Menu principale

Anima, Spirito, Mente

Aperto da viator, 25 Dicembre 2017, 19:14:22 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

davintro

condivido molto il modo in cui nel suo post di apertura Viator ha esposto il significato filosofico delle nozioni di "anima" e "forma", considerando la forma come fattore di specificazione e determinazione qualitativa dell'ente, che restando pura materia resterebbe allo stadio di potenzialità indeterminata, mentre l'unità di forma e materia costituisce la sostanza, e la forma attribuisce all'ente potenziale l'esistenza, che è sempre esistenza caratterizzata da una determinata e specifica natura caratterizzata da un modo d'essere che ammette delle potenzialità e ne esclude altre. L'anima sarebbe la forma degli esseri viventi, cioè ciò che attribuisce all'ente come essenziale la qualifica di ente vitale. Intesi così questi concetti assumono una valenza razionale, in quanto le forme non sarebbero entità del tutto separate e trascendenti, dunque impossibilitate a vedersi riconosciute nella loro efficacia causale di esplicazione degli aspetti della realtà, proprio in quanto l'anima non trascende la materia vivente ma ne è la forma, la sua presenza è razionalmente riconoscibile, perché rende ragione della differenza qualitativa fra ente vivente e non vivente, differenza che resterebbe inavvertita restando nell'ottica di un materialismo che invece riduce il tutto alla "materia", cioè all'aspetto di potenzialità indeterminata, per la quale la materia vivente dovrebbe presentarsi identica a quella vivente, a quel modo d'essere presentante un principio interiore che la porta a svilupparsi alla luce di un determinato senso, l'anima appunto. Condivido anche l'intendere lo spirito, come livello qualitativamente superiore, tra i gradi di complessità nei quali il fenomeno-vita si manifesta. Lo spirito costituisce il carattere di libertà e dunque è corretto intendere la volontà come facoltà eminentemente spirituale, ma a condizione di considerarla come necessariamente implicata nella presenza della mente. Lo spirito presuppone che il complesso dei vissuti che legano l'Io al mondo, siano compresi nella coscienza, cioè espressioni di un Io cogitante, e nella coscienza il mondo e se stessi sono posti dall'Io come oggetti, dunque enti distinti da se stesso inteso come "soggetto", punto sorgivo dei vari vissuti coscienti e cogitanti. La distinzione soggetto-oggetto nell'ambito della mente preserva un margine di autonomia del soggetto, che non si lascia assorbire e far coincidere con le oggettivazioni della propria attività pensante, bensì mantiene un centro interiore individuale a partire dal quale tendere alla luce dell'intenzionalità verso tali oggettivazioni, attribuendo ad esso soggettivi significati e valori alla luce delle categorie di giudizio insiti in esso, costitutivi della personalità. In questo modo la struttura mentale soggetto-oggetto si presenta come sintesi di attualità-passività, coincidente con la polarità forma-materia, spirito-corpo, dove l'aspetto di attualità costituisce quel margine di libertà che rende ragione della qualifica dell'Io umano spirituale non solo come "pensante", ma anche come "volente". Quindi troverei un po' equivoco parlare di uno "sviluppo" della mente sulla base dello spirito, che potrebbe far pensare ad una mente come conseguenza secondaria a-posteriori di un'attività dello spirito preesistente, ancora non cosciente, ma andrebbe riconosciuta la mente come fattore essenziale e costitutivo dello spirito, e quest'ultimo come dimensione della vita nella quale non c' è primato della volontà e della mente, ma reciproca implicazione, dimensione che rivela la coincidenza di libertà e razionalità. Non vorrei che questo appunto apparisse come eccesso di pedanteria, dato che nel complesso sto commentando un pensiero che condivido a apprezzo davvero molto.

Buon anno a tutti!

Apeiron

@davintro, personalmente la mia opinione non è molto distante dalla tua (e quindi anche dall'opinione di viator). Ovvero che ci sia qualcosa che renda il gatto "gatto", il cane "cane", l'uomo "uomo" ma la chiamerei "forma" e lascerei il termine "anima" a ciò che può essere considerato "senziente" (il che è piuttosto difficile da stabilire). Per quanto riguarda lo spirito personalmente ritengo ciò la "concettualizzazione" della nostra facoltà di speculare, distinguere il bene e il male.

Recentemente una prospettiva interessante dalla fisica è che la coscienza sia come una fase della materia (https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=3&cad=rja&uact=8&ved=0ahUKEwj81fHm8rnYAhXRo6QKHU1wAHIQtwIIRTAC&url=https%3A%2F%2Fwww.youtube.com%2Fwatch%3Fv%3DGzCvlFRISIM&usg=AOvVaw0umm3qomAqPGYM1iK54wQs), motivo per cui ho usato nelle mie critiche ad Angelo l'analogia con il liquido e il gas. Ovvero ritengo che la "struttura" delle cose sia tanto "reale" quanto la "materia" e anzi se qualcosa si può prendere come informazione (definita a volte come "la differenza che crea la differenza", ovvero ciò che rende distinte le cose) è proprio la struttura e non la materia. La ritengo una prospettiva interessante, ma incompleta. La ritengo incompleta perchè, in fin dei conti, considera solo ciò che può essere visto scientificamente... non da indicazioni sulla questione per cui l'etica ha o meno fondamento "reale". Non dice poi se l'"io" rimane dopo la morte o meno (questione curiosamente legata probabilmente all'esistenza o meno di un fondamento "reale" dell'etica - come ho esplorato nel topic aperto da viator sull'immortalità). Personalmente non sono soddisfatto dalle teorie "emergentiste" perchè mi pare che tutte assumono che ogni cosa cosa possa essere osservata scientificamente per essere "reale" e non ammettono la possibilità che esista "altro".  Tuttavia se è giusta è quasi una "vittoria" di Aristotele e Platone, i quali hanno sempre stabilito che le proprietà degli oggetti sono tanto reali (seppur in maniera diversa) quanto la materia di cui essi sono fatti (l'oggetto è fatto di materia e forma). Secondo me la nostra natura non si ferma al "scientificamente osservabile" (che ha sostituito l'arcaico "visibile") ma c'è qualcosa di "oltre" esso. Spesso (ma non sempre) negli ultimi tempi si tende a ignorare la possibilità di questa "realtà" e troppe volte ciò è fatto per ragionamenti molto superficiali.  

Ritengo questo problema uno dei più interessanti di tutta la filosofia - non a caso è legato all'identità personale. Cos'è che rende me, "me"? Qual è la mia "forma"? Spinoza riteneva che in quanto la nostra "forma" ha come corrispettivo un'idea nella mente della "Sostanza" siamo immortali. Ovvero che esistiamo eternamente come "idea" (che a differenza di quella platonica però esiste in una mente, quella della "Sostanza" stessa). In un certo senso anche l'argomento di Tegmark (vedi il link) ricorda la posizione spinozistica: per Tegmark il reale coincide con il "matematico" e quindi se la nostra coscienza è un pattern matematico in un certo senso è "eterna" così come è eterno "2+2=4".
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Angelo Cannata

Apeiron, mi sembra che la questione sia tutta lì, cioè mi sembra che tu sia irresistibilmente condizionato dalla mentalità di Cartesio, che tu stesso hai menzionato.

