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Buddhismo

Aperto da acquario69, 16 Febbraio 2017, 04:59:05 AM

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Sariputra

@Apeiron, il giovane filosofo, scrive:
Il buddhismo più che altro ha un problema logico tra "etica" e "non-sé" (anatta): per esempio se mi convinco che gli "esseri" a livello di realtà ultima "non esistono" potrei cadere nel nichilismo (rischio in realtà condiviso da tutte quelle scuole di pensiero che non ammettono l'esistenza in senso ultimo dell' "individuo", quindi di fatto è un rischio presente anche tra i monisti). Inoltre "rimuovendo" anche la possibilità di identificarsi "col tutto" il buddhismo dà l'impressione - a livello dottrinale - di essere una sorta di "fuga". Però, secondo me, già il fatto che si dia un'importanza così forte a "karuna" e a "metta" (compassione e amore) fa in modo che il buddhismo non sia nichilista né a livello del "nibbana" né a livello dell'etica. Ammetto che anche per me è incomprensibile l'esistenza dell'azione libera senza l'esistenza di qualche "centro" che controlla le azioni. Quindi sull'(in)esistenza dell'individuo "a livello di realtà ultima" ho ancora forti dubbi anche se la "metafisica" (e non solo, anche la "fisica") suggerisce proprio questo. 

Ah, l'anatta (anatman in sanscrito)!...Croce e delizia di tutti quelli che si avvicinano al Dhamma dell'antico Asceta. Che diavolo vuol dire che non c'è l' ' io ' ?  Lo stesso Siddhartha davanti da un asceta che lo interrogava rimase in silenzio e poi spiegò ad Ananda che, se avesse detto che l'io/mio esiste avrebbe significato abbracciare le teorie degli 'eternalisti', e se invece avesse detto che 'non esiste' il povero interrogante se ne sarebbe andato confuso dicendo a se stesso: "Come è possibile? Prima avevo l'io e adesso non c'è più!". Più o meno è così se non ricordo male...
Ora bisogna capire che la psicologia del Buddhismo antico , analizzando la personalità umana, la divise in cinque fattori, i famosi 'mucchi di raccolta' (panc'upadanakkhandha):
rupa, 'forma' ma qui inteso come 'corpo'
vedana, 'sensazione' e 'sentimento'
sanna. 'ideazione', che comprende anche la 'percezione'
sankhara, 'atti creativi'
vinnana, 'coscienza'
Se confrontiamo l'analisi della personalità secondo la concezione occidentale con la visione buddhista, troviamo somiglianze ma anche differenze. Per esempio, nel buddhismo delle origini, non c'è un termine indicante la 'memoria', in quanto la sua sede viene inclusa in vinnana (coscienza). Il pensiero e l'immaginazione rappresentano delle forme di sanna (processo di ideazione..), ma i loro termini più specifici ( vitakka e papanca) non sono compresi nei khandha...
Secondo la concezione occidentale la personalità umana è un' "unità organizzata di caratteristiche e processi" (R.Johansson). La concezione buddhista non è molto diversa , ma il carattere di 'processo', le funzioni delle 'parti'  e la mancanza di effettiva 'unità' vengono marcatamente sottolineate. Per fare un esempio in un brano  (Samyutta N.IV) si racconta di un re che sente per la prima volta la musica melodiosa di una vina ** e ne prova una così grande soddisfazione che vuole vedere lo strumento. Gli viene mostrato , ma...lui vuole vedere la musica e si arrabbia come una bestia perché nessuno gliela fa 'vedere'. I servi (poveracci...) tentano di spiegargli che la vina "parla" perché è composta di varie parti, ma il re non si dà per vinto e smonta in tanti pezzi la vina e poi, imbufalito, la fa bruciare...ma non trova la musica (ovviamente)!
Nello stesso modo un bhikkhu indaga sul corpo, sulla sensazione, sull'ideazione,sui processi creativi, sulla coscienza ( ossia sui 'mucchi di raccolta'...), ma non trova ni-ente di simile a un ' io ' o a un ' mio ' o a un ' io sono '.
La vina rappresenta un'unità funzionale. Senza che le parti siano collegate correttamente e organizzate, non si può avere nessuna musica.
La personalità umana, afferma il buddhismo delle origini, è come la musica , ammettendo l'importanza dell'organizzazione delle parti che la compongono (rupa, vedana, sanna,sankhara e vinnana), ma mettendo l'accento però sulle parti. La musica non si può trovare da nessuna parte: non si ammette perciò nessuna unità reale (permanente) come un'anima, ossia niente con cui ci si posso identificare.
Notiamo però che la 'musica' esiste , anche se la sua esistenza è un prodotto della corretta combinazione e configurazione delle sue parti. Similmente la personalità umana ( io empirico) esiste, ma sempre e solo come prodotto dell'unità funzionale delle parti mentali che la compongono. C'è l'albero, ma non c'è qualcosa di permanente che potremmo definire "essenza dell'albero", e questa è quella che viene definita come 'vacuità' dell'albero o l''anatta' dell'albero...
In ultima analisi, per il buddhismo, la personalità è un 'processo creativo' ossia sankhara...Lo stesso concetto si trova espresso nella frase: "Il corpo creato è da lui correttamente conosciuto come creato".
Per il buddhismo originario il fattore 'percezione' è fondamentale per la costruzione del 'mondo', una sua parte essenziale. La percezione 'crea' il nostro mondo, quello dove 'dimora' la nostra mente condizionata, creandosi persino l'immagine del proprio corpo. 
Tra i vari fattori della personalità che erroneamente chiamiamo 'io/mio' la parte più importante è quella della 'coscienza' (vinnana) perché è questo il fattore che, secondo il buddhismo, riveste il ruole principale in quell'altro processo chiamato 'ri-nascita' ( come un processo che non sorge dal nulla e che sparisce nel nulla [nichilismo] il buddhismo concepisce solo un 'impermanente trasformazione dei processi vuoti di esistenza intrinseca...un "flusso" di vinnana condizionata, definizione mia ...). 
"Mentre egli, osservando la soddisfazione, si attacca, si lega e si infatua, i cinque fattori della personalità  continuano l'accumulazione per il futuro" ( Majjhima nikaya III )
Per il buddhismo non abbiamo 'entità' ma 'processi'. La personalità è un 'processo' di accumulazione, ma quell'accumulazione è di 'quel' processo e di nessun altro, anche se il processo viene condizionato da altri processi. Tutti i processi, per il buddhismo, possono essere scissi in più atti (sankhara), di carattere psicofisico, dinamico e personale e caratterizzati da un aspetto morale ( questi sankhara assumono il nome famoso ormai di kamma/karma quando si sottolinea il loro aspetto morale). Siccome la coscienza/vinnana è anch'essa un processo dinamico e condizionato, la sua esistenza non sarebbe possibile senza i sankhara.  Quindi l'aspetto morale/karmico dei sankhara condiziona il processo morale della coscienza. Con questa costituzione della mente umana è possibile avere, secondo la psicologia buddhista antica, impressioni, fare esperienza di sensazioni e sentimenti (vedana) e soprattutto ( molto importante questo punto, a parer mio...) "provare forti desideri"  ( la famosa tanha , ossia la "sete di esistere" , di soddisfazione, di brama egoistica...).
Con questo 'materiale' viene edificata una determinata personalità (bhava) che fa esperienza di dukkha (sofferenza), la caratteristica principale della vita secondo il Dhamma .
Portatrice di tutti questi 'processi' è la mente (citta). Citta però non ha "sostanza intrinseca" neppure lei e nemmeno costituisce un ' io ', nemmeno come 'Vero sé' o "Sè purificato" o in qualunque altro modo lo si voglia definire...la mente è la mente e basta... :)

**Il vina  è considerato uno dei più antichi strumenti musicali indiani , padre del sitar.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

#181
Grazie della risposta Sari  ;)  

Il punto è che un "ignorante uomo mondano" come me quando direziona "metta" o "karuna" a qualcuno non ha in mente che quel "qualcuno" è un "processo" ma "metta" e "karuna" funzionano proprio perchè - a livello dell'uomo mondano - si pensa che ci sia un "tu" reale.  Se invece davanti a un "essere" contemplo la sua inesistenza intrinseca - se sono un ignorante uomo mondano - riesco a direzionare verso di "esso" una buona azione? Probabilmente un "arahat" (o forse anche un "vincitore della corrente") sì ma uno che sente per la prima volta che gli esseri sono "vuoti" ha certamente un po' di perplessità in proposito, motivo per cui anche tu dicevi che "anatta" è la fine del percorso e non l'inizio. Concordo comunque con te sul fatto che dal punto di vista "ontologico" siamo "processi" più che "cose".

Nota personale: personalmene quando contemplo la mia inessenzialità do meno importanza a parole come "sii un'isola per te stesso" o ad altri insegnamenti "etici". E anche la meditazione sul fatto che "il corpo non è mio, non è il mio sé, non sono io...la mia coscienza non è mia, non è il mio sé, non sono io" ecc in genere mi da l'effetto di "dissociarmi" dalla realtà. Credo che il "vero sé" che circola nel buddhismo mahayana sia un insegnamento che serve proprio a questo. Altrimenti in fin dei conti Sam Harris, Bathcelor, i buddhisti secolari ecc non hanno tutti i torti quando affermano che le neuro-scienze hanno "confermato" la teoria del Buddha e che il Buddha era una sorta di "materialista" che è stato, per così dire, frainteso per millenni.
Comunque la mia lettura personale non vede il buddhismo come nichilismo. Infatti non credo che "Nirvana=nulla" e che l'insegnamento etico è tanto importante come quello "filosofico" (se non di più), visto che quello filosofico se "gestito male" può dare molti problemi.

