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Buddhismo

Aperto da acquario69, 16 Febbraio 2017, 04:59:05 AM

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Sariputra

#120
@Apeiron
Questo che rilevi è un punto molto interessante. Concordo con la tua opinione che , nell'Occidente ateo e materialista, la visione mahayana è da preferire, anche solo perchè insinua il dubbio alle menti troppo facilmente pronte ad etichettare  ( pro domo sua...) il Dhamma del Buddha come un insegnamento ateo, materialista e relativo ( a certe situazioni o esperienze psicologiche...). Il canone Pali sorge in opposizione al brahmanesimo vedico e quindi a una società impermeata dal senso della divinità , legato al sacrificio, all'organizzazione in rigide e intoccabili caste che facevano dell'accesso alla spiritualità una possibilità rigidamente determinata. Il pantheon indiano era ( ed è) sterminato. Il Buddha proponeva la centralità della persona, al di là di ogni casta, come valore fondante di una nuova concezione del Dhamma spirituale, in cui la possibilità dell'incontro con la trascendenza e con la liberazione dal dolore e dalla catena ininterrotta delle rinascite era aperta a tutti ( addirittura alle bhikkhuni, alle donne...) e non solo ai brahmani. I testi pali riflettono anche nel linguaggio usato questo spirito di negazione della visione brahmanica e insistono proprio in questo per evidenziare la differenza del nuovo Dhamma con i precedenti millenari insegnamenti. In quell'epoca i brahmani godevano di un prestigio indiscusso  e svolgevano un ruolo cruciale nella vita religiosa, sociale e politica ( erano spesso ministri o dignitari dei re...). A un certo punto il ritualismo divenne così esasperato che si arrivò ad affermare:"Se il brahmano non celebra il sacrificio serale, il sole non tramonta": In una società come quella indiana del quinto sec. a.C. la figura del Buddha si erge come quella di un "rivoluzionario" che nega la possibilità che i sacrifici offerti agli dèi portino benefici spirituali ma che pone l'uomo come soggetto e agente della propria crescita spirituale e della propria liberazione, che è l'incontro con uno stato di reale mutamento interiore e di visione della realtà.IL Buddha non solo negò l'autorità dei sacri testi ( i Veda) ma mise in discussione la validità del sistema delle caste arriavndo ad ammettere nel Sangha addirittura i fuoricasta, gli intoccabili. Arrivò  dire che i veri brahmani sono coloro che hanno realizzato la Via che conduce al Nibbana (Sezione del brahmano del Dhammapada, da 383 a 423...):
Ma io non chiamo brahmano chi è nato
dal grembo di una brahmana, chi è nato
da madre brahmana.
Uno così è solo un arrogante, è uno che possiede
molto.
Ma chi non possiede nulla ed è libero da
attaccamento: costui io lo chiamo brahmano.
Nel testo originale, la brava traduttrice Genevienne Pecunia, mette in evidenza che c'è un'espressione efficace, bhovadi, cioè "che dice bho" dove bho è la consueta formula con cui ci si rivolge agli uguali o agli inferiori. I brahmani, che si ritengono la casta più elevata, si rivolgono agli altri come ad uguali o inferiori. Da questo si scorge la loro arroganza. Oltre a questo "possiedono molto", il che darebbe ad intendere che si facevano pagare profumatamente per celebrare i loro sacrifici ( ricorda qualcosa di nostrano?... :().

P.S. Tutta questa filippica solo per dire che ogni testo va inserito nel contesto culturale e sociale in cui nasce. Il linguaggio "duro" del canone Pali riflette questo contesto, ovviamente. Porta pazienza... :-[
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

#121
@Sari
Nessuna pazienza (cit. Sariputra  ;D ).
Il Siddharta Gotama storico che sia stato davvero o meno quell'infallibile mente che ci è stata tramandata certamente fu un "rivoluzionario", andò contro la sua cultura riformando probabilmente sia i movimenti Samana che l'induismo vedico del tempo. Come ben osservi tolse quel valore sacro che avevano allora le caste, insegnava a tutti il nuovo "Dhamma", creò un ordine di monache alla pari dei monaci ecc Proferì le parole della Metta Sutta (!) e certamente le mise in pratica (o fece del suo meglio se non era davvero "infallibile"). Ma il Buddha Sakyamuni che ci è stato tramandato è ben più di un rivoluzionario ossia di una personalità storicamente "plausibile" (almeno agli occhi di un sempliciotto che scrive 2500 anni dopo circa). Quello che vedo è un individuo "profondo, incommensurabile, difficile da capire, come l'oceano", ossia di un uomo che ormai è più paragonabile ad una divinità (seppur "non eterna") più che all'uomo comune (intendevo questo nel discorso degli alieni ;) , non che il Buddha non fosse nato umano). Perchè? Non può commettere errori morali, non può fare affermazioni false, non può errare nella dottrina ecc. Un uomo del genere è ormai paragonabile ad una divinità. Ma allora è esistito veramente, secondo quel sempliciotto di Apeiron? Sono abbastanza convinto che sia esistito un Siddharta Gotama (tra l'altro il nome e il cognome ho scoperto essere essi stessi ricolmi di significato), abbia fatto l'asceta e abbia esposto gli insegnamenti che almeno in parte costituiscono il buddhismo ma mi duole dirlo mi perplede molto in modo non molto dissimile dall'Incarnazione crisitiana che questo uomo fosse davvero come ci è stato tramandato. Posso capire saggio, posso capire santo, posso capire carismatico ma qui siamo di fronte a un qualcosa di incredibile. A confronto Socrate che sentiva i messaggi divini del suo daimon e che aveva una missione datagli dall'Oracolo di Delfi diventa estremamente "plausibile". Ma questo significa che bisogna abbandonare il buddhismo perchè è in fin dei conti una religione e quindi appartiene all'"infanzia dell'umanità"? NO. Semplicemente riconoscere questa "implausibilità" ci fa scoprire la ricchezza delle varie forme di buddhismo, una ricchezza che non potrà mai essere contenuta in una filosofia come quella di Batchelor. No perchè il buddhismo anche se Buddha non fosse mai esistito è una fonte di ricchezza spirituale incredibile. Per questo motivo si dovrebbe ribaltare il nostro modo di vedere le religioni! Sì sono implausibili ma è proprio la loro implausibilità che le rende "qualcosa di più alto" (per esempio ho citato l'Incarnazione cristiana. Se si toglie il sovrannaturale dal cristianesimo si arriva ad una semplice - seppur onorevole - filantropia come tra l'altro mi pare che sostenevi anche tu  ;) ). Solamente infatti davanti a qualcosa che vediamo come incredibilmente Grande possiamo sentire il Mistero. Mistero che non mi trasmettono per niente i "buddhisti secolari" ma che il "buddhismo" invece sì  ;)

P.S. Interessante il discorso che hai postato sul fatto che i brahmani per il Buddha fossero tutti, perfino "gli ultmi". Così come sui sacrifici (nell'Antico Testamente c'è scritto "misericordia voglio e non sacrifici" (Os 6,6)). E vorrei mettere in evidenza l'amore per l'ultimo e l'emarginato che accomuna Buddha e Gesù. Ed anche, aggiungo io, lo Zhuangzi e il Daodejing. In tutti questi casi si ha a che fare con "rivoluzionari" che vanno contro le isituzioni del tempo a favore dell'emarginato ecc. Domanda (chiaramente retorica) che mi faccio prima di tutto a me stesso: sarà, per caso, forse un'indicazione di qualcosa?

