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Anima, Spirito, Mente

Aperto da viator, 25 Dicembre 2017, 19:14:22 PM

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Angelo Cannata

L'aggiunta "non sappiamo" contiene lo sforzo di rimediare al circolo infinito, però non lo risolve: ciò che fa è spostare indietro il problema. Come dicevo, l'accusa di categoricità, di certezza, si potrebbe poi rivolgere al "non sappiamo", in quanto certezza di non sapere.

Questo spostare il problema sempre più indietro può essere compiuto all'infinito: io potrei correggere la tua affermazione e allungarla in questo modo: "non sappiamo se sappiamo oppure no se sia possibile giungere ad una conclusione". La mia frase risulterebbe ancora meno categorica della tua, ma in realtà neanch'io avrei risolto il problema, poiché anche la mia frase parte comunque con una certezza: "non sappiamo".

Così, ogni aggiunta all'indietro sembra aggiungere incertezza, quindi sembra più aperta, ma non fa altro che nascondere sempre il più il problema, spostandolo sempre più indietro, ma senza risolverlo.

Sariputra

Citazione di: Angelo Cannata il 01 Gennaio 2018, 22:41:51 PML'aggiunta "non sappiamo" contiene lo sforzo di rimediare al circolo infinito, però non lo risolve: ciò che fa è spostare indietro il problema. Come dicevo, l'accusa di categoricità, di certezza, si potrebbe poi rivolgere al "non sappiamo", in quanto certezza di non sapere. Questo spostare il problema sempre più indietro può essere compiuto all'infinito: io potrei correggere la tua affermazione e allungarla in questo modo: "non sappiamo se sappiamo oppure no se sia possibile giungere ad una conclusione". La mia frase risulterebbe ancora meno categorica della tua, ma in realtà neanch'io avrei risolto il problema, poiché anche la mia frase parte comunque con una certezza: "non sappiamo". Così, ogni aggiunta all'indietro sembra aggiungere incertezza, quindi sembra più aperta, ma non fa altro che nascondere sempre il più il problema, spostandolo sempre più indietro, ma senza risolverlo.

Ma non è l'obiettivo della frase risolvere il problema. La frase sta a significare che è possibile cercare, solamente questo, non ci dice nulla sul problema e sulla sua eventuale soluzione. Indica semplicemente che non sappiamo, ma che forse si può sapere. La tua invece esclude proprio anche la possibilità di sapere, è per questo motivo che la definisco come categorica. Tra l'altro la frase non indica nemmeno 'che cosa' non sappiamo. Ed è chiaramente solo un esercizio linguistico, che però permette/ammette ancora proprio il cercare.
Poi, un altro pò, e rischiamo persino di non capire più il perché di questa discussione... :(
Probabilmente tu sostieni che non è possibile giungere ad alcuna 'verità' e quindi è meglio lasciar perdere la ricerca di questa fantomatica 'verità' o universali, ecc. e concentrarci sul "piccolo cabotaggio sotto costa"...definiamolo così. Io invece che la strada in alto mare è ancora possibile, visto mai si possa incrociare qualcosa... :) 
Ecco che la tua frase diventa" ammetti marinaio che non è possible incrociare alcunché" e la mia "Oè! Non ho ancora incrociato, ma ho voglia di spingermi ancora più in là"...
Più o meno è così, giusto? Per quei due disperati che ancora ci leggono... ;D  ;D
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Phil

Citazione di: Angelo Cannata il 01 Gennaio 2018, 17:19:20 PM
Non capisco in che modo il presente del verbo sapere possa esprimere qualcosa in divenire, in movimento.
Il possibile "movente" è la negazione: "non so" esprime l'essenza del primo passo del movimento temporale filosofico: non so, perciò posso (non "devo") diventare cercatore, quindi, se voglio, mi muovo in un sentiero di ricerca... se invece "so" oppure affermo che "è impossibile", mi precludo il movimento di ricerca (avendo già trovato il trovabile) e resto pietrificato come Medusa che si guarda allo specchio.
Dire "non sappiamo se" allude ad un potenziale movimento ancora più "pragmatico", perché c'è già almeno un'ipotesi da vagliare, quella indicata da quel "se".

Citazione di: Angelo Cannata il 01 Gennaio 2018, 22:41:51 PM
Questo spostare il problema sempre più indietro può essere compiuto all'infinito: io potrei correggere la tua affermazione e allungarla in questo modo: "non sappiamo se sappiamo oppure no se sia possibile giungere ad una conclusione".
Per come la vedo, non è sensato spostare il problema ad un ulteriore livello: "non so se ho i soldi in tasca" non può diventare "non so se so o se non so di avere i soldi in tasca" perché, se davvero non so se ho soldi, questo non-sapere è una certezza (per il momento), altrimenti (logicamente) dovrei sapere con certezza di avere, o non avere, i soldi in tasca. Il regresso logico non può quindi andare oltre la transitoria certezza di non-sapere qualcosa (fermo restando che il mio sapere può comunque essere fallace, ovvero so qualcosa che non corrisponde poi alla realtà, ma, fino a prova contraria, è per me una certezza momentanea).
Quando tale non-sapere si coniuga con la temporalità, allora può diventare ricerca del sapere con ottenimento di ulteriori certezze... temporanee (o forse no?).

Angelo Cannata

Sariputra, è quello che ho già detto: la tua frase è senza dubbio più ammorbidita della mia, ma proprio il fatto che è ammorbidita può farla considerare ancora più insidiosa, perché rende il problema più nascosto e quindi più difficile da affrontare.

Per fare un esempio, un datore di lavoro, invece di dire agli operai "Non vi pago", può dire "Forse vi pagherò"; la seconda frase è più morbida, ma più insidiosa, perché potrà succedere che nel dubbio gli operai lavoreranno, ma alla fine della giornata si ritroveranno senza paga; con la prima frase invece è possibile che gli operai si rifiuteranno sin dall'inizio di lavorare gratis. So che l'analogia non è perfetta, per questo riprendo qui di seguito la questione.

