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Buddhismo

Aperto da acquario69, 16 Febbraio 2017, 04:59:05 AM

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Sariputra

@Apeiron,
sono d'accordo con gran parte del tuo ultimo post. Infatti ( e forse ne abbiamo già discusso qualche pagina addietro...) il Buddha non afferma mai che il "buddhismo" (che non esisteva ovviamente all'origine trattandosi semplicemente di "seguire il Dhamma dell'asceta Gotama"...) è l'unica verità,  ma bensì che il vero ascetismo si trovava in tutte quelle discipline/esperienze meditative dove era presente il Nobile Ottuplice Sentiero.  Quindi la realizzazione del 'trascendente', di lokuttara era legata al sentiero, cioè alla pratica e non all'enunciazione teorico/filosofica del Dhamma. Questa veniva poi, e in un certo senso era soggetta alla pratica del Sentiero. Non è una differenza di poco conto, a parer mio, in quanto si stabiliva nella realizzazione pratica il fondamento e non nella logica o nella speculazione ai riguardi dell'insegnamento stesso. Con un banalissimo paragone si potrebbe dire che, data una certa medicina necessaria per curare la sofferenza, l'efficacia della medicina non è subordinata all'eventuale linguaggio usato nella confezione per descriverla. In realtà si può benissimo praticare il sentiero senza aver mai letto nessun libro di filosofia buddhista ( e in Oriente lo si è fatto per migliaia d'anni da parte di molte persone...) semplicemente seguendo l'esempio pratico e diretto di un maestro di meditazione buddhista di samatha e vipassana. Un altro punto è che la filosofia ai riguardi dell'"insegnamento dell'asceta Gotama" si sviluppa centinaia d'anni dopo il Parinibbana di Siddhartha  ed già subordinata alla pratica che si andava stabilizzando nel passaggio da bhikkhu a bhikkhu, partendo dai primi discepoli del Buddha stesso. Ultimamente, dalla fine dell'ottocento in poi, come sai, si è tentato e si tenta di tornare a questa primitiva impostazione soprattutto attraverso il "Buddhismo della foresta" in cui 'esperienza pratica assume nuovamente il carattere prevalente e l'aspetto devozionale che, per secoli, è stato il vero aspetto popolare del buddhismo perde la sua importanza, come era effettivamente nel buddhismo delle origini. E' chiaro che lokuttara trascende ogni linguaggio; anzi è proprio a quel punto che ogni designazione viene a morire, come ogni formula per definirlo. L'"illuminato" ( anche se non mi piace molto questo termine che a volte si presta a fraintendimenti, a parer mio...) non è più un "buddhista", un "daoista" o un "vedantino". Ossia (credo di averlo già scritto...) il Buddha non era un buddhista ( e Ciuangtze non era un daoista)... :)
Allora tu dirai:"E perché devo preferire il Dhamma dell'asceta Gotama rispetto ad altri Dhamma?".  Si potrebbe rispondere:" Perché il Sentiero insegnato da Gotama sradica definitivamente e permanentemente la sofferenza esistenziale ed è qualcosa di 'concreto', di attuabile, che invita a "venire e vedere" se veramente funziona" mentre in altri Sentieri che, se ben praticati ci possono pure portare alla stessa vetta, c'è un grande rischio, come hai ben scritto anche tu, di potersi perdere nell'attaccamento al concetto, mancando così il 'bersaglio'... :(
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

Sì un discorso simile sul buddhismo del Buddha lo avevamo già fatto tempo fa  ;) Per esempio si potrebbe pensare che Cratilo con la sua filosofia che "non si può toccare nemmeno una volta lo stesso fiume" abbia per così dire "capito" la Vacuità. Oppure che Hegel dicendo che "tutto è Divenire" sia arrivato al Dhamma con una via diversa. Quello che manca in questi filosofi però è proprio la discussione che una mente veramente libera è "priva" di attaccamento/avversione, che ha "esperienza diretta" della realtà e così via - ossia manca l'aspetto "spirituale", ossia il come io mi rapporto alle cose. Viceversa un platonista, uno che dice che gli enti matematici esistono eternamente può secondo me pensare che il Dhamma sia giusto, visto che non è possibile "attaccarsi" ai concetti matematici. Ergo la "metafisica" intesa come postulare qualcosa di completamente astratto e "irraggiungibile" per un buddhista più che essere "falsa" è "inutile": non porta a niente di "concreto". Allo stesso modo però dimenticarsi che l'anatta è una "teoria" che riguarda principalmente il senso del sé (ossia se esiste nei cinque aggregati qualcosa che "controlla") e farne una teoria metafisica e dichiarare false tutte le altre teorie sulla realtà secondo me non ha senso  ;) e non facendo ciò ci si risparmia un sacco di polemiche e incomprensioni (anche tra le varie scuole  ;) )
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

#167
L'anatta che viene definito come il 'cuore' dell'insegnamento del Buddha è un' esperienza che si rivela pienamente nel Nibbana. Lo si può intuire a volte, si può intuirne anche la logica, ma non lo si realizza in pieno se non nel Nibbana. Quindi si potrebbe dire che è un Tathagata che vede compiutamente l'anatta. In effetti è un concetto elusivo  perchè tutto il nostro universo , materiale e mentale ,è concepito come atta. Non viene spontaneo pensare in termini di anatta, ma bensì in termini di atta. Ora, qual'è il problema che incontriamo essendo così radicata in noi la visione 'atta' dell'esistenza di tutte le cose? Che rischiamo, anche nelle forme di spiritualità più sottili e raffinate, più 'elevate' di vedere atta in ogni dove. Possiamo vedere atta nei più sublimi stati mistici; possiamo vedere atta in metta e karuna e dargli il nome Dio o Allah o Brahma; possiamo infine vedere atta anche nel Nibbana. Perché così funzioniamo. Questa è la natura di avidja, la natura dell'illusione/ignoranza.
Perchè Buddha invita a tenersi lontano sia da una visione eternalista che da una nichilista? Perché sono ambedue 'atta'. E' sempre lo stesso modo di funzionare di avidja. Secondo il Buddha nessuna delle due spalanca le porte della prigione in cui la visione atta della nostra vita ci tiene rinchiusi. Allora, capovolgendo ogni pre-esistente visione spirituale o filosofica, Siddhartha proclama che, per uscire veramente dalla prigione bisogna 'vedere' il mondo come an-atta , come vacuità di esistenza intrinseca, che vuol dire anche 'lasciar andare' atta...
Quando Buddha indicò come concepiva l'anatta, il non-sé fu decisamente diretto e disse : "Non c'è in questo corpo nessun atta, perché se ci fosse atta in questo corpo, quest'ultimo avrebbe la possibilità di decidere se essere così o non essere così". L'anatta è dunque anche l'assenza totale di controllo, è l'idea di assenza totale di controllo di ciò che ci circonda e nella cui ricerca noi, esseri che vediamo il mondo come 'atta', riversiamo l'intera nostra esistenza. E', come hai scritto anche tu, un'intenzione 'rinunciante' al controllo...
Perchè allora scegliamo 'atta' e non 'anatta'? Perché, a mio parere, "fissando" ogni cosa , vedendola come 'atta' ossia dotata di sostanza propria, avidjia può illudersi di controllarla e controllandola vincere la paura di esistere in un universo dove noi, personalmente, non abbiamo veramente controllo di 'anicca', del mutare e divenire incessante di tutto ciò che ci circonda...
Se riflettiamo e meditiamo profondamente su 'anicca' ecco subito apparire 'anatta'...se ci aggrappiamo ad 'atta' ecco 'dukkha', la sofferenza... :(
In fin dei conti, il vedere la nostra mente come 'atta', non è come crearsi e consegnarsi ad un 'fantasma' che ha la funzione di rassicurarci?...

