della libido, non di eros bensì della libido, perché mi piace fare una distinzione tra queste parole, il mondo dei desideri quindi, è un mondo che si alimenta del vuoto. E' come se tutta la passionalità fosse stimolata dal desiderio di riempire il vuoto che resta a causa della perdita del senso dell'essere, voglio dire per la perdita dell'esperienza diretta dell'essere. Sebbene possiamo dire astrattamente "sono", filosoficamente non abbiamo l'esperienza dell'"Io sono", che si può dire sia ciò che appare come "il più divino" nell'essere umano. Solo la parte divina nell'essere umano può dire "sono quello che sono".

L'esperienza dell'essere è qualcosa che, paradossalmente, più la persona cerca, meno riesce a raggiungere e viceversa. L'esperienza dell'Io è un'esperienza molto fragile, quasi illusoria, è qualcosa che si vede con la coda dell'occhio e appena si guarda di fronte, scompare. Quanto più si cerca l'Io, tanto meno si trova. Dunque mi sembra che il lavoro sulla carenza in questo senso, non la carenza amorosa che studia la psicologia dinamica ma la carenza ontica, dia un'altra dimensione alla psicoterapia, una dimensione peraltro piena di speranza perché l'amore di vent'anni fa non si può ritrovare, però l'essere è sempre presente, solo che dobbiamo sviluppare la capacità di rimuovere il velo che ci separa da esso.
Una delle mie realizzazioni teoriche è stata la formulazione di una teoria della nevrosi e degli aspetti caratterologici che accompagnano gli stili nevrotici. Da questo punto di vista tutte le nevrosi sono una ricerca disperata dell'essere che "riposa" in una perdita dell'essere, e la perdita dell'essere si sostiene con la stessa ricerca dell'essere là dove non c'è.

Ho lavorato sistematicamente a partire dal carattere perché penso che la base della nevrosi sia caratterologica, non credo, come qualcuno ha proposto, che la nevrosi del carattere sia una complicazione della nevrosi, ma piuttosto che la nevrosi sintomatica sia una complicazione della nevrosi caratterologica di base.

D: Hai fatto cenno poco fa al deficit dell'essere definendolo come una carenza ontica, mi pare che in questo discorso rientri la tua ricerca nel Buddhismo e l'approfondimento dei suoi vari livelli.

R: E' vero, però mi piacerebbe dire al riguardo che esistono due "vocabolari" nel mondo delle tradizioni spirituali. L'attitudine del Buddhismo è trovare alla radice della vita un "vuoto fondamentale". Con questo si vuol dire qualcosa di trascendente, qualcosa che non si può definire concettualmente e che fuoriesce da tutte le categorie di pensiero. Questo modo di vedere esiste anche in altre tradizioni come ad esempio l'Induismo secondo il quale, al centro della persona, si trova un "self" un sé stesso. Una delle mie tesi, durante molti anni dalla pubblicazione di "The one quest", è stata che questa polemica religiosa, se la verità si trovi nel "self" o nel "non self", rifletta anche due stili di simboleggiare, il che non comporta una differenza fondamentale rispetto alle implicazioni pratiche. Tanto il meditare sul vuoto quanto il meditare sul self indirizzano la mente verso il centro di sé stessa o il meditare su Dio. La differenza non è così radicale come sembrerebbe. In tutti i casi è certo che nel Buddhismo si abitua la persona a svuotarsi di sé stessa, si abitua la persona a stare senza punti di riferimento, esiste una vera educazione a lasciar andare l'attaccamento a forme di comportamento o idee. Lo stesso si può dire del taoismo, il Tao è, nella sua essenza, vuoto e questa concezione di vuoto ispira il coltivare la fluidità.

D: Cosa puoi dire di più su questa idea di vuoto che spesso è difficile comprendere da chi non è dentro l'esperienza: in generale si teme che il vuoto sia un non esistere.

R: Nel Buddhismo si parla in due sensi di vuoto. La vacuità, la mancanza di significato del Samsara, la insostanzialità del Samsara, che è un'idea che si sviluppa quanto più la persona è risvegliata spiritualmente. Come diceva il sufi Bayasid Bistami, anche se stiamo parlando di Buddhismo, "quanto più vivo, meno mi interessa il mondo, più mi interessa Dio".

