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Anima, Spirito, Mente

Aperto da viator, 25 Dicembre 2017, 19:14:22 PM

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davintro

Apeiron scrive: 

"personalmente la mia opinione non è molto distante dalla tua (e quindi anche dall'opinione di viator). Ovvero che ci sia qualcosa che renda il gatto "gatto", il cane "cane", l'uomo "uomo" ma la chiamerei "forma" e lascerei il termine "anima" a ciò che può essere considerato "senziente" (il che è piuttosto difficile da stabilire). Per quanto riguarda lo spirito personalmente ritengo ciò la "concettualizzazione" della nostra facoltà di speculare, distinguere il bene e il male"


solo per precisare che sono d'accordo con questo appunto: l'anima la vedo come una particolare determinazione della forma, la forma costituente l'essenza degli esseri viventi, dunque una forma interiore che spinge l'ente a svilupparsi in una certa direzione, ma non tutte le forme sono anime, la pietra ha una forma, ma non ha un'anima, in quando non vi è in essa una spinta a un dinamismo autonomo, cioè proveniente da dentro e finalizzato ad uno sviluppo prestabilito. Concordando con la classificazione aristotelica, non riduco l'anima alla vita "senziente" che comunemente si attribuisce esclusivamente agli animali, ma ogni ad ogni forma di vita, di essere che cresce e si sviluppa sulla base di un "progetto", di un fine insito sin dal punto di origine dell'autodispiegamento, quindi anche allo stadio "vegetativo" a cui vengono ricondotte le piante.

Certamente il tema della forma si lega a quello dell'identità personale, ma più in generale al tema dell'individualità, forma infatti è ciò che delimita, supera l'indeterminatezza a cui le cose resterebbero se fossero solo mera materia ed estensione spaziale: ciò che ha un'individualità, la ha in quanto ha una forma che unisce, fisicamente e non solo, determinando una tendenza unitiva opposta a quella dispersiva, che consente di parlare di individualità (cioè non-divisibilità). Ma unire implica delimitare, e a livello semantico, ciò vuol dire che la forma delle cose è ciò per la quale assumono una essenza necessaria, un tratto caratteristico sulla base della quale poterle qualitativamente distinguere dal resto, e al tempo steso, fissa un limite alle potenzialità indeterminate per cui le cose sarebbero tutto e il contrario di tutto, e questo limite, pur rispettando la molteplicità di varianti, nonché di fasi temporali dello sviluppo, impone al divenire delle cose una logica, un senso, per il quale esso tende a realizzarsi in un determinato modo anziché in un altro. E questa logica fissa immanente allo sviluppo ne costituisce anche il fattore individualizzante, perché unificante, l'essenza che resta tale indipendentemente dalla molteplicità degli stadi in cui lo sviluppo si attua, e che dunque "unisce" nel senso di essere l'elemento presente in tutte le fasi

Angelo Cannata

Dopo Aristotele ne sono passati di secoli, ne sono venuti di filosofi, gliene sono state fatte di critiche! Come si può pensare di adottare oggi di peso la mentalità aristotelica, come se dopo di lui non fosse successo nulla? Come si può parlare di anima, forma, potenzialità, classificazioni, senso, come se fossero concetti chiari, scontati, utilizzabili in tutta tranquillità? A me sembra che ciò sarebbe possibile solo

- facendo finta che la filosofia di Aristotele sia tranquilla e non incorra in un mare di critiche,

- oppure facendo finta che esistano risposte definitive a queste critiche, in grado di reggere stabilmente,

- oppure ignorando effettivamente tutto ciò che è venuto dopo Aristotele, e quindi non ci sarebbe un far finta, ma un non sapere.

Phil

Si parla di metafisica classica, di forma immanente, etc., e per ironia del destino, oggi è stato pubblicato questo fumetto:
http://existentialcomics.com/comic/219
;D

davintro

Citazione di: Phil il 08 Gennaio 2018, 23:08:45 PMSi parla di metafisica classica, di forma immanente, etc., e per ironia del destino, oggi è stato pubblicato questo fumetto: http://existentialcomics.com/comic/219 ;D

molto divertente!

sgiombo

Citazione di: davintro il 08 Gennaio 2018, 00:22:09 AM
l'anima la vedo come una particolare determinazione della forma, la forma costituente l'essenza degli esseri viventi, dunque una forma interiore che spinge l'ente a svilupparsi in una certa direzione, ma non tutte le forme sono anime, la pietra ha una forma, ma non ha un'anima, in quando non vi è in essa una spinta a un dinamismo autonomo, cioè proveniente da dentro e finalizzato ad uno sviluppo prestabilito. Concordando con la classificazione aristotelica, non riduco l'anima alla vita "senziente" che comunemente si attribuisce esclusivamente agli animali, ma ogni ad ogni forma di vita, di essere che cresce e si sviluppa sulla base di un "progetto", di un fine insito sin dal punto di origine dell'autodispiegamento, quindi anche allo stadio "vegetativo" a cui vengono ricondotte le piante.

la forma delle cose è ciò per la quale assumono una essenza necessaria, un tratto caratteristico sulla base della quale poterle qualitativamente distinguere dal resto, e al tempo steso, fissa un limite alle potenzialità indeterminate per cui le cose sarebbero tutto e il contrario di tutto, e questo limite, pur rispettando la molteplicità di varianti, nonché di fasi temporali dello sviluppo, impone al divenire delle cose una logica, un senso, per il quale esso tende a realizzarsi in un determinato modo anziché in un altro. E questa logica fissa immanente allo sviluppo ne costituisce anche il fattore individualizzante, perché unificante, l'essenza che resta tale indipendentemente dalla molteplicità degli stadi in cui lo sviluppo si attua, e che dunque "unisce" nel senso di essere l'elemento presente in tutte le fasi

Oggi é scientificamente dimostrato che il ruolo qui (seguendo Aristotele) attribuito al' "anima" intesa come

"una forma interiore che spinge l'ente a svilupparsi in una certa direzione", "una spinta a un dinamismo autonomo, cioè proveniente da dentro e finalizzato ad uno sviluppo prestabilito", propria di "ogni forma di vita, di essere che cresce e si sviluppa sulla base di un "progetto", di un fine insito sin dal punto di origine dell'autodispiegamento, quindi anche allo stadio "vegetativo" a cui vengono ricondotte le piante", "ciò per la quale assumono una essenza necessaria, un tratto caratteristico sulla base della quale poterle qualitativamente distinguere dal resto, e al tempo steso, fissa un limite alle potenzialità indeterminate per cui le cose sarebbero tutto e il contrario di tutto,  e questo limite, pur rispettando la molteplicità di varianti, nonché di fasi temporali dello sviluppo, impone al divenire delle cose una logica, un senso, per il quale esso tende a realizzarsi in un determinato modo anziché in un altro"

é di fatto svolo dal genoma, ma del tutto meccanicisticamente, in termini di interazioni fra "cause efficienti" e "non finali", implicanti anche l' ambiente (nucleare, citoplasmatico ed extracellulare) con cui esso interagisce chimicamente-fisicamente.

