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Buddhismo

Aperto da acquario69, 16 Febbraio 2017, 04:59:05 AM

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Sariputra

#150
@Apeiron scrive:
Se non si rinuncia a scienza e filosofia (che si fondano proprio sul continuo metttere in discussione e voler conoscere cose nuove) è impossibile abbracciare una tradizione rinunciante (in toto). Al massimo si può essere dei "ammiratori e critici" esterni come furono Einstein, Bohm, Schroedinger ecc.  

Sono d'accordo su questo. E' molto difficile per un cultore di scienza e filosofia abbracciare in toto una tradizione rinunciante. Infatti, un pò provocatoriamente, sarei persino portato a scrivere che un maestro come Ajahn Chah era "più buddhista" di un grande filosofo e logico buddhista come Nagarjuna stesso...
Diciamo che un ammaestratori circense di tigri preferisce senz'altro una tigre ignorante per farle fare il salto attraverso il cerchio infuocato, piuttosto che una che disquisisce sull'ostacolo... ;D
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

#151
@Green: non posso definirmi buddhista  ;D  uno che non crede né alle rinascite e ha un'interpretazione eretica del Nirvana non può ahimé essere chiamato buddhista.

Per la rete e i nodi: pensala così. In genere noi pensiamo alla realtà fatta di "cose" che interagiscono, ossia di una rete in cui i "nodi" interagiscono attivamente tra di loro. Il buddhismo suggerisce che i nodi non hanno esistenza intrinseca, ossia sono come il gioco della sabbia di Eraclito (secondo Nietzsche) senza nessun Eone che giochi con sé stesso.

La questione della dicotomia vacuità-niente è una delle maggiori difficoltà del buddhismo (nel senso che è difficile da accettare). Se togli i nodi non rimane nemmeno l'interazione perchè non c'è niente che interagisce (e le interazioni cessano). Però "qualcosa" deve rimanere. E qui avviene ciò che mi fa tormenta. Perchè se rimane "niente" allora si sprofonda nel nichilismo. Se rimane "qualcosa che non è niente" rimane qualcosa, ma dire che rimane qualcosa è dire che rimane qualcosa di sostanziale e questo non si riconcilia con l'anatta come Sariputra ben puntualizza. E ad una mente logica tutto ciò è una sorta di tormento (e siccome i logici sono masochisti spesso si divertono a soffrire per trovare la soluzione di paradossi insolubili  ;D ).

Recentemente alcuni favoriscono l'interpretazione "nichilistica" perchè è "logica": se non rimane niente di sostanziale allora non rimane niente. Storicamente pochi hanno appoggiato una tale interpretazione. E visto che "logicamente" asserire che "qualcosa" è "né esistenza né non-esistenza" non ha senso la cosa un po' mi da un certo "fastidio". Per questo appoggio una interpretazione molto vicina ad una sorta di "monismo" pur sapendo che è in possibile contraddizione con le "scritture" stesse.


P.S.
Comunque non sono solo queste perplessità che non mi fanno abbracciare il buddhismo. Ce ne sono molte. Anzi nessuna religione o filosofia mi soddisfa veramente. Tutte mi sembrano incomplete. E al contempo interessanti. Però l'avere una forte propensione alla spiritualità E alla filosofia che ti porta a essere al contempo interessato alle tradizioni religiose e insoddisfatto con tutte ti porta molto spesso ai limiti della pazienza  ;D

@Sari Personalmente mi ritengo un "mistico logico". Devo dire che è una sorta di sindrome delle identità multiple. La parte mistica è pronta a credere e a rinunciare ad ogni istante. La parte logica invece vuole chiarire tutto, a livelli quasi ossessivi. La cosa interessante è che anche nelle tradizioni stesse ci sono "mistici logici". San Tommaso d'Aquino per esempio era un logico fino a quando disse dopo un'epserienza visionaria che tutto ciò che aveva scritto era "paglia". Wittgenstein è uno dei perfetti esempi di incarnazione di estremo razionalismo ed estremo irrazionalismo - anzi gli piaceva la mistica proprio perchè lo faceva smettere di pensare. Personalmente assomiglio a Wittgenstein, mi riconosco molto nella sua esperienza di vita. Però come nel suo caso la parte logica non ti fa smettere mai finché sei arrivato "veramente a destinazione". Su Nagarjuna posso darti quasi ragione. D'altronde la logica vuole capire, il misticismo vuole "arrendersi". Sono due tendenze opposte e talvolta ti portano veramente a perdere la pazienza   ;D
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

green demetr

Citazione di: Sariputra il 05 Novembre 2017, 20:33:45 PM
Citazione di: Apeiron il 05 Novembre 2017, 19:25:45 PMA me sinceramente la differenza tra le varie tradizioni non mi entusiasma molto se esiste un'unica via per la liberazione. Però posso capire chi invece l'apprezza. Ma non posso condividere. Se la Liberazione è qualcosa di possibile ritengo che siano possibili più vie e che queste possano essere descritte in vario modo. Ad ogni modo vorrei puntualizzare che qui non è la questione di prendere un estremo o l'altro. Nella visione nichilistica non si da alcun valore alla vita. Nella visione non-nichilistica invece si cerca di cambiare "tipo" di esistenza, un'esistenza nuova senza "io" e senza sofferenza. Ma in questa seconda visione si riconosce il valore dell'esistenza comune. In sostanza si vede come un miglioramento. Inoltre una mente matematica non può accettare che qualcosa che "non è esistenza" non sia "esistenza" ;) motivo per cui ho grosse difficolta a capire Ajahn Brahm ;D

E infatti sia il Buddhadhamma che l'Advaita riconoscono un grande valore all'esistenza umana e non solo, lo estendono pure a tutte le creature senzienti, sensibilità che, diciamocelo francamente, non ha certo abbondato in passato ( e nemmeno molto tutt'oggi direi...) nei monoteismi abramitici, con grandi eccezioni come, per esempio, la figura di Francesco d'Assisi...
Sulla questione della matematica direi che sono avvantaggiato , visto che solitamente schiacciavo un pisolino durante le lezioni scolastiche, dovuto al mio totale disinteresse per la materia... :-[...ma se Ajahn Brahm non ha trovato controindicazioni.... ;)
A parte gli scherzi è evidente che queste specie di contraddizioni concettuali servono per accentuare l'importanza data alla pratica meditativa, al fattore esperienziale più che non a quello puramente speculativo...direi che il 'capire' questo passo sia intuibile all'interno della comprensione del paticcasamuppada, almeno per me...


P.S. Il brahman è privo di attributi ma è "sostanziale" e le sue manifestazioni , da Ishvara in giù, prendono la forma e gli attributi degli dèi personali con caratteristiche precise e riconducibili alle forze in cui si manifesta il Brahman...

Mi sembra di capire che dunque la principale differenza sia, a parte quella sociale, quella teoretica sull'essenza dello stato assoluto.

Diciamo che mi torna il rifiuto della cosmologia (microcosmo-macrocosmo) da parte del buddismo per cui si parla non tanto di religione ma come di filosofia.


Mi chiedo Sari che mi pare sei più disponibile ad accettarlo, quali siano le argomentazioni allora alla stessa concettualizzazione del passaggio delle ruote.

Infatti vi è un chiaro disegno di percorso, quindi di innalzamento da un lato individuale ad uno cosmico, che però viene rigettato.

Inoltre dalle tue stesse spiegazioni e mi pare pure sulla wiki, vi sono delle manifestazioni del raggiungimento dello stato di nirvana.

Come può qualcosa che è niente avere una manifestazione di qualcosa?????

D'altronde era lo stesso problema che Herman Hesse trovò nel suo tentativo di conversione al buddismo.

Se tutto è niente perchè vi sono delle scuole che insegnano qualcosa???

In cosa consiste l'elevazione voglio dire, se tutto è niente e indifferenziato???

Inoltre il commentatore dell'xi sec, aveva ragione la questione del dolore, alla luce degli stadi più avanzati è semplicemente un "giochino sociale" (ndr tutta mia).

Se tutto è niente come può esserci attacamento???

Per non parlare del ciclo delle incarnazioni, anche questo indicato nelle obiezioni di Apeiron.

A meno che ripeto giovani uomini è sul concetto di vacuo che dobbiamo interrogarci.

qualcosa che è vacante.

ma se è vacante qualcosa prima c'era.

in questo senso forse è qualcosa che non è, ma che nello stesso tempo è.

In Hegel sarebbe ciò che viene prima di Niente, ossia lo Spirito.

In Hegel il concetto di vacuo esiste. In matematica sarebbe di una potenza zero di x.

ossia zero allo zero fa 1.

