Ambiguità di fondo di tutti i paradossi del mentitore.

Aperto da Eutidemo, 11 Novembre 2016, 14:31:35 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

sgiombo

#60
Citazione di: epicurus il 03 Luglio 2017, 14:45:57 PM
Citazione di: sgiombo il 30 Giugno 2017, 10:19:25 AM
A Epicurus
Della filosofia (così intesa) fanno parte certamente anche la logica e la filosofia della matematica.
Ma la logica a me (soggettivamente) preme unicamente per gli scopi suddetti (e la matematica pura e la filosofia della matematica interessano ben poco).
[...]
Per questo, pur apprezzando il tuo zelo "quasi da missionario" nel cercare di convincermi dell' importanza dello studio dei paradossi logici nell' ambito della logica e della matematica (importanza che non ho mai messo in dubbio), non riesco a sentimene coinvolto più di tanto [...].
Non fraintendermi, io non voglio convincerti che il PM debba essere importante per te. Già in uno dei miei primi interventi, ti avevo scritto: "non è necessario che ad ognuno interessi ogni declinazione tra le infinite della filosofia".

La mia era una risposta al tuo dire che il PM è solo un giochino. No, il PM non è solo un giochino, è un problema che ha portato tante cose interessanti nello studio della matematica e della logica. Tutto qui.  ;)
CitazioneE' ottima cosa intendersi sulle rispettive convinzioni e intenzioni.

Non credo di aver mai affermato che "il PM è solo un giochino" in assoluto (senza ulteriori determinazioni), ma casomai che riveste un' importanza del tutto simile a un qualsiasi ingegnoso problema enigmistico personalmente per me.

Non mi sembra il caso di perdere del tempo per andare a rileggermi quanto da me scritto in questa discussione, anche perché qualora invece avessi fatto una tale affermazione mi basterebbe comunque precisare che in tal caso avrei compiuto un errore (logico?) e dunque che la mia reale opinione é concorde con la tua: si tratta (invece) di qualcosa di non affatto banale e importante nell' ambito della logica e della matematica (penso che quel che conta é per l' appunto fugare i malintesi, non tanto polemizzare per il gusto di polemizzare o rinfacciarsi a vicenda la responsabilità di non avere inteso bene).
Citazione di: Apeiron il 30 Giugno 2017, 15:12:11 PM
Epicurus, capisco che le mie risposte non siano convincenti e non lo sono nemmeno per me :) come ti ho detto sarà un mio limite, però credo che per riuscire a superare l'impasse dovresti darmi una tua definizione di "sensatezza". Non tutte le proposizioni che sembrano sensate lo sono. Per me "2+2=4" non si assoccia a nulla di "reale" e quindi non è "sensato" ma semplicemente è una proposizione "valida" nel contesto della grammatica dei numeri naturali. Per un platonista matematico è sensato. "Questa frase è sensata" non mi da alcuna informazione. Cosa dovrei capire da questa frase? :) Se vuoi per me "senso=significato=informazione contenuta dalla proposizione". Se ti ho stufato, porta pazienza e non rispondermi. Sono dell'idea che certe cose non sono in grado di capirle.
Apeiron, figurati, non mi hai affatto stufato, anzi mi dispiace averti dato questa impressione. Il problema è che la comunicazione scritta ha molti limiti espressivi.

Tornando sul pezzo, capisco quello che vuoi dire e ammetto di essere stato troppo severo nell'interpretare le tue parole. Capisco benissimo perché tu scrivi "Questa frase è vera" è senza senso. Proviamo un altro approccio allora.  :D

Parliamo di "validità". Perché "Questa frase è vera" è valida ma "Questa frase è falsa" non è più valida. Quest'ultima frase è molto bizzarra, sicuramente è qualcosa di radicalmente diverso da "Questa frase è vera" e da "Questa ognuno triangolo no". Cos'ha il PM di così speciale?
CitazioneSecondo me (da profano della logica formale; che evidentemente ha comunque un qualche interesse, sia pur limitato, anche per me personalmente) pronomi dimostrativi come "questo" o "quello" hanno senso solo se si capisce a che cosa si riferiscono.

Dunque mi pare che entrambe le frasi siano valide (corrette, sensate) se vengono appena dopo un' altra proposizione (chiamiamola "p" alla quale si riferisce il pronome "questa": " 'p'; questa frase ["p"] é vera" e " 'p'; questa frase ["p"] é falsa" (pur non potendo essere vere entrambe, comunque) secondo me hanno senso entrambe.

Ma se con "questa frase" si intende (o si pretende di intendere) autoreferenzialmente quell' unica frase, allora a me sembrano entrambe formalmente (grammaticalmente) corrette ma senza senso, sia quella che predica di se stessa la verità sia quella che predica di se stessa la falsità, dal momento che non si comprende quale sia il "contenuto" (o per l' appunto il significato) a cui attribuiscono per l' appunto la caratteristica di essere vero o di essere falso rispettivamente.

"esistono cavalli"; questa frase é vera.
"esistono ippogrifi reali (non immaginari)"; questa frase é falsa.
Sono frasi che predicano la verità e la falsità rispettivamente di qualcosa che si intende.
Ma "questa frase é vera" e "questa frase é falsa" a quale contenuto attribuiscono rispettivamente la verità e la falsità"?
Per me hanno lo stesso significato (nullo) di "x é vero" e/o "x é falso" se non mi si dice che cosa si intende per "x"



O al più si potrebbero forse intendere come tautologie:
"questa frase é vera" = "una frase vera é vera"
"questa frase é falsa = "una frase falsa é falsa"
Ma si tratterebbe comunque di attribuire arbitrariamente un significato al pronome "questo" che nelle due frasi non é inequivocabilmente precisato con certezza e univocità (da parte di chi le propone).

