ateismo e proiezione umana di Dio

Aperto da davintro, 06 Agosto 2017, 19:35:08 PM

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sgiombo

#45
Citazione di: davintro il 25 Settembre 2017, 20:52:22 PM
"finitezza", "diversità" sono concetti intelligibili, anche se sono proprietà di enti fisici, che conosciamo tramite l'esperienza sensibile. Conoscere, e dunque concettualizzare un ente, non  implica la conoscenza di tutte le sue proprietà, motivo per cui io posso conoscere un albero, formare per astrazione il concetto di albero, senza necessariamente conoscere e concettualizzare le sue proprietà, la sua finitezza.

CitazionePer conoscere (limitatamente, parzialmente) un ente o un evento non è necessario disporre delle nozioni della totalità delle sue possibili determinazioni, ma di almeno qualcuna sì, altrimenti non se ne sa alcunché, non lo si conosce per nulla (per definizione).



Cioè un conto è conoscere cose finite, un'altra l'idea di finitezza.

CitazioneL' idea di finitezza è semplicemente un' astrazione: di ciò che accomuna enti ed eventi finiti (da ciò che reciprocamente li diversifica).



Gli strumenti della percezione sensibile, i campi sensitivi del corpo entrano in funzione quando vengono in contatto con degli oggetti fisici, dei contenuti sensibili che poi ("poi" non da intendersi nel senso di un prima-dopo cronologico), l'intelletto pone come contenuto di un concetto generale, mentre le idee riferite a contenuti intelligibili non avendo un corrispettivo fisico non possono essere appresi dai sensi del corpo, ma sono da sempre presenti nella componente spirituale, o immateriale, dell'intelletto, la cui immaterialità è adeguata all'immaterialità del senso di tali concetti.

CitazioneInnanzitutto anche le idee (i concetti) derivate da sensazioni (dagli "oggetti fisici"; ed anche da quelli mentali, di pensiero) sono intelligibili (non sono qualcosa di incomprensibile, bensì qualcosa di cui si parla "con cognizione di causa").

Inoltre quelle di esse che non si riferiscono a un corrispettivo fenomenico (fisico-materiale, o anche mentale-di pensiero) non sono affatto "da sempre presenti nella componente spirituale, o immateriale, dell'intelletto, la cui immaterialità è adeguata all'immaterialità del senso di tali concetti": fino a prova contraria è del tutto evidente che nessun neonato o bambino di tre anni (che sa parlare) possiede la nozione di "nulla assoluto" o di "noumeno" (e nemmeno alcun bambino delle scuole elementari, per lo meno per quanto riguarda la seconda"); che invece si acquisiscono (alla "debita" età) del tutto "adeguatamente" per ragionamento, applicando concetti astratti come "diverso" o "contrario" ad altri concetti astratti come "qualcosa (di realmente esistente)" o rispettivamente "apparente", fenomenico", "cosciente", ecc.. Dunque a posteriori, dopo avere esperito in generale non pochi oggetti (enti o eventi; materiali o anche mentali) particolari-concreti fenomenici, ovvero apparenti, ovvero coscienti, e in particolare non pochi oggetti (enti o eventi; materiali o mentali) particolari-concreti reciprocamente diversi o contrari.



La conoscenza implica sempre l'adeguatezza del soggetto alla natura dell'oggetto, un soggetto materiale non può adeguarsi a qualcosa di qualitativamente distinto come un'oggettualità immateriale. Per questi motivi trovo inappropriato mettere  la formazione sintetica dei concetti riferibili a realtà fisiche (anche se non esistenti), come l'ippogrifo sullo stesso piano della formazione dei concetti intelligibili come l'infinito. L'ippogrifo, qualora esistesse, sarebbe una realtà materiale, cioè occupante uno spazio, divisibile in parti, quindi ha senso che la formazione di tale idea nella nostra mente sia il frutto della sintesi immaginativa, che unisce un corpo di cavallo con delle ali ( tutte immagini apprese nell'esperienza sensibile). Invece l'idea di infinito non può essere la somma di "finito" e "negazione" come se queste fossero delle ripartizioni spaziali, come nel caso delle parti che uniscono l'ippogrifo. L'infinito ha un senso immateriale, non ha spazialità, e quindi non ha parti che possano formarlo e delimitarlo, e la sua immaterialità lo rende una nozione semplice, primitiva, originaria, un'unità qualitativa sempre presente alla nostra mente. In breve, considero innati i concetti aventi un significato intelligibile come "infinito", "libertà", "giustizia", e come derivati dall'esperienza sensibile quei concetti riferibili a realtà materiali, che in quanto tali entrano in contatto con i sensi corporei, "albero", "tavolo" ecc.

CitazioneNon è vero che "La conoscenza implica sempre l'adeguatezza del soggetto alla natura dell'oggetto";per esempio un soggetto del tutto incapace di nuotare può benissimo avere una più che adeguata comprensione del concetto di "nuoto" o uno che non abbia mai ballato può benissimo avere una più che adeguata comprensione del concetto di "walzer" o di "tango"; nessun critico d' arte che io sappia sa scolpire, ovvero è minimamente "adeguato alla natura delle sculture", ma ciò non impedisce loro di parlare a ragion veduta dei bronzi di Riace o del Mosè di Michelangelo. La conoscenza (teorica), ben diversa dall' operare pratico, non implica necessariamente la capacità pratica di realizzare ciò che si conosce (teoricamente; avverbio pleonastico).

Come ho mostrato nell' obiezione appena più sopra, semplicissime operazioni mentali di astrazione e di "messa in relazione" o "applicazione", "riferimento" reciproco (non di banale "somma" quantitativa -che sarebbe effettivamente senza senso- ma invece di stabilimento di rapporti per così dire "qualitativi") fra concetti consentono benissimo l' acquisizione a posteriori di qualsiasi nuovo concetto, compresi quelli di "nulla", di "infinito", di "Dio", "soprannaturale", "noumeno" e chi più ne ha più ne metta.
Per i concetti di "immateriale" o "mentale" o "pensato", invece, basta semplicemente l' astrazione dalle particolari-concrete sensazioni interiori comunemente esperite. E così pure per i concetti di "libertà" e di "giustizia".