Dal che a mio parere risultano del tutto evidenti sia la grandezza e la genialità (per certi versi anticipatrice) di Aristotele, sia i suoi limiti e gli inesorabili condizionamenti del tempo in cui visse.

viator

#140
Salve. Per Sgiombo: Dal mio punto di vista non ci siamo : cito da Aristotele via Sgiombo: "l'anima la vedo come una particolare determinazione della forma, la forma costituente l'essenza degli esseri viventi, dunque una forma interiore che spinge l'ente a svilupparsi in una certa direzione, ma non tutte le forme sono anime, la pietra ha una forma, ma non ha un'anima".

Prendiamo una stalattite (od una stalagmite) che venga generata ed accresciuta dallo stillicidio. La sua forma è determinata momento per momento e variabile nel tempo. Essa ha una forma interiore (quella degli strati di sedimento calcareo più vecchi che stanno al suo interno) e tale forma interiore viene continuamente rivestita da nuovi strati i quali plasmeranno continuamente ulteriori nuovi strati esterni.

L'ente stalattite tende a svilupparsi in una certa direzione (soprattutto in verticale!). L'anima (cioè, ribadisco, LA SUA FORMA INTERIORE ED ESTERIORE INTESA COME STRUTTURA FISICA INTRINSECA), della stalattite non si sviluppa per una pulsione interna, bensì perché si appropria di contenuti esterni (il calcare disciolto nell'acqua).

Prendiamo ora il corpo di un asceta impegnato nel raggiungimento di una suprema spiritualità. Naturalmente la sua anima - comunque intesa - è qualcosa di immateriale (come l'anima-forma in cui credo io), di indescrivibile, di elevatissimo....è ciò che sta oltre tutti gli altri perfezionamenti raggiunti dalla vita e dal percorso del genere umano....per carità....l'ultima cosa che interessa l'asceta sono i propri bisogni corporali (altrimenti che asceta del cavolo sarebbe ??). Egli è un ispirato spinto da qualcosa a svilupparsi in una certa direzione...la trascendenza.

A questo punto cerchiamo di assecondare la sua noncuranza per i bisogni corporali, e lo priviamo completamente di cibo ed acqua.
Secondo voi per quanto tempo la sua spinta interiore (la cui fonte sarebbe l'anima) lo condurrebbe verso la trascendenza ??
Sono l'acqua, il cibo è l'assolvimento del bisogni fisiologici il solo ingrediente e carburante della nostra FORMA=ANIMA. La sostanza che ci rifornisce di materia e l'energia che ci anima (sic!!).

Ed il genoma di che sarebbe fatto, visto che la saggezza popolare dice che "siamo ciò che mangiamo" ? E forse che tutte le trasformazioni e gli accrescimenti del genoma fino alla costruzione di un corpo non avvengono tramite apporto esterno ? E se non fosse così mi si dica, per favore, a quale esatto punto di sviluppo di un embrione l'anima cade dal cielo e con un gran tonfo si insedia nel corpo ???

Tutto si trasforma ma alcune cose si trasformano così lentamente da sembrarci INANIMATE. Il cambiamento, cioè la diversificazione ed il continuo percorso circolare che transita dalla semplificazione alla complicazione e viceversa, è ciò che fa vivere tutte le cose del mondo, ANIMANDOLE. E ciò che muove tutto questo si chiama entropia, che sarebbe l'anima delle anime del mondo.

Noi stiamo a contemplare il mondo seduti sulla cima di una montagna e crediamo che la posizione elevata e privilegiata su cui poggiamo possa fare a meno delle pietre che ci sostengono. O che quelle pietre stiano lì per permetterci di starci sopra, e non avrebbero un loro proprio senso senza di noi.
E' perché, troppo limitati e troppo vanitosi, non riusciamo a capacitarci dell'inimmaginabile percorso della materia e dell'energia che si sono svolte creando galassie, pianeti, mari, monti, organismi, corpi, sistemi nervosi, sensi, psiche, coscienze, menti, astrazione, sentimenti, trascendenze.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

davintro

Citazione di: sgiombo il 09 Gennaio 2018, 08:58:05 AM
Citazione di: davintro il 08 Gennaio 2018, 00:22:09 AMl'anima la vedo come una particolare determinazione della forma, la forma costituente l'essenza degli esseri viventi, dunque una forma interiore che spinge l'ente a svilupparsi in una certa direzione, ma non tutte le forme sono anime, la pietra ha una forma, ma non ha un'anima, in quando non vi è in essa una spinta a un dinamismo autonomo, cioè proveniente da dentro e finalizzato ad uno sviluppo prestabilito. Concordando con la classificazione aristotelica, non riduco l'anima alla vita "senziente" che comunemente si attribuisce esclusivamente agli animali, ma ogni ad ogni forma di vita, di essere che cresce e si sviluppa sulla base di un "progetto", di un fine insito sin dal punto di origine dell'autodispiegamento, quindi anche allo stadio "vegetativo" a cui vengono ricondotte le piante. la forma delle cose è ciò per la quale assumono una essenza necessaria, un tratto caratteristico sulla base della quale poterle qualitativamente distinguere dal resto, e al tempo steso, fissa un limite alle potenzialità indeterminate per cui le cose sarebbero tutto e il contrario di tutto, e questo limite, pur rispettando la molteplicità di varianti, nonché di fasi temporali dello sviluppo, impone al divenire delle cose una logica, un senso, per il quale esso tende a realizzarsi in un determinato modo anziché in un altro. E questa logica fissa immanente allo sviluppo ne costituisce anche il fattore individualizzante, perché unificante, l'essenza che resta tale indipendentemente dalla molteplicità degli stadi in cui lo sviluppo si attua, e che dunque "unisce" nel senso di essere l'elemento presente in tutte le fasi
Oggi é scientificamente dimostrato che il ruolo qui (seguendo Aristotele) attribuito al' "anima" intesa come "una forma interiore che spinge l'ente a svilupparsi in una certa direzione", "una spinta a un dinamismo autonomo, cioè proveniente da dentro e finalizzato ad uno sviluppo prestabilito", propria di "ogni forma di vita, di essere che cresce e si sviluppa sulla base di un "progetto", di un fine insito sin dal punto di origine dell'autodispiegamento, quindi anche allo stadio "vegetativo" a cui vengono ricondotte le piante", "ciò per la quale assumono una essenza necessaria, un tratto caratteristico sulla base della quale poterle qualitativamente distinguere dal resto, e al tempo steso, fissa un limite alle potenzialità indeterminate per cui le cose sarebbero tutto e il contrario di tutto, e questo limite, pur rispettando la molteplicità di varianti, nonché di fasi temporali dello sviluppo, impone al divenire delle cose una logica, un senso, per il quale esso tende a realizzarsi in un determinato modo anziché in un altro" é di fatto svolo dal genoma, ma del tutto meccanicisticamente, in termini di interazioni fra "cause efficienti" e "non finali", implicanti anche l' ambiente (nucleare, citoplasmatico ed extracellulare) con cui esso interagisce chimicamente-fisicamente. Dal che a mio parere risultano del tutto evidenti sia la grandezza e la genialità (per certi versi anticipatrice) di Aristotele, sia i suoi limiti e gli inesorabili condizionamenti del tempo in cui visse.