Una piccola nota personale. Quando, a sedici anni o giù di lì, lessi per al prima volta un libro sull'insegnamento del Buddha ebbi una specie di 'scossa', non so come definirla. Avevo già letto parecchio di spiritualità e vivevo in una famiglia profondamente cattolica tradizionalista, ma mi rendevo conto di tovarmi di fronte a qualcosa di 'diverso' che mi interrogava e che rispondeva alle mie domande inerenti anche al mio particolare stato di allora, che non era certo felice per via di varie tribolazioni...
Se non senti la vita , o la vivi, profondamente intrisa di sofferenza, ti sentirai attratto da una filosofia/religione come il Buddhismo? Perché in fondo, da quel punto, è partito pure il principe Siddhartha... ::)
Sulla strada del bosco
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Apeiron

#168
@Sari,
tu dici: "Quando Buddha indicò come concepiva l'anatta, il non-sé fu decisamente diretto e disse : "Non c'è in questo corpo nessun atta, perché se ci fosse atta in questo corpo, quest'ultimo avrebbe la possibilità di decidere se essere così o non essere così". L'anatta è dunque anche l'assenza totale di controllo, è l'idea di assenza totale di controllo di ciò che ci circonda e nella cui ricerca noi, esseri che vediamo il mondo come 'atta', riversiamo l'intera nostra esistenza. E', come hai scritto anche tu, un'intenzione 'rinunciante' al controllo..." Già! questo è il cuore dell'"anatta" - ossia il vedere che gli eventi non possono essere controllati. Anatta per come lo inteprepreto io è proprio la netta visione che la pretesa del controllo è illusoria. Non a caso: fiumi, nuvole, pianeti, stelle, galassie certamente "agiscono", "fanno qualcosa" ma le loro "azioni" sono prive dell'illusione del controllo che noi abbiamo. E anzi lo stesso vale per le piante, ossia per tutto ciò che non è "animale". Ma se vogliamo forse anche gli stessi animali sono liberi dall'illusione del controllo (almeno non hanno il concetto di "controllo", purtroppo hanno l'istinto del controllo, donde la loro sofferenza  :( ). Per quanto riguarda comunque gli essseri inanimati e gli esseri viventi diversi dagli animali le loro azioni sono spontanee, sono prive di preoccupazioni! Sono il perfetto esempio sia dell'"anatta" che del "wei-wu-wei" (ossia l'azione senza azione - senza pretesa di controllo). Questo secondo me è il segreto dell'"anatta".
Ma il controllo non è "qualcosa" di astratto, non ha senso parlare per esempio del "senso di controllo" o della "sofferenza" di un fiume. Il loro agire è "libero", libero da "agenda" (ossia da "pianificazioni", scopi, pretese, brame e avversioni). Motivo per cui dire "la roccia è anatta" è tautologico. Dire invece la frase che tu dici del corpo mette in luce tutta la questione. Siamo noi a dover rinunciare alla pretesa del controllo. La "caduta" è stata proprio la pretesa di poter controllare le cose - cosa che ha alimentato la brama di possesso e di "potenza"/dominio. Se uno agisce spontaneamente senza alcuna pretesa di controllo, senza alcuna idea di controllo per quale motivo potrebbe voler ad esempio essere violento? Ad esempio si ruba solo se si ha la pretesa che l'oggetto rubato è "nostro", oppure che la vittima del furto "se lo merita" e noi abbiamo il diritto di farlo. La realtà di anatta secondo me è questo. La verità in un certo senso più umile. Se ad esempio ci fosse un qualcosa fuori dall'universo di "permanente" che importanza avrebbe? Non servirebbe a nulla per il nostro controllo. Motivo per cui Buddha saggiamente non ha dichiarato "non c'è alcun "Sé"" oppure "nulla è permanente", bensì tutto ciò che ci riguarda è fuori in senso ultimo dal nostro controllo. Questo ritengo essre il grande messaggio, il vero significato di "anatta". E perchè dunque non possiamo controllare niente? Semplice: il mondo non è formato da "cose" ma da reti di processi e interazioni. Ergo il nirvana è anche la nostra "mente naturale" perchè d'altronde le azioni di chi non ha pretese sono appunto spontanee e naturali! Maledetto controllo! Però:
perchè un'intepretazione nichilistica ci riesce meno facile da accettare? Semplice perchè in tal caso la nostra vita è un mero errore. Se "nirvana" significasse semplicemente la distruzione della "mente" che differenza ci sarebbe tra un Realizzato e una roccia? Se l'obbiettivo finale è quello di essere spontanei d'altronde non è proprio voler tornare ad essere rocce. E qui ritengo il merito delle intepretazioni "sostanziali" del "nirvana": il ritorno forse non è un semplice ritorno. Forse non ritorniamo ad essere rocce, nel Silenzio della "non-azione" ossia dell'azione Spontanea di fiumi e rocce. Se fosse così allora la vita sarebbe un errore. No, il nirvana forse è una "vita" che ha le stesse caratteristiche di spontaneità e innocenza di fiumi e rocce, di pianeti e stelle - ossia è una sorta di "processo dialettico" (tesi-antitesi-sintesi? tesi: mondo naturale, antitesi: illusione del controllo sintesi: nirvana ?). Ma in effetti che ci sarebbe di male se tornassimo al "nulla" inteso come ritorno alla natura? Ritorno alla natura e alla spontaneità? Eppure siamo veramente soddisfatti di un tale esisto?  :( e qui che differenza pratica c'è tra buddhismo e altre tradizioni come il daoismo e l'advaita se il ritorno alla "spontaneità" è il tornare come "oggetti inanimati"? In tutti e tre i casi se il ritorno non è anche un superamento siamo veramente soddisfatti di un tale esito?  :(

Nota personale: Questo è il vero motivo per cui non sono ancora "convinto" di abbracciare questo tipo di tradizioni. Dicono la verità, ossia che non possiamo controllare nulla e quindi la "rinuncia" non è una vera "rinuncia" ma una sorta di liberazione. Ma si può davvero chiamare liberazione se l'obbiettivo è davvero quello di tornare ad essere rocce? (non intendo ri-iniziare il dibattito, voglio solo dire che mi rimane questo dubbio che finora non ho risolto - altri magari saranno più convinti di me. Forse il dubbio nasce proprio da quel desiderio di controllo. Forse) Ma è davvero un ritorno e non un superamento? Mah


Rigardo alla tua nota personale: il problema del cristianesimo tradizionalista, è che vieta il pensiero. O credi o non credi (se non credi sei fuori, anatema), non c'è una seconda possibilità o una possibilità di "provare di volta in volta", di testare, di mettere in dubbio - il dubbio è malvisto specie dai tradizionalisti (un po' meno in realtà dalla stessa Bibbia - dopotutto Tommaso non è stato ripudiato per il suo dubbio - e dalla Chiesa post-Concilio). Per una mente a cui "naturalmente" vengono dubbi è impossibile "mandar giù" sempre tutto. Sarà pure un peccato, ma non lo si risolve dicendo "credi" o "è un mistero" . Si lascia semmai correre il rischio di sbagliare, di andare nell'ortodossia - altrimenti non si fa che innalzare l'odio e il risentimento - invece "lasciando andare" forse il "miscredente" capisce l'errore. Questo è vero per il cristianesimo "conservatore". Meno per quello "post-concilio", che è molto più umano.