Spostare la certezza dal non esserci una conclusione al non sapere se c'è non fa altro che rendere la certezza più nascosta, perché può accadere che non ci si accorga che dire "non sappiamo" è già una certezza.

Inoltre, dire "non sappiamo", dando l'impressione di aprire più possibilità di ricerca per il futuro, distoglie l'attenzione dal ricercare nel presente, dove invece si potrebbe trovare la vera origine del problema. Dire "non sappiamo", in questo senso, è come dire "Se vogliamo cercare una soluzione, possiamo  rimboccarci le maniche e cercarla"; ma questo ha il difetto di distogliere dal cercare già all'interno del non sapere di ora, piuttosto che avviare la ricerca di una conclusione.

La certezza di non sapere è l'errore in cui cadde Socrate, dicendo "So di non sapere": dicendo così egli non si accorgeva di avanzare una pretesa che lo distoglieva dall'indagare sul presente, sulla sua concezione presente. Infatti, dire "So di non sapere" apre la strada a darsi da fare per cercare di sapere. Ciò sembrerebbe ottimo, ma in realtà distoglie dal chiedersi come faceva Socrate a sapere di non sapere, in cosa consisteva questa capacità, in base a quale criterio riteneva di poter affermare che non sapeva. Insomma, Socrate aveva completamente perso di vista che già la parola "sapere" è strapiena di problemi e inganni: cosa vuol dire sapere? Come faccio a stabilire quand'è che so e quand'è che non so? Come faccio a sapere se una cosa la so oppure non la so? Quando un verme si nutre della mela in cui si trova, si può dire che sa cosa sta facendo? Si può dire che un computer sa certe cose, visto che è in grado di certe reazioni?

Ecco l'infinità di problemi da cui Socrate fu distolto proprio dalla sua affermazione "So di non sapere". Proprio dicendo ciò chiuse un mare di strade di ricerca da percorrere, dando invece l'impressione di averle aperte tutte, il che è micidiale, visto che contiene un inganno.

Una volta messa a nudo l'enorme complessità di problemi che in realtà suscita il verbo sapere, si comprende che ciò che ha detto Phil è troppo limitato, poiché egli vede solo due alternative: sapere o non sapere. Solo al prezzo di trascurare le problematiche sul significato di "sapere" Phil può ridurre il tutto a due alternative.

Si può quindi notare che l'aggiunta "non sappiamo se" alla frase "non è possibile una conclusione" la rende più morbida, ma, a causa dell'introduzione del verbo "sapere", che prima non c'era, apre tutto un mare di problemi che il verbo "sapere" porta con sé.

Possiamo anche osservare che, se la questione iniziale poteva essere tradotta nel linguaggio dei computer, l'introduzione del verbo "sapere" rende questa traduzione molto più difficile, se non impossibile, a causa del fatto che il verbo "sapere" si può applicare agli esseri umani, ma non è chiaro in che senso lo si potrebbe applicare ad un computer. In altre parole, con l'introduzione del verbo "sapere", si apre anche tutta la problematica di cosa vuol dire "consapevolezza": un computer può essere considerato consapevole di certe cose? E un verme? E un cane?

Una volta messi a nudo questi problemi, possiamo ancora dire che la frase "non sappiamo se c'è una conclusione" apra davvero più possibilità di ricerca rispetto a dire "non è possibile una conclusione"?

È per questo che, pur riconoscendo la maggiore morbidezza e apertura della formulazione data da Sariputra, non potevo fare a meno di far osservare quante altre difficoltà nascono.

Per questo preferisco dire che si cammina, si diviene, si cresce, in continuazione, il che è diverso, mi sembra che sia ciò che riesce ad essere davvero diverso, sia dal dire che tutto è relativo, sia dal dire che esistono certezze.

Angelo Cannata

Aggiungo un'ulteriore esplicitazione delle problematiche aperte dal verbo "sapere".

Se io mi persuado che "sapere" significa conoscere a memoria, i progetti di ricerca che avvierò saranno tutti mirati ad imparare molte cose a memoria.

Da qui si capisce che il senso che attribuiamo al verbo "sapere" è cruciale per l'impronta che esso darà a tutta la ricerca successiva.

Se Socrate è convinto che il suo sapere di non sapere significa non possedere una gran mole di conoscenze enciclopediche, egli si accingerà ad un lavoro tutto impostato ad acquistare una conoscenza di tipo enciclopedico.

Si capisce quindi che l'aggiunta "non sappiamo se" alla frase "non c'è una conclusione" ha l'effetto di situare la frase in contesti ben precisi, limitati, inquadrati, tutti dipendenti dal senso che si dà al verbo sapere. Così si capisce meglio che l'ammissione di non sapere, in base a come viene intesa, può benissimo restringere le prospettive, piuttosto che ampliarle.

Sariputra

Non entro nelle considerazioni di A.Cannata sulle problematiche del verbo "sapere", che ampliano a dismisura la discussione, inerente semplicemente all'interpretazione di due ben definite frasi...anche perché andiamo probabilmente OT.
Anche nel caso presentato degli operai ci troviamo in due situazioni ben definite: un datore di lavoro che non paga oppure un datore di lavoro che forse pagherà.
Nel primo caso gli operai sono sicuri che non percepiranno lo stipendio, fine delle possibilità.
Nel secondo si aprono due possibilità: essere pagati o non essere pagati.
L'insidia paventata nel secondo caso è la normale insidia insita in ogni scelta, data propria dalla possibilità di una scelta.
Nel primo caso non c'è insidia perché non esiste possibilità di scelta. Non si è pagati e basta.
Lo stesso la frase "non sappiamo se..." contiene l'insidia data dalla possibilità di eventualmente sapere oppure invece di prendere una colossale cantonata ( come giustamente sottolinea Phil...).
Viceversa  "non è possibile..." non contiene l''insidia' data dalla possibilità. Non è possibile e basta.
Lo stesso "so di non sapere" non distoglie dal cercare di sapere ( vicino o lontano o entrambe le possibilità, giacché un cercare non esclude l'altro, visto che, per esempio, si può ben cercare 'l'esistenza di Allah' e anche cercare di comprendere il messaggio di un dato artista...). Infatti Socrate non smette di investigare e porsi domande di fronte alla constatazione di 'non sapere'...
Tutte le altre considerazioni di A.Cannata mi sembra rientrino nel come. Noto solamente la tendenza nello scritto di contrapporre, a parer mio , le possibilità come autoescludentesi a vicenda . che è un pò la tendenza del pensiero stesso di procedere contrapponendo i concetti, quando in realtà il cercare vicino non esclude che si possa anche  cercare lontano, e il cercare lontano non esclude che si possa anche cercare vicino. Posso cercare di comprendere il moto dei corpi celesti e anche il perché la molesta zanzara non mi lascia in pace... :)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Angelo Cannata

