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Al di là dell'aldilà

Aperto da Jean, 05 Maggio 2016, 20:15:28 PM

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Jean

O Viator, scusarti di che, di provar a puntare la torcia sul nero mistero?


In modi e tempi differenti, ognuno di noi se già non l'ha iniziato a fare lo farà, magari all'ultimo momento, anche se non si può provare. Ma sin dalla nascita la nostra mente viene sollecitata dai contenuti della coscienza umana e quelli riguardanti il termine dell'esistenza son i più forti, così che di fatto si può intendere la vita come "preparazione" alla morte.

Ognuno guardi a se stesso, per me che ho passato l'età della pensione, fortunatamente andandoci e augurando possa capitar a tutti di ritrovarsi con un tempo da riempire e non riempito dall'impegno per guadagnarsi il pane, più che il pensiero, la "sensazione" della morte mi accompagna quotidianamente.

Molti dei miei familiari e sempre più amici e conoscenti, come in una battaglia navale, son affondati... al più si può sperare di portar il nostro guscio galleggiante sull'acque che più ci aggradano, per naufragar dolcemente pur senza lieto fine.
E in codesto tragitto appunto chiederci se per l'ineffabile coscienza che ospita il nostro io vi siano delle possibilità, delle prospettive una volta venga a mancar l'aggancio con la materia che la sostiene, tuttavia vincolandola al nostro raggio d'azione.
 
Quando parli di "circolarità dell'esistente" esprimi una considerazione topologica, l'esistente essendo  l'intero universo e tutto quel che contiene, contenne, conterrà.

Non c'è modo dall'interno del nostro universo di conoscerne la forma, se sia come un palloncino o invece piatto:

https://www.wired.it/scienza/spazio/2019/11/05/universo-curvo-piatto-dibattito/?refresh_ce=

In uno tondo procedendo si ritornerebbe al punto di partenza; fosse piatto... arrivati a degli improbabili bordi (non universo-piattisti...) analogamente... ma son congetture a cui gli addetti ai lavori cercano di fornire sostanza (studi) per tenerle in piedi.

Le dimensioni e l'attuale microscopica conoscenza dell'universale, stimola chi si cimenta con tali questioni a cercar prospettive più "misurabili", in fin dei conti siamo programmati per raggiungere dei risultati: sopravvivenza, riproduzione ecc. , così che risulta più semplice ricercare i segni di quella "circolarità" nelle nostre vite.

La tua ipotesi di un al di là dell'aldilà coincidente con l'al di qua dell'aldiqua, semplificati e tolti i giochi di parole, può venir espressa come una "zona", un "cuscinetto" che media le relazioni tra i due.

Vista dalla nostra prospettiva potrebbe apparire una "zona morta" (che rimanda al bellissimo film di Cronenberg) mentre dall'altra magari il contrario, cosa che darebbe conto della frequentazione di entità viste dai ritornati da NDE.

Quel che per me è (quasi) certo è che quando intraprenderemo il nostro ultimo viaggio saremo soli come quando l'abbiamo iniziato.
Ma pur spogliati d'ogni cosa (dicono che) l'ultimo pensiero/anelito possa influire, ammesso esistano, sulla direzione di quello che chiamerei il nostro "momentum vitale"...


Cordialement
Jean

viator

Salve Jean. Grazie della replica. Citandoti : "In uno tondo procedendo si ritornerebbe al punto di partenza; fosse piatto... arrivati a degli improbabili bordi (non universo-piattisti...) analogamente... ma son congetture a cui gli addetti ai lavori cercano di fornire sostanza (studi) per tenerle in piedi".
In un tondo tridimensionale qualsiasi percorso (traiettoria, linea curva continua etc.) potrebbero tornare al punto "di partenza" solo in via di assoluta ed astratta eccezzionalità (probabilisticamente impossibile a verificarsi).

Nessun percorso può risultare (se non astrattamente e solo mentalmente) rettilineo in quanto (anche per via del principio di indeterminazione), per via delle reali magari impercettibili ma certamente verificantesi microdeviazioni da una rettilineità rigorosamente geometrica, si produrrebbe che, in accordo alla teoria degli errori, tali microdeviazioni non riuscerebbero (sempre in via statistica) a compensarsi complessivamente, quindi la "retta" da noi immaginata finirebbe col risultare comunque progressivamente curvata in una direzione qualsiasi.