...Poi certamente la seconda, contrariamente alla prima, é (anche) un esempio di PM per cui se fosse vera sarebbe falsa e se fosse falsa sarebbe vera.
Ma se fosse vero o falso che?
E comunque anche la prima che cosa mi dice (di unicamente, inequivocabilmente vero oppure di unicamente, inequivocabilmente falso e dunque non paradossale)? Cioé: quali nozioni, quale "contenuto effettivo di conoscenza" mi da?
Mi pare nessuno (e infatti non vedo modo alcuno di stabilire se sia vera oppure sia falsa).

epicurus

@Phil
Scusami per i fraintendimenti, ammetto che alcune volte confondevo la tua posizione con quella di Tarski. Ci riprovo.  ;D
(Tra parentesi, prima è stato un semplice lapsus dire "livelli sintattici", quello che volevo dire era "livelli semantici".)
 
Ripartiamo allora da questa situazione:
 
P: La proposizione Q è vera.
Q: La proposizione P è falsa.
 
Entrambe sono di secondo livello e, secondo la tua teoria, non sono vietate.
 
Se P è vera, allora la proposizione P è falsa. Contraddizione. Se la proposizione P è falsa, allora la proposizione P è vera. Contraddizione. Ed eccoci di nuovo con il PM a due proposizioni.

Mi pare che sia una buona strada, per discutere la tua possibile soluzione, concentrarci su questa versione del PM.
 
@Sgiombo
Citazione di: sgiombo il 03 Luglio 2017, 17:53:01 PM[...] la mia reale opinione é concorde con la tua: si tratta (invece) di qualcosa di non affatto banale e importante nell' ambito della logica e della matematica (penso che quel che conta é per l' appunto fugare i malintesi, non tanto polemizzare per il gusto di polemizzare o rinfacciarsi a vicenda la responsabilità di non avere inteso bene).
Completamente d'accordo. Anche a me interessa solo la verità e la razionalità delle tesi.
 
Citazione di: sgiombo il 03 Luglio 2017, 17:53:01 PMSecondo me (da profano della logica formale; che evidentemente ha comunque un qualche interesse, sia pur limitato, anche per me personalmente) pronomi dimostrativi come "questo" o "quello" hanno senso solo se si capisce a che cosa si riferiscono.
 
Dunque mi pare che entrambe le frasi siano valide (corrette, sensate) se vengono appena dopo un' altra proposizione (chiamiamola "p" alla quale si riferisce il pronome "questa": " 'p'; questa frase ["p"] é vera" e " 'p'; questa frase ["p"] é falsa" (pur non potendo essere vere entrambe, comunque) secondo me hanno senso entrambe.
 
Ma se con "questa frase" si intende (o si pretende di intendere) autoreferenzialmente quell' unica frase, allora a me sembrano entrambe formalmente (grammaticalmente) corrette ma senza senso, sia quella che predica di se stessa la verità sia quella che predica di se stessa la falsità, dal momento che non si comprende quale sia il "contenuto" (o per l' appunto il significato) a cui attribuiscono per l' appunto la caratteristica di essere vero o di essere falso rispettivamente.
Tu proponi di abolire l'autoriferimento per escludere il PM. Il problema di questa soluzione, come già dissi, è che la matematica e l'informatica si basano sull'autoriferimento. Perché buttare via tutto l'autoriferimento che in generale non è problematico, solo perché in casi specialissimi genera il paradosso?
 
Potremmo considerare il PM contestuale indebolito già citato e chiederci che senso avrebbe vietare qui l'autoriferimento. Oppure potremmo esaminare il paradosso di Yablo, che non ha neppure l'autoriferimento.
 
Citazione di: sgiombo il 03 Luglio 2017, 17:53:01 PMO al più si potrebbero forse intendere come tautologie:
"questa frase é vera" = "una frase vera é vera"
"questa frase é falsa = "una frase falsa é falsa"
La traduzione legittima è:
"Questa frase è vera" = " 'Questa frase è vera' è vera".
"Questa frase è falsa" = " 'Questa frase è falsa' è vera".

sgiombo

Lungi da me l' intenzione di abolire l' autoriferimento dato che è fondamentale per la matematica e l'informatica (come vengo a sapere da te; e a proposito, ti ringrazio).

Quello che mi lascia perplesso, a prescindere dalla matematica e dall' informatica, é il fatto che la particolari proposizioni "questa proposizione é vera" e "questa proposizione é falsa" per il loro particolare autoriferimento (per il fatto che predicano la verità e la fasità rispettivamente di se stesse) mi risultano insensate.

Provo a spiegarti i motivi di questa mia perplessità.
Consideriamo le seguenti proposizioni:

"Esistono (realmente) cavalli".

"Esistono (realmente) montagne d' oro alte 4000 metri e con un perimetro di 15000 metri".

"In una delle 100 galassie più vicine alla nostra esiste un pianeta la cui massa é uguale a quella della nostra terra entro un' approssimazione di 20 Kg (é = a quella della nostra Terra + o - 20 Kg).

