Breve intermezzo sul potere delle parole

Aperto da Jacopus, 07 Febbraio 2022, 09:19:28 AM

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Jacopus

Le parole forgiano in modo sotterraneo ed inconscio il nostro modo di pensare. Questa è la tesi. Per provarla faccio riferimento al binomio razionalità/emotività. Nel corso dei millenni, il linguaggio ha acquisito "geneticamente" quelle che erano le ripartizioni razionalità/emotività della filosofia greca classica. Secondo Platone ed Aristotele infatti il cuore era la sede dei sentimenti e, in verità, anche del pensiero. Per altri pensatori dell'antichità vi era una divisione di compiti, al cuore le emozioni, al cervello la razionalità. Una visione duplice che fu spettacolarmente attualizzata, qualche secolo dopo da Cartesio.
Il linguaggio ha accettato quelle dichiarazioni, che continuiamo a condividere nel momento in cui parliamo. Infatti basti pensare alle parole "cordiale", "accorato", dal "cuore gentile o di pietra" o la parola "coraggio". Provate a sostituirle con "cervicale" o "accervellato" o con "cervaggio". Il minimo che vi può accadere è di essere considerati un po' bizzarri. Per questo motivo non considero folkloristici i tentativi di modificare la lingua, perché il linguaggio struttura in profondità i legami di potere sociale e li distribuisce secondo proprie regole, che sono lo specchio di categorie, classi, generi.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

iano

#1
Io ricordo chiaramente da bambino come un passaggio arduo distinguere una parola dal suo significato, aiutato in ciò dalle lingue straniere, dalla scoperta cioè della sua relatività , non senza una certa reazione di mia ilarità.
Un ulteriore aiuto è giunto poi dal pensiero matematico che dissocia i simboli dal loro significato, ma avendo dovuto esso stesso affrontare nella sua evoluzione il mio arduo passaggio, a dimostrazione della sua nativa umanità.
C'è stato un tempo in cui per me  il chiamare tavolo un tavolo era un fatto naturale.
Come altro infatti si sarebbe mai potuto chiamare?
Non mi sembrava nemmeno concepibile che il nome non ne racchiudesse l'essenza, e che non fosse quindi il suo nome convenzionalmente assegnato, e che l'essenza quindi la si potesse richiamare, solo pronunciando quel nome.
Quindi, se io non sono strano, direi che il pensiero magico è connaturato nell'uomo, e che per quanto lo abbiamo negato, ci sia rimasto ancora appiccicato.
Ma di magica c'è solo la sparizione dal nostro orizzonte cosciente della convenzione, come se non fosse mai stata posta.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

InVerno

#2
Per quanto l'ipotesi di Sapir-Whorf possa sembrare intuitivamente corretta, e per quanto anche a me piacerebbe esistessero più argomenti per poterla sostenere concretamente perchè è indubbiamente affascinante, la mia esperienza è che sostenere tale ipotesi è anche la via  più veloce per essere derisi in campo linguistico. Perlomeno per quanto attiene la versione "forte" della teoria, deterministica, la versione "debole" , relativistica, sembra incontrare maggior riscontro. E con buona ragione probabilmente, gli sforzi di dimostrare tale ipotesi non sono stati  pochi, eppure i risultati che ne sono conseguiti sono, che io sappia, "dibattibili" nel migliore dei casi, un dibattito che verte principalmente su quanto sono stati condotti in maniera approssimativa gli studi. Pinker ha affrontato la questione in maniera penso esaustiva, addirittura vagliando  una decina di versione diverse. Bisogna tenere in conto che le conseguenze ipotetiche sono piuttosto estese e "drammatiche" , per esempio ammettere che non esiste possibilità di traduzione tra due lingue, o accettare che una persona bilingue è praticamente "bipolare", e altre ancora. Tuttavia è anche la prerogativa che sta dietro a ipotesi che propongono di cambiare individui e società attraverso la lingua, e "stranamente" non  mi pare incontrino il favore dei linguisti (vedi parere Crusca). Migliorare la condizione delle donne rendendo femminili alcuni sostantivi è un isteria, non è così che funzionano i generi linguistici, o la lingua se è per quello. Sarebbe come voler cambiare gli aggettivi possessivi perchè ci sono persone che dicono "la mia città" senza prima aver comprato tutti gli edifici..perchè sono gli stessi che pensano che quando si dice "la mia donna" si intenda un rapporto subalterno, quasi di proprietà.. Evidentemente il fatto che grammaticalmente si parla di aggettivi "possessivi" non intende esclusivamente una relazione di possesso, è solo una casistica specifica. La stessa cosa accade coi generi, può capitare che il maschile intenda un individuo femminile e viceversa, il contesto poi farà da padrone. La repubblica è già femminile, come mai non ci sono più donne a fare la presidenta di qualcosa che evidentemente (?) appartiene alla sfera del femmineo, e già che ci siamo, chiamiamolo MattarellO perchè è maschio? E' davvero migliorata la vita degli spazzini, da quando si chiamano operatori ecologici? Chiedere ai diretti interessati...
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Ipazia

