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Anima, Spirito, Mente

Aperto da viator, 25 Dicembre 2017, 19:14:22 PM

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green demetr

#120
Citazione di: Angelo Cannata il 07 Gennaio 2018, 13:47:17 PM
Citazione di: Phil il 07 Gennaio 2018, 11:38:58 AM
Mi permetto un suggerimento per (auto)controllare se la (auto)risposta è esaustiva: prova a pensare se, fuori da questo nostro dialogo, qualcuno ti contattasse sul tuo sito e ti chiedesse: "hai la certezza che la tua proposta spirituale abbia una corretta impostazione etica e sia praticabile?". Se rispondi: "preferisco non usare la parola certezza, perché è troppo ancorata alla metafisica", sarai convinto di aver chiarito davvero le sue perplessità? Se rispondi "si, ne sono abbastanza certo" non si tratta forse di una momentanea certezza (qui difficilmente rimpiazzabile con i termini che proponi: bilancio, prova, tentativo, costrizione)?
Mi riferisco a:
Citazione di: Angelo Cannata il 05 Gennaio 2018, 21:57:30 PM
Quando possibile, io di certezze non voglio averne neanche di provvisorie. Non mi sembra che quello delle certezze come base, anche più o meno provvisoria, sia uno schema imprescindibile.
Se invece rispondi: "non lo so, è solo un'ipotesi, ognuno di noi può metterla alla prova in pratica e vedere che succede", non sarà come rispondere "no, non ne ho certezza", svalutando così alla radice le buone intenzioni della tua proposta?
Sì, in questi casi c'è un problema di comunicazione non facile da superare.
Mi sembra che la sua radice consista nel fatto che, tutte le volte che viene posta una domanda, la domanda stessa crea sempre un contesto, introduce un linguaggio, presenta delle coordinate entro cui chi la pone si sta muovendo e vorrebbe continuare a muoversi.
Questa situazione viene a scontrarsi col fatto che il relativismo è critica dei contesti, dei linguaggi, delle coordinate.
La difficoltà non è teorica, perché a livello teorico i linguaggi possono sempre confrontarsi, dialogare. Ad esempio, la matematica di per sé è perfettamente in grado di dialogare con l'arte e viceversa: entrambe sono in grado di criticare sé stesse, mettersi in questione, sperimentare parametri inesplorati, innovativi, destabilizzanti.
Io vedo il problema oggi piuttosto da un punto di vista pratico, sociale. Qualche giorno fa vedevo una trasmissione in cui si faceva osservare che la massa di oggi viene sempre di più abituata a confrontarsi con ciò che essa si aspetta. Google, facebook, le banche, il mercato, raccolgono dati sugli interessi della massa in maniera che la massa, quando ad esempio cerca una parola su Google, trovi ciò che si aspetta di trovare. In questo modo ognuno viene sempre più chiuso nella propria gabbia mentale e sempre più disabituato alla diversità, all'inaspettato, a ciò che fa parte di coordinate diverse, a ciò che per essere compreso richiederebbe l'adozione di schemi diversi da quelli abituali.
Lo sforzo mentale, le acrobazie concettuali, ciò che mette in crisi l'orientamento, diventano tutte cose bandite. Ciò che conta è il comfort. Si può osservare come tutte le volte che si parla di marziani, UFO, fantasmi, esoterismi, se ne parla in un modo tale che in realtà non hanno proprio niente di radicalmente diverso da noi e dal nostro mondo abituale, dalle coordinate tradizionali in cui intendiamo muoverci: riflettono proprio la nostra sempre maggiore incapacità mentale di immaginare cose che siano davvero diverse.
In queste condizioni non c'è spazio per il relativismo, perché esso non è rassicurante, non offre coordinate di riferimento confortevoli a cui appoggiarsi, a cui prestare fiducia.
Il grosso del grido "crocifiggilo" riguardo a Gesù non veniva dai Romani, né dai sacerdoti del tempio, ma dalle masse da loro manovrate. In quest'analogia i Romani e i sacerdoti del tempio sono Google, facebook, il mercato, cioè i burattinai, i manovratori.
Perciò sono consapevole che oggi, come d'altra parte i fatti mostrano, non c'è spazio per la spiritualità intesa in modo serio, critico, ben studiato. L'esigenza di spiritualità c'è, il desiderio, l'aspettativa, ci sono, ma si tratta di aspettative che, senza accorgersene, intendono anche dettare le coordinate. Il che non sarebbe neanche vietato, non sarebbe proprio un male, se non fosse che queste coordinate che vengono dettate consistono proprio nella richiesta di non essere messe in discussione.
Di conseguenza, di fronte alla domanda che hai proposto "hai la certezza che la tua proposta spirituale abbia una corretta impostazione etica e sia praticabile?", risponderei nella maniera più vera, più vicina alla radice della spiritualità, a rischio di essere frainteso: non ho la certezza, non ne ho la minima certezza, per me la certezza è il diavolo. Anche Gesù in diverse occasioni si espresse in maniere del cui sicuro fraintendimento non poteva non essere consapevole: disse di strapparsi e gettare via l'occhio che fa peccare; a Nicodemo disse che bisognava rinascere e difatti Nicodemo gli chiese come poteva essere possibile entrare di nuovo nell'utero; nei Giudei suscitò la curiosità di come avrebbe potuto dar loro la sua carne da mangiare.
Il relativismo è provocatorio, per sua natura, ma proprio questo me lo fa percepire irresistibilmente affascinante, poiché non si tratta di assurdità casuali di poco conto; si tratta di cose che toccano l'intimo di ciò che è umano.

Esatto, concordo il larga misura.

Sono d'accordo che avere la certezza di un indirizzo certo della spiritualità sia un errore.

Posso essere d'accordo anche con gli spunti generali del pensiero debole.

Ma lo posso essere solo nel dialogo nel rapporto con l'altro.

Altro tema su cui vorrei forzare la discussione.

Perchè invece portare il relativismo alle sue più radicali conseguenze?

E' un pensiero il relativismo e come ogni pensiero, è solo uno strumento, una intellezione, per unire appunto oggetti lontanti, non immediati.

Essere un intellettuale relativista, come lo sei tu, a mio avviso dovrebbe anche comportare l'intelligenza di non portare a esiti estremi, ossia a essere vittima di una srategia, di uno strumento, come è quello del pensare relativo.

Bisogna avere l'umiltà di fermarsi un attimo prima. La pretesa di voler scardinare completamente ogni certezza dell'umano non ne è forse una sua più ultima tiranneggiante conclusione, e cioè fare della volontò di dominio sulle cose, il suo esito naturale: la distruzione dell'oggetto stesso dell'indagine. (in questo caso della nostra capacità di orientarci nel mondo).
Questa cosa che ti sto dicendo è presente in Heidegger, in  Severino.

Per quel che mi riguarda puoi tranquillamente salire un milione di volte su quella bicicletta (metafora che ci accompagna dalla fine della primavera scorsa)  e ogni volta ributtarti a terra, nonostante avessi trovato un equilibrio, sebbene instabile forse.
Sul serio sono mesi che ci penso, ma non capisco proprio.  :(
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Angelo Cannata

#121
Citazione di: green demetr il 07 Gennaio 2018, 14:23:14 PMAscolta Angelo, la presunzione che esista una relazione con la verità, è l'esistenza stessa del soggetto.
Non assumere come fai tu che esista, tale relazione, indica che tu elimini il soggetto dalla tua analisi, il che poi ti fa finire inevitabilmente in affermazioni assolutamente non logiche, sul fondamento degli oggetti in quanto tali.
Ma chi è che gli dà fondamento? O anche nella tua prospettiva, che nega infatti ogni fondamento, chi ha deciso che esiste una relazione linguistica, semiotica,che indica quel fantomatico (in quanto per te mai raggiungibile veramente) oggetto?
Infatti la relazione, nella spiegazione che ho dato, è soggettiva. Il problema è che Sariputra parlava di verità attribuendo però al suo discorso una caratteristica di umiltà, di essere senza pretese. Nella mia spiegazione ho cercato di far vedere che non è possibile parlare di verità con pretese di innocenza.