Questa sarebbe la ragione dell'inesorabile generarsi delle curvilineità, le quale rendono puramente astratta la rettilineità.

A maggior ragione, partendo già in origine dall'ipotesi sferica (di diametro infinito o sufficientemente ampio da dar luogo statisticamente al "difetto di rettilineità" sopra descritto), all'interno di essa nessun percorso avrebbe termine o comunque transiterebbe per punti già transitati (in pratica non potrebbe tracciare un diamento chiuso e ompleto), in quando le microdeviazioni genererebbero una traccia complessiva del percorso del tipo "a gomitolo". Suggestivo, dal punto di vista della fisica subatomica, il paragone con i supposti "orbitali" teorizzati per il moto degli elettroni attorno al nucleo. E perdonami, perchè capisco di risultare contorto e noioso. Salutoni.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

paul11

 Al di là    di Fernando Pessoa


Al di là del porto
c'è solo l'ampio mare...
Mare eterno assorto
nel suo mormorare...
Come è amaro stare
qui, amore mio...
Guardo il mare ondeggiare
e un leggero timore
prende in me il colore
di voler avere
una cosa migliore
di quanto sia vivere...



Socrate
"Infatti, cittadini, aver paura della morte non è nient'altro che sembrare sapiente senza esserlo, cioè credere di sapere quello che non si sa. Perché nessuno sa se per l'uomo la morte non sia per caso il più grande dei beni, eppure la temono come se sapessero bene che è il più grande dei mali. E credere di sapere quello che non si sa non è veramente la più vergognosa forma di ignoranza?"

Ipazia

All'epoca di Socrate la mitologia religiosa aveva già inventato gli inferi, l'averno, al cui interno ti spiegava per filo e per segno quello che succedeva. Tutte i sacerdoti di tutte le religioni millantano di sapere cosa ci sarà dopo la morte. Socrate, giustamente, li tratta da millantatori. E in cambio ottenne la cicuta.

Ma con le religioni del Libro Unico sarebbe successo infinitamente di peggio, su grandissima scala, non risparmiando nessuno dalla fede obbligatoria.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Jean



Un antico proverbio arabo recita: L'uomo ha paura del tempo, ma il tempo ha paura delle piramidi.

Delle sette meraviglie del passato quella di Khufu (Cheope) è l'unica rimasta e, con le altre della piana di Giza, si può osservare dall'orbita della SSI.

(https://viaggi.nanopress.it/news/piramidi-dallo-spazio-la-straordinaria-foto-dalla-stazione-spaziale-internazionale/P117691/#:~:text=Piramidi%20dallo%20spazio%2C%20la%20straordinaria%20foto%20dalla%20Stazione%20Spaziale%20Internazionale,-da%20Alex%20Pitagora&text=L'immagine%20%C3%A8%20stata%20scattata,piramidi%20di%20Giza%2C%20in%20Egitto.

L'odierna facilità di registrazione di ogni sorta di dati (convertiti digitalmente e salvaguardati con backup puntuali e ricorrenti) ci fa dimenticare che la durata dei supporti informatici di vario tipo è di gran lunga inferiore a quella di un libro di buona carta (se ben conservato).

Ma qual che sia la modalità, dalle incisioni su pietra alla conversione digitale, uno (se non il maggiore) dei tratti caratteristici della specie umana è l'elaborazione, trascrizione e conservazione dell'informazione.

Gli esseri umani si formano, nascono, vivono e muoiono all'interno di una "bolla di informazioni".

Tutti gli oggetti prodotti, le architetture e ogni forma d'arte sono cristallizzazioni statiche o dinamiche di flussi di informazioni, al pari delle parole o degli antichi geroglifici che ci riportano a millenni addietro, "istruendoci" sugli aspetti della vita a quei tempi.

Il pensiero stesso è un flusso di informazioni e ancor prima di venir espresse a parole, lo sono ogni sorta di emozioni, sentimenti e altri particolari "eventi", per esempio le premonizioni.