L'altro grande problema del cristianesimo è che pone barriere concettuali molto rigide (talvolta, bisogna riconoscerlo, plausibili. Ma altre volte sembra che escano dal nulla): l'uomo è totalmente un'altra cosa rispetto agli animali. Le cose sono separate e distinte, noi stessi abbiamo un'anima individuale che è nettamente separata dal resto. Invece empiricamente il mondo lo capiamo meglio proprio "smorzando" le distinzioni (oltretutto il "filosofo" non è "orgoglioso" di quello che sa, ma semmai rifiuta un dogma perchè "sa di non sapere"  ;) ). Forse daoisti, advaita e buddhisti sbagliano a non porre distinzioni (in realtà questa mia mancanza di accettazione completa della "non-separabilità" mi allontana dall'abbracciare le cose). Però smorzando le distinzioni posso essere più aperto all'altro, posso accettare i miei e gli altrui difetti, posso capire l'altro. E così via. Certamente anche nel cristianesimo ci si interroga molto sulla sofferenza (d'altronde il simbolo è la croce). Però ci sono anche molti, troppi dogmi. Si può volendo criticare buddhismo e advaita, magari si accettano in parte le loro dottrine ma comunque si può praticare - si può metterle in dubbio, d'altronde in questi casi è un "vieni a vedere". Recentemente anche nel cristianesimo è arrivata l'idea del "cominciare a credere", ossia che l'approccio corretto è graduale, si accettano gradualmente le "verità". Però non è mai un "vieni a vedere" concreto come il buddhismo, specie per chi ha una mente caotica e "vitale". Il buddhismo attrae perchè appunto tratta della sofferenza, un aspetto molto concreto (di nuovo lo fa anche il cristianesimo con "Dio che diventa Carne" ma non è così diretto).
A riguardo all'età, io sui diciassette anni ho avuto una vera e propria crisi esistenziale (ma è stato un processo al contempo improvviso e graduale), ho cominciato a vedere difetti in me e nel "mondo degli uomini". Ho cominciato a pensare molto alla morte e alla sofferenza e inoltre insiame a Spinoza, Schopenhauer era diventato il mio "preferito" (in realtà quest'ultimo fatto è avvenuto all'inizio del mio diciannovesimo anno d'età, però poco importa) - l'interesse per il cristianesimo nel frattempo era sparito (non c'è stata alcuna ribellione, semplicemente non mi sentivo più parte della comunità e non accettavo di andare a messa per "tradizione". Diciamo che non ne sentivo il bisogno). Per la prima volta mi sono cominciato a porre seriamente le domande sulla "spontaneità", sulla "libertà", sul "mondo dopo la morte" ecc. E ho cominciato ad essere attratto dalle filosofie orientali, prima il daoismo e poi il buddhismo (semplicemente perchè ho per caso trovato il testo del Daodejing). Schopenhauer a 17 anni ebbe la sua crisi che lo rese "pessismista" per tutta la vita. Quindi forse è normale  ;D  Secondo me la scossa è ciò che attiva la vita spirituale (oppure se già presenta la fa "esplodere"). Senza nessuno si mette a cercare, a mettere in dubbio come sta vivendo ecc. E d'altronde le tradizioni "non-duali" solitamente appunto smorzando le distizioni sono molto accoglienti e solitamente meno inclini ad "anatemizzare".
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

green demetr

scritto il 7-11-2017

Ieri notte ragionavo su quali collegamenti fare.

Ho pensato a quello che avete scritto, e l'intuizione è arrivata puntuale a timbrare il cartellino.

Non è come in un primo momento ho pensato un idea vicino a quella di Hegel, è l'esatto contrario.

Perchè, dopo che l'intuizione mi è venuta, ho ricordato la cosa principale: che per L'India la Storia non esiste.

La linea di pensiero è sempre stata quella di cosa fosse questo vacuo, cosa stesse per.

Poi ho realizzato che non c'è bisogno di un passaggio dialettico, perchè appunto la storia non esiste.

Dunque quel "stare per" non poteva che essere quello che in termini occidentali chiamerei il fenomeno.

Ossia è il fenomeno stesso che sta alla base della vacuità, ossia la vacuità è la vacanza del fenomeno.

Ma non nel senso occidentale (dialettico, storico) nemmeno nel senso ebraico (che in effetti sottende un Dio a creare il mistero del fenomeno rispetto al suo vacuo, alla sua mancanza, appunto la mancanza di DIO).

No! ma nel canonico modo indiano sì.

Ossia il macrocosmo che coincide con il microcosmo.

Vi è al suo interno però la forza del pensiero filosofico, infatti se il macrocosmo non è più un piano cosmico, allora lo sarà il microcosmo.
Ma se il microcosmo è il cosmico, allora la condizione di separazione umana, ma anche animale, minerale etc..etc..è la fonte dell'illusione, che il microcosmo è parte del macrocosmo. Ossia che la parte sia una parte del tutto.
A questo punto è facile congiungere i pezzi.

Infatti la parte non è la parte del tutto, ma è il tutto.

E' per questo che necessitana il nirvana, il vacuo.

Ossia la necessità di dimenticarsi come parte che fa parte di un tutto, e invece di ricordarsi che siamo un tutto che è anche una parte.
La condizione allora sarà quella della riflessione su ciò che manca alla parte per essere tutto.
Appunto: la stessa mancanza. E' solo poichè vi è mancanza che la parte è anche il tutto.

le tecniche meditative dunque saranno un tentativo di riflessione su questa falso dualismo fenomenico.

La mia è solo una intuzione, come al solito originata non so da che. Ma la ritengo sufficiente per aggiungere il buddismo nel mio progetto religioso, che a questo punto comprende teologia negativa, protestantesimo, cristianesimo delle origini, filosofia advaita, shivaismo e ora anche buddhismo. Credo che mi fermerò qui, mi sembra un materiale già abbastanza gravido, e che non so come farò a mettere in agenda.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Apeiron

#170
@Green ti mancano il Dao-De-Jing (o Tao Te Ching) e lo Zhuangzi (o Chuang-tzu o Ciuangtzé) e poi sei al completo  ;D ti posso garantire che questi due libri cinesi composti prima del 200a.c. sono dei veri gioielli. Anche se anche per essi puoi dire che la Storia non Esiste.


Riguardo all'inesistenza della storia. Sì hai ragione da un certo punto di vista. Però puoi anche pensare che la ruota del samsara sia una sorta di "caduta" e la liberazione sia la "redenzione". Quindi il processo dialettico c'è anche qui: tutto dipende da come interpreti il Ritorno. Più precisamente quello che esiste per il buddhismo è il Divenire. Ma questo "divenire" è vuoto di "entità": in sostanza la Storia non esiste perchè "tutto è bloccato" (pensa a Parmenide) bensì la Storia non esiste perchè nulla si evolve. Il mondo è una rete di avvenimenti, di eventi e di "fatti". Non di cose (e senza cose non avviene in verità nulla).

Ad ogni modo sull'illusiorietà della Storia pensa a questa frase:
Zhuangzi: "la soggezza degli antichi arrivava fino ad un limite. Quale limite? Quello per cui non credevano che esistevano cose. Di più non si può arrivare. Quelli dopo di loro ritennero che le cose esistevano ma non ponevano confini tra di esse. Quelli dopo ancora ponevano confini ma non distinguevano tra "accettabile" e "non accettabile". Fu quando si riconobbe la distinzione tra "accettabile" e "non accettabile" che la Via fu ferita"

La forte contrapposizione con il cristianesimo è che la storia delle distinzioni e dei concetti è "reale" per il cristiani: Gesù ad esempio è morto e risorto. Ovviamente non si può non rifersi ad un "sé distinto" in questo caso. Quindi la Storia di fatto è illusoria per le tradizioni advaita, daoismo e buddhismo. D'altronde per l'occidente cos'è la Storia se non la storia degli sforzi e le azioni degli uomini? Di certo non è la "non-azione" del corso dei fiumi o dei pianeti oppure di un Divenire senza "sé" separati e distinti! Questa è la grande differenza tra religioni come il cristianesimo e le religioni indiane e il daoismo.