Poco tempo fa ti avevo sfidato a dimostrarmi che un cane non è un gatto e tu stesso hai ammesso di non potermelo dimostrare.

Citazione di: Apeiron il 29 Dicembre 2017, 18:10:42 PMRiguardo al cane e al gatto non posso dimostrarti che sono diversi.

Nonostante ciò tu ritieni che qualche verità possa essere raggiunta, tant'è vero che mi chiedi di rendere conto del fatto che anche a me un cane non sembra un gatto.

Ecco quale mi sembra essere il tuo ragionamento: dubitiamo pure della differenza tra un cane e un gatto, ma la nostra esperienza ordinaria ci dice pur sempre che li percepiamo differenti. Dunque, non abbiamo certezza della differenza tra un cane e un gatto, però abbiamo il dato di fatto di noi che comunque li percepiamo diversi.

Ma questo non è altro che Cartesio! È lui che ha accettato di dubitare di tutto e infine ha ritenuto di essere pervenuto, proprio grazie a ciò, alla certezza definitiva individuata nel fatto che c'è comunque uno che sta dubitando. Anche il ragionamento che ha dato origine a tutta questa seconda parte della discussione non è altro che Cartesio: infatti dire che l'affermazione "Tutto è relativo" costituisce una certezza corrisponde sempre allo stesso meccanismo di ammettere il dubbio contenuto nell'affermazione e andare a rintracciare la certezza nella sorgente generatrice del contenuto. Nel caso di Cartesio la sorgente è colui che dubita; nel caso del relativismo la sorgente è la frase stessa, intesa come contenitore di ciò che dice e individuata come certezza; nel tuo caso la sorgente siamo pur sempre noi, oppure il nostro sperimentare.
Cioè, tu ritieni che il nostro sperimentare, per quanto soggettivo, relativo, opinabile, possa essere, costituisca pur sempre un nocciolo duro in grado di imporsi come verità comunque esistente, verità in grado di sforare nel campo delle certezze metafisiche.
Una versione alternativa di questo tuo metodo è quando ti riferisci alla scienza: non per nulla mi hai chiesto come mai la scienza funziona, dando appunto per scontato che essa funziona, cioè è in grado di imporsi alla nostra esperienza con risultati forti.
Ora, tutto ciò a mio parere non regge, perché ci aveva già provato Cartesio, ma Cartesio è fallito: sappiamo che il suo "Cogito ergo sum" non rappresenta il raggiungimento di alcuna certezza.
Alla radice sta sempre l'aver trascurato il soggetto.

Difatti mi sembra che le sole obiezioni che tu abbia posto alla negligenza di trascurare il soggetto siano state di tipo emotivo: hai agitato il timore del solipsismo.

Ora, questo fatto di agitare timori, paure, pericoli, oppure non gradimento del mio modo di pensare, oppure, come ha detto Sariputra, lo spettro della disperazione, non è che sia un buon segno per gente che voglia cercare la verità. Insomma, viene da obiettare: ma voi state cercando davvero la verità oppure soltanto qualcosa che risulti di vostro gradimento? Cosa c'entra con la ricerca della verità qualsiasi tipo di paura? Adesso la gradevolezza è diventata il criterio filosofico con cui valutare se una cosa è vera oppure no? In questo senso trovo che il vostro modo di ragionare sia gravemente viziato dal fatto di accettare ciò che si prospetta come verità solo a patto che risulti gradevole.

Ad ogni modo, immagino che anche adesso avrai l'impressione che io non ti stia rispondendo, perciò andiamo dritto alle tue domande, nella speranza, da parte mia, che ti renda conto da te stesso dove porta il tuo metodo.

Differenza tra cane e gatto: il gatto miagola, il cane abbaia.
Vediamo adesso come proseguirai, anche se lo immagino.

Perché la scienza funziona? Funziona solo nella misura in cui ci manteniamo dell'inaccuratezza, nella superficialità, nell'approssimazione. In qualsiasi campo della scienza, più si diventa accurati, esatti, precisi, più essa comincia a scricchiolare. In sostanza la mia risposta è: no, non è vero che la scienza funziona. Non ho mai visto una sola parola della scienza funzionare. È come quando diciamo che ore sono: è possibile dirlo solo a condizione di essere approssimativi. In questo senso non ho mai visto nessuna persona e nessuno strumento riuscire a dirmi che ore sono.

Se sia lecito fare ipotesi sulla realtà. Dipende dall'onestà che si vuole portare avanti, cioè se si accetta di includere nella realtà il soggetto oppure no. Se lo si esclude non è più un procedere onesto, è un ragionare truccato.

Sariputra

Sogni...sogni...visioni...Nessuna Anima, nessun Spirito, nessuna Mente...un Grande Vuoto...come si chiama il vuoto, Sari?...Non lo so, ma io lo chiamo Abisso, mi piace il nome Abisso. Un nome vale l'altro no? C'è questo Abisso profondo, io...io penso che non abbia fondo, quindi non lo si può dire profondo...Senti che non ha fondo, Sari?...Sì, mi par che sia così...E hai paura, Sari?...Eh, un pò sì. Guardo tanto ma non vedo il fondo...non vedo niente, solo un Grande Vuoto... E' cattivo o buono questo che chiami Abisso, come ti pare?...Nè buono né cattivo, a pensarci lo dovrei forse chiamare l'Innocente, colui che non nuoce. Cattivo o buono è ciò che si agita ma Innocente non si agita, come potrei allora dire se sia buono o cattivo?...Ho visto un uomo sparare con un fucile ai pettirossi che calano nel giardino, Orinando ho riempito una pozzanghera, ma ho pensato che non era bello quello che facevo...Mi ricordo di Prakriti, Sari, cos'è? Una danzatrice?...Sì, Prakriti si agita come una danzatrice ma, ecco che si ferma! E' stata vista! Oh, mio Dio o mio Abisso dovrei dire. Come una danzatrice innamorata smette di agitarsi quando viene vista dal suo amore, così Prakriti smette di agitarsi quando Abisso la guarda...Prakriti è la Materia, Sari?...Che ne so! Sto sognando...Perché hai paura di Abisso, Sari? Hai paura, non è vero?...Sì, ho paura di cadere, di perdermi per sempre, di non riconoscermi più...però lo desidero nello stesso tempo...sento che dovrei lasciarmi cadere in Abisso...se non ha fondo non posso farmi male , non è vero?...Direi di no, Sari...Ma ho paura di non incontrare più nessuno quando sono 'dentro', non ci sono più nemmeno io ,anche se ci sono perchè sono nell'Abisso. Mi par che dovrebbe essere così...Sono come il Gollum e vado in giro dicendo "Il mio Tesssorooo"...Ma perché Tutto si agita?...Forse perché guardiamo fuori invece che dentro l'abisso?...Non so, cacciatore di pettirossi...Guardare dentro fa paura, non vedo alcun limite : né in alto né in basso né a destra  né a sinistra. Guardiamo fuori per non perderci, mi sembra chiaro mentre sto nel sogno...quando mi risveglio...non mi è più così chiaro! Perché la luce non illumina e invece le tenebre del sogno sì?...Quando ero fuori dalla tenda le montagne erano montagne e i boschi erano boschi, poi sono entrato nella tenda e...le montagne non erano più montagne e i boschi non erano più boschi. Sono stato in compagnia di Prakriti nella tenda, era così piacevole...ma poi, all'improvviso è diventata un mostro e così sono uscito dalla tenda e...le montagne erano di nuovo montagne e i boschi di nuovo boschi...Perché dici che non c'è Anima, Sari? Nè Spirito o Mente?...Perché c'è 'Questo' non vedi ? Come potrebbe esserci 'qualcosa' quando c'è 'questo' ? 'Qualcosa' è solo agitazione. Io vedo solo 'questo', adesso...ma sto sognando, cacciatore malvagio di pettirossi innocui...ecco, mi sto svegliando! Adesso ti vedo che sei malvagio...ecco! Ecco! Adesso c'è di nuovo 'qualcosa'...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