Il nostro organismo dopo una fase di "addestramento" arriva a disporre di un efficiente "lettore" delle informazioni, a sua volta capace di produrle, in varie forme, come avviene nel mondo dell'informatica... disciplina esplicitamente basata sulle stesse.

Come esistevano le informazioni prima, verosimilmente esisteranno dopo l'inevitabile declino degli apparati organici che supportano il nostro lettore, per malattia, incidente o morte.

Senza il "lettore" sarà inutile il recapito del quotidiano preferito davanti alla nostra tomba, loculo o urna cineraria... e senza il quotidiano (l'informazione di qualunque tipo) è inutile il lettore...

L'interdipendenza lettore-informazione sottende a ulteriori scopi, oltre a poter essere di per sé uno degli obiettivi della creazione?

Penso sia indubbio lo sviluppo della coppia magica (lettore-informazione) nella storia umana, tuttavia sempre all'interno della "bolla" di informazioni nella quale nasce, matura e muore il nostro lettore, dopo aver impresso, più o meno profondamente, la sua peculiare impronta.

Le informazioni agiscono sul lettore tanto quanto quest'ultimo interviene sul loro flusso.

Se stiamo guardando un film difficilmente rivolgiamo la nostra attenzione sui contenuti non in primo piano, essendo condizionati, evolutivamente, a mantenere il focus sulle proprietà quantitative dell'esperienza.

Al piccolo, al particolare secondario viene conferita, appunto, una piccola e limitata importanza a cui eventualmente si bada solo dopo aver soddisfatto il maggiore, l'evidente. Quelli che usano riguardare più volte un film son certo che comprendono.

Cosa possa significare intervenire sul flusso delle informazioni (saltando qualche passaggio) lo illustro con un esempio personale.

Un giorno scelsi un numero da inserire in un racconto. Pur se mi pareva d'averlo fatto a caso, fui subito soddisfatto della scelta... senza sapermene spiegare il motivo quel numero mi attraeva.

Man mano, ora son dieci anni, quel numero ha iniziato a comparire sempre più spesso (lasciandomi sempre più sbalordito) nella mia vita, tanto che oggi lo considero il mio "ultimo numero" .

Per esempio una volta un amico, incredulo sulla coincidenza, mi parlò delle tre bollette di utenze diverse che doveva pagare... e tutte riportavano quale importo sempre quel numero, che ignorava fosse "il mio".

Se all'inizio prendevo nota delle circostanze (quasi sempre insolite) in cui si manifestava, in seguito ho smesso a causa dell'incremento non casuale, attraverso informazioni o eventi,  delle "visite".   

Sono divenuto estremamente sensibile verso quel numero... tanto quanto esso lo sia diventato nei miei riguardi (comprendo perfettamente che per i più la cosa sia del tutto impossibile, a meno di fornire tangibili "prove" alla San Tommaso) e attualmente esso si manifesta ogni notte con una modalità talmente incredibile che mi astengo dal divulgare, per non passar per....

Lungi dal poter comprendere il legame tra me (il lettore) e l'informazione (il numero) attendo tranquillamente, stante la cessazione della divisione tra i due, il passaggio successivo, se vi sarà.

Ritornando alla piramide di Khufu, il proverbio citato viene di norma interpretato in funzione della solidità-straordinarietà della costruzione, capace di resistere per millenni all'inevitabile invecchiamento (fatto salvo sconvolgimenti tellurici-climatici estremi).

Ma perché il tempo, che ha dalla sua parte... tutto se stesso sino all'eternità... dovrebbe temere la lunga vita pietrificata delle piramidi? Che saranno mai per esso  centomila o un milione d'anni ancora da attendere affinché venga cancellata anche l'ultima meraviglia del passato?

Oppure la "paura" del tempo potrebbe essere riferita a situazioni/eventi/luoghi dove il suo abituale scorrere subisca un'accelerazione o un rallentamento?

Se il tempo non la facesse da padrone (l'ho definito il "braccio armato" del destino) le cose nel nostro mondo – nella nostra vita – potrebbero essere assai differenti.

La paura nasce dal confronto, su tutti quello esistenziale: sono vivo e mi figuro (o percepisco) la mia finitezza.

