Aristotile e il populismo.

Aperto da Eutidemo, 20 Marzo 2017, 13:05:11 PM

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baylham

Ciò che caratterizza come populista un movimento o partito sono due elementi: il primo è il fatto di porre come fondamento che ci sia un interesse o un bene del popolo, di cui esso è portatore, coincidente con quello di tutti i cittadini.

Questo primo elemento è tuttavia condiviso e alimentato dalla maggior parte dei movimenti e partiti politici per raccogliere il consenso dei cittadini.

Da questo primo elemento deriva il secondo che costituisce la peculiarità del populismo: l'antipolitica. Chi si oppone al populista non viene più considerato un concorrente politico, una parte del popolo che esprime interessi o beni differenti, ma un criminale, un nemico del popolo, con cui non c'è un confronto politico ma giudiziario.

Questa stessa dinamica oltre che all'esterno è rivolta anche all'interno del movimento o partito populista.

Perciò il populismo e la democrazia sono antitetici: lo sbocco normale in caso di affermazione di un movimento o partito populista è la dittatura.

La democrazia si fonda sul presupposto opposto, che non ci sia un interesse o un bene comune di tutti i cittadini e che chi pretende di esserne il portatore deve continuamente verificarlo attraverso il voto accettando la sfida dei concorrenti politici in condizioni di reciprocità.


Eutidemo

Caro Sgiombo,
quanto alla "socializzazione dei mezzi di produzione", in effetti, nel '900 si è tentato di realizzarla in vari modi:
1) "Strictis verbis", il termine si riferisce specificamente all'esperimento attuato  (secondo me del tutto surretiziamente) nella Repubblica Sociale Italiana, di trasformazione sociale dell'economia nella quale la "proprietà" dei mezzi di produzione non sarebbe  più stata esclusiva del capitalista, bensì partecipata con i lavoratori impiegati nell'azienda (facendo infuriare Hitler). 
2) In senso lato, con tale termine ci si riferisce anche alla formula economica sovietica, che, però, più correttamente dovrebbe essere definita "Capitalismo di Stato", in quanto, in tale sistema, i mezzi di produzione vengono "nazionalizzati" e appartengono allo Stato, e non "socializzati", alla pari, tra gli attori della produzione. 
Tale sistema, ha funzionato molto bene sotto alcuni aspetti (industrializzazione della Russia negli anni '30), ma molto male sotto altri; non vorrei apparire "trotskysta", ma, la nozione di "Stato operaio degenerato" non è di Trotsky, bensì di Lenin che la formulò nel 1921, all'epoca della discussione sui Sindacati, allorchè lo stesso Lenin denunciò la crescita della gramigna soffocante burocratica nello Stato e nel partito (che poi avrebbe attecchito fino alle radici, avvelenando l'albero).
Ma qui non c'è lo spazio per allargare il discorso, che è molto complesso; ed infatti bisognerebbe parlare anche della NEP, e di molto altro ancora.
Non è che si può scegliere tra BIANCO e NERO: le cose non sono così semplici come possono apparire a prima vista!
Per cui, quando si parla di "socializzare l'economia", bisogna capire bene COME, si intende farlo, perchè non c'è un solo modo.
Ad ogni modo, volendo semplificare al massimo (con l'ovvia conseguenza della sommarietà), in un certo senso si può dire che, dopo la seconda guerra mondiale, sebbene con fasi alterne, sotto il profilo "socio-economico", il mondo, in effetti, era diviso in TRE, e non in DUE:
1) L'impero USA (ed in parte inglese), nel quale ha precipuamente prevalso il principio del "capitalismo"(quasi) puro , e di uno spinto e competitivo "laissez faire", in cui il WELFARE è sempre stato in secondo piano, e il distacco poveri/ricchi molto ampio (anche perchè i partiti "veramente" di sinistra erano al bando);
2) La "polinazionale" EUROPA OCCIDENTALE, nella quale il principio del "capitalismo" è stato mitigato (con diversa intensità a seconda dei singoli Stati) dall'interventismo e dal dirigismo statale, e di "laissez faire" molto meno spinto, in cui il WELFARE è sempre stato tenuto in notevole conto, e il distacco poveri/ricchi era molto meno ampio che in USA (anche perchè i partiti "veramente" di sinistra erano potenti, ed esistevano forti sindacati);
3) L'impero URSS (e satelliti), nel quale i vari esperimenti -più o meno positivi, della prima metà del secolo, sono infine approdati ad un CAPITALISMO DI STATO ingessato e degenerato, nel quale la proprietà dei mezzi di produzione non era nè dei borghesi nè degli operai, bensi di una classe di Boiardi burocratici, ma in cui in cui il WELFARE è sempre stato decisamente ottimo (almeno in rapporto alla povertà del sistema), e il distacco poveri/ricchi era praticamente inesistente tra i cittadini (ma enorme quello tra i cittadini ed i "funzionari di partito").
Ripeto, ho semplificato al MASSIMO (forse anche troppo), ma io, nelle sue grandi linee, la storia del '900 l'ho vista (e vissuta) così. :)

sgiombo

#17
CitazioneCaro Eutidemo,

Segnalo gli elementi di dissenso da parte mia (senza ingenue pretese di convincerti, ovviamente, ma per chiarire le mie convinzioni; e ovviamente semplificando al massimo pure io).


1 - Il fascismo, pur avendo fondato l' IRI (che nel periodo repubblicano secondo me ha avuto grandi meriti), non ha mai sottratto la proprietà delle imprese capitalistiche (che non fossero in evidente perdita) agli imprenditori privati; il corporativismo fascista presupponeva la collaborazione di classe fra padroni privati (non affatto espropriati) e lavoratori a tutto vantaggio dei primi (cosa ovviamente negata dalla propaganda del regime). Quando ormai era spacciato ne ha poi surrettiziamente prospettato la socializzazione nel disperato tentativo di disseminare di "mine sociali" l' Italia antifascista che si stava per ricostruire dopo che il fascismo stesso l' aveva portata alla rovina totale e completa.