E il fatto che non tutti arrivino a rendersene conto della presenza in noi di concetti a-priori è un'obiezione che avrebbe una logica proprio non tenendo conto della distinzione tra "coscienza" e "rendersi conto", cioè tra coscienza e attenzione che ho provato a spiegare prima. La psiche è una realtà complessa e stratificata, di cui non possiamo in ogni momento avere una coscienza piena, la nostra attenzione si dirige un momento su un contenuto psichico, ora su un altro, lasciando sempre dei contenuti in ombra provvisoria, ma non per questo interiormente assenti. Quante volte ci capita, anche attraverso un richiamo sensibile esterno, di sentire riemergere alla nostra attenzione un problema, un'idea che avevamo dimenticato, o creduto di aver rimosso completamente? Eppure non ha senso pensare che tale contenuto mentale sia creato ex novo dallo stimolo esterno. Quest'ultimo è solo l'occasione in cui l'Io è stato stimolato a rivolgere l'attenzione su idee che però riconosciamo come già presenti nella nostra coscienza. Questo mostra la non coincidenza fra coscienza e "rendersi conto",

CitazioneProva a convincere un neonato o anche solo un bambino di tre anni che sa parlare di rendersi conto che conosce i concetti di cui sopra ma semplicemente non ci sta facendo caso; ovviamente non: insegnandogli a posteriori quale ne sia il significato, ma solo dicendogli di fare bere attenzione a ciò che, sia pure un po' distrattamente, di già conosce, ha già in mente (sia pure in uno stato di "ombra provvisoria", ma non per questo interiormente assenti); dicendogli. "pensaci bene!", come quando si cerca di fargli ricordare qualcosa che conosce ma al momento non riesce a rammentare, per esempio dove ha appoggiato il cappello che attualmente non si trova.
Al concetto di "infinito" (e a tutti gli altri), dopo che lo si è acquisito a posteriori, non si fa caso se, per esempio, si sta guidando in un traffico intenso e convulso che richiede grande attenzione e concentrazione nella conduzione del proprio veicolo; ma basta fermarsi e fare attenzione a ciò che si sa (avendolo imparato a posteriori), ai propri ricordi in proposito, per richiamarlo prontamente alla mente cosciente; se invece non lo si è previamente imparato a posteriori, allora non c' è attenzionamento, "spremitura delle meningi", per quanto poderosa, che tenga: non lo si ricorda. Se prima qualcuno non ce lo ha insegnato o non vi siamo arrivati autonomamente per astrazioni dalla e ragionamenti sulla nostra precedente esperienza (a posteriori!) non c' è alcun  modo di rendersi conto di conoscerlo.
La cosiddetta "maieutica socratica" che sarebbe in azione nei dialoghi di Platone in realtà non consiste affatto nel prestare attenzione a cose di già conosciute ma momentaneamente trascurate perché "non ci si fa caso", magari in quanto si sta pensando ad altro; è invece una forma di "insegnamento didatticamente non passivo" (cioè non di nozioni trasmesse verbalmente in quanto "già confezionate"), di "guida didatticamente attiva" all' elaborazione "in prima persona" a posteriori di nozioni e concetti attraverso il ragionamento su concetti astratti a partire da sensazioni particolari concrete (un far "ripercorrere" al discente il "cammino" dell' elaborazione dei concetti più astratti e "lontani" dall' esperienza quotidiana, anziché presentarglieli così come sono stati già in precedenza elaborati -sempre a posteriori- da altri prima di lui).

Ogni volta che "ci capita, anche attraverso un richiamo sensibile esterno, di sentire riemergere alla nostra attenzione un problema, un'idea che avevamo dimenticato, o creduto di aver rimosso completamente", allora contemporaneamente al "sovvenire" di tale idea, al rammentarla, all' esserne attualmente coscienti, inevitabilmente siamo coscienti anche del fatto che già la sapevamo, che già altre volte l' avevamo pensata: la "riconosciamo", non la "conosciamo"!
Non così quando leggendo un libro di filosofia o banalmente un vocabolario veniamo a conoscenza (per la prima volta: la conosciamo; e non: la riconosciamo) di un' idea (fosse pure quella di "infinito", di "Dio", di "nulla", ecc.); oppure quando qualcuno "con (pretesa) socratica maieutica" ci fa ripercorre il "cammino mentale", che a partire dai dati particolari concreti della nostra esperienza conduce all' elaborazione (a posteriori!) di essa: in questi casi ci rendiamo ben conto della novità di tale conoscenza, del fatto che essa è stata acquisita "ex novo" e (direttamente in prima persona o indirettamente per trasmissione linguistica da parte di altri) a partire da "stimoli esterni" (e da astrazioni, ragionamenti) a posteriori.



in quanto come potrei riconoscere le idee come riemergenti dal nostro interno se queste non fossero già da prima trattenuti dalla coscienza anche se non oggetto di attenzione riflessa?

CitazioneMa, come illustrato nelle precedenti obiezioni, esse non "riemergono affatto dal nostro interno" (nel quale non sono mai state), ma invece "vi si introducono" a posteriori.



Mostra cioè come il fatto che il "rendersi conto" di qualcosa accada in un certo momento della nostra esperienza non vuol dire che la sua presenza nella nostra mente si realizza in quel momento, ma che è già in atto in noi stessi precedentemente. Questa non è una petizione di principio che presuppone quel che dovrebbe spiegare, ma un dato fenomenologico che può normalmente manifestarsi nel corso dell'esperienza ordinaria, riconoscibile al di là delle varie opinioni che si possono avere sull'origine dei concetti, nelle varie rievocazioni di qualcosa che non ci appare provenire dall'esterno, anche quando si verifica un concomitante stimolo sensibile, ma da una profondità dei livelli psichici

CitazioneInvece ritengo che si tratti proprio di una petizione di principio, come argomentato nelle precedenti obiezioni.