Comprendo benissimo che cosa significano (= le trovo perfettamente sensate), nel senso che so come fare (come debbano "stare le cose") per stabilire che la prima é vera e che la seconda  é falsa. E quanto alla terza probabilmente non si potrà mai stabilire di fatto se sia vera o falsa, ma in linea puramente teorica, di principio esiste un modo (teoricamente facilissimo) per stabilire se sia vera o se sia falsa, cioé si comprende benissimo come debbano "stare le cose" per stabilire se sia vera oppure falsa (basta osservare attentamente tutti i pianeti di tutte le stelle di tutte le 100 galassie più vicine alla nostra).

Invece se consideriamo la seconda delle due frasi "autoreferenziali" (quella che predica la falsità di se stessa), allora concludiamo che é paradossale, ovvero inevitabilmente contraddittoria: se é vera, allora é falsa e se é falsa allora é vera (PM); per me ciò significa che non ha senso.

E se consideriamo la prima (quella che predica di se stessa la verità non troviamo paradossi tipo PM; se é vera é vera e se é falsa é falsa.
Eppure, contrariamente alle altre tre di cui sopra (una certamente vera, una certamente falsa e la terza dubbia, incerta) non vedo alcun modo per stabilire se si vera o se sia falsa anche in linea puramente teorica, di principio; e anche questo secondo me la rende insensata: che significa? Come dovrebbero "stare le cose" affinché fosse vera e come dovrebbero "stare le cose" perché fosse falsa?

Phil

Citazione di: epicurus il 04 Luglio 2017, 10:27:15 AM
@Phil
Scusami per i fraintendimenti, ammetto che alcune volte confondevo la tua posizione con quella di Tarski. Ci riprovo.  ;D 
Tranquillo, a saperne (e leggerne) troppe, si fa sempre un po' di confusione ;D 


Citazione di: epicurus il 04 Luglio 2017, 10:27:15 AM
Ripartiamo allora da questa situazione:
 
P: La proposizione Q è vera.
Q: La proposizione P è falsa.
 
Entrambe sono di secondo livello e, secondo la tua teoria, non sono vietate.
Vietate no, insensate si  ;) 
Il secondo livello deve basarsi sul primo (non a caso definito "base"), pur senza comprenderlo (proprio come il secondo piano di una casa si regge sul primo senza inglobarlo). Due proposizioni di secondo livello, isolate, in quest'ottica risultano insensate perché manca il primo livello fondante (senza piano terra, non si può costruire il primo piano...).

Quindi se anche avessimo un elenco di sole frasi di secondo livello, resterebbero tutte senza senso (pur essendo sintatticamente corrette):
"P è vera; R è falsa; Q è vera; T è falsa, etc." non significano nulla se non chiariamo qual'è il rispettivo primo livello. E se quelle che dovrebbero essere il primo livello, ovvero P, R, Q e T, sono invece di secondo livello, la necessità logica e semantica del primo livello viene solo spostata oltre (oppure, se non viene individuato il primo livello, viene meno il senso del discorso...).
Parimenti due o più frasi di secondo livello che si richiamano l'un l'altra, da sole, non hanno senso: "P: Q è vera", "R: P è vera", etc. non significano nulla finché non compare qualche primo livello (in questo caso potrebbe essere Q) a fondare il senso concreto di tutti questi secondi livelli. 

Per cui, se c'è un secondo livello che ha per oggetto un altro secondo livello, come nel PM che hai formulato, manca inevitabilmente il senso, che si fonda, stando alla tripartizione proposta, sempre sul primo livello (e se questo risulta assente, la predicazione di verità/falsità a sé stante non può avere fondamento né senso).

Apeiron

@epicurus,

tranquillo era per esser sicuro (concordo con te sul limite della comunicazione scritta) :) comunque "questa frase è vera/falsa" è valida (così come è valida A=A). Per questo motivo può essere usata dai calcolatori....
Quello che non riesco a capire è la sensatezza di tali frasi. Cosa c'è di "vero" (o di "falso") in "questa frase è vera?". Che informazione dovrei ottenere? Idem ma ancora peggio in un certo senso per "questa frase è sensata" (che è valida...). Che cosa mi vuole comunicare?
Se queste frasi non hanno senso, non si può parlare di verità o di falsità.

P.S. Perdona il ritardo nella risposta, ma non mi andava il PC per tre giorni la settimana scorsa e poi non mi sono accorto fino ad oggi che avevi continuato la discussione.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

epicurus

Citazione di: sgiombo il 04 Luglio 2017, 21:27:52 PM
Invece se consideriamo la seconda delle due frasi "autoreferenziali" (quella che predica la falsità di se stessa), allora concludiamo che é paradossale, ovvero inevitabilmente contraddittoria: se é vera, allora é falsa e se é falsa allora é vera (PM); per me ciò significa che non ha senso.

E se consideriamo la prima (quella che predica di se stessa la verità non troviamo paradossi tipo PM; se é vera é vera e se é falsa é falsa.
Eppure, contrariamente alle altre tre di cui sopra (una certamente vera, una certamente falsa e la terza dubbia, incerta) non vedo alcun modo per stabilire se si vera o se sia falsa anche in linea puramente teorica, di principio; e anche questo secondo me la rende insensata: che significa? Come dovrebbero "stare le cose" affinché fosse vera e come dovrebbero "stare le cose" perché fosse falsa?

