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Anima, Spirito, Mente

Aperto da viator, 25 Dicembre 2017, 19:14:22 PM

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viator

Niente definizioni chiare (non importa se "sballate"), niente discussioni chiare. Non chiedendo di condividerle, vediamo comunque le eventuali reazioni alle mie definizioni di ANIMA, SPIRITO, MENTE.

L'ANIMA è la FORMA (***) interiore, intrinseca delle cose. E' ciò che fa essere sé stessa quella tal cosa. Essa è presente in tutto ciò che è ""inanimato"" ed animato.

SPIRITO è termine che viene usato per riferirsi ad un'anima (una forma, appunto) talmente evoluta, complessa, da aver sviluppato la capacità di volere. Quindi va riservato ai viventi o a degli enti in grado di agire autonomamente. Lo spirito è presente solo nel mondo cosiddetto "animato".

La MENTE è una funzione cerebrale sviluppatasi in anime provviste di spirito per permettere - oltre a quello del volere - l'esercizio dell'intendere (il capire - la prima cosa che la mente intende è il SE', quindi la sua esistenza presuppone l'aver sviluppato una coscienza. In pratica, mente e coscienza sono quasi sinonimi poiché non si è mai udito di qualcuno che si mettesse a fare ragionamenti in stato di incoscienza).
Ovviamente essa è presente solo nell'uomo.

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(***) LA FORMA : Prendiamo un sasso. Si tratta di un grosso o piccolo blocco i sostanza minerale (esistono migliaia di minerali diversi) avente una certa e variabile forma. ATTENZIONE !!... per FORMA non si intende soltanto il profilo dei suoi contorni, ma soprattutto la sua STRUTTURA, cioè il modo in cui i suoi componenti (atomi e molecole) sono disposti, STRUTTURATI nel volume INTERNO del sasso. La differenza tra forma esterna e struttura è quella che potrebbe esserci tra due edifici che all'esterno appaiano identici (stessi materiali da costruzione e stesse dimensioni) mentre al loro interno potrebbero essere suddivisi ed arredati in modi diversissimi e quindi utilizzabili in modi egualmente diversissimi. Per questa ragione stiamo parlando di FORMA INTERIORE.

Sassi, edifici, esseri viventi, umani....tutto possiede un'anima così intesa. La diversa struttura dell'ANIMA delle cose permette loro di svolgere funzioni diverse.
Ecco quindi che esisteranno anime semplici, analizzabili, complicate, insondabili, SPIRITUALI, CEREBRALI, TRASCENDENTI......... a seconda del grado di evoluzione, perfezionamento (per i credenti, di eventuale intenzione creazionistica divina) presentato dal soggetto o dall'oggetto la cui anima stiamo prendendo in esame.

L'anima umana rappresenta il vertice della complicazione di una forma interiore, è per questo che non non riusciamo a concepire come essa possa risultare basata su delle relazioni tra i suoi componenti materiali. La mente rappresenta un componente, una parte della nostra anima complessiva, è ovvio che la PARTE non possa capacitarsi del TUTTO che la contiene !!

L'anima infine possiede la singolare caratteristica di risultare una pura, immateriale FORMA che risulta tuttavia inestricabilmente legata ad una SOSTANZA materiale che la ospiti. Questa è semplicemente la chiave interpretativa del rapporto - che si crede contradditorio mentre invece è unificante - tra ANIMA e CORPO - FORMA e SOSTANZA - SPIRITUALITA' e MATERIALITA' - ASSOLUTISMO e RELATIVISMO.................
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Angelo Cannata

Mi sembra un esercitazione per divertirsi ad imitare Aristotele, oppure Platone, un giocare a fare metafisica. Di conseguenza, ciò che hai scritto presta il fianco alle critiche che si possono rivolgere alla metafisica. Si tratta essenzialmente di due obiezioni: questo sistema che hai presentato trascura il divenire e il soggetto.

1) Trascura il divenire. Se il divenire esiste, allora già lo stesso sistema che hai presentato è in divenire, quindi inafferrabile, in continua modificazione. Se ne può parlare solo a patto di limitarsi al rozzo, al vago, al superficiale, allo stesso modo in cui riusciamo a pensare e dire che ore sono solo perché trascuriamo la precisione dei millesimi e milionesimi di secondo, che inseguono senza fermarsi la nostra pretesa di individuare l'attimo, la quale è essa stessa in divenire e quindi influenzata dal proprio stesso divenire.

2) Trascura il soggetto. Cioè, il sistema che hai presentato dipende dalla tua mentalità, le tue categorie, le tue strutture cerebrali, cosicché alla fine viene a risultare che il tuo discorso non descrive tanto l'anima, lo spirito o la mente, ma piuttosto la tua mentalità, il tuo modo di organizzare le idee. Detto in altre parole, è impossibile parlare dell'universale senza che questo parlare sia condizionato da noi che ci stiamo dentro: se è universale è ovvio che noi vi siamo inclusi, ma proprio ciò impedisce di considerare universale qualsiasi nostro discorso.

viator

Salve. Per Angelo Cannata. Nulla da obiettare a quanto tu dici. Ovvio che si tratti, come affermo esplicitamente, del mio punto di vista, parziale, limitato, relativo, soggettivo. Si tratta di buttar là ciò che vediamo, senza alcuna pretesa di trovare la RIVELAZIONE. Stammi bene ed auguroni di circostanza e non di circostanza a te, ai tuoi cari, a tutti voi (anzi, a tutti noi) di Logos.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Angelo Cannata

Grazie, buon Natale anche a te.

Il problema che io vedo in ciò che hai descritto non riguarda le tue intenzioni, ma ciò che è veicolato dal linguaggio.