2 – Secondo me non può esistere "capitalismo di Stato" se non come complemento del capitalismo privato (che in URSS dalla metà degli anni ' 30 era stato completamente eliminato).
Credo invece che in URSS, durante il periodo staliniano, dopo la reale espropriazione degli espropriatori, si sia realizzata una sostanziale socializzazione (e non solo una mera nazionalizzazione) dei mezzi di produzione; "sostanziale" nel senso di limitata, imperfetta, sia per l' irrealizzabilità della perfezione in generale, sia in particolare per i pesanti condizionamento imposti dal capitalismo imperialistico al potere nella parte più ricca e sviluppata del modo nonché per errori e limiti del gruppo dirigente staliniano stesso (concordo che non si può considerare manicheisticamente una realtà distinta in bianco e nero comprendendo essa invece di fatto infinite sfumature di grigio).

3 - Secondo me nel dopoguerra nel "capitalismo reale europeo" non vigeva il peggiore e più iniquo lassez faire per il fatto che esso era pesantemente condizionato dall' esistenza del campo socialista (non solo perchè i partiti "veramente" di sinistra erano potenti, ed esistevano forti sindacati, ma anche e soprattutto perché esistevano l' URSS e gli altri stati del "socialismo reale": fra i due fatti esisteva peraltro un evidente nesso oggettivo).
Questo spiega l' importante, benefico ruolo dirigistico del capitalismo di stato (evidentissimo in Italia con IRI, ENI, EFIM, ecc. e con le "partecipazioni statali"), nonché il notevole sviluppo dello "stato sociale", non a caso smantellati dopo la sconfitta dell' URSS, rapidissimamente il primo (capitalismo di stato), più gradualmente "per causa di forza maggiore" il secondo (welfare state), con pronto ripristino del peggiore e più iniquo lassez faire.
(Altri effetti del per me assolutamente benefico -per lavoratori e popoli- condizionamento del capitalismo da parte degli stati socialisti sono stati a mio parere quelli relativi al contenimento della forsennata aggressività bellica del capitalismo imperialistico stesso con, per esempio, 40 anni di pace in Europa: dopo la caduta del muro di Berlino, secondo me non affatto a caso, vi sono nuovamente scoppiate sanguinosissime guerre civili e aberrazioni di tipo nazista note come "pulizie etniche"; e inoltre, al di fuori dell' Europa, con la promozione e la tutela di esperienze indipendentistiche anticoloniali spesso caratterizzate da non trascurabili tentativi di sviluppo più o meno "socialsteggiante" potentemente favorite dalla collaborazione dei paesi del "socialismo reale", cui infatti sono conseguite dopo la caduta del muro innumerevoli criminali, aggressioni imperialistiche, belliche -spesso decisamente terroristiche- ed economiche, con il conseguente drastico peggioramento delle condizioni di vita di popolazioni sterminate che è sotto gli occhi di tutti e si ripercuote anche direttamente presso di noi con le inarrestabili -malgrado stragi varie, spesso malcelate dalla propaganda "pelosamente pseudoumanitaria"- migrazioni di massa).

4 – Nei paesi del "socialismo reale" la proprietà dei mezzi di produzione non è mai stata di una inesistente classe di Boiardi burocratici (erano casomai uno strato sociale relativamente privilegiato ma non affatto proprietario: non  una "classe sociale" in senso marxista), tant' è vero che (a parte le inequivocabili, anche se in ultima analisi non dirimenti, statistiche sulla distribuzione della ricchezza prima e dopo Gorby: secondo me il distacco poveri/ricchi tra i cittadini ed i "funzionari di partito" era tutt' altro che "enorme", specie relativamente al "prima" e al "dopo" dell'esistenza dell' URSS) né i figli di Stalin, né quelli di Malenkov, di Molotov, di Krusciov, di Breznev, di Kossigin, di Podgorni, di Andropov, di Cernenko, ecc. hanno ereditato alcunché dai rispettivi genitori (sia in termini di potere politico, sia in termini di proprietà di capitale; anche se, in larga misura ovviamente e inevitabilmente, in parte come difetto, limite e negazione "colposi" del carattere comunque inequivocabilmente socialista dell' URSS, la vita per loro era più facile di quella della maggior parte degli altri cittadini sovietici); e che per sottrarre alla società la proprietà dei mezzi di produzione e riprivatizzarli ci sono voluti lo pseudo-golpe-farsa di Eltsin del '91 e quello reale e tragico del '93, sanguinosissimo (e applauditissimo da tutti i "fautori pelosi della democrazia e dei diritti umani") con bombardamento e incendio del Palazzo del Parlamento e strage di parlamentari (anche non affatto comunisti) da parte dello stesso Eltsin.