Citazione di: Apeiron il 10 Luglio 2017, 08:48:26 AM
Cosa c'è di "vero" (o di "falso") in "questa frase è vera?". Che informazione dovrei ottenere? Idem ma ancora peggio in un certo senso per "questa frase è sensata" (che è valida...). Che cosa mi vuole comunicare?
Se queste frasi non hanno senso, non si può parlare di verità o di falsità.

In realtà capisco bene quello che state dicendo. Se metto da parte l'abito "da logico" e mi metto quello "da filosofo", anch'io vedo dei problemi linguistico-concettuali enormi in entrambe le proposizioni.

Però - e così facendo mi unisco anche con il discorso con Phil - vorrei riproporre una versione del PM già proposta (e opportunamente da me modificato):

Il giorno Y alle ore 16:00 Jones afferma:
(1) La maggior parte delle affermazioni di Nixon del giorno X dalle 12:00 alle 12:10 sono false.

Ovviamente non c'è nulla di intrinsecamente sbagliato riguardo a (1). Per determinare se (1) è vera o falsa si procede enumerando le affermazioni di Nixon del giorno X dalle 12:00 alle 12:10, e poi si verifica singolarmente il valore di verità di queste affermazioni. Supponiamo, tuttavia, che le affermazioni di Nixon in quel lasso temporale siano metà vere e metà false, eccetto per un caso problematico:

(2) Ogni cosa che Jones ha affermato il giorno Y alle 16:00 è vera.

Supponiamo, inoltre, che (1) sia l'unica affermazione che Jones afferma il giorno Y alle ore 16:00... Da ciò abbiamo che sia (1) sia (2) siano entrambe paradossali: sono entrambe vere se e solo se sono entrambe false.

(Kripke aggiunge inoltre che l'esempio di (1) ci illustra un'importante lezione: è inutile cercare un criterio intrinseco per separare – come insensate – quelle proposizioni che conducono al paradosso.)

Ecco, mi pare che questa formulazione del PM superi le obiezioni di Apeiron e di Sgiombo: questa volta le frasi sono comprensibili, non sembrano senza significato come "Io sono vera". Certo, possiamo semplicemente affermare che ogni volta che si crea un paradosso linguistico il tutto è insensato. Sono d'accordo su questo punto, nella misura nella quale non sappiamo "utilizzare" un paradosso (cioè linguisticamente non sappiamo cosa farcene di un paradosso, non sappiamo che inferenze trarre da esso), allora possiamo chiamarlo insensato, oppure potremmo limitarci a indicare l'insieme di proposizioni problematiche e dire "sono paradossali".

Phil, invece, cerca la strada formale. Perché è proprio lì che il PM si fa problematico. Infatti, il PM è un paradosso linguistico, quindi in un certo senso è innocuo "nel mondo reale". E' invece problematico nel campo dei linguaggi formali...

Quindi, Phil, come imposti, analizzi e infine risolvi questa nuova versione del PM con il tuo modello?

sgiombo

Ma io (e probabilmente anche Apeiron; ma solo lui lo può confermarlo o meno) non ho sostenuto che non possono esistere frasi comprensibili che non siano paradossali, comprendendosi dunque bene che esse sono paradossali (a cominciare del PM "classico", non solo questa qui sopra citata di Kripke).

Ho invece affermato che la frase "questa frase é vera", pur non essendo paradossale, (mi) é incomprensibile, senza senso a causa della sua autoreferenzialità: se con "questa frase" si intendesse non essa stessa bensì una qualsiasi altra frase (una seconda frase) sensata, comprensibile (l' altra, la seconda frase), allora credo che (mi) sarebbe comprensibile anche la prima ("questa frase é vera").

Phil

Citazione di: epicurus il 10 Luglio 2017, 15:29:29 PM
Però - e così facendo mi unisco anche con il discorso con Phil - vorrei riproporre una versione del PM già proposta (e opportunamente da me modificato):

Il giorno Y alle ore 16:00 Jones afferma:
(1) La maggior parte delle affermazioni di Nixon del giorno X dalle 12:00 alle 12:10 sono false.

Ovviamente non c'è nulla di intrinsecamente sbagliato riguardo a (1). Per determinare se (1) è vera o falsa si procede enumerando le affermazioni di Nixon del giorno X dalle 12:00 alle 12:10, e poi si verifica singolarmente il valore di verità di queste affermazioni. Supponiamo, tuttavia, che le affermazioni di Nixon in quel lasso temporale siano metà vere e metà false, eccetto per un caso problematico:

(2) Ogni cosa che Jones ha affermato il giorno Y alle 16:00 è vera.

Supponiamo, inoltre, che (1) sia l'unica affermazione che Jones afferma il giorno Y alle ore 16:00... Da ciò abbiamo che sia (1) sia (2) siano entrambe paradossali: sono entrambe vere se e solo se sono entrambe false.

[...]
Quindi, Phil, come imposti, analizzi e infine risolvi questa nuova versione del PM con il tuo modello?
Mi sembra che, calando queste proposizioni nella realtà, sorga un problema temporale: se non erro, uno dei due deve parlare necessariamente del futuro. Ad esempio:
- oggi alle ore 22 Jones dice "la maggior parte delle affermazioni di Nixon di ieri, dalle 12 alle 12:10, sono state false" (e fin qui nulla di strambo...)
- seguendo il modello del paradosso, la frase "dispari" di Nixon (quella che decide se la maggioranza delle frasi sono vere o false) dovrebbe essere stata "ogni cosa che Jones affermerà domani alle 22 sarà vera", ma tale proposizione non è apofantica bensì predittiva, quindi scopre il fianco anche alla possibilità di non essere né vera né falsa (ad esempio, nel caso il giorno seguente Jones non dica nulla alle 22...).