La confusione tra genere grammaticale e gender è l'ennesima arma di distrazione di massa che fa tanto finta di essere sani.

Fino a cavolate di questo tipo
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

viator

Salve InVerno. Citandoti : "E' davvero migliorata la vita degli spazzini, da quando si chiamano operatori ecologici? Chiedere ai diretti interessati...".Certo hai ragione, ma non è successo sempre così.

Ad esempio, io sono convinto che alcuni abbiano guadagnato parecchio dal "politically correct".

Gli omosessuali passivi, i quali in precedenza venivano impropriamente chiamati "culatoni" (a Bologna, addirittura "busoni"). Saluti.




Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Jacopus

#5
CitazionePer quanto l'ipotesi di Sapir-Whorf possa sembrare intuitivamente corretta, e per quanto anche a me piacerebbe esistessero più argomenti per poterla sostenere concretamente perchè è indubbiamente affascinante, la mia esperienza è che sostenere tale ipotesi è anche la via  più veloce per essere derisi in campo linguistico. Perlomeno per quanto attiene la versione "forte" della teoria, deterministica, la versione "debole" , relativistica, sembra incontrare maggior riscontro. E con buona ragione probabilmente, gli sforzi di dimostrare tale ipotesi non sono stati  pochi, eppure i risultati che ne sono conseguiti sono, che io sappia, "dibattibili" nel migliore dei casi, un dibattito che verte principalmente su quanto sono stati condotti in maniera approssimativa gli studi. Pinker ha affrontato la questione in maniera penso esaustiva, addirittura vagliando  una decina di versione diverse. Bisogna tenere in conto che le conseguenze ipotetiche sono piuttosto estese e "drammatiche" , per esempio ammettere che non esiste possibilità di traduzione tra due lingue, o accettare che una persona bilingue è praticamente "bipolare", e altre ancora. Tuttavia è anche la prerogativa che sta dietro a ipotesi che propongono di cambiare individui e società attraverso la lingua, e "stranamente" non  mi pare incontrino il favore dei linguisti (vedi parere Crusca). Migliorare la condizione delle donne rendendo femminili alcuni sostantivi è un isteria, non è così che funzionano i generi linguistici, o la lingua se è per quello. Sarebbe come voler cambiare gli aggettivi possessivi perchè ci sono persone che dicono "la mia città" senza prima aver comprato tutti gli edifici..perchè sono gli stessi che pensano che quando si dice "la mia donna" si intenda un rapporto subalterno, quasi di proprietà.. Evidentemente il fatto che grammaticalmente si parla di aggettivi "possessivi" non intende esclusivamente una relazione di possesso, è solo una casistica specifica. La stessa cosa accade coi generi, può capitare che il maschile intenda un individuo femminile e viceversa, il contesto poi farà da padrone. La repubblica è già femminile, come mai non ci sono più donne a fare la presidenta di qualcosa che evidentemente (?) appartiene alla sfera del femmineo, e già che ci siamo, chiamiamolo MattarellO perchè è maschio? E' davvero migliorata la vita degli spazzini, da quando si chiamano operatori ecologici? Chiedere ai diretti interessati...