#79
Angelo... ovviamente uno deve avere un minimo di fiducia e speranza. Senza un minimo di fiducia e speranza ovviamente non se ne esce. Secondo me sei un solipsista epistemologico (sebbene non ontologico) che non riesce nemmeno ad ammetterlo. Nel Forum non vuoi affermare di prendere posizioni. Eppure...

Eppure tu hai fiducia nelle tue percezioni visto che (uso le parole tue, eh):
"Se io mi trovo davanti un cane imponente arrabbiatissimo, pronto ad uccidermi, in quel momento la natura sta operando su di me una violenza, una costrizione, non mi sta permettendo di riflettere. E allora sono forzato dalla limitatezza del mio corpo a dire "Sì, c'è differenza, perché se un gatto si arrabbia contro di me non ho gran che da temere per la mia vita, ma se si tratta di un enorme cane sì"."
Qui vedo in fin dei conti che tu sei ben consapevole (senza averlo dimostrato) che davanti hai un cane imponente e arrabbiattissimo (potrebbe essere una semplice illusione percettiva) e dunque sei forzato da questa fiducia nei tuoi istitnti a reagire. Viceversa in discussioni come queste non hai fiducia nella mente (o non sai se si possa avere  ;D ) e dunque per coerenza ti rifugi nel tuo "solipsismo epistemologico". Certamente c'è una componente "psicologica" data dal fatto che ho fiducia nella mia mente quando mi dice che la mia conoscenza è lacunosa, carente, imperfetta, incompleta  e a differenza tua reagisco. Questa componente "psicologica" però c'era anche in Teeteto e in Socrate (secondo Platone) perchè cosa è la "meraviglia" se non questa componente psicologica che ti porta a cercare? Così tu ti comporti in due modi diversi nella vita quotidiana e nella filosofia - cosa che ha il suo senso - io invece preferisco dare più fiducia alla mente anche durante la speculazione filosofico. Ammetto il "rischio" ma la "felicità" che ricevo dalla speculazione nonché la gioia che ho quando a volte mi vengono intuizioni che paiono (in un certo senso) "vere" mi "spronano" a continuare in questo cammino. L'alternativa che tu proponi non mi attira.

Altra cosa:
"Non è possibile conoscere la natura della realtà". Se parto già da questa idea come è possibile che io inizi a domandarmi "è possibile conoscere la natura della realtà?".  Prova dunque ad entrare in una scuola e a convincere gli studenti che "non è possibile conoscere la natura della realtà": secondo te quanti scienziati escono??  ::)

Mi ricorda questo:
Nel VI (o V) secolo a.c. si dice che Buddha non ha voluto rispondere se esiste o meno l'atman (l'io "sostanziale") (https://www.accesstoinsight.org/tipitaka/sn/sn44/sn44.010.than.html). Perchè non lo ha fatto? Probabilmente perchè se uno è già convinto che l'atman non c'è come può praticare la filosofia buddhista per riconoscere che "la materia (le sensazioni, le percezioni, le predisposizioni karmiche, la coscienza) non sono io, non è mia, non è il mio Sé" ? Allo stesso modo se uno prende la tua filosofia - che giustamente Sariputra ha definito "disperante" - come può uno iniziare a fare filosofia? Sinceramente non vedo come ciò sia fattibile  :o


Se tu mi dici che la speculazione su ciò che va oltre il mio "soggetto" (e "diamine" Angelo tu non mi hai mai dimostrato che questo soggetto c'è e non mi hai mai dimostrato che muta, e non mi hai mai dimostrato che...) non è possibile come posso io essere invogliato a verificare tale posizione senza considerare l'altrui posizione? Senza rendertene conto affermi in continuazione cose che bloccano ogni possibile cammino, secondo me.

Ergo il fatto che io adesso non posso dimostrarti che il cane è diverso dal gatto non significa che: 1) cane e gatto non siano diversi 2) non è possibile tentare di fare una spiegazione ragionevole sul fatto che sono diversi  3) non è possibile dimostrare che siano diversi. Sei tu che fai una affermazione ingiustificata quando dici che "non è possibile dimostrare". Io semplicemente ammetto di non riuscirci e provo comunque a dare una spiegazione ragionevole!  ;)

Dunque se tu mi chiedi: "Apeiron tu affermi "è possibile dimostrare che il gatto e il cane siano diversi"?" Io rimango in silenzio. Se tu mi chiedi "Apeiron tu affermi: "è possibile dimostrare che il gatto e il cane non sono diversi?"" Io rimango in silenzio. Tuttavia non credo di (o meglio "spero di non")  aver mai affermato che è possibile una dimostrazione. Idem per le questioni metafisiche, come ad esempio l'esistenza dell'anima, dell'aldilà, dell'ontologia dell'etica... Tuttavia la speculazione su tali argomenti (magari mediante il procedimento dell'analogia come quello usato da Platone nella Repubblica nei riguardi della Forma del Bene, della Linea e della Caverna - nonché della mia (e del Sari) analogia del navigatore... anch'essa in realtà platonica) ritengo che sia lo stesso meta-fisica ma non nel senso che tu "disprezzi" ovvero una metafisica aperta ad un dialogo costruttivo. Di certo ci vuole una fiducia inziale nella mente umana - ovvero la fiducia che una tale attività non sia futile. Se tu invece non la hai, beh questo tipo di filosofia forse non fa per te. Ergo secondo me visto che le mie percezioni di gatto e cane sono diverse ritengo che sia ragionevole dire che "cane" e "gatto" sono diversi e che qualcosa differenzi il gatto dal cane e questo qualcosa è l'"anima" nel senso usato da viator. Se tu nuovamente insisti con la tua obiezione sul fatto che ho "troppa" fiducia nella mente ti ringrazio (ricevere obiezioni fa sempre bene) ma sinceramente non accetto i tuoi continui riferimenti alle "ideologie". Secondo me hai un "bias" contro questo tipo di filosofia.