La forma, essendo immateriale (altrimenti non avrebbe senso pensare ad un'unità sostanziale tra forma e materia, ma ad una causa materiale autosufficiente), non ha senso che venga identificata con qualsivoglia realtà materiale, piuttosto resta il fattore che specifica il senso determinato di un ente materiale dandogli una struttura peculiare e determinata. Intesi i concetti in quest'accezione qualunque scoperta operata dalle scienze naturali, nel cui alveo rientra la biologia, sarà sempre una scoperta tesa ad approfondire la struttura delle cose inerente la loro materialità, ma i limiti epistemici di tali saperi impediranno che le loro scoperte possano mettere in discussione il principio ontologico-metafisico che ogni ente materiale per esistere ha bisogno di una causa immateriale come la forma. Quindi parlare di genoma  o di interazioni tra genoma e ambiente non sposta i termini della questione: qualunque siano le scoperte dei modi determinati e particolari con cui la materia è organizzata non può venir meno il principio ontologico che ogni materia per esistere, deve possedere un proprio delimitato senso, e che la delimitazione del proprio senso accade nella misura in cui la materia non è materia pura ma materia formata, e tale princìpio resta valido sia per quanto riguarda l'immagine scientifica della materia che si poteva avere ai tempi di Platone e Aristotele che per quanto riguarda la concezione scientifica della materia dei giorni nostri. Qui sta l'autonomia e l'irriducibilità della metafisica (e della filosofia, non certamente solo artistoletica) rispetto alle scienze naturali: nell'indipendenza dell'ambito dei rapporti fra materia e forme inteso nella sua generalità, rispetto alla specificità dei modi in cui può venir riconosciuta l'organizzazione della materia: basta ammettere un'organizzazione in generale per ammettere l'esigenza di individuare come presupposto necessario dell'attualità della materia la presenza di un fattore immateriale come la forma, causa strutturante, anima quando è forma degli esseri viventi. Sono due piani della realtà distinti e dunque non contrapposti, ma compresenti.

sgiombo

Citazione di: viator il 09 Gennaio 2018, 23:24:21 PM
Salve. Per Sgiombo: Dal mio punto di vista non ci siamo : cito da Aristotele via Sgiombo: "l'anima la vedo come una particolare determinazione della forma, la forma costituente l'essenza degli esseri viventi, dunque una forma interiore che spinge l'ente a svilupparsi in una certa direzione, ma non tutte le forme sono anime, la pietra ha una forma, ma non ha un'anima".
CitazioneQuesta non é una citazione (relativa ad Aristotele) mia ma di Davintro, che io ho ripreso per criticarla, evidenziando in che misura sia compatibile, in quale altra incompatibile con la biologia moderna.

Prendiamo una stalattite (od una stalagmite) che venga generata ed accresciuta dallo stillicidio. La sua forma è determinata momento per momento e variabile nel tempo. Essa ha una forma interiore (quella degli strati di sedimento calcareo più vecchi che stanno al suo interno) e tale forma interiore viene continuamente rivestita da nuovi strati i quali plasmeranno continuamente ulteriori nuovi strati esterni.

L'ente stalattite tende a svilupparsi in una certa direzione (soprattutto in verticale!). L'anima (cioè, ribadisco, LA SUA FORMA INTERIORE ED ESTERIORE INTESA COME STRUTTURA FISICA INTRINSECA), della stalattite non si sviluppa per una pulsione interna, bensì perché si appropria di contenuti esterni (il calcare disciolto nell'acqua).
Citazione(A parte il mio totale dissenso dall' impiego qui proposto del concetto di "anima"), infatti la stalattite non é un organismo vivente (non ha un codice genetico che ne guidi "dall' interno", ma inevitabilmente attraverso interazioni causali con l' "esterno", lo sviluppo).

Ed il genoma di che sarebbe fatto, visto che la saggezza popolare dice che "siamo ciò che mangiamo" ? E forse che tutte le trasformazioni e gli accrescimenti del genoma fino alla costruzione di un corpo non avvengono tramite apporto esterno ? E se non fosse così mi si dica, per favore, a quale esatto punto di sviluppo di un embrione l'anima cade dal cielo e con un gran tonfo si insedia nel corpo ???
CitazioneIl genoma é fatto di acido desossiribonucleico, che si replica assemblando in un determinato ordine monomeri i quali ovviamente vengono assunti dagli alimenti (siamo ciò che mangiamo; anche per Feurbach, oltre che per il senso comune)!

Tutto si trasforma ma alcune cose si trasformano così lentamente da sembrarci INANIMATE. Il cambiamento, cioè la diversificazione ed il continuo percorso circolare che transita dalla semplificazione alla complicazione e viceversa, è ciò che fa vivere tutte le cose del mondo, ANIMANDOLE. E ciò che muove tutto questo si chiama entropia, che sarebbe l'anima delle anime del mondo.
CitazioneQuesta é semplicemente una tautologia: tutto ciò che muta, muta.
L' entropia é un aspetto del divenire, una caratteristica dei sistemi termodinamici che, se questi sono chiusi, tende a crescere nel tempo. 

Noi stiamo a contemplare il mondo seduti sulla cima di una montagna e crediamo che la posizione elevata e privilegiata su cui poggiamo possa fare a meno delle pietre che ci sostengono.
CitazioneMai creduto (da parte mia).

O che quelle pietre stiano lì per permetterci di starci sopra, e non avrebbero un loro proprio senso senza di noi.
CitazioneIdem

E' perché, troppo limitati e troppo vanitosi, non riusciamo a capacitarci dell'inimmaginabile percorso della materia e dell'energia che si sono svolte creando galassie, pianeti, mari, monti, organismi, corpi, sistemi nervosi, sensi, psiche, coscienze, menti, astrazione, sentimenti, trascendenze.
CitazioneA me sembra che le scienze naturali spieghino egregiamente gli eventi materiali.
Non così la mente e il pensiero, che sono tutt' altra cosa!