P.S. Questa è pure la differenza tra la filosofia di Nietzsche e la filosofia indiana e daoista. Nietzsche cercava l'affermazione dell'uomo (e della storia), questo tipo di tradizioni invece preferisce la "non-affermazione". Pensa anche al fatto che Gesù si è incarnato una volta. Invece di Buddha ce ne sono stati molti e molti ancora ne verranno, idem per Krsna e il daoismo è stato insegnato fin "dai tempi antichi"...
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

green demetr

Ciao Apeiron.

No! penso proprio che il bagagliaio del mondo religioso sia già pieno  ;), anche se i testi da te citati sono parte della saggenza di tutti i tempi.


Sul Samsara: ma vedi è proprio questo il punto, è proprio dal fatto che criticavi l'accettazione del samsara da parte del buddhismo, che l'idea si è poi dipanata.
Non è possibile che sia come nell'advaita.
E infatti non lo è. Se per l'advaita il samsara fa parte del gioco cosmico dei multiversi, ossia uno dei tanti giochi, non così per il buddhismo che invece lo ritiene la cosa più importante.


Credo che meditare sul Samsara sia una delle tecniche più difficili. Non so se esistano scritti che lo testimonino.
Ma ci devono essere per forza. (vedrete che li scoprirò)
Infatti è credo uno dei nirvana assoluti, se non il nirvana assoluto.

Quando tu citavi il nobile silenzio in maniera anche ironica (suppongo), è perchè non hai ancora capito (suppongo) che il nobile silenzio è inevitabile per comprendere la vacuità.

Ossia non è possibile spiegare ciò che è il risultato del vacuo, senza aver percepito (suppongo, sari chiedo aiuto nel caso) il vacuo.
Se io spiegassi cosa è il vacuo, lo spiegherei come se fosse possibile storicamente, o illusoriamente, ossia lo dovrei porre come storia, come racconto.

E invece solo possibile come vissuto, e quindi quella che va spiegata è la tecnica meditatoria ad esso associata.
(al nobile silenzio).

A ben pensarci lo Zen e il Buddismo Giapponese (di cui mi sono innamorato con la lettura del fumetto IKKYU, un must per chiunque), ha improntato le sue caratteristiche storielle proprio su questa ambivalenza di ciò che è a partire da ciò che NON è.

Alla prossima.  ;)


NB.
Ormai padroneggi Nietzche con sicurezza vedo! Sì è proprio come dici.

(sulla figura di Cristo, io sarei più vicino a vederlo come profeta, posizione eretica se ce ne è una, diciamo che i profeti sono l'equivalenza degli illuminati indiani, o dei loro Avatar.)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Apeiron

#172
Caro Green,

Peccato volevo convertirti al daoismo (scherzo visto che nemmeno io lo sono e nemmeno un daoista vorrebbe convertirti)  ;D  A parte gli scherzi...

Voglio solo dire una cosa. Riguardo al "Silenzio" ero "semi-ironico". Ritengo vero che la "perfetta libertà dalla sofferenza" è essere come l'acqua che scorre, i pianeti che ruotano attorno al Sole ecc. Sono tutte azioni immediate e pure. Sono pure azioni senza sforzi. Ovviamente non essendo "cose animate" non si può parlare di "felicità" o di "beatitudine". Il Realizzato allo stesso modo non agisce con sforzo o facendo piani per vantaggio personale. Non ha più alcuna illusione di controllo. Quindi è come l'acqua che scorre, i pianeti che ruotano.

Per quanto riguarda il Divenire nell'advaita e nel buddhismo. Sì so che sono diversi ma in entrambi i casi si parla di "azione spontanea, senza [senso del] sé, no". Proprio come il gioco del fanciullo (lila) o l'acqua che scorre. Queste immagini mi danno l'idea di "libertà". Sinceramente non mi interessa più sapere quale delle "immagini" sia più "vera".

Il problema è semmai se il nirvana è o meno il "ritorno all'inanimato" - la "distruzione" totale della mente o solo la sua "cessazione". In un caso c'è il ritorno allo stato iniziale. Nel secondo si ha un salto dialettico.  

In questa discussione sono arrivato a questa conclusione: il Realizzato è l'essere più spontaneo di tutti. Questo perchè non c'è più intenzionalità, brama di affermazione, pianificazione ecc. Proprio come l'acqua che scorre.

Tutto il problema si riduce a questo "come". Come ben dici che cosa è davvero il vuoto buddhista, il Dao, l'assorbimento con Brahman ecc lo si saprà solo quando si è "raggiunto l'obbiettivo". Prima di allora non si può sapere. Bisogna per così dire "avere fede"  ;)

Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere (Wittgenstein) - così adesso aldilà di tutte queste discussioni provo a "tacere" perchè visto il ritmo dei miei messaggi, ormai tutto questo è diventato una sorta di "ossessione"  ;) (il che tra l'altro mi è possbile solo perchè facendo una tesi teorica lavoro comodamente a casa e nelle "pause" vengo qua a scrivere. Anche se la cosa mi piace molto, ho però capito che la moderazione è essenziale devo imparare a "togliermi anche questa dipendenza"  ;D ) Ergo cerco di tacere (ovviamente se hai domande cerco di risponderti ma non mi va di teorizzare ancora (almeno per un po'))

Ad ogni modo ci siamo capiti che sia il fanciullo, il Realizzato ecc sono tutti "spontanei" (proprio per questo non ha più senso parlare di "Storia" per loro - visto che la storia è fatta da interventi atto a "controllare" la direzione del mondo). La "vacuità" del senso del sé individuale ci porta proprio ad essere spontanei, contenti ecc ossia liberi. Personalmente ritengo che anche il "parinirvana" - ossia il nirvana dopo la morte - non sia il ritorno all'inanimato. Ma è solo una mia convinzione ;)

Si potrebbe pensare di cercare un compromesso tra la visione "non-storica" e quella "storica". Ma come ho detto per ora lascio perdere ;) vado a rifugiarmi nel silenzio !


Alla prossima!
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Apeiron

#173
Ritengo di aver raggiunto di una conclusione (ovviamente è vero solo in parte  ;D ). La parola "bhava" si riferisce all'esistenza con un senso del sé. Un'esistenza alla quale c'è contrapposizione tra "io" e "non-io". "Abhava" si riferisce invece a quando non c'è un "io" dove dovrebbe esserci. Liberazione dal senso dell'io è quando questa contrapposizione finisce: non c'è più contrapposizione tra "io" e "non-io" - le rigide distinzioni sono finite.