maral

#18
I problemi sono molteplici. Distinguerei comunque il populismo dalla demagogia: nel primo caso il potere fa riferimento al popolo, nel secondo finisce dal popolo nelle mani di chi sa sedurlo facendo del popolo il mezzo del suo potere, il demagogo appunto. Se nel populismo il potere appartiene al popolo (nella sua totalità diversificata) la Costituzione Italiana dichiara esplicitamente di essere populista, anche se dice che il popolo esercita questo potere a mezzo delle sue istituzioni e associazioni e questo dovrebbe in qualche modo limitare il rischio della demagogia, ma mi sa che al di là dell'ottimo intento la cosa non funzioni, perché entra sempre in gioco la vecchia dialettica hegeliana tra fine e mezzo: prima o poi quelle istituzioni che dovrebbero essere mezzo per il fine del popolo, diventano il fine stesso facendo di ogni altro fine il loro mezzo e chi le gestisce finisce con il prendere il potere indirizzandolo interamente al poterlo mantenere nelle sue mani, dietro il guscio di una democrazia ridotta a puro slogan.
In genere il sistema che meglio consente questo risultato è, soprattutto oggi, la seduzione demagogica. In Italia Berlusconi è stato ed è un caso esemplare da manuale (sempre pronto peraltro a tornare in scena con le medesime seduzioni ripetute alla nausea) e in America, attualmente è Trump chiamato a incarnare la figura del demagogo fatto carne.
La situazione ideale per il demagogo si determina quando lo strumento legislativo si dimostra del tutto inadeguato alla realtà tragicamente insicura della situazione, quando l'esistenza stessa appare messa in dubbio dal significato immediato di ciò che accade generando angoscia, è allora che il demagogo di turno può mostrarsi alla maggioranza del popolo angosciato (in genere gli strati economicamente più compromessi e soprattutto culturalmente meno attrezzati della popolazione) come il solo che sa rimettere a posto le cose, ristabilire la giusta legalità sospendendo quella vigente così inefficace. Il demagogo sfrutta lo stato di eccezione della legge, per giustificare una nuova legge che fa perno solo su di lui. Maggiore è l'angoscia condivisa nel popolo, maggiore sarà la sua presa seduttiva: al momento propizio, che il suo fiuto gli fa cogliere e la sua enorme ambizione sfruttare, egli apparirà come il mezzo universale, l'uomo del destino, il legislatore supremo, almeno finché gli eventi non rimetteranno tutto in discussione, quando sarà l'accadere della catastrofe che lui stesso ha annunciato proponendosi come rimedio a liberare il popolo dall'angoscia della sua attesa. Il demagogo vive di questa angoscia del popolo e ne ha assoluto bisogno, la sollecita sempre per incarnarne il rimedio.
Ai tempi di Aristotele forse era ancora possibile pensare platonicamente a un governo retto dai migliori o da un sovrano illuminato poiché istruito dal suo precettore filosofo, è stato un vecchio sogno della filosofia questo, sempre andato fallito: la potenza vitale ha fatto sempre a pezzi ogni filosofia didattica, nei molti quanto nei singoli.
La rivoluzione bolscevica è risultata quanto di più tragicamente elitario sia stato possibile concepire in un'epoca necessariamente avviata verso le peggiori tragedie del nichilismo: per le avanguardie rivoluzionarie ogni cosa ed essere umano diventa mezzo di realizzazione dell'utopia, soprattutto quando l'utopia è quella del popolo. Il problema non è nel principio "Da ciascuno secondo le proprie capacità, a ciascuno secondo i propri bisogni", ma in chi vuole che tutto debba essere sacrificato a questo principio e quindi assume il ruolo strutturante di gestore assoluto della giusta distribuzione di mezzi e bisogni. E' il motivo per cui l'anelito rivoluzionario, una volta acquistato il potere, si chiuse per sempre nella sua posizione del tutto autogiustificatoria, rendendo necessario una sorta di stato rivoluzionario permanente destinato a soffocare la rivoluzione stessa nella gabbia di una struttura burocratica nefanda, il partito comunista sopra i soviet del popolo prima, il segretario di questo partito, Stalin, sopra il partito poi: l'orrendo Piccolo Padre indispensabile per il grande popolo russo mentre l'utopia era ridotta a slogan obbligatorio per mascherare la menzogna continua del demagogo seduttore.
Il problema sono i Piccoli Padri quando il popolo non vuole altro che essi, è allora che occorre avere il coraggio di difendere il populismo, ossia di riconquistare l'utopia di un popolo che impari da sé a governare se stesso, avendo per fine se stesso, vedendosi come uno nei molti diversi che ne fanno parte, in nome della imprescindibilità e irriducibile diversità di ciascun individuo. Occorre un grande sforzo culturale che sia prodotto da una matrice condivisa e non elitaria, proprio quello che il demagogo non vuole, quando afferma che "la cultura non ha mai dato da mangiare a nessuno", mentre lui sa e può dare da mangiare a tutti. Non c'è niente di peggio.

Phil

Citazione di: Eutidemo il 21 Marzo 2017, 07:26:10 AM
Dissento, quindi, dalla tua conclusione, per la quale:  "...qualsiasi "salto nel buio" non possa essere peggiore dell' attuale "essere immersi nella merda": mal che vada si ricade nella stessa!"
Ed infatti, se la merda sta friggendo in una padella, se ne saltiamo fuori, c'è il rischio di finire sicuramente peggio di dove siamo ora! ;D  ;D  ;D
Mi hai fatto tornare in mente questa scena:
https://www.youtube.com/watch?v=DtIoOENzgyw
;D

Jacopus

Interessante discussione con sottodiscussione a proposito del socialiismo reale  :).
Credo che il populismo sia la malattia infantile della democrazia di massa, quella che evolve dalla democrazia liberale ottocentesca. La democrazia liberale ottocentesca era elitaria e fondata sul censo. Solo una minoranza agiata votava e solo quella minoranza agiata era in grado di governare la complessità del mondo di allora, assai meno complesso del mondo di oggi. Vi era una vaga speranza di migliorare la propria condizione e il potere borghese beneficiava di questo mutamento di paradigma rispetto all'immobile mondo feudale. Questo assetto ha governato il mondo per tutto il XIX secolo, assieme alla valvola di sfogo delle colonie, grazie alla quale un bandito in patria poteva ambire a divenire un governatore d'Oltremare.