P.S.P.S Sul discorso della contestualizzazione mi fai venire in mente anche il daoismo. Oggi diciamo che DaodeJing e Zhuangzi ci invitano ad essere "naturali". Il problema è che a quei tempi essere "naturali" voleva dire una cosa ben più profonda e misteriosa di quanto lo sia oggi. Ma mi sembra che pochi su questo punto ci riflettano davvero. Per esempio leggo che il "Dao coincide con le Leggi della Fisica" (sicuro di averlo letto, non so dove ma l'ho letto)... no il Dao mi pare molto più "ineffabile" :)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

#122
Credo ci siano pochi dubbi che Siddhartha Gotama sia realmente esistito. Dopo la sua cremazione , i suoi resti sono stati divisi e sono diventati le reliquie di otto stupa originali che, nel III sec. a.C., per volere dell'imperatore Asoka il grande, sono stati aperti e le reliquie divise tra circa mille stupa. Ancora oggi gli otto stupa originali sono oggetto di venerazione. Sul fatto dell'implausibilità della figura "infallibile" del Buddha storico, direi che un conto è l'atto di fede che compie il buddhista e un altro il rapporto critico che dall' esterno si stabilisce con questa figura. Vista con gli occhi razionali e scientifici questa infallibilità appare come mitologica, ingenua  e da boccaloni ( termine che ho imparato frequentando questo forum... ;D). Dal praticante che , giorno dopo giorno, riesce a maturare dei progressi nella sua vicenda spirituale seguendo l'insegnamento di questo personaggio, sorge invece una spontanea adesione  che sfocia in un' autentica certezza di essere su una strada veritiera. Come un cristiano , per esserlo veramente, non può dubitare dell'esistenza storica del Cristo e di tutto ciò che è stato riportato da coloro che si sono definiti come testimoni di quegli eventi, così un seguace del Buddha  non può dubitare dell'infallibilità del maestro nella comprensione del Dhamma da seguire per giungere "all'altra riva"...Altrimenti non sei un cristiano e non sei un buddhista.  Puoi essere un "simpatizzante critico"... ;)
Un conto è l'agiografia che si è depositata nei secoli sulla figura umana del Buddha, rendendolo quasi una divinità, un'altra è il riconoscimento della statura spirituale di quest'uomo che ha aperto una strada nuova per giungere al "senza-nome". Statura che ne fa, insieme a Cristo, una delle due figure più possenti apparse nella storia spirituale umana e che hanno così profondamento inciso in tutti gli aspetti della vita dell'Occidente ( per Cristo ) e dell'Oriente ( per il Buddha).

L'affinita' piu'sorprendente fra Gesu' e il Buddha riguarda il concetto di amore: entrambi, infatti, predicano la Regola d'Oro, in base a cui ogni uomo deve trattare il suo prossimo come se stesso. Molte delle piu' note affermazioni di Cristo, in ordine al fatto di porgere l'altra guancia, di amare i propri nemici; nonche' l'idea che chi di spada ferisce, di spada perisce, si rispecchiano nelle parole del Buddha.
"La dottrina morale del Buddha", osserva Burnett Hillman Streeter, illustre studioso di Oxford, "e' sorprendentemente simile al discorso evangelico". Inoltre, le parole dette da Gesu' sulla montagna costituiscono il suo piu' grande insegnamento, esattamente come il Dhammapada, concettualmente affine al Sermone, costituisce il libro piu' importante del buddhismo: se esso e' la trasposizione scritta in lingua pali della tradizione orale sorta tra i primi iniziati buddhisti, il discorso evangelico della montagna e altre parti dei quattro Vangeli vengono infatti attribuiti ai primi seguaci di Cristo.

Siddhartha era senz'altro umano e aveva anche dei dubbi, come quando non era convinto che i tempi fossero maturi per l'apertura del Sangha alle donne ma venne poi persuaso dalle suppliche della madre adottiva Mahapajapati, convertitasi al Dhamma del figlio...
Allora lascio due frasi tratte dai testi buddhisti per definire un pò la figura del Buddha:


Era esperto nel conoscere i pensieri e le azioni degli esseri viventi. VIMALAKIRTINIRDESHA SUTRA 2


"Non ho mai visto prima d'ora - disse il venerabile Sariputto - ne' ho mai udito riferire da alcuno di un maestro che parli cosi' amabilmente". SUTTA NIPATA 955

Ma è il Dhamma da seguire, non il Buddha!...Siddhartha è morto. Per vederlo ancora si deve necessariamente riconoscerlo nel Dhamma, nel suo insegnamento ( che poi esorta a farlo lui stesso, prima di morire, no?...) :)
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Apeiron

Già concordo con quanto hai scritto. Diciamo che "simpatizzante critico" come definizione mi piace anche se più vado avanti nello studio (e per poco che riesco nella pratica) mi sembra di essere un "simpatizzante agnostico"  ;D  ossia più vado avanti più tutto mi sembra paradossalmente più misterioso. Quindi ecco: potrebbe davvero essere stato "infallibile", "speciale" ecc, non mi prendo la briga di negarlo, anche perchè "è una cosa che so di non sapere".
Sulla sua storicità ovviamente ci sono molti più indizi a favore che contro mentre per esempio nel caso di Laozi gli indizi sono semplici leggende. Recentemente hanno anche dubitato perfino dell'esistenza di Socrate, anche se abbiamo moltissime testimonianze della sua esistenza. Ovviamente a mio giudizio sono esistiti sia un Siddharta Gotama che un Socrate ma quello che mi dà molte perplessità è che sia esistito il Siddharta Gotama del Canone Pali. Non mi sorprenderebbe se in futuro venisse rivelato che molto di ciò che è attribuito a lui in realtà è stato detto da molti suoi "discepoli". L'esistenza degli Arhat così come sono descritti mi ha sempre lasciato perplesso, la vedo come una cosa estremamente improbabile. Ma ovviamente ritengo anche assurdo essere certi della loro non-esistenza visto che " Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia."(Amleto, Shakespeare).  Me ne rendo conto.  Quindi sono scettico ma credo che sia la cosa più "intelligente" da fare.
Nel buddhismo tibetano viene data molta importanza allo scetticismo perchè è visto come l'unico modo di "purificarsi" da posizioni erronee, così come un buon orafo deve esaminare la purezza dell'oro. Per la mia comprensione delle cose ritengo molte cose "false" ma sai com'è  ;D ad ogni modo una cosa che mi perplede molto in realtà è chiamare "Siddharta Gotama" il fondatore del Buddhismo. In realtà non può essere considerato in modo analogo a Gesù da questo punto di vista proprio perchè ci viene fatto notare che il Dhamma è già stato insegnato, nella lontana antichità lo si praticava forse meglio di oggi e così via. Allo stesso modo dire che i fondatori del daoismo sono Laozi e Zhuangzi lo ritengo un'altra assurdità visto che entrambi ci tengono a farci notare come i loro insegnamenti sono già stati insegnati molto tempo prima (e in questo caso ci tengono ancora di più a dire che allora venivano praticati meglio). Idem per lo giainismo e per l'induismo. Come ben fai notare tu è il Dharma ad essere seguito e non il Buddha. Per il buddhista sia ingenuo che serio il Buddha è "infallibile", lo scettico da questo punto di vista invece cerca il Dharma e usa il buddhismo come strumento. Ad ogni modo stando alla storia dei ciechi e dell'elefante, la Realtà è molto più vasta delle nostre limitate menti quindi il Nobile Silenzio sembra essere un ottimo modo per "comprendere l'ineffabile"  ;)  
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Apeiron