Al che rimangono queste alternative:
1) al parinirvana non rimane che il Nulla (di permanente) - il cosmo è destinato a finire. (incondizionato=totale nulla -  posizione dei Sautrantika=nichilismo?) Se Buddha ha insegnato questo allora era un nichilista. Il che non inficia la mia stima verso il personaggio... però la sua filosofia è incompleta.
2) al parinirvana si torna alla "polvere", però il cosmo è eterno (ma ciclico?). La differenza col materialista in questo caso e nel precedente è la sola dottrina delle rinascite. Nuovamente la sua filosofia è incompleta perchè si riduce ad un materialismo (ancora compatibile con la posizione dei Sautrantika?=nichilismo?). E da qui ci si potrebbe chiedere: perchè la materia ha comportamenti regolari? perchè ci sono leggi fisiche ben determinate e non è meramente caos? Se non ci fosse niente di "mentale" (spero che questa parola non crei troppa confusione) nella materia perchè l'universo è regolare ecc. Ritengo interessante che certe forme di panteismo naturalistico vedono la morte come il "parinirvana" buddhista espresso in questi termini (e ovviamente anche nella posizione "1").
3) l'incondizionato è semplicemente la cessazione della distinzione dell'io/non-io. In questo senso si ha la "spontaneità" - il supremo abbandonarsi all'infinito si è raggiunta "l'immortalità" perchè nessun "io" può sperimentare la morte (o la nascita). L'incondizionato però è una realtà, o più precisamente è il "corretto" modo di vedere il samsara. Quindi non può essere definito non-esistenza. Non può cessare perchè altrimenti ci sarebbe qualcosa che cessa.  (Incondizionato=Divenire? posizione di Nagarjuna? posizione preferita dal Sari?   ). Notare la somiglianza che può essere vista con molti aspetti della filosofia del Chuang-tzu (se non ha insegnato l'immortalità dell'io) e di certe forme di filosofia vedanta (lo scrivo piccolo per evitare dispute dottrinarie  ;D )
4) l'incondizionato è una realtà trascendente - che non muta, aldilà dell'impermanenza - completamente distinta dal samsara. Sempre "presente" ma distinta dal samsara https://www.canonepali.net/2015/06/udana-8-1-nibbana-sutta-la-completa-liberazione-1/, https://www.canonepali.net/2015/06/udana-8-3-nibbana-sutta-la-completa-liberazione-3/ (Buddhaghosa? Theravada Tradizionale?)
5) l'incondizionato è la "citta eterna" ("citta" in pali si riferisce alla "mente" - non ho dimenticato un accento  ;D ), la mente che ha trasceso spazio e tempo - o più precisamente è la vera natura della mente (Natura di Buddha? posizione della Tradizione della Foresta Thailandese (sottoscuola Theravada)? posizione del Sari?   )
6) Hua-yan/Avatamsaka: nirvana è la realizzazione che "una cosa contiene tutte le cose - tutte le cose contengono una cosa".
7) Il Buddha e gli ahrant esistono ancora individualmente (posizione della scuola Pugdavala - criticata da tutte le altre? Buddhismo delle Terre Pure?)

Se Buddha ha storicamente sostenuto la visione materialistica "raffinata" come nel caso "1" e "2" allora per me non era "Risvegliato" per il problema che nella nostra mente si formano concetti come "infinito", "eterno", "assoluto", "bene supremo" e non giustifica il fatto che la materia ha comportamenti regolari - che suggerisce che ci sia un "aspetto mentale" anche nella materia "inanimata" (inoltre queste posizioni paiono molto vicine alla posizione degli "annichilazionisti" (ucchedavada), di coloro che dicevano che alla morte un "io" moriva...). Riguardo alla "7" l'esistenza è ancora individuale e quindi pare contraddire l'affermazione che "il nirvana è la cessazione dell'esistenza (bhava)". Rimangono le posizioni "3","4","5","6" che forse sono molto più simili di quello che sembrano (se è una di queste la posizione del Buddha allora può essere stato un "Risvegliato")  ;)

Forse Buddha parlava sì di un "nulla" ma un nulla relativo (anche perchè d'altronde è la Via di Mezzo), un "niente" per tutti coloro che sono intrappolati nel samsara. Riporto una interessante citazione di Schopenhauer nuovamente per comodità:
"il concetto del nulla è essenzialmente relativo, e si riferisce sempre ad alcunché di determinato, ch'esso nega. Codesta relatività fu attribuita (specie da Kant) soltanto al nihil privativum, indicato col segno – in opposizione al segno +; il qual segno –, capovolgendo il punto di vista, poteva diventare +; e in contrasto con quel nihil privativum, si stabilì un nihil negativum, che fosse il nulla sotto tutti i rapporti, per esempio, del quale si cita la contraddizione logica, distruggente se stessa. Ma, guardando più da vicino, un nulla assoluto, un vero e proprio nihil negativum non si può neppure immaginare:ogni nihil negativum, guardato più dall'alto o sussuntoad un più ampio concetto, rimane pur sempre un nihil privativum....
Noi vogliamo piuttosto liberamente dichiarare: quel che rimane dopo la soppressione completa della volontà è invero, per tutti coloro che della volontà ancora son pieni, il nulla. Ma viceversa per gli altri, in cui la volontà si è rivolta da se stessa e rinnegata, questo nostro universo tanto reale, con tutti i suoi soli e le sue vie lattee, è – il nulla." (Arthur Schopenhauer)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

#174
Immagino @Apeiron, una sera durante la quale il Buddha tiene un discorso ai bhikkhu (monaci) nel giardino di Jetavana, con le torce che fanno danzare strane ombre sui volti e sulle spalle, alzarsi e porre le sue sette alternative all'attenzione dell'assemblea e di Siddhartha stesso...
Poi mi par di immaginare le labbra dell'illuminato assumere la piega di un sorriso...ma...nessuna risposta all'inquieto ricercatore , all'asceta filosofo itinerante Apeiron, giunto dal lontano Ellade...solo silenzio .  Nell'aria solamente il  rumore del vento tra gli alberi di pippala, qualche fruscio di tonache, un leggero brusìo ai margini della grande assemblea...
Cos'è il Nirvana? Perché non risponde?...Perchè questo silenzio?...Qual'è la posizione di quest'uomo che dicono sia 'illuminato'? ...@Apeiron di illuminato vede solo il suo volto, rischiarato dalla luce danzante delle torce. Perché il Buddha non afferma con chiarezza qual'è la natura del Nirvana?...Sembra quasi...un 'agnostico'...molti lo pensano, infatti...
"Ciò porta chiaramente alla conclusione che l'agnosticismo in tali questioni non si basa su una convinzione ragionata dei limiti della conoscenza; esso riposa sulla duplice base che Buddha stesso non è giunto ad una chiara conclusione riguardo la verità di questi problemi, ma è convinto che la disputa su essi non conduce alla forma mentis essenziale per il raggiungimento del Nirvana" . Keith-Filosofia buddhista.
Ma il silenzio del Buddha non può nemmeno essere interpretato come agnosticismo, perché questo sarebbe un atteggiamento di dubbio e disperazione, mentre la sua risposta è decisa e risoluta. Non è nemmeno una specie di sospensione del giudizio, in attesa di un ipotetico momento più favorevole per rendere pubblica la "verità" sul Nirvana. No...non è così... abbiamo sempre quel sorriso a smentire questo dubbio. Pare un sorriso e un silenzio che parla...tante volte ha ripetuto che non ha trattenuto nulla per sé, come invece quei maestri dal 'pugno chiuso'. Buddha forse ignora la metafisica?...No, ha una grande padronanza e conoscenza delle speculazioni filosofiche del suo tempo...ha avuto  a disposizione migliori insegnanti del Regno del Magadha...ha studiato per anni con i più famosi filosofi e asceti...è sicuramente un metafisico di altissimo livello. Grazie alla sua penetrante analisi ha raggiunto una posizione che trascende e annulla i procedimenti dogmatici della Ragione....Il suo rifiuto della metafisica speculativa è deliberato e coerente. Per lui la critica stessa è filosofia...
La sua posizione non è nichilista nemmeno in forma implicita e nemmeno è considerata tale da qualsiasi sistema buddhista. Siddhartha si oppone in termini espliciti all'idea che la sua disciplina spirituale implichi l'inesistenza del Nibbana. Quante volte i bhikkhu lo hanno sentito parlare in termini 'positivi' dell'elemento Nibbana, come 'qualcosa' al di là di ogni sofferenza e mutamento, come inalterabile e quieto, non soggetto al decadimento e senza macchia...come vera pace oltre l'oceano del divenire.
Come un'isola, ecco...come un'isola di protezione... come un rifugio che è anche la meta.
Se non vi fosse all'orizzonte quest'isola di coralli come sarebbe possibile trovare una via d'uscita da tutto questo dolore?...Quale uscita dalla soggezione dell'impermanenza samsarica?...
Però Siddhartha non dubita affatto della realtà del Nirvana, ma...non permetterà mai di caratterizzarlo e rivestirlo di termini empirici come essere, non-essere, ecc.
Ecco il silenzio che interroga @Apeiron l'ellenico...il silenzio della piena consapevolezza della natura indescrivibile dell'Indescrivibile...
Accanto al Buddha seggono Sariputta e Mogallana. Alle sue spalle il bonario Ananda, il mite Ananda, il bhikkhu che manda a memoria ogni discorso del suo maestro, che da tanti anni lo aiuta e che adesso cerca di sollevare dall'umidità della notte trasudante dalla selva, agitando un'enorme ventaglio...Il maestro è vecchio ormai , e stanco...ma c'è ancora l'ellenico...ritto davanti a lui...in attesa...
E l'ellenico parla e chiede:"Perché mai allora, signore, non ammettete in termini del tutto espliciti la realtà dell'assoluto? Perché mi osservate in siffatto silenzio? Perché mi sento 'venir meno il mondo', ora?...Parlate alfine! Angosciosa è l'esistenza e l'autunno si porta via come ogni anno le nostre speranze...parlate per tutto ciò che vi è di caro e di valore "...
Ma che parole usare per qualcosa che è al di là di ogni parola? ...Cosa c'è di più vero, a questo punto della notte, che non il silenzio e un sorriso che rincuora ?...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