Buonasera Inverno. Intanto grazie per aver risposto. Effettivamente la questione è piuttosto controversa e non di così semplice soluzione. I tentativi di modificare "artificialmente" una lingua sono folkloristici, poichè una lingua parlata è un processo vivo, che non viene di solito imposto dall'alto e quando ciò avviene i risultati non sono sempre ideali, tramutandosi in surrealismo, parodia e grottesco. Ma il problema resta. La lingua, come insieme di regole grammaticali e fonemi che descrivono il mondo sono uno dei modi più esatti per forgiare un essere vivente ed uno dei presupposti strutturali della cultura dei parlanti quella lingua.
E c'è anche un'altra questione da considerare. All'opposto del cosiddetto "politicamente corretto" vi sono stati esempi di politicamente "incorretto". Senza un contraddittorio, come accade oggi, i totalitarismi del secolo scorso cercarono, consapevolmente e inconsapevolmente di cambiare la lingua verso forme più assonanti con le nuove relazioni di potere. Furono processi lunghi decine di anni che comportarono effettivamente dei cambiamenti di qualche tipo, anche se una lingua non si può modificare in modo da stravolgerla, senza distruggerla. Vi è un libro esemplare che racconta questo mutamento "sottotraccia" ma eloquente della lingua tedesca negli anni trenta ed è scritto da un linguista, Victor Klemperer. Si intitola Lingua Tertii Imperi ed è la prova di come il linguaggio forgia le culture e di come "circolarmente" le culture forgiano le lingue. Altro esempio noto è quello raccontato da Primo Levi a proposito della lingua di Aushwitz, un tedesco sgangherato, militaresco e semplificato che rispecchiava il desolante mondo concentrazionario. A Primo Levi sembrava addirittura una lingua diversa da quella usata da Goethe e Holderlin.


Del resto gli ebrei, che sono quelli della cultura del libro e quindi della lingua, lo fanno dire già nella Bibbia: "morte e vita sono in potere della lingua" (Proverbi 18,21).
Resta il problema in ogni caso. Che fare? E' come se volessimo cimentarci in un esperimento di ingegneria genetica quando vogliamo imporre "il politicamente corretto", ma chi ci prova, lo fa perchè ha di fronte non una specie in armonia con il resto della natura, ma una lingua che porta dentro di sè una storia di violenza, di oppressioni, di schiavitù, che si sono solidificate nella lingua che usiamo in modo inconsapevole ogni giorno. Dobbiamo quindi domandarci se questi esperimenti di ingegneria genetico-linguistica hanno senso per l'umanità del XXI secolo o se sono un falso problema, nel momento in cui assistiamo più o meno impotenti alla sesta estinzione di massa. Oppure se più semplicemente, sottolineare questo problema, in qualche modo lo disattiva e ci fa riflettere sugli effetti sempre presenti e fortissimi di una lingua nella costruzione di "visioni del mondo", "ideologie" e "filosofie personali".
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

daniele22

Citazione di: InVerno il 07 Febbraio 2022, 19:27:25 PM
Per quanto l'ipotesi di Sapir-Whorf possa sembrare intuitivamente corretta, e per quanto anche a me piacerebbe esistessero più argomenti per poterla sostenere concretamente perchè è indubbiamente affascinante, la mia esperienza è che sostenere tale ipotesi è anche la via  più veloce per essere derisi in campo linguistico. Perlomeno per quanto attiene la versione "forte" della teoria, deterministica, la versione "debole" , relativistica, sembra incontrare maggior riscontro. E con buona ragione probabilmente, gli sforzi di dimostrare tale ipotesi non sono stati  pochi, eppure i risultati che ne sono conseguiti sono, che io sappia, "dibattibili" nel migliore dei casi, un dibattito che verte principalmente su quanto sono stati condotti in maniera approssimativa gli studi. Pinker ha affrontato la questione in maniera penso esaustiva, addirittura vagliando  una decina di versione diverse. Bisogna tenere in conto che le conseguenze ipotetiche sono piuttosto estese e "drammatiche" , per esempio ammettere che non esiste possibilità di traduzione tra due lingue, o accettare che una persona bilingue è praticamente "bipolare", e altre ancora. Tuttavia è anche la prerogativa che sta dietro a ipotesi che propongono di cambiare individui e società attraverso la lingua, e "stranamente" non  mi pare incontrino il favore dei linguisti (vedi parere Crusca). Migliorare la condizione delle donne rendendo femminili alcuni sostantivi è un isteria, non è così che funzionano i generi linguistici, o la lingua se è per quello. Sarebbe come voler cambiare gli aggettivi possessivi perchè ci sono persone che dicono "la mia città" senza prima aver comprato tutti gli edifici..perchè sono gli stessi che pensano che quando si dice "la mia donna" si intenda un rapporto subalterno, quasi di proprietà.. Evidentemente il fatto che grammaticalmente si parla di aggettivi "possessivi" non intende esclusivamente una relazione di possesso, è solo una casistica specifica. La stessa cosa accade coi generi, può capitare che il maschile intenda un individuo femminile e viceversa, il contesto poi farà da padrone. La repubblica è già femminile, come mai non ci sono più donne a fare la presidenta di qualcosa che evidentemente (?) appartiene alla sfera del femmineo, e già che ci siamo, chiamiamolo MattarellO perchè è maschio? E' davvero migliorata la vita degli spazzini, da quando si chiamano operatori ecologici? Chiedere ai diretti interessati...