Allo stesso modo, tu pensi che una limitazione del relativismo sarebbe un atto di umiltà, di modestia da parte del relativismo:
Citazione di: green demetr il 07 Gennaio 2018, 14:35:36 PMEssere un intellettuale relativista, come lo sei tu, a mio avviso dovrebbe anche comportare l'intelligenza di non portare a esiti estremi, ossia a essere vittima di una srategia, di uno strumento, come è quello del pensare relativo.

Bisogna avere l'umiltà di fermarsi un attimo prima. La pretesa di voler scardinare completamente ogni certezza dell'umano non ne è forse una sua più ultima tiranneggiante conclusione, e cioè fare della volontò di dominio sulle cose, il suo esito naturale: la distruzione dell'oggetto stesso dell'indagine. (in questo caso della nostra capacità di orientarci nel mondo).
Questa cosa che ti sto dicendo è presente in Heidegger, in  Severino.

Ma la modestia e l'umiltà non si ottengono concedendo certezze. Ogni certezza è sempre una pretesa, non è mai innocente.

Qui si aprirebbe un altro discorso: io non pretendo affatto di vietare agli altri di credere nelle loro certezze. Il problema nasce quando pretendono di presentarle a me. A quel punto io dico loro: "Senti, io mi autodistruggo con i miei dubbi e il mio relativismo, ma non pensare che il relativismo funzioni solo su di me. Quindi non sognarti di approfittarne per propormi le tue certezze: te le distruggerei in men che non si dica, così come distruggo in continuazione le mie".

Quando ero prete, per risolvere questo problema dal punto di vista della fede, facevo il paragone della fidanzata. Uno che è perdutamente innamorato della sua fidanzata può anche chiedere ai suoi amici di concedergli, per un attimo, di esternare la sua passione e dire: "La mia fidanzata è la più bella, al confronto di lei tutte le altre sono streghe". Subito dopo, quest'innamorato dirà: "Grazie di avermi concesso questo spazio: ho voluto esprimermi dall'interno del mio cuore: infatti so benissimo che anche per ciascuno di voi la sua fidanzata è la più bella". Ecco la compresenza di prospettive. Chiunque può chiedere che gli si conceda un attimo di spazio in cui esprimersi dall'intimo del proprio cuore, per esempio riguardo alla fede in Dio: "Il mio Dio è l'unico vero". Poi dirà a quelli delle altre religioni: "Grazie di avermi concesso questo spazio: capisco benissimo che anche per ciascuno di voi il suo Dio è l'unico vero".
Cioè, c'è una prospettiva interna, in cui ognuno chiarisce che intende parlare dal profondo dei suoi attaccamenti, e poi ce n'è una esterna, in cui ognuno si pone nei panni degli altri e si rende conto che tutto è relativo.
Il problema è quando l'innamorato, nel dire che la sua ragazza è la più bella di tutte, avanza la pretesa di star parlando non dalla sua prospettiva interna, ma da un punto di vista oggettivo: è così perché è così e non perché lo penso io. Ecco la pretesa, la presunzione, destinata a creare violenza oppure ad essere demolita dalla critica, dal dubbio.

Con tutto questo voglio dire che la relazione fruttuosa con gli altri non si ottiene moderando il relativismo: è una cosa che non avrebbe senso, non servirebbe affatto allo scopo. Il modo per costruire relazioni fruttuose c'è ed è quello di far capire espressamente, quando si parla, se si vuole parlare da una prospettiva interna (nel qual caso si può dire tutto quello che si vuole senza prestare il fianco ad alcuna critica), oppure da una prospettiva che prova a tener conto di quelle altrui.
Prendi per esempio giona2068, oppure Domingo94 o SaraM: il loro modo di parlare non creerebbe alcun problema se lo presentassero come desiderio di far conoscere agli altri la loro prospettiva interna. Il problema è che invece lo presentano come prospettiva esterna, oggettiva, è così perché è così e non perché lo penso io.

Angelo Cannata

Da precisare che a questo scopo non basta premettere "secondo me" per presentarsi come prospettiva interna: se uno dice "Secondo me il mio Dio è l'unico vero", ciò può anche significare che quella persona sta ritenendo la sua opinione una verità oggettiva. Allora il "secondo me" non relativizza niente. È necessario esprimere con chiarezza l'essere consapevoli della limitatezza della propria prospettiva.

green demetr

#123
Citazione di: Angelo Cannata il 07 Gennaio 2018, 15:04:45 PM
Citazione di: green demetr il 07 Gennaio 2018, 14:23:14 PMAscolta Angelo, la presunzione che esista una relazione con la verità, è l'esistenza stessa del soggetto.
Non assumere come fai tu che esista, tale relazione, indica che tu elimini il soggetto dalla tua analisi, il che poi ti fa finire inevitabilmente in affermazioni assolutamente non logiche, sul fondamento degli oggetti in quanto tali.
Ma chi è che gli dà fondamento? O anche nella tua prospettiva, che nega infatti ogni fondamento, chi ha deciso che esiste una relazione linguistica, semiotica,che indica quel fantomatico (in quanto per te mai raggiungibile veramente) oggetto?
Infatti la relazione, nella spiegazione che ho dato, è soggettiva.

Ma credo che anche Sari voleva dire che la sua è una opinione soggettiva.
Vera nel senso, che soggettivamente esperita come tale.

Diciamo che lui e io, suppongo, ma se vorrà specificherà lui, tentiamo del nostro meglio per descrivere la nostra esperienza, che non può che essere tale per noi stessi, ossia vera, e i problemi che derivano dal confronto delle verità con gli altri.
La verità è sempre un opinione, come alla fine della sua vita capì anche Husserl.
Ossia è la somma delle "pratiche" delle verità, praticate da tutti, ossia dalla maggioranza.
In questo senso parlava di crisi delle scienze.
La verità è un concetto assolutamente obsoleto.
Come insegna Nietzche da subito è invece sulle falsità che bisogna ragionare, ovvero sulle bugie che ci raccontiamo in continuazione, che non aderiscono minimanete alla nostra verità, ossia alle effettive pratiche, alle azioni che facciamo.


Citazione di: Angelo Cannata il 07 Gennaio 2018, 15:04:45 PM
Allo stesso modo, tu pensi che una limitazione del relativismo sarebbe un atto di umiltà, di modestia da parte del relativismo:
Citazione di: green demetr il 07 Gennaio 2018, 14:35:36 PMEssere un intellettuale relativista, come lo sei tu, a mio avviso dovrebbe anche comportare l'intelligenza di non portare a esiti estremi, ossia a essere vittima di una srategia, di uno strumento, come è quello del pensare relativo.
Bisogna avere l'umiltà di fermarsi un attimo prima. La pretesa di voler scardinare completamente ogni certezza dell'umano non ne è forse una sua più ultima tiranneggiante conclusione, e cioè fare della volontò di dominio sulle cose, il suo esito naturale: la distruzione dell'oggetto stesso dell'indagine. (in questo caso della nostra capacità di orientarci nel mondo).
Questa cosa che ti sto dicendo è presente in Heidegger, in  Severino.
Ma la modestia e l'umiltà non si ottengono concedendo certezze. Ogni certezza è sempre una pretesa, non è mai innocente.

Qui si aprirebbe un altro discorso: io non pretendo affatto di vietare agli altri di credere nelle loro certezze. Il problema nasce quando pretendono di presentarle a me. A quel punto io dico loro: "Senti, io mi autodistruggo con i miei dubbi e il mio relativismo, ma non pensare che il relativismo funzioni solo su di me. Quindi non sognarti di approfittarne per propormi le tue certezze: te le distruggerei in men che non si dica, così come distruggo in continuazione le mie".