#175
Eccellente post Sari  ;)  



L'ellenico Apeiron ovviamente rimane a pensare tutta la notte contemplando quel sorriso accennato del Tathagatha e dei suoi discepoli e delle sue discepole. Questi "strani" personaggi che con estremo coraggio ed estrema dedizione hanno disciplinato la loro mente e sostengono di aver raggiunto "l'Isola". Dinanzi all'incessante mutare del samsara questi hanno tutti invece un costante sorriso accennato. E non perchè dormono o sognano in quanto la loro consapevolezza è del massimo grado. Hanno abbandonato tutto: possedimenti, attaccamenti, bramosie, avversioni, paura, dubbi, idee di "sé" e anche la speculazione scientifica e filosofica. Il loro utilizzo della dialettica è meramente al servizio altrui e serve per demolire ogni convinzione che allontana da quel sorriso pacifico. Al contempo sembrano persone con un senso "pragmatico" molto sviluppato, sanno muoversi nel mondo, lo conoscono - il Buddha in fin dei conti parla anche di come governare, di come essere discepoli laici ecc. Il Buddha se la prende proprio con coloro che però gli assomigliano di più, i philosophos. I philosophos infatti continuano a cercare e ragionare, continuano a prendere elementi di realtà e gli analizzano con la loro ragione e costruiscono modelli, ragionamenti molto più precisi di quanto può sognare l'uomo "di mondo". D'altronde i mathematikoi (qui inteso nella sua accezione matematica) sono catturati dalle forme e dalle regolarità della natura e dal logos che pare manifestarsi nella natura stessa. Gli eventi sono ordinati e non disordinati, per quanto molteplice il mondo possa essere i mathematikoi vedono il "kosmos" l'ordine, la regolarità che si intravede ad esempio nell'"uso" della natura della spirale: galassie, uragani, nautilus ecc. Oppure nella capacità degli insetti (!) di costruire alveari, magnifiche strutture costruite per semplice e inconsapevole istinto. I mathematikoi invece si dilettono a vedere l'immanenza del logos: quanto ci è difficile d'altronde fare una descrizione di cosa avviene quando versiamo l'acqua in un bicchiere se non ignoriamo molti dettagli - eppure sappiamo che una descrizione minuta c'è e in perfetta armonia la si può portare a ciò che vediamo nel nostro mondo macroscopico. La physike e la mathema d'altronde sono aspetti della philosophia, ossia semplicemente la volontà di apprendere. Ma il "philosophos" non è solo uno dei "mathematikoi", a lui interessa anche l'axiologia, lo studio dei valori. E utilizzando i concetti imparati nella matematica vede anche qui un ordine nei valori stessi e nota che siamo mossi di più verso ciò che ha più valore. E se c'è qualcosa che ha un valore massimo... questa cosa ci attirerà più di tutto il resto. Così da buon elleno si mette a inventarsi il concetto di Supremo Agathou (Bene). Ma cos'è? Cos'è? Non è forse necessario dunque utilizzare il logos che ci ha mostrato il kosmos (l'ordine) dei fenomeni più semplici anche per il "supremo bene"? Il rigore del logos d'altronde è proprio ciò che è fonte di garanzia. Eppure questo Risvegliato sembra dire che tutta questa ricerca è una sorta di "ostacolo" alla realizzazione vera del Bene. L'elleno però analizza gli insegnamenti di questo Risvegliato e ne ha un'impressione duplice. Da una parte una profonda stima e rispetto: come non stimare uno che ha rinunciato a tutto e ha sempre stampato sul viso quel sorriso beato, imperturbabile, radiante di "karuna" e pacifico? Ma l'elleno si accorge anche dell'incompletezza dell'insegnamento e di come esso sembra rivolto "a sbarazzarsi" del mondo e della natura - natura e mondo che hanno suscitato quella meraviglia che ha generato il philosophos. Questo al philosophos sembra quasi un "tradimento" - eppure anche lui nota un grandissimo "valore" negli insegnamenti del beato Asceta che ha davanti e non nega la possiblità che forse è davvero un Risvegliato. Sembra intuire la "pienezza" dietro alla "vacuità", la "positività" dietro la "negatività" dei suoi insegnamenti. Eppure il philosophos che per sua natura è skeptikos (cercatore di "evidenze", di prove...) vorrebbe una "teoria" anche "positiva" e non "meramente" negativa. E così l'elleno durante la notte diparte dal Tathagatha e dal Sangha lasciando perplesso soprattutto il mite Ananda. Il confuso elleno se ne va con le idee ancora più confuse di prime, con mille domande che Aharants e Tathagatha equiparano alle domande di un uomo che colpito da una freccia continua a rifiutare la cura prima di sapere chi è stato a scagliare la freccia, perchè (forse il colpevole è per una volta proprio la vittima  ;D )... Il Dhamma rigoroso d'altronde è per chi ha risolutezza, non per gli skepticoi. Costoro se ne vanno nella notte accecati e turbati dal dubbio (pali: "vicikiccha"), dubbio nato però dalla contemplazione della regolarità del "kosmos". L'elleno dice: "E quesoto mi dice di rinunciare a logos e kosmos?". Perchè dovrei preferire la "vacuità" rispetto alla pienezza del "logos" che sembra evidente anche nel sasso che cade? Vorrebbe poi dimostrare l'esistenza dello stesso. Ma dall'altro lato vede il chiarore del viso di arhants e Buddhas che si godono la "vacuità" ;D



Eppure su una cosa philosophoi e il Buddha-Dhamma paiono essere d'accordo:
Vi è, monaci, un non-nato — un non-divenuto — un non-creato — un non-formato. Se non vi fosse quel non-nato — non-divenuto— non-creato — non-formato, non si potrebbe conoscere il processo di salvezza da ciò che è nato — divenuto — creato — formato. Ma poichè vi è un non-nato — un non-divenuto — un non-creato — un non-formato, si può conoscere il processo di salvezza da ciò che è nato — divenuto — creato — formato. (Udana 8.3)

Su questo l'accordo c'è. Forse per il philosophos non è ancora tempo di apprezzare fino in fondo l'insegnamento? Forse è tutto rimandato alla prossima vita quando si capirà cosa c'entra il Buddha-Dhamma con la relatività e la meccanica quantistica  ::) Forse sì, forse no. Forse forse. Due "veicoli" di vita molto diversi che forse hanno tra di loro un mutuo rispetto  ;)