Ergo: nuovamente l'unico modo per uscire da questo empasse secondo me è capire che alcune cose non si possono capire ;) anche se per un "logico" è una cosa tremendamente difficile da accettare (e in effetti non l'ho ancora fatto ;))  

P.S. Ho modificato il post perchè in esso c'era troppa "avversione". Ogni tanto ci casco ancora: finisco per dire cose in cui ho l'illusione di sapere quando invece non so. Chiedo perdono.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Apeiron

#182
Una domanda è d'obbligo sulla questione del nichilismo. Non credo che in realtà sia stata toccata in questo topic.

Qual è la vera (o "principale") motivazione per cui una persona cerca il Nibbana?

Vuole solo liberare sé e gli altri dalla sofferenza? Ossia l'obbiettivo è estinguere la sofferenza (in generale)?
O è valorizzare l'esistenza?

La risposta dà luce sulla questione buddhismo-nichilismo ;)

Credo che sia importante la seguente riflessione.

https://www.canonepali.net/2015/06/snp-1-8-karaniya-metta-sutta-lamore-universale/ Metta sutta... qui non c'è nessuna traccia di nichilismo e mi pare che si valorizzi sia l'esistenza e si dice che anche la sofferenza (dukkha) può avere valore. Quindi no, per me buddhismo non è nichilismo. Quello che non mi convince però è questo completa ricerca della cessazione della sofferenza prima di ogni cosa. Mi sembra che contraddica anche la "Metta Sutta".

Con buona volontà (metta) per il cosmo intero,
si coltivi un cuore illimitato:
Senza odio.


Per un essere così c'è importanza dunque di estinguere la propria sofferenza? Per il cosmo intero... Bodhisattva?
Davvero è così importante stabilire se si è vero "atta" o "anatta" per un essere del genere?
"Metta" dà valore all'esistenza.

https://www.canonepali.net/2015/06/an-11-16-metta-sutta-lamore-universale/. Secondo questa sutta:
"Monaci, per colui che coltiva, sviluppa, insegue, prende per base, stabilizza, consolida ed intraprende bene la liberazione della coscienza attraverso l'amore universale, può aspettarsi undici benefici. Quali undici?
Dorme placidamente si sveglia placidamente, non vi sono incubi nel suo sonno. È caro agli esseri umani, caro agli esseri sovrumani. I deva lo proteggono. Né fuoco né veleno né armi possono toccarlo. La sua mente si concentra velocemente. Il suo colorito è chiaro. Muore senza paura o confusione e – non raggiunge il Nibbana – rinasce sempre nei mondi di Brahma.
Ecco gli undici benefici per colui che coltiva, sviluppa, insegue, prende per base, stabilizza, consolida ed intraprende bene la liberazione della coscienza attraverso l'amore universale, può aspettarsi undici benefici."

"Non raggiunge il Nibbana..." E cosa gli interessa se ama il cosmo intero?? A volte in queste frasi mi sembra incontrare contraddizioni. Metta/karuna vorrebbero il bene per tutti. Il rigido monachesimo e la pratica personale impongono che si cerchi la liberazione personale.
A me sembra di vedere un contrasto. Forse i Mahayana con la loro dottrina del Bodhisattva e la natura di Buddha hanno appunto cercato di conciliare le due cose.

Mah è uno dei grandi misteri del buddhismo.

Ad ogni modo "è davvero umanamente possibile avere una buona volontà per il cosmo intero?"

Risposta: uno stato del genere è impossibile da tenere per sempre quindi è meglio non desiderarlo.

O forse Buddha ha un messaggio ancora più "strabiliante": anche una "vita eterna" in un reame "deva" non ci soddisferebbe per tutta l'eternità. (Ovviamente non tutto ciò che eterno è per forza piacevole. Un'eterno mal di testa non è il massimo, per esempio. Quindi "anicca" - impermanenza - non è l'unica causa di "dukkha", la sofferenza)

Quindi il Nibbana è meglio di ogni esistenza individuale. Tuttavia a differenza del Sari trovo la posizione buddhista molto ambigua. Mi pare che in fin dei conti sono possibili le seguenti interpretazioni: nirvana=nulla, nirvana="cosa" incondizionata fuori dal samsara, nirvana= samsara "vissuto" in modo diverso, nirvana= mente eterna...
Il che confonde e mi pare una cosa assurda che sia tutto così fumoso. Eppure agli antichi indiani bastava ascoltare un discorso ed era fatta. Perchè? Forse solo un contemporaneo del Buddha poteva capirlo? Mah, possibile.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

@Apeiron scrive:

 l'insegnamento etico è tanto importante come quello "filosofico" (se non di più), visto che quello filosofico se "gestito male" può dare molti problemi.

Il Dhamma buddhista  senza fondamento in sila ( moralità) e volto esclusivamente alla speculazione filosofica può portare a tutti quei problemi che giustamente evidenzi. Pratica e riflessione sono come due gambe che permettono una corretta andatura. Se togli una delle due iniziano le difficoltà ( e , in ogni caso è preferibile azzoppare la gamba 'filosofica', rispetto a quella 'etica'. Una persona con una buona condotta morale, ma tardo nella riflessione filosofica sul Dhamma, procede più speditamente verso l'altra riva che non una persona malvagia ma dotta nella filosofia buddhista...).

Ergo: nuovamente l'unico modo per uscire da questo empasse secondo me è capire che alcune cose non si possono capire.

Se intendi 'capire' intellettualmente il Nibbana direi che...no! Non si può capire. Ma si può sperimentare come uno stato reale...parlare 'intorno al Nibbana' è sempre quel famoso dito che indica la luna...e aggiungo: per fortuna che è così. Che cosa "misera" sarebbe il NIbbana se potessimo 'racchiuderlo' in una formula, una frase, un pensiero...  

Ogni tanto ci casco ancora: finisco per dire cose in cui ho l'illusione di sapere quando invece non so.

Non ti preoccupare, capita sempre anche a me... :) Ma con gli anni si ottiene una specie di 'faccia di bronzo'  :-[ .  E' il famoso problema della presunzione ( di sapere di più, uguale o di meno degli altri...) che ci attanaglia un pò tutti, chi più chi meno...

 alcune cose non si possono capire , anche se per un "logico" è una cosa tremendamente difficile.

 Io la vedo così: se studi il funzionamento dell'universo usa la logica fino in fondo, usala tutta. Se pratichi il Dhamma usa la logica fino al punto in cui il tuo 'cuore' ti dirà che puoi dimenticartene ( per un pò... ;D ).
 Non vedo contrapposizione tra le due cose. Si può usare la logica dove serve e praticare il Dhamma dove serve ...non ci sono due praticanti uguali su questa terra. Non penso che il Dhamma sia semplicemente credere alle parole di un asceta morto 2.500 anni fa. Spesso facciamo questo errore, ma in realtà l'ispirazione, la volontà e la pratica fanno sì che il Dhamma diventi una cosa 'nostra'. E' la 'nostra' medicina, non quella di qualcun altro. E come la storia stessa del Buddhismo ci insegna, si può essere altamente 'creativi' nel renderlo 'carne nostra'...con 'frutti' meravigliosi, a volte.

Qual è la vera (o "principale") motivazione per cui una persona cerca il Nibbana? 

E' troppo semplicistico dire:" Per la liberazione dalla sofferenza". E' il voler vedere e capire qualcosa che è più profondo della sofferenza stessa, qualcosa che la genera e che ci 'imprigiona'.  Vista la radice della sofferenza la si recide per essere liberi, per uscire dalla gabbia. Volere il Nibbana è voler realizzare la vera natura della nostra mente, liberata dalla gabbia. Una mente che trova 'dimora' in prajna ( saggezza,visione intuitiva, ecc.) e in  metta/karuna ( amore, compassione, ecc.).

Vuole solo liberare sé e gli altri dalla sofferenza? Ossia l'obbiettivo è estinguere la sofferenza (in generale)? 
O è valorizzare l'esistenza?


Le due cose vanno insieme. E' proprio perché cerco di estinguere la sofferenza in me e negli altri che valorizzo la mia e l'altrui esistenza. Si tratta di 'togliere' per 'far risplendere'. Non è un 'togliere' ( la sofferenza...) fine a se stesso. Se una pietra preziosa è coperta di fango non può essere vista la sua bellezza...

Metta sutta... qui non c'è nessuna traccia di nichilismo e mi pare che si valorizzi sia l'esistenza e si dice che anche la sofferenza (dukkha) può avere valore.

La sofferenza può aver valore perché ci 'pungola', ci interroga e perché, osservando dukkha,  spesso un moto spontaneo di compassione fa breccia attraverso la brama , l'odio e l'illusione, dandoci come una 'scintilla' di Nibbana...questa scintilla può accendere il desiderio positivo di sconfiggere la trama e l'ordito delle tre robuste radici del male che soffocano il nostro 'cuore'...
Tutte le grandi personalità spirituali sono partite nel loro cammino quando si sono trovate faccia a faccia con la sofferenza (Siddhartha e Francesco d'Assisi, solo per citare due nomi conosciuti da tutti...).
Anche il mio personale interesse per il Buddhismo è nato dall'esperienza della sofferenza.

Per un essere così c'è importanza dunque di estinguere la propria sofferenza? Per il cosmo intero... Bodhisattva?
Davvero è così importante stabilire se si è vero "atta" o "anatta" per un essere del genere? 
"Metta" dà valore all'esistenza.