Phil

Citazione di: sgiombo il 26 Settembre 2017, 17:13:30 PM
Citazione di: davintro il 25 Settembre 2017, 20:52:22 PM
in quanto come potrei riconoscere le idee come riemergenti dal nostro interno se queste non fossero già da prima trattenuti dalla coscienza anche se non oggetto di attenzione riflessa?
Ma, come illustrato nelle precedenti obiezioni, esse non "riemergono affatto dal nostro interno" (nel quale non sono mai state), ma invece "vi si introducono" a posteriori.
Secondo me queste due osservazioni ben riassumono l'aporia di fondo, l'indimostrabile divergenza interpretativa: quando ho un'idea, la genero o la ricordo? Si tratta di metabolizzare il nuovo input in strutture cognitive già abbozzate (contenenti input simili), di astrarre proprietà e inserirle in processi logico-formali, semplicemente di apprendere dal contesto circostante secondo i processi mentali propri dell'uomo (o anche tutte e tre le attività assieme); oppure è invece l'idea a essere scoperta (non inventata), risvegliata dal sonno dell'inconsapevolezza, finalmente chiamata a manifestarsi alla coscienza dopo essere stata nella "sala d'attesa" dell'inconscio (letteralmente, non necessariamente freudiano) fin dalla nascita?

La consapevolezza di un'idea inizia con l'accadere della sua presenza, e le ipotesi su ciò che è un passo indietro a tale presenza d'esordio (ovvero l'ultimo passo della sua assenza precedente) credo siano di difficile indagine, specialmente se si coinvolge l'imperscrutabile, il non studiabile. Come dimostrare che tali idee non giacciano da sempre sopite nella mia anima, come "dotazione standard" di tutte le anime (per chi crede nell'anima)? Come dimostrare che tali idee non siano "file nascosti"  in una cartella protetta del mio sistema operativo mentale (per gli amanti del cognitivismo "computazionale")? Come dimostrare che tali idee non siano generate per ricombinazione di elementi e processi già improntati in precedenza (per i comportamentisti e i funzionalisti, se non erro), che non accadano per "predisposizione" mentale (per i sostenitori della gestalt), per pura appercezione logico-astrattiva e trascendente (per gli intuizionisti), o per causazione di un effetto sostanziale eccedente ma non avulso dalla suo substrato causale (per gli emergentisti e i buddisti; e la lista potrebbe continuare...)?

Di sicuro c'è la presenza, la disponibilità, la fruibilità dell'idea (in tutti i suoi limiti), sebbene le sue origini paiono avere molteplici indizi, a seconda dello sguardo che le cerca  ;)

Mario Barbella

Citazione di: Phil il 06 Agosto 2017, 22:29:18 PM
Citazione di: davintro il 06 Agosto 2017, 19:35:08 PM
proprio il senso delle categorie con cui il teismo descrive Dio sono il miglior argomento per risalire razionalmente alla sua esistenza. O quantomeno la presenza alla mente umana di tali categorie resta irrisolta fintanto che le ragioni le ci ricercano nell'ambito della dimensione mondana e immanente, perché concetti come "eternità", "totalità", "perfezione" hanno un senso che non si identifica con nessuno degli oggetti della nostra esperienza mondana ordinaria.
Forse più che di "proiezione", in quei casi, è opportuno parlare di "sublimazione", "gradazione ontologica" (come facevano i medievali, se non erro) o semplicemente "astrazione", secondo differenti modalità: se sperimento la caducità, mi basta pensarne la negazione (non-caducità) per ottenere il concetto d'eternità; se osservo la parzialità posso astrarne il concetto di totalità come suo contrario; se individuo graduali imperfezioni (più o meno rilevanti), posso arrivare a supporre un'ideale assenza di imperfezioni...
A farla breve, se penso a tutto ciò che è passeggero, parziale, imperfetto, materiale, in una parola sola "immanente", posso poi sublimarlo, anche via negationis, in qualcosa di grado sommamente superiore... ed ecco il concetto di trascendente partendo dall'esperienza dell'immanente.

Citazione di: Sariputra il 06 Agosto 2017, 21:45:23 PM
L'idea di divinità non è a priori e poi , le varie esperienze, ne sono state ricondotte per darne una spiegazione, ma è a posteriori, cioè nata sulla base di queste esperienze trascendentali
Concordo, anche se "esperienze trascendentali" è un po' un ossimoro (esperisco l'immanente, se esperissi il trascendente diverrebbe subito immanente al mio percepirlo/esperirlo ;) ), tuttavia dipende se parliamo di "trascendere" in senso (neuro)cognitivo o in senso mistico (oppure facciamo magari coincidere le due istanze).
.
O.K.
Un augurio di buona salute non si nega neppure a... Salvini ! :)
A tavola potrebbe pure mancare il cibo ma... mai il vino ! Si, perché una tavola senza vino è come un cimitero senza morti  ;)  (nota pro cultura (ed anche cucina) mediterranea)

sgiombo

#48
Citazione di: Phil il 26 Settembre 2017, 18:44:14 PM
Citazione di: sgiombo il 26 Settembre 2017, 17:13:30 PM
Citazione di: davintro il 25 Settembre 2017, 20:52:22 PM
in quanto come potrei riconoscere le idee come riemergenti dal nostro interno se queste non fossero già da prima trattenuti dalla coscienza anche se non oggetto di attenzione riflessa?
Ma, come illustrato nelle precedenti obiezioni, esse non "riemergono affatto dal nostro interno" (nel quale non sono mai state), ma invece "vi si introducono" a posteriori.
Secondo me queste due osservazioni ben riassumono l'aporia di fondo, l'indimostrabile divergenza interpretativa: quando ho un'idea, la genero o la ricordo? Si tratta di metabolizzare il nuovo input in strutture cognitive già abbozzate (contenenti input simili), di astrarre proprietà e inserirle in processi logico-formali, semplicemente di apprendere dal contesto circostante secondo i processi mentali propri dell'uomo (o anche tutte e tre le attività assieme); oppure è invece l'idea a essere scoperta (non inventata), risvegliata dal sonno dell'inconsapevolezza, finalmente chiamata a manifestarsi alla coscienza dopo essere stata nella "sala d'attesa" dell'inconscio (letteralmente, non necessariamente freudiano) fin dalla nascita?