Ho ancora pensato alla questione dello status ontologico del Nibbana (e la relazione con "Anatta") e ho trovato anche questo link che pare utile (oltre che dire le stesse cose che afferma Il Sari) https://what-buddha-said.net/library/Wheels/wh011.pdf ... ok ancora non capisco la differenza tra una visione "positiva" del Nibbana (almeno come tipo l'"Essere" di Parmenide per intendersi...) e dire che "non deve essere compreso come semplicemente non-esistenza". Ma sarà un mio limite ;D

Curiosità. Stasera mi sembra che mi stia vendendo un qualche malanno e stavo meditando su quanto il fatto di star male fisicamente impone restrizioni sulla vita, qualsiasi cosa si voglia fare (ok lo so è solo un normale malanno ma quando parto per la tangente ahimé non mi ferma nessuno  ;D ). Il che mi ha fatto riflettere e mi è sorta questa curiosità (forse un po' fuoriluogo): ma che succede a chi non ha la salute fisica per fare il monaco? Voglio dire i precetti del tipo "mangia al massimo 2 volte al giorno e chiedi solo cibo in elemosina" (e altri) chiaramente "funzionano" solo se si è in buona salute. Così come ad esempio chi non può camminare non può fare la "meditazione in cammino". Quindi mi chiedo per curiosità: in questi casi la corsa al Risveglio è rimandata alla vita successiva? :( idem a chi magari sorge una qualche malattia grave. In questi casi si confida nelle rinascite? :(
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

#125
Citazione di: Apeiron il 10 Ottobre 2017, 22:48:04 PMHo ancora pensato alla questione dello status ontologico del Nibbana (e la relazione con "Anatta") e ho trovato anche questo link che pare utile (oltre che dire le stesse cose che afferma Il Sari) https://what-buddha-said.net/library/Wheels/wh011.pdf ... ok ancora non capisco la differenza tra una visione "positiva" del Nibbana (almeno come tipo l'"Essere" di Parmenide per intendersi...) e dire che "non deve essere compreso come semplicemente non-esistenza". Ma sarà un mio limite ;D Curiosità. Stasera mi sembra che mi stia vendendo un qualche malanno e stavo meditando su quanto il fatto di star male fisicamente impone restrizioni sulla vita, qualsiasi cosa si voglia fare (ok lo so è solo un normale malanno ma quando parto per la tangente ahimé non mi ferma nessuno ;D ). Il che mi ha fatto riflettere e mi è sorta questa curiosità (forse un po' fuoriluogo): ma che succede a chi non ha la salute fisica per fare il monaco? Voglio dire i precetti del tipo "mangia al massimo 2 volte al giorno e chiedi solo cibo in elemosina" (e altri) chiaramente "funzionano" solo se si è in buona salute. Così come ad esempio chi non può camminare non può fare la "meditazione in cammino". Quindi mi chiedo per curiosità: in questi casi la corsa al Risveglio è rimandata alla vita successiva? :( idem a chi magari sorge una qualche malattia grave. In questi casi si confida nelle rinascite? :(

Spero che sia solo un malanno di stagione, tipico dell'autunno. Mi chiedi cosa succede a chi non ha la salute fisica per fare il monaco...beh! Direi  che non esiste un limite fisico per meditare.
Sei ammalato?  Coltivi la consapevolezza del tuo disagio fisico, la frustrazione che ti  provoca,  sei consapevole dell'insofferenza della mente che 'vuole scappare'. L'afflizione quindi può diventare uno strumento di meditazione per sviluppare vipassana ed anche metta ( provare benevolenza e compassione verso il proprio corpo sofferente. Visualizzare con gentilezza e semplicità il fatto che questo corpo, così bistrattato dalla mente, ci sorregge, ci permette di fare, di vedere la bellezza, ecc. ).
Nella comunità monastica il precetto di non prendere cibo solido dopo mezzogiorno vale solo per le persone in buono stato di salute. Per gli ammalati ci si prodiga per liberarlo, nei limiti del possibile, dalle sue pene fisiche ( non nel senso di ammazzarlo, ovviamente ;D ). Però, nella tradizione della foresta, si è parecchio 'duri'. Non si bada ai malanni passeggeri, si va ad elemosinare il cibo con la febbre , se non è da cavallo, per capirci...
Ajahn Tate, per esempio, era un monaco che si trovava in ospedale per curare un cancro, valutato dai medici incurabile. Decise di sospendere ogni cura e di tornare al monastero nella foresta, per morire. Visse altri 25 anni. Un bhikkhu estremamente stimato e venerato che diceva, alla gente che andava  a trovarlo per avere un consiglio, che la  medicina che l'aveva tenuto in vita era stata la meditazione.Credo che gli abbiano dedicato una grande sala del Dhamma, se non ricordo male, l'ho letto parecchio tempo fa...dicono che parlasse pochissimo
Se sei in carrozzella non puoi ovviamente fare la meditazione camminata, ma puoi esercitare la presenza mentale del gesto di spingere la carrozzella. In fondo quello che è importante è il coltivare i fondamenti della presenza mentale, non lo strumento o il modo per farlo. Si può meditare mangiando o urinando  e defecando. L'importante è esserci, essere presenti e non permettere al bufalo di scappare in continuazione ( il bufalo è simbolicamente la mente che non risiede quasi mai nel presente ma vive del ricordo del passato e nell'immaginazione del futuro...).
Ti rispondo anche alla domanda che mi hai posto nel topic su Dio.
Intendevo che , nella visione vedica e upanishadica, l'assoluto Brahman genera le molteplici divinità che sono rappresentazioni simboliche delle molte manifestazioni e funzioni di un unico Dio: "respirava senza produrre respiro, per propria forza, quell'Uno" (Rig-Veda). Questo Uno che si manifesta prima in tre, poi in 33, poi in 333, poi in 33.000.000 ( cifra simbolica ad indicare l'infinità di forze che muovono il cosmo) non si disintegra nella sua molteplice manifestazione, ma  sottolinea che si manifesta come molti aspetti. Uno di questi aspetti ( riconducibile a Shiva) è la trasformazione , la morte. Pertanto la morte e la sofferenza connessa è una manifestazione di Dio. In un certo senso lo definirei come un 'abitare la morte' da parte di una manifestazione di Dio/Ishvara. Questo perché in questa visione l'uomo attribuisce a DIo la funzione di creatore (Brahma) prima di ogni altra, poi di conservatore, di colui che 'mantiene' in essere (Vishnu/Lakshmi) e infine di trasfomatore, di distruttore (Shiva). In una visione non lineare ma bensì ciclica del tempo si ripete in Dio questo andamento eterno di creazione, sostentamento e riassorbimento della creazione, che quindi non è una ma molteplici, infinite creazioni. Creazione al plurale, come plurali sono le manifestazioni dell'Uno.
Ecco che quindi, a parer mio, il significato e il peso nella metafisica vedica della morte non è paragonabile alla visione abramitica. La vita, con le sue gioie e i suoi dolori, con la sua tarsformazione/morte è parte di Ishvara stesso, è Ishvara stesso. Ma questo non è panteismo o ingenuo naturalismo, si tratta di speculazione metafisica dato che l'Uno precede metafisicamente ogni polarità e separazione. Per questa mancanza assoluta di dualità viene definito col neutro (ékam). Riferendosi agli attributi di questo principio metafisico infatti è opportuno parlare di non-dualità piuttosto che di 'Unità', secondo gli insegnamenti della scuola Advaita.