sgiombo

Citazione di: davintro il 10 Gennaio 2018, 00:23:00 AM
Citazione di: sgiombo il 09 Gennaio 2018, 08:58:05 AM
Citazione di: davintro il 08 Gennaio 2018, 00:22:09 AMl'anima la vedo come una particolare determinazione della forma, la forma costituente l'essenza degli esseri viventi, dunque una forma interiore che spinge l'ente a svilupparsi in una certa direzione, ma non tutte le forme sono anime, la pietra ha una forma, ma non ha un'anima, in quando non vi è in essa una spinta a un dinamismo autonomo, cioè proveniente da dentro e finalizzato ad uno sviluppo prestabilito. Concordando con la classificazione aristotelica, non riduco l'anima alla vita "senziente" che comunemente si attribuisce esclusivamente agli animali, ma ogni ad ogni forma di vita, di essere che cresce e si sviluppa sulla base di un "progetto", di un fine insito sin dal punto di origine dell'autodispiegamento, quindi anche allo stadio "vegetativo" a cui vengono ricondotte le piante. la forma delle cose è ciò per la quale assumono una essenza necessaria, un tratto caratteristico sulla base della quale poterle qualitativamente distinguere dal resto, e al tempo steso, fissa un limite alle potenzialità indeterminate per cui le cose sarebbero tutto e il contrario di tutto, e questo limite, pur rispettando la molteplicità di varianti, nonché di fasi temporali dello sviluppo, impone al divenire delle cose una logica, un senso, per il quale esso tende a realizzarsi in un determinato modo anziché in un altro. E questa logica fissa immanente allo sviluppo ne costituisce anche il fattore individualizzante, perché unificante, l'essenza che resta tale indipendentemente dalla molteplicità degli stadi in cui lo sviluppo si attua, e che dunque "unisce" nel senso di essere l'elemento presente in tutte le fasi
Oggi é scientificamente dimostrato che il ruolo qui (seguendo Aristotele) attribuito al' "anima" intesa come "una forma interiore che spinge l'ente a svilupparsi in una certa direzione", "una spinta a un dinamismo autonomo, cioè proveniente da dentro e finalizzato ad uno sviluppo prestabilito", propria di "ogni forma di vita, di essere che cresce e si sviluppa sulla base di un "progetto", di un fine insito sin dal punto di origine dell'autodispiegamento, quindi anche allo stadio "vegetativo" a cui vengono ricondotte le piante", "ciò per la quale assumono una essenza necessaria, un tratto caratteristico sulla base della quale poterle qualitativamente distinguere dal resto, e al tempo steso, fissa un limite alle potenzialità indeterminate per cui le cose sarebbero tutto e il contrario di tutto, e questo limite, pur rispettando la molteplicità di varianti, nonché di fasi temporali dello sviluppo, impone al divenire delle cose una logica, un senso, per il quale esso tende a realizzarsi in un determinato modo anziché in un altro" é di fatto svolo dal genoma, ma del tutto meccanicisticamente, in termini di interazioni fra "cause efficienti" e "non finali", implicanti anche l' ambiente (nucleare, citoplasmatico ed extracellulare) con cui esso interagisce chimicamente-fisicamente. Dal che a mio parere risultano del tutto evidenti sia la grandezza e la genialità (per certi versi anticipatrice) di Aristotele, sia i suoi limiti e gli inesorabili condizionamenti del tempo in cui visse.


La forma, essendo immateriale (altrimenti non avrebbe senso pensare ad un'unità sostanziale tra forma e materia, ma ad una causa materiale autosufficiente), non ha senso che venga identificata con qualsivoglia realtà materiale, piuttosto resta il fattore che specifica il senso determinato di un ente materiale dandogli una struttura peculiare e determinata. Intesi i concetti in quest'accezione qualunque scoperta operata dalle scienze naturali, nel cui alveo rientra la biologia, sarà sempre una scoperta tesa ad approfondire la struttura delle cose inerente la loro materialità, ma i limiti epistemici di tali saperi impediranno che le loro scoperte possano mettere in discussione il principio ontologico-metafisico che ogni ente materiale per esistere ha bisogno di una causa immateriale come la forma. Quindi parlare di genoma  o di interazioni tra genoma e ambiente non sposta i termini della questione: qualunque siano le scoperte dei modi determinati e particolari con cui la materia è organizzata non può venir meno il principio ontologico che ogni materia per esistere, deve possedere un proprio delimitato senso, e che la delimitazione del proprio senso accade nella misura in cui la materia non è materia pura ma materia formata, e tale princìpio resta valido sia per quanto riguarda l'immagine scientifica della materia che si poteva avere ai tempi di Platone e Aristotele che per quanto riguarda la concezione scientifica della materia dei giorni nostri. Qui sta l'autonomia e l'irriducibilità della metafisica (e della filosofia, non certamente solo artistoletica) rispetto alle scienze naturali: nell'indipendenza dell'ambito dei rapporti fra materia e forme inteso nella sua generalità, rispetto alla specificità dei modi in cui può venir riconosciuta l'organizzazione della materia: basta ammettere un'organizzazione in generale per ammettere l'esigenza di individuare come presupposto necessario dell'attualità della materia la presenza di un fattore immateriale come la forma, causa strutturante, anima quando è forma degli esseri viventi. Sono due piani della realtà distinti e dunque non contrapposti, ma compresenti.
CitazioneNon vedo come queste considerazioni (peraltro per me alquanto scure) possano obiettare alle mie affermazioni.

Se la forma non é identificabile col genoma non so che farci: la biologia spiega scientificamente la vita (e non la coscienza) col genoma e le sue interazioni fisico - chimiche con l' ambiente.

Perfettamente d' accordo con l' ovvia considerazione che "qualunque scoperta operata dalle scienze naturali, nel cui alveo rientra la biologia, sarà sempre una scoperta tesa ad approfondire la struttura delle cose inerente la loro materialità, nonché circa "l'autonomia e l'irriducibilità della metafisica (e della filosofia, non certamente solo artistoletica) rispetto alle scienze naturali".

Non invece con le altre considerazioni ontologiche ed epistemologiche, per me assi oscure (e comunque asserite ma non dimostrate).