Citazione di: Sariputra il 02 Gennaio 2018, 09:15:34 AMNon entro nelle considerazioni di A.Cannata sulle problematiche del verbo "sapere", che ampliano a dismisura la discussione, inerente semplicemente all'interpretazione di due ben definite frasi...anche perché andiamo probabilmente OT.
È proprio questo che è successo a livello mondiale e ha provocato la sfiducia delle masse verso la riflessione; le quali masse hanno scelto così di buttarsi sul messaggiare banale dei social network, mentre qualche decina di anni fa anche le persone più ignoranti erano entusiaste di coinvolgersi in dibattiti di politica o di filosofia.
Ecco cos'è successo:

prima c'erano le filosofie, le ideologie.

Filosofie e ideologie si sono distrutte a vicenda a forza di criticarsi reciprocamente.

Così sono cadute le ideologie, è caduto il muro di Berlino, è caduta la fiducia nel riflettere.

In tutto questo c'è un errore di fondo che è stato commesso: aver rinunciato a muoversi nelle complessità, che è quello che tu hai detto ora.

Citazione di: Sariputra il 02 Gennaio 2018, 09:15:34 AM...che ampliano a dismisura la discussione...

Ma la soluzione al problema delle complessità non sta certo nel tirare dritto e proseguire nei luoghi comuni adottati in precedenza: mi sembra che a questo corrisponda ciò che hai fatto adesso: una volta spazzate vie le complessità, rinunciando a prenderle in considerazione, sei semplicemente tornato a ribadire ciò che avevi sostenuto prima, che adesso sembra stare in piedi perché non più attaccato dalla critica posta dalle complessità.

Io sono d'accordo che siamo esseri umani e non possiamo imbarcarci nell'affrontare tutte le complessità di questo mondo in tutta la loro estensione. Ma il genio del cervello umano, da quando il genere umano esiste, è consistito proprio in questo: trovare sempre nuove soluzioni per maneggiare le complessità servendoci del cervello limitato che abbiamo.

Le complessità non si risolvono spazzandole via, rinunciando ad affrontarle, ma lavorando per maneggiarle attraverso strumenti di semplificazione.

Uno strumento di semplificazione è quello che ogni tanto ho indicato nelle mie conclusioni: è meglio lasciar perdere i soliti modi di ragionare, del tipo "tutto è relativo" oppure "la verità esiste" e utilizzare invece linguaggi di ragionamento che si dimostrino diversi, più capaci di gestire le complessità attraverso forme di semplificazione efficienti; uno di questi linguaggi è quello del camminare, che poi è connesso a quello della spiritualità.

Tutte le osservazioni che ho fatto finora vengono ad avere quest'orientamento: mostrare che le tematiche di questa discussione, cioè anima, spirito, mente, se affrontate con gli strumenti mentali utilizzati nel primo post di questa discussione, non possono portare a niente, perché si tratta di strumenti mentali che ormai storicamente si sono dimostrati del tutto inefficienti, del tutto incapaci sia di reggere alla critica, sia di gestire le complessità. Sono modi di ragionare destinati ad essere demoliti dalla critica, così come sono state demolite le tradizionali filosofie e ideologie.

In fondo è questo quello che faccio: portatemi un ragionamento tradizionale qualsiasi e ve lo distruggo in quattro e quattr'otto. In questo, in realtà, non faccio niente di speciale: non faccio altro che mettere in evidenza, ripetendone le dinamiche, ciò che è successo con la caduta delle ideologie.