Facciamo un esempio. Io potrei dire "Supponiamo che esistano i fantasmi". Nel dire questo non c'è evidentemente alcuna pretesa dogmatica, tanto più che ho detto "Supponiamo", quindi si tratta solo di un'ipotesi. Si potrebbe considerare benissimo un'ipotesi umilissima, modestissima.

Il linguaggio usato però contraddice le mie migliori intenzioni ed è in grado di piegarle a sé, alla presunzione, al dogmatismo. Nel caso della mia supposizione sui fantasmi, si tratta dell'uso del verbo esistere e dell'organizzazione dell'idea dei fantasmi come esistenti esternamente alla mia mente. Ciò significa che, per quanto umile e modesto io voglia essere, la mia supposizione mi spingerà inevitabilmente a un sistema di idee in cui si dà per scontato 1) che sia chiaro il significato del verbo esistere e 2) che sia possibile parlare di esistenza di esseri esterni alla mia mente.

Inoltre, la via introdotta dalla mia supposizione mi impedirà di esplorare modi diversi di pensare, cioè modalità che presuppongano la messa in discussione dei due punti che ho detto. Cioè, la mia supposizione ha già predisposto dei binari ben duri, ben vincolanti, ben stretti in cui dovrò muovermi, ha già stabilito delle regole del gioco abbastanza ferree, per quanto io voglia essere umile, modesto e aperto a tutto.

È questo il problema che io trovo nella metafisica. Così come le parole formano un linguaggio che ci spinge a muoverci in esso e non uscire da esso, senza che ce ne accorgiamo, allo stesso modo anche le singole idee funzionano come singole parole, che messe insieme formano un linguaggio, un linguaggio di idee, il quale prospetta delle vie ben precise dentro cui costringono il seguito del discorso a muoversi.

Io non metto in dubbio il tuo desiderio di esprimere un semplice punto di vista; ma trovo che sia bene rendersi conto che già questo semplicissimo atto, cioè l'atto di esprimere un'ipotesi, un punto di vista, è sempre carico di condizionamenti che sono anche gabbie, prigioni.

Ciò che ho detto vale perché suppongo che la tua ipotesi sia di tipo filosofico; non vale in campo scientifico. Se a supporre l'esistenza dei fantasmi fosse uno scienziato, non potrei obiettargli nulla, perché è mestiere della scienza fare in continuazione ipotesi con lo scopo di ingabbiare, imprigionare la realtà entro idee, concetti, leggi, sistemi, che riescano a padroneggiarla. Ma la filosofia è diversa dalla scienza: il suo mestiere è mettere in questione tutto, quindi anche gli scopi da perseguire, i mezzi con cui farlo, i linguaggi con cui muoversi, le mentalità da smascherare.

sgiombo

Non vedo proprio come né perché dovrebbe necessariamente darsi che il linguaggio porti inevitabilmente alla presunzione, al dogmatismo, alla confusione fra oggetti immaginari di pensiero (esempio dei fantasmi) ed enti ed eventi reali, a dare per scontati significati impropri e/o ambigui dei vocaboli che i impiegano, all' impossibilità di mettere in discussione le proprie i dee e considerare creativamente e criticamente nuove ipotesi o ipotesi proposte da altri.

Quello di cadere nel dogmatismo e di irrigidirsi nei pregiudizi é un rischio che del tutto ovviamente, come anche i rischi che si corrono più o meno inevitabilmente in qualsiasi altra attività umana, può ben essere fronteggiato e in larghissima, più che soddisfacente misura evitato e superato (senza pretendere ovviamente un' impossibile perfezione o infallibilità) cercando di essere sempre disposti ad autocriticarsi e a correggersi per quanto ci é possibile.

La pretesa che un "semplicissimo atto, cioè l'atto di esprimere un'ipotesi, un punto di vista, è sempre carico di condizionamenti che sono anche gabbie, prigioni", questo sì che mi sembra un autentico pregiudizio acritico e dogmatico (oltre che falso)!
Si può benissimo (e a mio parere si deve) pensare linguisticamente con senso critico e autocritico, razionalmente.


E "metafisica" non é affatto sinonimo di "dogmatismo" o "acriticità"!
Non meno delle scienze può (e a mio parere deve) fondarsi sulla razionalità e il senso critico ed evitare il dogmatismo e il pregiudizio: c' é metafisica e metafisica!
E fare di tutte le erbe un fascio, questo sì che é pregiudizio acritico e dogmatismo!

Angelo Cannata

Citazione di: sgiombo il 26 Dicembre 2017, 09:17:10 AMNon vedo proprio come né perché...
Come e perché posso spiegarlo più in dettaglio, in modo che lo si veda meglio. Anche riguardo alla pubblicità, ad esempio, non è certamente di una chiarezza immediata come essa riesca a condizionare molti nostri comportamenti, eppure ciò avviene e se la si studia in dettaglio se ne possono svelare i meccanismi.

Citazione di: sgiombo il 26 Dicembre 2017, 09:17:10 AM... perché dovrebbe necessariamente darsi che il linguaggio porti inevitabilmente...
Non ho parlato di necessità e di inevitabilità, mi sono espresso con un linguaggio ben diverso, tutt'altro che dogmatico. Basta leggere con attenzione i termini precisi che ho usato. Ad esempio, ho detto "mi spingerà inevitabilmente": il fatto che ci sia una spinta non significa che la persona sempre e necessariamente si adeguerà passivamente ad essa.

viator

Salve. Un chiarimento circa il mio intervento iniziale. Quando capita che io scivoli nel metafisico (spessissimo) ciò accade perché - partendo dal presupposto fisicista - intendo affermare che ciò che si crede stare oltre (e magari fuori) della fisica in realtà rappresenta solo la nostra personale elaborazione di percezioni esclusivamente fisiche.