Ammettiamo comunque lo scenario prospettato dalle due proposizioni e supponiamo di dover decidere adesso della loro verità: Jones dice che Nixon principalmente ha detto falsità, compreso l'aver detto che egli (Jones) avrebbe detto la verità nel dire che Nixon abbia detto falsità, e così via... il circolo vizioso (Jones che discute la verità di Nixon che discute la verità di Jones, etc.), stando alla tripartizione proposta in precedenza, è tutto al "secondo livello" (come da definizione: si parla solo della verità di proposizioni) per cui la frase "futuristica" di "secondo livello" di Nixon, non è né vera né falsa, ma, il giorno dopo, si rivela insensata (perché si riferisce ad un altro "secondo livello", e abbiamo detto che ciò porta all'insensatezza ;) ). 
E se la frase "dispari" non è né vera né falsa, ma insensata, allora ne consegue che è falso che "la maggior parte delle affermazioni di Nixon di ieri, dalle 12 alle 12:10 sono state false" (perché essendo la frase "dispari" insensata, per ridondanza di "secondo livello", le altre sono metà vere e metà false). 
Tuttavia tale falsità non è paradossale, perché non contraddice la frase insensata (la contraddizione ha senso solo fra frasi sensate) che dice che Jones dirà la verità, perché appunto il dire di Nixon si riferisce ad un secondo livello che si riferisce ad un altro secondo livello, etc. che è stato assiomaticamente definita come condizione sufficiente per l'insensatezza di una proposizione, mancando di fatto il suo primo livello.

Apeiron

epicurus,
una frase "paradossale" può essere comprensibile e sensata a meno che "paradossale=contraddizione", nel qual caso il senso non c'è. Peraltro mi sembra di esser d'accordo con te che "da logico" (ossia fino a quando mi interessa la sola validità) "questa frase è sensata/vera" è valida. Quello su cui mi impuntavo era la pretesa di far passare questo tipo di affermazioni come "sensate", ossia affermazioni sulla realtà. Poi sinceramente non accetto molto la questione dei "valori logici". Dire "un cavallo è un cavallo" non la definirei nemmeno  una frase vera, perchè non dice nulla. "Un cavallo è un mammifero" invece sì perchè a priori richiede una verifica e quindi può darmi informazioni.

Quindi sì secondo me hai ragione nel concentrarti (solo) sull'ambito formale. In questo caso sono totalmente d'accordo con te.

Una frase paradossale "sensata" può essere: "io sono la stessa persona ma allo stesso tempo una persona diversa di quando ero bambino".
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

epicurus

Citazione di: Phil il 10 Luglio 2017, 22:14:32 PMAmmettiamo comunque lo scenario prospettato dalle due proposizioni e supponiamo di dover decidere adesso della loro verità: Jones dice che Nixon principalmente ha detto falsità, compreso l'aver detto che egli (Jones) avrebbe detto la verità nel dire che Nixon abbia detto falsità, e così via... il circolo vizioso (Jones che discute la verità di Nixon che discute la verità di Jones, etc.), stando alla tripartizione proposta in precedenza, è tutto al "secondo livello" (come da definizione: si parla solo della verità di proposizioni) per cui la frase "futuristica" di "secondo livello" di Nixon, non è né vera né falsa, ma, il giorno dopo, si rivela insensata (perché si riferisce ad un altro "secondo livello", e abbiamo detto che ciò porta all'insensatezza ;) ).
E se la frase "dispari" non è né vera né falsa, ma insensata, allora ne consegue che è falso che "la maggior parte delle affermazioni di Nixon di ieri, dalle 12 alle 12:10 sono state false" (perché essendo la frase "dispari" insensata, per ridondanza di "secondo livello", le altre sono metà vere e metà false).
Tuttavia tale falsità non è paradossale, perché non contraddice la frase insensata (la contraddizione ha senso solo fra frasi sensate) che dice che Jones dirà la verità, perché appunto il dire di Nixon si riferisce ad un secondo livello che si riferisce ad un altro secondo livello, etc. che è stato assiomaticamente definita come condizione sufficiente per l'insensatezza di una proposizione, mancando di fatto il suo primo livello.
Capisco. Ma cosa succede se cambio di una virgola la situazione e supponiamo, contrariamente a prima, che le affermazioni di Nixon in quel lasso temporale non siano più metà vere e metà false + per il caso speciale, ma siano il 8 vere, 1 falsa + il caso speciale.

Le proposizioni centrali sono le seguenti:

Jones:
(1) La maggior parte delle affermazioni di Nixon del giorno X dalle 12:00 alle 12:10 sono false.

Nixon:
(2) Ogni cosa che Jones ha affermato il giorno Y alle 16:00 è vera.

Quindi (1) è falsa e (2) è falsa. Ma se nel caso precedente dici che rimaniamo sempre al secondo livello, anche qui rimaniamo al secondo livello, giusto?