Ad ogni modo la fiducia nelle cose che non si conoscono è essenziale per iniziare a fare ogni attività. Pur non sapendo la medicina mi affido alla conoscenza del medico, pur non sapendo nulla di fisica mi affido all'insegnante, pur non potendo dimostrare che il "cane arrabbiato" è reale comunque scappo ecc

Ma dire che "non è possibile dimostrare..." è un'affermazione categorica e va dimostrata. Se non è dimostrata non c'è alcuna ragione in più di credere ad essa rispetto all'affermazione "è possibile dimostrare...". Tra le due però quella che tronca il cammino è quella negativa. Dunque io preferisco l'affermativa. Tu la negativa. Però finché non mi porti argomenti convincenti sul fatto che "non è possibile dimostrare..." sinceramente non "passo dalla tua parte". Se affermassi "io conosco la dimostrazione di..." allora ha senso confutarmi. Ma sinceramente la mia decisione di preferire la frase affermativa ("preferire" non significa necessariamente essere d'accordo...) non sono più arbitrarie delle tue.

Edit: chiedo scusa per aver modificato più volte il post.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Phil

Citazione di: Angelo Cannata il 03 Gennaio 2018, 00:33:37 AM
Ora, tutto ciò a mio parere non regge, perché ci aveva già provato Cartesio, ma Cartesio è fallito: sappiamo che il suo "Cogito ergo sum" non rappresenta il raggiungimento di alcuna certezza.
Alla radice sta sempre l'aver trascurato il soggetto.
Da quel che so, il cogito cartesiano fonda il soggetto, non lo trascura.
Se anche io fossi una farfalla che sogna di essere un uomo, o un cervello in vasca, o il videogioco di un alieno, comunque posso essere certo di esistere come soggetto (qualunque "cosa" io sia) proprio perchè posso pensare, e farlo "in prima persona".
Altrimenti come possiamo fondare, logicamente e/o "empiricamente", il soggetto che, giustamente, inviti a non trascurare?

Per problematizzare il soggetto stesso che si pone problemi (filosofici o non), il soggetto che può camminare ;)  con altri, non mi sembra molto d'aiuto ricordarsi che, in fondo, molti degli atomi che lo costituiscono sono gli stessi che formano un cane o un gatto... ciò è probabilmente vero, ma è una nozione piuttosto fine a se stessa, o almeno io non ne colgo la fertilità filosofica. Lo stesso vale per l'impossibilità di dire esattamente l'ora: ovviamente non è possibile dire l'ora esatta pronunciando anche i millesimi, perché non abbiamo la lingua abbastanza veloce, ma se anche potessimo farlo, sarebbe un buon passo avanti? L'approssimazione non è sempre un difetto... certo, bisogna ponderare attentamente sulla fallibilità del soggetto, tuttavia, secondo me, senza alienarlo troppo dal contesto in cui si muove, che è quello dell'umanità (e su tale contesto possono essere calibrate aspettative legittime: ad esempio, quella di sentirsi dire l'ora precisa al millesimo è tanto sterile quanto sovra-umana  ;D ).

Includere il soggetto nelle proprie riflessioni significa sicuramente tenere ben presente la convenzionalità delle discriminazioni mentali, a cui allude il post profondo e onirico di Sariputra, sia riflettere sull'uso del linguaggio utilizzato nelle indagini, sia essere guardinghi e diffidenti da ciò che la nostra stessa mente ci propone d'istinto (come doverosamente ci ricordi), ma soprattutto tener presente l'opinabilità/arbitrarietà relativa dei propri criteri di scelta, a cui si riferiva Apeiron, se non l'ho frainteso (e prima di lui Godel e, abbastanza prima di loro, mutatis mutandis, Aristotele...).

La vita quotidiana esige scelte e decisioni in tempi umani (talvolta millisecondi, talvolta giorni), la società ha le sue regole (fra cui quella di ragionare basandosi sui soggetti umani, distinguendoli convenzionalmente da cani e gatti, anche se bio-chimicamente è forse solo un capriccio tassonomico), e, pur avendo fede in certezze assolute o verità con la maiuscola (ammesso e non concesso ;) ), non ci è dato di aspettare di trovarle e controllarle a dovere prima di muoverci in cammino. Sono quindi d'accordo con te quando ricordi la necessità operativa di avere una posizione:
Citazione di: Angelo Cannata il 02 Gennaio 2018, 12:06:30 PM
io sono per il prendere posizione e ho una presa di posizione, con caratteristiche che non hanno nulla di nascosto, che ho espresso e continuo ad esprimere in lungo e in largo in tanti modi
Se si risale "a monte" di tale posizione (e si indaga sulle modalità della "presa di posizione", inevitabilmente selettiva), si troverà, in cima alla catena dei "perché?", sempre "qualcosa": una certezza anapodittica, direbbe Aristotele (se non erro), in cui si ha indimostrabilmente fiducia... e se tale posizione cambierà, non cambierà certo a caso (almeno questo è quello che ho capito finora su come sembrano "funzionare" gli umani  ;D ).

Apeiron

PHIL
Includere il soggetto nelle proprie riflessioni significa sicuramente tenere ben presente la convenzionalità delle discriminazioni mentali, a cui allude il post profondo e onirico di Sariputra, sia riflettere sull'uso del linguaggio utilizzato nelle indagini, sia essere guardinghi e diffidenti da ciò che la nostra stessa mente ci propone d'istinto (come doverosamente ci ricordi), ma soprattutto tener presente l'opinabilità/arbitrarietà relativa dei propri criteri di scelta, a cui si riferiva Apeiron, se non l'ho frainteso (e prima di lui Godel e, abbastanza prima di loro, mutatis mutandis, Aristotele...).

APEIRON
Anche se ci "hai preso" nel senso che ritengo che bisogna essere consapevoli dei propri criteri di scelta e del fatto che possono essere arbitrari, ritengo che sia "ragionevole" pensare che si possa indagare anche oltre "il Velo di Maya" della nostra individualità e che si debba anche scegliere l'alternativa che ci sembra più "ragionevole". Personalmente ritengo in parte "ragionevole" (ovvero un'idea plausibile) quanto segue:
"It is a perennial philosophical reflection that if one looks deeply enough into oneself, one will discover not only one's own essence, but also the essence of the universe. For as one is a part of the universe as is everything else, the basic energies of the universe flow through oneself, as they flow through everything else. For that reason it is thought that one can come into contact with the nature of the universe if one comes into substantial contact with one's ultimate inner being."
Traduzione mia: "è una costante riflessione filosofica che se uno (o una) guarda profondamente dentro sé stesso, uno scoprirà non solo la propria "essenza" ma anche quella dell'universo. Perchè uno è parte dell'universo e di tutto il resto e le "energie" di base dell'universo "fluiscono" attraverso egli stesso, così come "fluiscono" attraverso tutto il resto. Per questo motivo si pensa che uno può entrare in contatto con la natura dell'universo se entra in contatto sostanziale con il suo "essere ultimo"... (virgolette aggiunte per indicare che secondo me non è possibile una comprensione totale della natura dell'universo come suggerisce questo passo ma è possibile una comprensione parziale)
testo tratto da https://plato.stanford.edu/entries/schopenhauer/#4
Personalmente ritengo ciò ragionevole anche se c'è una arbitrarietà data dal fatto che non so dimostrare quanto ho appena citato.  Tuttavia il fatto di non saperla dimostrare non significa che: 1) ciò non sia possibile 2) è falso 3) è futile. L'affermazione contraria, ovvero che l'introspezione non dice niente sulla "natura delle cose" è secondo me altrettanto arbitraria e inoltre blocca il cammino.