Direi che l'importanza di estinguere in se stessi la sofferenza è proprio un veicolo per poter poi indicare la strada anche ad altri. E' impossibile per un cieco indicare la giusta via da percorrere a chi gli chiede un'indicazione per giungere in un certo luogo. Se tolgo l'illusorio io/mio dove sta la mia sofferenza? Non è forse semplicemente parte di una sofferenza condivisa, molto più ampia, che ci tiene illusoriamente separati?
Se sperimentiamo 'metta' è cosa salutare/bene, ma nel Buddhismo non si intende la sofferenza come nell'interpretazione cristiana per cui riveste un valore in quanto ci fa partecipi della sofferenza del Cristo nella Sua opera di redenzione. Sperimentare dukkha per il Buddhismo è insano/male e bisogna liberarsi da questo 'fango' e aiutare tutti gli esseri senzienti a farlo ( se lo vogliono ovviamente... :) ).
Prajna/panna e metta/karuna possiamo intenderli come qualcosa di positivo che si oppone a qualcosa di negativo (avidya e tanha).
I primi ci liberano, i secondi ci incatenano...Oppure, se si preferisce: i primi fanno risplendere, i secondi oscurano.

"Non raggiunge il Nibbana..." E cosa gli interessa se ama il cosmo intero?? A volte in queste frasi mi sembra incontrare contraddizioni. Metta/karuna vorrebbero il bene per tutti. Il rigido monachesimo e la pratica personale impongono che si cerchi la liberazione personale.
A me sembra di vedere un contrasto. Forse i Mahayana con la loro dottrina del Bodhisattva e la natura di Buddha hanno appunto cercato di conciliare le due cose.


Anche noi siamo bisognosi di metta e karuna verso noi stessi. Vogliamo il nostro bene forse? Bene  che non è certo volere la soddisfazione dell'io/mio, magari a scapito del bene altrui. Metta e karuna sono così 'potenti' che la loro pratica meditativa può portare all'accesso dei jhana, in praticanti in cui la 'nobiltà' di questi sentimenti è molto sviluppata. Ad alcuni basta la visualizzazione di un essere immerso nella sofferenza per realizzare il primo jhana. Allora sparisce ogni senso di separazione e karuna fluisce spontaneamente.
Ecco, o monaci, un discepolo che fissa l'attenzione nel pervadere una direzione con il suo cuore colmo di compassione, e similmente la seconda, la terza e la quarta direzione; lo stesso per ciò che è sopra, per ciò che è sotto e per ciò che sta attorno; egli fissa l'attenzione nel pervadere il mondo intero, ovunque e imparzialmente, con il cuore colmo di compassione, che trabocca, che è divenuto enorme, immenso, libero dall'inimicizia e libero dalla pena. (Digha Nikaya 13)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
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Apeiron

#184
Grazie Sari, le risposte sono in verità molto chiare  :)  

A Savatthi. Un bramano cosmologo si recò dal Benedetto e,ivi giunto, lo salutò con rispetto. Dopo averlo salutato, si sedette accanto. Appena seduto, disse al Benedetto: "Allora, Maestro Gotama, tutto esiste? "
"'Tutto esiste' è la forma più alta della cosmologia, bramano."
"Allora, Maestro Gotama, niente esiste? "
"'Niente esiste' è la seconda forma della cosmologia, bramano."
"Allora tutto è Unicità? "
"'Tutto è Unicità' è la terza forma della cosmologia, bramano."
"Allora, tutto è Molteplice? "

"'Tutto è Molteplice' è la quarta forma della cosmologia, bramano. Evitando questi due estremi, il Tathagata insegna la via di mezzo del Dhamma"

https://www.canonepali.net/2015/05/sn-12-48-lokayatika-sutta-il-cosmologo/

Certe volte non capisco se l'ontologia buddhista sia semplicemente il "senso comune" (e quindi in sostanza la filosofia è l'errore del mondo per un buddhista) o se in realtà ci sia qualcosa di più. "Un albero è un albero". Lo dice anche uno che non ha mai meditato, non ha mai studiato e non gli interessa nulla di questi temi. Ma dunque supponiamo che il Buddha avesse un'ontologia. Certe volte comunque non riesco a capire alcune risposte del Buddha. "Evitando questi due estremi, il Tathagata insegna la via di mezzo del Dhamma" - cosa vuol dire?  ;D
Ad esempio l'insieme dei 31 piano dell'esistenza: esistono o non esistono? Risposta: "evitando i due estremi, il Tathagatha insegna la via di mezzo" LOL

Non esiste un "sostrato" ontologico, né esistenza né non-esistenza...

Certe affermazioni mi sembrano complete assurdità. Non ci posso fare niente.

"profondo...è questo Dhamma, difficile da vedere, difficile da realizzare...oltre i limiti della ragione..deve essere sperimentato dal Saggio" (MN 72)

Sì però è anche vero che il non-senso ha esattamente in comune con "l'incomprensibile" il fatto che la ragione non ci può arrivare.
Quindi:
Se intendi 'capire' intellettualmente il Nibbana direi che...no! Non si può capire. Ma si può sperimentare come uno stato reale...parlare 'intorno al Nibbana' è sempre quel famoso dito che indica la luna...e aggiungo: per fortuna che è così. Che cosa "misera" sarebbe il NIbbana se potessimo 'racchiuderlo' in una formula, una frase, un pensiero...  


Posso capire che ad esempio il "drago che vola sopra Padova" (menzionato un anno fa circa) non esiste. Ovviamente non cerco una comprensione completa del "Dhamma" e del "Nibbana". Cerco però una comprensione parziale di esso, così come ad esempio non comprendo cos'è un tumore senza studiare (molti anni) medicina, però lo comprendo in parte se una persona me lo spiega. "Nascondersi" dietro a "evitando i due estremi..." non significa nulla a livello di ragione. Perchè in fin dei conti un albero "esiste" finché non cade - non c'è nulla di problematico ad usare l'estremo dell'esistenza, certamente davanti ad un albero nella mia mente di "uomo mondano" non vedo un'esistenza eterna o permanente. Ad ogni modo stando alla descrizione del Nibbana:
"Nibbana è felicità...precisamente dove non ci sono sensazioni è felicità."
La ragione ci dice una cosa chiara ed inequivocabile se non si ammette l'esistenza di una "sostanza", un'"essenza" alla base dei fenomeni: se tolti i condizionamenti non c'è un "sostrato", una "cosa", che normalmente viene "rivestita" dai condizionamenti. Il messaggio è chiaro e non ci sono ambiguità, visto che in fin dei conti anatta significa proprio che "non esistono "sostanze"". Ossia che linterpretazione "nichilista" è l'unica logicamente impeccabile. Non c'è davvero niente nei discorsi che possa contraddirla, visto che appunto "tutti gli aggregati sono impermanenti" - "non c'è alcun sé né negli aggregati né fuori da essi". Quindi sì - bisogna infine riconoscerlo - l'analisi dei testi fatta con razionalità la dice lunga: il nirvana è la non-esistenza.


A questo punto ritengo che il filosofo "buddhista" o ammette dunque questo oppure è costretto a dire che la ragione è completamente inutile nei riguardi della comprensione anche solo parziale del Nibbana, ossia del scopo ultimo della sua religione/filosofia. Quindi rimangono due alternative.

1) Il nirvana è la non-esistenza. Perfettamente logica e coerente: in fin dei conti l'esistenza è sofferenza. Quindi la non-esistenza non è la sofferenza. In fin dei conti la non-esistenza è preferibile alla tortura anche per un non-buddhista. E il buddhismo è estremamente chiaro nel dire che qualsiasi tipo di vita è "sofferenza". Il nirvana in fin dei conti è la "cessazione dell'esistenza": tolte le cause dell'esistenza (che è sofferenza), l'esistenza cessa. Termina. Fine.

2)il nirvana "esiste" ma è "ineffabile". Illogico. Passaggi come questo: "profondo...è questo Dhamma, difficile da vedere, difficile da realizzare...oltre i limiti della ragione..deve essere sperimentato dal Saggio" (MN 72). Ad ogni modo personalmente non ho alcuna difficoltà a comprendere la "coproduzione condizionata" (Y è causato da X, tolto X cade Y), il perno della filosofia buddhista. Non mi sembra nemmeno così "oltre i limiti della ragione". Ovviamente rimane comunque la possibilità che dietro ci sia "qualcosa". Ad ogni modo si può ammettere che qualcosa "sfugga". Ma a questo punto la filosofia è completamente inutile. Si può al massimo prendere come assioma che "il nirvana è ineffabile".

Non vedo un'alternativa tra queste due. Quindi:
"Io la vedo così: se studi il funzionamento dell'universo usa la logica fino in fondo, usala tutta. Se pratichi il Dhamma usa la logica fino al punto in cui il tuo 'cuore' ti dirà che puoi dimenticartene ( per un pò... ).
Non vedo contrapposizione tra le due cose. Si può usare la logica dove serve e praticare il Dhamma dove serve ...non ci sono due praticanti uguali su questa terra. Non penso che il Dhamma sia semplicemente credere alle parole di un asceta morto 2.500 anni fa."

Da un punto di vista "umano" è un ottimo consiglio, di cui ti ringrazio. Non credo che personalmente riuscirò a metterlo in pratica (almeno in questa vita  ;D ) ma il lettore interessato può certamente utilizzarlo.