La fisica consiste nell'esame e nell'analisi razionale di ciò che troviamo esista sulla base delle nostre PERCEZIONI SENSORIALI.

La metafisica nel trattare di CONCEZIONI MENTALI che possono essere anche del tutto irrazionali.

La differenza tra PERCEZIONE  e CONCEPIMENTO consiste nel fatto che la prima funzione è costituita da dati sensoriali "grezzi" che ci giungono direttamente dalla "realtà" esterna, mentre la seconda rappresenta l'attività di elaborazione mentale della "realtà" che noi compiamo - coinvolgendo la coscienza e la nostra capacità di astrazione - sotto l'influenza di pulsioni irrazionali e quindi attraverso il filtro psichico della "realtà" stessa.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Angelo Cannata

In effetti mi sembra che su questo ci sia a volte confusione. Cioè, si pensa di elevarsi al di sopra del piano fisico semplicemente perché si parla di entità, come ad esempio l'anima, o la mente, o lo spirito, non rintracciabili in fisica.
Se però si considera criticamente questa procedura, si può osservare che questo tipo di elevazione non costituisce un vero salto di qualità, perché le eventuali entità non fisiche di cui si parla vengono in realtà trattate con gli stessi criteri che condizionano il nostro modo di trattare il mondo fisico. Questi criteri, che prestano il fianco alla critica, sono essenzialmente i due che ho detto sopra: si trascura il soggetto e in particolare il divenire del soggetto: si trattano tali entità comunque come esistenti indipendentemente, esternamente, assolutamente, rispetto a noi, alla nostra mente che in questo momento le sta pensando.
Per fare un esempio, se io ipotizzo l'esistenza dei fantasmi, cercando in questo modo di prendere vie che oltrepassano il mondo fisico, in realtà non ho compiuto un vero salto, perché sto continuando a trattare i fantasmi con gli stessi criteri con cui tratto il mondo fisico. Tant'è vero che solitamente i fantasmi vengono immaginati come localizzati, cioè capaci di abitare certi luoghi, entrare nelle persone, provocare fenomeni fisici: insomma, né più né meno che come enti fisicissimi, salvo l'invisibilità, che poi non è un fattore gran che ultrafisico, se pensiamo all'aria, oppure alla corrente elettrica. Non per nulla lo spirito, sia in greco che in ebraico, viene indicato con un termine che significa anche aria, vento.
È questo il problema della metafisica: pensa di andare oltre il fisico, ma in realtà vi rimane pienamente immersa, per il modo in cui tratta gli enti invisibili.
I modi per fare il salto ci sono e ce li hanno insegnati da sempre gli artisti: sono loro i veri "meta-fisici", nel senso che loro sì che fanno davvero il salto oltre la fisica, perché un artista che ti disegna un albero non lo presenta come oggetto da trattare sulla stregua di un'entità fisica, ma piuttosto come rappresentazione dell'artista stesso. È l'artista il maestro dell'attenzione al soggetto, colui che ti dice con chiarezza che quando sta disegnando un albero vuole in realtà comunicare sé stesso. Il filosofo metafisico, nel momento in cui avanza la pretesa di parlare di entità non fisiche, avanza la pretesa di non essere coinvolto in questo parlare, infatti pretende che si tratti di un parlare oggettivo, riferito a oggetti autonomi, che stanno là fuori. L'artista invece ti dice esplicitamente che quell'albero è nella sua mente, dipende dalla sua mente, l'ha disegnato come lo vede la sua mente.

sgiombo

Citazione di: Angelo Cannata il 26 Dicembre 2017, 11:10:19 AM
Citazione di: sgiombo il 26 Dicembre 2017, 09:17:10 AMNon vedo proprio come né perché...
Come e perché posso spiegarlo più in dettaglio, in modo che lo si veda meglio. Anche riguardo alla pubblicità, ad esempio, non è certamente di una chiarezza immediata come essa riesca a condizionare molti nostri comportamenti, eppure ciò avviene e se la si studia in dettaglio se ne possono svelare i meccanismi.
CitazioneNo, modestamente ho senso critico e inoltre sono anticonformista e anche tendenzialmente bastian contrario, e (sostanzialmente, generalmente, nessuno essendo perfetto) non mi faccio infinocchiare (condizionare nel mio comportamento) dalla pubblicità.

Citazione di: sgiombo il 26 Dicembre 2017, 09:17:10 AM... perché dovrebbe necessariamente darsi che il linguaggio porti inevitabilmente...
Non ho parlato di necessità e di inevitabilità, mi sono espresso con un linguaggio ben diverso, tutt'altro che dogmatico. Basta leggere con attenzione i termini precisi che ho usato. Ad esempio, ho detto "mi spingerà inevitabilmente": il fatto che ci sia una spinta non significa che la persona sempre e necessariamente si adeguerà passivamente ad essa.
CitazioneSarò pignolo, ma rilevo che hai usato termini perentori e non affatto dubitativi come "inevitabilmente", "dare per scontato", hai parlato di "linguaggio" che sarebbe, anzi che "è [modo indicativo] in grado di piegarle [le migliori intenzioni antidogmatiche] e a sé, alla presunzione, al dogmatismo" e che "prospetta delle vie ben precise dentro cui costringono [soggetto: le idee, attraverso il linguaggio stesso] il seguito del discorso a muoversi", che "è sempre carico di condizionamenti che sono anche gabbie, prigioni".
Per questo mi fanno piacere le precisazioni che ora (credo immodestamente anche in seguito alle mie sollecitazioni critiche) hai apportato a quanto da te precedentemente sostenuto.