L'espansione del diritto di voto, fin dalla fine dell'Ottocento, si collega a due processi. Da un lato all'esigenza di legittimare le istituzioni politiche di fronte all'emergere del socialismo, dall'altro alla necessità del sistema economico di ridurre ognuno di noi a consumatore, identico, con gli stessi diritti e con la stessa propensione a spendere denaro. La riduzione a consumatore presuppone la riduzione a elettore, fruitore di notizie preconfezionate, di vacanze intelligenti, di pensieri mediocri.
Contemporaneamente l'avvento della "velocità", di movimento, di calcolo, temporale (un filosofo tedesco, Koselleck, parlò in proposito di Vergangene Zukunft per dire che oggi il futuro è già passato, imprendibile), avrebbe richiesto maggiori capacità riflessive, rielaborative, predittive sul lungo periodo, da assegnare ad un maggior numero di persone possibili.
Un salto nei sistemi formativi dell'uomo che di fatto non è stato possibile attuare, sia perché il capitalismo non è un benefattore, sia perché allargare la pletora di persone che sanno gestire la conoscenza diventa un problema per qualsiasi tipo di potere.
Si è creata così una tensione, che in termini psicodinamici si potrebbe definire "double bind". La gestione del mondo sempre più complesso, richiederebbe un potenziamento delle doti intellettuali dell'umanità  in termini universalistici, proprio in virtù del diritto universale al voto. Non bastano più i voti di una elite illuminata, perché ora votano tutti e tutti dovrebbero essere coscienti delle conseguenze del loro voto e più in generale della loro partecipazione alla vita politica. Questo potenziamento però non può essere fatto alla leggera perché rischierebbe di rovesciare i detentori del potere, che si avvalgono in ogni luogo degli arcana Imperii. Con una conoscenza più accurata inoltre si accrescono le capacità critiche di visione del mondo, con possibili ripercussioni negative sul PIL del mondo.
L'elite che continua a governare il mondo allora indossa il simulacro della democrazia, elargendo a piene mani discorsi populistici e di questi discorsi si sono macchiati tutti i "poteri democratici di massa" proprio per la incapacità dell'elettorato medio ed universale a comprendere fino in fondo la complessità del mondo che ormai sfugge anche ai più sapienti.
In altre parole, per certi versi dovremmo essere tutti come Leonardo da Vinci per gestire il mondo, dall'altra dobbiamo contemporaneamente restare allo stato di Candido, ubbidienti automi eterodiretti convinti di vivere nel migliore dei mondi possibili.
Finchè il mondo viene percepito come più o meno effettivamente "migliore", nessun problema. Qualche bugia ce la lasciamo dire. Quando però le cose iniziano ad andar male non c'è più tempo per formare tanti piccoli Leonardo, che sappiano far fronte alle difficoltà. Il populismo è molto più semplice, separa il mondo in buoni e cattivi, parla di intuito, sentimento, azione, considera la cultura un inutile orpello e degenera sempre di più, esattamente come sta accadendo ai nostri giorni.
Ovviamente c'è populismo e populismo e possiamo sempre sperare in una sufficiente riserva di Leonardi, ma  la direzione mi sembra quella verso un aggravamento di forme maligne di populismo. 
In sintesi, il populismo è in qualche modo un ospite sempre presente nelle democrazie moderne, virus che si riacutizza, quando le contraddizioni del mondo moderno (leggi capitalismo) diventano sempre più instabili e violente.
L'unica cura mi sembra  quella che M. Yourcenair fa dire al suo Adriano: "Fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro l'inverno dello spirito, che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire". Una soluzione molto più umana di qualsiasi palingenesi teocratica (Apocalisse) o politica (Comunismo), ma forse sono solo uno dei tanti ospiti dell'Hotel Abisso di cui parla G. Lukaks.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

paul11

Citazione di: Jacopus il 21 Marzo 2017, 23:24:01 PMInteressante discussione con sottodiscussione a proposito del socialiismo reale :). Credo che il populismo sia la malattia infantile della democrazia di massa, quella che evolve dalla democrazia liberale ottocentesca. La democrazia liberale ottocentesca era elitaria e fondata sul censo. Solo una minoranza agiata votava e solo quella minoranza agiata era in grado di governare la complessità del mondo di allora, assai meno complesso del mondo di oggi. Vi era una vaga speranza di migliorare la propria condizione e il potere borghese beneficiava di questo mutamento di paradigma rispetto all'immobile mondo feudale. Questo assetto ha governato il mondo per tutto il XIX secolo, assieme alla valvola di sfogo delle colonie, grazie alla quale un bandito in patria poteva ambire a divenire un governatore d'Oltremare. L'espansione del diritto di voto, fin dalla fine dell'Ottocento, si collega a due processi. Da un lato all'esigenza di legittimare le istituzioni politiche di fronte all'emergere del socialismo, dall'altro alla necessità del sistema economico di ridurre ognuno di noi a consumatore, identico, con gli stessi diritti e con la stessa propensione a spendere denaro. La riduzione a consumatore presuppone la riduzione a elettore, fruitore di notizie preconfezionate, di vacanze intelligenti, di pensieri mediocri. Contemporaneamente l'avvento della "velocità", di movimento, di calcolo, temporale (un filosofo tedesco, Koselleck, parlò in proposito di Vergangene Zukunft per dire che oggi il futuro è già passato, imprendibile), avrebbe richiesto maggiori capacità riflessive, rielaborative, predittive sul lungo periodo, da assegnare ad un maggior numero di persone possibili. Un salto nei sistemi formativi dell'uomo che di fatto non è stato possibile attuare, sia perché il capitalismo non è un benefattore, sia perché allargare la pletora di persone che sanno gestire la conoscenza diventa un problema per qualsiasi tipo di potere. Si è creata così una tensione, che in termini psicodinamici si potrebbe definire "double bind". La gestione del mondo sempre più complesso, richiederebbe un potenziamento delle doti intellettuali dell'umanità in termini universalistici, proprio in virtù del diritto universale al voto. Non bastano più i voti di una elite illuminata, perché ora votano tutti e tutti dovrebbero essere coscienti delle conseguenze del loro voto e più in generale della loro partecipazione alla vita politica. Questo potenziamento però non può essere fatto alla leggera perché rischierebbe di rovesciare i detentori del potere, che si avvalgono in ogni luogo degli arcana Imperii. Con una conoscenza più accurata inoltre si accrescono le capacità critiche di visione del mondo, con possibili ripercussioni negative sul PIL del mondo. L'elite che continua a governare il mondo allora indossa il simulacro della democrazia, elargendo a piene mani discorsi populistici e di questi discorsi si sono macchiati tutti i "poteri democratici di massa" proprio per la incapacità dell'elettorato medio ed universale a comprendere fino in fondo la complessità del mondo che ormai sfugge anche ai più sapienti. In altre parole, per certi versi dovremmo essere tutti come Leonardo da Vinci per gestire il mondo, dall'altra dobbiamo contemporaneamente restare allo stato di Candido, ubbidienti automi eterodiretti convinti di vivere nel migliore dei mondi possibili. Finchè il mondo viene percepito come più o meno effettivamente "migliore", nessun problema. Qualche bugia ce la lasciamo dire. Quando però le cose iniziano ad andar male non c'è più tempo per formare tanti piccoli Leonardo, che sappiano far fronte alle difficoltà. Il populismo è molto più semplice, separa il mondo in buoni e cattivi, parla di intuito, sentimento, azione, considera la cultura un inutile orpello e degenera sempre di più, esattamente come sta accadendo ai nostri giorni. Ovviamente c'è populismo e populismo e possiamo sempre sperare in una sufficiente riserva di Leonardi, ma la direzione mi sembra quella verso un aggravamento di forme maligne di populismo. In sintesi, il populismo è in qualche modo un ospite sempre presente nelle democrazie moderne, virus che si riacutizza, quando le contraddizioni del mondo moderno (leggi capitalismo) diventano sempre più instabili e violente. L'unica cura mi sembra quella che M. Yourcenair fa dire al suo Adriano: "Fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro l'inverno dello spirito, che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire". Una soluzione molto più umana di qualsiasi palingenesi teocratica (Apocalisse) o politica (Comunismo), ma forse sono solo uno dei tanti ospiti dell'Hotel Abisso di cui parla G. Lukaks.