Si può dire che quando una persona matura spiritualmente gli interessano sempre meno le cose del mondo, cominciano cioè a sembrare superflue, come i giocattoli che un bambino lascia da parte, i piaceri sensoriali, i piaceri della vanità, i piaceri legati al potere, di fronte ad una soddisfazione più profonda che non può dare nessuna cosa al mondo.

Questa può essere una nozione di vuoto: è come svuotare il mondo di significato. Un altro senso è che il supremo, l'assoluto, quello che cerchiamo ben oltre il mondo, ha una natura di vuoto. In questo senso è qualcosa di cui non si può dire niente. Tutto quello che possiamo dire di qualsiasi cosa si trova dentro una polarità: di tutto si può dire il contrario. Allora il vuoto ha un senso di ineffabilità che non è un niente ma che non ha caratteristiche denominabili, specifiche.

Io credo che questi due tipi di vuoto non siano diversi come sembrano perché, se ci si permette di stare nell'indefinito, nel vuoto che lascia il mondo e le sue soddisfazioni, si crea un'apertura verso ciò che non è sullo stesso livello del concettuale, o dell'emozionale, o del volitivo.

Ci si può chiedere cosa sia il transpersonale se non è corpo, non è emozione, non è intelletto. Si può dire che è niente, però non un niente negativo, bensì un niente in cui è radicato l'essere.

Parlando in forma approssimativa si può dire che la visione risvegliata della vita è una visione nella quale tutte le cose che quotidianamente si dice "esistano", sono come ombre, sono derivate, sono riflessi dell'essere, sono come la caverna di Platone, un mondo che ha qualcosa della natura del sonno rispetto all'essere assoluto; ma in questo senso si può dire che solo il non-essere, è. Solo quello che dal nostro punto di vista ordinario sembra non essere, è quello nel quale può trovarsi l'esperienza dell'essere. E' un poco come dire che solo consegnandosi alla morte si può trovare la vera vita, mentre più ci aggrappiamo alla vita più ci distruggiamo, più ci inibiamo nel flusso della vita.

Per chi interessa e ha tempo consiglio la visione di questo video in cui Claudio  parla di alcuni temi che stiamo dibattendo nel forum attualmente (crisi dell'"Impero"...)
https://www.youtube.com/watch?v=L6CNf59mk3o
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Ipazia

Concordo pienamente con l'intervistato per la correlazione stretta che pone tra patriarcato e imperialismo. Rapporto dalla cui crisi profonda (molti, come Jerry, ancora non cadono solo perchè non si rendono conto di avere già oltrepassato il ciglio del burrone, ma prima o poi...  :( ) egli propone di uscire ricostituendo il valore sull'unità trinitaria uomo-donna-bambino. Quindi con una forte accentuazione del divenire (il bambino) su cui si supera anche la usurata antropologia borghese-mercatista Io-Altro per approdare alla dimensione antropologica del Noi comunitario, sempre più vero avvicinandoci a condizioni di vita in cui la barca su cui navighiamo diventa una sola: il pianeta Terra.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Sariputra