Citazione di: Apeiron il 11 Luglio 2017, 09:00:48 AM
epicurus,
una frase "paradossale" può essere comprensibile e sensata a meno che "paradossale=contraddizione", nel qual caso il senso non c'è. Peraltro mi sembra di esser d'accordo con te che "da logico" (ossia fino a quando mi interessa la sola validità) "questa frase è sensata/vera" è valida. Quello su cui mi impuntavo era la pretesa di far passare questo tipo di affermazioni come "sensate", ossia affermazioni sulla realtà. Poi sinceramente non accetto molto la questione dei "valori logici". Dire "un cavallo è un cavallo" non la definirei nemmeno  una frase vera, perchè non dice nulla. "Un cavallo è un mammifero" invece sì perchè a priori richiede una verifica e quindi può darmi informazioni.

Quindi sì secondo me hai ragione nel concentrarti (solo) sull'ambito formale. In questo caso sono totalmente d'accordo con te.

Una frase paradossale "sensata" può essere: "io sono la stessa persona ma allo stesso tempo una persona diversa di quando ero bambino".
Diciamo che a grandi linee concordiamo.
Volevo solo precisare che le tautologie e le contraddizioni sono casi speciali di proposizioni, rispettivamente, proposizioni vere a prescindere dal mondo e false a prescindere dal mondo. In questo senso si può dire che mancano di significato, ma a me pare un modo di parlare estremo ("valide ma senza significato"). Preferisco ritenere le proposizioni significati ma appartenenti al caso speciale delle tautologie, delle contraddizioni e, i casi superspeciali, dei paradossi. Le reputo comunque significanti perché posso utilizzare tali proposizioni per diversi utilizzi (al contrario delle proposizioni senza significato classiche). Ma diciamo che, a parte queste sottigliezze di linguaggio, la pensiamo allo stesso modo. ;)

Phil

Citazione di: epicurus il 11 Luglio 2017, 09:32:41 AM
Ma cosa succede se cambio di una virgola la situazione e supponiamo, contrariamente a prima, che le affermazioni di Nixon in quel lasso temporale non siano più metà vere e metà false + per il caso speciale, ma siano il 8 vere, 1 falsa + il caso speciale.

Le proposizioni centrali sono le seguenti:

Jones:
(1) La maggior parte delle affermazioni di Nixon del giorno X dalle 12:00 alle 12:10 sono false.

Nixon:
(2) Ogni cosa che Jones ha affermato il giorno Y alle 16:00 è vera.

Quindi (1) è falsa e (2) è falsa. Ma se nel caso precedente dici che rimaniamo sempre al secondo livello, anche qui rimaniamo al secondo livello, giusto?
La frase "speciale" di Nixon è di secondo livello (parla di verità o falsità di altre frasi) e avendo per oggetto un'altra frase di secondo livello (l'unica proferita da Jones), abbiamo una proposizione di secondo livello che parla di un altro secondo livello, quindi la frase "speciale" (2) di Nixon non è falsa, ma insensata (mancando il primo livello fondante).

Apeiron

epicurus,
confermo che concordiamo su quasi tutto. Se tautologie, contraddizioni ecc sono "sensate" allora si aprirebbero importanti scenari secondo me. Per esempio si possono usare le contraddizioni per descrivere la permanenza dell'identità nel tempo! Ipotesi che ancora non ho accantonato...
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

sgiombo

Citazione di: Apeiron il 11 Luglio 2017, 09:00:48 AM
epicurus,
una frase "paradossale" può essere comprensibile e sensata a meno che "paradossale=contraddizione", nel qual caso il senso non c'è. Peraltro mi sembra di esser d'accordo con te che "da logico" (ossia fino a quando mi interessa la sola validità) "questa frase è sensata/vera" è valida. Quello su cui mi impuntavo era la pretesa di far passare questo tipo di affermazioni come "sensate", ossia affermazioni sulla realtà. Poi sinceramente non accetto molto la questione dei "valori logici". Dire "un cavallo è un cavallo" non la definirei nemmeno  una frase vera, perchè non dice nulla. "Un cavallo è un mammifero" invece sì perchè a priori richiede una verifica e quindi può darmi informazioni.
Citazione"un cavallo é un cavallo" é una tautologia.

Le tautologie, come anche i giudizi analitici a priori (inferenze logiche, deduzioni da premesse che esplicitano nozioni di già comprese, per quanto implicitamente, nelle premesse stesse: definizioni, assiomi, postulati), sono (affermazioni sensate e) certe (se correttamente condotte) ma "conoscitivamente sterili", se per "fecondità conoscitiva" si intende capacità di offrire conoscenze (nuove, che prima o "in partenza" non si avevano) di come é o non é la realtà di cui si discorre (e non correttezza delle deduzioni per così dire "interne al discorso").
Infatti perché le inferenze siano vere é necessario che siano vere le premesse, il che é tutto da dimostrare: le deduzione sono vere  non in assoluto, perché "così starebbero le cose reali", ma solo ipoteticamente (qualora così stiano le cose reali): se correttamente condotte sono certe, ma la loro certezza é qualcosa di "interno al discorso", mentre nessuna certezza ci danno circa come stanno o meno le cose nella realtà di cui si discorre.

"Conoscitivamente fecondi" possono essere solo i giudizi sintetici a posteriori (essi possono darci autentica conoscenza su come sono o non sono le cose reali di cui si discorre).
Ma come i giudizi analitici a priori pagano la loro certezza (se logicamente corretti) con la loro "sterilità conoscitiva, così i giudizi sintetici a posteriori pagano la loro fecondità conoscitiva (se l' hanno, se sono veri, se sono autentiche conoscenze) con la loro insuperabile incertezza.
Infatti possono essere induzioni (affermazioni generali astratte su come stanno le cose nella realtà di cui si discorre e nel suo divenire: per esempio "un cavallo é un mammifero"); ma allora come genialmente rilevato da David Hume, non possiedono affatto la caratteristica di essere indubitabili ovvero certi.
Oppure possono essere affermazioni particolari concrete di ciò che immediatamente di volta in volta empiricamente si rileva (ma allora la loro certezza é comunque effimera, per così dire "di durata infinitesima" in quanto continuamente il tempo scorre e immediatamente da constatazioni empiriche dirette si trasformano in dati mnemonici, e anche la memoria non possiede  affatto la caratteristica di essere indubitabile ovvero certa.