La consapevolezza di un'idea inizia con l'accadere della sua presenza, e le ipotesi su ciò che è un passo indietro a tale presenza d'esordio (ovvero l'ultimo passo della sua assenza precedente) credo siano di difficile indagine, specialmente se si coinvolge l'imperscrutabile, il non studiabile. Come dimostrare che tali idee non giacciano da sempre sopite nella mia anima, come "dotazione standard" di tutte le anime (per chi crede nell'anima)? Come dimostrare che tali idee non siano "file nascosti"  in una cartella protetta del mio sistema operativo mentale (per gli amanti del cognitivismo "computazionale")? Come dimostrare che tali idee non siano generate per ricombinazione di elementi e processi già improntati in precedenza (per i comportamentisti e i funzionalisti, se non erro), che non accadano per "predisposizione" mentale (per i sostenitori della gestalt), per pura appercezione logico-astrattiva e trascendente (per gli intuizionisti), o per causazione di un effetto sostanziale eccedente ma non avulso dalla suo substrato causale (per gli emergentisti e i buddisti; e la lista potrebbe continuare...)?

Di sicuro c'è la presenza, la disponibilità, la fruibilità dell'idea (in tutti i suoi limiti), sebbene le sue origini paiono avere molteplici indizi, a seconda dello sguardo che le cerca  ;)
CitazioneIl concetto di "idea o nozione inconscia" può essere inteso come

a) ricordo non in atto ed evocabile con sforzi ("spremiture di meningi") più o meno intensi (o magari grazie all' impiego di strumenti esterni alla coscienza: letture di testi);

oppure:

b) mera potenzialità, nulla di (attualmente, effettivamente) reale, ma il mero fatto ipotetico che se si danno determinate condizioni, allora "appare alla coscienza (id est: comincia ad esistere in quanto tale: idea o nozione).

Nel primo caso si tratta sempre di conoscenze apprese in passato a posteriori, nel secondo di conoscenze eventualmente apprendibili in futuro parimenti a posteriori.

Sostenere l' innatismo (o anche sospendere il giudizio in proposito) in quanto (del tutto ovvia!) potenzialità, capacità, attitudine di acquisire (sic!) dee o nozioni a determinate condizioni, mi sembra un mero gioco di parole retorico, un sofisma: é del tutto ovvio che perché su una "tabula rasa" si possa scrivere qualcosa, innanzitutto tale tabula rasa deve esistere ed essere potenzialmente passibile (a certe condizioni) di essere fatta oggetto di scrittura!


Phil

Citazione di: sgiombo il 26 Settembre 2017, 21:03:24 PM
Sostenere l' innatismo (o anche sospendere il giudizio in proposito) in quanto (del tutto ovvia!) potenzialità, capacità, attitudine di acquisire (sic!) dee o nozioni a determinate condizioni, mi sembra un mero gioco di parole retorico, un sofisma: é del tutto ovvio che perché su una "tabula rasa" si possa scrivere qualcosa, innanzitutto tale tabula rasa deve esistere ed essere potenzialmente passibile (a certe condizioni) di essere fatta oggetto di scrittura!
Suppongo che chi sostenga l'innatismo come tratteggiato da davintro (se non l'ho frainteso :) ), non parli esattamente di "acquisizione" o di scrittura sulla "tabula rasa", ma piuttosto di far riaffiorare alla consapevolezza/coscienza idee già presenti... personalmente, non sono propenso a questo tipo di spiegazione, tuttavia immagino che in una prospettiva in cui la trascendenza gioca un ruolo fondamentale, in cui il divino è la pietra angolare dell'impalcatura teoretica, in cui forse l'anima è un elemento costituente dell'uomo, in una cornice così metafisica (e non lo dico in modo offensivo) la possibilità di idee innate trascendenti che attendono solo di essere "attivate", non mi pare affatto illegittima  ;)

paul11

#50
Il fatto che Platone indicasse che vi fosse un sapere "innato" che indicava nella memoria e spiegabile con la reincarnazione, il fatto che kant. da tutt'altra sponda filosofica lo indichi come apriori, il fatto che da tutt'altra scienza che è clinica medica  jung si accorge che i pazienti hanno sogni i cui simboli non hanno nulla di attinente cone l'esperienza avuta dal paziente stesso e li trova in molti pazienti, tanto da  chiamarlo archetipo e da costruirne una vasta letteratura, significa che qualcosa (sarà l'anima, sarà la trasmigrazione o reincarnazione, sarà nel DNA....?), ma qualcosa c'è di sicuro.
Non può essere la sola esperienza nel sensibile, vale a dire sensoriale percettiva a costruire l'astrazione, il trascendente. Se così fosse tutti gli animali trascenderebbero linguisticamente.
Ritengo che vi sia una preessitente conoscenza o sapere che si confronta esistenzialmente con il mondo naturale e che dal confronto nascano i concetti. Non può esserci una sola astrazione in sé e per sé, e un albero in sé e per sé, se non che entrambi vengono confrontati (c è chi la chiama dialettica, chi dualità, chi complementarietà,ecc).
Il confronto trascende il mondo naturale perché lo porta linguisticamente nel concetto che è una sintesi fra l'astrazione e il fisico naturale,
E' altrettanto razionale chiedersi da dove provenga quella, preesitente alla nascita , capacità di confrontare l'astratto e il concreto;da questo nasce la problematica fra Essere ed Esistenza.
Se si decide che l'essere è prioritiario sull'esistenza, quest'ultima è riconducibile all'essere e necessariamente si astrae concettualmente e razionalmente  nella metafisica, fino alla spirtualità e alla sintesi dell'Uno, di Dio, che spiega quindi il  rapporto fra essere ed esistenza: perché dà i significati e il senso all'esistenza
Se la priorità è sull'esistenza, l'essere diventa duale,direi antitetico, contraddittorio,  perché da sola l'esistenza non spiega se stessa senza richiamare l'essere. Quindi, come certa cultura vuole, l'uomo sarebbe ridotto ad un animale un poco razionale, che viene dal nulla e sparisce nel nulla.