Quando ero prete, per risolvere questo problema dal punto di vista della fede, facevo il paragone della fidanzata. Uno che è perdutamente innamorato della sua fidanzata può anche chiedere ai suoi amici di concedergli, per un attimo, di esternare la sua passione e dire: "La mia fidanzata è la più bella, al confronto di lei tutte le altre sono streghe". Subito dopo, quest'innamorato dirà: "Grazie di avermi concesso questo spazio: ho voluto esprimermi dall'interno del mio cuore: infatti so benissimo che anche per ciascuno di voi la sua fidanzata è la più bella". Ecco la compresenza di prospettive. Chiunque può chiedere che gli si conceda un attimo di spazio in cui esprimersi dall'intimo del proprio cuore, per esempio riguardo alla fede in Dio: "Il mio Dio è l'unico vero". Poi dirà a quelli delle altre religioni: "Grazie di avermi concesso questo spazio: capisco benissimo che anche per ciascuno di voi il suo Dio è l'unico vero".
Cioè, c'è una prospettiva interna, in cui ognuno chiarisce che intende parlare dal profondo dei suoi attaccamenti, e poi ce n'è una esterna, in cui ognuno si pone nei panni degli altri e si rende conto che tutto è relativo.
Il problema è quando l'innamorato, nel dire che la sua ragazza è la più bella di tutte, avanza la pretesa di star parlando non dalla sua prospettiva interna, ma da un punto di vista oggettivo: è così perché è così e non perché lo penso io. Ecco la pretesa, la presunzione, destinata a creare violenza oppure essere demolita dalla critica, dal dubbio.

Con tutto questo voglio dire che la relazione fruttuosa con gli altri non si ottiene moderando il relativismo: è una cosa che non avrebbe senso, non servirebbe affatto allo scopo. Il modo per costruire relazioni fruttuose c'è ed è quello di far capire espressamente, quando si parla, se si vuole parlare da una prospettiva interna (nel qual caso si può dire tutto quello che si vuole senza prestare il fianco ad alcuna critica), oppure da una prospettiva che prova a tener conto di quelle altrui.
Prendi per esempio giona2068, oppure Domingo94 o SaraM: il loro modo di parlare non creerebbe alcun problema se lo presentassero come desiderio di far conoscere agli altri la loro prospettiva interna. Il problema è che invece lo presentano come prospettiva esterna, oggettiva, è così perché è così e non perché lo penso io.

Come già ti dicevo il pensiero debole è il parto da una delle notazioni abissali di Nietzche, che Dio è morto.

Figuriamoci se non sono d'accordo, sono infatti d'accordissimo.

Forse mi sto sbagliando, ma il tuo discorso a me pare volersi soffermare non tanto sul fatto che la pratica del continuo mettere in discussione (in discussione con gli altri e se stessi, visto che le pratiche portano esperienze che ci cambiano, se sappiamo ascoltarle e valorizzarle, sempre in ottica relativa, per il momento etc...) sia corretta o meno, ma sul fatto che noi tutti necessitiamo a livello filosofico di una sorta di metodo, che ci prevenga comunque dal credere alle nostra supposta innocenza.

Il che vuol dire che per te ascoltare le rondini, ascoltare il vento fra gli alberi, rimanere nel silenzio, non sia possibile.

E invece sebbene in determinate situzioni sociali, il silenzio, il rumore esterno, possono risultare sgradevoli, se non proprio percepiti come nocivi, NONDIMENO, io faccio esperienza del canto delle rondini, del fruscio delle fronde, e del silenzio, e lo percepisco come altamente spirituale.

Dipende dunque dal contesto e non dal metodo se ciò che è esperito è valido, o meno. (è vero, parola abusata, o meno).

Il metodo serve al massimo a non credere che SEMPRE valga come cosa buona il silenzio etc....

Quindi onore al metodo, ma la mancanza di umiltà è a mio avviso quando è lo stesso metodo ad avanzare (una pretesa di verità) in qualsiasi contesto, in qualsiasi "occasione".

Sempre a mio avviso questo modo di procedere non è filosofia.

Quindi non siamo lontanissimi come pensiero, e come volontà di orientamente nel mondo, ma formando comunità cerchiamo ognuno all'altro di fornire spunti di riflessione.

Del tuo discorso prendo per buono, la questione dei limiti del metafisico, e per errato, la volontà di voler fare dell'analisi il perno centrale della vita.

In fin dei conti quel credente continuerà a credere che Dio esiste, e che la sua ragazza è la più bella del mondo. E io nella vita dovrò fare i conti drammatici con le sue credenze.

Non ci trovo niente di male perciò a che uno provi a diminuire le fonti di attrito.
Non mi pare che decidere che esista un funtore extratestuale (extra contestuale) sia un buon viatico.

Rimane solo il prendersi cura l'un l'altro, in base ai momenti e ai contesti.

Perciò magari fare credere agli altri la necessità di mettere sempre tutto in discussione, per evitare di cadere in trappola delle proprie fantasie, al di là del fatto che di per sè vorrebbe ammettere questa necessità, ma sopratutto, magari non serve in un determinato contesto, tipo il Sari, perchè lui è già una persona spirituale.

E questa necessità che ti sei posto (seppure meritevole in altri contesti), come vedi ha mal funzionato (col Sari).

Propongo che invece tu accetti che vi sia un contesto. Prima di introdurre nella discussione un metodo. ( e credo per quel poco che posso capire, che ho imparato a capire di te, che in effetti, in fin dei conti già lo fai, e tutto questa ultima parte in fin dei conti sia una conseguenza dell'argomento che era troppo generico).

Se sei di fronte ad una persona spirituale, non è molto meglio discutere direttamente delle cose pratiche della spiritualità (come il valore del silenzio, come e dove praticarlo) piuttosto che speculare eccessivamente sul preambolo.

Non cadresti anche tu in quel iper-specialismo di cui Kobayashi parlava (in altro 3d) che dovremmo tutti noi tanto evitare come la peste?

Non dovremmo sì capire il metodo (relativista) ma quantomeno nello stesso tempo fare uno sforzo di capire il contesto?

Avere in mente il fine. La filosofia in quanto filosofia, in quanto metodo, in quanto ragione sconnessa con il reale, è la cosa che più aborro.

Per questo ho chiamato in ballo l'umiltà. (una umiltà verso la vita, già precaria e sofferente, e non solo verso il metodo).

Spero sia più chiara dove sia la mia critica, e dove invece ci intendiamo sui preamboli.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

sgiombo

Citazione di: green demetr il 07 Gennaio 2018, 14:23:14 PM
Ascolta Sgiombo il monismo neutro riguardo il noumeno è il tuo unicorno.
Infatti non riesci a dimostrarlo. Lo assumi senza nessun tipo di ragione.
(ed è il problema aperto, su questo posso convenire, lasciato da Kant).
CitazionePerché il ragionamento filasse bisognerebbe che "unicorno" significasse "indimostrabile" (ma evidentemente non si tratta della definizione propria della lingua italiana nella quale parliamo).

Il fatto che non sia dimostrabile l' esistenza del noumeno (monistico "neutro") non significa che lo si debba necessariamente ì, inevitabilmente assumere senza nessun tipo di ragione.
E infatti personalmente lo assumo onde (per la ragione di cercare di) spiegare (e non: dimostrare, nemmeno queste essendo dimostrabili) alcune altre tesi di cui sono convinto, come l' esistenza di altre esperienze coscienti oltre la mia immediatamente avvertita, la possibilità di conoscenza scientifica vera del mondo (fenomenico) materiale naturale in generale (con la sua inevitabile intersoggettività), ciò che la scienza neurologica in particolare stabilisce circa le inevitabili corrispondenze fra esperienza cosciente ed eventi neurofisiologici cerebrali



Per quanto riguarda il dualismo dei fenomeni invece sono d'accordo con te.
(ma nel senso che là dove per te non si può dimostrare il trascendente (Ockam, Hume etc) , la res cogitans per me invece "esiste" solo in quanto coscienza, in termini trascendenti REALI, in quanto la conosco come reale: ossia appunto trascendente e non mentale.

CitazioneMi sembra un accordo poco o punto (o comunque assai limitatamente) reale.