P.S. sai niente che fine/trasformazione ha fatto il Pierini? Dopo 500 e passa manifestazioni apparse in poco più di un mese è scomparso... :-\  ???
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Apeiron

#126
Ieri ho detto a @sgiombo queste parole a riguardo della "virtù" e della possibilità di realizzarla (direi che è piuttosto in tema  ;D ):
"D'altronde credo che sia un problema millenario: ok conosciamo cosa significa essere "virtuoso" ma è evidente che molti "in questa vita" (ossia per gli anni che abbiamo a disposizione) non riusciranno mai ad essere virtuosi visto che in ogni caso non è ovviamente facile come "cammino". D'altro canto però è anche bene avere come obbiettivo "la virtù" altrimenti si rischia che l'"uomo tirannico" che è in noi - usando l'espressione di Platone - agisca in modo indisturbato. Qualche mese fa leggevo su internet se i buddhisti ritenevano che "il Risveglio" è questione o meno di fortuna (visto che in pochi in questa vita si liberano) ? La risposta se non ricordo male era che ciò era in parte vero ma veniamo salvati da tale "sfortuna" dal fatto che "la morte non è la fine". Analogamente anche Kant "postulò" una vita dopo la morte per questo motivo (o un motivo simile). D'altronde a meno che per dire non siamo già "predisposti" il divenire "perfetti" per noi è un'impresa se non impossibile, davvero difficile (e anche si va per certi versi a "fortuna". Per esempio se domani un asteroide cadesse vicino a dove abito, non credo che mi rimarrebbe quel poco di comportamento "virtuoso" che ho (o credo di avere  ;D ).). E se uno nasce in un contesto (anche dettato dalla propria interiorità) che lo fa tendere a ciò che "non è virtuoso"? Mah... altro mistero della vita  :(  sono considerazioni come questa che mi fanno pensare che "qualcosa" di "oltre" ci sia.""
Anzitutto introduco il tutto dicendo che non era niente di che, appunto sono quei malanni che tra autunno e primavera vengono e vanno (anch'essi sono piuttosto impermanenti e fugaci, tant'è che da piccolo cercavo di "studiare" le sensazioni che mi provocavano e cercavo di trovarne una regolarità nel loro comportamento - ovviamente i risultati di quelle ricerche erano piuttosto modesti  ;D )
Leggendo il tuo ultimo messaggio mi sono reso ancora più conto di quanto "sono misero" ( ;D ). Ieri mi pareva che stesse arrivando una sorta di "parainfluenza" ma oggi come un bolla si è dissolto, sto meglio ecc. Ebbene per quanto riguarda la respirazione ieri era un po' difficoltosa e quindi questo mi distoglieva l'attenzione. Il problema è che seppur credo che sia vero quanto tu dici, ossia che il dolore può essere utilizzato come strumento di meditazione. Eppure ritengo che sia molto difficile. E anzi o malattie o circostanze di vario tipo possano impedire la pratica meditativa (sia laica che monastica. Monastica soprattutto visto che le regole mi paiono molto ferree. Ovviamente hanno chiaramente un loro senso  ;D ). Per questo motivo mi è venuta in mente l'idea per cui il ciclo delle rinascite possa essere visto nel buddhismo come una sorta di "corso pedagogico", ossia che finché non siamo davvero pronti dobbiamo rinascere. Poi ad un certo punto si può sperare almeno nell'Entrata nella Corrente. Ma l'austerità del buddhismo da questo punto di vista non sembra scendere a compromessi. Quasi che dicesse: muoviti a fare tutto adesso altrimenti poi potranno passare molti kalpas prima di ....  :-\  o forse mai  :-\ in ogni caso questo è in parte il discorso che mi ha fatto pensare che anche nel buddhismo c'è una sorta di "Fato" come per esempio la ciclicità del Dhamma, i buddha passati e futuri... Ossia che la realtà è "densa". E forse prima di poter "liberarci dell'io" forse si deve arrivare a "raffinare" il suo senso di identità e di appartenenza. Solo allora forse sarà pronto per...

Sulla questione della morte. Sì concordo che c'è una differenza e che tale differenza con le culture abramitiche. Assumo che una visione simile la abbiano anche il daoismo e il buddhismo (almeno lo Zen visto che Dogen dice che "La Natura di Buddha è l'Impermanenza" ma anche Nagarjuna secondo cui "i limiti del samsara sono i limiti del nirvana") Tuttavia ci sono anche somiglianze almeno con l'unica che in parte conosco, il cristianesimo. Per esempio il "Re della Morte", Mara, è "l'ultimo nemico" e il Nirvana è descritto come "il senza-morte". Descrizione simili per Dao e Brahman. Ad ogni modo la differenza potrebbe essere questa: mentre per gli orientali il "nemico" sono le nostre stesse illusioni, per la visione abramtica è "un altro" e lo stesso vale per l'Amico. L'Alterità, il riconoscimento dell'"io-tu", ossia il valore alla persona nella sua unicità e nella sua particolarità è un tema assai sviluppato nelle religioni abramitiche mentre la "dissoluzione", il raggiungere lo stato del "legno non scolpito" è il tema delle cosiddette "vie di liberazione". Espresse in questo modo la loro visione è completamente diversa. Ma a mio giudizio questa diversità rende ancora più "stravolgenti" le somiglianze inattese ;)  


P.S. Rispondendo al tuo "P.S." no purtroppo non so nulla.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