davintro

Citazione di: sgiombo il 10 Gennaio 2018, 13:31:55 PM
Citazione di: davintro il 10 Gennaio 2018, 00:23:00 AM
Citazione di: sgiombo il 09 Gennaio 2018, 08:58:05 AM
Citazione di: davintro il 08 Gennaio 2018, 00:22:09 AMl'anima la vedo come una particolare determinazione della forma, la forma costituente l'essenza degli esseri viventi, dunque una forma interiore che spinge l'ente a svilupparsi in una certa direzione, ma non tutte le forme sono anime, la pietra ha una forma, ma non ha un'anima, in quando non vi è in essa una spinta a un dinamismo autonomo, cioè proveniente da dentro e finalizzato ad uno sviluppo prestabilito. Concordando con la classificazione aristotelica, non riduco l'anima alla vita "senziente" che comunemente si attribuisce esclusivamente agli animali, ma ogni ad ogni forma di vita, di essere che cresce e si sviluppa sulla base di un "progetto", di un fine insito sin dal punto di origine dell'autodispiegamento, quindi anche allo stadio "vegetativo" a cui vengono ricondotte le piante. la forma delle cose è ciò per la quale assumono una essenza necessaria, un tratto caratteristico sulla base della quale poterle qualitativamente distinguere dal resto, e al tempo steso, fissa un limite alle potenzialità indeterminate per cui le cose sarebbero tutto e il contrario di tutto, e questo limite, pur rispettando la molteplicità di varianti, nonché di fasi temporali dello sviluppo, impone al divenire delle cose una logica, un senso, per il quale esso tende a realizzarsi in un determinato modo anziché in un altro. E questa logica fissa immanente allo sviluppo ne costituisce anche il fattore individualizzante, perché unificante, l'essenza che resta tale indipendentemente dalla molteplicità degli stadi in cui lo sviluppo si attua, e che dunque "unisce" nel senso di essere l'elemento presente in tutte le fasi
Oggi é scientificamente dimostrato che il ruolo qui (seguendo Aristotele) attribuito al' "anima" intesa come "una forma interiore che spinge l'ente a svilupparsi in una certa direzione", "una spinta a un dinamismo autonomo, cioè proveniente da dentro e finalizzato ad uno sviluppo prestabilito", propria di "ogni forma di vita, di essere che cresce e si sviluppa sulla base di un "progetto", di un fine insito sin dal punto di origine dell'autodispiegamento, quindi anche allo stadio "vegetativo" a cui vengono ricondotte le piante", "ciò per la quale assumono una essenza necessaria, un tratto caratteristico sulla base della quale poterle qualitativamente distinguere dal resto, e al tempo steso, fissa un limite alle potenzialità indeterminate per cui le cose sarebbero tutto e il contrario di tutto, e questo limite, pur rispettando la molteplicità di varianti, nonché di fasi temporali dello sviluppo, impone al divenire delle cose una logica, un senso, per il quale esso tende a realizzarsi in un determinato modo anziché in un altro" é di fatto svolo dal genoma, ma del tutto meccanicisticamente, in termini di interazioni fra "cause efficienti" e "non finali", implicanti anche l' ambiente (nucleare, citoplasmatico ed extracellulare) con cui esso interagisce chimicamente-fisicamente. Dal che a mio parere risultano del tutto evidenti sia la grandezza e la genialità (per certi versi anticipatrice) di Aristotele, sia i suoi limiti e gli inesorabili condizionamenti del tempo in cui visse.
La forma, essendo immateriale (altrimenti non avrebbe senso pensare ad un'unità sostanziale tra forma e materia, ma ad una causa materiale autosufficiente), non ha senso che venga identificata con qualsivoglia realtà materiale, piuttosto resta il fattore che specifica il senso determinato di un ente materiale dandogli una struttura peculiare e determinata. Intesi i concetti in quest'accezione qualunque scoperta operata dalle scienze naturali, nel cui alveo rientra la biologia, sarà sempre una scoperta tesa ad approfondire la struttura delle cose inerente la loro materialità, ma i limiti epistemici di tali saperi impediranno che le loro scoperte possano mettere in discussione il principio ontologico-metafisico che ogni ente materiale per esistere ha bisogno di una causa immateriale come la forma. Quindi parlare di genoma o di interazioni tra genoma e ambiente non sposta i termini della questione: qualunque siano le scoperte dei modi determinati e particolari con cui la materia è organizzata non può venir meno il principio ontologico che ogni materia per esistere, deve possedere un proprio delimitato senso, e che la delimitazione del proprio senso accade nella misura in cui la materia non è materia pura ma materia formata, e tale princìpio resta valido sia per quanto riguarda l'immagine scientifica della materia che si poteva avere ai tempi di Platone e Aristotele che per quanto riguarda la concezione scientifica della materia dei giorni nostri. Qui sta l'autonomia e l'irriducibilità della metafisica (e della filosofia, non certamente solo artistoletica) rispetto alle scienze naturali: nell'indipendenza dell'ambito dei rapporti fra materia e forme inteso nella sua generalità, rispetto alla specificità dei modi in cui può venir riconosciuta l'organizzazione della materia: basta ammettere un'organizzazione in generale per ammettere l'esigenza di individuare come presupposto necessario dell'attualità della materia la presenza di un fattore immateriale come la forma, causa strutturante, anima quando è forma degli esseri viventi. Sono due piani della realtà distinti e dunque non contrapposti, ma compresenti.
CitazioneNon vedo come queste considerazioni (peraltro per me alquanto scure) possano obiettare alle mie affermazioni. Se la forma non é identificabile col genoma non so che farci: la biologia spiega scientificamente la vita (e non la coscienza) col genoma e le sue interazioni fisico - chimiche con l' ambiente. Perfettamente d' accordo con l' ovvia considerazione che "qualunque scoperta operata dalle scienze naturali, nel cui alveo rientra la biologia, sarà sempre una scoperta tesa ad approfondire la struttura delle cose inerente la loro materialità, nonché circa "l'autonomia e l'irriducibilità della metafisica (e della filosofia, non certamente solo artistoletica) rispetto alle scienze naturali". Non invece con le altre considerazioni ontologiche ed epistemologiche, per me assi oscure (e comunque asserite ma non dimostrate).


il punto che provavo a sottolineare è che qualunque entità materiale il naturalista scoprirà, nessuna scoperta potrebbe invalidare il principio ontologico per cui la materia esiste in quanto materia formata: se il metafisico si limita ad affermare che ogni materia per esistere ha bisogno di una forma che ne specifichi il senso, e negli esseri viventi questa forma si dà come forma che produce uno sviluppo "dall'interno", cioè una forma vivente, l'anima, allora di fronte alla scoperta del genoma o di qualunque altra realtà fisica da parte del biologo, esso potrà continuare ad affermare che queste realtà materiali esistono in quanto formate, e la forma complessiva che imprime allo sviluppo della materia un certo andamento, cioè un dinamismo teso a realizzarsi come materia vivente resterebbe l'anima. Quindi il genoma non sostituisce l'anima nel suo "ruolo" di causa formale dell'essere vivente: l'anima resterebbe forma del corpo, i cui meccanismi insiti nella sua materialità si prestano ad essere via via meglio compresi dalle scienze naturali, ma senza che ciò che porta a capire meglio l'aspetto materiale delle cose arrivi al punto di sostituire ciò che si riferisce a quello formale: nessuna incompatibilità o necessità di sostituzione tra anima e genoma: una spiega la vita per un senso (l'aspetto formale), l'altra per un altro (quello materiale), questa è la distinzione dei piani fra fisica e metafisica. Nemmeno le interazioni con l'ambiente esterno esauriscono la spiegazione del "perché" della vita, almeno non al punto di poter fare a meno del concetto di anima come "forma interiore". Ovviamente nessuno nega la necessità di un'interazione delle condizioni causali esterni per lo sviluppo di un essere vivente: senza essere innaffiato un seme non feconda la pianta, senza acqua e cibo un bambino muore, ma queste condizioni pur necessarie, non sono sufficiente, ma entrano in relazione con uno sviluppo del soggetto vivente che muove dall'interno: se non la innaffio la pianta non cresce, ma non crescerebbe nemmeno gettando acqua su una pietra nuda. Le interazioni organismo-ambiente di per se non spiegano l'origine della  vita, ma sono il complesso necessario di relazione fra un soggetto già di per sé dotato di un dinamismo interno e condizioni esterne che ne supportano la crescita, e l'anima andrebbe considerata come ciò che costituisce tale dinamismo interno, il "progetto", la forma che si autodispiega, origine della vita, anche se non sufficiente a garantirne la conservazione e il proseguio della crescita, e del resto lo stesso Aristotele, con l'eccezione dell'Atto puro, il Motore immobile, concepiva forma e materia (quest'ultima passivamente ricettiva degli stimoli esteriori) come cause e componenti entrambe necessarie. Pensare che le condizioni ambientali siano in grado di rendere ragione della vita eliminando il bisogno di individuare un principio dinamico interiore come l'anima avrebbe senso solo allargando il significato della "vita" a qualunque forma di movimento, anche non organico, attribuendo "vita" anche ad un piuma sbattuta dal vento, il cui movimento non è determinato da alcunché di interiore alla piuma, ma solo ad un fattore esterno come la forza del vento, ma se ci rifacciamo al significato comune del termine (nel quale certamente il volo della piuma non sarebbe compresa) allora l'anima dovrebbe restare principio fondamentale dal punto di vista della forma, sempre però collegata ad una struttura materiale ed alle condizioni ambientali esterne, che costituiscono l'ambito a cui le scienze naturali riferiscono le loro scoperte.