sgiombo

Citazione di: Angelo Cannata il 26 Dicembre 2017, 14:07:41 PM
In effetti mi sembra che su questo ci sia a volte confusione. Cioè, si pensa di elevarsi al di sopra del piano fisico semplicemente perché si parla di entità, come ad esempio l'anima, o la mente, o lo spirito, non rintracciabili in fisica.
Se però si considera criticamente questa procedura, si può osservare che questo tipo di elevazione non costituisce un vero salto di qualità, perché le eventuali entità non fisiche di cui si parla vengono in realtà trattate con gli stessi criteri che condizionano il nostro modo di trattare il mondo fisico. Questi criteri, che prestano il fianco alla critica, sono essenzialmente i due che ho detto sopra: si trascura il soggetto e in particolare il divenire del soggetto: si trattano tali entità comunque come esistenti indipendentemente, esternamente, assolutamente, rispetto a noi, alla nostra mente che in questo momento le sta pensando.
Per fare un esempio, se io ipotizzo l'esistenza dei fantasmi, cercando in questo modo di prendere vie che oltrepassano il mondo fisico, in realtà non ho compiuto un vero salto, perché sto continuando a trattare i fantasmi con gli stessi criteri con cui tratto il mondo fisico. Tant'è vero che solitamente i fantasmi vengono immaginati come localizzati, cioè capaci di abitare certi luoghi, entrare nelle persone, provocare fenomeni fisici: insomma, né più né meno che come enti fisicissimi, salvo l'invisibilità, che poi non è un fattore gran che ultrafisico, se pensiamo all'aria, oppure alla corrente elettrica. Non per nulla lo spirito, sia in greco che in ebraico, viene indicato con un termine che significa anche aria, vento.
È questo il problema della metafisica: pensa di andare oltre il fisico, ma in realtà vi rimane pienamente immersa, per il modo in cui tratta gli enti invisibili.
I modi per fare il salto ci sono e ce li hanno insegnati da sempre gli artisti: sono loro i veri "meta-fisici", nel senso che loro sì che fanno davvero il salto oltre la fisica, perché un artista che ti disegna un albero non lo presenta come oggetto da trattare sulla stregua di un'entità fisica, ma piuttosto come rappresentazione dell'artista stesso. È l'artista il maestro dell'attenzione al soggetto, colui che ti dice con chiarezza che quando sta disegnando un albero vuole in realtà comunicare sé stesso. Il filosofo metafisico, nel momento in cui avanza la pretesa di parlare di entità non fisiche, avanza la pretesa di non essere coinvolto in questo parlare, infatti pretende che si tratti di un parlare oggettivo, riferito a oggetti autonomi, che stanno là fuori. L'artista invece ti dice esplicitamente che quell'albero è nella sua mente, dipende dalla sua mente, l'ha disegnato come lo vede la sua mente.
CitazioneC' é una bella differenza fra i banali "fantasmi" degli spiritisti e, per esempio, le idee platoniche, la Sostanza spinoziana, la leibiniziana armonia prestabilita, il noumeno kantiano, la Volontà schopenhaueriana!

E' ovvio che se queste ultime entità sono oggetto di pensiero, come lo sono anche le entità fisiche, allora qualcosa in comune con queste debbono per forza avere (se non altro la "pensabilità").

Ma dove "starebbe mai scritto" (se non in un antifilosofico -e direi: veteropositivistico"- pregiudizio ideologico dogmatico) che enti ed eventi metafisici teoreticamente trattati dai filosofi debbano sempre, in ogni caso, necessariamente essere per forza dogmaticamente postulati e non possano invece, per esempio, essere razionalmente proposti e criticamente considerati come ipotesi onde spiegare la realtà immediatamente percepita empiricamente? (La quale comprende anche il pensiero , la "res cogitans", e non solo la materia -postulabile ma non dimostrabile essere- intersoggettiva oggetto di possibile conoscenza scientifica).

Angelo Cannata

Citazione di: sgiombo il 26 Dicembre 2017, 14:30:09 PMNo, modestamente ho senso critico e inoltre sono anticonformista e anche tendenzialmente bastian contrario, e (sostanzialmente, generalmente, nessuno essendo perfetto) non mi faccio infinocchiare (condizionare nel mio comportamento) dalla pubblicità.
Trovo occasione di provare a chiarire un malinteso che mi è sembrato ricorrere anche in altre discussioni: mi sembra che spesso leggi ciò che scrivo come se fosse specificamente rivolto a te. Io non ho dubbi che tu non ti fai infinocchiare dalla pubblicità. Il problema è che nel mondo c'è la massa, che sicuramente non possiede le tue attrezzature critiche, mentali, intellettive, per difendersi dagli attacchi dei media. Magari fossero tutti capaci di non lasciarsi infinocchiare come te! È ovvio che molte osservazioni che faccio perdono di peso se applicate a singole persone specifiche, come puoi essere tu o chiunque altro. Il problema è che la massa le rende invece più che consistenti e lo sa bene l'industria, i cui introiti sono ben materiali e ben poco opinabili.

Angelo Cannata

Citazione di: sgiombo il 26 Dicembre 2017, 14:48:24 PMMa dove "starebbe mai scritto" (se non in un antifilosofico -e direi: veteropositivistico"- pregiudizio ideologico dogmatico) che enti ed eventi metafisici teoreticamente trattati dai filosofi debbano sempre, in ogni caso, necessariamente essere per forza dogmaticamente postulati e non possano invece, per esempio, essere razionalmente proposti e criticamente considerati come ipotesi onde spiegare la realtà immediatamente percepita empiricamente? (La quale comprende anche il pensiero , la "res cogitans", e non solo la materia -postulabile ma non dimostrabile essere- intersoggettiva oggetto di possibile conoscenza scientifica).
Il problema che io vedo nella metafisica non sta nel suo essere fatta di postulati oppure nel suo essere più o meno razionale. Il problema sta nel suo presentare definizioni indicate come definizioni ultime. In questo senso, è il linguaggio usato a condurre a ciò, a dispetto delle intenzioni più o meno modeste di chi lo usa.