Comunque se mi torna nel contesto formalizzato della filosofia, non mi torna nel contesto comunque cosmologico della storia indiana.

Insomma anche secondo me al di là delle formule di "scuola" non mi pare che advaita e buddismo siano così lontani, almeno nelle loro formule più ardite. Tra coincidenza e annullamento.

Ciò che coincide si annulla perciò tu sei quello, ossia non sei più niente che non totalita.

Appunto ma totalità e indifferenza non cambia tanto alla zolfa.

Certo se invece intendono proprio niente, ossia zero in quanto zero, siamo nei guai!

MA COME SARI rotoli  ;D  suvvia diciamo che galleggi sulla superficie della prima ruota!

Altrimenti molta tua saggezza non si capirebbe  ;)  ;)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: Apeiron il 05 Novembre 2017, 21:16:14 PM
@Green: non posso definirmi buddhista  ;D  uno che non crede né alle rinascite e ha un'interpretazione eretica del Nirvana non può ahimé essere chiamato buddhista.

Per la rete e i nodi: pensala così. In genere noi pensiamo alla realtà fatta di "cose" che interagiscono, ossia di una rete in cui i "nodi" interagiscono attivamente tra di loro. Il buddhismo suggerisce che i nodi non hanno esistenza intrinseca, ossia sono come il gioco della sabbia di Eraclito (secondo Nietzsche) senza nessun Eone che giochi con sé stesso.

La questione della dicotomia vacuità-niente è una delle maggiori difficoltà del buddhismo (nel senso che è difficile da accettare). Se togli i nodi non rimane nemmeno l'interazione perchè non c'è niente che interagisce (e le interazioni cessano). Però "qualcosa" deve rimanere. E qui avviene ciò che mi fa tormenta. Perchè se rimane "niente" allora si sprofonda nel nichilismo. Se rimane "qualcosa che non è niente" rimane qualcosa, ma dire che rimane qualcosa è dire che rimane qualcosa di sostanziale e questo non si riconcilia con l'anatta come Sariputra ben puntualizza. E ad una mente logica tutto ciò è una sorta di tormento (e siccome i logici sono masochisti spesso si divertono a soffrire per trovare la soluzione di paradossi insolubili  ;D ).

Recentemente alcuni favoriscono l'interpretazione "nichilistica" perchè è "logica": se non rimane niente di sostanziale allora non rimane niente. Storicamente pochi hanno appoggiato una tale interpretazione. E visto che "logicamente" asserire che "qualcosa" è "né esistenza né non-esistenza" non ha senso la cosa un po' mi da un certo "fastidio". Per questo appoggio una interpretazione molto vicina ad una sorta di "monismo" pur sapendo che è in possibile contraddizione con le "scritture" stesse.


P.S.
Comunque non sono solo queste perplessità che non mi fanno abbracciare il buddhismo. Ce ne sono molte. Anzi nessuna religione o filosofia mi soddisfa veramente. Tutte mi sembrano incomplete. E al contempo interessanti. Però l'avere una forte propensione alla spiritualità E alla filosofia che ti porta a essere al contempo interessato alle tradizioni religiose e insoddisfatto con tutte ti porta molto spesso ai limiti della pazienza  ;D

@Sari Personalmente mi ritengo un "mistico logico". Devo dire che è una sorta di sindrome delle identità multiple. La parte mistica è pronta a credere e a rinunciare ad ogni istante. La parte logica invece vuole chiarire tutto, a livelli quasi ossessivi. La cosa interessante è che anche nelle tradizioni stesse ci sono "mistici logici". San Tommaso d'Aquino per esempio era un logico fino a quando disse dopo un'epserienza visionaria che tutto ciò che aveva scritto era "paglia". Wittgenstein è uno dei perfetti esempi di incarnazione di estremo razionalismo ed estremo irrazionalismo - anzi gli piaceva la mistica proprio perchè lo faceva smettere di pensare. Personalmente assomiglio a Wittgenstein, mi riconosco molto nella sua esperienza di vita. Però come nel suo caso la parte logica non ti fa smettere mai finché sei arrivato "veramente a destinazione". Su Nagarjuna posso darti quasi ragione. D'altronde la logica vuole capire, il misticismo vuole "arrendersi". Sono due tendenze opposte e talvolta ti portano veramente a perdere la pazienza   ;D

A mio parere invece matematicamente dovrebbe risolversi anche abbastanza facilmente.

Certo rimarrebbe un buddismo formale.

Ma possibile che non esista alcun matematico che abbia raggiunto il nirvana, così da potercelo spiegare  ;)

Non parlarmi di frustrazione con le religioni a me.... ;D

Vai avanti tu che mi vien da ridere

Sariputra

@Green e Apeiron
Avete molte aspettative sulle religioni e quindi molte frustrazioni. 
Nessuna aspettativa uguale nessuna frustrazione.
Lasciar andare le aspettative è ottimo. Funziona sempre, anche nell'amore...  ;D
Il problema quindi, riassumendo un pò, è il vuoto o vacuità di esistenza intrinseca. Quella cosa che i buddhisti chiamano sunnata/shunyata.
Ma cosa significa, nel linguaggio del Dhamma, 'vivere nel vuoto' o 'dimorare in sunnata' ?
Nel linguaggio dhammico:
'conoscere' = conoscere il vuoto
'vedere chiaramente' = vedere chiaramente il vuoto
'sperimentare' = sperimentare il vuoto
'vivere nel" = vivere nel vuoto
'essere vuoti' = essere il vuoto stesso
Se pensiamo che 'conoscere il vuoto' significhi averlo preso come un argomento di studio e di discussione siamo fuori strada. Nel linguaggio del Dhamma, 'conoscere' non s'intende l'apprendere attraverso lo studio o l'ascolto. Questo è un apprendimento incompleto anche se ci par di capire. Siamo abituati a pensare che 'conoscenza' e 'comprensione'  si riferiscano al leggere, all'ascoltare, al riflettere, al pensare. E' il lavoro del filosofo, giusto? Beh, per il Buddha sono funzioni inutili alla conoscenza del vuoto. 'Conoscere il vuoto' nel buddhismo indica la consapevolezza del vuoto in una mente realmente vuota. Per essere conosciuto il vuoto deve essere presente.
L'espressione 'essere vuoti' indica l'assenza del senso del sé e di quanto appartiene al sé, quindi la mancanza del senso dll'io/mio che sono ambedue visti come i prodotti dell'attaccamento. Che cosa è vuoto? La mente, semplicemente la mente svuotata dalla sue forme più grossolane e sottili del senso dell'io/mio. La forma grossolana s'intende l'ego empirico, la forma sottile il senso del sé.
Quando la mente è libera anche dalle forme più sottili, dal senso del sé, si dice che è il vuoto stesso.
Il termine 'vuoto' passa poi a indicare la caratteristica fondamentale di tutte le cose. Per il buddhismo la natura di tutte le cose è il vuoto. Con 'tutte le cose' s'intende sia i rupadhamma (oggetti materiali) che i namadhamma (fenomeni mentali): tutto , dal granello di polvere sino al Nirvana...Ogni cosa ha la qualità del vuoto.
Anche il Buddha, il dhamma , i suoi frutti fino al Nirvana hanno questa identica qualità vuota.
Questo 'vuoto' appare come uno spazio di ampia possibilità. Il problema è che noi non lo vediamo. Persino il passerotto che sta svolazzando fuori dalla mia finestra ha in sè la caratteristica del vuoto.
"Il vecchio pino proclama il Dhamma" recita un koan zen. Anche lui esprime questa vacuità, la condivide con noi e con tutte le cose, ma non la vediamo...
Il vuoto non è una cosa negativa. E' solo questa vacuità che permette la vita. Se le cose non fossero vuote ( di esistenza intrinseca, di un sé) tutto sarebbe immobile, morto.
La mente però non vede la realtà così, ma attribuisce a qualsiasi cosa un sè, un'essenza, una distinzione e dà quindi origine all'attaccamento e poi alla sofferenza insita nell'attaccamento stesso.
Per il Buddha, 'conoscendo il vuoto' non si dà origine all'attaccamento e quindi alla sofferenza.  :)
Quindi, un matematico non può spiegare in formule matematiche il Nirvana. ???
La comprensione dell'anatta ( non sè o vacuità ) è veramente ostica tanto da non essere insegnata nemmeno nei paesi di tradizione buddhista, ma riservata ai bhikkhu ( monaci).  Impermanenza e sofferenza sono al confronto molto più semplici. Anatta richiede molta pratica meditativa, retta visione e un'esistenza ormai 'consumata', una certa stanchezza della sete d'esistere... spiritualmente, se fossimo in ambito cristiano, si potrebbe paragonare ad un 'dono'...forse lo è...non tanto la comprensione della vacuità quanto il poter capire o scorgere come , proprio da questo vuoto, possa esistere autentica compassione e saggezza e , in definitiva, una grande bellezza... :)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