Se hai compreso e condiviso la mia affermazione precedente per la quale:

"qualunque scoperta operata dalle scienze naturali, nel cui alveo rientra la biologia, sarà sempre una scoperta tesa ad approfondire la struttura delle cose inerente la loro materialità, nonché circa "l'autonomia e l'irriducibilità della metafisica (e della filosofia, non certamente solo artistoletica) rispetto alle scienze naturali"

credo che tutto il resto del discorso venga da sé...  una volta ammessa l'autonomia e l'irriducibilità di un piano metafisico a quello fisico, non ha senso pensare a una sovrapposizione o contrapposizione di visioni, dunque ciò che metafisica e ontologia individuano nel nesso fra forma e materia e nella trattazione del concetto di "anima" non viene toccato da ciò che le scienze naturali, su un altro livello della realtà scoprono, dunque non ha senso pensare che le scoperte della biologia possano rendere inattuale un discorso metafisico, che vige per un piano diverso, e risponde a diverse questioni. Solo una metafisica può sostituirsi a un'altra metafisica.

sgiombo

Citazione di: davintro il 10 Gennaio 2018, 15:37:15 PM


il punto che provavo a sottolineare è che qualunque entità materiale il naturalista scoprirà, nessuna scoperta potrebbe invalidare il principio ontologico per cui la materia esiste in quanto materia formata: se il metafisico si limita ad affermare che ogni materia per esistere ha bisogno di una forma che ne specifichi il senso, e negli esseri viventi questa forma si dà come forma che produce uno sviluppo "dall'interno", cioè una forma vivente, l'anima, allora di fronte alla scoperta del genoma o di qualunque altra realtà fisica da parte del biologo, esso potrà continuare ad affermare che queste realtà materiali esistono in quanto formate, e la forma complessiva che imprime allo sviluppo della materia un certo andamento, cioè un dinamismo teso a realizzarsi come materia vivente resterebbe l'anima. Quindi il genoma non sostituisce l'anima nel suo "ruolo" di causa formale dell'essere vivente: l'anima resterebbe forma del corpo, i cui meccanismi insiti nella sua materialità si prestano ad essere via via meglio compresi dalle scienze naturali, ma senza che ciò che porta a capire meglio l'aspetto materiale delle cose arrivi al punto di sostituire ciò che si riferisce a quello formale: nessuna incompatibilità o necessità di sostituzione tra anima e genoma: una spiega la vita per un senso (l'aspetto formale), l'altra per un altro (quello materiale), questa è la distinzione dei piani fra fisica e metafisica. Nemmeno le interazioni con l'ambiente esterno esauriscono la spiegazione del "perché" della vita, almeno non al punto di poter fare a meno del concetto di anima come "forma interiore". Ovviamente nessuno nega la necessità di un'interazione delle condizioni causali esterni per lo sviluppo di un essere vivente: senza essere innaffiato un seme non feconda la pianta, senza acqua e cibo un bambino muore, ma queste condizioni pur necessarie, non sono sufficiente, ma entrano in relazione con uno sviluppo del soggetto vivente che muove dall'interno: se non la innaffio la pianta non cresce, ma non crescerebbe nemmeno gettando acqua su una pietra nuda. Le interazioni organismo-ambiente di per se non spiegano l'origine della  vita, ma sono il complesso necessario di relazione fra un soggetto già di per sé dotato di un dinamismo interno e condizioni esterne che ne supportano la crescita, e l'anima andrebbe considerata come ciò che costituisce tale dinamismo interno, il "progetto", la forma che si autodispiega, origine della vita, anche se non sufficiente a garantirne la conservazione e il proseguio della crescita, e del resto lo stesso Aristotele, con l'eccezione dell'Atto puro, il Motore immobile, concepiva forma e materia (quest'ultima passivamente ricettiva degli stimoli esteriori) come cause e componenti entrambe necessarie. Pensare che le condizioni ambientali siano in grado di rendere ragione della vita eliminando il bisogno di individuare un principio dinamico interiore come l'anima avrebbe senso solo allargando il significato della "vita" a qualunque forma di movimento, anche non organico, attribuendo "vita" anche ad un piuma sbattuta dal vento, il cui movimento non è determinato da alcunché di interiore alla piuma, ma solo ad un fattore esterno come la forza del vento, ma se ci rifacciamo al significato comune del termine (nel quale certamente il volo della piuma non sarebbe compresa) allora l'anima dovrebbe restare principio fondamentale dal punto di vista della forma, sempre però collegata ad una struttura materiale ed alle condizioni ambientali esterne, che costituiscono l'ambito a cui le scienze naturali riferiscono le loro scoperte.
Citazione 
Ma mentre la biologia dimostra cose reali circa i viventi, il loro genoma, ecc., invece le affermazioni aristoteliche su materia, forma, anima, ecc. mi sembrano gratuite affermazioni dal significato a me poco o punto comprensibile e che comunque trovo inutili ai fini della conoscenza e comprensione della realtà (fisica-materiale e non); un vaniloquio, a mio modesto modo di vedere.
 
La biologia (e in generale le scienze indagano il "come", non il "perché" delle cose materiali.
Chiedersi il "perché" ha senso solo relativamente all' azione finalizzata (unicamente umana; a meno che mi si dimostri che esistono altre entità agenti finalisticamente) e non all' afinalistico divenire naturale, nel quale nulla é "progettato" da alcuno ma tutto accade come concatenazione causale di eventi..
 
Pensare che le condizioni ambientali siano in grado di rendere ragione della vita eliminando il bisogno di individuare un inverificabile principio dinamico interiore come l'anima ma invece invocando l' interazione causale afinalistica del genoma con l' ambiente esterno all' organismo stesso (verificata empiricamente) significa pensare in modo scientificamente fondato; speculare sull' "anima" invece significa elucubrare gratuitamente e infondatamente.