Conclusione: lo scetticismo non é razionalmente superabile.
Quindi sì secondo me hai ragione nel concentrarti (solo) sull'ambito formale. In questo caso sono totalmente d'accordo con te.

Una frase paradossale "sensata" può essere: "io sono la stessa persona ma allo stesso tempo una persona diversa di quando ero bambino".
CitazioneQuesta secondo me non é un paradosso.

E' invece un caso di ragionamento perfettamente ("inappuntabilmente") logico e sensato che ben dimostra la differenza di senso fra i concetti di "essere" e di "divenire" (e non, con buona pace di Severino, la -pretesa- contraddizione che sarebbe intrinseca al o propria del concetto di "divenire"): 

"io sono la stessa persona ma allo stesso tempo una persona diversa di quando ero bambino" significa "io da bambino sono diventato adulto", posto che "divenire" o "diventare" significa parzialmente, relativamente (per certi aspetti) continuare a essere "la stessa cosa", non mutare, parzialmente, relativamente (per certi altri aspetti) non continuare a essere "la stessa cosa", mutare, in una sorta di hegeliana "sintesi dialettica" fra "essere le stesse cose, essere fisso, immutabile integralmente, assolutamente" (tesi) e "non essere le stesse cose, non essere fisso, mutare integralmente, assolutamente" (antitesi).

Per questo dissento dalla tua affermazione che :

"Se tautologie, contraddizioni ecc sono "sensate" allora si aprirebbero importanti scenari secondo me. Per esempio si possono usare le contraddizioni per descrivere la permanenza dell'identità nel tempo! Ipotesi che ancora non ho accantonato..."

Per me la permanenza (relativa, parziale) dell' identità nel tempo (ovvero il divenire ordinato, che si può pure indifferentemente, identicamente, per così dire  "sinonimicamente" intendere come la non permanenza relativa, parziale dell' identità nel tempo) non ha nulla di paradossale, esattamente come la "tesi hegeliana" della permanenza integrale assoluta dell' identità nel tempo e come l' "antitesi hegeliana" del la non permanenza integrale, assoluta dell' identità nel tempo, delle quali si può considerare come una sorta di "sintesi dialettica".

maral

#73
Citazione"io sono la stessa persona ma allo stesso tempo una persona diversa di quando ero bambino" significa "io da bambino sono diventato adulto", posto che "divenire" o "diventare" significa parzialmente, relativamente (per certi aspetti) continuare a essere "la stessa cosa", non mutare, parzialmente, relativamente (per certi altri aspetti) non continuare a essere "la stessa cosa", mutare, in una sorta di hegeliana "sintesi dialettica" fra "essere le stesse cose, essere fisso, immutabile integralmente, assolutamente" (tesi) e "non essere le stesse cose, non essere fisso, mutare integralmente, assolutamente" (antitesi).
Scusa sgiombo se insisto a dire la mia, ma divenire non può significare "continuare a essere la stessa cosa", nemmeno parzialmente, perché significherebbe che quella parte di me che è diventata altro non era parte di me, dato che con essa o senza di essa resto sempre lo stesso "me". D'altra parte è ovvio che al divenire non basta presupporre che si diventi altro, ma che si diventi altro rimanendo lo stesso ed è questa l'evidente contraddizione logica insormontabile, occorre essere e al contempo non essere lo stesso!
A questo punto, per superare l'impasse, occorre ammettere una duplicità ontologica originaria nell'ente stesso. L'ente in quanto essente è immutabile tautologia, ma in quanto appare solo nel suo venire a significare si colloca oltre la sua pura tautologia e questo fa sì che tra l'essere dell'ente e il  significato in cui appare vi sia sempre uno scarto irriducibile, una contraddizione che si ripete ogni volta che si tenta di definire cosa sia quell'ente. E' nello spazio di questo scarto tra significato ed essente che il mondo ci appare e ci appare continuamente mutante nei suoi significati, poiché ogni volta che si pensa di aver fissato un significato ci si accorge che esso non coglie l'essente, qualcosa che è oltre quel significato con cui si è tentato di dire l'essente per quello che è è rimasto escluso, quindi occorre dirlo in modo diverso e quindi un altro significato viene ad apparire, mentre il precedente viene escluso. Ma, venendo escluso, esso lascia pur tuttavia un resto di sé ed è sulla base di questi resti che noi infinitamente costruiamo l'identità come una storia diveniente, come un'esistenza che tenta infinitamente, resto dopo resto, di conoscersi in un gioco di apparizioni significanti.