La ri-nascita sempre come un'ulteriore possibilità? Tutta la metafisca e non solo, il sistema sociale  e culturale del sub-continente indiano è vissuto ( e vive ancora) sull'eterno ciclo di nascita-morte-rinascita.
La morte è un nemico, è sofferenza, ma non perché 'pone fine alla vita', che è la paura e il terrore naturale dell'uomo, ma perché la perpetua , ti costringe a ri-nascere a ri-soffrire ancora e poi ancora. Donde viene questa millenaria sapienza che ruota, che dà per scontato, per assodato, pacifico che si viva, si muoia e poi si rinasca? Mi ha sempre fatto riflettere questa assoluta certezza che investe ogni forma di spiritualità/filosofia sorta sul quel terreno fecondo. Cosa percepivano della vita quegli antichi saggi che composero, forse quasi 2.000 anni prima di Cristo, il Rig-veda, il più antico testo della cultura indo-europea? Perché nessuno, nemmeno Siddhartha, mise mai veramente in discussione questa certezza? Sì, ci furono pensatori nichilisti, marginali, ininfluenti che non fecero scuola.
Se prendiamo come nostra stessa esperienza quei continui ricordi, sogni o visioni che inspiegabilmente ci fanno incontare volti che ci sembra di aver sempre conosciuto, ambienti in cui ci sembra di aver sempre vissuto, sensazioni strane che riconosciamo senza averle mai provate...beh!A volte ci sono spiegazioni plausibili, altre volte meno. Ricordo di quel bimbo palestinese che ricordava di essere stato ucciso con un colpo alla testa. Venne infine ascoltato da un ricercatore, non ricordo il nome, e il bambino lo portò nel luogo esatto dove sentiva di esser stato sepolto. Scavarono e trovarono i resti di un uomo con un foro nel cranio...ma ci sono tante storie documentate. Quella di Katsugoro. raccontata da Lafcadio Hearn, è inquietante e documentata da numerosi documenti dell'allora distretto di Tamagori, in Giappone alla metà dell'ottocento. Lo stesso Lafcadio Hearn provò su stesso l'ipnosi regressiva per verificare...sogni, visioni, sensazioni interiori, brevi flash...cosa c'è?...
Il buddhismo del canone è 'anche' il buddhismo votato a spegnere questo fuoco della rinascita, questo ciclo samsarico. Ecco che a noi occidentali, una cosa che forse, per la nostra cultura, appare come positiva ( il rinascere, l'avere ancora una possibilità di migliorarsi, di assaporare ancora questa vita così bella ma anche così dolorosa) si trasforma per l'indiano in un tormento, in una sete d'esistere che non trova quiete, da troncare, per sempre.
"Ancora tu sei ammaliato dalle follie dell'arte, della poesia e della musica, dalle delusioni del colore e della forma, dalle delusioni del linguaggio e del suono sensibile.
Ancora questa apparizione chiamata Natura- che è solo un altro nome per significare vuoto ed ombra-t'inganna e t'ammalia, e ti riempie con sogni di desiderio per le cose dei sensi.
Ma chi desidera veramente conoscere, non deve amare questo fantasma della Natura, non deve trovare delizia nello splendore di un chiaro cielo, né nel mormorio di fiumi correnti, nè nelle forme dei monti e dei boschi e delle valli, né nei loro colori. Chi veramente desidera conoscere non deve trovar delizia nel contemplare le opere e i fatti degli uomini, nell'osservare il gioco di marionette delle loro passioni e delle loro emozioni. Tutto ciò non è altro che un tessuto di fumo, un barbaglio di vapori, un'impermanenza, una fantasmagoria.
Perché i piaceri che gli uomini chiamano alti e nobili o sublimi non sono altro che più larghi sensualismi, più sottili falsità; fioriture velenose ed apparentemente belle dell'egoismo, tutte radicate nell'antica melma degli appetiti e dei desideri...
Tutto ciò che esiste nel Tempo deve perire. Per lo Svegliato non v'è tempo, né spazio, né cambiamento, né notte, né giorno, né caldo, né freddo, né luna, né stagioni, né presente, né passato, né futuro. La forma e i nomi delle forme sono ugualmente nullità. La conoscenza solamente è reale e per chiunque la guadagna l'universo diventa uno spirito. Ma è scritto: 'Colui che ha superato il Tempo nel passato e nel futuro deve essere di mente eccezionalmente pura'.
Tale mente non è la tua. Ancora ai tuoi occhi l'ombra sembra sostanza, l'oscurità luce e la vacuità bellezza. E quindi la vista delle tue nascite anteriori ti dà solamente dolore".
(Lafcadio Hearn-Spigolature nei campi di Buddho-Laterza 1922 uno dei testi più antichi di Villa Sariputra  ;D).
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Apeiron

In sostanza l'"indiano" ormai ha vissuto talmente tante volte che vede tutto come "dukkha", visto che "ogni reame di rinascita è sofferenza".
Il "sino-giapponese" invece è stufo di vivere nel modo "non naturale" e vuole vivere "naturalmente" (naturale per un cinese antico è cosa ben diversa da "naturale" come lo intende un "occidentale materialista moderno"  ;D )
Il "greco" è interessato all'arete che ricorda per certi versi il Cinese.
L'"abramitico" invece vede questo mondo come "caduto" nel peccato e spera nella riconciliazione.

Ebbene il buddhismo ha avuto influenze nel Sud-est asiatico (l'"indiano") e nell'Estremo Oriente (il "sino-giapponese")  ;D  Quello che si nota è che mentre nel buddhismo "meridionale", probabilmente più vicino al "vero" (?) pensiero di Siddharta, l'idea è che siamo imprigionati con il fuoco nella testa e dobbiamo liberarci ora (e se non lo facciamo ora probabilmente perdiamo il "treno" e rimaniamo a soffrire per anche miliardi di anni - o forse per sempre), per il buddhismo "settentrionale" invece il problema è che non ci rendiamo conto di essere già liberi (!). Ma il problema è che Buddha con la sua "dottrina" (?) dell'anatta ha chiaramente detto che "nascita e morte di "esseri" in realtà sono illusorie" e quindi in ultima analisi si è raggiunto un punto di contatto tra la pessimista "India" (sud-est asiatico) e l'ottimista "Cina" (estremo oriente) tant'è che appunto come abbiamo già ripetutamente discusso daoismo e buddhismo sono simili anche se "l'approccio" sembra per certi versi completamente diverso (in realtà si può dire la stessa cosa di certe filosofie Vedanta oltre che del buddhismo). Si arriva perfino a Dogen che dice "l'impermanenza è la Natura di Buddha" (e anche Nagarjuna con la sua identificazione di "samsara" e "nirvana" ci era molto vicino) cosa che ricorda il "celebre" passo secondo cui il Dao si trova anche negli escrementi  ;D , Ad ogni modo la cosa interessante è che mentre Buddha Sakyamuni era partito dall'idea di essere in una prigione (quasi eterna) da cui scappare i daoisti invece partivano dall'idea molto diversa per la quale dobbiamo "vivere nel modo giusto". Lo Zen (e lo Huayan) sembra(no) ad esempio una perfetta sintesi delle due "visioni". Se l'impermanenza è la natura di Buddha qual è la differenza con la "lila" degli indù e quindi con una visione positiva della vita (ma si può anche dire: se il problema è la "caduta" della nostra illusione non punta verso quella direzione?).

In modo simile si può anche discutere sull'idea della "caduta" in senso "abramatico" in una "vita di peccato e di morte" e la "caduta" nel "samsara". D'altronde siamo legati al samsara perchè ci è preclusa la consapevolezza della "vera realtà"! Una volta "tolto" questo problema siamo "riconcialiati"  ;D  Quindi a mio avviso è incredibile anche la somiglianza (o forse la "vaga somiglianza") anche se il "punto di partenza" è qualcosa di completamente diverso  ;)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