Apeiron

#67
@Angelo,
Ok e va "bene". Tu non vuoi diredi prendere mai alcuna posizione su niente, da buon "anti-dogmatico" eppure gli esempi concreti che ti ho posto, ovvero della distinzione cane-gatto, del "problema dell'attraversamento stradale" ecc mostrano che tu in realtà questa "sospensione del giudizio" non la fai sempre almeno nella vita concreta. Ovvero non dubiti di "tutto". Dubitare sempre di tutto crea un'enormità di sofferenza specialmente quando si tratta di stabilire se un'azione da compiere è "giusta" o "sbagliata". Rendere il dubbio il "summum bonum" della filosofia in fin dei conti provoca due conseguenze: la prima è l'inazione ("il blocco") e l'altra è l'indulgenza, ovvero si ritiene che "prendere una posizione" non sia importante. Il modo con cui ti poni, l'impegno con cui attacchi le "convinzioni" altrui tentando di mettere in risalto quanto la tua posizione è "migliore" chiaramente indicano che secondo te le posizioni da te criticate semplicemente sono "errate". Di posizioni in realtà ne prendi (molte) sul Forum, anche se poi nascondi le tue prese di posizione dicendo che tu a differenza di altri sei sempre disposto a "cambiare idea" (e qui dovrai spiegarmi cosa, di grazia, ti ha suggerito che una persona nella vita non possa oscillare tra le 5 alternative proposte da me). E se vuoi, pure, aggiungo una sesta posizione distinta dalla "3", sostituendo la dichiarazione di "incertezza" con una dichiarazione che "si crede di essere incerti", la quale è coincidente con la "3" così come "credo che lo spinozismo sia vero" è un'affermazione di "credere" che una forma della "5" è esatta.
Personalmente il problema che ho col tuo approccio è che come ha sottolineato @Sariputra:
"Constato che non fa per me, trovandola un po' troppo "disperante" per i miei gusti ed anche piuttosto 'sterile', a giudizio personale ovviamente.
Ma è perfettamente chiaro che è dura , alla fine, discutere con uno che dubita di tutto   ...preferisco qualcosa di più 'costruttivo' e quindi mi incammino ancora , consapevole del mio errare e fiducioso che forse un giorno non errerò più...
"
Sinceramente non mi interessa dimostrarti che il cane e il gatto sono diversi ma l'esperienza mi sembra chiara nella direzione che questi due animali sono diversi. Ad un certo punto dubitare è un'azione che può rasentare il sofismo. Ma a quanto sembra tu non vuoi ammettere questo – il nostro "cammino" è diverso e la tua prospettiva sinceramente mi sembra solamente "negativa", ovvero che sul "mercato" ci sono solo errori ma anziché cercare di "costruire" ti limiti alla semplice distruzione.
Personalmente io dubito molto spesso di molte cose, anche "scontate": un dubbio talmente forte che mi schiaccia, mi tormenta ecc mi è causa di enormi problemi della quotidianità. Non so come sia la tua vita quotidiana ma è proprio la vita concreta, esperienziale ecc che mi fa concludere che la tua prospettiva soffre di una forte mancanza.
Ad ogni modo probabilmente è vero che la spinta filosofica verso la conoscenza di "realtà e verità più alte" nasce in individui che trovano "strano" l'ordinario, sensazione che può essere sia piacevole che causa di grosse sofferenze:
"TEETETO: Per gli dèi, veramente, Socrate, io mi meraviglio enormemente per cosa possano essere mai queste visioni e talvolta, guardandole intensamente, soffro le vertigini.
SOCRATE: Non mi pare, caro amico, che Teodoro abbia opinato male sulla tua natura. Si addice particolarmente al filosofo questa tua sensazione: il meravigliarti.
"(Socrate, Teeteto 155)
Personalmente mi trovo spesso a sentirmi in almeno una condizione tra le seguenti: "ignoranza", "limitatezza", "incompletezza", "imperfezione", "insicurezza", "sgomento", "tremore", "fragilità", "imprigionamento", "alienazione", "disorientamento", "debolezza"* ecc. Sono "esperienze forti" che ti tirano via il terreno da sotto i piedi (ancor prima di tirar via il Sole dal Cielo).  A volte la sensazione è una forma positiva di "meraviglia" (come per Platone), una accettazione di una realtà che ci "sovrasta" e che "va oltre ogni comprensione". Ma si manifesta anche negativamente e specialmente in questo caso si manifesta nella sua "realtà" e comincia a richiedere una risposta, ovvero una ricerca di una condizione dove le "imperfezioni" che ho elencato sopra o vengono eleminate (con una "comprensione") o vengono "relativizzate" in un'ottica diversa con un drastico cambio della propria visione del mondo (ovvero fede/speranza/fiducia...) che non le rende più "così problematiche". Sinceramente una prospettiva come la tua, Angelo, non riesce a tenermi in un equilibrio che è di per sé estremamente precario. Siccome "testandola" non funziona su di me la abbandono. Ovviamente tu sei libero di proporla con l'ardore in cui vuoi.
Lasciami poi usare un'analogia. Cristoforo Colombo vuole partire per le Indie. Oggi sappiamo molte cose di fisica (anche per quanto riguarda le navi) che al tempo di Colombo non sapevamo. Tuttavia Colombo è partito e ha coraggiosamente attraversato l'Oceano pur non sapendo in dettaglio come funziona la nave e pur non potendo sapere di arrivare veramente alle Indie. Tuttavia lui è partito e ha scoperto le Americhe. Ergo pur non sapendo "come funziona" in dettaglio la sua nave lui è semplicemente partito. Poi ha "sbagliato" perché ha scambiato l'America per l'Asia. Tuttavia qualcosa ha scoperto. La mia filosofia vale per chi crede che il viaggio abbia ancora senso, per coloro i quali cercano di arrivare all'Asia partendo dalle costa europea. La tua invece la vedo come uno studio molto rigoroso delle mappe già note e della nave stessa. Per me non è sufficiente, così come per Colombo non era sufficiente la sua. Forse come Colombo arriverò un giorno a pensare di aver trovato l'Asia (la "verità") anche se avrò trovato l'America (i.e. magari un'interessante "insensatezza", ovvero un sistema filosofico che non sta in piedi). Un cammino molto rischioso che oggi a quanto pare non interessa nemmeno molto tra i "filosofi accademici" stessi.  Ad ogni modo il non voler partire ma fermarsi all'analisi della nave (se non lo hai capito la "nave" rappresenta lo strumento di indagine, ovvero l'insieme di soggetto, ragione, DNA, linguaggio, contesto sociale, educazione...) è pur sempre una posizione, che tu voglia o meno ammetterlo.
Ad ogni modo se non rispondi alle seguenti domande (chiedermi – come hai fatto - di dimostrare a me le cose è un gran modo per evitare di rispondere. Di certo non dimostra né che non esista una risposta (o una dimostrazione) né che le domande siano senza senso...) ,senza continuare a "rifugiarti" nella tua posizione di non prendere posizione:
1)Perché un cane sembra proprio diverso da un gatto?;
2)Perché è "quasi sicuro" che se vengo investito è "quasi sicuro" che mi faccio (molto) male?;
3)Perché alla fine del mese l'operaio o viene pagato o non viene pagato (ovvero sembra che non ci sia una terza alternativa)?;
4)Perché a livello quantistico sembra che la meccanica newtoniana non funzioni anziché funzionare (ed è difficile pensare che un giorno funzionerà)?;
5)Perché se non bevo molto probabilmente avrò conseguenze non molto "piacevoli" nel giro di pochi giorni? E perché osservo che molto probabilmente vale anche per gli altri?;
6)Perché scaldando una pentola d'acqua passa l'acqua passa da liquida a solida**? E perché sembra proprio che funzioni il nostro tentativo di distinguere le due fasi della materia (che sono di per sé concetti...)?
Potrei continuare ad nauseam a farti domande "quotidiane". E non voglio che tu mi passi la palla dicendomi di rispondere a me, chiedendomi di dimostrare la mia "posizione" su queste domande. Voglio sentire come rispondi tu.