sgiombo

#51
Citazione di: Phil il 26 Settembre 2017, 23:33:36 PM
Citazione di: sgiombo il 26 Settembre 2017, 21:03:24 PM
Sostenere l' innatismo (o anche sospendere il giudizio in proposito) in quanto (del tutto ovvia!) potenzialità, capacità, attitudine di acquisire (sic!) dee o nozioni a determinate condizioni, mi sembra un mero gioco di parole retorico, un sofisma: é del tutto ovvio che perché su una "tabula rasa" si possa scrivere qualcosa, innanzitutto tale tabula rasa deve esistere ed essere potenzialmente passibile (a certe condizioni) di essere fatta oggetto di scrittura!
Suppongo che chi sostenga l'innatismo come tratteggiato da davintro (se non l'ho frainteso :) ), non parli esattamente di "acquisizione" o di scrittura sulla "tabula rasa", ma piuttosto di far riaffiorare alla consapevolezza/coscienza idee già presenti... personalmente, non sono propenso a questo tipo di spiegazione, tuttavia immagino che in una prospettiva in cui la trascendenza gioca un ruolo fondamentale, in cui il divino è la pietra angolare dell'impalcatura teoretica, in cui forse l'anima è un elemento costituente dell'uomo, in una cornice così metafisica (e non lo dico in modo offensivo) la possibilità di idee innate trascendenti che attendono solo di essere "attivate", non mi pare affatto illegittima  ;)
CitazioneNemmeno io considero offensivo il concetto di "metafisica".
Anzi, personalmente ho credenze ontologiche (anche) decisamente metafisiche (che ritengo conseguentemente razionalistiche e che includono la trascendenza, ma non la divinità).
Ma credo che ci sia metafisica e metafisica.
Una metafisica nella quale "il divino è la pietra angolare dell'impalcatura teoretica" (ma non so se sia il caso di quella di Davintro; anzi, da che ci sono gli chiedo espressamente se lo sia o meno) si può ben comprendere che possa integrarsi con una gnoseologia innatistica (comunque tutta da provare).
E tuttavia, innanzitutto credo di avere argomentato contro la possibilità che "così stiano le cose".
E inoltre non si può sostenere una gnoseologia innatistica facendo leva sul concetto di "inconsapevolezza" delle dee innate e non ancora presenti alla mente cosciente (bensì eventualmente solo a posteriori, in seguito ad esperienze e astrazioni e ragionamenti sulle esperienze empiriche), che può solo significare: o la momentanea "inattenzione cosciente" circa ricordi (= nozioni in passato acquisite a posteriori, di cui si ha memoria momentaneamente implicita, potendola generalmente esplicitare consapevolmente a piacimento  per lo meno con l' ausilio di mezzi artificiali exracoscienti, come vari tipi di "promemoria", soprattutto linguistici); oppure la mera potenzialità di future acquisizioni di idee e conoscenze, comunque a posteriori.

sgiombo

#52
Citazione di: paul11 il 27 Settembre 2017, 00:41:53 AM
Il fatto che Platone indicasse che vi fosse un sapere "innato" che indicava nella memoria e spiegabile con la reincarnazione, il fatto che kant. da tutt'altra sponda filosofica lo indichi come apriori, il fatto che da tutt'altra scienza che è clinica medica  jung si accorge che i pazienti hanno sogni i cui simboli non hanno nulla di attinente cone l'esperienza avuta dal paziente stesso e li trova in molti pazienti, tanto da  chiamarlo archetipo e da costruirne una vasta letteratura, significa che qualcosa (sarà l'anima, sarà la trasmigrazione o reincarnazione, sarà nel DNA....?), ma qualcosa c'è di sicuro.
Non può essere la sola esperienza nel sensibile, vale a dire sensoriale percettiva a costruire l'astrazione, il trascendente. Se così fosse tutti gli animali trascenderebbero linguisticamente.
Ritengo che vi sia una preessitente conoscenza o sapere che si confronta esistenzialmente con il mondo naturale e che dal confronto nascano i concetti. Non può esserci una sola astrazione in sé e per sé, e un albero in sé e per sé, se non che entrambi vengono confrontati (c è chi la chiama dialettica, chi dualità, chi complementarietà,ecc).
Il confronto trascende il mondo naturale perché lo porta linguisticamente nel concetto che è una sintesi fra l'astrazione e il fisico naturale,
E' altrettanto razionale chiedersi da dove provenga quella, preesitente alla nascita , capacità di confrontare l'astratto e il concreto;da questo nasce la problematica fra Essere ed Esistenza.
Se si decide che l'essere è prioritiario sull'esistenza, quest'ultima è riconducibile all'essere e necessariamente si astrae concettualmente e razionalmente  nella metafisica, fino alla spirtualità e alla sintesi dell'Uno, di Dio, che spiega quindi il  rapporto fra essere ed esistenza: perché dà i significati e il senso all'esistenza
Se la priorità è sull'esistenza, l'essere diventa duale,direi antitetico, contraddittorio,  perché da sola l'esistenza non spiega se stessa senza richiamare l'essere. Quindi, come certa cultura vuole, l'uomo sarebbe ridotto ad un animale un poco razionale, che viene dal nulla e sparisce nel nulla.
CitazioneBeh, definire quella di Jung "scienza" e "clinica moderna" mi sembra quanto meno decisamente forzato...

E infatti sostenere "che i pazienti hanno sogni i cui simboli non hanno nulla di attinente con l'esperienza avuta dal paziente stesso" (sottolineatura in neretto mia) mi sembra una mera fantasticheria antiscientifica.

Per me il "qualcosa che c' è di sicuro" è semplicemente la naturalissima rielaborazione onirica gratuita (cioè non legata a e condizionata, non limitata da) esigenze pratiche immediate ma pe così dire "a ruota libera" delle pregresse esperienze da svegli (tutto il resto crede di vedercelo la fervida fantasia non sottoposta al vaglio della ragione e della scienza di Jung e degli altri psicoanalisti).