Ma anche la res cogitans, esattamente come la res extensa (a prescindere da importanti differenze come l' intersoggettività, peraltro indimostrabile, e la misurabilità numerica di quest' ultima), per me esiste solo in quanto (contenuti di) coscienza e dunque in termini immanenti (=interni alla coscienza, che non vanno oltre di essa ovvero non sono rispetto ad essa trascendenti) reali (e la conosco in quanto reale ossia appunto fenomenica-mentale e non in quanto trascendente, non in quanto non fenomenica-mentale o noumenica o in sé: di essa, esattamente come della res extensa, "esse est percipi").

Reale =/= in sé (o noumenico): lo sono anche i fenomeni immanenti.

Reale =/= trascendente: lo sono anche i fenomeni immanenti.

Fenomenico =/= irreale ovvero non reale (casomai fenomenico =/= non reale in sé).

Fenomenico == immanente (e non trascendente) l' esperienza fenomenica cosciente.

A margine non rivolto a Sgiombo.
Il mentalista (duale o monista che sia) che invece presupponesse un trascendente "successivo" (al mentale) a mio avviso complica inutilmente le cose. Perchè è come se si cercasse quella forma materica (del mentale) su cui Dio incide, il che equivarrebbe allo step successivo (delirante) di trovare il Dio materico.
CitazioneIl trascendente il mentale, esattamente come il trascendente il materiale (ovvero il trascendente il fenomenico in generale) non può che essere in sé ovvero noumenico (congetturabile e non percepibile, non sensibilmente apparente) per definizione.
Quindi non é materia (la quale é fenomenica, immanente la coscienza), né a mio parere Dio (anche se in teoria potrebbe anche darsi che lo fosse, non é escluso necessariamente a priori che lo sia); per me é oggetto e soggetto (e in certi casi riflessivamente soggetto-oggetto) dell' esperienza fenomenica cosciente: ciò che fa sì che ogni volta che riapro gli occhi puntualmente (salvo cambiamenti secondo le leggi di natura) rivedo enti ed eventi fenomenici materiali che ho davanti (= essi tornano ad essere reali da irreali che erano stati quando li avevo chiusi), e che ne spiega l' intersoggettività; e che fa sì che ogni volta che rivolgo nuovamente l' attenzione a me stesso dopo che era cessata puntualmente ritrovo i miei (soggettivi) ricordi, i miei desideri, sentimenti, "stati d' animo", convinzioni, conoscenze, ragionamenti, ecc., ovvero me stesso, che fa sì che io stesso ritorni ad essere reale da irreale che ero stato allorché non mi sentivo (non accadevo realmente) fenomenicamente, (auto-) coscientemente come res cogitans.


Phil ognuno ha il suo unicorno, non è solo di questo forum ahimè.

CitazioneMa c' é anche chi, più o meno felicemente ha corna più o meno molteplici e ramificate!

Chiedo scusa a tutti per la battutaccia veramente ignobile, mi é scappata.

A mio avviso si crea un unicorno per via del fatto che Dio è morto, e la Tecnica inaridisce sempre di più il percetto, gli oggetti reali.
L'oggetto che non è più sacro, diviene oggetto reale: la mia previsione è che si va verso una scienza, e quindi una umanità il cui pensiero sarà monista.
E' per questo che negando gli unicorni delle persone, li vedo per quel che sono: gretti materialisti.(vabbè mi son fatto prendere dalla foga, ho messo tutti voi nel calderone, scusate) : O si torna al trascendente o si cade nel materialismo.
(necessità della metafisica).
CitazioneDi fatto mi pare di poter concordare che le cose stanno così in misura largamente e crescentemente preponderante nell' attuale mondo per lo meno occidentale.



Citazione

Il tuo unicorno ovviamente è il fondamento, visto che hai detto che per te è molto importante, e fine della filosofia.
Il che mi ha lasciato piuttosto perplesso, perchè mi stavo convincendo che tu usassi la critica linguistica per indicare in complesso il problema dell'agire del soggetto, dell'agire cioè, e non  del soggetto (o oggetto) in sè.
Ma chi è che indica il fondamento (o il suo problema)? Non è forse il soggetto?
E' vero che rimane a tutt'oggi aperto lo "statuto" sull'oggetto, osso su cui gli analitici competono per chi lo azzannna meglio: non ha soluzione, come lo stesso Kant ha ampiamente dimostrato.

CitazioneNon ha soluzione razionale pura, ma per Kant ne ha una razionale pratica (teistica, mi sembra, in sostanziale accordo con te).

sgiombo

Citazione di: Angelo Cannata il 07 Gennaio 2018, 15:04:45 PM

Qui si aprirebbe un altro discorso: io non pretendo affatto di vietare agli altri di credere nelle loro certezze.
CitazionePerò pretendi di attribuire loro indebitamente e falsamente un' intolleranza verso gli altri!



Il problema nasce quando pretendono di presentarle a me.
CitazioneNessuno pretende che tu legga le sue proprie considerazioni, nel forum né altrove: dipende dalla tua eventuale disponibilità all' ascolto degli altri il farlo o meno (e infatti vedo che da molto tempo ignori le mie; e non pretendo affatto di impedirtelo).



A quel punto io dico loro: "Senti, io mi autodistruggo con i miei dubbi e il mio relativismo, ma non pensare che il relativismo funzioni solo su di me. Quindi non sognarti di approfittarne per propormi le tue certezze: te le distruggerei in men che non si dica, così come distruggo in continuazione le mie".
CitazionePerché mai non dovrei proporle a chiunque, fermo restando il diritto da me mai negato di chiunque di ignorarle?

(Per la cronaca, ritengo le mie proposte per nulla intaccate né indebolite dal tuo relativismo).

Quando ero prete, per risolvere questo problema dal punto di vista della fede, facevo il paragone della fidanzata. Uno che è perdutamente innamorato della sua fidanzata può anche chiedere ai suoi amici di concedergli, per un attimo, di esternare la sua passione e dire: "La mia fidanzata è la più bella, al confronto di lei tutte le altre sono streghe". Subito dopo, quest'innamorato dirà: "Grazie di avermi concesso questo spazio: ho voluto esprimermi dall'interno del mio cuore: infatti so benissimo che anche per ciascuno di voi la sua fidanzata è la più bella". Ecco la compresenza di prospettive. Chiunque può chiedere che gli si conceda un attimo di spazio in cui esprimersi dall'intimo del proprio cuore, per esempio riguardo alla fede in Dio: "Il mio Dio è l'unico vero". Poi dirà a quelli delle altre religioni: "Grazie di avermi concesso questo spazio: capisco benissimo che anche per ciascuno di voi il suo Dio è l'unico vero".
Cioè, c'è una prospettiva interna, in cui ognuno chiarisce che intende parlare dal profondo dei suoi attaccamenti, e poi ce n'è una esterna, in cui ognuno si pone nei panni degli altri e si rende conto che tutto è relativo.
Il problema è quando l'innamorato, nel dire che la sua ragazza è la più bella di tutte, avanza la pretesa di star parlando non dalla sua prospettiva interna, ma da un punto di vista oggettivo: è così perché è così e non perché lo penso io. Ecco la pretesa, la presunzione, destinata a creare violenza oppure ad essere demolita dalla critica, dal dubbio.
CitazioneIL problema non riguarda la filosofia in generale.

Né me in particolare, che non ho mai preteso (casomai a volte mi é capitato di temerlo) che gli altri fossro innamorati della donna di cui lo ero io, né mi sono mai sognato di imporre con la forza la mia fede religiosa quando l' avevo né tantomeno le mie convinzioni filosofiche (per la cronaca, dati i diffusissimi pregiudizi falsi in materia, nemmeno Giuseppe Stalin l' ha mai fatto: combattere -anche, giustamente- con la violenza e la coercizione il potere temporale della chiesa =/= =/= =/= combattere con la violenza e la coercizione la fede religiosa!).