Comunque sinceramente con tutti questi discorsi sul "soggetto"... sinceramente non riesco a capire come la "soggettività" - ovvero l'impossibilità di "uscire" dalla nostra prospettiva e riuscire a conoscere delle altre - non venga vista come una sorta di gabbia. Ma anche questa è una "mia" arbitraria "fissazione". Non pretendo che sia condivisa da altri.

Quindi Phil, ritengo che sia giusto fare una sana analisi delle proprie convinzioni e mettere in luce quanto esse siano arbitrarie. Ma tra una convinzione che mi permette di navigare alla scoperta di nuove terre e una convinzione che invece mi "convince" (scusate il gioco di parole) a pensare che la scoperta di nuove terre è impossibile, preferisco la prima. Altri preferiscono la seconda, buon per loro. Credo che qui davvero entri nel gioco la psicologia.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Angelo Cannata

Citazione di: Phil il 03 Gennaio 2018, 23:12:32 PMAltrimenti come possiamo fondare, logicamente e/o "empiricamente", il soggetto che, giustamente, inviti a non trascurare?
Dai per scontato che il soggetto debba essere fondato. Perché?

Inoltre, visto che ammetti che non possiamo fidarci della nostra mente:
Citazione di: Phil il 03 Gennaio 2018, 23:12:32 PMIncludere il soggetto nelle proprie riflessioni significa sicuramente ...
... essere guardinghi e diffidenti da ciò che la nostra stessa mente ci propone d'istinto (come doverosamente ci ricordi)

come mai subito dopo dai per scontato che sia possibile trovare una certezza meritevole di fiducia?
Citazione di: Phil il 03 Gennaio 2018, 23:12:32 PMSe si risale "a monte" di tale posizione (e si indaga sulle modalità della "presa di posizione", inevitabilmente selettiva), si troverà, in cima alla catena dei "perché?", sempre "qualcosa": una certezza anapodittica, direbbe Aristotele (se non erro), in cui si ha indimostrabilmente fiducia...
Non è contraddittorio?


Citazione di: Apeiron il 04 Gennaio 2018, 00:01:53 AM... non riesco a capire come la "soggettività" - ovvero l'impossibilità di "uscire" dalla nostra prospettiva e riuscire a conoscere delle altre - non venga vista come una sorta di gabbia...
La soggettività è una gabbia, certo che è una gabbia. Ma se ciò ci risulta essere la condizione in cui ci troviamo, non ha senso rifiutare che sia così solo perché non ci piace. Ma a quanto pare questo discorso con te non funziona, visto che hai più volte dato conferma che a te non interessa trovare verità, ma solo cose che ti piacciano. Se una cosa non è di tuo gradimento, automaticamente ti orienti a pensare che non può essere verità; se invece ti piace sei propenso già in partenza a ritenere che si tratti di qualcosa di vero. Vedendoti ragionare così, mi viene a risultare come conseguenza che qualsiasi cosa che dici non ha alcun valore.

Phil

Citazione di: Apeiron il 04 Gennaio 2018, 00:01:53 AM
Quindi Phil, ritengo che sia giusto fare una sana analisi delle proprie convinzioni e mettere in luce quanto esse siano arbitrarie. Ma tra una convinzione che mi permette di navigare alla scoperta di nuove terre e una convinzione che invece mi "convince" (scusate il gioco di parole) a pensare che la scoperta di nuove terre è impossibile, preferisco la prima. Altri preferiscono la seconda, buon per loro. Credo che qui davvero entri nel gioco la psicologia.
Concordo, l'auto-analisi non dovrebbe, secondo me, inibire la possibilità di nuovi orizzonti, e dare per scontato che non siano possibili è, sempre secondo me, una leggerezza teoretica banalizzante...

Citazione di: Angelo Cannata il 04 Gennaio 2018, 00:23:46 AM
Dai per scontato che il soggetto debba essere fondato. Perché?
Se non lo fondiamo non ha senso parlarne seriamente in modo filosofico; il discorso su un soggetto infondato diventa poesia (che ha certamente una sua dignità artistica...). Prova a pensare alla tua posizione, quando parli del "camminare con" non hai bisogno che siano coinvolti dei soggetti? Come li fondi/identifichi?

Citazione di: Angelo Cannata il 04 Gennaio 2018, 00:23:46 AM
Inoltre, visto che ammetti che non possiamo fidarci della nostra mente:
[...]come mai subito dopo dai per scontato che sia possibile trovare una certezza meritevole di fiducia?
Perché se non ho fiducia, seppur momentanea e "debole", in un qualche criterio, non posso compiere scelte sensate... e mi ritroverei ad essere un vegetale! ;D  Come accennavo, è il nostro vivere nel mondo che ci chiede di scegliere, mentre cerchiamo di capirci qualcosa...
Se non hai momentanee certezze meritevoli di minima fiducia, come fai a "prendere posizione" (come tu stesso dicevi), ad avere una tua visione del mondo? Pensa di nuovo alla tua proposta "spirituale", non sottende forse certezze da cui parti e di cui ti fidi, almeno per ora? ;)

Angelo Cannata

Se ritieni che per parlare di qualcosa, in questo caso il soggetto, sia necessario fondarlo, poi su cosa fonderai il fondamento? Così come ritieni impossibile parlare del soggetto se non è fondato, alla stessa maniera sarebbe impossibile parlare del suo fondamento, se non fosse a sua volta fondato.

Magari mi dirai che il fondamento sarà accettato come un postulato indimostrato; ma allora perché non accettare direttamente come postulato indimostrato il soggetto stesso, piuttosto che fondarlo su qualcosa di infondato?

Il discorso che io porto avanti sulla spiritualità non si basa su alcuna certezza.