Gli animali diversi dall' uomo non possono astrarre linguisticamente semplicemente perché non dispongono del linguaggio; se l' avessero potrebbero benissimo dalla "sola esperienza nel sensibile, vale a dire sensoriale percettiva (ragionandoci su) costruire l'astrazione, il trascendente".

Di preesistente c' è solo la capacità di fare confronti fra i dati dell' esperienza, astrazioni, ragionamenti (cioè quella che comunemente si denomina l' "intelligenza umana"): nessuna conoscenza, ma solo la capacità di conoscere (se e quando attuata applicandola empiricamente a posteriori).

E infatti tu stesso scrivi, giustamente, che esiste una "preesistente alla nascita, capacità di confrontare l'astratto e il concreto" (sottolineatura in grassetto mia); nessuna conoscenza, ma solo la possibilità di acquisire a posteriori conoscenza, dell' astratto e del concreto e di confrontarli.

Ma che significa "decidere che l' essere sia prioritario sull' esistenza"?
Che le dee sono eternamente state ed eternamente staranno nel cielo iperuranio?
Oggi mi sembra insostenibile razionalmente, fondatamente (anche se naturalmente si può sempre decidere di credere fantasticamente quel che si vuole).
Ovviamente se si crede in Dio, data la Sua onnipotenza, se ne può dedurre "di tutto e di più"; ma la verità di ciò che se ne deduce è condizionata dalla verità della premessa; e questa non credo proprio sia dimostrabile.
Nella credenza (che ritengo anzi vera) che "l'uomo sarebbe ridotto ad un animale un poco razionale, che viene dal nulla e sparisce nel nulla. " non vedo proprio alcuna contraddizione.


(Oh, finalmente mi ritrovo nuovamente "solo contro tutti".
Cosa che mi impegnerà e mi "costerà del tempo", che peraltro ritengo sarà "bene speso" da parte mia, con soddisfazione intrinseca e soprattutto perché utile a chiarirmi, affinare, correggere ed eventualmente cambiare "in maniera rivoluzionaria", se necessario, le mie convinzioni).

green demetr

Ma non vedo proprio cosa c'entri l'ontologizzazione (entificazione) con Dio.

La filosofia (quella Grande, non il surrogato con cui mi tocca fare i conti giornalieri, più per sfizio che per altro) il problema della Divinità l'ha risolto già al tempo dei presocratici.

E' bizzarro che Dio abbia le fattezze umane, si dicevano fra loro....

Quindi è ovvio che Dio sia una proiezione umana. Ma veramente dobbiamo rifletterci su?

Ma torniamo al punto di partenza, che tutti ovviamente, hanno dimenticato:

Nella gestalt per prima, ma ormai oggi quasi tutte le filosofie della percezione, si riconosce la distinzione fatta da Locke-Berkley tra Oggetto e Sfondo.

Ovvero l'oggetto che noi percepiamo si percepisce solo tramite uno sfondo da cui emerge.

Innumerevoli a sentire il prof. Spinicci, e in parte li abbiamo studiati, gli esperimenti che lo testimoniano.

E sia pure. Ma il fatto che qualcosa emerga da uno sfondo, ossia da uno spazio aperto a forma di quadrato, non giustifica affatto quando vai cianciando Davintro.

La forma del quadrato è Dio????? (perchè  è quello che hai scritto nella tua lunga e pesante introduzione)

Mi pare alquanto bizzarro e senza senso alcuno. (Nè più nè meno che come l'idea folle di Jung che Dio sia il soffio di vento del Sole......)

Sinceramente siamo messi male, e credo che il tutto avvenga per le solite fissazioni ossessive prodotte dal sistema paranoico in cui viviamo. E che mi sembra qualcuno abbia anche notato, salvo poi ripiombare sulle questione dell'ente.  ::)


Un ente è un ente dirà Pierini....e chissenefrega!  8)

Ha ragione Phil nel ritenerle tutte delle induzioni, salvo poi NON spiegare perchè le ritenga tali. (da bravo formalista mimetizzato da relativista qual è)

Sono delle induzioni perchè il tessuto sociale, che naviga a vista di palmo dal naso, riconosce solo gli oggetti davanti a sè.

Ma non si interroga sulle relazioni (e di nuovo sono d'accordo con Paul che ha tentato di salvare Davintro parlando di relazioni fra oggetti e non di oggetti, chiara proiezione del sè, non il Sè con la maiuscola).
Figuriamoci riconoscere quelle lontane, come lo Sfondo.

 E se dunque esistono solo oggetti allora anche l'uomo è un oggetto e come tale va indagato.

Il cognitivismo, scuola psicologica già presente in Italia, e la sua sorella lo psicodinamismo, sono delle nefandezze, peggio del cristianesimo. E qui mi fermo.
La motivazione sarebbe lunga e fastidiosa da sentire.
Ma almeno per giustificare ricordo solo le parole del poeta Montale: " l'uomo non è solo quello che è, ma è anche quello che sogna".
Che voglio dire basta e avanza. (ma tanto non interessano queste cose...va da sè)

Come dire Umano troppo Umano: come al solito siamo sempre nelle pianure desolate e piene di nebbia nella cittadella "mediocrità" sovrastata dal Monte Nietzche.

++++

No! sul serio! lo spunto iniziale era buono, si può parlare di Dio, ma il massimo che possiamo fare è indicare il limite entro cui svanisce la nostra comprensione di Lui (o Lei che sia  ;) ).
Ma questa compresnione non sono i monismi di Eccles e chi per lui, in quanto la dimostrazione di DIO per entificazione, è solo l'ennesima proiezione fantasmatica, dell'entificazione a cui sottoponiamo giornalmente le nostre esistenze (misere, miserrime di uomini, stanchi nel mio caso, d'occidente).

Altri sono i Discorsi, ed è chiaro che sono discorsi! l'aporia sarebbe volere entificare pure quelli.