@Apeiron
"Al sommo dell'esperienza religiosa si pone l'illuminazione mistica; la presenza diretta del Dio. A quel grado, i modi delle diverse religioni si unificano nella conoscenza del divino".
Questo brano è tratto dall'introduzione ad un libro di D.T. Suzuki che, come sai, era sicuramente uno dei massimi esperti e studiosi delle somiglianze e dissomiglianze tra cristianesimo e buddhismo ( in questo caso zen..). Analizzando i diversi linguaggi usati da due dei sommi esponenti della mistica delle due parti, Maestro Eckhart e Saichi, Suzuki ci porta lungo un sentiero impervio sì, ma affatto campato in aria, di un 'sentire' comune di fronte all'esperienza massima possibile alla mente umana. In questo periodo sto seguendo un corso serale dedicato alla mistica sufi, in una cittadina della Contea, veramente interessante e che apre ad un mondo spirituale tra i più 'misteriosi' e misconosciuti (a dimostrazione che la saggezza e l'autentica spiritualità vivono a tutte le latitudini e in tutte le culture..).
Il problema, come sempre, è quello di formulare con il linguaggio più adatto ( meno limitante e contradditorio possibile...) questi vissuti quando si scende dalle 'vette' e si vuole indicare il sentiero migliore per 'salire'. Ossia la domanda è: 'Chi mi può fornire una mappa, la più dettagliata possibile, per incamminarmi?'
Come esperienza personale ho visto la concretezza , la pragmaticità, il buonumore buddhista e l'ho ritenuto una mappa più circostanziata, più dettagliata e coerente, in cui l'elemento fideistico e dogmatico è meno pervasivo, meno vincolante, essendo il Dhamma buddhista fortemente sbilanciato verso la pratica meditativa personale piuttosto che l'adorazione o la preghiera.
Ma sono anche questioni di sensibilità personale. Per dirti...mi capita di piangere come un vitello leggendo e rileggendo il 'manoscritto M' di Teresa di Lisieaux...me ne vergogno un pò,  :-[  lo confesso...ma è così. La Bellezza e l'intuizione autentica di un grande spirito cristiano o musulmano o hindu mi commuovono profondamente, mi sento veramente come un bambino di fronte a queste profonde sensibilità e tanto più se questo coincide con la coerenza di vita.
Io sono contrario al sincretismo tra le varie religioni, perché finisce per annacquare tutto, per renderlo un minestrone indecifrabile. Ci sono molte voci, molti uccelli che cantano nel bosco, perché ridurre queste melodie ad un'unica voce?... :(
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

Aspetta non fraintendermi... non sono favorevole al sincretismo e ritengo lasciare che le varie voci siano da valorizzare nella loro differenza (il rispetto dell'altro... ;) ). Ma rimango completamente stupefatto proprio dal vedere come su alcuni punti ci sia una convergenza a volte totalmente inattesa. Non riesco per esempio a capacitarmi della somiglianza tra il concetto di "Teotl" della filosofia azteca (pensa te quanto sono nevrotico, anche i nativi americani non lascio in pace  ::) ) e "Dao" anche se ci sono forti differenze (prima di tutto Teotl è visto quasi come una sorta di "artista cosmico", il Dao no. Secondo l'ontologia pare differente). Ma la somiglianza è incredibile perchè non ci può essere stata una comunicazione tra Aztechi e gli antichi cinesi. Eppure.... eppure!  

SARIPUTRA
Come esperienza personale ho visto la concretezza , la pragmaticità, il buonumore buddhista e l'ho ritenuto una mappa più circostanziata, più dettagliata e coerente, in cui l'elemento fideistico e dogmatico è meno pervasivo, meno vincolante, essendo il Dhamma buddhista fortemente sbilanciato verso la pratica meditativa personale piuttosto che l'adorazione o la preghiera.
Ma sono anche questioni di sensibilità personale. Per dirti...mi capita di piangere come un vitello leggendo e rileggendo il 'manoscritto M' di Teresa di Lisieaux...me ne vergogno un pò,    lo confesso...ma è così. La Bellezza e l'intuizione autentica di un grande spirito cristiano o musulmano o hindu mi commuovono profondamente, mi sento veramente come un bambino di fronte a queste profonde sensibilità e tanto più se questo coincide con la coerenza di vita.

APEIRON
Ti ringrazio della tua onestà e della tua disponibilità a parlare di cose personali. Riguardo alla lettura di questi spiriti spesso mi sento davvero piccolo, mi sento quasi obbligato a genuflettermi rispetto a loro. Non ho mai letto il "manoscritto M" ma ho letto un po' di informazioni su santa Teresa e devo dire che non mi sorprende che per una mente recettiva possa dare un effetto simile.

Ad ogni modo sì il Dhamma buddhista, e in genere le "vie della liberazione" dove l'approccio "fideistico" è minore mentre è maggiore la parte pragmatica si accordano meglio anche per me. La mia mente analitica infatti ha una certa difficoltà ad accettare seriamente un cammino "devozionale" ma preferisce uno più "esperienzale" (anche se riconosco e rispetto molto il cammino devozionale se fatto nel modo giusto. D'altronde lo trovo un ottimo modo per aprirsi all'Altro - sia divino ("A" maiuscola) che umano ("a" minuscola)...  ;)  e anzi talvolta quasi li invidio perchè sentirsi amati e saper ringraziare arrichiscono di molto la vita). Una mente come la mia necessita di ragionamenti, dubbi e idee come il corpo neccessita dell'acqua - motivo per cui anche se sono più "attratto" e mi sento più vicino alle "vie della liberazione" non riesco veramente ad accettarle con tutto me stesso (mi ci ritrovo molto in Hesse e nei suoi personaggi... anche se mi rendo conto di avere alcune peculiarità che mi distinguono da lui e dai suoi personaggi ritengo che la loro "sete" che a volte li fa letteralmente disperare è presente anche in me). Anzi la mia mente analitica è talmente "analitica" che talvolta vede tale sua propensione come una sorta di prigione e per questo motivo mi affascinano molto le espressioni poetiche delle varie dottrine quasi più delle dottrine stesse, perchè mi liberano da questa mia caratteristica che talvolta è una prigione. Il buddhismo da questo punto di vista lo trovo per lo meno un aiuto "pragmatico" a questa sensazione. Aiuta a farmi smettere di continuare a produrre idee, dubbi, argomentazioni che talvolta hanno un ritmo assai esagerato  ;) A volte tu dici che la spiritualità deve essere anche carne. Ebbene ritengo che anche la mente (o se mi è permesso usare il termine poco buddhista "anima"  ;D ) sia anch'essa per certi versi "carne" e che talvolta la stessa mente speculativa sia non molto dissimile da quella "passionale"... d'altronde cosa ha il filosofo se non la "sete" (termine che è da prendersi quasi in modo non metaforico) della Verità? E la spiritualità di cosa non ha sete se non del Bene?



D'altronde non a caso Laozi dice (seppur facendo violenza al testo e astraendo dal contesto con molta probabilità di errore) "il Bene supremo è come l'acqua...". Col buddhismo spesso ho avuto la sensazione che queste mie seti (ovviamente anche molto più mondane di Bene e Verità eh  ;D ) sono riuscite a trovare pace, ossia ad estinguersi (nirvana)  ;) salvo poi presentarsi di nuovo, talvolta più potenti di prima  :(  ;D
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