Per quanto riguarda il problema di compiere scelte, avevo già indicato più sopra il criterio, senza bisogno di dover fondare le scelte su certezze che creano più problemi di quanti sembrino risolverne:
Citazione di: Angelo Cannata il 02 Gennaio 2018, 12:06:30 PMIl dubbio prova inazione solo a chi non sa uscire dal pensare greco-occidentale. L'alternativa ce la dà proprio l'uomo dell'Antico Testamento: egli ci dà il pensare storico: di fronte alle situazioni non devo cercare il criterio metafisico in base a cui agire; devo piuttosto raccogliere la mia storia vissuta fino a quel momento, la storia del mondo, la storia del mio DNA, dei miei condizionamenti, ne faccio una sintesi, me ne assumo le responsabilità e mi butto nella storia a fare la mia parte. Tutt'altro che inazione.

Sariputra

cit.Apeiron:
"It is a perennial philosophical reflection that if one looks deeply enough into oneself, one will discover not only one's own essence, but also the essence of the universe. For as one is a part of the universe as is everything else, the basic energies of the universe flow through oneself, as they flow through everything else. For that reason it is thought that one can come into contact with the nature of the universe if one comes into substantial contact with one's ultimate inner being.
Traduzione mia: "è una costante riflessione filosofica che se uno (o una) guarda profondamente dentro sé stesso, uno scoprirà non solo la propria "essenza" ma anche quella dell'universo. Perchè uno è parte dell'universo e di tutto il resto e le "energie" di base dell'universo "fluiscono" attraverso egli stesso, così come "fluiscono" attraverso tutto il resto. Per questo motivo si pensa che uno può entrare in contatto con la natura dell'universo se entra in contatto sostanziale con il suo "essere ultimo"... (virgolette aggiunte per indicare che secondo me non è possibile una comprensione totale della natura dell'universo come suggerisce questo passo ma è possibile una comprensione parziale)


Se è vero che i limiti del nostro pensiero non ci permettono di conoscere pienamente ciò che ci circonda è anche vero che siamo parte di 'questo' che ci circonda e possiamo pertanto indagare i nostri limiti senza dover stabilire a priori quali siano i nostri confini. Se poi togliamo la pretesa che dobbiamo racchiudere il tutto in una frase, un'espressione o una formula...le cose diventano ancora più interessanti da investigare...ci sono 'cose' che è solo possibile indicare , ecc... :)
Il problema è che viviamo in un'epoca di grande 'sfiducia' ...così preferiamo delegare alla scienza qualunque indagine al motto, che si legge sempre più spesso: "la scienza dice che..."
Abbiamo semplicemente sostituito una certezza ( Dio dice che...) con un'altra...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Phil

Citazione di: Angelo Cannata il 04 Gennaio 2018, 08:43:03 AM
Se ritieni che per parlare di qualcosa, in questo caso il soggetto, sia necessario fondarlo, poi su cosa fonderai il fondamento? Così come ritieni impossibile parlare del soggetto se non è fondato, alla stessa maniera sarebbe impossibile parlare del suo fondamento, se non fosse a sua volta fondato.

Magari mi dirai che il fondamento sarà accettato come un postulato indimostrato; ma allora perché non accettare direttamente come postulato indimostrato il soggetto stesso, piuttosto che fondarlo su qualcosa di infondato?
Dobbiamo dunque rinunciare al fondamento, a discorsi epistemologicamente fondati, ripiegando su voli liberi fra idee sfondate ed infondate? E' una possibilità, per quanto, mi pare, poco "filosofica" e molto "artistica"  :) 
Secondo me, ci ritroviamo in un caso simile al discorso sull'ora: le ore si fondano sui minuti, i minuti sui secondi, e quando ho queste tre misure posso già gestire la mia vita abbastanza agevolmente, anche tralasciando il fatto che i secondi si basano sui millesimi, i millesimi si fondano su etc. (salvo io mi ritrovi a fare lavori particolari, come l'atleta, il pilota di formula uno, etc....). L'eccessiva fame di complessità resta spesso digiuna di fronte alle esigenze pulsanti della vita pratica  ;)

Nel caso del soggetto, il regresso all'infinito è solo "sulla carta": Cartesio fonda il soggetto sulla sua consapevolezza del suo stesso pensiero individuale... e su cosa si fonda tale consapevolezza? Sulla percezione di tale pensiero (flusso di coscienza), che è un vissuto esperibile, quindi nulla di metafisico. Possiamo ritenerlo un fondamento sufficiente per parlare di soggetto? Se rispondiamo "no", dovremmo poi coerentemente scegliere fra il non parlare più di soggetto (almeno razionalmente) e il trovare un fondamento apparentemente più solido (che è comunque possibile per qualcuno, ad esempio, per via religiosa...).



Citazione di: Angelo Cannata il 04 Gennaio 2018, 08:43:03 AM
Il discorso che io porto avanti sulla spiritualità non si basa su alcuna certezza.

Per quanto riguarda il problema di compiere scelte, avevo già indicato più sopra il criterio, senza bisogno di dover fondare le scelte su certezze che creano più problemi di quanti sembrino risolverne:
Citazione di: Angelo Cannata il 02 Gennaio 2018, 12:06:30 PMIl dubbio prova inazione solo a chi non sa uscire dal pensare greco-occidentale. L'alternativa ce la dà proprio l'uomo dell'Antico Testamento: egli ci dà il pensare storico: di fronte alle situazioni non devo cercare il criterio metafisico in base a cui agire; devo piuttosto raccogliere la mia storia vissuta fino a quel momento, la storia del mondo, la storia del mio DNA, dei miei condizionamenti, ne faccio una sintesi, me ne assumo le responsabilità e mi butto nella storia a fare la mia parte. Tutt'altro che inazione.
Il criterio sarebbe dunque, correggimi se sbaglio, fare una sintesi di quell'elenco e cercare di fare la propria parte... eppure, chiediamoci, "fare la propria parte", in pratica, non significa forse compiere scelte in base a delle supposte certezze (per quanto fluide e momentanee)?
Non si sceglie forse di usare il criterio che proponi grazie ad un (meta)criterio di scelta (con cui lo scegliamo)?

Credo tu sia certo che quello che proponi sia un buon criterio; senza questa certezza, non si spiega come mai cerchi di praticarlo e consigliarlo... il criterio/metodo che hai descritto, non si basa sulla (presunta) certezza della sua stessa funzionalità, adeguatezza, eticità, o altro?

Mi pare dunque che a monte di ogni "posizione", di ogni metodo, c'è sempre una certezza a cui ci si affida, magari per poco... altrimenti faremmo le nostre scelte gettando dadi, e persino in quel caso ci ritroveremmo ad essere stati mossi dalla certezza, per quanto non assoluta, che sia una buona idea affidarsi ai dadi.