In poche parole è il senso da rintracciare nella Negatività del suo assunto. (appunto nel suo assoluto, nella sua dissoluzione)

E' nella negatività che va assunto, e ossia nella sua morte.

Che poi la morte abbia spinto l'umanità nel credere che fosse carne (ebraismo) o magia (tutte le scuole orientali, buddismo compreso).
E' un errore trito e ritrito che richiede ben altri orizzonti.

Ma questi orizzonti NON POSSONO avere come presupposto l'obnubilazione della Morte.

E' veramente MOLTO triste. (e che ci può fare la filosofia? oh scusate La (!) FILOSOFIA?)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

paul11

Sgiombo,
poco per volta diventerai metafisico......per il semplice fatto che il pensiero non può a sua volta come noi come esistenza  nascere, sopravvivere biologicamente e morire come un virus: ma non per arroganza o potenza umana, ma è proprio perchè è lo stesso pensiero che non può arrestarsi al dominio mutevole dell'esistenza su cui non può che originariamente esserci un ordine.
Il fatto stesso che praticamente tutti i filosofi i siano comunque posti il duplice problema: se c'è un sapere aprioristico innato ,prima ancora di esperire conoscenza nel mondo; se c'è un pensiero, perchè esiste ,a quale dominio appartiene, a quello fisico naturale?

Green,
 la fattezza umana di Dio, io la definisco enfatizzazione dell'ignoranza umana.
Sono un credente  filosoficamente per deduzione razionale, sono un cristiano per il messaggio di Gesù.
Che poi si passi per culto il baciare l'immaginetta(il santino) fatta dalla tipografia all'angolo della strada , francamene............

sgiombo

Veramente creo di essere metafisico già da gran tempo...

Non credo che l' esistente debba per forza (necessariamente) presentare un ordine; credo (indimostrabilmente) lo presenti di fatto.
Fra l'altro se così non fosse non sarebbe possibile la conoscenza scientifica.

Secondo me il pensiero appartiene al mondo fenomenico cosciente, come anche la materia (il mondo fisica naturale); ma ne sono due ambiti in divenire "parallelo" ma reciprocamente indipendente, non interferente, trascendente.

Phil

Citazione di: sgiombo il 27 Settembre 2017, 09:09:20 AM
(Oh, finalmente mi ritrovo nuovamente "solo contro tutti".
Non sono per nulla "contro" la tua posizione (e infatti condivido gran parte della tua risposta #52 a paul11), anzi sono decisamente più prossimo alla tua prospettiva che a quella di davintro (salvo fraintendimenti); tuttavia volevo sottolineare come anche l'innatismo (neo?)platonico (che non m'appartiene), qualora se ne accettino le premesse, ha una sua plausibilità interna ponendo questioni semplicemente indimostrabili. 
Quando affermi che,
Citazione di: sgiombo il 27 Settembre 2017, 08:39:13 AM
non si può sostenere una gnoseologia innatistica facendo leva sul concetto di "inconsapevolezza" delle dee innate e non ancora presenti alla mente cosciente [...] che può solo significare: o la momentanea "inattenzione cosciente" circa ricordi [...] oppure la mera potenzialità di future acquisizioni di idee e conoscenze, comunque a posteriori.
tralasci, secondo me, una terza possibilità che è forse l'essenza della posizione innatista: tali idee non sono formate a posteriori e poi dimenticate, ma, proprio in quanto innate, sono nella mente da sempre, anche se non sempre le attingiamo subito. Come dimostrare che quello che mi sembra un ideare o ricordare a posteriori, non sia altro che l'innesco di qualcosa che già esiste a priori nella mia mente, ma di cui non ero ancora cosciente?
Non credo sia possibile... proprio perché è un'ipotesi esplicativa "progettata" per essere inconfutabile.
E' come se chiedessi a qualcuno di dimostrare che sulla spalla di ogni uomo non è appollaiato un pappagallo invisibile e immateriale, che è esistente solo in una dimensione parallela che non possiamo percepire, ma che, al momento della morte del suo "portatore umano", solleverà in volo l'anima del defunto e la porterà nella sua dimensione, in cui uomini e pappagalli sono immortali e vivono in bucolica sintonia, come mi è stato rivelato in sogno da un maestoso uomo-pappagallo  ;)
L'ipotesi suona palesemente assurda, ma come falsificarla se è pensata per essere infalsificabile? Potrai dirmi che non ci credi (spero! ;D ), ma non che ci sono prove oggettive della falsità di questa storiella sui "pappagalli funebri"...

Per cui, e qui concordo con te, capisco che tale assunto dell'innatismo delle idee è indimostrabile, quindi non falsificabile, quindi praticamente privo di portata scientifica, ma proprio per questo ricordavo che il suo senso funzionale sta nella cornice teologica in cui viene posto. Con ciò non voglio ergermi ad avvocato dell'innatismo che, ripeto, non è il mio modo di approcciare questa questione (come dimostrano i miei precedenti post di commento a davintro), ma solo evidenziare come siano possibili differenti interpretazioni a seconda dell'orizzonte da cui si guarda la questione.

Il che ci porta all'osservazione di green demetr:
Citazione di: green demetr il 27 Settembre 2017, 09:31:21 AM
Ha ragione Phil nel ritenerle tutte delle induzioni, salvo poi NON spiegare perchè le ritenga tali. (da bravo formalista mimetizzato da relativista qual è)
Le ritengo tali perché nessuna di loro mi presenta un'attendibilità che non sia inficiata dal contesto prospettico di appartenenza (così salvo capra e cavoli, formalismo e relativismo  ;D ).

paul11

#57
Citazione di: sgiombo il 27 Settembre 2017, 14:58:16 PM
Veramente creo di essere metafisico già da gran tempo...

Non credo che l' esistente debba per forza (necessariamente) presentare un ordine; credo (indimostrabilmente) lo presenti di fatto.
Fra l'altro se così non fosse non sarebbe possibile la conoscenza scientifica.