Il "kosmos" (l'ordine) d'altronde è visto come un "io" o no? ;)

Forse il Buddha-Dhamma è il più grande enigma.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Apeiron

#176
@Sari, ho una domanda. Altrove ho scritto questo: "Per esempio il buddhismo nega l'esistenza dell'io a livello di realtà ultima ma al contempo afferma il libero aribitrio, cosa che per me è fuori dalla mia comprensione (e credo che ciò lo facciano anche l'Advaita Vedanta, il daoismo ecc). Sinceramente io sono convinto che il libero arbitrio descriva qualcosa di "reale" e non solo "convenzionale" mentre sull'esistenza dell'"io individuale" a causa della mia attrazione ai vari sistemi filosofi buddhisti, vedanta ecc  non so ancora esprimermi. Però ecco ritengo che il libero arbitirio (e quindi la responsabilità) si riferiscano a qualcosa di "reale"." Ossia nel caso del buddhismo le azioni umane siano "libere" pur non essendoci "qualcuno" che le faccia a livello di realtà ultima. Il che per me è completamente incomprensibile (ovviamente non sto dicendo che ciò falsifica il buddhismo). Anzi potrebbe essere la ragione per cui "profondo...è questo Dhamma, difficile da vedere, difficile da realizzare...oltre i limiti della ragione..deve essere sperimentato dal Saggio" (MN 72).

Confermi che nel buddhismo appunto esista il libero arbitrio? (ossia che esistano azioni "libere" ma non esista "in senso ultimo" anche "l'io". Altrimenti se così non fosse sarebbe "fatalismo" e non "buddhismo")
Però la "distorsione" che facciamo a causa di questo "libero arbitrio" è che ci sia un "io" reale a livello della realtà ultima a farlo. E quindi il "meccanismo" del samsara è mantenuto in essere proprio a causa di questa illusione per la quale un'azione in qualche modo "libera" sia causata da un "ente" (reale nel senso ultimo). Rinunciare dunque all'"io" significa anche di fatto rinunciare anche al "libero arbitrio", ossia rinunciare alla propria libertà, la quale in fin ci soddisferebbe solo se fosse "assoluta", cioè se potessimo scegliere senza alcuna influenza esterna, ossia se avessimo il controllo completo dell'esterno. Avendo noi solo un controllo incompleto (e condizionato) per "ottenere" la "vera libertà" dobbiamo alla fine rinunciare anche a questa libertà "relativa". In sostanza siamo per così dire "invitati" a scegliere di "rinunciare" al controllo incompleto/libertà relativa ma la possibilità di fare questa scelta è in fin dei conti data dall'esistenza di questa libertà relativa/controllo incompleto. L'unico modo per raggiungere quella "libertà incondizionata" che cerchiamo è paradossalmente quella di rinunciare alla libertà relativa stessa e all'io ;) devo dire che è un tema che ricorre molto nelle varie religioni seppur chiaramente in forme diverse.
E la "fortuna" di essere umani nel buddhismo è la seguente: grazie al fatto che possiamo capire questa cosa possiamo scegliere di rinunciare al nostro potere di controllare le cose e quindi in ultima analisi rinunciamo anche al libero arbitrio e il samsara cessa.
Credi che sia un'interpretazione corretta?

Ossia per così dire il Nibbana lo si "ottiene" quando si rinuncia a ciò che ci permette di scegliere di rinunciare. In sostanza posso scegliere di "lasciar andare" proprio quell'autonomia che mi permette di capire che la "perfetta liberazione" la trovo solo rinunciando all'autonomia (parziale) stessa. Certamente è un paradosso!

Però "le parole vere sembrano paradossali" (Dao-De-Jing, 78)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

#177
Citazione di: Apeiron il 24 Novembre 2017, 15:47:20 PM@Sari, ho una domanda. Altrove ho scritto questo: "Per esempio il buddhismo nega l'esistenza dell'io a livello di realtà ultima ma al contempo afferma il libero aribitrio, cosa che per me è fuori dalla mia comprensione (e credo che ciò lo facciano anche l'Advaita Vedanta, il daoismo ecc). Sinceramente io sono convinto che il libero arbitrio descriva qualcosa di "reale" e non solo "convenzionale" mentre sull'esistenza dell'"io individuale" a causa della mia attrazione ai vari sistemi filosofi buddhisti, vedanta ecc non so ancora esprimermi. Però ecco ritengo che il libero arbitirio (e quindi la responsabilità) si riferiscano a qualcosa di "reale"." Ossia nel caso del buddhismo le azioni umane siano "libere" pur non essendoci "qualcuno" che le faccia a livello di realtà ultima. Il che per me è completamente incomprensibile (ovviamente non sto dicendo che ciò falsifica il buddhismo). Anzi potrebbe essere la ragione per cui "profondo...è questo Dhamma, difficile da vedere, difficile da realizzare...oltre i limiti della ragione..deve essere sperimentato dal Saggio" (MN 72). Confermi che nel buddhismo appunto esista il libero arbitrio? (ossia che esistano azioni "libere" ma non esista "in senso ultimo" anche "l'io". Altrimenti se così non fosse sarebbe "fatalismo" e non "buddhismo")

Qual'è lo spazio di libertà di scelta per l'uomo, mi chiedi? Cosa intende il buddhismo con 'libero arbitrio'? Come sai  nel Buddhismo non esiste questo concetto , nato nella teologia.
Una volta ho sentito un monaco definire lo spazio di libertà dell'uomo come quello che ha una capra legata con la corda al recinto. Quindi un pò di libertà, ma condizionata. Ma quel "piccolo spazio" di libertà è fondamentale. Dov'è la nostra libertà? E' nella sensazione che proviamo nel contatto con il mondo da cui sorge nome e forma? E' possibile scegliere di non provare dolore  mentre sperimentiamo una sensazione dolorosa? Chiaramente no. E' possibile scegliere di non provare piacere quando sperimentiamo una sensazione piacevole? Chiaramente no. E' possibile scegliere di non provare piacere o dolore mentre sperimentiamo una sensazione neutra? Chiaramente no.
La nostra libertà sta tutta nel momento successivo all'esperienza. Sta nel come noi ci relazioniamo con l'esperienza che facciamo della vita. Questa libertà è molto più grande di quel che può sembrare. Perchè in questo momento di scelta se aggrapparci alla sensazione piacevole, dolorosa o neutra o non aggrapparci sta la possibilità della Liberazione. E il potere delle scelte che abbiamo rispetto alla percezione e alla reazione è enorme. Se reagiamo in un certo modo creiamo una causa di dolore, se reagiamo in un altro creiamo una causa di compassione, i cui effetti , per il Buddhismo, inevitabilmente si manifesteranno nella nostra e nell'altrui esistenza.
Quindi si potrebbe dire che, per il Dhamma, la  libertà dell'uomo è un problema di relazione tra la coscienza/vinnana e le sensazioni di cui fa esperienza. Non è possibile evitare di provare sensazioni , emozioni, pensieri, desideri, ecc. ( e in questo siamo come la capra...), ma possiamo scegliere se attaccarci  o meno a queste sensazioni, emozioni, pensieri, desideri, ecc. ( e questo è per il Buddhismo lo spazio di libertà dell'uomo...).
Tutto il resto è "teoria"... :)
Quindi la risposta alla tua domanda è: Sì, per il Buddhismo l'uomo è libero se salire o no sulla zattera che lo traghetta all'"altra riva" e tanto più lo diventa, libero,coltivando il non-attaccamento, attraverso innumerevoli esistenze dolorose, generando frutti di libertà dal conosciuto ( quindi Kamma positivo...Kamma che, nella visione buddhista è generato dall'intenzione  che motiva una scelta rispetto ad un'altra e non dall'azione in sè...), financo a liberarsi dall'attaccamento al non-attaccamento, dimorando alfine nel Nibbana, che è libero per definizione... ;D