Se posso permettermi jacopus, prendo a pretesto il tuo scritto perchè a mio parere è ben fatto, ma ha una profonda lacuna: quello di pensare che  con l'erudizione sia possible debellare il populismo e migliorare in generale la società.
La storia ci sta dicendo altro di questi tempi. Che i figli degli operai sono diventati dottori e ingegneri e le cose sono peggiorate.Che molti hanno esercitato il potere politico, dai comuni, province ,regioni, parlamento e troppi da trent'anni a questa parte lo hanno interpretato come rendita di posizione facendo del proprio scranno interessi personali.
Manca in sede istituzionale e costituzionale , la possibilità che in una democrazia rappresentativa a suffragio universale chi promette,così come nelle pubblicità di prodotti, non menta.Vale a dire che non può promettere ciò che i conti dello Stato non possono dare .
Si  promettete ai figli una Ferrari , quando nelle  possibilità si può arrivare a regalare  una bicicletta ?
Allora o si fa politica o si fa  gli imbonitori e magari il mago Otelma.

acquario69

CitazioneFinchè il mondo viene percepito come più o meno effettivamente "migliore", nessun problema. Qualche bugia ce la lasciamo dire. Quando però le cose iniziano ad andar male non c'è più tempo per formare tanti piccoli Leonardo, che sappiano far fronte alle difficoltà.


Quando si può star tranquilli nel proprio piccolo orticello,allora tutti se ne fregano, quando invece le cose cominciano ad intaccare i piccoli interessi personali allora tutti si incazzano e gridano all'ingiustizia...che e' l'effetto provocato dalla sua stessa causa e che si ritorce contro come un boomerang

Eutidemo

Citazione di: maral il 21 Marzo 2017, 21:47:32 PM
I problemi sono molteplici. Distinguerei comunque il populismo dalla demagogia: nel primo caso il potere fa riferimento al popolo, nel secondo finisce dal popolo nelle mani di chi sa sedurlo facendo del popolo il mezzo del suo potere, il demagogo appunto. Se nel populismo il potere appartiene al popolo (nella sua totalità diversificata) la Costituzione Italiana dichiara esplicitamente di essere populista, anche se dice che il popolo esercita questo potere a mezzo delle sue istituzioni e associazioni e questo dovrebbe in qualche modo limitare il rischio della demagogia, ma mi sa che al di là dell'ottimo intento la cosa non funzioni, perché entra sempre in gioco la vecchia dialettica hegeliana tra fine e mezzo: prima o poi quelle istituzioni che dovrebbero essere mezzo per il fine del popolo, diventano il fine stesso facendo di ogni altro fine il loro mezzo e chi le gestisce finisce con il prendere il potere indirizzandolo interamente al poterlo mantenere nelle sue mani, dietro il guscio di una democrazia ridotta a puro slogan.
In genere il sistema che meglio consente questo risultato è, soprattutto oggi, la seduzione demagogica. In Italia Berlusconi è stato ed è un caso esemplare da manuale (sempre pronto peraltro a tornare in scena con le medesime seduzioni ripetute alla nausea) e in America, attualmente è Trump chiamato a incarnare la figura del demagogo fatto carne.
La situazione ideale per il demagogo si determina quando lo strumento legislativo si dimostra del tutto inadeguato alla realtà tragicamente insicura della situazione, quando l'esistenza stessa appare messa in dubbio dal significato immediato di ciò che accade generando angoscia, è allora che il demagogo di turno può mostrarsi alla maggioranza del popolo angosciato (in genere gli strati economicamente più compromessi e soprattutto culturalmente meno attrezzati della popolazione) come il solo che sa rimettere a posto le cose, ristabilire la giusta legalità sospendendo quella vigente così inefficace. Il demagogo sfrutta lo stato di eccezione della legge, per giustificare una nuova legge che fa perno solo su di lui. Maggiore è l'angoscia condivisa nel popolo, maggiore sarà la sua presa seduttiva: al momento propizio, che il suo fiuto gli fa cogliere e la sua enorme ambizione sfruttare, egli apparirà come il mezzo universale, l'uomo del destino, il legislatore supremo, almeno finché gli eventi non rimetteranno tutto in discussione, quando sarà l'accadere della catastrofe che lui stesso ha annunciato proponendosi come rimedio a liberare il popolo dall'angoscia della sua attesa. Il demagogo vive di questa angoscia del popolo e ne ha assoluto bisogno, la sollecita sempre per incarnarne il rimedio.
Ai tempi di Aristotele forse era ancora possibile pensare platonicamente a un governo retto dai migliori o da un sovrano illuminato poiché istruito dal suo precettore filosofo, è stato un vecchio sogno della filosofia questo, sempre andato fallito: la potenza vitale ha fatto sempre a pezzi ogni filosofia didattica, nei molti quanto nei singoli.
La rivoluzione bolscevica è risultata quanto di più tragicamente elitario sia stato possibile concepire in un'epoca necessariamente avviata verso le peggiori tragedie del nichilismo: per le avanguardie rivoluzionarie ogni cosa ed essere umano diventa mezzo di realizzazione dell'utopia, soprattutto quando l'utopia è quella del popolo. Il problema non è nel principio "Da ciascuno secondo le proprie capacità, a ciascuno secondo i propri bisogni", ma in chi vuole che tutto debba essere sacrificato a questo principio e quindi assume il ruolo strutturante di gestore assoluto della giusta distribuzione di mezzi e bisogni. E' il motivo per cui l'anelito rivoluzionario, una volta acquistato il potere, si chiuse per sempre nella sua posizione del tutto autogiustificatoria, rendendo necessario una sorta di stato rivoluzionario permanente destinato a soffocare la rivoluzione stessa nella gabbia di una struttura burocratica nefanda, il partito comunista sopra i soviet del popolo prima, il segretario di questo partito, Stalin, sopra il partito poi: l'orrendo Piccolo Padre indispensabile per il grande popolo russo mentre l'utopia era ridotta a slogan obbligatorio per mascherare la menzogna continua del demagogo seduttore.
Il problema sono i Piccoli Padri quando il popolo non vuole altro che essi, è allora che occorre avere il coraggio di difendere il populismo, ossia di riconquistare l'utopia di un popolo che impari da sé a governare se stesso, avendo per fine se stesso, vedendosi come uno nei molti diversi che ne fanno parte, in nome della imprescindibilità e irriducibile diversità di ciascun individuo. Occorre un grande sforzo culturale che sia prodotto da una matrice condivisa e non elitaria, proprio quello che il demagogo non vuole, quando afferma che "la cultura non ha mai dato da mangiare a nessuno", mentre lui sa e può dare da mangiare a tutti. Non c'è niente di peggio.