#244
Siamo soliti  distinguere la coscienza dalla percezione. In realtà non vi è una coscienza senza un atto percettivo. Quindi dovremmo dire che ogni percezione è anche un atto di coscienza. Per questo penso sarebbe più opportuno parlare di "processo percettivo". La vita umana, nel suo aspetto "ordinario", è composta da un 'flusso' di processi dinamici che si muovono e interagiscono attraverso dodici canali, corrispondenti ai dodici elementi della formulazione standard del paticcasamuppada, la 'produzione condizionata'.. Troviamo un rapporto di dipendenza tra i vari canali: ogni processo viene condizionato da un altro processo.
Tutti questi processi possono essere scissi in più atti (sankhara). Questi atti  sono di carattere dinamico, psicofisico e personale e, quando hanno valenza e aspetto morale, quando si vuole sottolineare questo , vengono chiamati karma (kamma).
Ogni processo dinamico è un atto della mente umana: esso è cosciente, rientra in varie categorie (nome-forma) e appartiene ad una o più delle sei modalità sensoriali.
Ecco quindi che non si possono avere modalità sensoriali in mancanza di una differenziazione cosciente, differenziazione che, a sua volta, non potrebbe sussistere in mancanza di una dimensione cosciente.
A sua volta, essendo questa dimensione cosciente un processo dinamico, ossia che la coscienza opera sotto forma di processi, la sua esistenza non sarebbe possibile in mancanza degli atti percettivi stessi.
Sulla base di questa 'costituzione' umana, è possibile ricevere impressioni, fare quindi esperienza di sensazioni, provare sentimenti verso queste sensazioni e così, alla fine del processo, provare desiderio (del ripetere o non ripetere le sensazioni sorte...).
La 'personalità' viene appunto costruita sul materiale ricevuto attraverso le percezioni sensoriali, viene edificata su queste sensazioni e desideri che seguono l'atto cosciente percettivo. Sono i 'mattoni' che usiamo per costruire l'illusoria casa della nostra 'personalità' (illusoria nel senso che è un edificio costruito e non qualcosa di 'sostanziale in sé, non c'è alcuna 'essenza' duratura in essa...personalità quindi come definizione convenzionale dela reazione abituale mentale agli atti percettivi coscienti...).
La frequenza degli atti percettivi coscienti (insorgere e cessare..) è così rapida che dà alla mente la sensazione di 'continuità', facendo sorgere in essa l'idea: "Io sono" . Questa è "ignoranza"  (avidya-avijja): non consapevolezza dell'insorgere e cessare dei processi dinamici percettivi coscienti.
L'ignoranza è il costituente fondamentale degli asava (influssi/condizionamenti della mente..).
Questi condizionamenti sono quattro caratteristiche della 'personalità' così definita:
a- Inflazione di Irrealismo
b-Inflazione di sensualità
c- Inflazione di accrescimento
d-inflazione di teorie
Questi condizionamenti sono l'espressione della tendenza che ci appartiene ( a noi tutti...) di inflazionare la coscienza  con quattro tipi di contenuti: valori irrealistici, sensualità, preparativi continui per il futuro (accrescimento..) e costruzioni teoriche.
Abbiamo quindi sempre la percezione come punto di partenza. Potremmo definire la percezione come la "sorgente" del 'mondo' insieme ai suoi costituenti: lo stimolo, l'organo di senso, la coscienza e il contatto.
Vediamo quindi che la percezione, non essendo una 'cosa in sé', ma bensì un processo , si presenta di solito insieme ad elementi di sensazione e di desiderio che la distorcono e aggiunte soggettive.
Naturalmente la mente ha pure un ricco arsenale di 'disposizioni latenti' che vengono attivate, nell'atto percettivo cosciente, dalle caratteristiche degli oggetti con cui viene a contatto. Disposizioni che determinano poi la ricerca di riprodurre il contatto piacevole  e di evitare quello spiacevole...
Avviluppata in questo caos percettivo e pesantemente condizionata dalla propria 'ignoranza' dell'intero processo la mente finisce per smarrirsi facilmente, fino a sprofondare spesso in pensieri associativi oppure in sogni immaginativi (papanca)...
In mancanza di queste distorsioni che influenzano costantemente la nostra attività percettiva cosciente e  che spesso ci trascinano in attività indesiderabili, prendendo ad oggetto la consapevolezza del processo, può sorgere comprensione (prajna).  :)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

#245
Ciao @Sari,

Molto belli gli ultimi due interventi. Una domanda: a cosa ti riferisci con 'valori irrealistici'? :)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

cit. Apeiron:"Molto belli gli ultimi due interventi. Una domanda: a cosa ti riferisci con 'valori irrealistici'? "

Ciao Apeiron
Ben ritrovato!
Il ritenere permanente, soddisfacente e sostanziale ciò che in realtà è impermanente, insoddisfacente e insostanziale. 
Intendo in questo senso.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Ipazia

Esiste qualcosa che non sia parte di un processo ?
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Sariputra

Citazione di: Ipazia il 13 Aprile 2019, 23:01:17 PMEsiste qualcosa che non sia parte di un processo ?

Nella concezione buddhista solo l'elemento chiamato 'Nirvana' (Nibbana in pali), che letteralmente significa 'estinzione', non fa parte di un processo impermanente.
Ciao
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

acquario69

Citazione di: Sariputra il 13 Aprile 2019, 23:58:40 PM
Citazione di: Ipazia il 13 Aprile 2019, 23:01:17 PMEsiste qualcosa che non sia parte di un processo ?

Nella concezione buddhista solo l'elemento chiamato 'Nirvana' (Nibbana in pali), che letteralmente significa 'estinzione', non fa parte di un processo impermanente.
Ciao

;)
ed e' lo stesso identico per il Vedanta (Liberazione)
Per il cristianesimo (Resurrezione)