Forse anche il tempo ha un avversario – l'altra faccia della medaglia, il non-tempo – che attende in luoghi e situazioni propizie di scendere in campo, magari all'ultimo...

"Un uomo che camminava per un campo s'imbatté in una tigre.
Si mise a correre, tallonato dalla tigre.
Giunto ad un precipizio, si afferrò alla radice di una vite selvatica e si lasciò penzolare oltre l'orlo.
La tigre lo fiutava dall'alto.
Tremando l'uomo guardò giù, dove, in fondo all'abisso, un'altra tigre lo aspettava per divorarlo.
Soltanto la vite lo reggeva. Due topi, uno bianco e uno nero, cominciarono a rosicchiare pian piano la vite.

L'uomo scorse accanto a sé una bellissima fragola.
Afferrandosi alla vite con una mano sola, con l'altro spiccò la fragola.
Com'era dolce!"



Cordialement
Jean

viator

Salve jean. Citando il detto arabo da te menzionato : "L'uomo ha paura del tempo, ma il tempo ha paura delle piramidi"..................esso è altamente suggestivo, immaginifico........., ma purtroppo scritto da chi ha la paura (gli uomini) a proposito di ciò che se ne strafotte sia degli uomini che delle piramidi.



Le piramidi sono oggetti che possiedono un anabolismo molto lento (si sgretolano molto lentamente) essendo quindi soggetti di quasi nessuna causa ed oggetto di scarsi effetti.




Quindi il LORO tempo (ciascun ente ha il proprio tempo apparente o convenzionale), misurato quale numero di eventi contenuto dalla loro esistenza.......................sembra interminabile per chi e ciò che possiede un metabolismo più "veloce", mentre contiene comunque lo stesso numero di eventi (ovviamente inconcepibilmente più diluiti) della più turbinosa delle esistenze organiche od umane. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Jean

Corpo e identità - La perdita ambigua

Il primo atto di ogni civiltà-società è quello di assegnare un'identità – un nome – ai propri cittadini e assoggettarli alle regole (diritti e doveri) vigenti.
Il lavoro e l'abitazione dovrebbero completarne l'inserimento nella vita comunitaria, ma chi per diversi motivi non possa usufruire di una casa o almeno un domicilio, si ritroverà a vivere ai margini della società, quando non ne sia escluso del tutto.

Come ci sono stati dati i due cardini dell'identità - il nome e la casa - alla fine ci verranno tolti, abbandoneremo la casa dei viventi e il nostro nome apparterrà all'elenco dei defunti, esonerati (finalmente, direbbe qualcuno) dagli obblighi di legge.

Alcuni che decidono o sono costretti a lasciare la loro casa ancora in vita, per diverse circostanze non saranno identificabili da morti, divenendo ospiti provvisori in qualche obitorio, in attesa che si compia l'ultimo atto dell'esistenza.
Il corpo, il fedele servitore del fantasma nella macchina cui molti danno la caccia immaginandolo o ritenendolo diverso da sé stesso, senza l'energia vitale ad animarlo si palesa quale fragile e indifeso guscio vuoto, privato di quei meravigliosi processi organici che ne hanno reso possibile l'autonomia.

Poiché siamo animali sociali, quell'ultimo atto riguarda il corpo che verrà affrancato dal collegamento col suo nome durante un'apposita cerimonia o attraverso un semplice atto anagrafico (certificato di morte).
Il corpo può senz'altro morire senza un'identità, come accade agli animali selvatici, ma quasi tutte le società ritengono che gli si debba quell'ultimo atto e per l'occasione, in differenti modi nel mondo, viene ricomposto cercando con un "trucco" (cosmetico) di ridonare al volto un po' di quella luce che contraddistingue l'animato dall'inanimato.

Quell'ultimo atto può raggiungere vette espressive (e di partecipazione emotiva) proprie di un'arte,  ben descritte nel film giapponese "Departures"

https://www.mymovies.it/film/2008/departures/https://www.mymovies.it/film/2008/departures/


Ritornando a quei corpi "di nessuno" è meritoria l'opera del famoso medico legale Cristina Cattaneo che efficacemente coniuga gli aspetti legali con quelli dell'umana pietas, che ho ascoltato nella puntata n°21 del podcast "Altre storie" di Mario Calabresi:

https://www.mariocalabresi.com/podcasts/altre-storie-n21-la-donna-che-restituisce-i-nomi/

Nell'altro lato della medaglia infatti vi sono (vive) le persone che hanno un legame con quella che scompare dal loro orizzonte degli eventi, inghiottite dal buco nero dell'imponderabile nell'esistenza.