Un giorno nel lontano 2000 un mio amico mi chiese se secondo me le parole fossero frutto di una convenzione.
E' un punto importante questo.
Quando incontrai Sapir-Whorf (linguaggio pensiero realtà – Boringhieri 1970) fui in un certo senso colpito nel primo capitolo che trattava della domanda che B.Lee Whorf poneva ad un tal doctor English sulla connessione tra idee. Proseguii un po' e come sempre mi accade lo tralasciai, però ho conservato il testo. Poi l'ho rivisto in libreria anche di recente sotto nuova foggia e contenuti.
Di Pinker ho scorso un po' "l'istinto del linguaggio" mi sembra, ma l'ho rigettato subito, non perché io rigetti l'idea del linguaggio come istinto, ma perché era poco convincente sul concetto di significato, da lui allocato in parte sulla nostra mente e in parte fuori. Proponeva l'esempio di Venere come "stella del mattino" e "stella della sera", ma non era molto convincente.
Bisogna inoltre dire che Noam Chomsky, per imporsi con la sua grammatica generativa, abbia posto una specie di veto espresso dall'idea che bisognava smetterla col dedicarsi all'ipotetica origine del linguaggio se si voleva fare della linguistica una disciplina.
Infine Edelmann "Più grande del cielo" Einaudi: un biologo nobel per la medicina, direttore di un istituto di neuroscienze non so dove, in cui parla della coscienza come di un epifenomeno. Tra tutti mi è parso il più convincente, anche se il testo non è proprio facilissimo. Lui sostiene che la coscienza non è causale, che è una espressione di non facile comprensione, soprattutto perché a valle di questo concetto ("la coscienza non è causale") si esprime dicendo che "non esistono fantasmi". Naturalmente mi sono poi stufato e non ho approfondito più di tanto. Comunque un paio di cose le ho trattenute. Secondo lui gran parte della nostra vita è determinata dai primi momenti della formazione del tubo neurale. Un altro concetto interessante era che per far emergere una coscienza di ordine superiore fosse necessaria una massa critica di informazioni condivise.
La mia idea infine sarebbe che sia il comportamento a determinare il linguaggio, rendendomi benissimo conto dell'evidenza che noi ci comportiamo assecondando il nostro linguaggio e il nostro pensiero, o almeno tentiamo di farlo