Le certezze, secondo me, per quanto deboli (ma pur sempre meno incerte delle incertezze  ;D ) sono i punti d'appoggio del nostro equilibrio mentale, punti di contatto con il mondo che la gravità del nostro esistere richiede: è possibile cambiarli in continuazione, o lasciarne alcuni solo per spostarsi su altri che sembrano migliori, oppure persino restare fermi immobili in equilibrio (certezze assolute metafisiche), ma mi pare di certo difficile poter restare con un balzo appesi in aria...  :)

P.s.
Scegliere di fare i dottori per curare gli altri, non comporta risultare immuni alle loro stesse malattie  ;)

Apeiron

#87
Citazione di: Angelo Cannata il 04 Gennaio 2018, 00:23:46 AM
Citazione di: Apeiron il 04 Gennaio 2018, 00:01:53 AM... non riesco a capire come la "soggettività" - ovvero l'impossibilità di "uscire" dalla nostra prospettiva e riuscire a conoscere delle altre - non venga vista come una sorta di gabbia...
La soggettività è una gabbia, certo che è una gabbia. Ma se ciò ci risulta essere la condizione in cui ci troviamo, non ha senso rifiutare che sia così solo perché non ci piace. Ma a quanto pare questo discorso con te non funziona, visto che hai più volte dato conferma che a te non interessa trovare verità, ma solo cose che ti piacciano. Se una cosa non è di tuo gradimento, automaticamente ti orienti a pensare che non può essere verità; se invece ti piace sei propenso già in partenza a ritenere che si tratti di qualcosa di vero. Vedendoti ragionare così, mi viene a risultare come conseguenza che qualsiasi cosa che dici non ha alcun valore.

Quando mi riferivo alla "gabbia" mi riferivo al fatto che se è vero che non posso uscire nemmeno parzialmente dalla mia prospettiva allora non posso (a rigore) comprendere nemmeno l'altro (nemmeno parzialmente).

Per quanto riguarda la tua ultima frase del post (quella che "qualsiasi cosa che dico non ha alcun valore") mi spiace sentirlo dire, perchè a quanto pare è da un anno che leggi i miei post che contengono solo cose che non hanno "valore" (il che è ironico visto che ho aperto un topic proprio su questo tema ma probabilmente non ho capito nella mia vita nulla di valore). Ovvero mi spiace averti fatto perdere tempo un anno, visto che https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/perche-fare-filosofia/15/ in data 8 ottobre 2016 affermavo che:

CitazioneDo anche io la mia opinione.

La ricerca filosofica è il tentativo di comprendere il più possibile la "realtà". Nasce da un bisogno intrinseco dell'uomo, che secondo me tutti hanno ma di cui non tutti ne sono coscienti, di avere una "visione del mondo". Chiaramente è un "surplus" nella vita e quindi per forza di cose richiede molta fatica, specialmente quando si è in un ambiente dove questa ricerca non è contemplata.  

Perchè mi dedico alla filosofia? Beh semplicemente perchè non voglio passare la mia vita "dormendo" (nel senso che voglio essere sempre cosciente per quanto possibile di quello che sta succedendo). Fin da piccolo sono stato sempre una persona riflessiva e questo da un lato mi aiuta ad accorgermi di problemi che altri non vedono, dall'altro però mi crea angoscia e depressione. Se nessuno si fosse mai messo a filosofare saremo ancora nelle caverne: questo perchè senza la filosofia non si è coscienti dei problemi e quando uno non è cosciente di un problema come può trovare una soluzione al problema?

Chiarisco subito con un esempio: la scienza e la tecnica sono "figlie" della filosofia perchè sicuramente sono nate dal bisogno di prevedere e comprendere i fenomeni naturali (scienza) e di cambiare la realtà in modo da renderla adatta al nostro benessere (la tecnologia). Chiaramente uno prima di imbarcarsi ad esempio nella scienza deve riconoscere che l'ignoranza è un problema e questo è già filosofia.

Inoltre ci sono applicazioni della filosofia anche al carattere esistenziale ed etico. Nel primo caso è la filosofia che ci spinge a chiederci ad esempio domande come: "come posso ridurre la sofferenza?", "come posso uscire dall'angoscia", "come posso dare uno scopo alla mia esistenza?". Nel tentativo di rispondere a queste domande sono nate le religioni, l'arte e anche la psicologia. Nel secondo caso una riflessione ci mostra subito che non è affatto banale chiedersi come "ci si deve comportare", "che principi etici bisogna seguire ecc". Da qui è nata se vogliamo anche la politica.

Perchè dunque faccio filosofia? Perchè credo che sia l'attività più caratteristicamente umana di tutte, e avendo una sola vita e sapendo che questa vita è breve e piena di affanni voglio "viverla" al meglio. Tutto qui. So che non è una vita facile (non ho conosciuto nessuna persona angosciosa quanto me, per esempio) però d'altronde piuttosto di vivere una vita "da macchina" preferisco soffrire per la libertà e per la comprensione delle cose.

ovvero anche allora scrivevo cose simili riguardo al "velo di Maya". Mi spiace averti fatto perdere tempo un anno, quindi. Se è vero che la motivazione che sta dietro a quello che scrivo inficia il "valore" di quello che scrivo, allora significa che è da più di un anno che non scrivo niente di "valore". Spero che per qualcun altro i miei scritti abbiano un minimo di valore.  
 
Per la cronaca: non dico che la completa liberazione dalla "gabbia" è possibile. Ma ritengo che sia plausibile pensare che una parziale liberazione invece lo è. Si dà il caso che non posso dimostrarlo però ritengo ciò più plausibile del categorico "non si può fare".  E siccome a quanto pare non sono l'unico a vedere la condizione come quella di una "gabbia". Personalmente la "gabbia" non mi piace. Allo stesso modo non mi piace la malattia però in genere cerco di curarmi (altrimenti schiatto). Siccome la gabbia non mi piace e siccome il categorico "non si può ottenere nemmeno una parziale liberazione" non mi convince cerco comunque di "uscirne". Non pensavo che questo tentativo di "uscire parzialmente dalla gabbia" invalidasse ogni cosa che dico e scrivo ma a quanto pare è così. Forse solo chi "accetta" la verità (di non poter liberarsi parzialmente dalla gabbia) senza metterla in discussione produce pensieri "validi". Si dà il caso che io questa "verità" la metto in discussione, invece.  

(E si dà il caso che invece i tuoi post in genere li leggo con molto interesse (ovvero secondo me quello che dici ha valore) ;) se ti sei arrabbiato per il discorso del "solipsismo"... ho detto che sei "solispsista epistemologico" solo perchè è ciò che concludo leggendo le tue affermazioni, ovvero quello che stai dicendo secondo me è che la filosofia "giusta" è quella di un solipsismo epistemologico. Detto questo se il mio linguaggio in questo e in altri post è risultato offensivo chiedo scusa.)


@Sari concordo, specie sulla sfiducia.

@Phil, già sono d'accordo...

Detto questo per me questa discussione è chiusa!