Con tutto questo voglio dire che la relazione fruttuosa con gli altri non si ottiene moderando il relativismo: è una cosa che non avrebbe senso, non servirebbe affatto allo scopo. Il modo per costruire relazioni fruttuose c'è ed è quello di far capire espressamente, quando si parla, se si vuole parlare da una prospettiva interna (nel qual caso si può dire tutto quello che si vuole senza prestare il fianco ad alcuna critica), oppure da una prospettiva che prova a tener conto di quelle altrui.
Prendi per esempio giona2068, oppure Domingo94 o SaraM: il loro modo di parlare non creerebbe alcun problema se lo presentassero come desiderio di far conoscere agli altri la loro prospettiva interna. Il problema è che invece lo presentano come prospettiva esterna, oggettiva, è così perché è così e non perché lo penso io.
CitazioneNon crea nessun problema a chi non sia intollerante, dal momento che costoro non pretendono (stando a quel poco che ne ho letto) di imporre le loro tesi (per me per lo più errate e false) con la forza a chichessia:

Relativismo =/= tolleranza

Negazione del relativismo =/ da intolleranza.

Angelo Cannata

green demetr, io apprezzo infinitamente il canto degli uccelli e la bellezza dei fiori. Posso fare questo e nel contempo tener presente la prospettiva critica grazie al metodo della bicicletta: non esiste e non deve esistere una prospettiva unica: ci si muove in continuazione tra più prospettive e si prova anche a porle in dialogo.

Riguardo ai risultati pratici di ciò, è chiaro che non si può mai essere certi di aver adottato la prospettiva migliore nel momento giusto. Non sono certo il tipo che si blocca in esigenze di coerenza ferrea, anche se qualche volta ci sono cascato. Da prete mi è accaduto di essere costretto a dare la comunione a persone dichiaratamente atee, su loro serissima richiesta, la situazione mi richiedeva di adattarmi e mi sono adattato. Ma, come dicevo, si può sempre avanzare il dubbio se non fosse stato meglio adottare criteri diversi. Anche a Gesù si potrebbe sollevare quest'obiezione: a volte fu troppo duro, non avrebbe fatto meglio a cercare di capire la situazione? Altre volte fu troppo accondiscendente, venendo così preso per complice disonesto e incoerente. Ma questo non è altro che l'effetto normale dell'inserirsi nella storia: ci si prende le responsabilità e ci si butta; se si trova che si poteva fare diversamente, o comunque meglio, si vede se si può riparare, oppure si vedrà la volta successiva. Ma anche in questi casi resterà il dubbio se in realtà è stato bene fare in quel modo.
Proprio questo dimostra la nostra situazione umana di fronte alle scelte, riguardo al fatto che non esistono criteri oggettivi, non ci sono fondamenti per le nostre scelte e trovo che sia tempo sprecato cercarli: si vive di tentativi, di assunzione di responsabilità, lavoro su sé stessi e sul mondo. La mentalità del tentativo predispone al mettersi in discussione; la mentalità del fondamento mi pare che renda molto più difficile la messa in questione di ciò che viene ritenuto fondamento, anche se si tratta di fondamento non assoluto.

sgiombo

Citazione di: Angelo Cannata il 07 Gennaio 2018, 15:11:15 PM
Da precisare che a questo scopo non basta premettere "secondo me" per presentarsi come prospettiva interna: se uno dice "Secondo me il mio Dio è l'unico vero", ciò può anche significare che quella persona sta ritenendo la sua opinione una verità oggettiva. Allora il "secondo me" non relativizza niente. È necessario esprimere con chiarezza l'essere consapevoli della limitatezza della propria prospettiva.
CitazioneAgli ordini, capo!

green demetr

primo capitolo (di tre)  Sgiombo

cit

"Il fatto che non sia dimostrabile l' esistenza del noumeno (monistico "neutro") non significa che lo si debba necessariamente ì, inevitabilmente assumere senza nessun tipo di ragione.
E infatti personalmente lo assumo onde (per la ragione di cercare di) spiegare (e non: dimostrare, nemmeno queste essendo dimostrabili) alcune altre tesi di cui sono convinto, come l' esistenza di altre esperienze coscienti oltre la mia immediatamente avvertita, la possibilità di conoscenza scientifica vera del mondo (fenomenico) materiale naturale in generale (con la sua inevitabile intersoggettività), ciò che la scienza neurologica in particolare stabilisce circa le inevitabili corrispondenze fra esperienza cosciente ed eventi neurofisiologici cerebrali"

Si ok.

Ma infatti unicorno nel senso proprio che c'è un bisogno tutt'altro che scientifico.
Ammettere la possibilità di coscieze extra-umane, extra-soggettive, è uno di questi bisogni. (penso al Pierini per esempio, o a chi crede fermamente negli ufo).
Rimarrebbe da analizzare il bisogno. (depressione per Pierini e schizofrenia spesso per chi crede negli ufo, schizofrenia e depressione non nel senso medico).
Non è questo il 3d. Io per esempio non sento questo problema, ma alla Sorbona ci stanno lavorando, in generale si parla di transumanesimo, mi pare, ma ok sto divagando.

"Ammettere la possibilità di conoscenza reale": ma infatti per me il noumeno è inconoscibile ma inferenzialmente necessario. (lo so per te indimostrabile anche l'inferenza, siamo in disaccordo). Per via di questo disaccordo anche qui non ho quel bisogno.

E' sul terzo punto che per la prima volta ammetto che adotto la tua soluzione :-[, e che vorrei tanto confrontarmi con essa:

"Inevitabili corrispondenze fra esperienza cosciente ed eventi neurofisiologici cerebrali": a mio parere la coscienza non è noumenica mentale, come già detto, comunque quest'ultimo punto, se vero fisicamente, è il mio più problematico, e infatti sono portato a pensare come mi hai insegnato tu che vi deve essere (questa volta veramente indimostrabilmente) una coincidenza fra noumenico e coscienza. Ossia non mi spiegherei proprio la trascendenza, se fosse mentale (fenomenica e basta).
Cosa che però mi angoscia terribilmente.
Perchè ovviamente comporterebbe ammettere che la stessa coscienza ha a che fare con il noumenico e potrebbe benissimo essere che sia Dio, ma anche che sia solo materia determinata.
E invece il concetto di trascendente idealista si riferisce proprio all'indeterminazione. Per poter essere accomunata a Dio. (sarebbe una minaccia alle religioni in toto).
La spiegazione del perchè fenomenico mentale possa essere anche altro, rispetto ad un noumenico meramente materiale, mi sembra da ritrovare perciò quella che hai ideato tu, qualcosa che non dimostrabilmente coincide dal regno del noumenico potenziale, e quindi indeterminato, a quello determinato foss'anco materiale (e così salviamo anche le neuroscienze dalla loro minaccia riduzionista).

conclusioni al capitolo 1: 

L' abbassamento di guardia nel credere che vi sia una coscienza ideale , psicologicamente si riverserebbe nella credenza che la coscienza sia pura mente, materiale.
Più ancora: che la coscienza sia manipolabile! Ed è questo il vero fantasma che mi atterisce.
(è per questo che Pierini e Paul hanno ideato una sorta di controfantasma, un antidoto a questo dubbio che ci instilla la scienza).
In questo tu sei più lucido, perchè gli ricordi che questo controfantasma è pura metafisica, e assolutamente un di più di cui si può fare benissimo a meno.
(e ahimè concordo, quindi i loro unicorni, sono ancora più "unicorni" per me)

Purtroppo pur adottando la tua soluzione, la sento come debole. (lo sento come un unicorno, un unicrono più sano e fiero, ma comunque un unicorno, e gli unicorni sono vittime dei fantasmi proiettati dalla scienza, che comunque rimangono fantamsi, in questo hume ci ha salvato).

Ovviamente non escludo (spero  ;D ) che quello che raccontano i neuroscienziati sia una grossa cantonata di dimensioni epiche. (dovrei prima o poi interessarmi un pò meglio).

andiamo al secondo capitolo sgiombo

cit
"Mi sembra un accordo poco o punto (o comunque assai limitatamente) reale."
e perchè?  ;)  a parte la differenza che non ammetti il trascendente come reale, il resto siamo d'accordo, perchè il trascendente non riguarda gli oggetti, ma DIO.
E DIO non è un oggetto.

cit
"Reale =/= in sé (o noumenico): lo sono anche i fenomeni immanenti."