Una filosofia, come la tua, meramente distruttiva non soddisfa nemmeno la "spinta esistenziale" alla ricerca. Invece tu credi che la tua filosofia dovrebbe soddisfare tutti perchè tutte le altre sono semplicemente insensatezze. Mi spiace ma un filosofo che non cerca nemmeno di fare una filosofia "costruttiva" sinceramente mi pare che gli manchi qualcosa di  molto importante. Tu sei molto abile nel capire il "difetto" di un sistema filosofico, quella proposizione non giustificata, quel salto logico ecc tuttavia un errore in un sistema non implica che il sistema filosofico sia errato (per esempio) ma solo che in quel contesto il filosofo ha sbagliato. Tu invece vedendo l'errore del filosofo rigetti completamente tutta la sua filosofia. Mi spiace poi dirti che in tutte le argomentazioni la tua posizione è indistinguibile dalla "3", anche se tu non vuoi dichiararlo per paura di dover ammettere di prendere una posizione.  


O.T. P.S. *ovviamente parlo in questo caso del lato "gnoseologico/epistemologico", non di quello etico dove queste stesse parole possono essere usate per descrivere come vedo la mia condizione etica. Non a caso mi sento "insicuro", "fragile", "imprigionato", "imperfetto" ecc ecc. E volendo qui nell'etica, nell'azione è al tempo stesso più importante e più difficile "lavorarci" che sul campo etico.


**scusate la distrazione. Avevo scritto "solido" anziché gas.


Rinnovo gli auguri di buon anno a tutti, comunque!
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

Citazione di: Angelo Cannata il 02 Gennaio 2018, 10:23:01 AM
Citazione di: Sariputra il 02 Gennaio 2018, 09:15:34 AMNon entro nelle considerazioni di A.Cannata sulle problematiche del verbo "sapere", che ampliano a dismisura la discussione, inerente semplicemente all'interpretazione di due ben definite frasi...anche perché andiamo probabilmente OT.
È proprio questo che è successo a livello mondiale e ha provocato la sfiducia delle masse verso la riflessione; le quali masse hanno scelto così di buttarsi sul messaggiare banale dei social network, mentre qualche decina di anni fa anche le persone più ignoranti erano entusiaste di coinvolgersi in dibattiti di politica o di filosofia. Ecco cos'è successo: prima c'erano le filosofie, le ideologie. Filosofie e ideologie si sono distrutte a vicenda a forza di criticarsi reciprocamente. Così sono cadute le ideologie, è caduto il muro di Berlino, è caduta la fiducia nel riflettere. In tutto questo c'è un errore di fondo che è stato commesso: aver rinunciato a muoversi nelle complessità, che è quello che tu hai detto ora.
Citazione di: Sariputra il 02 Gennaio 2018, 09:15:34 AM...che ampliano a dismisura la discussione...
Ma la soluzione al problema delle complessità non sta certo nel tirare dritto e proseguire nei luoghi comuni adottati in precedenza: mi sembra che a questo corrisponda ciò che hai fatto adesso: una volta spazzate vie le complessità, rinunciando a prenderle in considerazione, sei semplicemente tornato a ribadire ciò che avevi sostenuto prima, che adesso sembra stare in piedi perché non più attaccato dalla critica posta dalle complessità. Io sono d'accordo che siamo esseri umani e non possiamo imbarcarci nell'affrontare tutte le complessità di questo mondo in tutta la loro estensione. Ma il genio del cervello umano, da quando il genere umano esiste, è consistito proprio in questo: trovare sempre nuove soluzioni per maneggiare le complessità servendoci del cervello limitato che abbiamo. Le complessità non si risolvono spazzandole via, rinunciando ad affrontarle, ma lavorando per maneggiarle attraverso strumenti di semplificazione. Uno strumento di semplificazione è quello che ogni tanto ho indicato nelle mie conclusioni: è meglio lasciar perdere i soliti modi di ragionare, del tipo "tutto è relativo" oppure "la verità esiste" e utilizzare invece linguaggi di ragionamento che si dimostrino diversi, più capaci di gestire le complessità attraverso forme di semplificazione efficienti; uno di questi linguaggi è quello del camminare, che poi è connesso a quello della spiritualità. Tutte le osservazioni che ho fatto finora vengono ad avere quest'orientamento: mostrare che le tematiche di questa discussione, cioè anima, spirito, mente, se affrontate con gli strumenti mentali utilizzati nel primo post di questa discussione, non possono portare a niente, perché si tratta di strumenti mentali che ormai storicamente si sono dimostrati del tutto inefficienti, del tutto incapaci sia di reggere alla critica, sia di gestire le complessità. Sono modi di ragionare destinati ad essere demoliti dalla critica, così come sono state demolite le tradizionali filosofie e ideologie. In fondo è questo quello che faccio: portatemi un ragionamento tradizionale qualsiasi e ve lo distruggo in quattro e quattr'otto. In questo, in realtà, non faccio niente di speciale: non faccio altro che mettere in evidenza, ripetendone le dinamiche, ciò che è successo con la caduta delle ideologie.