@Jacopus. Non conoscevo il proverbio ebraico. Degno di nota

InVerno

Vanno secondo me riconosciute due funzioni del linguaggio, una cognitiva e l'altra comunicativa, sarebbe anche interessante capire quale sia subordinata all'altra e dove effettivamente divergano ma... La prima può avvenire anche in maniera non verbale, anzi per la maggior parte  avviene in maniera non codificata, solo una minima parte di essa "affiora" al livello verbale, prima sottoforma di monologo interiore, poi di comunicazione. Ma a quali regole rispondono? Per come la vedo io, l'evidenza è che la funzione cognitiva del linguaggio risponde a quella che viene chiamata generalmente "grammatica universale", mentre la funzione comunicativa risponde ad un set subordinato di regole codificate in termini sociali (nazioni). Per dirla spicciola, pensiamo tutti praticamente all'interno degli stessi limiti, ma comunichiamo in maniera diversa. La sedimentazione grammaticale che si propone di alterare, risponde al dominio comunicativo, non cognitivo, tuttavia chi propone di alterare la lingua promette vantaggi cognitivi, cioè di "pensare diversamente" la donna, il trans, o chi altro fornendo spazi lessicali. Metaforicamente, per come la vedo io, è come uno che butta giù la tramezza tra il bagno e la cucina ed è convinto di avere un appartamento più grande. Certo l'open space fornisce l'illusione prospettica di vivere uno spazio più ampio, ma quando poi i fetori del cesso arrivano in sala da pranzo forse sarà costretto a rivalutare ..
Questo ovviamente non intende negare che anche alterare il modo in cui le persone comunicano non abbia un suo valore, anzi forse è l'unico valore, provocatoriamente si potrebbe dire che l'atto in sè di cambiare forzosamente la grammatica per farla aderire a certe idee è già un simbolo, una dimostrazione, di voler generare un cambiamento, anche se il cambiamento in sè non porterà a granchè di concreto, una sorta di profezia autoavverante, un ragionamento circolare.. così come in fondo è l'ipotesi di S/W.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

daniele22

Citazione di: InVerno il 08 Febbraio 2022, 13:04:50 PM
Vanno secondo me riconosciute due funzioni del linguaggio, una cognitiva e l'altra comunicativa, sarebbe anche interessante capire quale sia subordinata all'altra e dove effettivamente divergano ma... La prima può avvenire anche in maniera non verbale, anzi per la maggior parte  avviene in maniera non codificata, solo una minima parte di essa "affiora" al livello verbale, prima sottoforma di monologo interiore, poi di comunicazione. Ma a quali regole rispondono? Per come la vedo io, l'evidenza è che la funzione cognitiva del linguaggio risponde a quella che viene chiamata generalmente "grammatica universale", mentre la funzione comunicativa risponde ad un set subordinato di regole codificate in termini sociali (nazioni). Per dirla spicciola, pensiamo tutti praticamente all'interno degli stessi limiti, ma comunichiamo in maniera diversa. La sedimentazione grammaticale che si propone di alterare, risponde al dominio comunicativo, non cognitivo, tuttavia chi propone di alterare la lingua promette vantaggi cognitivi, cioè di "pensare diversamente" la donna, il trans, o chi altro fornendo spazi lessicali. Metaforicamente, per come la vedo io, è come uno che butta giù la tramezza tra il bagno e la cucina ed è convinto di avere un appartamento più grande. Certo l'open space fornisce l'illusione prospettica di vivere uno spazio più ampio, ma quando poi i fetori del cesso arrivano in sala da pranzo forse sarà costretto a rivalutare ..
Questo ovviamente non intende negare che anche alterare il modo in cui le persone comunicano non abbia un suo valore, anzi forse è l'unico valore, provocatoriamente si potrebbe dire che l'atto in sè di cambiare forzosamente la grammatica per farla aderire a certe idee è già un simbolo, una dimostrazione, di voler generare un cambiamento, anche se il cambiamento in sè non porterà a granchè di concreto, una sorta di profezia autoavverante, un ragionamento circolare.. così come in fondo è l'ipotesi di S/W.


Ovvio che io intendo superare l'ipotesi S/W proponendo che sia il comportamento a generare il linguaggio. Dire ciò significa sostenere la natura emotiva del linguaggio. Dire ciò significa dire che quel che molti pretendono di dire in tema che sia la lingua a determinare il pensiero costituisca di fatto nel mondo dei nostri discorsi l'emergenza di qualche apparenza sdrucciolevole in cui viene tenuta ancora in piedi detta ipotesi basandosi appunto su qualche indizio che ancora la regge.
Naturalmente io risolverei la domanda che pongo al termine del post precedente, ma preferirei che lo faceste Voi. Tutto ciò spiegherebbe infine il fatto che mi porterebbe a divergere dalla tua posizione in cui tu reputi che la soluzione del problema non porterebbe ad un granché. Qui non si tratta di forzare la grammatica intesa come un grosso dissesto che ci obblighi a chissà quali cambiamenti nei nostri comportamenti anche linguistici. In senso gattopardesco, si tratta di cambiare praticamente nulla perché tutto cambi