Nel buddhismo uno dei fattori più importanti da sviluppare è la saggezza ( prajna).  Senza saggezza non c'è liberazione dal samsara e quindi dalla sofferenza insita nel divenire. Ma è possibile ottenere saggezza senza sviluppare la meditazione? Senza almeno raggiungere il primo jhana? Viceversa , è possibile accedere al jhana senza saggezza? Nel Dhammapada si dice:"Non c'è jhana senza saggezza".
Ma cos' è il jhana? Sviluppare il jhana non è semplice. Spessissimo molte persone che si dedicano alla meditazione non riescono nell'impresa. L'identificarsi troppo con il corpo crea agitazione e questo è un problema in meditazione. Quando ci si invischia nei cinque sensi, i problemi aumentano e la quiete diventa un autentico miraggio. Se si 'lascia andare' il fattore percezione, i sensi si pacificano. Se la meditazione procede come deve procedere, dopo un pò di tempo, il corpo tende a 'scomparire'. Si abita uno stato in cui non ci sono più le mani, le gambe, la schiena...( ovviamente ci sono sempre, quel che viene a cessare è la percezione da parte della coscienza di queste parti...). Non si avvertono più gli acciacchi della mezza età  ;D , nè i dolori e nemmeno piacere fisico...alè...sparisce tutto! Il corpo si 'raffredda', si calma, le onde percettive si acquietano... A questo punto molti provano paura ( in fin dei conti non è molto piacevole sentire svanire il corpo...), una sensazione come di 'affogamento' ed escono dal samadhi ( concentrazione). Se però si impara a 'lasciar andare' il corpo, oltre alla possibilità di approfondire la meditazione, ci si abitua presto ad una cosa che ritornerà molto utile nella vecchiaia e nella malattia...
La liberazione che si prova nel lasciar andare nella meditazione è bellissima. E' un piacere con un gusto diverso e più profondo dei normali piaceri della vita quotidiana. E' più 'sottile'...
Spesso, in meditazione, passa inosservato perché la mente cerca sempre qualcosa di familiare, di vicino alla nostra esperienza ordinaria. Bisogna prestare attenzione, ma questo dovrebbe essere un aspetto normale del samadhi...Nel Majjhimanikaya, Siddhartha paragona il piacere dei sensi a quello di un cane che rosicchia un osso sporco di sangue: ha il gusto del cibo...ma è privo della carne che nutre e sazia.Il piacere del jhana, del frutto della meditazione, dà 'sostanza' e reale soddisfazione. Non è un gusto superficiale ed effimero, è qualcosa di autentico.
A questo punto della meditazione, con la quiete gioiosa data dal jhana, sorge un primo barlume di prajna (saggezza); si incomincia a intuire l'inizio della fine della sofferenza, di dukkha.
Uno dei problemi di questi stati di beatitudine consiste nel pericolo della loro seduzione . La mente cerca la meditazione e il jhana per volerne sempre di più. E' di nuovo all'opera il desiderio, la brama che porta a nuovo attaccamento all'esistenza nel divenire. Allora bisogna rammentare ciò che ci ha portati fino a quel punto, ossia la capacità di 'lasciar andare'... :)
Si incomincia a capire che la brama è veramente la causa della sofferenza, lo si constata di persona, in noi stessi , nella dinamica stessa della meditazione che ci porta di fronte alla visione di questo attaccamento al mondo. La paura spesso ci fa preferire l'osso sporco di sangue, da rosicchiare, purché ci si possa illudere che sia 'nostro'...
La meditazione profonda è realmente intensa e piena di 'carne' nutriente. Una sola esperienza di jhana può cambiare una vita, può farci sentire appagati per molto tempo, forse anche per l'intera vita.
Può sembrare una cosa strana  e insolita, ma chi l'ha avuta capisce il perché.
La vera meditazione fa toccare una dimensione interiore straordinaria ( senza voci, visioni o altro...quelle aspettano sul ponte).
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

Sariputra tutto molto bello (sono serio eh)  ;)  volevo però farti tre domande concrete (di cui due un po' personali quindi sei libero di non rispondere  ;D ):
1) hai raggiunto (almeno) il primo jhana?
2) dopo quanti anni di pratica eventualmente lo hai raggiunto?
3) è necessaria l'interazione con un maestro per fare progressi, secondo quanto hai appreso?

Ad ogni modo il tuo omonimo disse: "Il Nirvana è Pace... Che non ci siano sensazioni (vedana) è la Pace" (credo che intenda il Nirvana dopo la morte, anche se magari al momento del Risveglio magari "si capisce"). Ora gli interpreti secondo cui il Nirvana è il "nulla" ritengono che l'affermazione del tuo omonimo si riferisce al fatto che il nirvana è uguale alla "morte" che si avrebbe se non si rinascesse. Tuttavia sinceramente trovo una certa somiglianza tra le esperienze che descrivi tu parlando dei jhana e la frase "incriminata". Ma la descrizione che tu ne dai ha molta "positività".  E ciò è confermato dalla "mitologia" (?) dei piani dell'esistenza che ad ogni livello di jhana associa un "piano". Il problema è che tutti i jhanas sono impermanenti, ossia sono "stati di concentrazione condizionata"

Ergo: qualcuno ha mai pensato che il Nirvana - inteso come l'assenza delle sensazioni - è una sorta di "stato di concentrazione incondizionata" - ossia il "massimo" dei jhana (ma qualitativamente diverso da essi)?
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