Ne approfitto per precisare che, ad esempio, un elemento micidiale del linguaggio metafisico è l'uso indiscriminato dell'articolo determinativo. Ovviamente si tratta di uno strumento di cui è impossibile fare a meno, però è possibile cercare di farne uso con consapevolezza critica. Se, ad esempio, intediamo dire che cos'è l'anima, l'articolo determinativo induce la nostra mente a costruire la pretesa di stabilire la natura di tutte le anime; in altre parole, l'articolo determinativo orienta la nostra mente a pensare per idee universali, dimenticando le irriducibilità degli enti particolari, che continueranno a porre problemi. Questo si collega al parlare di definizioni ultime, che ho detto prima: equivale a definizioni universali.

Non c'è dubbio che tutto ciò sia razionale; neanche sarebbe un problema se si trattasse di postulato indimostrato. Il problema è che trascura il condizionamento da parte del soggetto. Se si vuole parlare di tutte le anime (= l'anima), o di tutte le menti (= cos'è la mente), il problema è che si dimentica che il parlante fa sempre parte del discorso che sta facendo. Per dirla con una metafora, siamo tutti pesci che parlano del mare dentro cui nuotano e di conseguenza non possono avanzare la pretesa che le loro affermazioni non siano tipiche di ciò che il cervello di un pesce è in grado di pensare. Noi invece esseri umani metafisici continuiamo ad avanzare la pretesa di non avere niente a che vedere con le nostre affermazioni sulla natura delle cose, come se tali affermazioni sussistessero per conto proprio e noi non c'entriamo niente.

green demetr

Citazione di: viator il 25 Dicembre 2017, 19:14:22 PM
Niente definizioni chiare (non importa se "sballate"), niente discussioni chiare. Non chiedendo di condividerle, vediamo comunque le eventuali reazioni alle mie definizioni di ANIMA, SPIRITO, MENTE.

L'ANIMA è la FORMA (***) interiore, intrinseca delle cose. E' ciò che fa essere sé stessa quella tal cosa. Essa è presente in tutto ciò che è ""inanimato"" ed animato.

SPIRITO è termine che viene usato per riferirsi ad un'anima (una forma, appunto) talmente evoluta, complessa, da aver sviluppato la capacità di volere. Quindi va riservato ai viventi o a degli enti in grado di agire autonomamente. Lo spirito è presente solo nel mondo cosiddetto "animato".

La MENTE è una funzione cerebrale sviluppatasi in anime provviste di spirito per permettere - oltre a quello del volere - l'esercizio dell'intendere (il capire - la prima cosa che la mente intende è il SE', quindi la sua esistenza presuppone l'aver sviluppato una coscienza. In pratica, mente e coscienza sono quasi sinonimi poiché non si è mai udito di qualcuno che si mettesse a fare ragionamenti in stato di incoscienza).
Ovviamente essa è presente solo nell'uomo.

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(***) LA FORMA : Prendiamo un sasso. Si tratta di un grosso o piccolo blocco i sostanza minerale (esistono migliaia di minerali diversi) avente una certa e variabile forma. ATTENZIONE !!... per FORMA non si intende soltanto il profilo dei suoi contorni, ma soprattutto la sua STRUTTURA, cioè il modo in cui i suoi componenti (atomi e molecole) sono disposti, STRUTTURATI nel volume INTERNO del sasso. La differenza tra forma esterna e struttura è quella che potrebbe esserci tra due edifici che all'esterno appaiano identici (stessi materiali da costruzione e stesse dimensioni) mentre al loro interno potrebbero essere suddivisi ed arredati in modi diversissimi e quindi utilizzabili in modi egualmente diversissimi. Per questa ragione stiamo parlando di FORMA INTERIORE.

Sassi, edifici, esseri viventi, umani....tutto possiede un'anima così intesa. La diversa struttura dell'ANIMA delle cose permette loro di svolgere funzioni diverse.
Ecco quindi che esisteranno anime semplici, analizzabili, complicate, insondabili, SPIRITUALI, CEREBRALI, TRASCENDENTI......... a seconda del grado di evoluzione, perfezionamento (per i credenti, di eventuale intenzione creazionistica divina) presentato dal soggetto o dall'oggetto la cui anima stiamo prendendo in esame.

L'anima umana rappresenta il vertice della complicazione di una forma interiore, è per questo che non non riusciamo a concepire come essa possa risultare basata su delle relazioni tra i suoi componenti materiali. La mente rappresenta un componente, una parte della nostra anima complessiva, è ovvio che la PARTE non possa capacitarsi del TUTTO che la contiene !!

L'anima infine possiede la singolare caratteristica di risultare una pura, immateriale FORMA che risulta tuttavia inestricabilmente legata ad una SOSTANZA materiale che la ospiti. Questa è semplicemente la chiave interpretativa del rapporto - che si crede contradditorio mentre invece è unificante - tra ANIMA e CORPO - FORMA e SOSTANZA - SPIRITUALITA' e MATERIALITA' - ASSOLUTISMO e RELATIVISMO.................

Riassumendo per te noi siamo mente.

Tipico riduzionismo monista, in questo caso di tipo mentalista. (o ho travisato?)

A me suona così, "io sono la mia mente".

Evvabbè ma che è la mente??? Il cervello???? la mente+il cervello????

solo mente o solo cervello????

la mente e il mondo, la mente da sola.

il cervello e il mondo o il cervello da solo????

Non so a me viene in mente, che la mente non c'entra niente con il problema della distinzione o meno fra mente e natura.

Il problema sarà mai se ha senso fare questa distinzione, in che misura, e per quale scopo?

Vuole aggiungere qualcosa a sua discolpa  ;)  ?