daniele22

Citazione di: daniele22 il 08 Febbraio 2022, 14:16:12 PM
Citazione di: InVerno il 08 Febbraio 2022, 13:04:50 PM
Vanno secondo me riconosciute due funzioni del linguaggio, una cognitiva e l'altra comunicativa, sarebbe anche interessante capire quale sia subordinata all'altra e dove effettivamente divergano ma... La prima può avvenire anche in maniera non verbale, anzi per la maggior parte  avviene in maniera non codificata, solo una minima parte di essa "affiora" al livello verbale, prima sottoforma di monologo interiore, poi di comunicazione. Ma a quali regole rispondono? Per come la vedo io, l'evidenza è che la funzione cognitiva del linguaggio risponde a quella che viene chiamata generalmente "grammatica universale", mentre la funzione comunicativa risponde ad un set subordinato di regole codificate in termini sociali (nazioni). Per dirla spicciola, pensiamo tutti praticamente all'interno degli stessi limiti, ma comunichiamo in maniera diversa. La sedimentazione grammaticale che si propone di alterare, risponde al dominio comunicativo, non cognitivo, tuttavia chi propone di alterare la lingua promette vantaggi cognitivi, cioè di "pensare diversamente" la donna, il trans, o chi altro fornendo spazi lessicali. Metaforicamente, per come la vedo io, è come uno che butta giù la tramezza tra il bagno e la cucina ed è convinto di avere un appartamento più grande. Certo l'open space fornisce l'illusione prospettica di vivere uno spazio più ampio, ma quando poi i fetori del cesso arrivano in sala da pranzo forse sarà costretto a rivalutare ..
Questo ovviamente non intende negare che anche alterare il modo in cui le persone comunicano non abbia un suo valore, anzi forse è l'unico valore, provocatoriamente si potrebbe dire che l'atto in sè di cambiare forzosamente la grammatica per farla aderire a certe idee è già un simbolo, una dimostrazione, di voler generare un cambiamento, anche se il cambiamento in sè non porterà a granchè di concreto, una sorta di profezia autoavverante, un ragionamento circolare.. così come in fondo è l'ipotesi di S/W.


Ovvio che io intendo superare l'ipotesi S/W proponendo che sia il comportamento a generare il linguaggio. Dire ciò significa sostenere la natura emotiva del linguaggio. Dire ciò significa dire che quel che molti pretendono di dire in tema che sia la lingua a determinare il pensiero costituisca di fatto nel mondo dei nostri discorsi l'emergenza di qualche apparenza sdrucciolevole in cui viene tenuta ancora in piedi detta ipotesi basandosi appunto su qualche indizio che ancora la regge.
Naturalmente io risolverei la domanda che pongo al termine del post precedente, ma preferirei che lo faceste Voi. Tutto ciò spiegherebbe infine il fatto che mi porterebbe a divergere dalla tua posizione in cui tu reputi che la soluzione del problema non porterebbe ad un granché. Qui non si tratta di forzare la grammatica intesa come un grosso dissesto che ci obblighi a chissà quali cambiamenti nei nostri comportamenti anche linguistici. In senso gattopardesco, si tratta di cambiare praticamente nulla perché tutto cambi


E la risposta arriva dalla tua considerazione che riporto:
".... La prima può avvenire anche in maniera non verbale, anzi per la maggior parte  avviene in maniera non codificata, solo una minima parte di essa "affiora" al livello verbale, prima sottoforma di monologo interiore, poi di comunicazione."

Ipazia

Già il cognitivo e comunicativo confermano il carattere fondativo del linguaggio rispetto alla specificità antropologica (en archè en o logos). Ma aggiungerei un terzo elemento, epifenomenico e sovrastrutturale, il carattere identitario del linguaggio, che lo fa diventare koinè di gruppi umani grandi e piccoli, suddivisi per condizione sociale, potere ed età.