green demetr

Citazione di: Sariputra il 05 Novembre 2017, 22:45:07 PM
@Green e Apeiron
Avete molte aspettative sulle religioni e quindi molte frustrazioni.
Nessuna aspettativa uguale nessuna frustrazione.
Lasciar andare le aspettative è ottimo. Funziona sempre, anche nell'amore... ;D
Il problema quindi, riassumendo un pò, è il vuoto o vacuità di esistenza intrinseca. Quella cosa che i buddhisti chiamano sunnata/shunyata.
Ma cosa significa, nel linguaggio del Dhamma, 'vivere nel vuoto' o 'dimorare in sunnata' ?
Nel linguaggio dhammico:
'conoscere' = conoscere il vuoto
'vedere chiaramente' = vedere chiaramente il vuoto
'sperimentare' = sperimentare il vuoto
'vivere nel" = vivere nel vuoto
'essere vuoti' = essere il vuoto stesso
Se pensiamo che 'conoscere il vuoto' significhi averlo preso come un argomento di studio e di discussione siamo fuori strada. Nel linguaggio del Dhamma, 'conoscere' non s'intende l'apprendere attraverso lo studio o l'ascolto. Questo è un apprendimento incompleto anche se ci par di capire. Siamo abituati a pensare che 'conoscenza' e 'comprensione'  si riferiscano al leggere, all'ascoltare, al riflettere, al pensare. E' il lavoro del filosofo, giusto? Beh, per il Buddha sono funzioni inutili alla conoscenza del vuoto. 'Conoscere il vuoto' nel buddhismo indica la consapevolezza del vuoto in una mente realmente vuota. Per essere conosciuto il vuoto deve essere presente.
L'espressione 'essere vuoti' indica l'assenza del senso del sé e di quanto appartiene al sé, quindi la mancanza del senso dll'io/mio che sono ambedue visti come i prodotti dell'attaccamento. Che cosa è vuoto? La mente, semplicemente la mente svuotata dalla sue forme più grossolane e sottili del senso dell'io/mio. La forma grossolana s'intende l'ego empirico, la forma sottile il senso del sé.
Quando la mente è libera anche dalle forme più sottili, dal senso del sé, si dice che è il vuoto stesso.
Il termine 'vuoto' passa poi a indicare la caratteristica fondamentale di tutte le cose. Per il buddhismo la natura di tutte le cose è il vuoto. Con 'tutte le cose' s'intende sia i rupadhamma (oggetti materiali) che i namadhamma (fenomeni mentali): tutto , dal granello di polvere sino al Nirvana...Ogni cosa ha la qualità del vuoto.
Anche il Buddha, il dhamma , i suoi frutti fino al Nirvana hanno questa identica qualità vuota.
Questo 'vuoto' appare come uno spazio di ampia possibilità. Il problema è che noi non lo vediamo. Persino il passerotto che sta svolazzando fuori dalla mia finestra ha in sè la caratteristica del vuoto.
"Il vecchio pino proclama il Dhamma" recita un koan zen. Anche lui esprime questa vacuità, la condivide con noi e con tutte le cose, ma non la vediamo...
Il vuoto non è una cosa negativa. E' solo questa vacuità che permette la vita. Se le cose non fossero vuote ( di esistenza intrinseca, di un sé) tutto sarebbe immobile, morto.
La mente però non vede la realtà così, ma attribuisce a qualsiasi cosa un sè, un'essenza, una distinzione e dà quindi origine all'attaccamento e poi alla sofferenza insita nell'attaccamento stesso.
Per il Buddha, 'conoscendo il vuoto' non si dà origine all'attaccamento e quindi alla sofferenza.  :)
Quindi, un matematico non può spiegare in formule matematiche il Nirvana. ???
La comprensione dell'anatta ( non sè o vacuità ) è veramente ostica tanto da non essere insegnata nemmeno nei paesi di tradizione buddhista, ma riservata ai bhikkhu ( monaci).  Impermanenza e sofferenza sono al confronto molto più semplici. Anatta richiede molta pratica meditativa, retta visione e un'esistenza ormai 'consumata', una certa stanchezza della sete d'esistere... spiritualmente, se fossimo in ambito cristiano, si potrebbe paragonare ad un 'dono'...forse lo è...non tanto la comprensione della vacuità quanto il poter capire o scorgere come , proprio da questo vuoto, possa esistere autentica compassione e saggezza e , in definitiva, una grande bellezza... :)

Poichè qualche gradino l'ho sorpassato. Capisco benissimo che potrebbe essere veramente qualcosa che si prova, e che si ritiene assimilabile al concetto di vuoto.

Sempre nella adolescenza ho provato la meditazione zen.

E ho capito subito che era un buon metodo per arrivare ad alcuni stati meditativi, che però avevo già raggiunto.

Ma nella mia esperienza meditativa non ho proprio mai neppure lontanamente percepito la sensazione di vuoto.

Sensazione del niente sì. senzazione vertigionosa del distacco dell'io sì.

Ma il vuoto proprio mai, ma essendo rimasto proprio al gradino che viene prima della meditazione illuminata, non posso certo escludere questa sensazione.

Certo rimane il problema del fatto che si possa riportare qualcosa come la sensazione di vuoto, quando si sta dicendo che per conoscere è necessario il vuoto.

Che va bene per le prime formulazioni, non faccio fatica a ricordare che era esattamente così.

'conoscere' = conoscere il vuoto   so benissimo cosa vuol dire
'vedere chiaramente' = vedere chiaramente il vuoto  so benissimo cosa sia
'sperimentare' = sperimentare il vuoto   sperimentato e fuggito aggiungo
'vivere nel" = vivere nel vuoto      questo ancora oggi è la mia via

MA


'essere vuoti' = essere il vuoto stesso

ecco questo proprio non mi torna proprio.

dunque non mi torna nemmeno che il pino sia testimonianza del vuoto.


Comincio a capire come mai però gli studiosi di fisica siano così interessati a questa concezione.


La mia era una battuta sul matematico ovvio.

So benissimo che è una pratica più che una conoscenza.

alla prossima!  ;)


Vai avanti tu che mi vien da ridere

Apeiron

@Sariputra, nel mio caso credo che sto continuando a girare attorno al problema (e alla soluzione forse) ormai da anni. Quanto tu dici è affascinante, davvero. Una visione delle cose molto bella che ricorda... il daoismo  :o  mi spiego meglio: se il Vuoto è la "Vita", tutta la danza delle formazioni dell'esistenza condizionata è manifestazione di questa "Vita". Se ci fosse qualcosa di "sostanziale" sarebbe come una "diga" a questo "fiume di vita". La sofferenza come ormai ripetiamo da non so quanti interventi ( ;D )  nasce dal voler aggrapparsi alle forme di questa "danza cosmica". Perchè dicevo che è simile al daoismo? Perchè d'altronde un'azione veramente libera è spontanea come lo scorrere dell'acqua in una cascata. La Vacuità di cui parli mi pare simile alla "spontaneità". Però rimane un altro problema: questo Processo è eterno o meno?  ;D probabilmente il Buddha non avrà voluto rispondere  :-[ O meglio il Nirvana è eterno "e vuoto".  

Altra cosa: perchè nella nostra mente ci formiamo concetti di "eternità", "infinito" e così via se poi non alludono a niente? Anzi sono le cose che paiono dare il senso dell'esistenza umana. Sembrano richiedere che "qualcosa" sia eterno (fai conto che ci sono filosofie che tengono conto dell'esistenza di qualcosa di eterno ma che ritengono che dopo la morte fisica non ci sia nulla, quindi la presenza o meno di qualcosa di eterno non c'entra con la sete di "vivere").  Immagino che anche qui c'è il Nobile Silenzio   :-[

Perchè è iniziato il samsara? Altro Nobile Silenzio  :-[
Forse la cosa frustrante per il filosofo è proprio quella di dover smettere di fare filosofia. La filosofia è come una sorta di "sospetto": vogliamo capire prima di. E questo funziona sempre a parte le cose più importanti. Forse.
Non rimane dunque che smettere, lasciare la scena. Ritirarsi. Eppure una decisione del genere significa terminare l'attività per cui ci si è resi conto che bisogna terminare la stessa. 