Non voglio essere un pò 'duro' come l'utente Apeiron, ma...francamente...Angelo, stiamo parlando dell'interpretazione di due frasi, semplicemente, e tu tiri in ballo il mio presunto rifiuto di affronatare la complessità, addirittura la caduta del muro di Berlino. Affermi che ogni posizione è errata e ne proponi di tue in continuazione e rispondi, nel mio caso, con "acidità" se l'interlocutore obietta a questa incoerenza. Sembra quasi che debba essere una sorta di "vergogna" avere una qualche posizione su qualcosa...non capisco, veramente... :( 
"Sono modi di ragionare destinati ad essere demoliti dalla critica, così come sono state demolite le tradizionali filosofie e ideologie..." Non è una ben precisa posizione intellettuale questa? E poi bisogna argomentare: quali sarebbero stati demoliti, secondo te, perché lo sono stati, in quale misura lo sono stati, ecc. Non basta che lo affermi tu che "sono stati demoliti", moltissimi altri non lo pensano, ecc...
Sul piano esistenziale rimango della mia convinzione...la filosofia che proponi è "disperante" ( e forse disperata...).
Ti rinnovo gli auguri anche se vedo che non desideri ricambiarli.
 Ti lascio volentieri l'ultima parola,,, :)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Angelo Cannata

In risposta ad Apeiron

Mi sembra che a volte sembri distinguere teoria filosofica e vita concreta, a volte invece le confondi.

Io prendo posizione eccome: la mia posizione non è per niente nascosta: si chiama camminare, spiritualità, pensiero debole, relativismo, impegno politico, carità, arte, archeologia.

Io accetto di sobbarcarmi le costrizioni che la vita concreta m'impone. Ma se ho tempo e modo di riflettere, ovvero se non sono costretto a concentrarmi sul fatto che un masso mi sta cadendo sulla testa e devo togliermi di mezzo, allora faccio filosofia e dubito di tutto. Quindi non è vero che io che non dubito di tutto. Mi astengo dal dubitare solo nella misura in cui il mondo mi fa violenza e mi costringe a non riflettere, come nella situazione del masso che ho detto.

La sofferenza del dubitare di cui parli è la sofferenza della mentalità occidentale, la quale non riesce a capire come si possa pensare in maniere differenti da quella occidentale. È la sofferenza espressa da Nietzsche quando dice che cadiamo in ogni direzione, o anche da Heidegger quando dice che siamo esseri per la morte: entrambe le posizioni non sono altro che sintomi del filosofare greco metafisico che si scontra con la propria autodistruzione, una volta che venga portato con coerenza fino a tutte le sue conseguenze.

L'uomo dell'Antico Testamento, ad esempio, non mostrava nessuna certezza metafisica, ma solo interessi pratici, non aveva bisogno neanche di credere in una vita eterna; eppure non era affatto triste, né disorientato; perché? Perché non aveva una mentalità greco-occidentale-metafisica che lo imbrigliasse in esigenze mentali assurde, come appunto la fantomatica esigenza di certezze assolute.

Il dubbio prova inazione solo a chi non sa uscire dal pensare greco-occidentale. L'alternativa ce la dà proprio l'uomo dell'Antico Testamento: egli ci dà il pensare storico: di fronte alle situazioni non devo cercare il criterio metafisico in base a cui agire; devo piuttosto raccogliere la mia storia vissuta fino a quel momento, la storia del mondo, la storia del mio DNA, dei miei condizionamenti, ne faccio una sintesi, me ne assumo le responsabilità e mi butto nella storia a fare la mia parte. Tutt'altro che inazione.

Hai insistito più volte nel tuo messaggio sull'insicurezza tua o comunque del dubitante: secondo me è il disorientamento dell'uomo occidentale che vede cadere il pensiero metafisico e non riesce a trovare alternative. Ma le alternative ci sono e tantissimi nel mondo le hanno già trovate, anzi, le praticavano già sin dalla preistoria.

Riguardo alle tue 5 alternative non ho detto che tu non possa oscillare tra esse; ho detto che le trovo tutte con lo stesso difetto: sono statiche, monolitiche, fisse.

Riguardo all'analogia di Cristoforo Colombo, la trovo significativa: egli partì in base alle idee che si era fatte. È la stessa cosa che ha proposto Sariputra: non sappiamo se c'è una conclusione, possiamo benissimo cercarla. Sia Cristoforo Colombo che il criterio di Sariputra cadono nel difetto che ho già detto: parte la ricerca, ma non si accorgono che si tratta di una ricerca già inquadrata, tutta mentalmente condizionata dal modo in cui viene concepita la premessa. Hanno dimenticato di sottoporre a critica la premessa, cioè il presente. Nel caso di Sariputra si tratta di come viene concepito il verbo "sapere", nel caso di Colombo si trattava della mentalità con cui si avvia il viaggio verso le Indie.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: l'America fu scoperta, ma cosa fecero Colombo & company in America, una volta fatta la scoperta? Ubbidirono alla mentalità con cui erano partiti, poiché avevano dimenticato di sottoporla a critica. L'America divenne terra violentata, sfruttata, calpestata, si fece una carneficina di carne umana dalla pelle nera.

Veniamo alle domande: a questo punto le mie risposte dovrebbero risultare chiare, poiché si differenziano in base al trovarmi o meno in una situazione di violenza da parte della natura. Se mi trovo in una situazione di violenza, la natura mi costringe a dire che un cane è diverso da un gatto, esattamente come nel medioevo, sotto i colpi della frusta e della tortura riuscivano a far confessare a tante povere donne di essere delle streghe malefiche. Ma toglimi la violenza e ti dirò che non vedo alcun modo con cui dovrei riuscire a distinguere un cane da un gatto e sfido te a trovarlo. Lo stesso vale per le altre domande.

La domanda sui quanti dovrebbe far riflettere più te che me: se certe cose ci risultano in un certo modo solo perché ignoriamo i dettagli dei quanti, bisognerà sospettare che forse un cane ci sembra diverso da un gatto solo perché ignoriamo molti dettagli più approfonditi. Tant'è vero che, se cominciamo a scendere a livello atomico, cominciamo a renderci conto che entrambi non sono altro che un diverso numero di atomi disposti in diverse maniere.