Secondo me occorre distinguere tra:
- democrazia "popolare", nella quale il potere fa riferimento al popolo, che elegge i suoi rappresentanti politici "sine ira ac studio";
-democrazia "populista", nella quale il potere fa riferimento, sì, al popolo, ma solo in quanto sedotto e trascinato emotivamente dalle utopiche promesse dell'istrionico demagogo di turno.
;)

Eutidemo

Citazione di: acquario69 il 22 Marzo 2017, 06:54:03 AM
CitazioneFinchè il mondo viene percepito come più o meno effettivamente "migliore", nessun problema. Qualche bugia ce la lasciamo dire. Quando però le cose iniziano ad andar male non c'è più tempo per formare tanti piccoli Leonardo, che sappiano far fronte alle difficoltà.


Quando si può star tranquilli nel proprio piccolo orticello,allora tutti se ne fregano, quando invece le cose cominciano ad intaccare i piccoli interessi personali allora tutti si incazzano e gridano all'ingiustizia...che e' l'effetto provocato dalla sua stessa causa e che si ritorce contro come un boomerang

Guicciardini docet! :)

Eutidemo

Citazione di: Phil il 21 Marzo 2017, 23:15:51 PM
Citazione di: Eutidemo il 21 Marzo 2017, 07:26:10 AM
Dissento, quindi, dalla tua conclusione, per la quale:  "...qualsiasi "salto nel buio" non possa essere peggiore dell' attuale "essere immersi nella merda": mal che vada si ricade nella stessa!"
Ed infatti, se la merda sta friggendo in una padella, se ne saltiamo fuori, c'è il rischio di finire sicuramente peggio di dove siamo ora! ;D  ;D  ;D
Mi hai fatto tornare in mente questa scena:
https://www.youtube.com/watch?v=DtIoOENzgyw
;D


Perfetto!!!! :D  :D  :D

acquario69

Citazione di: Eutidemo il 22 Marzo 2017, 07:03:01 AM
Secondo me occorre distinguere tra:
- democrazia "popolare", nella quale il potere fa riferimento al popolo, che elegge i suoi rappresentanti politici "sine ira ac studio";
-democrazia "populista", nella quale il potere fa riferimento, sì, al popolo, ma solo in quanto sedotto e trascinato emotivamente dalle utopiche promesse dell'istrionico demagogo di turno.
;)

E secondo te e' mai esistito un potere che fa riferimento al popolo "sine ira ac studio"?

secondo me già il termine potere potrebbe indicare una certa ambiguità di fondo..
E se e' il potere che fa comunque riferimento al popolo, allora come conseguenza si dovrebbe valutare meglio anche il termine stesso di popolo 