Se hai compreso e condiviso la mia affermazione precedente per la quale:

"qualunque scoperta operata dalle scienze naturali, nel cui alveo rientra la biologia, sarà sempre una scoperta tesa ad approfondire la struttura delle cose inerente la loro materialità, nonché circa "l'autonomia e l'irriducibilità della metafisica (e della filosofia, non certamente solo artistoletica) rispetto alle scienze naturali"

credo che tutto il resto del discorso venga da sé...  una volta ammessa l'autonomia e l'irriducibilità di un piano metafisico a quello fisico, non ha senso pensare a una sovrapposizione o contrapposizione di visioni, dunque ciò che metafisica e ontologia individuano nel nesso fra forma e materia e nella trattazione del concetto di "anima" non viene toccato da ciò che le scienze naturali, su un altro livello della realtà scoprono, dunque non ha senso pensare che le scoperte della biologia possano rendere inattuale un discorso metafisico, che vige per un piano diverso, e risponde a diverse questioni. Solo una metafisica può sostituirsi a un'altra metafisica.
CitazioneMa neanche per sogno!
Rendersi conto dei limiti delle scienze naturali non significa affatto dare la stura alle più sfrenate fantasticherie metafisiche e ai più gratuiti giochi di parole!

Phil

Citazione di: davintro il 10 Gennaio 2018, 15:37:15 PM
una volta ammessa l'autonomia e l'irriducibilità di un piano metafisico a quello fisico, non ha senso pensare a una sovrapposizione o contrapposizione di visioni, dunque ciò che metafisica e ontologia individuano nel nesso fra forma e materia e nella trattazione del concetto di "anima" non viene toccato da ciò che le scienze naturali, su un altro livello della realtà scoprono
Il nodo problematico del dualismo fra fisico e metafisico mi pare essere come il secondo possa condizionare concretamente il primo: affinché la forma conformi la materia, ci dovrebbe essere un punto di contatto o almeno comunicazione (fra il fisico e il metafisico) in cui avviene il passaggio dell'in-formazione, ovvero in cui il "progetto potenziale" diventa "ingegneria applicata performante". Come indagare attendibilmente questa interazione fra metafisico e fisico?
Il "sinolo" aristotelico è un concetto indimostrato: la forma è nella realtà o è solo nell'occhio-mente/cervello che la interpreta? La pseudo-soluzione della ghiandola pineale cartesiana è dietro l'angolo... e questo porta ad un'altra considerazione:
Citazione di: davintro il 10 Gennaio 2018, 15:37:15 PM
dunque non ha senso pensare che le scoperte della biologia possano rendere inattuale un discorso metafisico
La ghiandola pineale esiste davvero, tuttavia (fino a prova contraria) non svolge la funzione che le attribuiva Cartesio, ovvero quella di "sede" dell'anima.
La meta-fisica spesso intuisce a priori, precorrendo di secoli ciò che la scienza dimostra a posteriori; tuttavia, almeno finora, la scienza ha confutato-rettificato spesso la metafisica, almeno sulle questioni confutabili-verificabili; la metafisica non ha ancora fatto altrettanto... anche se si è dimostrata il meglio che l'intuito umano potesse offrire. La scienza può rendere inattuale parte della metafisica, ma solo altra scienza può rendere inattuale la scienza; concordo infatti sulla constatazione che:
Citazione di: davintro il 10 Gennaio 2018, 15:37:15 PM
Solo una metafisica può sostituirsi a un'altra metafisica.
Sulle questioni inconfutabili, in quanto tali, la scienza non ha molto da dire e non ci resta che affidarci a quella metafisica che sentiamo più affine alla nostra visione del mondo (sia essa aristotelica, induista o altro...).

davintro

per Phil

 

forse mi accorgo che sono stato impreciso nei miei post per spiegare la mia posizione riguardo il rapporto fra dualità epistemologica metafisico-fisico e quella ontologica forma-materia, e che dunque poteva dare adito a fraintendimenti. In realtà non vedo una coincidenza fra le due polarità, per la quale la metafisica si occuperebbe solo della forma e non della materia, e la fisica solo della materia e non della forma. In realtà penso che la distinzione fisico-metafisico non vada intesa come una sorta di spartizione fra sostanze, del cui studio alcune dovrebbero essere appannaggio della fisica, altre della metafisica, bensì come distinzioni fra questioni, che però possono anche riguardare enti in comune. Cioè fisica e metafisica dovrebbero distinguersi non per gli oggetti di indagine nella loro "inseità", ma per le differenti (e non contrapposte o sovrapponibili) prospettive. La metafisica si occupa di individuare un complesso di princìpi e relazioni fondative, aventi valenza universale, riconoscibili su base speculativa, e non sulla base dell'esperienza sensibile, limitabile solo agli aspetti empirici e contingenti delle cose, e in questo senso, anche la materia, pur riferendosi a una realtà fisica, nella misura in cui è riconosciuta come una delle componenti costitutive della sostanza, necessariamente e non contingentemente, diviene oggetto della metafisica, che però non si occupa delle modalità di strutturazione particolari di essa, riconoscibili per via empirica. Quindi la metafisica può autonomamente riconoscere la presenza in ogni sinolo di un aspetto materiale, nella misura in cui individua il carattere di potenza e indeterminazione presente in ogni cosa soggetta al divenire, mentre lascia alle scienze naturali il compito di approfondire e indagare le leggi insite nella materia ricavabili sulla base dell'esperienza sensibile. Stando così le cose la metafisica si presenta come un sapere compiuto in sé, anche se non esaustivo degli aspetti della realtà, sia forma che materia sono componenti ontologiche entrambe riconoscibili in quanto rendono ragione di differenti aspetti e questioni della cosa, senza alcuna necessità di introdurre anelli di congiunzione terzi tra le due cause. Il problema dell'anello di congiunzione è un problema unicamente insito nel modello dualista-sostanzialista cartesiano: una volta poste anima e corpo come sostanze separate, sorge necessariamente la questione di come giustificare la coscienza della propria unità individuale e delle costanti interazioni tra pensiero, volontà e corpo caratterizzanti la nostra vita, e a quel punto si sarà costretti ad ammettere soluzioni più o meno improbabili come "ghiandole pineali" ecc. (senza contare che nel momento in cui questo anello di congiunzione viene identificato o con qualcosa di fisico come nel la ghiandola pineale, o con qualcosa di immateriale, il problema non è affatto risolto, dato che questo andrebbe a essere compreso in una delle due dimensioni e il problema di come collegarle resterebbe del tutto insoluto, dato che lo stesso anello di congiunzione sarebbe a tutti gli effetti una parte di una di esse, e dunque anch'essa seguirebbe il resto della sua dimensione di appartenenza nel richiamo alla questione di partenza su come collegarsi all'altra). Nel momento in cui invece forma e materia vengono considerante come componenti entrambe necessarie nella loro complementarietà alla costituzione dell'ente, allora è sufficiente il loro considerarsi all'interno dell'unità della sostanza per rendere ragione delle loro interazioni, e del loro contribuire all'autocoscienza individuale, senza bisogno di immaginare fantasiosi ponti di collegamenti terzi.