Che una pentola d'acqua scaldata passi da liquido a solido è un esperimento che non conoscevo; sono curioso di saperne i dettagli.


In risposta a Sariputra

Se il mio obiettare, ragionare, controbattere, discutere, criticare, viene preso per acidità, abbiamo finito di discutere. Purtroppo è una cosa che mi accade da sempre, sistematicamente, con i metafisici: prima o poi si irritano.

La filosofia che si è autodemolita è la metafisica, nel momento in cui a cominciato a capire che, se vuole essere coerente, deve prendere in considerazione anche il soggetto. Questo l'ha demolita, si è demolita da sé, semplicemente portando avanti con coerenza i propri metodi. Chi oggi continua a sostenerla può farlo solo al prezzo di non portare avanti tale coerenza e fermarsi al di qua del prendere in considerazione il soggetto.

Come ho detto ad Apeiron, io sono per il prendere posizione e ho una presa di posizione, con caratteristiche che non hanno nulla di nascosto, che ho espresso e continuo ad esprimere in lungo e in largo in tanti modi, tra cui ultimamente la rubrica La spiritualità e le spiritualità sul sito riflessioni.it, ma prima ancora sul mio sito personale, che ad oggi conta 58 post e 48 video in cui parlo con la mia voce per provare a risultare più chiaro e umano. Quindi non venitemi a dire che non prendo posizione o che mi fermo al dubbio. Normalmente ho evitato di citare queste cose perché non mi piace risultare come uno che vuol farsi pubblicità, ma se mi dite che non prendo posizione o che le mie posizioni sono nascoste, o poco chiare, o ferme al dubbio, mi diventa anche giusto far notare che il prendere posizione c'è e il non essere nascosto pure.

Apeiron

@Sari, sì forse ho un po' esagerato (e se il tono risulta pesante o offensivo, chiedo perdono in anticipo ad @Angelo) nel mio ultimo post. Però francamente non mi pare che anche Angelo non sia da meno nel criticare le (presunte) nostre difficoltà ad ammettere la complessità del reale. E più di una volta ho portato esempi dove in realtà gli stessi filosofi "accusati" di più di essere dogmatici (Platone, in primis) fanno analogie ed ipotesi, ammettono come nell'eccellente Teeteto che a volte si arriva all'aporia ecc. Ma mentre ad esempio il "so di non sapere" socratico invogliava alla ricerca, il "so di non sapere" di Angelo - se sostenuto con tutta la coerenza - porta al troncamento della stessa. Va bene lo scetticismo ma secondo me è molto più interessante, dal punto di vista intellettuale ed esistenziale non fermarsi alla filosofia negativa ma provare a rispondere alle domande:
1) perchè vediamo la differenza nella realtà tra le "cose"?
2) perchè vediamo vediamo che invece molte regolarità?
Ovvero perchè in ultima analisi la scienza funziona? E questa domanda ci porta già nella "meta-scienza", per così dire  :)  e sinceramente preferisco un tentativo di rispondere che risulta errato piuttosto di negare che si possa arrivare ad una risposta.

Detto questo se sono risultato troppo "duro" non era la mia intenzione. Anche se sinceramente mi sono un po' stufato dell'impressione (magari errata) che ho da queste discussioni: ovvero che appunto, come ben dici, sia una "vergogna" prendere una posizione. Detto questo sono anche io disposto a "non avere l'ultima parola" - simbolicamente getto per ora la spugna. Non ho altre argomentazioni da usare di quelle che ho già detto, non sono stato per ora convinto di sbagliare in quello che faccio - quindi non mi rimane che abbandonare la discussione se rimane in questi termini. Personalmente ritengo che il dubbio o più precisamente l'aporia non sia l'obbiettivo ultimo della filosofia ma sia per così dire il punto di partenza.

Ad ogni modo sono anche così "duro" perchè ormai ci ho costruito una vita su "queste posizioni" e lo hanno fatto molti altri. Ergo dietro alla durezza c'è se vogliamo "il cuore" più che "la testa". E francamente l'alternativa di avere come obbiettivo "non prendere posizioni" mi lascia con un enorme vuoto nel cuore.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Apeiron

@Angelo, Non hai risposto alle domande! Per favore fai ipotesi! Come nel Teeteto! fai ipotesi! Ad ogni modo il fatto che io non distinguo "vita" e "filosofia" è perchè per me la filosofia è qualcosa di molto concreto. Comunque a questo punto se proprio non vuoi rispondere e dire che io dovrei riflettere (cosa che "sorprendentemente" faccio da molto tempo) come ho già detto "getto la spugna".
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Angelo Cannata

Come non ho risposto? Prendiamo la prima, quella del cane e del gatto, rispondo più in dettaglio e vediamo se per te vale come risposta.

Se io mi trovo davanti un cane imponente arrabbiatissimo, pronto ad uccidermi, in quel momento la natura sta operando su di me una violenza, una costrizione, non mi sta permettendo di riflettere. E allora sono forzato dalla limitatezza del mio corpo a dire "Sì, c'è differenza, perché se un gatto si arrabbia contro di me non ho gran che da temere per la mia vita, ma se si tratta di un enorme cane sì".

Ma se non mi trovo in situazione a rischio di violenza, sono tranquillo, guardo a distanza cane e gatto che lì sul prato si fanno i fatti loro, allora ho la possibilità di mettermi a filosofare e penso: cosa sto vedendo? Cosa mi sta mostrando la mia mente? Posso avere fiducia nella mia mente?

Ora vorrei sapere come mai questa, che non è altro che una ripetizione con parole diverse di ciò che avevo già detto, per te non è una risposta.

Apeiron

#73
La mia domanda era:
1)Perché un cane sembra proprio diverso da un gatto?