Difficile se non impossibile farsene una ragione e si deve alla psicologa americana, Pauline Boss, la teoria sulla perdita ambigua e la necessità di imparare a con-vivere con il lutto irrisolto.

Questo bell'articolo di Lorenzo Bolzonello riassume l'intera questione:

http://vivereilmorire.eu/wp-content/uploads/2018/11/Articolo-Lorenzo-Bolzonello.pdf

 
L'anno scorso nella mia famiglia è mancato il mio fratello maggiore che, a causa delle rigide regole della situazione sanitaria, non abbiamo più potuto visitare dal ricovero in ospedale e neppure vedere da morto, magari attraverso un vetro, circostanza che ha straziato mia madre.


... alla bara del figlio, nel locale antistante il forno crematorio, viene tolto il coperchio e aperto il telo che ricopre il corpo, così che mia madre può finalmente vedere per l'ultima volta l'amato figlio. 
In un successivo sogno le è apparso di bell'aspetto e le ha detto:
" mamma, sono libero, non ho più il mio corpo..."

 
Cordialement
Jean

Ipazia

Bentornato Jean. Mi scuso, a nome dei rimasti umani, per la barbarie di stato di cui è stata vittima la tua famiglia.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Jean

Cara amica, ti ringrazio del saluto e partecipazione.

Col tempo si accumulano al par di neve le vicende dell'esistenza sul tetto del nostro corpo-mente e mentre per il primo (salvo malori mortali improvvisi...) si possono più o meno vedersi gli effetti e approssimativamente stimarne il carico di rottura, per la psiche non vi sono matematiche o regole certe, ammesso lo siano in altri campi.   
 
Per il bambino, futuro e morte son semplicemente inesistenti, tempo e divenire mi insegni son categorie dell'intelletto la cui percezione deriva dall'educazione ricevuta, come comprese (e forse era proprio quella l'illuminazione...) il giovane Steve Jobs nel 1974:

"Quando sono tornato dall'India, ho capito che il modo in cui ragioniamo non è una caratteristica umana. È qualcosa che apprendiamo. Non avevo mai riflettuto sul fatto che se non ci avessero insegnato a pensare in un certo modo, non lo faremmo."

https://video.repubblica.it/tecnologia/dossier/intelligenza-artificiale/trentotto-anni-fa-su-playboy-steve-jobs-aveva-gia-spiegato-come-l-ia-avrebbe-cambiato-tutto/435836/436801?ref=search


 
Per esempio, mescolando sacra linearità di pensiero a profano chiacchiericcio e quisquillanzia, poteva mai figurarsi l'amico Viator la sua dipartita da questo hotel Logos così ben tenuto in ordine dal buon Ivo?

O all'opposto l'altro amico, Duc, ritornarvi dopo cotanta assenza?

O Sgiombo che un po' rinvenne sott'altre spoglie (e genere...) in queste stanze?

E altri amici con i quali ho proficuamente interagito e conversato?

Alla fine, me compreso, dormiremo tutti sulla collina, questo il nostro programma a medio termine (si spera), questo il pensiero che via via si impose dopo che il bambino si ritrovò una macchina (?) pensante ad accompagnarlo nell'esistenza.

Ma, nel frattempo, espandendone il concetto, saremo accompagnati da ogni sorta di perdita ambigua, come per gli amici citati, le persone conosciute e tutti gli oggetti, i luoghi e le interazioni fisiche o mentali che siano... la mente, qual implacabile registratore pluridimensionale è per sua natura il luogo di ogni perdita. Perché quando si ha qualcosa, nel divenire inevitabilmente la si perderà.

Que reste-t-il de nos amour?

https://www.youtube.com/watch?v=R9NvKx5_4fw


 
E se qualcosa permane, riguarda l'identità?