Ma ahimé devo dire che la logica al massimo stabilisce solo che "il Nibbana è la liberazione dalla sofferenza". Niente di più. E a rigore di logica l'unica vita "nobile", proposta dal buddhismo, è cercare la "liberazione della sofferenza". Quindi capisco il mio collega fisico Ajahn Brahm, in fin dei conti. Ovviamente è immorale lasciar soffrire anche sé stessi indefinitivamente. L'esistenza ciclica è una successione di esperienze che in senso ultimo non soddisfano ed è un "male" continuarle. La fisica e la filosofia non danno una "vera felciità", la quale non esiste. Ergo: siccome l'esistenza è sofferenza (e quindi è "male") bisogna fare di tutto per liberarsene. La liberazione avviene quando non si vuole più niente, quindi la "cessazione dell'esistenza" è in fin dei conti un obbiettivo coerente con chi ritiene che l'esistenza è sofferenza. Lo stesso pensare che il nirvana non sia il nulla in fin dei conti è teorizzare, impegnare la mente di concetti. Ergo per un "liberato" "esistere" o "non esistere" è completamente indifferente.

Se il nirvana è invece "ineffabile", come suggeriscono alcuni testi... Beh allora comunque la logica, che causa solo dubbi e distoglie dal percorso (l'entrata nella corrente richiede che il dubbio venga abbandonato...), è un male. Quindi in fin dei conti è inutile studiare approfonditamente i discorsi, visto che:
[Upasiva:]
Colui che si estingue:
non esiste,
o eternamente
è libero dal dolore?
Ti prego, saggio, spiegami
come questo fenomeno è stato da te ben compreso.
[Il Buddha:]
Colui che si estingue
non ha più forma
ciò che dicono gli altri —
per lui non esiste.
Quando tutti i fenomeni sono fatti distrutti
ogni loro significato
è stato anch'esso distrutto.

https://www.canonepali.net/2015/06/snp-5-6-upasiva-manava-puccha-le-domande-di-upasiva/

Quindi probabilmente queste mie perplessità sono semplicemente una perdita di tempo (e ahimé quanto ne ho perso!)  ;D apparentemente i dibattiti sul "fine ultimo" del buddhismo sono totalmente inutili. Personalmente protendo per l'alternativa dell'ineffabilità, però purtroppo l'alta alternativa è coerente con i testi canonici, secondo me e con la motivazione dell'estinzione della sofferenza.
Forse è stato anche voluta questa ambiguità per due motivi.
1) in questo modo vengono attrati sia gli "eternalisti" che i "nichilisti", visto che in fondo i testi hanno questa ambiguità.
2) in realtà si riconosce l'ineffabilità della realtà ultima proprio col "Nobile Silenzio", ossia non dicendo niente ma confutando solamente le altre prospettive. In questo modo si spiegano affermazioni per le quali il "Tathagatha" non può essere misurato.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

@Apeiron
Qual'è il punto di arrivo di tutto questo studio attorno al Dhamma? E c'è un punto d'arrivo? Ci sarà mai una fine? Sono domande legittime ma che riguardano lo studio 'esteriore' delle scritture e non lo studio interiore. Lo studio interiore richiede di studiare questo corpo e questa mente, perché è in questo corpo e in questa mente che nascono le nostre brame egoistiche, le nostre invincibili avversioni e le nostre illusioni di trovare nelle cose una soddisfazione duratura. Questo è per il buddhismo il vero studio, la retta pratica del Dhamma...
Studiare i testi senza praticare sila e samadhi ci porta solamente ad essere una specie di mestolo in una zuppiera.: sta dentro la zuppiera tutto il giorno ma non conosce il sapore della minestra.
Senza la pratica del non attaccamento, della rinuncia, lo studio filosofico dei sutra, del Canone, ecc. non serve a molto. Possiamo avere una buona conoscenza teorica, conoscere la psicologia buddhista, la sua logica, ecc. ma tutto questo rischia di non produrre alcun risultato. Buddha stesso invita a studiare il Dhamma ma poi a rinunciare ad agire male con il corpo, la parola e la mente; a coltivare invece atti benevoli, parole benevoli e pensieri benevoli... Achaan Chah soleva ripetere che l' Ottuplice Sentiero si compone di otto fattori e che questi fattori non sono altro che il nostro corpo: due occhi, due orecchi, due narici, una lingua e un corpo. Questo è il Sentiero, e chi segue il Sentiero è la mente. Per questo sia lo studio che la pratica si trovano nel nostro corpo, nella nostra parola e nella nostra mente.
Visto così il Sentiero, termini come nichilismo o eternalismo perdono la loro capacità di irretire il nostro pensiero che tende sempre a contrapporre concetti.
L'insegnamento meno compreso è quello del 'lasciar andare', detto anche 'lavorare con una mente vuota'. Questo è un linguaggio tipicamente budhista. Se lo interpretiamo secondo il senso comune andiamo fuori strada e pensiamo veramente che possiamo fare quel che ci pare. Invece dovremmo figurarcelo come se stessimo portando sulle spalle un macigno e dopo un pò  cominciassimo a sentirne il peso...ma non ci risolviamo a posarlo. Quindi continuiamo a sopportare il peso. Se viene qualcunoa dirci di gettarlo via ci impauriamo ed esclamiamo:" Ma se lo getto via, non mi resta nulla!". Anche se quell'altro ci elencasse tutti i vantaggi del posarlo continueremmo a pensare e a dubitare: "Se lo butto, veramente non mi resta niente !". E così passiamo la vita...
In realtà se , per caso prendendo sul serio l'Insegnamento , lo posiamo, immediatamente ci sentiamo meglio, incredibilmente più leggeri e ci diciamo:"Quanto stupido sono stato a portare per tanto tempo sulle spalle un simile macigno?"...
Uno può venirci a dire di posare il peso, ma se non ci crediamo, se dubitiamo e siamo finanche 'innamorati' del peso, non ne vediamo proprio lo scopo. Tutto ci sembra assurdo. In fin dei conti la vita è proprio portare pesi, ci diciamo...lo fanno tutti, perchè no?...E restiamo aggrappati al peso che ci piega...
Capire che è inutile portarsi dietro dei pesi e che 'lasciar andare' produce sollievo e libertà è un esempio di conoscenza di sé.
Anche i sutra buddhisti possono diventare un grosso peso da portare. Questa non è la pratica corretta... :)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

#186
Citazione di: Sariputra il 28 Novembre 2017, 01:03:04 AM@Apeiron Qual'è il punto di arrivo di tutto questo studio attorno al Dhamma? E c'è un punto d'arrivo? Ci sarà mai una fine? Sono domande legittime ma che riguardano lo studio 'esteriore' delle scritture e non lo studio interiore. Lo studio interiore richiede di studiare questo corpo e questa mente, perché è in questo corpo e in questa mente che nascono le nostre brame egoistiche, le nostre invincibili avversioni e le nostre illusioni di trovare nelle cose una soddisfazione duratura. Questo è per il buddhismo il vero studio, la retta pratica del Dhamma... Studiare i testi senza praticare sila e samadhi ci porta solamente ad essere una specie di mestolo in una zuppiera.: sta dentro la zuppiera tutto il giorno ma non conosce il sapore della minestra. Senza la pratica del non attaccamento, della rinuncia, lo studio filosofico dei sutra, del Canone, ecc. non serve a molto. Possiamo avere una buona conoscenza teorica, conoscere la psicologia buddhista, la sua logica, ecc. ma tutto questo rischia di non produrre alcun risultato. Buddha stesso invita a studiare il Dhamma ma poi a rinunciare ad agire male con il corpo, la parola e la mente; a coltivare invece atti benevoli, parole benevoli e pensieri benevoli... Achaan Chah soleva ripetere che l' Ottuplice Sentiero si compone di otto fattori e che questi fattori non sono altro che il nostro corpo: due occhi, due orecchi, due narici, una lingua e un corpo. Questo è il Sentiero, e chi segue il Sentiero è la mente. Per questo sia lo studio che la pratica si trovano nel nostro corpo, nella nostra parola e nella nostra mente. Visto così il Sentiero, termini come nichilismo o eternalismo perdono la loro capacità di irretire il nostro pensiero che tende sempre a contrapporre concetti. L'insegnamento meno compreso è quello del 'lasciar andare', detto anche 'lavorare con una mente vuota'. Questo è un linguaggio tipicamente budhista. Se lo interpretiamo secondo il senso comune andiamo fuori strada e pensiamo veramente che possiamo fare quel che ci pare. Invece dovremmo figurarcelo come se stessimo portando sulle spalle un macigno e dopo un pò cominciassimo a sentirne il peso...ma non ci risolviamo a posarlo. Quindi continuiamo a sopportare il peso. Se viene qualcunoa dirci di gettarlo via ci impauriamo ed esclamiamo:" Ma se lo getto via, non mi resta nulla!". Anche se quell'altro ci elencasse tutti i vantaggi del posarlo continueremmo a pensare e a dubitare: "Se lo butto, veramente non mi resta niente !". E così passiamo la vita... In realtà se , per caso prendendo sul serio l'Insegnamento , lo posiamo, immediatamente ci sentiamo meglio, incredibilmente più leggeri e ci diciamo:"Quanto stupido sono stato a portare per tanto tempo sulle spalle un simile macigno?"... Uno può venirci a dire di posare il peso, ma se non ci crediamo, se dubitiamo e siamo finanche 'innamorati' del peso, non ne vediamo proprio lo scopo. Tutto ci sembra assurdo. In fin dei conti la vita è proprio portare pesi, ci diciamo...lo fanno tutti, perchè no?...E restiamo aggrappati al peso che ci piega... Capire che è inutile portarsi dietro dei pesi e che 'lasciar andare' produce sollievo e libertà è un esempio di conoscenza di sé. Anche i sutra buddhisti possono diventare un grosso peso da portare. Questa non è la pratica corretta... :)

Concordo. O più precisamente: è proprio il fatto che la conoscenza è infinita che impone il "lasciarsi andare al mistero", all'Ineffabile in qualche sua forma. Quindi sì in un certo senso questa infinità di domande è per così dire la "prova" che ad un certo punto bisogna "cessare" di farsele. Mi può andare bene che da questo punto di vista uno "rinunci" alla ricerca concettuale, alla logica ecc e accetti dunque di smettere di ricercare. In fin dei conti anche una ricerca infinita di conoscenza è "dukkha" perchè in un certo senso non ha alcun scopo che continuare a cercare conoscenza.