Non ho capito tanto: se intendi dire che il reale non è il reale in sè, ma piuttosto il suo contenuto fenomenico siamo d'accordo

cit
"Reale =/= trascendente: lo sono anche i fenomeni immanenti."

Idem anche per me il trascendente è un contenuto del fenomeno, di quel fenomeno particolare che chiamo soggetto.  E il soggetto è per me reale, mentre per te no.
Però come vedi siamo d'accordo sul fatto che il contenuto (non dimostrabile in sè) è fenomenico.

cit
"Fenomenico =/= irreale ovvero non reale (casomai fenomenico =/= non reale in sé)."

Si concordiamo per tutto quello detto sopra. Il fenomeno esiste (indagabile scientificiamente) pur non essendo il reale.

capitolo 3 sgiombo

cit
"Il trascendente il mentale, esattamente come il trascendente il materiale (ovvero il trascendente il fenomenico in generale) non può che essere in sé ovvero noumenico (congetturabile e non percepibile, non sensibilmente apparente) per definizione."

Certo  :) , io uso la parola kantiana trascendentale per il tuo trascendente, mentre per trascendente, uso il mentale riferito a Dio (che non è noumeno), cioè siamo d'accordo sul generale, ma non nella forma particolare.
Nota a margine.
Al contrario di Husserl io non sento la forma come potenza che emana dall'noumenico dell'oggetto, ma dal noumenico mentale, che è ispirato da Dio.
E' solo dal noumenico mentale, che desumo la potenza del noumenico dell'oggetto.
E non viceversa come il movimento transumanista cerca di argomentare.(credo)
Ovviamente la scienza indaga il potenziale del noumenico dell'oggetto senza curarsi della potenzialità in sè, e delle sue trascendenze o tracendentalità, ossia indaga il fenomeno senza curarsi degli effetti destinali di questa indagine.(seppure qualche avvertenza per l'uso ce la mette dentro di tanto in tanto, vedi il caso italiano dell'amianto, ma sto divagando).

cit
"Di fatto mi pare di poter concordare che le cose stanno così in misura largamente e crescentemente preponderante nell' attuale mondo per lo meno occidentale."

grazie   :D


cit
"Non ha soluzione razionale pura, ma per Kant ne ha una razionale pratica (teistica, mi sembra, in sostanziale accordo con te)."

Si giusta aggiunta  :) . (non so se teistica, ma è probabile). 

alle prossime
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: Angelo Cannata il 07 Gennaio 2018, 16:13:09 PM
green demetr, io apprezzo infinitamente il canto degli uccelli e la bellezza dei fiori. Posso fare questo e nel contempo tener presente la prospettiva critica grazie al metodo della bicicletta: non esiste e non deve esistere una prospettiva unica: ci si muove in continuazione tra più prospettive e si prova anche a porle in dialogo.

Riguardo ai risultati pratici di ciò, è chiaro che non si può mai essere certi di aver adottato la prospettiva migliore nel momento giusto. Non sono certo il tipo che si blocca in esigenze di coerenza ferrea, anche se qualche volta ci sono cascato. Da prete mi è accaduto di essere costretto a dare la comunione a persone dichiaratamente atee, su loro serissima richiesta, la situazione mi richiedeva di adattarmi e mi sono adattato. Ma, come dicevo, si può sempre avanzare il dubbio se non fosse stato meglio adottare criteri diversi. Anche a Gesù si potrebbe sollevare quest'obiezione: a volte fu troppo duro, non avrebbe fatto meglio a cercare di capire la situazione? Altre volte fu troppo accondiscendente, venendo così preso per complice disonesto e incoerente. Ma questo non è altro che l'effetto normale dell'inserirsi nella storia: ci si prende le responsabilità e ci si butta; se si trova che si poteva fare diversamente, o comunque meglio, si vede se si può riparare, oppure si vedrà la volta successiva. Ma anche in questi casi resterà il dubbio se in realtà è stato bene fare in quel modo.
Proprio questo dimostra la nostra situazione umana di fronte alle scelte, riguardo al fatto che non esistono criteri oggettivi, non ci sono fondamenti per le nostre scelte e trovo che sia tempo sprecato cercarli: si vive di tentativi, di assunzione di responsabilità, lavoro su sé stessi e sul mondo. La mentalità del tentativo predispone al mettersi in discussione; la mentalità del fondamento mi pare che renda molto più difficile la messa in questione di ciò che viene ritenuto fondamento, anche se si tratta di fondamento non assoluto.

Ma sì, non ho mai pensato che tu anteponessi il metodo alla vita, vedo che comunque è per te importante a livello filosofico, tenere sempre il metodo in prima vista.

Ovviamente non credo che tu sia tanto arrogante come Sgiombo e Sari dicono (ma scommetto che pure per loro è solo per amore di argomentazione) ma il pericolo di sembrarlo è reale.

Comunque alla fine ci mancherebbe rispetto questa tua priorità. (il pericolo voglio dire non è reale, se lo fosse, non faresti tanti altri discorsi che invece indicano grande umanità).

ciao  ;)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Angelo Cannata

Quella di vedermi attribuita arroganza è una reazione che riscontro abitualmente.

Non nego di giocare col linguaggio, a volte mi autogiustifico pensando che i potenti del mondo massificano la gente con violenza, senza farsi alcuno scrupolo, perciò è bene che io non mi tiri troppo indietro; anche Gesù, che si presentò come agnello mansueto, ebbe a volte parole taglienti e non possiamo certo pensare che non ne fosse consapevole.

A parte questo, mi sembra comunque che la percezione di vedersi messe in questione le proprie certezze possa comprensibilmente suscitare un sentirsi oggetto di arroganza.

C'è un criterio di fondo che tengo presente a me stesso e magari non esplicito sempre: tutto ciò che io dico si può considerare come nient'altro che appello alle sensibilità altrui. In questo senso qualsiasi mia affermazione di forma categorica è solo espressione di una sensibilità mia che fa appello a quella altrui, non una fede incrollabile o una certezza indiscutibile.

Si potrebbe anche tener presente che ciò che conta è la disponibilità o meno ad argomentare. Di fronte alla forza dell'argomentare non esistono arroganze che tengano: di fronte all'argomentare, sia l'arrogante che l'offeso hanno solo due possibilità:

1) possono offendere/ritenersi offesi
2) possono contro-argomentare.

Se uno dei due decide di offendere/dirsi offeso, vuol dire che almeno una delle due parti non ha saputo argomentare. A questo punto non è difficile verificare in quale parte si trovi la mancanza: basta vedere chi è che argomenta e chi no.

Phil

Citazione di: green demetr il 07 Gennaio 2018, 14:23:14 PM
Il tuo unicorno ovviamente è il fondamento, visto che hai detto che per te è molto importante, e fine della filosofia.
Veramente per me è importante al punto che è l'inizio della filosofia (attuale...)  ;)

Citazione di: green demetr il 07 Gennaio 2018, 14:23:14 PM
Ma chi è che indica il fondamento (o il suo problema)? Non è forse il soggetto?
Certo, per quello il problema del soggetto è fondamentale, oltre che fondante.

Citazione di: green demetr il 07 Gennaio 2018, 14:23:14 PM
Ma non è permettimi, che siccome il mondo è diventato un piatto freddo servito di utensili e balocchi, si cerchi in questa domanda qualcosa che si eviti di prendersi il piatto freddo, così com'è, e ci si aggiunga un pò di fantasticheria: ma sempre nei paraggi del piatto freddo siamo.
Direi che interrogarsi sul fondamento è proprio interrogarsi sulla freddezza del piatto, o meglio ancora, sul palato che giudica il piatto come freddo (ovvero sul soggetto. Uso il singolare, ma in verità dovrei ogni volta usare il plurale, riferito ai differenti soggetti che ognuno di noi è, con le sue precomprensioni, le sue eredità, etc.).