sgiombo

Citazione di: maral il 15 Luglio 2017, 22:22:50 PM
Citazione"io sono la stessa persona ma allo stesso tempo una persona diversa di quando ero bambino" significa "io da bambino sono diventato adulto", posto che "divenire" o "diventare" significa parzialmente, relativamente (per certi aspetti) continuare a essere "la stessa cosa", non mutare, parzialmente, relativamente (per certi altri aspetti) non continuare a essere "la stessa cosa", mutare, in una sorta di hegeliana "sintesi dialettica" fra "essere le stesse cose, essere fisso, immutabile integralmente, assolutamente" (tesi) e "non essere le stesse cose, non essere fisso, mutare integralmente, assolutamente" (antitesi).
Scusa sgiombo se insisto a dire la mia, ma divenire non può significare "continuare a essere la stessa cosa", nemmeno parzialmente, perché significherebbe che quella parte di me che è diventata altro non era parte di me, dato che con essa o senza di essa resto sempre lo stesso "me". D'altra parte è ovvio che al divenire non basta presupporre che si diventi altro, ma che si diventi altro rimanendo lo stesso ed è questa l'evidente contraddizione logica insormontabile, occorre essere e al contempo non essere lo stesso!
A questo punto, per superare l'impasse, occorre ammettere una duplicità ontologica originaria nell'ente stesso. L'ente in quanto essente è immutabile tautologia, ma in quanto appare solo nel suo venire a significare si colloca oltre la sua pura tautologia e questo fa sì che tra l'essere dell'ente e il  significato in cui appare vi sia sempre uno scarto irriducibile, una contraddizione che si ripete ogni volta che si tenta di definire cosa sia quell'ente. E' nello spazio di questo scarto tra significato ed essente che il mondo ci appare e ci appare continuamente mutante nei suoi significati, poiché ogni volta che si pensa di aver fissato un significato ci si accorge che esso non coglie l'essente, qualcosa che è oltre quel significato con cui si è tentato di dire l'essente per quello che è è rimasto escluso, quindi occorre dirlo in modo diverso e quindi un altro significato viene ad apparire, mentre il precedente viene escluso. Ma, venendo escluso, esso lascia pur tuttavia un resto di sé ed è sulla base di questi resti che noi infinitamente costruiamo l'identità come una storia diveniente, come un'esistenza che tenta infinitamente, resto dopo resto, di conoscersi in un gioco di apparizioni significanti.
CitazionePer tutti i parlanti la lingua italiana "divenire" significa "cambiare, trasformarsi, passare da uno stato all'altro; il fluire della vita, della storia, l' acquistare nuova forma, qualità o stato; il farsi diverso".
 
Ovvero essere a un certo tempo relativamente, parzialmente, limitatamente (per certi aspetti) la stessa cosa, e limitatamente parzialmente, limitatamente (per certi altri aspetti) un' altra, diversa cosa" che a un certo altro tempo.
 
Determinate parti o aspetti (che erano propri) di me quand' ero bambino non ci sono più ora (che sono vecchio: nessuna contraddizione, che invece ci sarebbe se pretendessi che non ci fossero allora o che ci siano ora); ed invece ci sono ora (che sono vecchio) determinate altre parti o aspetti che sono propri dei me, i quali non c' erano ancora quando ero bambino (nessuna contraddizione, che invece ci sarebbe se pretendessi che ci fossero allora o che non ci siano ora).
 
Per intendere l' identità (parziale, relativa!) nel divenire basta semplicemente presupporre che qualcosa diventi altro (cambi, non persista ad essere come era prima) e che qualcos' altro rimanga lo stesso (non cambi, persista ad essere come era prima): nessuna affermazione che qualcosa allo stesso tempo è e non è, persiste e non persiste, diventi e non diventi altro, id est: nessuna contraddizione!
 
L' "ente" e l' "essente" non so che cosa siano (conosco l' italiano, ma non il "severinese").
 
Ma so bene che gli enti reali (che sono ciò che mi interessa considerare), prima non c' erano, per un determinato lasso di tempo ci sono, dopo nuovamente non ci saranno, senza alcuna contraddizione o "duplicità ontologica" autocontraddittoria o altro genere di preteso "impasse".
 
Inoltre rilevo che muta tutto nella realtà, non solo i significati di simboli, come ad esempio le parole (che peraltro in linea di principio sarebbe meglio non mutassero onde intendersi; e per questo ogni eventuale loro deprecabile mutamento, se ritenuto inevitabile o preferibile al non mutamento per fini pratici, deve comunque essere arbitrariamente convenuto, sancito per convenzione), anche quello che non ha alcun significato (ossia tutto ciò che non è simbolo, che costituisce gran parte della realtà).
 
Ovviamente i significati (le connotazioni) dei simboli (in particolare dei simboli verbali) sono sempre di fatto limitati, potendo anche sempre (inesauribilmente) non cogliere in linea teorica o di principio tutte le caratteristiche (che infatti in linea di principio potrebbero sempre anche essere infinite) attribuibili alle cose reali che denotano (ovviamente quando si tratta di simboli verbali eventi anche denotati reali, oltre che significati nel senso -sic!- di connotazioni).
 
 
 
Capisco ben poco di quanto scrivi, conoscendo bene l' italiano ma per nulla il severinese; tuttavia non posso esimermi dal rilevare che se queste tua parole:
 
"un altro significato viene ad apparire, mentre il precedente viene escluso. Ma, venendo escluso, esso lascia pur tuttavia un resto di sé"
 
Non sono contraddittorie, allora sicuramente non lo è nemmeno il concetto banale, "volgare" (nel senso letterale del dantesco De vulgari eloquentia) di "divenire"; mentre se -ammesso e non concesso- lo fosse il secondo, allora inevitabilmente le sarebbero anche le prime.

Discussioni simili (5)