Interessante comunque il concetto di anima come forma, invece che come sostanza.  :)

Faccio a fatica ad entrare nella tua ottica generale, per poterne vedere delle possibili implementazioni. :(

Vai avanti tu che mi vien da ridere

Apeiron

#13
ANGELO CANNATA
Non c'è dubbio che tutto ciò sia razionale; neanche sarebbe un problema se si trattasse di postulato indimostrato. Il problema è che trascura il condizionamento da parte del soggetto. Se si vuole parlare di tutte le anime (= l'anima), o di tutte le menti (= cos'è la mente), il problema è che si dimentica che il parlante fa sempre parte del discorso che sta facendo. Per dirla con una metafora, siamo tutti pesci che parlano del mare dentro cui nuotano e di conseguenza non possono avanzare la pretesa che le loro affermazioni non siano tipiche di ciò che il cervello di un pesce è in grado di pensare. Noi invece esseri umani metafisici continuiamo ad avanzare la pretesa di non avere niente a che vedere con le nostre affermazioni sulla natura delle cose, come se tali affermazioni sussistessero per conto proprio e noi non c'entriamo niente.

Commento di APEIRON
Anche se c'è della verità in quanto dici, Angelo, lasciami scrivere una riflessione. Mi ritengo "metafisico", "universalista" ecc ma sinceramente non mi ritrovo per niente in quanto hai scritto. Nel senso che secondo me nella tua "ostilità" contro la metafisica finisci per cadere nello stesso errore di chi la "pratica" in modo errato. Il problema è che fai di tutta l'erba un fascio. Secondo me "in medio stat virtus".

Il problema della "metafisica" più che la "pretesa" di cui parli è il fatto che spesso si "dimentica" che la ragione umana ha i suoi limiti. Infatti questa "pretesa" della metafisica è essenziale per esempio nella fisica, nella quale si cercano di trovare (poche) leggi universali di moltissimi fenomeni naturali. Per esempio Newton capì che la Luna e la mela cadevano entrambe sulla Terra, unificando il moto dei gravi con quello celeste. Ma la "pretesa" non è utile solo alla fisica. Nella medicina è possibile curare il cancro (in moltissimi casi) grazie alle stesse tecniche. Ma l'utilizzo di questa utilissima "pretesa" non si limita alla scienza o alla metafisica ma la utilizziamo anche quando parliamo di "dignità umana". Se non ci fosse qualcosa che ci rende "umani" (e che quindi ci distingue dagli altri animali) non avrebbe senso parlare di "umanità". A livello della fisica secondo me la cosa è ancora più evidente: le particelle elementari e le interazioni fondamentali sono sorprendentemente poche. Quindi quando io difendo la "brama della generalità" (per dirla alla Wittgenstein) tipica dei filosofi non lo faccio perchè sono un dogmatico, bensì lo faccio semplicemente perchè da (almeno) quando c'è memoria scritta di scienza e di filosofia tale brama è stata il vero "motore" della conoscenza. Il problema è che a volte esagera perchè ha essenzialmente due difetti ovvero: la reificazione e (appunto) l' "assolutismo".

La reificazione è il processo per cui si crede che un'astrazione sia la realtà (la mappa NON è il territorio, per esempio). Si può "accusare" Platone e Aristotele di questo "errore" visto che entrambi erano convinti dell'esistenza delle "sostanze" o "forme" o "idee". D'altronde se esiste l'idea del "letto" (citata nella "Repubblica") cosa mi toglie di considerare l'idea del letto lungo due metri, di quello a una piazza, di quello ad una piazza e mezza ecc? Niente. Così gli enti si "moltiplicano". E questo è un'esempio. Altri esempi possono essere alcune lunghe disquisizioni filosofiche dettagliatissime sulla creazione del mondo (nelle quali non si ammette che certe affermazioni sono semplici ipotesi), pretendere (qui si che c'è una pretesa...) di poter spiegare TUTTO "rendendo reali" concetti che in fin dei conti proviamo ad "utilizzare" noi ecc.  Un altro problema è confondere la mappa dal territorio. Su questo proposito il filosofo buddhista Nagarjuna nel suo Mulamadhyamakakarika (= strofe fondamentali sulla via di mezzo) affermava che ogni "mappa" sulla realtà ultima finiva per essere inconsistente ed ergo bisognava astenersi dal voler "spiegarla" con i concetti umani. Tuttavia perfino la scuola buddhista fondata da Nagarjuna (che non comprende tutte le varianti del pensiero buddhista, come esposto chiaramente nell'ormai lungo topic sul buddhismo) non si asteneva da fare affermazioni "positive" sulla realtà e spesso "universali", ovvero per esempio che "tutte le cose condizionate sono impermanenti" (affermazione piuttosto plausibile ma che ovviamente non è "verificabile"). Allo stesso modo un "meta-fisico" (= studioso della "natura della realtà" aldilà delle attuali possibilità della scienza) può secondo me permettersi di fare affermazioni "generali" e "universali". Per esempio può dire che "esiste una natura umana", ovvero che esiste ciò che ci rende "umani" (su questo punto sfido molti a "definire" tramite concetti solamente scientifici cosa è l'uomo. Non dico che non si possa o non si potrà fare, ma è una cosa tremendamente difficile). Eppure quel "quid" sembra proprio che ci sia visto che, per esempio, stiamo discutendo sul Forum. Ergo: davvero non esistono le "forme", davvero siamo costretti a non generalizzare o ad ammettere che tale generalizzazione non sia possibile? Nagarjuna direbbe che anche se la "realtà ultima" non si può "concettualizzare" nemmeno "parzialmente" (e su questo molti altri buddhisti hanno dubbi) comunque si possono fare affermazioni "universali" nella realtà "convenzionale", ovvero quella che in fin dei conti ci "sostiene" nella vita quotidiana. D'altronde anche uno "scettico" della scuola madhyamaka (la scuola di Nagarjuna) distingueva tra "umani" ed "animali" [e quindi dopotutto anche per loro c'era effettivamente qualcosa che ci rendeva umani].  Tornando a Platone... personalmente sono convinto che le "forme matematiche" (ma anche le "idee etiche") abbiano una esistenza ontologica. In fin dei conti la regolarità della natura esiste anche se noi non ci siamo e inoltre nella metematica succede anche questo:
y = x2 + 1 (una parabola in un piano cartesiano) e la coppia di funzioni (x = (y - 1)1/2, x= - (y - 1)1/2) sono rispettivamente una parabola e le sue due funzioni inverse. Se le disegnate in un grafico (e nel caso delle inverse dovete disegnarle entrambe) ottenete lo stesso risultato.
Cosa vorrò mai dire con questo esempio? Che l'equivalenza tra la prima curva e la seconda coppia di curve "esiste" anche prima che io faccia l'operazione di inversione nel senso che in fin dei conti anche questo oggetto matematico può essere descritto in DUE modi diversi. Eppure è lo stesso oggetto. Ma allo stesso tempo si possono considerare come due "cose" (anzi tre) distinte. "Peculiarità" come queste unite alle regolarità della Natura mi fanno pensare che matematica abbia valore ontologico. Tuttavia è anche necessario dire (come si può dedurre dall'esempio stesso) che il modo con cui "scriviamo" queste realtà "sulla carta" è in realtà accidentale: siamo noi a scegliere di usare un modello o un altro per spiegare un fenomeno, per esempio. Quindi anche se il platonismo di Platone è in effetti un po' troppo "ingenuo" ritengo che sinceramente ci abbia preso giusto visto che in fin dei conti le "verità matematiche" esistono indipendentemente da me e idem per le leggi della fisica (affermazione che ritengo molto ragionevole, ovviamente se il solipsismo - che non sono mai riuscito a "falsificare" - è vero, mi sbaglio  ;D ).