Riguardo alle aspettative sulle religioni. Vero ne ho molte: ma i "religiosi" non ne hanno di meno. Sono convinti che la loro religione sia la verità  ;D io la cerco pur sapendo che è fuori dalla mia portata  ;D



Anche i fiumi e le rocce non hanno aspettative. Diventare senza aspettative è come diventare (in un certo senso) fiumi e rocce, esseri inanimati. Un'immagine al tempo stesso nichilistica e piena di libertà. Come il nirvana. Ma cosa significa quel "(in un certo senso)"? Questo è il problema filosofico. Vita spontanea. Ma l'uomo virtuoso è meno spontaneo dell'ubriaco, quindi la spontaneità deve essere "assoluta". Perchè chi cerca la spontaneità più vera è anche il meno spontaneo? L'essere meno spontaneo è quindi "la caduta"? Se sì perchè parlare della spontaneità assoluta? Perchè parlare del vuoto? Perchè fare in modo che la gente lo cerchi se non si può trovare? Perchè parlare in modo contraddittorio? Non è un modo per allontanare la gente dal Nirvana? Perchè parlare di "libertà", far ragionare su concetti di infinito e incondizionato se poi chi ritiene che ci si può aggrappare a qualcosa di incondizionato si allontanano dalla verità? E qui immagino un altro Nobile Silenzio  :-[  ;D (questo è un esempio di girare in tondo)


Bene dai altra nottata di confusione  ;D

Ma Apeiron allora l'obbiettivo della tua vita spirituale è diventare come una roccia o come l'acqua della cascata, come un essere inanimato? "Sì e no, voglio essere libero come una cascata o una roccia." Ma cosa significa "sì e no"? "Beh forse significa... "Taci Apeiron, per favore  >:(  "Mah vorrei ancora dire..." Zitto  >:(  "Ma..."  ;D
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

#157
@Apeiron
Una grande passione porta lontano, nella consapevolezza però che, alla fine, 'non si va da nessuna parte'... :)
E forse il segreto sta proprio nel rinunciare alla volontà di andare in qualche luogo in cui a noi pare che tutto ci apparirà  'giusto' e convincente...
La libertà della roccia e della cascata sta in fondo proprio nell'essere veramente una roccia o una cascata ( ovviamente si tratta di metafore...).
La somma nostra libertà non può, allo stesso modo, stare proprio nell'essere quello che siamo?  
Il problema è che noi forse non vogliamo esserlo, vogliamo essere di più e in questo volere di più...perdiamo anche quello che in fondo già abbiamo...
Se torniamo alla simbologia dell'Eden, la 'caduta' si pone proprio in questa tensione , in questa 'sete' a voler di più. La conoscenza non è forse anche una volontà di 'essere di più' di quel che siamo? Al di là dell'utilità concreta per migliorare la nostra probabilità di sopravvivenza è anche volontà di godere sempre di più, no? Il piacere dato dal conoscere e l'attaccamento che questo comporta. E quindi: "Via, lontano da me! Creatura che non vuoi più essere creatura..."La 'punizione' è l'avidya, l'ignoranza,il velo che copre la reale natura di ciò che siamo.
E l'eterna bramosia, l'insoddisfazione continua...
Si può anche dire che questa insoddisfazione e bramosia siano proprio la nostra natura e andare avanti così, provando in fondo piacere dal nostro attaccamento all'attaccamento, con una 'sana' accettazione dell'inevitabile affanno esistenziale. E' il nostro "fato"...
Ma alcuni si stancano di questo. C'è nostalgia del ritorno all'Eden...l'incommensurabile ritorno alla 'natura di buddha' che è in noi...
Ecco, proprio in questa interiore esigenza, in questo sentire vivere uno spazio illimitato dentro di noi che vedo poi il formarsi di quelli che definiamo concetti di "infinitezza" e di "eternità" e la ricerca, a volte disperata, di scorgerli là fuori, da qualche parte. Proprio perchè in noi vive la nostra natura di buddha che abbraccia l'incondizionato, il trascendente lokuttara abbiamo una matrice che anela all'infinito. In fondo il "nulla a cui aggrapparsi" di cui parla Siddhartha è proprio la presa di coscienza che non possiamo trovare appigli in uno spazio vuoto e illimitato e allora...ci tocca lasciar andare per trovare la 'quiete' in questo silenzio sconfinato....
Il Buddhismo si riduce a questo : lasciar andare , purificare la mente e tornare all'eden ( questa è un'aggiunta poetica personale... :) ).
Qui non c'è la volontà di conoscere del greco , ma bensì la stanchezza di vivere nella sofferenza dell'indiano, la stanchezza data da questi infiniti cicli di nascita e morte...

Comprendo perfettamente la tua ansia di conoscere...ero un pò così anch'io, da giovine...
Adesso, man mano che il tempo passa, trovo soddisfacente persino stare semplicemente con "le quattro capriole di fumo del focolare"...che sia l'inizio della vecchiaia?... :-\


Ho trovato questa  vicenda storica, a proposito dell'università buddhista di Nalanda:


Lo storico persiano e musulmano, Abu Umar Minhaz, nella sua opera Tabaquat-I-Nasiri, riferisce che furono migliaia i monaci bruciati vivi o decapitati da Muhammad Khalji che in questo modo voleva sradicare definitivamente il Buddhismo dall'India. L'incendio della ricchissima biblioteca di Nalanda durò, secondo Minhaz che fu contemporaneo agli avvenimenti, per mesi e la combustione delle migliaia di manoscritti provocò per giorni il permanere di una coltre scura sotto le colline.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

@Sariputra, Grazie per le parole  ;)  in sostanza riconosco il paradosso della ricerca della conoscenza, tuttavia l'unico modo per cui la "brama" dell'infinito può spegnersi è quella di "avere la certezza" che ci sia qualcosa di "infinito"/"eterno"/"illimitato". Motivo per cui una volta che si ha "quella certezza" il fuoco si spegne. E a differenza di quanto viene affermato da chi è convinto del "positive thinking", la libertà non sta nell'affermazione ma nella dissoluzione. Tuttavia... la "dissoluzione" ha un duplice aspetto, uno perverso e uno "sperato". Quello perverso è quello nichilistico e sinceramente a me fa rabbrividire il fatto che molti sono "contenti" del nichilismo. L'altro "sperato" invece è l'"Eterno Riposo" - che può essere per certi versi pensato come lo scorrere di un fiume senza impedimenti ("il rivo stramazzato" di Montale - se si pensa che l'incondizionato non ci sia secondo me è dare la vittoria proprio a ciò che causa i problemi).

Per quanto riguarda la libertà degli esseri inanimati... ecco essi sono il perfetto esempio di "libertà"  ;D Questi processi semplicemente "avvengono", non hanno alcuna preoccupazione. Tuttavia l'avere una coscienza implica la "caduta": si forma il senso dell'io e del mio e quindi ciò che "ci va bene" e ciò che "non ci va bene" - ossia le preferenze, gli obbiettivi, gli scopi. La grande intuizione che ho trovato nell'oriente è proprio questa e l'ho trovata in ogni filosofia buddhista, advaita (e simili) e daoista. Mi sembra che il loro obbiettivo sia quindi una sorta di "vita spontanea" proprio come le rocce e i fiumi. La libertà piena (veramente è una metafora che mi piace molto. Anzi dopotutto è molto più che una metafora)  ;D come non vedere la libertà nella formazione delle nuvole, dei temporali, dei cicloni, delle eruzioni vulcaniche, delle rivoluzioni dei pianeti ecc. Come non vedere la bellezza di questa armonia silenziosa? Come non vedere dunque questa attività "rilassata", libera e innocente? Come non osservare in contemplazione questo silenzioso gioco cosmico? Le nebulose non si sforzano ad essere tali, i pianeti non si sforzano a seguire la loro armonia e le galassie non si sforzano nel loro moto attorno al centro dell'ammasso galattico. Tutto va, libero e innocente. Tutto "al di là del bene e del male". Solo chi parla, chi teorizza "vuole" afferrare qualcosa e per questo comincia a combattere, cerca di afferrare ecc. 