P.S. I moderatori possono cancellare questo post se lo ritengono opportuno.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

sgiombo

Citazione di: davintro il 02 Gennaio 2018, 18:37:29 PM
CitazioneL'anima sarebbe la forma degli esseri viventi, cioè ciò che attribuisce all'ente come essenziale la qualifica di ente vitale. Intesi così questi concetti assumono una valenza razionale, in quanto le forme non sarebbero entità del tutto separate e trascendenti, dunque impossibilitate a vedersi riconosciute nella loro efficacia causale di esplicazione degli aspetti della realtà, proprio in quanto l'anima non trascende la materia vivente ma ne è la forma, la sua presenza è razionalmente riconoscibile, perché rende ragione della differenza qualitativa fra ente vivente e non vivente, differenza che resterebbe inavvertita restando nell'ottica di un materialismo che invece riduce il tutto alla "materia", cioè all'aspetto di potenzialità indeterminata, per la quale la materia vivente dovrebbe presentarsi identica a quella vivente, a quel modo d'essere presentante un principio interiore che la porta a svilupparsi alla luce di un determinato senso, l'anima appunto. 


In realtà la scienza moderna dimostra  a mio avviso la "perfetta" riduzione della materia vivente alla materia in generale: nella materia vivente non c' é alcun "ingrediente vitalistico" che ecceda "le entità materiali in generale" (molecole, atomi, particelle-onde subatomiche, campi di forza, ecc.) e le leggi fisiche (naturali in generale); semplicemente la materia vivente non é altro che la "materia in generale" così come diviene diviene seconde le leggi generale del divenire materiale (fisiche) in determinate condizioni particolari-concrete (appunto quelle della vita).


Angelo Cannata

#89
Citazione di: Phil il 04 Gennaio 2018, 17:01:41 PMDobbiamo dunque rinunciare al fondamento, a discorsi epistemologicamente fondati, ripiegando su voli liberi fra idee sfondate ed infondate? E' una possibilità, per quanto, mi pare, poco "filosofica" e molto "artistica"  
Mi sembra che la vita di ogni giorno ci mostri che senza bisogno di fondamenti è possibile vivere, è possibile fare scienza, è possibile tutto.
Lo scopo dell'epistemologia non è individuare fondamenti alla scienza: la scienza, da quando esiste, non ha mai avuto alcun fondamento indiscutibile, resistente al dubbio, eppure le meraviglie che riesce a fare e la serietà che riesce a dimostrare sono sotto gli occhi di tutti.
Il volare libero, senza riferimenti, non è altro che il vagare senza alto né basso descritto da Nietzsche ed è il disorientamento dell'uomo occidentale ubriacato di metafisica fino al punto di essere incapace di vivere senza certezze infallibili. Se a te sembra una via poco filosofica, ciò significherebbe escludere dal novero dei filosofi Nietzsche, Heidegger e tanti altri. Sarà una possibilità poco metafisica, ma non certo poco filosofica.

Citazione di: Phil il 04 Gennaio 2018, 17:01:41 PMNel caso del soggetto, il regresso all'infinito è solo "sulla carta": Cartesio fonda il soggetto sulla sua consapevolezza del suo stesso pensiero individuale... e su cosa si fonda tale consapevolezza? Sulla percezione di tale pensiero (flusso di coscienza), che è un vissuto esperibile, quindi nulla di metafisico. Possiamo ritenerlo un fondamento sufficiente per parlare di soggetto? Se rispondiamo "no", dovremmo poi coerentemente scegliere fra il non parlare più di soggetto (almeno razionalmente) e il trovare un fondamento apparentemente più solido (che è comunque possibile per qualcuno, ad esempio, per via religiosa...).
Il vissuto esperibile non è un fondamento sufficiente, perché l'esperienza non è certezza metafisica. Fu questo l'errore di Cartesio: aver scambiato l'autopercezione, che è una cosa discutibile in tutti i suoi aspetti, per certezza metafisica fondante.
Il non riferirci ad un fondamento non c'impedisce affatto di parlare del soggetto. Razionalità non significa metafisica. Non c'è bisogno di doversi fondare su certezze metafisiche per poter fare discorsi razionali. Vedi sopra ciò che ho appena scritto sulla scienza.

A proposito, Cartesio ha trascurato il soggetto perché nel momento in cui ha ritenuto di averlo reso certo, l'ha oggettivato, l'ha reso oggetto, e in quell'istante ha perso di vista che tutti i ragionamenti che stava facendo erano condizionati dalla sua mente, cioè dal soggetto. Insomma, si mise a riflettere sul soggetto, ma ad un certo punto non si ricordò che il soggetto era sempre lui stesso. Non è possibile oggettivare il soggetto se non trascurandolo, perdendolo di vista, perdendo di vista che quel soggetto siamo noi stessi.

Citazione di: Phil il 04 Gennaio 2018, 17:01:41 PMIl criterio sarebbe dunque, correggimi se sbaglio, fare una sintesi di quell'elenco e cercare di fare la propria parte... eppure, chiediamoci, "fare la propria parte", in pratica, non significa forse compiere scelte in base a delle supposte certezze (per quanto fluide e momentanee)?
Non si sceglie forse di usare il criterio che proponi grazie ad un (meta)criterio di scelta (con cui lo scegliamo)?

Credo tu sia certo che quello che proponi sia un buon criterio; senza questa certezza, non si spiega come mai cerchi di praticarlo e consigliarlo... il criterio/metodo che hai descritto, non si basa sulla (presunta) certezza della sua stessa funzionalità, adeguatezza, eticità, o altro?

Mi pare dunque che a monte di ogni "posizione", di ogni metodo, c'è sempre una certezza a cui ci si affida, magari per poco... altrimenti faremmo le nostre scelte gettando dadi, e persino in quel caso ci ritroveremmo ad essere stati mossi dalla certezza, per quanto non assoluta, che sia una buona idea affidarsi ai dadi.

Le certezze, secondo me, per quanto deboli (ma pur sempre meno incerte delle incertezze  ;D ) sono i punti d'appoggio del nostro equilibrio mentale, punti di contatto con il mondo che la gravità del nostro esistere richiede: è possibile cambiarli in continuazione, o lasciarne alcuni solo per spostarsi su altri che sembrano migliori, oppure persino restare fermi immobili in equilibrio (certezze assolute metafisiche), ma mi pare di certo difficile poter restare con un balzo appesi in aria...
Se ci poniamo in una prospettiva pratica, possiamo fare e dire tutto quello che vogliamo, nel senso che non saremo esposti alle critiche a cui è soggetta la metafisica. Io tutti i giorni vivo di pratica e uso linguaggi pratici, in cui parlo tranquillamente di certezze, verità e realtà. Ma lo faccio nella consapevolezza di essere nel pratico, quindi senza alcuna pretesa di assolutezze di tipo filosofico. Il problema è che poi nasce la pretesa di attribuire a qualche certezza pratica una portata metafisica, cioè pensiamo di poterle attribuire più certezza di quanto la pratica consenta. Ma fin quando sappiamo guardarci da questo rischio, la vita va benissimo, tranquillamente. Il problema è che il messaggio con cui è partita questa discussione, riguardo a forme, anima, spirito, mente, non si presenta come discorso pratico, quindi modesto, umile, ma come costruzione teoretica in grado di avanzare precisione, certezza, sicurezza, realtà di fatto, oltre i limiti consentiti dal pratico, oltre i limiti del dubitabile.

Discussioni simili (5)