Citazione di: green demetr il 07 Gennaio 2018, 14:23:14 PM
Per quanto riguarda la tua spiegazione riguardo i fondamenti dello zero, e dell'infinito, ne hai dato delle definizioni relazionali.

Ma la relazione non è il fondamento come Angelo ha ben spiegato.
Il fondamento ontologico magari no, ma il fondamento logico non può che essere relazionale (dei termini logici coinvolti nella relazione), così come si addice anche ad una definizione (che ricombina il noto per identificare l'ignoto).

Citazione di: green demetr il 07 Gennaio 2018, 14:23:14 PM
Infinito è Dio (i greci avevano terrore dell'infinito).
Ossia l'infinito è il terrore stesso.
Zero è Dio, è l'originario, è ciò che viene prima di qualsiasi ordine di discorso (alchimia araba).
Soprassedendo sul metafisico (oggi non voglio fare il turista in quel vocabolario arché-ologico  ;D ) più che "l'infinito è il terrore stesso", direi che "l'infinito è l'idea con cui il finito addomestica, esorcizzandolo, il terrore del suo limite mortale".

sgiombo

Citazione di: green demetr il 07 Gennaio 2018, 17:20:06 PM
primo capitolo (di tre)  Sgiombo


"Ammettere la possibilità di conoscenza reale": ma infatti per me il noumeno è inconoscibile ma inferenzialmente necessario. (lo so per te indimostrabile anche l'inferenza, siamo in disaccordo). Per via di questo disaccordo anche qui non ho quel bisogno.

E' sul terzo punto che per la prima volta ammetto che adotto la tua soluzione :-[, e che vorrei tanto confrontarmi con essa:

"Inevitabili corrispondenze fra esperienza cosciente ed eventi neurofisiologici cerebrali": a mio parere la coscienza non è noumenica mentale, come già detto, comunque quest'ultimo punto, se vero fisicamente, è il mio più problematico, e infatti sono portato a pensare come mi hai insegnato tu che vi deve essere (questa volta veramente indimostrabilmente) una coincidenza fra noumenico e coscienza. Ossia non mi spiegherei proprio la trascendenza, se fosse mentale (fenomenica e basta).
Cosa che però mi angoscia terribilmente.
Perchè ovviamente comporterebbe ammettere che la stessa coscienza ha a che fare con il noumenico e potrebbe benissimo essere che sia Dio, ma anche che sia solo materia determinata.
E invece il concetto di trascendente idealista si riferisce proprio all'indeterminazione. Per poter essere accomunata a Dio. (sarebbe una minaccia alle religioni in toto).
La spiegazione del perchè fenomenico mentale possa essere anche altro, rispetto ad un noumenico meramente materiale, mi sembra da ritrovare perciò quella che hai ideato tu, qualcosa che non dimostrabilmente coincide dal regno del noumenico potenziale, e quindi indeterminato, a quello determinato foss'anco materiale (e così salviamo anche le neuroscienze dalla loro minaccia riduzionista).
CitazioneSecondo me la coscienza é interamente fenomenica, costituita unicamente da apparenze sensibili; queste si distinguono in materiali e mentali (extensae e cogitantes, comunque tutte fenomeniche-coscienti).
Ciò che dicono le neuroscienze é secondo me, a considerarlo bene, semplicemente che per ogni determinato cervello funzionante in un determinato modo (costituito da determinati eventi neurofisiologici; esclusi quelli di quando si sogna senza sogni o si é in coma) esiste un determinato stato cosciente** (non compreso fra quelli delle esperienze coscienti ovvero delle coscienze*) nelle quali accade almeno potenzialmente (può accadere) l' osservazione di tale determinato cervello, diverso da questi*.
Il fatto di postulare indimostrabilmente enti ed eventi in sé o noumenici a tutto ciò non costituisce per me motivo di angoscia.
Anche perché sul noumeno sono monista neutro: non é né mentale ovvero "spirituale" (divino o altrimenti), né materiale, anche perché sia tutto ciò che é mentale sia tutto ciò che é materiale é apparente alla coscienza, dunque inevitabilmente fenomenico.
Quello stesso "qualcosa di in sé" che fenomenicamente appare a se stesso (soggetto-oggetto riflessivamente di sensazioni coscienti) come pensiero, come determinati fenomeni mentali (res cogitans), invece ad altri analoghi soggetti, diversi da quel particolare soggetto stesso di cui stiamo parlando, soggetti per i quali esso é unicamente oggetto (e non anche riflessivamente soggetto) di sensazioni coscienti, appare fenomenicamente come determinarti fenomeni materiali (res extensa: determinati venti neurofisiologici in un determinato cervello).



conclusioni al capitolo 1:

L' abbassamento di guardia nel credere che vi sia una coscienza ideale , psicologicamente si riverserebbe nella credenza che la coscienza sia pura mente, materiale.
Più ancora: che la coscienza sia manipolabile! Ed è questo il vero fantasma che mi atterisce.

CitazionePerò incontrovertibilmente alcool, caffeina e tantissime altre droghe psicotrope (come anche traumi e interventi chirurgici sul cervello), modificando artificialmente il funzionamento dei cervelli ai quali si applicano, sono accompagnati da determinate (non casuali, non irrelate a tali eventi cerebrali) mutazioni nelle esperienze coscienti ai rispettivi cervelli corrispondenti.



andiamo al secondo capitolo sgiombo

cit
"Mi sembra un accordo poco o punto (o comunque assai limitatamente) reale."
e perchè?  ;)  a parte la differenza che non ammetti il trascendente come reale, il resto siamo d'accordo, perchè il trascendente non riguarda gli oggetti, ma DIO.
E DIO non è un oggetto.
CitazioneTrascendente per me é ciò che non é immanente all' esperienza cosciente, cioè che non é fenomeno, cioè é noumeno.
Per questo (se c' é realmente) se ne può parlare "a tentoni" e senza alcuna certezza, ma non lo si può percepire.
Indimostrabilmente credo che noumeno siano sia i soggetti che gli oggetti delle sensazioni fenomeniche coscienti (come sopra chiarito; e questo per spiegare le correlazioni fra diverse esperienze fenomeniche coscienti e l' intersoggettività delle loro componenti materiali; in alternativa a una comunque altrettanto teoricamente possibile e non dimostrabile né confutabile sorta di "leibniziana armonia prestabilita", che arbitrariamente, irrazionalmente avverto come meno soddisfacente); ma di per sé potrebbe anche trattarsi, "a la Berkeley", di Dio o di quant' altro.
Ma Dio per le religioni rivelate, se non direttamente manifestarsi (su questa terra; comunque lo fa invece in Paradiso: vedi anche Dante) come oggetto di percezione ("contemplazione" da parte dei beati), comunque per lo meno comunica fenomenicamente con gli uomini (per l' appunto rivela loro le verità di fede).



cit
"Reale =/= in sé (o noumenico): lo sono anche i fenomeni immanenti."

Non ho capito tanto: se intendi dire che il reale non è il reale in sè, ma piuttosto il suo contenuto fenomenico siamo d'accordo.
CitazionePer me reali, "in diverso modo", sono sia i fenomeni (materiali e mentali), sia il noumeno.



cit
"Reale =/= trascendente: lo sono anche i fenomeni immanenti."

Idem anche per me il trascendente è un contenuto del fenomeno, di quel fenomeno particolare che chiamo soggetto.  E il soggetto è per me reale, mentre per te no.
Però come vedi siamo d'accordo sul fatto che il contenuto (non dimostrabile in sè) è fenomenico.
CitazioneQui non ci capiamo.
Per me il trascendente é il noumeno, che non é contenuto nel fenomeno, altrimenti sarebbe (parte del) fenomeno (stesso), ma può essere soggetto e/o oggetto (reali; anche se non lo si può dimostrare: lo credo per fede) dei fenomeni ovvero delle sensazioni coscienti.



cit
"Fenomenico =/= irreale ovvero non reale (casomai fenomenico =/= non reale in sé)."