La grande "caduta" perciò è davvero quella di non riuscire a "stare al proprio posto". Così l'uomo, il più complesso degli animali, quando non è più capace di stare nella sua armonia silenziosa finisce per averne nostalgia. Non rimane che l'io nel suo isolamento. "Infinito", "eterno" ecc concetti inventati dal ricordo di quella libertà "assoluta". Assolta ossia incondizionata. Perchè possiamo esseri liberi dalle faccende quotidiane, possiamo essere liberi di fare questo e quello, ma sono tutte libertà relative e non "incondizionate". Così l'uomo comincia a ricercare questo "assoluto". Lo cerca e non lo trova. Si rende conto che non lo troverà mai. Si dispera. Legge i "saggi" e vede come tutti questi dicono "smetti". Però vede una cosa: questo smetti potrebbe essere una resa che non sottointende alcuna vittoria, la resa del nichilista colui che preferisce l'eterno nulla all'"eterno riposo" e al "movimento rilassato" dei pianeti e delle galassie. Vede gente dire che la vita è dolore e dunque bisogna "estinguerla" - rabbrividisce a sentire questo. No "sunyata" non è questo, nirvana non è questo. Vuole però "esserne sicuro": studia e studia. E finisce per rendersi conto che "tutto è paglia"  ;D  poi se lo dimentica e la ricerca riparte perchè dopo aver abbandonato la ricerca non ha trovato alcun "di più" e quindi ricomincia. E rifinisce. E ricomincia  ;D  Che il "filosofo spirituale" sia una sorta di mentecatto? D'altronde perchè farsi tutti questi problemi se si è già Buddha?  ;D



Forse proprio perchè è proprio quando si è al culmine dell'impegno - ossia al culmine dell'allontanamento - che "scatta" il "ritorno". Ecco questo è il significato di una pratica atta a "dominare la mente", tutto questo controllo che si esercita sulle nostre pulsioni serve a rendersi conto che "il controllo è illusione"? Però chi agisce spontaneamente sembra proprio essere chi è il "peggiore", chi non si fa scrupoli ecc. Quindi perchè avviene ciò? Chi segue ciecamente gli istinti d'altronde non agisce in modo spontaneo? E dunque il Dubbio torna da queste osservazioni empiriche.



Quella che è sparita forse è la "fede". D'altronde come non leggere anche nella "fiducia nella Provvidenza" delle religioni devozionali l'abbandono dell'io? Forse. Come non leggere saggezza e libertà nella contentezza di stare vicino al focolare? Ma d'altronde se uno ha completamente abbandonato l'interesse per sé è contento con... "niente"  :o  

Perchè crucciarsi con la differenziazione tra "vuoto" e "non-esistenza" se poi chi ha completamente abbandonato tutto è contento con "niente"?  ;D D'altronde il nichilista dice: ebbene se è senza desideri uno può ben essere contento con la prospettiva della "non-esistenza" e il tuo crucciarti nella distinzione tra "vuoto" e "non-esistenza" è un altro modo per allontanarti da ciò che cerchi! Cosa è tutto questo discorso sul "valorizzare" la vita e l'eternità se non una "sete inestinguibile" da "condannare"/rinunciare? Il Risvegliato non avendo brame sarebbe ben contento anche nel nulla. Questa è la Libertà. Eppure... Non è forse questo uno dei Mistero dell'Esistenza? Voler di meno significa essere più liberi. Voler niente significa la libertà assoluta che accomuna il Risvelgiato alla roccia e al fiume. Eppure i non-risvegliati nel loro profondo cercano la Vita (la beata "vacuità"?) e non la "non-esistenza". Forse che i non-risvegliati hanno un po' di saggezza dietro al velo delle illusioni?  



Questa è la Grande Confusione. La vita a quanto pare è un lunghissimo koan. (Per @Green il koan del pino credo che sia chiaro alla luce di tutto questo).



Riguardo all'antica università è un interessante esempio di sincretismo antico. Cosa che fa molto riflettere anche sulla risoluzione di questo enigma  ;D
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

@Apeiron scrive:
Tuttavia... la "dissoluzione" ha un duplice aspetto, uno perverso e uno "sperato". Quello perverso è quello nichilistico e sinceramente a me fa rabbrividire il fatto che molti sono "contenti" del nichilismo. L'altro "sperato" invece è l'"Eterno Riposo" - che può essere per certi versi pensato come lo scorrere di un fiume senza impedimenti ("il rivo stramazzato" di Montale - se si pensa che l'incondizionato non ci sia secondo me è dare la vittoria proprio a ciò che causa i problemi).

L'insegnamente sulla vacuità è molto pericoloso perché, se mal compreso, può indurre proprio a quello che paventi. L'anatta non era molto sottolineato nel primo buddhismo perché si era probabilmente consapevoli di questo rischio ed io condivido questa impostazione. Nagarjuna lo mette al centro del suo "secondo giro" della ruota del Dhamma, se così si può dire, accentuandone l'aspetto onnipervasivo che era in effetti già presente nei sutta del Canone, ma che le prime scuole non sottolineavano. La critica di Nagarjuna nelle Madhyamikakarika è rivolta, più che al Samkhya e ai sistemi basati sulle Upanishad, proprio alle scuole buddhiste, in particolare Sarvastivada, che ritenevano che ad alcuni concetti  espressi dal Buddha corrispondevano delle realtà sostanziali. E' andato Nagarjuna addirittura al di là dell'intenzione del Maestro? Io non lo penso, ma ho sempre visto questa concezione del vuoto nella sua possibile ambivalenza.  E' relativamente semplice spiegare la vacuità dell'ego, ma altra cosa è parlare di vacuità del sé, della coscienza/vinnana stessa e addirittura del Nibbana...
Per questo la vacuità deve essere il traguardo del cammino e non la partenza. Solo alla fine del sentiero di pratica del Dhamma si può cominciare a comprendere e intuire cosa intendeva Siddhartha con questo concetto.
Se non compreso  o peggio, preso alla 'lettera', ti può far sprofondare interiormente nell'apatia, nel materialismo o nel più bieco nichilismo.
Questo perché il vuoto necessita di essere visto da panna/prajna. In assenza di prajna la comprensione è disastrosa e non porta che disastri...
E qui...

Però chi agisce spontaneamente sembra proprio essere chi è il "peggiore", chi non si fa scrupoli ecc. Quindi perchè avviene ciò? Chi segue ciecamente gli istinti d'altronde non agisce in modo spontaneo? E dunque il Dubbio torna da queste osservazioni empiriche.

Quelli che all'apparenza sembrano agire spontaneamente in realtà vediamo solo agire in essi la brama, l'odio e l'illusione. Essi appaiono come burattini i cui fili sono abilmente tirati dalle tre robuste radici di ogni male.
Hanno un bel dire:"Ma io sono spontaneo", la loro voce è la voce dell'io/mio. Per conoscere il vuoto, il buddhismo insiste nella necessità di abbandonare ogni forma di illusione. Solo così ci si apre ad un'autentica spontaneità e naturalezza. Solo quando vede il dao il saggio può cavalcare il drago nel cielo o nuotare negli abissi, metafora immaginifica della vera libertà...

Che il "filosofo spirituale" sia una sorta di mentecatto? D'altronde perchè farsi tutti questi problemi se si è già Buddha?   

Huang Po rimproverava ai discepoli di essere come colui che, avendo un diamante in fronte, percorre il mondo intero alla sua ricerca. E, se non basta il mondo, si cerca nei cieli, negli inferni e nei "mondi di Brahma". 
Non ci basta il mondo umano, dobbiamo frugarne altri... :(

Quella che è sparita forse è la "fede". D'altronde come non leggere anche nella "fiducia nella Provvidenza" delle religioni devozionali l'abbandono dell'io? Forse. Come non leggere saggezza e libertà nella contentezza di stare vicino al focolare? Ma d'altronde se uno ha completamente abbandonato l'interesse per sé è contento con... "niente" 

E infatti una vera fede , matura se così si può dire, implica l'abbandonarsi. Come un bimbo  si affida con fiducia ai genitori, anche se non capisce, ha timore, è inquieto...ma sa che il genitore è con lui e che "tutto andrà bene alla fine", qualunque cosa accada. Così , abbandonando l'io/mio con tutte le sue paure, dubbi e inquietudini ( e tanta ansia di ottenere...) "tutto andrà bene"...  :)

Bellissimo scritto giovane Apeiron, pieno di pathos. Molto sentito...