L'altro problema è l'"assolutismo dogmatico". Avviene quando "mi dimentico" della mia limitatezza e dico che (ad esempio) la parabola è in un certo senso (che teorizzo IO) reale e non ammetto che posso avere torto. Arriva un altro e mi dice invece che la mia parabola non è reale come la intendo io ma come la intende lui. Ci picchiamo. Poi arriva un Tizio che dimostra che i nostri due modi sono in realtà equivalenti. Ma qui - a differenza della reificazione che è un errore cognitivo - è semplicemente un errore di condotta, ovvero di "presunzione". Per quanto ne sappiamo, per esempio, Platone non era quel "dogmatico" che Nietzsche ha descritto e non a caso Speusippo (il successore di Platone alla guida dell'Accademia) non era d'accordo con molte dottrine del maestro. Eppure nessuno questo lo nota e adesso abbiamo l'immagine di Platone come un "dogmatista". Mi chiedo se lo stesso vale per il famigerato "ipse dixit" di Pitagora. Ad ogni modo mi sono auto-definito platonico molte volte ultimamente. Perchè? semplicemente perchè ragionevolmente credo che ci sia della verità nelle sue teorie e mi baso in realtà su una riflessione che ormai coltivo da anni su diversi aspetti del sapere "umano", in particolare scienza, filosofia e spiritualità. Non è tanto la "brama della generalità" bensì il problema è l'irrigidimento su alcune posizioni (vedi i creazionisti che ritengono che la Terra ha 6000 anni) e il fatto di non essere capaci di ammettere che talvolta certe "convinzioni" le si hanno "per fede" (non posso dimostrare che ad esempio la parabola non sia un semplice concetto anche se ritengo ciò abbastanza "ovvio"). Dunque sinceramente non ci vedo niente di male con questa "pretesa" fintantoché si ammette che talvolta certe "convinzioni" che abbiamo sono nate non "razionalisticamente" ma ragionevolmente, visto che se fossimo davvero "rigorosi" non potremmo neanche fare "progetti" per domattina visto che non "sappiamo" se sorgerà il Sole o se succederà un altro cataclisma che letteralmente ci spazza via.

Viceversa il non voler fare metafisica, l'essere contrari ad essa non porta a niente, come per esempio vedo in alcuni scrittori postmodernisti (ad esempio Derrida) anche se sono felice di sbagliarmi [ovvero che i loro scritti non siano semplicemente "giochi di parole" molto intelligenti]. Ultimamente ci si "diverte" a dire che non esiste una moralità universale, che ogni nostra conoscenza (scientifica, morale ecc) si basa in fin dei conti sulla convenzione sociale e sul linguaggio ecc. Non nego che il condizionamento della nostra soggettività e della nostra cultura abbia molta influenza, però allo stesso tempo non posso non affermare che per esempio il fatto che i gravi e i moti celesti siano spiegabili con la teoria della gravità newtoniana (ed einsteiniana ovviamente) di certo è un buon indizio che forse c'è qualcosa di più della semplice arbitrarietà convenzionale sociale tipica del "moderno pensiero debole" (che ovviamente non si riduce a certi filosofi moderni che paiono appunto produrre giochi di parole vuoti nascosti da una abilissima retorica). Ergo l'articolo determinativo forse non è il peccato della filosofia anche perchè non usarlo mai porta a (secondo me) risultati peggiori di usarlo in modo indiscriminato, ovvero al non voler nemmeno iniziare a cercare, tanto per dirla alla Protagora "l'uomo è la misura di tutte le cose". Dunque se ci convinciamo che non ci siano "realtà più alte" che si possono "raggiungere" con la coltivazione interiore, la speculazione filosofica (= che contrariamente a quanto pensano molti analitici in America e molti continentali in Europa non è solo "analisi del linguaggio") , la scienza, l'arte, l'etica, la spiritualità ecc allora non c'è nemmeno la motivazione a cercare e non a caso la società moderna... (ci siamo capiti...)