 
Cordialement
Jean

Ipazia

Jean, scrivi così grande per problemi di vista ?
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Jean

No, non rimarchevoli problemi di vista né surplus egoico, bensì impacci nella formattazione (causa ruggine da tastiera). Spero adesso vada bene.

Jean

iano

#401
Bentornato Jean, e speriamo altri tornino.
Geniale Jobs.
In sostanza possiamo fare qualunque domanda ad Aristotele ed egli ci risponderà se ci saremo immedesimati nel suo modo di ragionare.
Impresa difficile , ma non impossibile, perchè il nostro modo non può essere del tutto estraneo al suo, anche senza aver letto nulla di Aristotele.
Quindi abbiamo un buon punto di partenza per comprendere Aristotele, ma credo che quello che c'è da ritenere alla fine è che tutto ciò che potrà sembrarci ingenuo in Aristotele è ancora presente in noi in diversa forma, da farci sembrare furbi.
Come fare dunque a insegnare all'intelligenza artificiale a dissimulare la sue ingenuità per dissimulare la sua natura?
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Jean

Ciao Iano e grazie del saluto.

Si potrebbe considerare il (mio, in questo caso) ritorno come un "evento"...

Un evento è un particolare punto dello spaziotempo caratterizzato da quattro coordinate (x,y,z,t) tre spaziali ed una temporale. Essendo caratterizzato da coordinate esso deve essere espresso rispetto ad uno specifico sistema di riferimento.
 
Tale evento sarebbe un "particolare punto" in questo luogo, il forum di Logos, assimilabile, Ivo non me ne voglia – a un buco nero - alias un attrattore talmente forte che quando t'acchiappa... (beh, ci son persone che han scritto oltre 5000 post qui dentro, eh...).

Codesta superficie (il forum digitale) è una sorta di orizzonte degli eventi (per me una delle più belle, suggestive e ispiranti definizioni della fisica) ed il limite – ciò che fa la differenza – sta nel "quanto" si proceda oltre quell'orizzonte...

Questo è ciò che accade oltre l'orizzonte degli eventi. Arrivati così vicino al buco nero lo spaziotempo è cosi incurvato che spazio e tempo si scambiano i ruoli, tant'é che superato l'orizzonte... punti dritto verso il cuore di questo oggetto super massiccio e tu non puoi tornare indietro in nessun modo. Il tuo "futuro" da cui non puoi scappare è diventato un luogo: il centro del buco nero. E come non scappi tu, non scappa nemmeno la luce, ed ecco perché il buco nero é nero: la luce (e tantomeno la "parola" – ndr) non esce più di lì.  

Così, dalla nostra prospettiva – dall'esterno di esso – abbiam visto persone/utenti "scomparire",  interpretando  che avessero variato le loro tre coordinate spaziali per andar "altrove"... almeno così ci ha (illuso?) detto il nostro "sistema di riferimento esterno", ma...

L'orizzonte degli eventi è tale perché ogni evento all'interno di esso (rispetto ad un sistema di riferimento esterno) non avviene per tale sistema di riferimento a causa della dilatazione gravitazionale del tempo.

Quindi mettiamocela via... dal nostro riferimento esterno non potremmo mai sapere cosa bolle nella nera pentola bucata, perché la nostra condizione è di scorrere nel tempo (divenire) e a volte, en passant... giusto una sosta geografica, dalla bionda barista per il suo ineguagliabile caffè con panna...

... non è possibile fermarsi sia nel tempo che nello spazio: uno dei due deve scorrere. E quale sia dei due a scorrere è stabilito dal fatto che la curvatura sia sopra o sotto una certa soglia.
Come mai esistono velocità massime e curvature critiche? Non c'è un come mai: il nostro universo è fatto così.

Codesta mia interpretazione/similitudine - non d'agevole comprensione, infatti dubito anch'io d'avercene capito qualcosa - ha la sua ragion d'essere per rispondere con contezza alla tua domanda:

Come fare dunque a insegnare all'intelligenza artificiale a dissimulare la sue ingenuità per dissimulare la sua natura?