Però questo è un ragionamento che può fare chiunque. Uno può "fregarsene" di cercare con questa "scusa". E sinceramente non sono in grado di "condannare" tale scelta. Ci mancherebbe: anzi a vedere "all'atto pratico" come sono i buddhisti seri - fossimo tutti così ;)  dal punto di vista etico, tanto di cappello. Dal punto di vista di conoscenza della mente umana idem.

Dal punto di vista filosofico c'è a mio giudizio una grossa incompletezza. Non è possibile ricavare dalla lettura della dottrina (i suttas) secondo me una dottrina completa (o coerente). O più precisamente se è coerente allora è nichilismo (che in realtà ad alcuni può anche andare bene, d'altronde l'essere completamente nichilisti a livello di verità ultima non condiziona alcun modo l'avere una buona etica. In fin dei conti se si vede che tutti gli esseri sono imprigionati nasce la compassione. Inoltre la non-esistenza è certamente migliore di un'infinita esistenza che non ha alcun senso (samsara)). Se invece non è nichilismo allora è incoerente (e ciò in fin dei conti non toglie alcun "merito" alla dottrina buddhista) così com'è. Nel caso induista invece se la liberazione è vista come unione con Brahman probabilmente c'è incoerenza, però mi lascia un senso di completezza ben diverso (dato dal postulato dell'esistenza di una "cosa"). Sinceramente arte, filosofia, scienza ecc mi suggeriscono peersonalmente che il Summum Bonum sia un "ente", qualcosa, una realtà, una "sostanza" e non meramente la non-esistenza, il riconoscere che tutto è senza sostanza, senza significato ecc Capisco però che santi (con questa parola intendo persone di impeccabile morale) possono in fin dei conti fregarsene di queste "speculazioni", però in fin dei conti Schopenhauer scrisse: "non è necessario per un filosofo essere un santo che per un santo essere un filosofo: così come una persona molto bella non necessariamente è uno scultore e uno scultore non è necessariamente una persona molto bella". Quindi il solo fatto che il Buddha abbia sbagliato nella sua filosofia non deve assolutamente togliere la stima nei suoi confronti, anche nel caso in cui il buddhismo è nichilismo. Su questo voglio essere estremamente chiaro. Ma a livello personale l'analisi testuale mi suggerisce appunto che il buddhismo è una religione per "santi nichilisti". Una religione che se praticata con la massima serietà e in completo accordo con i principi del Dhamma dà questo risultato: si diventa santi (si pratica in fin dei conti l'amore universale) e al contempo ci si "libera". Solo queste due cose per un buddhista, contano. Personalmente ritengo che tale scelta di vita sia coerente, possibile e ammirevole (chi in fin dei conti non può ammirare Buddha, Sariputta, Ananda, Khema, Uppalavanna ecc ?). In fin dei conti che il nirvana sia o meno coincidente con il nulla o sia semplicemente un modo diverso per affermare il fatto che "tutte le cose nascono e periscono", che sia o meno coincidente con l'affermare che "non esiste a livello ultimo niente di sostanziale" in effetti è una questione di mero interesse speculativo o di analisi testuale. Forse, anzi, i migliori buddhisti non si fanno questi "problemi", intuiscono in modo corretto la "dottrina", hanno un'etica impeccabile e si avvicineranno alla liberazione da questa ciclo di trasmigrazioni. Anzi, forse, a differenza di (quasi) tutti gli altri religiosi del mondo sono veramente "senza sé" perchè in fin dei conti ritenere che sia importante che esista un "assoluto" (o che la realtà sia "completa" e che questo "assoluto" non sia una mera finzione, punto sul quale la dottrina buddhista in fin dei conti pare essere d'accordo con il materialismo moderno) è una mera pretesa, un ostacolo alla perfezione.

Quindi forse i maestri Zen con la loro trascendenza rispetto al linguaggio non hanno tutti i torti  ;) o forse semplicemente le pieghe del tempo hanno fatto il resto... oppure non ci sono mai stati "esseri perfetti". Oppure... in fin dei conti "il problema è la scelta" (citazione dalla trilogia Matrix ;) ).

P.S. Tutto questo per dire che da quando è iniziato il topic sulla questione "ultima" del buddhismo, ossia su cosa sia il vero obbiettivo della filosofia buddhista, se ci sia qualche cosa di positivo dietro alla fin troppo chiara negatività, in realtà non ho fatto alcun progresso. Di certo ho capito i dettagli, ho capito l'importanza dell'etica, la santità come fine della pratica, ma curiosamente sul fine di tutta questa tradizione ho solo visto molta confusione. Forse in realtà non c'è nemmeno confusione - la filosofia riduzionista di Wittgenstein vede la filosofia come qualcosa che "lascia tutto com'è". Quindi forse la confusione esiste solo tra chi, per così dire, "pretende troppo" - quando la brama è vista come la causa della sofferenza. Mi si lasci però, per comodità, citare la Metta Sutta, che forse al lettore interesserà molto di più dei dubbi di chi cerca "una sostanza", perdendo tempo ;) Di seguito da https://www.piandeiciliegi.it/it/testi-e-documenti/52-metta-sutta ecco la Metta Sutta:


Questo dovrebbe fare chi pratica il bene
e conosce il sentiero della pace:
essere abile e retto,
chiaro nel parlare,
gentile e non vanitoso,
contento e facilmente appagato;



non oppresso da impegni e di modi frugali,
calmo e discreto, non altero o esigente;
incapace di fare
ciò che il saggio poi disapprova.


Che tutti gli esseri
vivano felici e sicuri:
tutti, chiunque essi siano,
deboli o forti,
grandi o possenti,
alti, medi o bassi,
visibili e non visibili,
vicini e lontani,
nati o non nati.


Che tutti gli esseri vivano felici!
Che nessuno inganni l'altro,
né lo disprezzi
né, con odio o ira,
desideri il suo male:


Come una madre
protegge con la sua vita
suo figlio, il suo unico figlio
così, con cuore aperto,
si abbia cura di ogni essere,
irradiando amore
sull'universo intero;
in alto verso il cielo,
in basso verso gli abissi,
in ogni luogo, senza limitazioni,
liberi da odio e rancore. Fermi o camminando,
seduti o distesi,
esenti da torpore,
sostenendo la pratica di Metta;
questa è la sublime dimora.


Il puro di cuore,
non legato ad opinioni,
dotato di chiara visione,
liberato da brame sensuali,
non tornerà a nascere in questo mondo.
(Karaniya Metta Sutta - Sutta Nipata, 1.8 )

Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere (l'unica cosa forse che si deve imparare...)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

@Apeiron scrive:
Concordo. O più precisamente: è proprio il fatto che la conoscenza è infinita che impone il "lasciarsi andare al mistero", all'Ineffabile in qualche sua forma. Quindi sì in un certo senso questa infinità di domande è per così dire la "prova" che ad un certo punto bisogna "cessare" di farsele. Mi può andare bene che da questo punto di vista uno "rinunci" alla ricerca concettuale, alla logica ecc e accetti dunque di smettere di ricercare. In fin dei conti anche una ricerca infinita di conoscenza è "dukkha" perchè in un certo senso non ha alcun scopo che continuare a cercare conoscenza. 

Però questo è un ragionamento che può fare chiunque. Uno può "fregarsene" di cercare con questa "scusa". E sinceramente non sono in grado di "condannare" tale scelta. Ci mancherebbe: anzi a vedere "all'atto pratico" come sono i buddhisti seri - fossimo tutti così   dal punto di vista etico, tanto di cappello.

Dal punto di vista filosofico c'è a mio giudizio una grossa incompletezza. Non è possibile ricavare dalla lettura della dottrina (i suttas) secondo me una dottrina coerente. Quindi forse i maestri Zen con la loro trascendenza rispetto al linguaggio non hanno tutti i torti  


Non direi che è una "scusa" ma piuttosto una consapevolezza, e questa consapevolezza è posta alla fine di un cammino, non all'inizio. Ricordiamoci che stiamo parlando di un percorso spirituale, in cui l'elemento dottrinale deve calarsi nella pratica, perché solo nella pratica trova la sua verifica.
Se pensiamo che dalla lettura dei testi sacri sorgono sempre innumerevoli interpretazioni ( pensiamo solo alla Bibbia o al Corano, che in più vengono considerati addirittura ispirati o dettati dalla divinità stessa che si adora...), che spesso generano divisioni e conflitti, ci rendiamo conto che la sola lettura e interpretazione di un testo, in cui il significato di moltissimi termini si è praticamente perduto nei secoli che sono passati, e il 'brodo culturale' in cui è sorto è totalmente diverso dal nostro attuale, abbiamo ben evidente davanti a noi la difficoltà...
La pratica però ha la capacità di svelarci alcune cose che la sola lettura non può cogliere. A mio parere, tolta la melassa agiografica , in tutti i sutra buddhisti si respira la stessa aria. I fondamenti della dottrina sono comuni. Le sottolineature che ne hanno fatto attraverso i secoli persone diverse che se ne sono interessate non sono altro che le inevitabili differenze date dalla nostra diversità.
Se, dopo appena 150 anni, abbiamo già una marea di interpretazioni del pensiero di un filosofo come Nietzsche che, con tutto il rispetto, non è un Buddha... ;D
Più è complesso un pensiero, più genera inevitabilmente interpretazioni, a volte assai divergenti. Più è complessa una pratica da vivere e più ci sono inevitabili alzate di scudi...
Nel caso di un Sentiero spirituale non abbiamo solo la difficoltà di interpretare correttamente i testi ( e per me non ci sarà mai un'interpretazione accettata da tutti...come avviene d'altronde anche per la Bibbia e altri testi), ma c'è la difficoltà ancor maggiore ( molto maggiore, secondo me...) di metterli in pratica, sì da avere un'intima coerenza esistenziale, che è quello che divide la spiritualità dal semplice conoscere.
Sulla strada del bosco
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Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