Ovviamente pensare solo all'unità è inutile. D'altronde la parabola dell'esempio precedente può essere illuminante: la parabola appunto può essere vista anche come l'unione di due curve, la forma "esplicita" dell'equazione ecc ergo la molteplicità è epistemologicamente importante quanto l'unità. La realtà è piena di uno-e-molti: c'è la specie umana ma c'è anche la molteplicità individuale che deve essere valorizzata. Ergo è ragionevole ritenere che certe cose valgano per tutte le "anime", altre cose invece no. Esempio piuttosto scemo: l'acqua è un bene necessario per tutti gli uomini mentre lo studio della fisica per alcuni è estremamente noiosa. Bisogna essere consapevoli di entrambi gli aspetti della realtà. Non a caso l'Oracolo di Delfi diceva "conosci te stesso e conoscerai anche l'universo" visto che anche noi stessi siamo "uno e molti". Sinceramente nella maggioranza dei filosofi contemporanei non vedo la stessa profondità che vedo invece nella maggioranza dei filosofi antichi anche se ammetto che ci sono eccezioni in entrambi i campi. Secondo me il problema della modernità è proprio la "paura della metafisica" che causa una rinuncia a priori della speculazione filosofica, cosa che mi sembra di vedere anche nel mondo accademico. Quindi secondo me quando critichi la metafisica fai un "argomento fantoccio" (gli argomenti straw-man), ovvero ti crei un'idea molto insufficiente di "metafisica" che poi attacchi. Se fossimo convinti che non si può uscire dal soggetto anche nello studio della scienza (per esempio) chi sarebbe ancora motivato a praticare la scienza? Per questi motivi ritengo che almeno le varianti più estreme del moderno "pensiero debole" siano un'innovazione non molto buona della modernità. Così come il dogmatismo estremo non lo era fino a non troppo tempo fa. In medio stat virtus


RISPOSTA A VIATOR
In linea di massima sono d'accordo sul fatto che tutte le cose abbiano una "forma" (chiamarla "anima" per egli esseri non-animati mi pare molto forzato - la chiamerei "Forma"). Direi invece che al contrario che mentre gli animali hanno una mente meno sviluppata della nostra, l'uomo ha una mente molto sviluppata (la mente da sola però non è la "forma" degli esseri viventi, visto che abbiamo un corpo). Ma non identificherei lo "spirito" umano con la mente, per un motivo estremamente banale. Se fosse così domani al risveglio sarei una persona diversa da quello che sono adesso. E sinceramente neanche col corpo visto che se un giorno perdessi un arto non credo che potrei dire di essere una persona diversa. Idem se perdo la memoria. Se mi cala l'intelligenza non sono una persona diversa. Se perdo i capelli idem. Dunque se non sono tutto questo, cosa sono io?

Benvenuto nei "meandri" della "spiritualità", ovvero dell'indagine sull'io.

NOTA BENE
Ci sono alcune descrizioni della "creazione del mondo" che volendo sono anche molto interessanti e possono contenere della verità (= ovvero sono abbastanza ragionevoli). Altre invece sono assurde ma non ho nulla in contrario a chi le accetta "per fede" pur ammettendo che non ha sufficiente evidenza per dire che sono "sicuramente" vere. Quello che in un certo senso "pretendo" da un interlocutore "educato bene" però è che rispetti la mia opinione come io rispetto la sua (e sono stra-sicuro che molte cose che per me sono ovvie e scontate non lo siano per altri... ma questo non significa che io abbia torto e gli altri ragione (ovviamente vale anche il viceversa)).
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Angelo Cannata

Mi sembra che ci sia un fraintendimento sulla scienza. La scienza, per poter indagare com'è fatta una pietra oppure quanto fa 2+2, non ha alcun bisogno di negare la dipendenza dei propri concetti dal soggetto. Semplicemente non se ne occupa, non è il suo campo d'interesse, allo stesso modo in cui uno storico non si occupa di come vada fatta un'operazione chirurgica. Allo stesso modo, la scienza non si occupa di negare l'esistenza di Dio; piuttosto non se ne occupa, non si pronuncia, non è suo campo di interesse.
Invece la metafisica, nel momento in cui avanza la pretesa di definire la natura dell'essere, avanza la pretesa di poter pervenire a enunciati del tutto indipendenti dal soggetto. La metafisica, a proposito della dipendenza dal soggetto, non dice "Non è il mio campo, non me ne occupo", ma dice "È il mio campo, me ne occupo, e posso affermare che l'esistenza dell'essere, o della verità, o della realtà, è del tutto indipendente da me soggetto che ne sto parlando".
A questo punto si pone il problema, cioè io dico alla metafisica: "Ma se stai parlando dell'essere, e tu sei anche essere, ne segue che, applicando questa tua logica, stai parlando anche di te stessa; continuando ad applicare la tua logica, non potrai negare, quindi, che questo tuo parlare dell'essere non può non essere condizionato da te che ne stai parlando; quindi come fai a dire che ciò di cui stai parlando è indipendente da te?".

Ulteriore precisazione: la scienza non ha alcuna pretesa di individuare leggi universali: la scienza si occupa semplicemente di definire, attraverso concetti che non ha alcuna difficoltà ad ammettere che sono umani, condizionati dalla mente umana, funzionamenti applicabili al mondo conosciuto. Leggi universali significherebbe pretesa di individuare leggi a cui in qualsiasi futuro non si potrà sottrarre alcun tipo di realtà conoscibile: è questa la pretesa della metafisica, che la scienza non si sogna di avanzare, perché la scienza non è filosofia, non è filosofia della natura.

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