Eutidemo

Caro Sgiombo,
ho letto con interessata attenzione le tue osservazioni.
1) 
Il "corporativismo fascista" del ventennio (a cui non ho mai fatto riferimento, in quanto costituiva semplicemente una diversa forma di capitalismo), non aveva niente a che vedere con lo (pseudo)tentativo di "socializzazione dei mezzi di produzione", della RSI, che voleva essere, almeno a chiacchiere, un vero tentativo di "socialismo"
Io avevo solo detto che "strictis verbis", il termine da te usato,  si riferiva storicamente a tale esperimento; che, come avevo scritto anche io, era, però, del tutto "surretizio" (sebbene all'ex comunista Bombacci piacque). 
Per cui, sul punto, non vedo disaccordo alcuno tra di noi, in quanto anche io ho sempre ritenuto che, Il Fascismo, quando si è visto spacciato ha solo "surrettiziamente" prospettato la socializzazione nel disperato tentativo:
- di "sopravvivere", riacquistando il favore delle masse operaie;
- di "avvelenare i pozzi" per l' Italia antifascista che si stava per ricostruire dopo che il fascismo stesso l' aveva portata alla rovina totale e completa.
2) 
Non ho ben capito la tua affermazione per la quale: "...non può esistere "Capitalismo di Stato" se non come complemento del capitalismo privato"; ed infatti, a me sembrano due sistemi ben distinti, in quanto, nel primo, la proprietà dei mezzi di produzione appartiene totalmente allo Stato, mentre nel secondo la proprietà dei mezzi di produzione appartiene totalmente ai privati.
Ovviamente, in concreto, quasi sempre si realizzano forme miste...accentuate più in un senso o più in un altro).
Quanto all'URSS, non cè dubbio che, almeno nelle sue caratteristiche principali, si sia trattato di un "Capitalismo di Stato", (quasi) allo stato puro!
In effetti, almeno stando a quello che ho letto (su libri storici non certo di destra) in URSS, durante il periodo staliniano, non si realizzò affatto una sostanziale "socializzazione",  bensì una una mera "nazionalizzazione"  dei mezzi di produzione; ed infatti, questi erano in mano allo STATO-APPARATO dei boiardi e degli "apparatniki", e non certo allo STATO-COMUNITA' costituito dai cittadini.
Per inciso, è da tenere presente che la distinzione tra STATO-APPARATO e STATO-COMUNITA', è una caratteristica comune a tutte le nazioni moderne; capitalistiche o comuniste che esse siano...o siano state.
Ed infatti, quando, ad esempio, formuliamo un'affermazione del tipo "...lo Stato italiano incoraggia l'acquisto della casa in cui si abita" adoperiamo il termine "Stato" nella, prima accezione, e quindi intendiamo riferirci allo STATO-APPARATO (il Presidente della Repubblica, i ministri, i giudici, gli agenti di polizia ecc.)
Se, invece, diciamo che "nello Stato italiano il 54% degli studenti provenienti da un liceo termina l'Università" ci stiamo riferendo allo STATO-COMUNITA', , cioè al popolo che vive in Italia.
Per dirla in breve:
- Lo Stato-apparato è l'insieme delle strutture che esercitano il potere.
- Lo Stato-comunità è invece la società, detta anche società civile, intesa come l'insieme dei rapporti che le donne e gli uomini instaurano in maniera autonoma e spontanea, indipendentemente dall'esistenza di un centro di potere (la famiglia, le associazioni, i sindacati, i partiti ecc.)
La confusione dei due concetti, è stata sempre foriera di tragici equivoci, e non solo in Russia; laddove, però, il primo aveva usurpato quasi del tutto le funzioni del secondo...ed ancora continua a farlo, pure a "babbo Stalin" morto.
3)
Anche su questo punto mi pare che siamo abbastanza d'accordo, in quanto anche io ritengo che, nel dopoguerra nel "capitalismo reale europeo" non vigeva il peggiore e più iniquo "lassez faire" stile USA, per il fatto che esso era fortemente condizionato dall' esistenza nel campo socialista di partiti "veramente" di sinistra, che erano molto potenti (anche a livello elettorale), ed esistevano anche forti sindacati.
Dissento invece sulla tua tesi che la "SPALLA" dell'URSS abbia favorito più di tanto l'influenza di tali partiti e sindacati (finanziamenti a parte); ed infatti, è mia opinione che, soprattutto dopo le traumatiche esperienze dell'Ungheria (1956) e della Cecoslovacchia (1968), lo SPAURACCHIO dell'Unione Sovietica abbia di gran lunga frenato le "chance" elettorali dei partiti di sinistra europei.
Come, peraltro, la maggior parte dei leader di tali partiti ammisero espressamente (comunisti francesi a parte), fino, spesso, ad arrivare a vere e proprie "incrinature"!
Però, in effetti, penso anche io che la caduta definitiva di tale SPAURACCHIO, abbia inciso alquanto negativamente, contribuendo a ridurre il benefico ruolo dirigistico del limitato "capitalismo di stato italiano" (evidentissimo in Italia con IRI, ENI, EFIM, ecc. e con le "partecipazioni statali"), nonché frenando lo sviluppo dello "stato sociale", non a caso smantellati dopo la sconfitta dell' URSS, rapidissimamente il primo (capitalismo di stato), più gradualmente "per causa di forza maggiore" il secondo (welfare state), con pronto ripristino del peggiore e più iniquo "lassez faire".
Sì, su questo penso di essere abbastanza d'accordo; sebbene sul benefico ruolo dirigistico del limitato "capitalismo di stato italiano" ci sarebbe anche un po' da discutere; complessivamente posso anche essere d'accordo, ma non erano tutte rose e fiori.
Ma sarebbe un discorso troppo lungo (e su una materia che non conosco molto a fondo).
4)
Quanto agli effetti del benefico condizionamento del capitalismo da parte degli stati socialisti, relativi al contenimento della forsennata aggressività bellica del capitalismo imperialistico stesso con, per esempio, 40 anni di pace in Europa, non sono minimamente d'accordo.
USA ed URSS, infatti, erano PARIMENTI AGGRESSIVE, e, i 40 anni di pace, sono dovuti esclusivamente alla spartizione di YALTA ed allo SPETTRO della GUERRA ATOMICA!
Soprattutto a quest'ultimo, cessato il quale, sono cominciate a scoppiare di nuovo sanguinosissime guerre "convenzionali"  e aberrazioni di tipo nazista note come "pulizie etniche ecc. ecc. .
La "pace della guerra fredda", era basata sull'EQUILIBRIO DELLA DISTRUZIONE RECIPROCA TOTALE, e non da altro.
https://www.youtube.com/watch?v=I98KeKV_F9g
4)
Quanto alla discussione sul "socialismo reale", ne abbiamo parlato a sufficienza sopra, per cui ritengo inutile tornare sul punto.
:)

Duc in altum!