Citazione di: Sariputra il 28 Novembre 2017, 14:56:35 PMNon direi che è una "scusa" ma piuttosto una consapevolezza, e questa consapevolezza è posta alla fine di un cammino, non all'inizio. Ricordiamoci che stiamo parlando di un percorso spirituale, in cui l'elemento dottrinale deve calarsi nella pratica, perché solo nella pratica trova la sua verifica. Se pensiamo che dalla lettura dei testi sacri sorgono sempre innumerevoli interpretazioni ( pensiamo solo alla Bibbia o al Corano, che in più vengono considerati addirittura ispirati o dettati dalla divinità stessa che si adora...), che spesso generano divisioni e conflitti, ci rendiamo conto che la sola lettura e interpretazione di un testo, in cui il significato di moltissimi termini si è praticamente perduto nei secoli che sono passati, e il 'brodo culturale' in cui è sorto è totalmente diverso dal nostro attuale, abbiamo ben evidente davanti a noi la difficoltà... La pratica però ha la capacità di svelarci alcune cose che la sola lettura non può cogliere. A mio parere, tolta la melassa agiografica , in tutti i sutra buddhisti si respira la stessa aria. I fondamenti della dottrina sono comuni. Le sottolineature che ne hanno fatto attraverso i secoli persone diverse che se ne sono interessate non sono altro che le inevitabili differenze date dalla nostra diversità. Se, dopo appena 150 anni, abbiamo già una marea di interpretazioni del pensiero di un filosofo come Nietzsche che, con tutto il rispetto, non è un Buddha... ;D Più è complesso un pensiero, più genera inevitabilmente interpretazioni, a volte assai divergenti. Più è complessa una pratica da vivere e più ci sono inevitabili alzate di scudi... Nel caso di un Sentiero spirituale non abbiamo solo la difficoltà di interpretare correttamente i testi ( e per me non ci sarà mai un'interpretazione accettata da tutti...come avviene d'altronde anche per la Bibbia e altri testi), ma c'è la difficoltà ancor maggiore ( molto maggiore, secondo me...) di metterli in pratica, sì da avere un'intima coerenza esistenziale, che è quello che divide la spiritualità dal semplice conoscere.


Anzitutto ringrazio il Sari per la sua pazienza  ;D

"Vi è quella dimensione dove non c'è terra, né acqua, né fuoco, né vento; non vi è la dimensione dell'infinità dello spazio, né la dimensione dell'infinità della coscienza, né la dimensione del nulla, né la dimensione di 'né-percezione-né-non-percezione'; non vi è questo mondo, né un altro mondo, né sole, né luna. E lì, io dico, non vi è giungere, né andare, né rimanere; né scomparire né sorgere: non è fisso, né si evolve, senza sostegno (oggetti mentali). Questa, solo questa, è la fine della sofferenza." (Udana 8.1)

Dhammapada, 92: "Come gli uccelli non lasciano orme nell'aria la sua mente non si aggrappa alle tentazioni che gli si offrono. La sua rotta
è lo stato di liberazione senza tracce invisibile agli altri.
"

Ci sono sicuramente passi che alludono a una "realtà ultima" come quelli sopra citati. Sono tutti allusivi e poetici... Forse dopotutto c'è qualcosa di "positivo" dietro alla negatività  ::)  ::)  ::)

comunque sì... hai ragione è normale che ci siano interpretazioni conflittuali.  Forse il buddhismo è l'"apofatismo" al suo estremo...

Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere (o si può parlare solo in modo allusivo??  ::)  ::)  ::))
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Apeiron

Karuna e Prajna...

Cosa ci può essere più distante tra la "compassione" (karuna) e la "saggezza" (prajna)? Per l'"occidentale medio" karuna e prajna - intesa come conoscenza - sono due cose distinte. Uno può essere "sapiente" ma non compassionevole e viceversa uno può avere la compassione ma non essere "sapiente". Questa, almeno, è la "logica" occidentale.

La logica di molte filosofie cinesi e indiane invece ci dice essenzialmente che in realtà le due vanno a "braccetto". Non si può avere una senza l'altra. Perchè? Ebbene per il fatto che la filosofia indiana ha sempre visto la somiglianza nella differenza. Il mito della trasmigrazione, per esempio, ci fa capire che un animale deve essere rispettato perchè in fin dei conti anche io ero di quella specie in una vita precedente e quindi non sono né superiore né inferiore ad esso. Certamente oggi la mia forma è diversa, certamente oggi sono più intelligente, più astuto ecc ma in realtà la differenza tra noi due è meramente di forma e non "di essenza". Ma prajna e karuna in fin dei conti non sono presenti anche nella conoscenza occidentale?

La biologia ci mostra come noi esseri umani a dispetto delle differenze individuali siamo estremamente simili. Non uguali, vero ma simili. Abbiamo molto in comune e quindi se mettiamo più in risalto le somiglianze vediamo che l'altro non è diverso da noi e quindi così come io voglio essere rispettato, allo stesso modo lui vuole essere rispettato. Questa non è "compassione" bensì saggezza, prajna. Non è vero che "l'amore rende stupidi", come talvolta si sente, l'amore (metta, karuna...) in realtà parte dalla comprensione, dalla saggezza: questo è il grande equivoco dell'occidente ossia l'aver "creato" una distinzione tra sapienza e compassione - unione che per un indiano è ovvia. Anche per chi non crede nelle rinascite il mito della trasmigrazione può in fin dei conti ricordare l'evoluzione delle specie: le specie si trasformano le une nelle altre, quindi non sono in senso ultimo diverse tra di loro. Questa intuizione proprio dell'oriente ha avuto nel Neoplatonismo il "corrispettivo" occidentale. La realizzazione cioè che l'altro essere in realtà "non è diverso" da noi e da qui in fin dei conti giunge la compassione. 

Dunque è proprio qui che noi occidentali sbagliamo. Crediamo che etica e metafisica siano qualcosa di distinto, due discipline che non comunicano. Crediamo che "conoscere noi stessi" porti solamente alla conoscenza, appunto, di noi stessi e non dell'altro. E qui in fin dei conti si vede la differenza tra la nostra idea di "progresso" e quella indiana di "ciclicità": per noi il nostro tempo è "migliore" mentre per gli indiani il nostro tempo non è essenzialmente diverso da quelli precedenti e quindi non ha nemmeno senso confrontarli.

Prajna: conosciamo noi stessi e vediamo che, per esempio, cerchiamo il bene. Per semplice istinto di sopravvivenza, ad esempio, cerchiamo di assetarci. Ma Prajna ci aiuta anche a vedere la non-differenza con "l'altro".
Karuna: dalla comprensione dunque arriva la compassione: perchè dunque vedo che entrambi (ad esempio) desideriamo il bene e quindi riconosco che è "giusto" comportarmi in un certo modo anziché in un altro. 

Prajna e Karuna, pur essendo diversi, in realtà sono se presenti entrambe tendono a rafforzarsi l'una con l'altra. Perchè? Prajna eleva Karuna dal mero sentimentalismo dandole una "giustificazione" razionale, Karuna eleva Prajna dandole significato. E così uno che le possiede entrambe sarà capace di progredire nel cammino e continuerà a perfezionarsi, ovvero ad aumentarle entrambe. In fin dei conti una "karuna" che è giustificata da "prajna" tende meno ad essere legata allo stato emotivo passeggero mentre una "prajna" motivata da "karuna" prende "anima", ovvero non è più una sterile conoscenza. Prajna e Karuna formano una simbiosi.

E forse in fin dei conti è per questo motivo per cui chi tende a "diminuire l'egoismo" per così dire "abbraccia il cosmo". La sua identità comincia ad essere meno legata alla sua forma. La volontà di prevaricare diminuisce perchè karuna la spegne. Così chi "impoverisce" la propria identità, riconoscendo il fatto che "non è distinto", ossia chi dà meno importanza al suo "io" tende allo stesso tempo a essere compassionevole. Ergo ci si può immaginare che se uno comprende a fondo dunque la non-differenza estinguerà sempre di più il senso dell'io/mio - fino ad arrivare... all'anatta. D'altronde finché non mi accorgo di questa "non-differenza" in fin dei conti tendo a voler affermarmi. E "realizzo" questa "non-differenza" proprio in questo modo...

Quindi, per così dire, il punto di arrivo non è vedere che "tutto è vuoto", bensì vedere che "tutto è pieno (di valore)" - l'anatta non significa dunque il collasso dell'io come lo intendiamo normalmente, bensì la sua dissoluzione come quella di un pezzo di zucchero in un bicchiere d'acqua. Ma questa dissoluzione è invero un collasso. Ma questa pienezza in fin dei conti la si vede proprio nella vacuità: se ci fosse qualcosa, qualche distinzione vera nel senso ultimo allora non si potrebbe dire che "tutto è pieno"...