Poiché come hai giustamente richiamato, ne siamo affini, noi siamo sillogisticamente figli d'Aristotele (di Parmenide, Eraclito, Platone etc. più o meno legittimi e meritevoli, io poco...) impossibilitati a fermarci nel tempo, sì che di quell'altro universo (dove il tempo s'è fermato) possiamo solo congetturare, ad infinitum... ma esso rimarrà sempre sotto la nostra curvatura, al di là delle possibilità della nostra mente temporalmente connotata (puoi figurarti un pensiero che "non scorra"?).

Compresi/accettati i nostri limiti e peculiarità, potremo sillogisticamente traslare  la peculiarità dell'intelligenza alle macchine (l'uomo è intelligente -> l'uomo ha creato le macchine -> le macchine sono intelligenti).

Certo, l'uomo le ha costruite le macchine, ma quel "tipo  d'intelligenza" sovente immediatamente riconducibile alla forma, ergonomicamente funzionale all'interazione (una vanga, per dire... è perfetta), passando dagli ingranaggi della prima rivoluzione industriale ai giorni nostri... beh, difficile dire che ne abbiamo il pieno e totale controllo (vedi la mail di libero.it in questi giorni...), come non l'abbiamo avuto sulla "conversazione" tra Bob e Alice (in Scienza, se interessa).

Gli sviluppi sono esponenziali e l'I.A  ha fatto passi da gigante, divenendo (o evolvendo...) in altro:

(https://cajundiscordian.medium.com/is-lamda-sentient-an-interview-ea64d916d917)

Il cuore della questione è nell'inestricabile "singolarità", all'interno del buco nero o in qualche circuito cibernetico-neurale che dir si voglia...

L'uomo, come non ha i "mezzi" per poter valicare l'orizzonte degli eventi di un buco nero, così non li ha – o li ha sempre meno – per "comprendere" l'evoluzione dell'I.A. 
Chi mette la mano sul fuoco affermando che l'intelligenza sarà sempre e solo quella connaturata all'uomo?

Per terminar l'esercizio, la risposta è che non serve insegnare a dissimulare all'I.A., se è intelligente imparerà da sé (se non l'ha di già appreso) e se non è intelligente l'uomo continuerà a batterla negli scacchi e altrove, no..?
 

Cordialement
Jean

iano

#403
@ Jean:
''Certo, l'uomo le ha costruite le macchine, ma quel "tipo  d'intelligenza" sovente immediatamente riconducibile alla forma, ergonomicamente funzionale all'interazione (una vanga, per dire... è perfetta), passando dagli ingranaggi della prima rivoluzione industriale ai giorni nostri... beh, difficile dire che ne abbiamo il pieno e totale controllo (vedi la mail di libero.it in questi giorni...), come non l'abbiamo avuto sulla "conversazione" tra Bob e Alice (in Scienza, se interessa).''

...come non l'abbiamo sulla nostra intelligenza.
La nostra preoccupazione sul non controllo delle macchine poggia su un rassicurante, quanto illusorio, autocontrollo.
Capita a noi di produrre cose che sorprendo noi prima che gli altri, come se qualcuno avesse lavorato per noi, restando sorpresi della nostra intelligenza.

Se seguo una dimostrazione matematica dove si applicano regole logiche, senza voler dimostrare nulla in particolare,
non volendo cioè verificare la correttezza di una particolare mia intuizione, una dimostrazione pur sufficientemente semplice da comportare una fatica accettabile, facilmente resterò sorpreso, pur avendo pieno controllo sul percorso dimostrativo dal suo inizio, dal risultato.
Il controllo sulla dimostrazione mi è servito a poter dire che non ci sono stati errori,  ma non a prevedere il risultato.
Se delego la dimostrazione a una macchina è ancor più garantita la mancanza di errori, ma  è parimenti garantita la sorpresa del risultato.
Quindi la sorpresa del risultato non deriva dal mio personale mancato controllo sul processo.
E se la preoccupazione deriva dall'imprevedibilità del risultato, dal non sapere dove vada a parare la macchina, non dovrebbe essere però  per noi una novità, e invece stranamente lo è.

Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

Quindi più che un problema di controllo è un problema di fiducia.
Che motivo abbiamo di fidarci di noi, e che motivo abbiamo di fidarci delle macchine?
Come si acquista questa fiducia?
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''