Secondo me il pensiero appartiene al mondo fenomenico cosciente, come anche la materia (il mondo fisica naturale); ma ne sono due ambiti in divenire "parallelo" ma reciprocamente indipendente, non interferente, trascendente.
negli anni in effetti qualcosa hai maturato.
D'accordo: sarebbe impossibile la conoscenza senza un ordine, non ci sarebbe nulla di predittivo e quindi nulla relazionabile come causale. Ma l'esistenza vive dentro questo ordine che si mostra come eventi, enti fenomenici manifesti: ma c'è anche l'immanifesto,ciò che si nasconde.

Ma il pensiero agirebbe termodinamicamente come un' energia? Il mentale, i sentimenti, il ragionare sono energie ed agiscono dentro l'ordine fenomenico?   .......sono solo riflessioni.


Phil,
ma cosa significa indimostrabile?
C'è la vita, è evidente. ma non esiste una teoria abiogenetica sulla formazione della vita ,se non una serie di ipotesi.
C'è il pensiero, c'è la ragione, è evidente. ma quale sono le loro origini?
Se andassimo a fondo su ciò che si vorrebbe significare come dimostrabile anche le scienze entrerebbero in crisi.
Ci accorgeremmo che solo gli epifenomeni sono dimostrabili, mai i loro fondamenti se non come sappiamo assiomaticamente.
Tutto si mostra come evidenza,diventa tautologia e grazie alla metafisica (dei numeri) pensiamo che  il calcolo sia il dimostrabile e il calcolabile premessa dimostrativa .
Tutto ciò che non rientra nell'epifenomeno calcolabile, a partire dalle nostre premesse innate che ci permettono quel calcolabile sono fuori dalla nostra portata del dimostrabile, del quantificabile.
Mi pare una bella aporia

Mario Barbella

Citazione di: Phil il 06 Agosto 2017, 22:29:18 PM
Citazione di: davintro il 06 Agosto 2017, 19:35:08 PM
proprio il senso delle categorie con cui il teismo descrive Dio sono il miglior argomento per risalire razionalmente alla sua esistenza. O quantomeno la presenza alla mente umana di tali categorie resta irrisolta fintanto che le ragioni le ci ricercano nell'ambito della dimensione mondana e immanente, perché concetti come "eternità", "totalità", "perfezione" hanno un senso che non si identifica con nessuno degli oggetti della nostra esperienza mondana ordinaria.
Forse più che di "proiezione", in quei casi, è opportuno parlare di "sublimazione", "gradazione ontologica" (come facevano i medievali, se non erro) o semplicemente "astrazione", secondo differenti modalità: se sperimento la caducità, mi basta pensarne la negazione (non-caducità) per ottenere il concetto d'eternità; se osservo la parzialità posso astrarne il concetto di totalità come suo contrario; se individuo graduali imperfezioni (più o meno rilevanti), posso arrivare a supporre un'ideale assenza di imperfezioni...
A farla breve, se penso a tutto ciò che è passeggero, parziale, imperfetto, materiale, in una parola sola "immanente", posso poi sublimarlo, anche via negationis, in qualcosa di grado sommamente superiore... ed ecco il concetto di trascendente partendo dall'esperienza dell'immanente.

Citazione di: Sariputra il 06 Agosto 2017, 21:45:23 PM
L'idea di divinità non è a priori e poi , le varie esperienze, ne sono state ricondotte per darne una spiegazione, ma è a posteriori, cioè nata sulla base di queste esperienze trascendentali
Concordo, anche se "esperienze trascendentali" è un po' un ossimoro (esperisco l'immanente, se esperissi il trascendente diverrebbe subito immanente al mio percepirlo/esperirlo ;) ), tuttavia dipende se parliamo di "trascendere" in senso (neuro)cognitivo o in senso mistico (oppure facciamo magari coincidere le due istanze).
Interessantissime queste considerazioni!
Un augurio di buona salute non si nega neppure a... Salvini ! :)
A tavola potrebbe pure mancare il cibo ma... mai il vino ! Si, perché una tavola senza vino è come un cimitero senza morti  ;)  (nota pro cultura (ed anche cucina) mediterranea)

Phil

Citazione di: Mario Barbella il 27 Settembre 2017, 22:52:01 PM
Interessantissime queste considerazioni!
Si, davintro e Sariputra sanno spesso essere forieri di fertili spunti di riflessione... e paul11 non è da meno:
Citazione di: paul11 il 27 Settembre 2017, 22:39:18 PM
Phil,
ma cosa significa indimostrabile?
[...]Tutto si mostra come evidenza,diventa tautologia e grazie alla metafisica (dei numeri) pensiamo che  il calcolo sia il dimostrabile e il calcolabile premessa dimostrativa .
Tutto ciò che non rientra nell'epifenomeno calcolabile, a partire dalle nostre premesse innate che ci permettono quel calcolabile sono fuori dalla nostra portata del dimostrabile, del quantificabile.
Mi pare una bella aporia
Mi spingerei persino oltre: in principio c'è (e/o il principio è) l'aporia, l'indecidibile (e quindi il principio è "illocalizzato", è u-topia); non mi sembra si possa andare più in là... almeno prima di raggiungere l'aldilà, come forse direbbe Jean  ;D
Il punto nevralgico secondo me è questo: se scaviamo nelle teorie scientifiche si può giungere anche ad un indimostrabile che mette in crisi la teoria che lo ospita, ma talvolta l'indimostrabile non richiede archeologia (discorso sull'archè), poiché coincide semplicemente con un mostrabile privato dalla dimostrazione. Detto altrimenti: ci sono posizioni che si appoggiano su dimostrazioni, fortemente o debolmente opinabili/convenzionali, e ci sono poi posizioni (non inferiori :) ) che non si appoggiano su nessuna dimostrazione, ma su altri tipi di sostegno (come rappresentato dalla scherzosa storia dei "pappagalli funebri", in cui il punto d'appoggio non è una dimostrazione epistemologica o razionale, ma la fiducia/fede nella portata veritativa di un sogno... il che è pur sempre un sostegno "fruibile", ma non propriamente una dimostrazione ;) ).

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