**  scritto da Eutidemo:
CitazioneDissento, quindi, dalla tua conclusione, per la quale:  "...qualsiasi "salto nel buio" non possa essere peggiore dell' attuale "essere immersi nella merda": mal che vada si ricade nella stessa!"
Ed infatti, se la merda sta friggendo in una padella, se ne saltiamo fuori, c'è il rischio di finire sicuramente peggio di dove siamo ora!
Quel sicuramente è ponderabile solo per fede personale, mentre in realtà potrebbe essere proprio il contrario.
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

sgiombo

@ Maral
Per parte mia non credo che la tendenza all' imporsi di demagoghi che distorcono la democrazia a proprio vantaggio, secondo "la vecchia dialettica hegeliana tra fine e mezzo" per la quale il secondo si trasforma inevitabilmente nel primo, spieghi molto di quel che accade.
Demagoghi come Berlusconi o Trump (ma anche Renzi, per quanto decisamente meno "dotato", ancor più "scadente" sotto tutti i punti di vista degli altri due) sono in ultima analisi poco più che burattini nelle mani dei veri potenti (dell' "oligarchia dominante reale" cui comunque appartengono e di cui, con maggiore o minore autonomia a seconda dei casi, comunque sostanzialmente curano gli interessi a danno del popolo).
Credo piuttosto che il potere reale non si identifichi pari pari con le istituzioni politiche formali di volta in volta vigenti.
Tanto n USA quanto in Italia nel dopoguerra il potere reale stava e sta nelle mani di un' oligarchia possidente capitalistica che attraverso il controllo dei mezzi di comunicazione inganna il popolo, attraverso il controllo delle leve dell' economia lo ricatta imponendogli scelte coatte, attraverso leggi elettorali truffaldine gli impedisce di espimersi liberamente alle elezioni, eventualmente, come extrema ratio, attraverso il controllo delle forze armate ne "corregge" più o meno sanguinosamente con la violenza le scelte comunque risultate "sbagliate".
Secondo me quel tanto o poco di democrazia reale (comunque sempre estremamente limitata stante la proprietà privata dei mezzi di produzione) che può realizzare nei diversi casi dipende dalle lotte più o meno efficaci (anche in seguito alla situazione internazionale) che il popolo riesce a sviluppare per imporla a dispetto del, e come limitazione antagonisticamente forzata del, potere reale dell' oligarchia dominante; è per questo che in Italia nella prima repubblica ce n' è stata molto più che nella seconda repubblica, o che in tutto il dopoguerra negli USA.
 
 
Secondo me una sorta di stato rivoluzionario permanente nella storia sovietica è innanzitutto stato realmente imposto ai Bolscevichi dalle continue aggressioni militari, economiche demagogiche-propagandistiche cui è stato sottoposto il loro paese da parte del capitalismo imperialistico dominante della parte maggiore, più ricca e sviluppata e meglio armata del mondo; e questo, unitamente a errori e limiti soggettivi dei Bolscevichi stessi (in un processo nel quale condizionamenti oggettivi e carenze soggettive tendevano a potenziarsi a vicenda), e non invece una sorta di "fatale tendenza generale, universale, ineluttabile del potere a irrigidirsi e diventare necessariamente autoreferenziale, è stato all' origine delle, carenze, insufficienze e debolezze (secondo me decisamente relative, limitate in confronto a ciò che accadeva "accanto" ed è accaduto "successivamente") di tali esperienze, che hanno potentemente contribuito a portarle alla sconfitta.
 
 
@ Paul 11
I figli degli operai sono diventati dottori e ingegneri e le cose sono peggiorate, ma non è detto che post hoc, ergo propter hoc; ritengo che i motivi del peggioramento delle cose siano ben altri.
 
 
Siamo sicuri che oggi Si promettete ai figli una Ferrari , quando nelle possibilità si può arrivare a regalare una bicicletta ?
Se con questa metafora ti riferisci in generale al consumismo illimitato (e dunque produzione illimitata) in un modo dalle risorse naturali limitate sono d' accordo.
Invece se ti riferisci a ciò che continuamente i nemici del popolo ripetono e cioè che saremmo vissuti "al di sopra delle nostre possibilità" decisamente no!
Nessuno può vivere al di sopra delle proprie possibilità per oltre mezzo secolo!
E in questo secolo abbondante (fra l' altro a partire dalle distruzioni della seconda guerra mondiale) potevamo permetterci anche "pensioni baby", "falsi invalidi", "finti ciechi" e "furbetti del cartellino": ciò che si produceva e si consumava bastava per mantenere senza problemi per cinquant' anni perfino questi (relativamente piccolissimi) parassiti!
La verità secondo me è che, in seguito al drastico mutamento dei rapporti di forza dovuto soprattutto alla sconfitta del "socialismo reale", ben altri e ben più potenti e insaziabili parassiti e vampiri del sangue del popolo ci stanno sanguisugando senza ritegno: le infime minoranze di privilegiati al potere che prima erano costrette obtorto collo a fare concessioni al popolo lavoratore ora si stanno riprendendo voracissimamemente tutto (si stanno sempre più diffondendo contratti di lavoro che negano la stabilità dell' occupazione, senza limiti all' orario di lavoro, senza diritto alle ferie e alla retribuzione in caso di malattia, con la "buona scuola" si sta reintroducendo il lavoro minorile -oltre tutto gratuito- degli studenti presso le imprese private: ci manca solo lo ius primae noctis, ma credo soltanto per fatto che grazie agli anticoncezionali la verginità delle ragazze viene meno ben prima del matrimonio).
 
 
@ tutti:
Secondo me il populismo tende a imporsi con illusorie promesse di facili soluzioni per i problemi difficilissimi perché è arduo guardare in faccia la realtà e accettare che uscire dal pantano in cui ci hanno ridotti non è affatto possibile senza affrontare durissimi sacrifici.

 MI scuso per essere andato alquanto fuori tema.

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