Aldilà delle differenze dottrinali mi sembra di vedere che questo messaggio è chiaro sia nel buddhismo theravada che in quello mahayana. E non solo nel buddhismo...
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

HOKYO ZANMAI
(Pao-ching san-mai)

Il samadhi dello specchio prezioso
Tozan (Tung-shan)


1. I Buddha e i patriarchi, tutti trasmisero
direttamente la verità fondamentale:
conservatela intatta; adesso è con voi, ciò basta.

2. Sul piatto d'argento fiocca la neve bianca;
il niveo airone nella luce della luna si nasconde.
Coppie vicine eppure non sovrapposte;
mescolandole insieme possiamo differenziare.

3. La mente suprema a parole non può essere espressa,
eppure, ad ogni vostro bisogno essa risponde.
Schiavi delle parole, avanzando, nel baratro cadete,
se ve ne allontanate, però, siete in un vicolo cieco.
E' come un'enorme palla di fuoco: mai
avvicinarsi troppo, nemmeno tenersi via.

4. Parole troppo brillanti rischiano di abbagliare:
di notte c'è chiarore, all'alba non c'è luce.

5. Ciò vale per gli esseri tutti, con ciò ci liberiamo
da sofferenza. Anche se non prodotta dall'ingegno,
è verità che trova strada nelle parole dei maestri.
E' come quando guardi nello specchio prezioso,
vedendo insieme ombra e sostanza; esso è te, tu non sei lui.
E' come per i neonati, che, pur avendo i cinque sensi,
non possono andare e neanche ritornare,
non possono alzare e neanche lasciar andare;
posseggono parole che non possono usare.
Tutto sommato, non afferri niente, non servono le parole.

6. Sei bastoncini ammucchiati, continuamente
stanno in mutua relazione: il centro e gli estremi.
Presi a tre, ritornano alla configurazione originale
dopo i cinque mutamenti:
come cinque sono i sapori dell'erba "chi"
come cinque sono i rami dello scettro adamantino.

7. L'essenza assoluta mantiene per sua natura
molteplici fenomeni in delicato equilibrio.

8. Quando lo studente chiede, il maestro
si fa incontro con la risposta;
per portarlo alla verità finale egli
sta usando i mezzi opportuni.
La verità finale desiderano i ricercatori,
i mezzi abili il maestro sta offrendo:
preso nella miscela giusta, ciò è buono.

9. Evita solo l'attaccamento, ciò è sufficiente.
La verità suprema è naturale e non si attacca
all'illusione, neppure all'illuminazione.

10. Con calma, si mostra chiaramente quando
son mature le condizioni tutte.
Quando è piccola, infinitesima diventa,
quando è grande, trascende lo spazio e le dimensioni:
anche un solo fremito può danneggiare il ritmo.

11. Si parla adesso dell'improvviso e del graduale
e si separano perciò le sette, creando pratiche,
dottrine, che diventano, in seguito, conformismi
che accettiamo nella condotta religiosa.
Anche penetrando queste pratiche, queste dottrine,
facendo poi fluire coscienza illusoria nell'eterna
verità, nessun progresso avremmo conseguito.

12. Se appariamo fuori tutti calmi
ma dentro rimaniamo disturbati,
siamo come il cavallo in pastoie,
siamo come il topo intrappolato.

13. Provando pena per questo stato,
i saggi d'una volta diffusero l'insegnamento.
essendo le menti degli studenti
sviate dalle illusioni,
i veri saggi lo adeguarono a loro,
usando mezzi così estremi da arrivar
persino a chiamare il nero bianco.

14. Abbandonare il pensiero illusorio
ti porterà soddisfazioni;
se instradarti vuoi nell'antica via
osserva gli esempi di una volta.

15. Per compiere l'ultimo passo
verso la vera illuminazione,
un precedente Buddha si addestrò
per dieci lunghi kalpa
fissando l'albero della bodhi.
Così ristretta, la libertà originaria è
come una tigre con le orecchie lacerate,
come un cavallo zoppicante.

16. Il saggio dirà allo studente
il quale si sente umile e inferiore,
che sulla sua testa brilla
un diadema ingioiellato e il suo corpo è avvolto
da ricche tuniche, i piedi morbidamente appoggiati.
E, se lo studente, sentendo ciò, prova stupore o dubbio,
il saggio lo assicura che anche fra i gatti o fra
le mucche bianche ci sono specie perfette come sono.

17. Il leggendario arciere Yi colpiva
a cento metri il bersaglio, essendo abile assai;
ma, far scontrare due frecce in aria,
va al di là di ogni abilità da uomo ordinario.

18. Nella suprema attività della non-mente
guarda: l'uomo di legno canta,
la fanciulla di pietra danza!
Tutto ciò è ben lontano dalla comune
coscienza, non si esprime con il pensiero.

19. Il cortigiano serve il suo signore
e il fanciullo ubbidisce al padre.
Senza obbedienza non c'è pietà filiale,
senza servizio non c'è consiglio.

20. Tali azioni, tali lavori non vistosi,
sembrano stupidi e non affascinanti
ma quelli che praticano così la Legge
per l'eternità saranno, in tutti i mondi,
chiamati signori dei signori.

(a cura di Theodor Entai Rosenberg e Teresa Maddi)

Evita solo l'attaccamento, ciò è sufficiente.
La verità suprema è naturale e non si attacca
all'illusione, neppure all'illuminazione.


Sabbe dhamma nalam abhinivesaya, "ni-ente a cui attaccarsi". :)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

#191
Per Sariputra : esiste nel buddhismo un argomento contro la "causa prima"? ovvero un argomento che intende dimostrare la non-esistenza della "causa prima"? O "semplicemente" il buddhismo dice che non è "dimostrabile"?




(da qui in poi il messaggio è tipo un "giochetto" che in realtà mostra come troppa speculazione è inutile ;) .... si può riassumere così: se il samsara non ha mai avuto inizio come è possibile che non abbiamo già raggiunto il nirvana? lo lascio come un giochetto divertente per mostrare i limiti della nostra capacità di tradurre i nostri pensieri in forma matematica... perchè ovviamente mi sembra piuttosto chiaro che è possibile nel caso di un samsara senza inizio non aver già raggiunto il nirvana)


Un divertente esempio di come un matematico può "divertirsi" con il concetto del samsara è il seguente "paradosso" (l'ho trovato in rete menzionato in alcuni siti, ad esempio https://dhammawheel.com/viewtopic.php?f=13&t=29829).

In sostanza il paradosso è quello dell'infinito: ovvero che in un tempo infinito una scimmia che digita in continuazione lettere su una macchina da scrivere dopo un tempo infinito riuscirà a scrivere la "Commedia" di Dante per semplice "fortuna" *. La versione "samsarica" di questo paradosso è questa: se il samsara esiste da un tempo infinito nel passato perchè non siamo tutti già "liberati" (ovviamente questo paradosso non è presente solo nel buddhismo ma in tutte le tradizioni che ammettono il samsara) ?  

Come si legge in https://www.canonepali.net/2015/05/sn-15-3-assu-sutta-le-lacrime/ in realtà, per essere precisi, il Buddha (a differenza ad esempio dell'Advaita Vedanta) NON dice che il samsara è sempre esistito ma che c'è da un "inconoscibile inizio". Tuttavia se il samsara ha avuto un inizio il tutto è piuttosto assurdo visto che (da quanto ho capito - il Sari mi corregga) il buddhismo rifiuta la "causa prima". Dunque se viceversa il samsara esiste da sempre allora il paradosso di prima si applica. Qui però torna, curiosamente, la considerazione sulla "gerarchia degli infiniti", ovvero la posizione secondo la quale è possibile confrontare grandezze infinite tra di loro in un modo molto peculiare. In quanto segue però utilizzo un semplice ragionamento, ovvero quello del limite. Il Buddha ci tiene spesso a precisare che solo devas e uomini possono praticare il Dhamma (almeno così ho capito) e che la rinascita nel mondo umano e divino è estremamente rara. Incontrare il Dhamma poi è ancora un'altra eventualità "non ovvia". Ergo è possibile che a causa dei precisi "scherzi" del karma (il funzionamento preciso del karma è tuttavia "imponderabile") nelle mie prossime vite io non incontro più l'insegnamento buddhista per vari eoni. Però in un tempo infinito dovrei aver già incontrato l'insegnamento e forse l'ho anche praticato. Quindi... perchè sono qua a parlarne?