La tua "risposta" è:
Se io mi trovo davanti un cane imponente arrabbiatissimo, pronto ad uccidermi, in quel momento la natura sta operando su di me una violenza, una costrizione, non mi sta permettendo di riflettere. E allora sono forzato dalla limitatezza del mio corpo a dire "Sì, c'è differenza, perché se un gatto si arrabbia contro di me non ho gran che da temere per la mia vita, ma se si tratta di un enorme cane sì".

Ma se non mi trovo in situazione a rischio di violenza, sono tranquillo, guardo a distanza cane e gatto che lì sul prato si fanno i fatti loro, allora ho la possibilità di mettermi a filosofare e penso: cosa sto vedendo? Cosa mi sta mostrando la mia mente? Posso avere fiducia nella mia mente?


Mi spieghi come nella tua "risposta" dovrei dedurre che hai spiegato "perchè un cane sembra proprio diverso da un gatto?". Il primo paragrafo non contiene alcuna risposta, nel secondo invece semplicemente mi dici che ti stai interrogando sull'esperienza sensoriale che stai avendo. Io ti ho fatto una domanda precisa che richiede una risposta altrettanto precisa ovvero il motivo per cui certi animali possiamo chiamarli "cani" e altri "gatti". Oppure se vuoi puoi anche mettere in discussione la domanda, va bene come approccio. In fin dei conti potrei semplicemente essere nella situazione del Genio Maligno di Cartesio. Ad ogni modo questa domanda è in topic, visto che già viator voleva capire cosa distingue una cosa dall'altra e in particolar modo cosa rende umano l'uomo. Platone con la sua dottrina degli universali ha dato una risposta (che può ovviamente essere sbagliata, ma è comunque un tentativo), sostenendo che le idee "esistono" e "partecipano" nel particolare. Tu invece non hai dato alcuna risposta alla domanda "perchè un cane sembra proprio diverso da un gatto?". E anzi le tue domande che hai scritto semplicemente sono in realtà una ripetizione della mia (visto che comunque ho la sensazione del cane e del gatto e comincio a formulare un'ipotesi per questo motivo). Quando ti chiedo il "perchè" voglio o che mi rispondi spiegandomi il motivo per cui cani e gatti sono diversi oppure che mi confuti la domanda dimostrandomi che è un'insensatezza (o che per qualche misterioso motivo non si applica) o in caso non sia chiara la domanda vorrei che mi si chiedesse di ripetere. Dunque non considero nemmeno questo tuo messaggio una vera risposta ad una domanda che chiedeva un motivo. Ritieni ora chiara la mia domanda, o no?

Ad ogni modo la tua filosofia non riesco a farmela piacere per un motivo molto semplice. Semplicemente a me, come a Colombo, interessa arrivare alla meta - o meglio: fare un passo per arrivarci (nel senso che posso non riuscirci io ma magari in futuro qualcuno ci riuscirà). Tu invece critichi questa mia "convinzione"... le tue critiche non mi convincono, ergo continuo a navigare  ;)*  In fin dei conti stando ad alcune cosmologie dell'epoca andando verso ovest non si poteva andare in Cina perchè si pensava che la Terra piatta finisse. Colombo provò a confutare tale convinzione, non ci riuscì ,ma comunque scoprì l'America. Dopo di lui però qualcuno ci riuscì. Dalle tue parole sembra che questa spinta alla conoscenza per te sia oltre che infondata (perchè l'oggetto non esiste) anche causa di molto male (lo deduco dai tuoi continui riferimenti alle ideologie). Mi paiono critiche simili a quelle mosse a Colombo, sinceramente. A differenza tua però non ritengo che la tua visione delle cose sia la causa di "ingiustizie" e anzi la apprezzo come un onesto tentativo di capire la nave. Ma per arrivare alle Indie o all'America (ammesso che sia possibile) non è sufficiente studiare bene la nave, bisogna anche navigare e studiare i venti, gli oceani ecc.

E scusa se te lo dico voglio una risposta anche alla seguente domanda:
perchè, secondo te, la scienza funziona?
Lo scrivo in grassetto perchè voglio sentire la tua opinione (ipotesi) e voglio sapere qual è secondo la ragione per cui la scienza funziona. Non voglio sentirmi ripetere la mia domanda o una non-risposta. In fin dei conti ti ho chiesto di fare un'ipotesi sul motivo per cui un gatto è diverso da un cane e tu non mi hai risposto con un'ipotesi.

E anzi... domanda cruciale?
è lecito secondo te fare ipotesi sulla realtà? è lecito dire, secondo te, che la meccanica quantistica è un progresso rispetto alla fisica classica? Per piacere rispondimi con una risposta diretta o al limite vorrei, per curiosità, capire come riformuli le mie domande.

Ad ogni modo io ho delle risposte a queste domande che secondo me non sono "dogmatiche". Non pretendo che un altro debba condividerle e sinceramente non mi pare di essermi espresso molte volte con violenza cercando di imporre le mie idee. Quello che però non riesco a concepire è l'opinione per la quale formulare ipotesi di questo tipo è "fare un'ideologia". Sono sempre pronto a ricevere obiezioni e a riconoscere che le mie convinzioni non sono completamente fondate. Mi si potrebbe chiedere perchè allora le chiamo "convinzioni". Risposta: non ho ancora trovato nulla che secondo me è migliore. Se uno riesce a convincermi a cambiare idea, bene. Ma finché uno (o anche un mio ragionamento...) non riesce mi tengo le mie convinzioni.

Voglio comunque che tu mi risponda in primo luogo alla prima domanda o che riformuli correttamente la stessa. Sul resto fa lo stesso, scegli tu.

*così come non ti convincono le mie critiche (o quelle di Sariputra) ma tu continui a camminare.

Ciao, a presto!
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

viator

Salve. Vedo che ci si dà da fare per rendere sempre più chiara la distinzione e la natura** di anima, spirito e mente. Auguri.




** per carità, non tanto la natura (impenetrabile) di tali concetti, ma almeno la natura delle nostre opinioni circa tali concetti. Riauguri.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

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