P.S. Appena potrò riporterò una descrizione dei "quattro stati sublimi" fatta da Nyanaponika Mahathera per far comprendere ai nostri quattro lettori quanto 'positivo' sia il Dhamma buddhista. ;)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

Grazie  Sari ;)  Ancora non vedo però nessuna ragione per preferire "anatta/sunyata" a concetti come "Dao", "Brahman" ecc - se non la "fede" nell'infallibilità del Buddha. Quello che segue è un commento, so benissimo che "anatta" nel Canone Pali non si deve interpretare come segue. Mi metto dal punto di vista di un "monista" (il fan del buddhismo theravada lo consideri un esercizio intellettuale utile a togliere interpretazioni sbagliate)...
,
Ad ogni modo vorrei a questo punto virare il discorso sulla relazione Buddha-"monismo" - se vogliamo è una critica all'anatta (ti prego di portar pazienza  ;D ). Uno dei motivi per cui l'anatta può causare l'apatia potrebbe proprio ricercarsi nel rifiuto di una sorta di "monismo". Per esempio una semplicissima analisi naturalistica suggerisce che l'uomo e gli animali sono imparentati. Motivo per cui già questo dovrebbe suggerire che anche gli animali debbano essere trattati con rispetto. Un monista direbbe: tu non sei diverso da quello, quindi rispettalo. Ergo "metta" e "karuna" (ossia la compassione) in un monismo sono ovvietà, così come la Regola d'Oro. Se poi guardiamo alla fisica vediamo che i pianeti si attraggono, le galassie si attraggono e così via. Nulla è "isolato". L'universo, la natura è vista come una "rete". Questo tipo di visione rafforza ancora di più "metta" e "karuna" perchè da un lato fa comprendere che si è parte di qualcosa di più grande; dall'altro lato può ad esempio suggerire la metafora della libertà delle rocce e dei fiumi, ossia della spontaneità. Tutto questo crea un senso d'appartenenza molto profondo, un senso di vicinanza perfino con gli oggetti inanimati. Non a caso sono nate le dottrine dell'Anima Mundi, del Dao, Brahman ecc e in tutte queste per lo meno il rispetto delle creature è molto enfatizzato.
(In realtà anche nelle religioni devozionali la compassione può essere rafforzata dall'idea che "Dio ama" ma visto che il buddhismo esclude categoricamente l'esistenza di un Dio Personale Creatore, non ne voglio parlare qui)
Il problema è che l'Ego, ossia la tendenza a "pensare solo a sé" con questo tipo di filosofie cala, proprio perchè si ha questo aumentato senso di appartenenza. Ma allo stesso tempo non si può dire che il "sé" è abbandonato bensì ridefinito e il senso di identità è anche un senso di appartenenza - si ama il mondo.  Apparentemente l'identità si rafforza e non a caso questo tipo di filosofie è molto consistente nell'arrivare a dire "sii uno con l'Infinito".
Ma poi arriva il Buddha e dice: "tutto questo è falso". Brahman non esiste, Dao non esiste, Anima Mundi non esiste ecc, tutte queste filosofie sono "erronee" perchè si basano sulla sete dell'esistenza. In realtà qualsiasi "forma di vita" prima o poi deve seguire la ferrea legge dell'impermanenza. Quindi l'uomo deve rinunciare a tutto, avere "nibidda", abbandonare tutto e lasciare andare tutto. Solo così si estingue  :o Sono convinto che "anatta" non sia il nichilismo per ragioni che non posso comprendere ma qui a mio giudizio c'è un grosso problema. Mentre infatti nelle altre filosofie la "dissoluzione" può essere vista sia come un'affermazione che una negazione dell'Io nel buddhismo (specie del Canone Pali, ancor più di quello Mahayana - quindi dissento con l'affermare che Nagarjuna ha fatto la mossa "pericolosa") è enfatizzata solo la negazione e la mira a salvarsi, il che sinceramente mi sorprende. Con un approccio simile l'interpretazione nichilistica e perversa è facile da sostenere anche utilizzando i discorsi del Buddha. Il Risvegliato non ha più alcun desiderio, non ha più "sete dell'esistenza" (e come potrebbe averne visto che tutto è destinato a morire?). Siccome niente è "permanente" e non c'è nemmeno il "contentino" del "credere" a Brahman (o Dao ecc), l'esistenza è vista come una prigione da cui liberarsi il prima possibile - per cui bisogna salvarsi (visto che una "salvezza" collettiva è impossibile). "Metta" e "Karuna" non hanno valore intrinseco, bensì "strumentale"- quello che conta è prajna, ossia appunto la conoscenza, lo squarcio del "velo di Maya". Un "monista" invece pur in un certo senso essere riuscito a "trascendere" interpreta la cosa in modo diverso: "non è l'esistenza - nemmeno la "mia" esistenza - il problema - il problema è come "uso" questo mio io. Non è tanto pensare all'esistenza del mio "io" il problema. Infatti essendo io una "manifestazione" della Vita, come gli altri esseri, con determinate caratteristiche ho capito che il mio egoismo è un problema - per quanto riguarda la "sete dell'esistenza": io non ho sete individuale, visto che sono una semplice manifestazione della Vita". Perchè credere in Brahman, il Dao, l'Anima Mundi dovrebbe far persistere l'ignoranza, l'odio e la brama, quando in realtà si ben comprende la limitatezza della propria vita e si sa che ad esempio questo: quando muoio, i "resti" contribuiranno a formare altra vita, così come io sono stato "formato" dalla "morte" di altre forme e così via. Invece leggo che se io non credo all'insostanzialità di "tutto" (perchè?) perpetuerò la "mia" esistenza. Il problema che vedo io è il seguente: può andar bene ritenere esatto l'insegnamento per sé stessi ("io" così come sono non sono eterno e devo accettare la mia limitazione) ma perchè non pensare che la Vita, di cui io sono una temporanea (e spazialmente limitata) espressione, sia eterna? Che male fa se non accentuare "metta" e "karuna"? Perchè fissarsi con la questione dell'anatta applicandola a tutto l'universo - nirvana compreso, negando ogni tipo di "idea di Dio"?

E qui sinceramente vedo una grossa differenza tra Mahayana e Theravada e preferisco di gran lunga i Mahayana. Infatti mentre nel Theravada c'è solo l'enfasi del "vuoto", i mahayana  parlano di "Natura di Buddha" accanto al "vuoto". Mi piace particolarmente lo Hua-yan (in italiano "ornamento fiorito") e il Chan/Zen perchè la Natura di Buddha è "ovunque", ogni cosa ha valore e la Vita è vlorizzata al massimo (Dogen: "l'impermanenza è la Natura di Buddha" - ma allora che differenza c'è con Anima Mundi, Dao, Brahman? Dire "il Cambiamento è la Natura di Buddha"....). Solo con questa enfasi posso capire il Metta Sutta del Canone Pali. Ma questa "enfasi" che ti fa vedere il Buddha anche nei granelli di sabbia è quasi un punto di vista opposto a quello "negazionista" del Canone Pali stesso. Ma più che "eliminare" il sé, questa dissoluzione dell'Ego, questo riconoscere che perfino le "cose" hanno valore mi pare una sorta di "affermazione" del Sé, della Vita ecc. Affermazione che posso trovare ben esplicita in molti pensatori Mahayana e in particolar modo del buddhismo cinese (quello tibetano in realtà lo conosco molto poco...). Quando i Theravada criticano le varie idee di Dio come dovute alla "sete dell'esistenza" o a false consolazioni per restare "pigri" nella pratica spirituale (perchè un "Altro" pulisce il mio karma) mi sembra che siano molto superficiali (lo stesso Nyanaponika Thera credo che abbia totalmente sbagliato a "capire" il vero significato dell' "idea di Dio", anche quella del Dio Biblico - le sue analisi delle altre religioni mi sembrano - e mi spiace molto dirlo - molto superficiali - almeno da ciò che si legge qui https://en.wikiquote.org/wiki/Nyanaponika_Thera  - questo ovviamente non toglie la grandezza dello stesso come maestro spirituale  ;)  non voglio essere offensivo). Ecco mentre lo Zen/Chan e in genere il buddhismo dell'Asia Orientale (cinese, giapponese, vietnamita come il contemporaneo Thích Nhất Hạnh ecc) è abbastanza esplicito nel vedere la vacuità in entrambi i suoi aspetti di "vacuità" e di "assoluto/Natura di Buddha": così infatti come i "monisti" vedo il "Valore" affermato in tutto (dire che ogni cosa è un'espressione della Vita conferisce Valore ad essa).
Affermazione che sono sicuro essere presente anche nel Canone Pali e nella scuola Theravada ma la dottrina del "vuoto" rischia veramente di trasformare il buddhismo in una sorta di nichilismo. Specialmente quando vedo che la prima cosa che viene detta agli occidentali è "ogni cosa è senza un sé". 