Se i primi due elementi attengono principalmente alla regia degli adulti, il terzo interessa più la condizione giovanile che necessita di trovare nel linguaggio una verità esistenziale. Verità che nel mondo adulto si relativizza sempre più  e omologa alla koinè dominante.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

InVerno

Il comportamento genera linguaggio se lo intendi come la lingua, il mezzo stesso, ma non come funzione. Io ho sempre sofferto di forme abbastanza croniche di emicrania, dovute al fatto che i miei seni paranasali tendono ad ostruirsi facilmente, tuttavia nella mia famiglia nessuno soffre di emicrania, e fino ad una certa età non ho mai sentito qualcuno lamentarsi del "mal di testa", il mal di testa lo sentivo lo stesso, ma non avevo gli strumenti per scinderlo ed identificarlo, era parte non scissa della mia cognizione del mondo, coadiuvato dalla sua natura quasi cronica. Una volta che ne sono stato cosciente, ho cercato di contrastarlo, prestando maggiore attenzione alla salute delle mie vie nasali. Però non va confusa la capacità intellettiva della lingua, dalle regole e i modi in cui opera. Per esempio il passaggio dal termine colloquiale "mal di testa" al termine più medicalmente appropriato "emicrania" non penso abbia generato alcunchè cognitivamente, se non che comunicativamente posso accedere ad un corpus di informazioni specialistico ed essere maggiormente accettato e compreso nella cerchia di chi lo adopera, oltre che sembrare più colto. Vantaggi sociali e comunicativi che sono anche quelli da aspettarsi per chi volesse adottare la swha. Una sorta di cilicio linguistico, dove l'utilizzatore si frusta foneticamente per ricordarsi di quanto è umano e di quanto è bello davanti al signore.
Ma si tratta di un adozione volontaria per entrare nel circolo dei virtuosi, o è la proposta di un imposizione? La costituzione tutela la libertà di espressione, e penso che lo faccia in senso assoluto, prima ancora di domandarsi se la modalità dell'espressione possa alterare il comportamento, ma se così fosse, si tratterebbe di un infringimento ancora più profondo di quel diritto costituzionalmente accordato perchè abbraccerebbe l'espressione nella sua totalità. Dicono che la penna ne ferisca più della spada, ma è una balla, la spada ti ferisce sempre e comunque, l'unico che invece può determinare se è stato offeso dalla penna, è chi offeso si sente, e stando a sentire certa gente ogni parola è un pugnale.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

daniele22

Citazione di: InVerno il 09 Febbraio 2022, 06:48:13 AM
Il comportamento genera linguaggio se lo intendi come la lingua, il mezzo stesso, ma non come funzione. Io ho sempre sofferto di forme abbastanza croniche di emicrania, dovute al fatto che i miei seni paranasali tendono ad ostruirsi facilmente, tuttavia nella mia famiglia nessuno soffre di emicrania, e fino ad una certa età non ho mai sentito qualcuno lamentarsi del "mal di testa", il mal di testa lo sentivo lo stesso, ma non avevo gli strumenti per scinderlo ed identificarlo, era parte non scissa della mia cognizione del mondo, coadiuvato dalla sua natura quasi cronica. Una volta che ne sono stato cosciente, ho cercato di contrastarlo, prestando maggiore attenzione alla salute delle mie vie nasali. Però non va confusa la capacità intellettiva della lingua, dalle regole e i modi in cui opera. Per esempio il passaggio dal termine colloquiale "mal di testa" al termine più medicalmente appropriato "emicrania" non penso abbia generato alcunchè cognitivamente, se non che comunicativamente posso accedere ad un corpus di informazioni specialistico ed essere maggiormente accettato e compreso nella cerchia di chi lo adopera, oltre che sembrare più colto. Vantaggi sociali e comunicativi che sono anche quelli da aspettarsi per chi volesse adottare la swha. Una sorta di cilicio linguistico, dove l'utilizzatore si frusta foneticamente per ricordarsi di quanto è umano e di quanto è bello davanti al signore.
Ma si tratta di un adozione volontaria per entrare nel circolo dei virtuosi, o è la proposta di un imposizione? La costituzione tutela la libertà di espressione, e penso che lo faccia in senso assoluto, prima ancora di domandarsi se la modalità dell'espressione possa alterare il comportamento, ma se così fosse, si tratterebbe di un infringimento ancora più profondo di quel diritto costituzionalmente accordato perchè abbraccerebbe l'espressione nella sua totalità. Dicono che la penna ne ferisca più della spada, ma è una balla, la spada ti ferisce sempre e comunque, l'unico che invece può determinare se è stato offeso dalla penna, è chi offeso si sente, e stando a sentire certa gente ogni parola è un pugnale.