"Sulle questioni inconfutabili, in quanto tali, la scienza non ha molto da dire e non ci resta che affidarci a quella metafisica che sentiamo più affine alla nostra visione del mondo (sia essa aristotelica, induista o altro...)."


questo discorso mi pare presupponga la premessa, a mio avviso errata, per cui ogni tesi metafisica sarebbe riducibile ad un fideismo volontarista per cui si sostengono delle idee sulla base della loro attinenza con i nostri valori soggettivi sentimentali, in contrapposizione con il rigore razionale delle scienze naturali. In realtà la metafisica è sempre un discorso razionale, indipendentemente dal fatto che nella storia il rigore razionale dei discorsi possa essere stato più o meno seguito, o dal fatto che condizionamenti di natura non teoretica abbiano inficiato il valore veritativo delle riflessioni. Ovviamente ogni sistema metafisico sorto storicamente comprende elementi di irrazionalità, ma ciò dipende dalle doti, dalle capacità intellettive personali di chi teorizza, non da un limite costitutivo epistemico della disciplina, allo stesso modo con cui può fare errori uno scienziato naturalista. Si può fare buona o cattiva metafisica, così come buona o cattiva scienza, ma è sufficiente l'intenzionalità di operare un discorso metafisico su base razionale, a permettere a questi discorsi di poter essere eventualmente discussi e confutati: possono esserlo sulla base di una razionalità più rigorosa che valuta le contraddizioni e le imprecisioni di un'altra razionalità, e che dunque nella verifica resta nel suo terreno, basta solo riconoscere che la "verifica" delle tesi metafisiche abbia qualità peculiari che la differenzino dal modello di verificazione delle scienze naturali, sulla base della distinzioni della natura delle questioni che le diverse discipline mirano a risolvere.

Phil

Citazione di: davintro il 28 Gennaio 2018, 19:04:07 PM
La metafisica si occupa di individuare un complesso di princìpi e relazioni fondative, aventi valenza universale, riconoscibili su base speculativa, e non sulla base dell'esperienza sensibile
Qui inizia il conflitto-competizione con la scienza: la scienza non bada solo a problemi tecnico-operativi, ma ricerca anche quegli stessi principi fondativi e universali che la metafisica rincorre (e volerli fondare sull'esperienza sensibile non mi sembra un difetto  ;D ). Quando si parla di principi universali e fondanti, la postilla di metterli a fuoco con due approcci differenti, diventa inaffidabile: secondo me, un principio universale e fondante non può essere "bilingue" e parlare sia il linguaggio della metafisica che quello della scienza.

Citazione di: davintro il 28 Gennaio 2018, 19:04:07 PM
Nel momento in cui invece forma e materia vengono considerante come componenti entrambe necessarie nella loro complementarietà alla costituzione dell'ente, allora è sufficiente il loro considerarsi all'interno dell'unità della sostanza per rendere ragione delle loro interazioni, e del loro contribuire all'autocoscienza individuale
Proprio tale interazione, a mio avviso, è il problema: la postuliamo pacificamente, o ci chiediamo come funziona (sempre partendo dal presupposto, indimostrato, che ci sia davvero tale interazione)?
Per quanto riguarda forma e materia: il loro "considerarsi all'interno dell'unità della sostanza" davvero è sufficiente a "rendere ragione delle loro interazioni"? Le pensiamo assieme nella sostanza e ciò basta a farci capire come la forma informi la materia e la materia si sempre necessariamente formata? A mio modesto parere, la domanda sul "come" le due interagiscono, resta piuttosto aperta (e, intanto, la scienza ci suggerisce che il "come" potrebbe essere plausibilmente nella genetica...).

Citazione di: davintro il 28 Gennaio 2018, 19:04:07 PM
In realtà la metafisica è sempre un discorso razionale, [...] Ovviamente ogni sistema metafisico sorto storicamente comprende elementi di irrazionalità, ma ciò dipende dalle doti, dalle capacità intellettive personali di chi teorizza, non da un limite costitutivo epistemico della disciplina, allo stesso modo con cui può fare errori uno scienziato naturalista. Si può fare buona o cattiva metafisica, così come buona o cattiva scienza, ma è sufficiente l'intenzionalità di operare un discorso metafisico su base razionale, a permettere a questi discorsi di poter essere eventualmente discussi e confutati: possono esserlo sulla base di una razionalità più rigorosa che valuta le contraddizioni e le imprecisioni di un'altra razionalità, e che dunque nella verifica resta nel suo terreno, basta solo riconoscere che la "verifica" delle tesi metafisiche abbia qualità peculiari che la differenzino dal modello di verificazione delle scienze naturali, sulla base della distinzioni della natura delle questioni che le diverse discipline mirano a risolvere.
Come può una metafisica confutare un'altra metafisica? Una scienza può farlo (come è accaduto), ma un'altra metafisica può solo fornire una chiave di lettura alternativa, partendo da presupposti differenti o mettendo l'accento su ciò che invece l'altra metafisica lasciava fra parentesi.
Le metafisiche possono essere razionali nei discorsi, ma non nelle premesse; se fossero razionali sia nelle premesse che nei ragionamenti, sarebbero (una) scienza  :)
Proiettare sulla metafisica categorie epistemologiche (pur essendo l'epistemologia una "figlia emancipata" della/dalla metafisica) come "verifica", "analisi", "rigore", etc. significa, per me, alienare la metafisica in pseudo-scienza capricciosa... la funzione della metafisica può essere piuttosto fornire ipotesi di spiegazioni per ciò che non ha ancora una spiegazione scientifica (e qui la sua credibilità si allaccia all'individuale affinità teoretica-esistenziale a cui accennavo...).

viator

Salve. In principio era l'unicità priva di forma. Anche ora esiste solamente l'unicità, però dotata di forma. L'unicità corredata di forma si chiama duplicità. La quale cominciò ad esistere quando arrivò l'osservatore dell'unicità. Da quel momento l'unicità, che restò tale, assunse una forma : quella datagli dall'osservatore, dal momento che questi era equipaggiato con un unico strumento ottico : la propria men te la quale, non consistendo di una sostanza (era solo OSPITATA da una sostanza neuronale e cellulare) bensì di una STRUTTURA, cioè di una FORMA propria.

L'osservatore dell'unicità però, nel dare in tal modo una forma all'unicità, si accorse che in realtà non riusciva affatto ad osservare una unicità. Doveva come rinunciare a farlo poiché vi aveva aggiunto qualcosa !. Ovvio : un osservatore ed un osservato fanno una duplicità !

Gli occhi della sua mente scorgevano ora quindi una duplicità non ulteriormente risolvibile : costituita appunto dalla sostanza ed appunto dalla forma. Allora cercò di osservare separatamente tali due aspetti. Purtroppo il suo sforzo di concentrarsi su uno di essi veniva inesorabilmente disturbato dall'insinuarsi dell'altro che avrebbe voluto temporaneamente trascurare. Nel cercare di osservare quale fosse la natura della sostanza si accorgeva di non poter fare a meno di attribuirgli una forma, e reciprocamente accadeva quando cercava di cambiare soggetto di osservazione.

C'è un solo modo per separare la sostanza dalla forma : sopprimere l'osservatore.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

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