P.S. Questo non vuole essere un attacco alla tradizione Theravada o al Canone Pali, che ritengo tra le massime "meraviglie" presenti su questo sofferente e ferito mondo. Ma vuole essere un'obiezione all'importanza eccessiva data all'insegnamento del non-sé. I Mahayana devo dire che con i loro "assolutismi" hanno capito il problema.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

#161
@Apeiron,
ci sono evidenti differenze tra la tradizione dei Thera e quelle, perché anche queste sono diverse fra loro, delle correnti mahayaniche. Ma sono ambedue autentico buddhismo, pur con l'accentuare e dare la preminenza ad un aspetto piuttosto che ad un altro. Soprattutto se consideriamo che i testi del Mahayana sono molto posteriori al Canone Pali e per lo più sorti all'interno di culture molto diverse da quella hindu di vari secoli prima di Cristo. Tanta acqua è passata sotto i ponti dagli anonimi autori del Canone a un Dogen (800/1.000anni circa? Non si sa di preciso...).
Se pensiamo solo alla grande differenza che troviamo tra i quattro evangeli che pur sono stati scritti più o meno nello stesso periodo storico e nello stesso brodo culturale, con differenze evidentissime di accentuazione di aspetti diversi, possiamo essere 'benevoli' anche con gli autori dei sutra buddhisti.  Basti pensare che nel Vangelo di Giovanni non è riportata nemmeno l'istituzione dell'Eucarestia, per capire che, se venisse valutato da un non esperto di Nuovo Testamento, sarebbe quasi tentato di dire che ci troviamo di fronte  quasi a due religioni con una base comune ma diverse. In realtà non è così...
Sono convinto che questi oscuri bhikkhu estensori del Canone non fossero meno 'illuminati' dei loro successori mahayanici . Entrambi indicano la stessa esperienza , con parole molto diverse e con più o meno afflato poetico ( anche questo ha la sua importanza...) o sottolineatura di un aspetto della pratica piuttosto che un altro, ma il buddhismo ha bisogno di superare queste apparenti differenze (e in parte lo sta facendo...). E' un 'lavoro' che spetta, dal mio punto di vista, al buddhismo contemporaneo ,  il trovare parole nuove per esprimere il Dhamma senza snaturarlo o alterarne il significato... In questo noi occidentali possiamo essere più 'freschi' degli orientali, che subiscono anche l'influsso delle loro tradizioni culturali secolari, per arrivare ad un linguaggio dhammico realmente universale...
Nyanaponika è stato un grande maestro, non ho capito benissimo cosa c'era scritto sulla pagina Wiki ( il mio inglese è pessimo...), ma è stato fondamentale, essendo tedesco di nascita e profondo conoscitore della filosofia tedesca in particolare, per dare una prima corretta spiegazione di molti punti che ancora risultavano 'ambigui' per noi...E' sicuramente uno che pone in attenzione il carattere non teistico del Dhamma, forse più di altri proprio per la sua formazione filosofica occidentale...ma a me interessano le sue spiegazioni sul Dhamma più che le sue più o meno approfondite conclusioni sulle varie religioni...è chiaro che per conoscere meglio il cristianesimo magari è preferibile leggersi Agostino... :)
Spesso hai citato Wittgenstein e penso che lo apprezzi...beh! Proprio W. mi sembra metta in guardia dalle 'insidie' del linguaggio...
Ognuno di noi ha una 'musica' che preferisce. Se il linguaggio che pare accentuare l'aspetto 'positivo', come si presenta nel Mahayana e in genere in tutte le opere chan e zen, influenzate profondamente dalla letteratura profondissima e dalla poetica daoista, ti è più consono trovo giusto che segui questa ispirazione...
Dal canto mio spero che apprezzi lo sforzo di trovare e presentare con un linguaggio mio, personale si può dire, questa antica tradizione spirituale... :-[

P.S: Se ti piace in particolare lo Hwa Yen ti consiglio la lettura del testo "La dottrina buddhista della Totalità- filosofia del Buddhismo Hwa Yen" di Garma C.C. Chang - Ubaldini Editore ( ovviamente se non l'hai già letto e se è possibile trovarlo...) :)
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Apeiron

Anzitutto grazie!
Lasciami però precisare che non volevo "accusare" il buddhismo Theravada o rinnegare il valore di Nyanaponika (motivo per cui ho cercato di precisarlo)  ;)  Riguardo a quest'ultimo volevo dire che lì quello che ha scritto secondo me è una lettura superficiale (prima ha precisato che nessuna concezione di Dio va bene per i buddhisti, poi ha affermato che le altre religioni sono visioni "dannose". Cosa che a mio giudizio è sbagliata anche dal punto di vista del buddhismo stesso).

Riguardo alla scuola Theravada e il Canone Pali. Si può interpretare la continua esortazione a "trascendere" in modo molto positivo, ossia nell'affermazione che ogni nostro concetto che ci facciamo sulla realtà non riuscirà mai a catturarla completamente. Si può poi affermare che tutte le dottrine "positive" in realtà sono presenti anche nel Canone Pali - per esempio anche la dottrina per la quale "ogni cosa è priva di un sé" può essere letta quasi in modo opposto - ossia che tutto ha valore. Quello che mi spaventa però è appunto che le sutra mahayana e la letteratura chan/zen è nata molto tardi e come ben fai notare tu citando il Nuovo Testamento ciò può significare che è più probabile che queste non siano più "buddhismo vero". Lo stesso vale per Dogen. D'altronde il continuo richiamo alla spontaneità ha un sapore molto più "cinese" che "indiano" (o "nepalese" visto che Buddha è nato là  ;D ). Tuttavia lo stesso buddhismo Theravada ci tiene a precisare che le interpretazioni nichilistiche sono errate. Oltre a questo poi come non si può descrivere se non come "spontanea" e "libera" l'azione di un uomo con una mente priva di attaccamento e avversione?  ;)  Tuttavia quello che volevo dire è che troppo spesso vedo associata l'idea "metafisica-sete dell'esistenza". Nell'antica Grecia gli dei erano immortali, gli uomini invece no (e alla morte o non c'era alcun aldilà oppure c'era l'Ade, un posto non molto bello, dicamo  ;D  lo stesso Epicuro dice che ci sono gli dei ma gli uomini sono mortali e non vi è aldilà. Gli stoici pur affermando l'esistenza di una "Anima Mundi" non credevano nell'esistenza di un'aldilà ;) ). Motivo per cui non ha senso secondo me la critica a ogni concezione di Dio se è motivata dall'assunzione (sbagliata) "Dio (o qualcosa di permanente)=sete di esistenza (personale)". 


Chiedo ancora perdono se ho ecceduto con le critiche. Purtroppo a proposito delle ambiguità del linguaggio l'equivoco è facile da creare  :-[  anzi a volte si critica in modo pesante proprio ciò che si apprezza di più  ;D
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Sariputra

#163
@Apeiron
Spesso nei vari commentari buddhisti, quando ci si riferisce al concetto di Dio, si trova l'espressione "estremo positivo della metafisica". Questo lo pone all'opposto dell'"estremo negativo del nichilismo".
E' importante capire che il Buddhismo non ritiene dannoso in senso kammico la fede in un Dio ( e qui penso che ci si rivolga all'idea di Dio come intesa nella concezione vedica e upanishadica, piuttosto che greca o cristiana...), ma solo come un impedimento alla piena realizzazione del Nibbana. Viceversa il nichilismo è ritenuto dannoso sia a livello kammico che come impedimento enorme alla realizzazione stessa.  Spesso , in vari incontri a cui ho partecipato, sono presenti molti cristiani e devo dire che non si pone mai un contrasto netto ( anche perché non si arriva certo a discutere di sunnata... ;) ) in quanto , ad un livello per così dire "basico", la riflessione su anicca e su dukkha (impermanenza e sofferenza), trova profonde risonanze anche nell'interiorità del credente in Cristo. Si potrebbe quasi parlare di una forma di saggezza così naturale e condivisa che appare difficile porre significative obiezioni ( basta prendere in mano un testo biblico come il Qoelet per capire che in fondo si parla della comune esperienza di vita...). La meditazione in sé poi non va ad 'urtare' contro l'eventuale fede in un Dio. essendo fondamentalmente forgiata su tecniche yoga che nascevano proprio come strumento per l'unione con l'Assoluto/Brahman. Chiaro poi che, a livelli meditativi profondi le strade divergono ( soprattutto al momento del 'riemergere' in cui si va ad interpretare e dare un significato all'esperienza diretta stessa formulandolo in un linguaggio...).
Ritengo che Nyanaponika, per esempio, ritenga "dannosa" la fede in un Dio come forma di impedimento alla possibilità di 'lasciar andare' ogni forma concettuale. Un buddhista tende a considerare sullo stesso piano ogni forma concettuale di trascendenza e invita al 'superamento' dell'attaccamento al concetto; attaccamento che può diventare un ostacolo importante sulla via della Cessazione (della sofferenza). Quindi non è un giudizio etico sulla fede, ma eminentemente un giudizio pratico, da buon insegnante di Dhamma che deve indicare la Via per...
E infatti, se parliamo di piano etico, metta e karuna sono base della pratica corretta stessa e in questo non c'è divisione con l'approccio teistico. Tu dici che il buddhismo li intende solo come strumenti...per me invece non sono solo il mezzo necessario e imprescindibile per una retta visione, ma li ritroviamo anche nel fine, in quanto la mente 'illuminata' , che dimora nella Cessazione, dimora anche in metta e karuna, il suo agire stesso diventa autentico metta e karuna. La qualità di una mente che sperimenta Nibbana, sperimenta metta e karuna, oltre che prajna (saggezza).
L'enfasi sulle definizioni date in senso negativo ha un preciso scopo e lo dice proprio il Nyanaponika Thera:

I modi di espressione negativa hanno un altro importante vantaggio. Le affermazioni come quella che definisce il Nibbana "la distruzione del desiderio, dell'odio e dell'illusione" indicano la direzione da prendersi, e quel che si deve fare per realizzare davvero il Nibbana. Ed è questo ciò che più conta. Queste parole circa la sconfitta del desiderio, dell'odio e dell'illusione propongono un compito chiaro e convincente, che può essere intrapreso immediatamente. Inoltre, non solo indicano una via che è in sé valida e praticabile, ma parlano anche della meta elevata che può essere parimenti sperimentata immediatamente, e non solo in un ignoto futuro. Perché è stato detto:

"Se il desiderio, l'odio e l'illusione sono stati completamente distrutti, allora si può vedere il Nibbana qui e ora, senza indugi, disponibile alla verifica e direttamente sperimentabile dal saggio."
Anguttara Nikaya, 3:55
(tratto da "La Visione del Dhamma" di Nyanaponika Thera)

Ricordiamoci che questi sono malettamente pragmatici ( i thera intendo...) e "freddi" nel trattare in maniera imparziale ogni concetto, anche i più elevati come quelli di Dio stesso. Sono pre-cristiani  e avulsi da ogni diatriba e contrapposizione violenta ( che respiriamo e viviamo anche noi, basta solo leggere qualcosa su questo forum... ;)  )come si è sviluppata in Occidente... ;)

P.S. Se osserviamo le espressioni artistiche e soprattutto le statue raffiguranti il Buddha realizzate in India e nel sud-est asiatico, quindi nei paesi a prevalenza di Buddhismo Theravada, vediamo che sono tutte caratterizzate dal famoso sorriso. A differenza di molte immagini vajrayane tibetane per esempio...è un particolare curioso che mi ha fatto spesso riflettere: una dottrina che appare fredda e austera, quasi aristocratica e poi un sorriso! E' molto interessante e invita a guardare oltre il linguaggio usato...
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Apeiron

#164
Già è interessante vedere l'austerità dei Thera e vederli al contempo sorridenti (sia le persone "esistenti" sia le iconografie).

Tornando al discorso dell'esistenza di un Assoluto... il motivo per cui posso pensare che il "credere" in un Assoluto può ostacolare il Nibbana è come ben dici tu il fatto che non "lasci andare" i concetti. Quindi più che negare le filosofie "simil-monistiche" (veramente non so come chiamarle  ;D ), quello che si nega è la loro "utilità". D'altronde se io "penso" a Brahman mi vedo ancora "distinto" da esso, se dico "io sono uno con Brahman" è come se dicendolo non resto più "unito" a Brahman (questo se vogliamo è il paradosso del monismo). Motivo per cui "nirguna Brahman" è ineffabile:  se ne parli automaticamente non sei "dissolto". Pensiamo al discorso della spontaneità. Abbiamo noi esseri non spontanei e pieni di dukkha un'idea di spontaneità, però per essere veramente spontanei dobbiamo lasciare andare anche quell'ultima idea (d'altronde i fiumi e le rocce pur essendo "reali" sicuramente non "dividono" la realtà in concetti e nemmeno pensano "io sono uno con la Realtà"). Qui appunto vorrei far notare come le tradizioni "monistiche" sono concordi con il buddhismo su questo punto: ossia che uno non può essere "cosciente" di essere "uno" con l'Assoluto. Se lo fosse allora non sarebbe più "uno" con l'Assoluto.

Utilizzando un dialogo zen (non mi viene in mente la fonte):
"come posso accordarmi alla Via?"
"se provi ad accordarti ti allontani!"
Le tradizioni monistiche e il buddhismo sono in realtà d'accordo su questo punto: la conoscenza "vera" della "Realtà" trascende i concetti. E non appena provi a parlarne in realtà non riesci a comunicarla (in modo più banale: non riesco a comunicare il gusto del gelato  ;D ). Infatti se le mie azioni sono spontanee mi "dimentico" di fatto sia di me stesso che della realtà, sia dell'io e che del non-io. Così dunque si può vedere come la "Realtà" e il "Nulla" in realtà si assomigliano: in ambo i casi "io" e "non-io" "non ci sono". E qui c'è il "problema" del Cambiamento. Se una "realtà" sostanziale cambia non rimane più sé stessa e il "nulla" non può cambiare. Ergo non rimane che questo: la Realtà è "senza identità" perchè è dinamica - la Realtà è il Divenire. Ma il "divenire" non può essere né concepito come "io" né come "non-io", perchè siccome "è dinamico" non può avere nulla di statico e siccome è però "qualcosa", non può essere definito "non-io". A questo punto però veramente il problema è meramente linguistico. Voglio dire se il "Divenire" lo chiamo "Brahman", "Sunyata", "Dao" alla fine intendo la "medesima" "cosa" (ok in realtà è una non-cosa ma spero di essermi chiarito  ;D ). Inoltre il Divenire "un continuo mutamento" si può anche pensarlo come "permanente", "senza mutamento" perchè dire "il divenire muta" è dire un'insensatezza. Sinceramente ho questo grande "sospetto": anche in oriente si lasciano ingannare dal linguaggio  ;) altrimenti non mi spiego questa veemenza contro ogni concezione di "Assoluto". L'Assoluto può d'altronde essere anche un "Processo", non una sostanza. Su questo mi pare che i mahayana abbiano capito di più che il buddhismo non è poi così diverso da altre dottrine.

Tempo fa dicevo che appoggiavo l'interpretazione dell'anatta non come una teoria metafisica bensì come "esperienza meditativa". Credo proprio che sia questo "assorbimento" di cui parlo, l'esperienza diretta o immediata. La vita di tutti i giorni invece ci offre un'esperienza diretta in cui "l'io" si oppone al "non-io" e quindi non vi può essere un'esperienza diretta o un "assorbimento nell'azione"  ;) non "credendo" personalmente nell'infallibilità del Buddha non posso appoggiare la sua dottrina come "la corretta teoria del Tutto" (motivo per cui per me non ha senso chiedersi se il buddhismo è compatibile col darwinismo, con la meccanica quantistica o altro - e anche con "daoismo" o l'"induismo"): però ritengo che se il Nirvana è questa "esperienza" in cui si è totalmente "abbandonati" al Divenire dell'Univero, allora posso concordare - così come posso concordare che se sono veramente "assorbito" in un'attività mi dimentico sia di "me" che di "ciò che non sono io" e rimane solo l'azione - ossia la realtà. Su questo mi sembra che Daodejing/Zhuangzi, buddhismo e simil-advaita concordino. Se poi il Buddha-Dhamma sia l'unico modo per raggiungere questo "stato" in modo "permanente" (ossia se è davvero l'unico modo per liberarsi di "dukkha") non lo so ovviamente dire, ma direi che ciò è ben altra cosa rispetto a dire che "il buddhismo è vero, l'advaita è falso (o vicerversa)", "l'io esiste", "non esiste alcun io" ecc.

Il mio problema con un approccio "settario" è che si perde proprio questo. E in questo senso vale il detto del Daodejing "chi sa non parla, chi non sa parla".

P.S. Un cristiano potrebbe anche lui fare un discorso simile con la "visione beatifica": quando "vedo" Dio non sono realmente "cosciente" di vedere Dio, bensì vedo (e quindi di fatto l'io e il non-io sparisce). Il motivo per cui mi piacciono queste tradizioni orientali è che appunto l'intuizione dell'"esperienza diretta" ,"pre-concettuale", "in cui di è dimenticato l'io e il non-io" sono veramente universali.

P.S. Sulla "natura" di un'azione spontanea può essere utile anche https://it.wikipedia.org/wiki/Flusso_(psicologia) nozione nata qualche decennio fa nella psicologia moderna.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)