Si concordiamo per tutto quello detto sopra. Il fenomeno esiste (indagabile scientificiamente) pur non essendo il reale.
CitazionePur non essendo il reale in sé, pur non essendo il noumeno.



capitolo 3 sgiombo

cit
"Il trascendente il mentale, esattamente come il trascendente il materiale (ovvero il trascendente il fenomenico in generale) non può che essere in sé ovvero noumenico (congetturabile e non percepibile, non sensibilmente apparente) per definizione."

Certo  :) , io uso la parola kantiana trascendentale per il tuo trascendente, mentre per trascendente, uso il mentale riferito a Dio (che non è noumeno), cioè siamo d'accordo sul generale, ma non nella forma particolare.
Nota a margine.
Al contrario di Husserl io non sento la forma come potenza che emana dall'noumenico dell'oggetto, ma dal noumenico mentale, che è ispirato da Dio.
E' solo dal noumenico mentale, che desumo la potenza del noumenico dell'oggetto.
E non viceversa come il movimento transumanista cerca di argomentare.(credo)

CitazioneTi seguo con difficoltà
Ma mi sembra di cogliere più che un' affinità con Berkeley e al limite in qualche misura anche con Malebranche (ma potrei fraintenderti).

Ovviamente la scienza indaga il potenziale del noumenico dell'oggetto senza curarsi della potenzialità in sè, e delle sue trascendenze o tracendentalità, ossia indaga il fenomeno senza curarsi degli effetti destinali di questa indagine.(seppure qualche avvertenza per l'uso ce la mette dentro di tanto in tanto, vedi il caso italiano dell'amianto, ma sto divagando).
CitazioneD' accordo; e non é un caso solo italiano.

P. S.: E' per me di rande soddisfazione constatare che, dopo acerrime polemiche e profonde incomprensioni, stiamo cominciando a comprenderci (non necessariamente a concordare, se non limitatamente, ma questo mi importa meno).

Confido che questo mi possa accadere prima o poi anche a proposito di altri interlocutori del forum con cui purtroppo mi trovo in rapporti molto simili a quelli che intercorrevano fra me e te fino a qualche tempo fa.

Ma bando ai buonismi!

Grazie e alla prossima!



green demetr

Citazione di: Phil il 07 Gennaio 2018, 19:48:53 PM
Citazione di: green demetr il 07 Gennaio 2018, 14:23:14 PM
Il tuo unicorno ovviamente è il fondamento, visto che hai detto che per te è molto importante, e fine della filosofia.
Veramente per me è importante al punto che è l'inizio della filosofia (attuale...)  ;)
Ah ecco!  :D  avevo travisato

Citazione di: Phil il 07 Gennaio 2018, 19:48:53 PM
Citazione di: green demetr il 07 Gennaio 2018, 14:23:14 PM
Ma chi è che indica il fondamento (o il suo problema)? Non è forse il soggetto?
Certo, per quello il problema del soggetto è fondamentale, oltre che fondante.

Esatto!

Citazione di: Phil il 07 Gennaio 2018, 19:48:53 PM
Citazione di: green demetr il 07 Gennaio 2018, 14:23:14 PM
Ma non è permettimi, che siccome il mondo è diventato un piatto freddo servito di utensili e balocchi, si cerchi in questa domanda qualcosa che si eviti di prendersi il piatto freddo, così com'è, e ci si aggiunga un pò di fantasticheria: ma sempre nei paraggi del piatto freddo siamo.
Direi che interrogarsi sul fondamento è proprio interrogarsi sulla freddezza del piatto, o meglio ancora, sul palato che giudica il piatto come freddo (ovvero sul soggetto. Uso il singolare, ma in verità dovrei ogni volta usare il plurale, riferito ai differenti soggetti che ognuno di noi è, con le sue precomprensioni, le sue eredità, etc.).

Si è vero, non ci avevo pensato.

Citazione di: Phil il 07 Gennaio 2018, 19:48:53 PM
Citazione di: green demetr il 07 Gennaio 2018, 14:23:14 PM
Per quanto riguarda la tua spiegazione riguardo i fondamenti dello zero, e dell'infinito, ne hai dato delle definizioni relazionali.

Ma la relazione non è il fondamento come Angelo ha ben spiegato.
Il fondamento ontologico magari no, ma il fondamento logico non può che essere relazionale (dei termini logici coinvolti nella relazione), così come si addice anche ad una definizione (che ricombina il noto per identificare l'ignoto).
[/size]

A patto che il fondamento sia l'inizio, e che il soggetto sia fondante ovviamente sì.
Anche per me la relazione (in particolare la semiosi di Peirce) è fondamentale.
Non ho mai pensato che fosse però il fondamento (sebbene il soggetto di fatto sia una "proprietà della relazion.


Citazione di: Phil il 07 Gennaio 2018, 19:48:53 PM
Citazione di: green demetr il 07 Gennaio 2018, 14:23:14 PM
Infinito è Dio (i greci avevano terrore dell'infinito).
Ossia l'infinito è il terrore stesso.
Zero è Dio, è l'originario, è ciò che viene prima di qualsiasi ordine di discorso (alchimia araba).
Soprassedendo sul metafisico (oggi non voglio fare il turista in quel vocabolario arché-ologico  ;D ) più che "l'infinito è il terrore stesso", direi che "l'infinito è l'idea con cui il finito addomestica, esorcizzandolo, il terrore del suo limite mortale".
[/quote]


Si non importa che tu non sia un metafisico, questo lo posso accettare  ;)
Elegante la riformulazione anti-metafisica.  ;)  :)
Ci sta eccome!

Alle prossime incomprensioni  ;)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

cit Sgiombo
"Ti seguo con difficoltà
Ma mi sembra di cogliere più che un' affinità con Berkeley e al limite in qualche misura anche con Malebranche (ma potrei fraintenderti).
"

Non te so lo dire, di Berkley all'università ne hanno parlato solo in termini "atei". Approfondirò.

No ok fai fatica a capirmi perchè credevo che intendevi il contenuto del fenomeno come trascendente e
invece è il noumeno stessk ad esserlo.  :-[
Trascendentale in Kant vuol dire che il fenomeno tende ad essere noumeno, senza mai poterlo raggiungere. Quindi non è un gran problema aggiustare le posizioni.
Si tratta di mettere in chiaro qualche termine, ma mi pare di seguirti.
(ma siamo sempre qua a chiarirci, mi spiace che gli altri non ti seguano.  :'( )

A riguardo delle mie angosce, credo che mi stai aiutando, sostanzialmente tu poni giustamente l'attenzione sul fenomeno, e sul suo carattere peculiare con il noumenico. Di modo da mantenere aperta la via della scienza. Cosa che è ovviamente è utile sia per difendere alcune posizioni (di fede) sia di trovare quel famoso metodo, cha a tutt'oggi si fa fatica a trovare, per unire scienza e filosofia.

cit
"Però incontrovertibilmente alcool, caffeina e tantissime altre droghe psicotrope (come anche traumi e interventi chirurgici sul cervello), modificando artificialmente il funzionamento dei cervelli ai quali si applicano, sono accompagnati da determinate (non casuali, non irrelate a tali eventi cerebrali) mutazioni nelle esperienze coscienti ai rispettivi cervelli corrispondenti."

Certo poichè per te la coscienza è interamente fenomenica! A mio parere però esiste qualcosa che non può essere toccato a livello di coscienza più a contatto con Dio.(che non è il noumeno)
nota a margine
Dio trascende in quanto attiva la sua ricezione nella coscienza.Quindi ne è compartecipe.

In questo senso non ho problema con caffeina e altri stimolanti di serotonina.


Ora non avendo mai provato droghe psicotrope non so dire se pure quell'area è possibile attivarla, quella del contatto divino. Sebbene per esempio le esperienze sciamaniche lo testimoniano.

In effetti non dovrebbe essere un gran problema (ai fini dell'esistenza divina).

Non so, devo lavorare su di me per capire da dove deriva questa angoscia.

Forse è un semplice attacco di panico.


Grazie sgiombo  :)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

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