Complimenti per il fruttuoso esempio che hai portato e al quale non mi ero rivolto. Fatalità si tratta di una conoscenza che tu hai acquisito dalla tua esperenza personale. Pensa che al figlio di un mio amico è capitata la stessa cosa con la vista. Praticamente non se ne sono accorti i genitori, non se n'è accorto il pediatra (un po' grave), se n'è accorto suo nonno cacciatore quando voleva insegnargli a sparare col fucile. Si è accorto cioè che quando gli diceva di puntare il bersaglio col mirino, il bambino gli diceva che non lo vedeva. Non era proprio orbo da un occhio, ma poco ci mancava.
Quando ancora qualche anno fa mi resi conto in modo perfetto di come funzionava l'essere umano ho puntato subito al fatto che il nostro parlare corrispondesse ad un'abitudine, ovvero come dici tu che il comportamento genera linguaggio se lo intendi come lingua.
Praticamente, nel tuo caso, hai acquisito consapevolezza tramite l'ignoranza dei tuoi genitori. Ma l'ignoranza dei tuoi genitori non era ignoranza pura, bensì un'ignoranza rispetto a te.
Allora dico che c'è un intervallo di tempo tra l'allineamento delle tue consapevolezze con le consapevolezze degli altri che io definirei come un intervallo di incubazione della nuova consapevolezza. A mio giudizio questo intervallo, che può durare da un istante finanche alla fine della nostra vita, accadrebbe pure nel nostro organismo quando venga a contatto con un virus. Questo apre ad altri discorsi, ma l'ho messo apposta come un memento.
Non so invece se tu hai letto i post che ho fatto sulla mia esperienza della follìa, ma anche quella mia esperienza ha seguito in seguito gli stessi canoni. Cioè io ho consapevolizzato, dopo un bel po' di tempo (incubazione), la mia conoscenza esperendola dall'ignoranza degli altri. All'epoca in cui vissi l'esperienza poteva sicuramente andarmi peggio e finire nel baratro dell'ossessione, ma evidentemente, forse, la mia follìa non era stata generata da un'ossessione di carattere strettamente personale, bensì da una più blanda ossessione rivolta al mondo del lavoro che io non comprendevo, nel senso proprio che non lo concepivo, e nel quale non mi divertivo nemmeno un po' se non per quelle poche cose che devi apprendere quando ti poni a far qualcosa di nuovo e per il fatto che eri a contatto anche con persone piacevoli.
Quel che penso infine è che questa incubazione sia accaduta anche all'essere umano nel suo transito da scimmia antropomorfa a homo sapiens. E' interessante evidenziare in merito a ciò due espressioni della cultura ebraica e della cultura dell'islam. Gli ebrei dicono che si sono dimenticati il nome di Dio e gli arabi dicono di "non dimenticare il ricordo di Dio". Se per gli ebrei Dio è la parola, per gli islamici Dio è la scrittura (il corano stesso)

Alberto Knox

Citazione di: daniele22 il 09 Febbraio 2022, 10:11:27 AM. Se per gli ebrei Dio è la parola, per gli islamici Dio è la scrittura (il corano stesso)
Se parliamo di concetto di Dio per gli Ebrei allora dobbiamo abbandonare completamente il termine "logos" . Per gli Ebrei Dio è il Signore di un popolo, il loro popolo . In quanto il corano, che io sappia, le parole sono state trascritte e dettate  direttamente dalla voce di Dio , cioè ogni parola scritta viene da Hallà e da nessun altro. Leggere il corano quindi, equivale a leggere le parole di Dio.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

green demetr

Concordo nel valore psicologico del linguaggio.
Vi porto l'esempio del contado aquilano, dove ogni frazione ha il suo dialetto.
Dopo il terremoto della città L'Aquila, in molti si sono spostati nel contado, ebbene la lingua dello stesso contado si è andata sfumando come ad accudire a proteggere gli sfollati, e inconsciamente si sono messi a parlare la lingua della città, tramutando il dialetto di nuovo verso nuove forme, di genere e di "forma".

Come intuito già da Saussurre e meglio ancora come diceva Humboldt, la lingua è una lingua storica (in evoluzione, lo stesso wittgenstein si è poi ricreduto rispetto ai suoi anni duri e puri)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

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