Spero che sia abbastanza capibile... :( In questi giorni non sto molto bene  e prajna sonnecchia parecchio... :D  :D
Sulla strada del bosco
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Sariputra

AMORE (Metta)

Siccome leggo spesso che il buddhismo viene ritenuto da molti una religione/filosofia nichilista riporto un brano molto illuminante, a mio parere ( e proprio proveniente dall'austera tradizione theravada...) che può far ben giudicare come infondate queste interpretazioni. Può essere inteso anche come meditazione su uno dei "quattro stati sublimi" ( gli altri sono compassione/karuna, gioia altruistica/mudita ed equanimità/upekkha )

L'amore non ha il desiderio di possedere, sapendo bene che in senso ultimo non c'è né ciò che è posseduto né chi possiede: questo è l'amore più grande.
L'amore non parla di un ' io ' e non lo concepisce, sapendo bene che questo cosiddetto ' io ' è solo un'illusione.
L'amore non fa scelte né esclusioni, sapendo bene che l'agire così crea ciò che è l'opposto dell'amore: l'antipatia, l'avversione e l'odio.
L'amore abbraccia tutti gli esseri grandi e piccoli, vicini e lontani,della terra, dell'acqua o dell'aria.
L'amore include imparzialmente tutti gli esseri viventi, e non solo quelli che ci sono utili, che ci piacciono o ci divertono.
L'amore abbraccia tutti gli esseri, di animo nobile o ignobile, buoni o malvagi. Coloro che sono buoni e di animo nobile perché l'amore fluisce verso di loro spontaneamente.  Coloro che sono malvagi o di animo ignobile sono inclusi perchè sono quelli che hanno più bisogno d'amore. In molti di essi il seme della bontà può essere morto perché è mancato il calore necessario per la sua crescita, per il gelo di un mondo senza amore.
L'amore abbraccia tutti gli esseri, sapendo che noi siamo tutti pellegrini nel ciclo dell'esistenza, che siamo tutti soggetti alla medesima legge della sofferenza.
L'amore non è il fuoco sensuale che brucia, scotta e tortura, che infligge ferite invece che curarle, che ora arde e il momento dopo è estinto, lasciando più freddezza e solitudine di prima.
Invece l' amore accarezza con mano dolce ma ferma gli esseri sofferenti, sempre immutato nella sua compassione, incrollabile, indifferente alle reazioni che suscita. L' amore è il sollievo  che rinfresca coloro  che bruciano nel fuoco della sofferenza e della passione; è il tepore che ridà la vita a coloro che sono perduti nel freddo deserto della solitudine, che rabbrividiscono per il gelo di un mondo senza amore; a coloro il cui cuore è desolato e arido per le ripetute richieste di aiuto, per la più profonda disperazione.
L' amore è la sublime nobiltà del cuore  e dell'intelletto che sa, capisce ed è pronto ad aiutare.
L' amore che è forza e che forza è l' amore più grande.

( tratto da "La Visione del Dhamma" di N. Thera)
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Apeiron

Sì sulla questione della libertà sei stato molto comprensibile  ;)  anche perchè hai evidenziato che la parola "libertà" ha significati diversi e ciò causa confusione. Essendo il buddhismo "non fatalista" dice che la nostra libertà d'agire è "condizionata" dall'"ambiente esterno". Per esempio non posso scegliere di volare, viaggiare nel tempo o di teletrasportarmi su Andromeda. Però non è neanche vero che siamo "schiavi del fato" (il sistema di Schopenhauer crolla proprio qui: accettando lui il fatalismo di fatto è "impossibile" liberarsi se non si è già "destinati" ad essere liberati - quindi la sua "via d'uscita" in realtà è una mera descrizione - se ti va puoi leggere la discussione https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/siamo-responsabili-delle-nostre-azioni/90/, più precisamente il mio pensiero lo trovi nelle (mie) risposte a pagina 6 e pagina 7...). Però in realtà anche se siamo in questo senso liberi siamo soggetti a sofferenza, "cattiveria" nostra e altrui, avversioni, attaccamenti ecc quindi in realtà questa "libertà condizionata" non ci soddisfa in quanto appunto non siamo veramente "liberi" - ossia non troviamo la "pace" che cerchiamo. Quindi in sostanza il buddhismo ci dice che appunto possiamo avere la (vera) libertà che cerchiamo - l'incondizionato Nibbana - che però otteniamo quando "lasciamo andare", ossia in ultima analisi quando "lasciamo andare" le pretese che nascono dalla nostra "libertà condizionata".

Riguardo alla questione del nichilismo. Sì concordo con te che il buddhismo con testi come quello che hai citato di N(yaponika?) Thera non può essere accusato di nichilismo, anzi. Il problema però è che agli occhi degli occidentali (in particolare, ma non solo) "spogliare" la realtà ultima di tutti i concetti fa in modo che parole come "rifugio, incondizionato" ecc sembrino solo "adornamenti del nulla". Ormai sono completamente convinto (grazie Sari  ;) ) che il Nirvana è una "Realtà trascendente" perchè infatti il "nulla" sarebbe condizionato dal "sentiero buddhista" e non "incondizionato". Però a partire dall'ottocento si è cominciato a virare verso la negazione della trascendenza e di conseguenza anche le religioni e e le filosofie orientali sono state interpretate in questo modo (d'altronde l'equazione Nibbana=Nulla fu forse sostenuta solo nell'antichita dalla scuola buddhista Sautrantika ma ormai ne dubito e credo che sia un'invenzione "moderna" che piace a chi non ammette l'esistenza di realtà "oltre i nostri limiti investigativi"). Schopenhauer invece - bisogna dargli questo merito - fu uno dei pochi a capire che dietro alla "povertà" concettuale in realtà si "nascondeva" una Realtà Ultima.
Il buddhismo più che altro ha un problema logico tra "etica" e "non-sé" (anatta): per esempio se mi convinco che gli "esseri" a livello di realtà ultima "non esistono" potrei cadere nel nichilismo (rischio in realtà condiviso da tutte quelle scuole di pensiero che non ammettono l'esistenza in senso ultimo dell' "individuo", quindi di fatto è un rischio presente anche tra i monisti). Inoltre "rimuovendo" anche la possibilità di identificarsi "col tutto" il buddhismo dà l'impressione - a livello dottrinale - di essere una sorta di "fuga". Però, secondo me, già il fatto che si dia un'importanza così forte a "karuna" e a "metta" (compassione e amore) fa in modo che il buddhismo non sia nichilista né a livello del "nibbana" né a livello dell'etica. Ammetto che anche per me è incomprensibile l'esistenza dell'azione libera senza l'esistenza di qualche "centro" che controlla le azioni. Quindi sull'(in)esistenza dell'individuo "a livello di realtà ultima" ho ancora forti dubbi anche se la "metafisica" (e non solo, anche la "fisica") suggerisce proprio questo.

D'altronde è anche vero che "profondo...è questo Dhamma, difficile da vedere, difficile da realizzare...oltre i limiti della ragione..deve essere sperimentato dal Saggio" (MN 72). "Oltre i limiti della ragione"... Credo che la "fede" nel buddhismo inizi proprio dal capire che è "oltre i limiti della ragione" e dall'accettazione che questi inevitabili dubbi verranno col tempo e (tanta  :-[ ) pratica superati. Quindi la parola "nichilismo" per il buddhismo è completamente fuori luogo avendo esso un'etica della "compassione universale" (compassione rivolta a tutti gli esseri senzienti  ::) ) e una Realtà Ultima (il Nibbana). Di certo però è una dottrina che rischia più di un'altra di essere scambiata per "nichilismo".

P.S. Buona guarigione Sari!
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)