Ebbene questo paradosso in realtà è piuttosto facile da risolvere, con un semplice ragionamento di limite e, mi si perdoni l'introduzione delle formule. Chiamo ora "x" una grandezza e "x2" la stessa grandezza al quadrato. Chiaramente "x/(x2)=1/x". Ora se "prendo il limite" (https://it.wikipedia.org/wiki/Limite_(matematica)) per "x" che va all'infinito chiaramente sia "x" che "x2" vanno anch'essi all'infinito, ma "x2" "ci va più rapidamente" visto che se "x=10" "x2=100" e se "x=20" "x2=400" ecc. Dunque all'aumentare di x il rapporto  "x/(x2)=1/x" tende a zero e prendendo x che va all'infinito ovviamente il risultato tende sempre più a zero (più precisamente il limite è zero). Ora se "x" è il tempo passato dall'inizio del samsara (se x è infinito ovviamente il samsara non ha mai avuto inizio) e invece "x2" ** è il tempo "medio" per il quale ottengo la possibilità di ottenere il nirvana per il semplice caso (intuitivamente, per ottenere il nirvana, l'eponente "2" potrebbe quasi essere sostituito direttamente con "x" in realtà visto che: la probabilità diincontrare il Dhamma è bassissima visto che devo rinascere uomo (o deva?), devo incontrare l'insegnamento e devo riuscire a "portarlo a termine"...  ;D  "xx" è una delle funzioni che va all'infinito più rapidamente  8) ) allora il rapporto   "x/(x2)=1/x" che intuitivamente descrive la probabilità di essere nella la possibilità di poter ottenere nirvana a caso  paradossalmente al passare del tempo diminuisce!!! (ovviamente matematicamente non è fondato questo ragionamento, vedi nota ** e anzi non credo che si possa fondare visto che non stiamo perlando né di un processo deterministico né di un processo random) e si annulla quando x tende all'infinito. Ergo è davvero un "miracolo" che si possa anche solo contemplare la possibilità del nirvana, figuriamoci di ottenerlo.   ;D  ;D e poi si dice (tra i buddhisti secolari) che nel buddhismo non sono contemplati i miracoli XD

*In realtà i due casi sono completamente diversi... le scimmie hanno un numero finito di lettere e che i tentativi siano tra di loro indipendenti https://it.wikipedia.org/wiki/Teorema_della_scimmia_instancabile. Mentre ovviamente ho personalmente assunto che nel caso "karma" sia un po' diverso... Karma a parte è la realtà che in genere è molto più complessa del paradosso della scimmia instancabile ;)
I matematici "puristi" sanno bene che quanto ho detto non è veramente corretto. Tuttavia il teorema della scimmia instancabile si basa sull'assioma che tutto avvenga completamente casualmente (nel senso di "random") e che ogni "tentativo" sia indipendente l'uno dall'altro. Cose che dal punto di vista "karmico" non sono vere, visto che il karma non agisce casualmente ;)


** Ovviamente qui sto utilizzando l'assunzione che più il tempo aumenta, più il tempo medio di "entrare in contatto" col Dhamma aumenta. Il che ovviamente non ha molto significato matematico. Tuttavia... se si pensa che la "decisione" di seguire il Dhamma non è casuale e che se uno si convince che basta il passaggio del tempo per ottenere la liberazione... beh più uno si convince di ciò, più per lui è difficile incontrare il Dhamma (perchè è più difficile eliminare una convinzione molto fondata di una che lo è meno). Ergo... ;D Chiedo perdono al buddhismo e alla matematica per il modellino ma volevo inserire in esso anche questa piccola "precisazione" LOL
Sapientemente il Buddha ha detto di non speculare su questo tipo di questioni, visto che non se ne esce ;D
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

@Apeiron
Non conosco argomentazioni specifiche contro una 'causa prima' nell'insegnamento buddhista. Ma neppure a favore... :)
Leggiamo nel Canone Pali di vari déi che vengono ad ascoltare le lezioni di Dhamma del Buddha ( Brahma stesso...). Questo direi che serve ad attestare la superiorità della condizione del risvegliato rispetto a quella della divinità stessa ( ed era anche probabilmente una necessità per affermare la superiorità dell'Insegnamento rispetto alle altre vie praticate dagli adepti  e dai devoti vedici...). Il Buddhismo sostiene l'urgenza e la necessità di percorrere un sentiero di liberazione dalla sofferenza e che questo sforzo è facoltà dell'individuo, senza che nessuna divinità ci venga in soccorso o ci doni "poteri" o "grazie" particolari per raggiungere l'obiettivo. I valori spirituali sostenuti dal Buddhismo non sono finalizzati ad una nuova vita in qualche 'mondo' superiore, ma sono invece in vista di uno stato che trascende il mondo, cioè il Nibbana. Essi non separano nettamente l'al di là da ciò che è immediatamente presente nella nostra esistenza. Per questo la spiritualità buddhista è profondamente radicata nel mondo, perché la finalità della stessa è la massima realizzazione spirituale possibile nel presente della nostra vita.
Per il Buddhismo indagare su una causa prima indimostrabile e perdersi in un mare di teorie speculative ed opinioni (ditthi) è inutile, fuorviante, non necessario per ottenere la meta del Nibbana, non essendo il Nibbana uno stato di fusione o ricongiungimento con una divinità,
Nella visione buddhista le divinità stesse sono impermanenti, soggette al mutare e quindi preda della sofferenza e prive di esistenza intrinseca. E' il rifiuto dell'eternalismo considerato come una concezione errata della realtà. Ma la vacuità determinata dalla concezione dell'anicca, che porta al rifiuto delle visioni opposte eternalista e nichilista, non rende il mondo meno reale, ma piuttosto sembra dimostrare che il mondo è costituito solamente da azioni. Da nessuna parte c'è immobilità, stasi...da nessun parte c'è limitazione. Nulla, per il Buddhismo, esiste di per sé o in sé, separatamente dal resto. Non c'è nulla di costante; piuttosto, al posto di un universo fatto di cose morte, c'è una realtà vivente che trova la sua controparte in vinnana, ossia nella coscienza di ogni individuo cangiante...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

Grazie Sari  ;) 

Certamente è un approccio molto pragmatico che ha moltissimi pregi. Mi era venuta questa perplessità considerando l'eventualità di un "inizio" del samsara però come ben dici tu farci una teoria sopra è "pura speculazione"  ;)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

green demetr

Scusate ho perso un bel pò di testi.

Ho letto casualmente

https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/buddhismo/180/?action=post;last_msg=17424#postmodify

in cui Apeiron chiede spigazioni ontologiche.

Il mio amato Zizek ne dà una sua, che a suo parere essendosi confrontato con colleghi fisici di tutto il mondo torna.

Ossia che TUTTO SIA MENO DI NIENTE, esattamente come la particella di DIO ha dimostrato.

Ossia la materia che possiamo intendere come l'oggetto ontologico di cui Apeiron da disperato bisogno, PROVIENE da stati di energia inferiori a quello minimo dell'oggetto che ne emerge.

E in effetti se considerato come l'ho intuito anch'io sono d'accordo col mio AMATO.

ossia che il buddismo l'aveva già detto.

ossia il vuoto è uguale alla negazione della negazione del tutto.   vuoto samsara= NON (NON U) dove U è il TUTTO, l'Universale.

semplice no?

andiamo a riprendere i punti descritti, mi sembra che tornino.

lo faccio in diretta per non perdere tempo.


Un bramano disse al Benedetto: "Allora, Maestro Gotama, tutto esiste? "
"'Tutto esiste' è la forma più alta della cosmologia, bramano."
"Allora, Maestro Gotama, niente esiste? "
"'Niente esiste' è la seconda forma della cosmologia, bramano."
"Allora tutto è Unicità? "
"'Tutto è Unicità' è la terza forma della cosmologia, bramano."
"Allora, tutto è Molteplice? "

"'Tutto è Molteplice' è la quarta forma della cosmologia, bramano. Evitando questi due estremi, il Tathagata insegna la via di mezzo del Dhamma"


Anzitutto ci dobbiamo chiedere se i 4 punti sono ordinati.

Sembrerebbe di sì, perchè chiama i mediani come la via buddhista.

Dunque vi è un tutto esiste, ossia vi è un oggetto Universale.

E vi è anche un molteplice. Ossia esistono infiniti oggetti dentro quell'universo.

Questa è la metafisica classica, che troviamo anche in platone (come principio di non contraddizione) e in aristotele come Categorie e relativi Sillogismi).

Dove appunto viene studiata al relazione del molteplice all'interno dell'universale.

Diversa è però la questione buddista, che è una filosofia negativa.

non si interroga sulle relazione tra universale e particolare (la gigantesca questione tra nominalismo e realismo medioevale, che in questo forum, non è mai saltata fuori  :-[ )

ma si interroga proprio sulla caratteristica esistenziale di come il parziale sia una emanazione, una parte del tutto.

ossia del processo stesso di individuazione, esattamente come la fisica contemporanea si è interrogata fino al riconoscimento dell'esistenza di questo salto energetico. Che è un campo.

Ossia un campo vuoto, è dal vuoto che nasce qualcosa, e non qualcosa esiste sempre come la vecchia tradizione diceva, o almeno alcuni suoi mentori.

il problema ora sarebbe unire quel vuoto con qualcosa. quindi vuol dire che ESISTE qualcosa PRIMA del NIENTE.

cioè QUALCOSA C'è PRIMA DEL NIENTE (ED è IL TUTTO, AUGURI AI FISICI PER QUESTO SUCCESSIVO PASSAGGIO DA DIMOSTRARE, ANCHE SE è OVVIO CHE è ENERGIA, ENERGHEIA COME DICEVANO ANCHE I GRECI).

dunque è come se i buddisti avessero riempito un gap, che la fisica solo oggi praticamente ha risolto.

Ed è quello che ho intuito con sicurezza pure io.

voglio dire se il nulla è tutto, allora il nulla è qualcosa, che noi possiamo però in quanto parte vedere solo come NULLA, non possiamo vedere il tutto, perchè sennò la parte che noi siamo sarebbe il tutto.

geniale!  è per questo che ritengo che debba esistere un testo esoterico che ne parli in questi termini filosofici.

eh sì. magari in  periodi anche successivi, infatti anche in INDIA la filosofia CLASSICA paragonabile a quella occidentale è esistita anche se secoli dopo in quello che viene chiamato il medioevo indiano,

uno su tutti ovviamente ...non ricordo il nome lol  ::)  :P  ;D


sempre che il buddismo non sia nato dopo  ;D  che ignorante che sono!

CHE NE DICI APEIRON????


ps scusate dimenticavo che per me UNICITA' è da tradurre come UGUAGLIANZA, come nella formula che ho proposto.
Vai avanti tu che mi vien da ridere