Apeiron, permettimi di non rispondere alle prime due domande, perché le parole sono facilmente fraintendibili, in quanto coloro che magari leggono avendo solo un'infarinatura generica di Dhamma possono trarre conclusioni che sono al di là delle mie intenzioni. Se parlo dell'argomento 'jhana' è perché lo trovo importante nel contesto di questa discussione sul buddhismo e non per celebrare i miei successi o insuccessi personali a riguardo.  E' una di quelle cose ( l' eventuale successo/insuccesso...) che mi riprometto sempre di tenere nella sfera più intima possibile ( anche per non alimentare il senso dell'io/mio.. :) ma anche perché sento che è 'bene' così...).
La terza domanda: un maestro non è indispensabile ma certo giova molto ad un meditante proprio quando questi s'imbatte in certe esperienze  che possono addirittura diventare dannose per il praticante stesso.  Non dimentichiamoci che molte persone, fantomatici guru, si servono di questo per esercitare potere  e per alimentare il proprio ego, anziche lottare per diminuirlo, o per scrivere corposi libri di visioni e messaggi direttamente trasmessigli da entità soprannaturali. Il problema è : dove trovare un nobile maestro che ti possa aiutare senza pretendere qualcosa in cambio? Soprattutto qui da noi? Ce ne sono, ma bisogna cercare parecchio...
La funzione del Nibbana è 'dare pace' o 'confortare' ed è sicuramente uno stato di quiete, di non agitazione, ma anche uno stato della mente 'che conosce'. E cosa conosce la mente? "Prima c'era la brama, ora non c'è più. Prima c'era l'avversione, ora non c'è più. Prima c'era l'ignoranza, ora non c'è più". Coloro che intendono il Nibbana come 'nulla' non hanno compreso fino in fondo l'Insegnamento e soprattutto non hanno esperimentato in modo non illusorio i jhana. I quattro Jhana ( secondo il buddhismo) sono come cancelli da superare , ma il meditante non vede nella pratica tutta questa schematicità descrittiva , come riportata dai testi, che sembrano quasi delle guide Michelin... ;D La meditazione fluisce spontanea e s'approfondisce da sé, senza che vi sia , da parte della coscienza, una necessità continua di catalogare."Ecco il primo jhana!...Acc...ecco il secondo...o forse no? Sarà mica il terzo? ...Che li abbia già raggiunti tutti e quattro?"... :o
Scherzo, ovviamente, ma c'è questo rischio. "Ho raggiunto il primo jhana, e tu?"; "Io sto lavorando sul secondo". Questo non è serio.  La prima serietà che impone la meditazione buddhista è quella delle motivazioni e non può esserci, per il Buddha, motivazione che non abbia solide radici nella moralità ( sila ). Molti buddhisti , soprattutto occidentali, praticano il Dhamma  e la meditazione ritenendo secondaria la moralità della motivazione. L' autentica purezza dei jhana però è strettamente legata alla purezza delle intenzioni. Intenzione di comprendere con il proprio 'cuore' le quattro nobili verità e in particolare la prima. Mi è capitato di incontrare dei personaggi che si definivano come buddhisti, ma che rifiutavano la moralità ( soprattutto in campo sessuale, ovviamente...) e che arrivavano a definirsi tali proprio perché "Il Buddha non ha mai predicato tutta quella sessuofobia dei cristiani...". Oltre al sesso libero si fumavano dei bei cannoni, specificando che il Buddha non l'ha mai proibito e che il quinto precetto non riguarda la Marihuana, ampiamente usata da millenni dai santoni hindu per visualizzare gli dèi...Capisci che comodo diventa allora il dichiararsi "buddhista"? Ci costruiamo un bel Dhamma su misura. I jhana e il Nibbana diventano allora, semplicemente, 'farsi un'altra esperienza sensazionale'.  In realtà questi meditanti alfine trovano solo confusione e altra sofferenza...
La concentrazione che porta al jhana è un mezzo potente per stabilizzare la mente, così che possa avanzare nella vipassana, nella visione profonda. Il Nibbana è una condizione di libertà dal sankhara, dal continuo processo di creazione della mente; viene infatti definito come 'non-prodotto' e 'non-creato'. Questo , a mio parere, significa che né è un sankhara, né che attraverso il sankhara viene prodotto.
Il Nibbana è quindi una condizione priva di ulteriori creazioni. Un uomo libero da avidya (ignoranza) non produce alcun sankhara. Ottenuto il Nibbana l'arahant conserva i suoi fattori di personalità ( khandha, dei quali uno è per l'appunto il sankhara...) fino alla morte. I cinque fattori sono ben compresi, rimangono ancora 'in piedi',  anche se le loro radici sono state tagliate. Solo al momento della morte le attività 'si acquietano'. In pratica, a mio parere, solo i tipi di sankhara che determinano conseguenze di natura kammica ( quindi la brama, l'odio e l'illusione...) vengono definitivamente sradicati con l'entrata nello stato di Nibbana in vita. Nei jhana, e in particolare nella sola realizzazione del primo, c'è una temporanea scomparsa, una 'sospensione', ma poi, non avendo ancora ottenuto la visione profonda, si torna al sankhara. Che cosa succede al momento della morte dell'arahant? Come ben sai, Siddhartha rifiutò di farsi coinvolgere in una discussione su questo. Riporto un brano di Rune Johannsson, uno psicologo svedese esperto di pali e sanscrito e ovviamente di Dhamma:
Potremmo dire che quando un insieme di forze interagenti, privo di un sostrato materiale, viene a cessare, non rimane nulla. A questo punto la personalità umana si annullerebbe nella morte. Ma il mondo del Buddha era differente: egli conosceva bene i processi della coscienza e sapeva, dall'esperienza meditativa, che questa non deve necessariamente cessare quando cessano tutti i processi coscienti. Al contrario, era proprio questa per lui la condizione ideale: una quieta tranquillità, una coscienza immobile, completamente priva di processi coscienti, assolutamente impersonale, assolutamente illimitata. Giungere a tanto era il solo modo per vincere l'impermanenza e la molteplicità; ed egli sentiva che si trattava di una condizione permanente, l'unica condizione permanente possibile..."
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
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Apeiron

#134
Sariputra, grazie della risposta. Mi rendo conto che le mie domande erano oltre che personali, anche malposte.
Mi spiego meglio riguardo alle prime due (e anche in modo minore la terza). Sulla questione dei jhana, ovviamente, mi sono per così dire dimenticato due cose: la "rapidità" con cui si ottengono è soggettiva e che ad ogni modo il raggiungimento di tali livelli di concentrazione di per sé non sono un indizio a favore o a sfavore della "validità" della filosofia buddhista. Sulla questione del maestro la tua risposta mi ha soddisfatto, anche se devo dire che di per sé come domanda era anch'essa malposta. D'altronde già il fatto che ti chiedo informazioni su teoria e pratica del buddhismo mostra che i maestri sono necessari (sì ti considero un maestro mentre non considero maestri quei "falsi" guru  ;)  di cui hai scritto nella tua risposta, sia chiaro). D'altronde la "storia" ci insegna che lo stesso Buddha ha dovuto imparare le tecniche di meditazione dai dei maestri (ovviamente se non erro  ;) ), quindi è impensabile imparare senza. Inoltre anzi probabilmente è anche insensato visto che in un certo senso ogni momento e in ogni situazione impariamo qualcosa sul "Dhamma", solo che in genere non vogliamo imparare D'altronde questo segue abbastanza facilmente dalla definizione di Dhamma e dal fatto che la nostra vita è condizionata, che a sua volta segue dal fatto che non siamo entità "isolate"  (spero che non sia oscuro questo mio pensiero, semma lo rispiego) ;) Ad ogni modo la mia domanda era in relatà questa: quanto è comune che i praticanti ottengano il jhana? Ma anche questa è facilmente fraintendibile e può portare il lettore fuori strada, anche se toglie il fattore personale.



Riguardo poi al Nirvana. Non era mia intenzione tediare ancora sulla questione se l'Obbiettivo del buddhismo è per così dire "nichilistico". Ma vista la paziente risposta che mi hai dato, fortunatamente non hai letto questa intenzione nella mia domanda. Volevo però spiegare il motivo per cui oggi dopo anche aver riflettuto meglio (e aver letto la tua risposta ;) ) mi rendo conto che l'"idea" di Nirvana che ho "riportato" era un non-senso. Semplice: i "jhanas" si "ottengono" e quindi si "creano" e la loro "tenuta" dipende da condizioni ben precise. Il Nirvana non può essere descritto come una "concentrazione incondizionata" perchè la concentrazione non è incondizionata ma è condizionata. Quindi anche questa idea che mi era venuta in mente era priva di senso. Di nuovo però questo invece racchiude un'altra questione che la mia "mente di scimmia" ha voluto oscurare. Ossia, anche qui una curiosità che "butto qui" senza volere una risposta. Come è possibile per esempio riconoscere se si è "Entrati nella Corrente" (per chi ci legge: il primo livello di Risveglio. Incompleto) ? Si è per caso "entrati" in contatto con il Nirvana? Se sì, lo si riconosce in modo automatico o lo può dire solo un altro "Risvegliato"? Cioè una volta che ho ottenuto questo "step" lo riconosco necessariamente? (si noti che questa domanda in realtà vale anche per ogni altro percorso spirituale. Come cioè si distingue il vero e autentico "risveglio" da un errore. Magari ci si è andati vicini eh ma è pur sempre un errore  ;D ) Ma anche questo non essendo un problema propriamente "buddhista" ma riguardante l'esperienza religiosa in generale, va fuori dai limiti di questo argomento.

Ad ogni modo lo stesso Buddha dice "c'è monaci un non-nato..." - di certo non dice si "ottiene il non-nato" ;)

A volte serve anche pensare un po' di più alle domande che si fanno :)


NOTA: Ne approfitto per dire agli eventuali lettori che le mie disquisizioni sul Dhamma sono quelle di un semplice interessato e spesso non sono sicuro che abbiano senso o meno.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)