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Al di là dell'aldilà

Aperto da Jean, 05 Maggio 2016, 20:15:28 PM

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Eutidemo

Caro Duc in Altum
tu scrivi: "...io, che ho fede nei miracoli, posso anche "illudermi" che sei seduto su di una nuvola  ...nulla è impossibile a Dio !!"
Siamo perfettamente d'accordo che nulla è impossibile per Dio; ma, per noi miseri "mortali", molte cose sono davvero impossibili.
Ed infatti io sono prosaicamente seduto su una sedia; ed ho piedi ben posati per terra!
;)
Per cui ti sei illuso vanamente.
Se poi uno vuole illudersi coscientemente, buon per lui; magari ci riuscissi io!
:-\
Se parti dal principio che ti vuoi "illudere" delle cose che più ti danno conforto (implicando, col termine "illudere", che sai benissimo che, però, non sono vere), sei liberissimo di farlo; in effetti, in fondo è quello che facciamo un po' tutti.
Me compreso.
Ma se io ti dimostro che 2 + 2 fa 4, e tu mi rispondi "chi se ne frega, tanto io preferisco credere per fede che fanno 5", è inutile dibattere ulteriormente al riguardo.
E' come se io stessi giocando a scacchi, e tu a dama.
;D
In un certo senso, ti invidio: piacerebbe molto anche a me credere a quello che mi fa più comodo credere, mettendo da parte ragione e buon senso...ma non ci riesco!
O, almeno, non del tutto.
Cordialmente :)
                                                                   Eutidemo

Duc in altum!

**  scritto da Eutidemo:
CitazioneIn un certo senso, ti invidio: piacerebbe molto anche a me credere a quello che mi fa più comodo credere, mettendo da parte ragione e buon senso...ma non ci riesco!
O, almeno, non del tutto.
Cordialmente

Non so se per te sarà comodo o conveniente, ma non è che puoi decidere di astenerti dal credere nel post-mortem mettendo da parte la ragione ...anche perché saresti il primo essere umano nel permetterti questo "merito" !!

Infatti, la tua tesi, anzi, la tua ipotesi:
Citazione"...sono sicuro che, una volta morto, dovrò necessariante smettere di fare la mia solita ginnastica mattutina (fisica e mentale), non avendo più nè corpo nè cervello..."

...potrebbe anche essere vera, ma per adesso è senza nessuna ragione certa o prova documentata, quindi benvenuto nella dimensione della fede.



CitazioneMa se io ti dimostro che 2 + 2 fa 4, e tu mi rispondi "chi se ne frega, tanto io preferisco credere per fede che fanno 5", è inutile dibattere ulteriormente al riguardo.

Concordo sul 2+2 fa 4 per quel che riguarda la tua scrivania e la tua sedia, ma per l'aldilà, che 2+2 faccia 4 secondo le leggi scientifiche a noi concesse di conoscere ed utilizzare, ci si può credere solo con fede, e non per evidenza o con logica.  ;)


Un abbraccio.
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

Duc in altum!

#17
**  scritto da Jean:
CitazioneDa quel che scrive son certo che Duc  si attenda di cambiar location al termine della sua, augurandogli di cuore di trovar quella sulla quale ha scommesso, come dice.
Io penso che ci son molte più possibilità che pari o dispari... 2 è pari, 3 è dispari... e 2,1 o 2,7?      
In quella zona intermedia tra l'esser pari e il divenir dispari, che accade?

Sì, se può interessare, la mia scommessa è sforzarmi per divenire davvero e totalmente me stesso, al punto di cambiare location senza virgole o decimali: sono nato tondo, decido di essere quadrato per risorgere triangolo.



Citazionee colgo l'occasione per chiedere a Duc  se può dire qualcosa sulla sua esperienza.

Certamente, con piacere e per dovere.

L'ultimo voce che ho ascoltato da cosciente in vita, di cui ricordo anche il timbro e l'incisività, è quella del carabiniere (che Dio gli renda merito ovunque si trovi adesso!) che diceva: "...non lo toccate, allontanatevi, nessuno lo tocchi!...", poi buio totale, non so per quanto tempo, poi la presenza di enti, entità, al mio intorno, che piano piano si defilavano alla mia destra e alla mia sinistra, lasciandomi libero come un varco centrale dove a poco a poco un leggero bagliore diventava sempre più luce bianca, non sfolgorante però. Poi le sagome ai miei lati prendevano linea, come l'omino della pubblicità storica della Lagostina (Mister Linea mi sembra si chiamasse), e prendendo forma assomigliavano agli alieni nani che escono dall'astronave ed accerchiano Richard Dreyfuss nel finale "d'Incontri ravvicinati del terzo tipo" di Spielberg. Solo che questi erano più alti, o forse ero io che ero sdraiato, visto che io avevo solo una nitida visione cosciente, ma non ho visto il mio corpo o ciò che ero in quel lasso di tempo.
Fatto sta che ho provato una certa trepidazione quando ho realizzato che mi osservavano telepaticamente, visto che non ho visto i loro occhi, anche se un senso di serenità pervadeva tutto il mio essere. Senso di serenità che è divenuto pace totale quando ho intuito, in piena consapevolezza, che tra loro c'era mia nonna materna (l'ultima persona che avrei immaginato), e mentre cercavo d'individuarla più nettamente e quindi, arditamente, di muovermi, di alzarmi, di fare qualcosa per cambiare quel mio essere stazionario, realizzo che sto morendo, che tutto sta cessando e che non sarei più stato quel determinato Duc, e che non sarei potuto tornare indietro, allora, inizio istintivamente a parlare con me dicendomi: "...o Duc datti da fare ..diamine, fai qualcosa, te ne stai andando Duc, ..cazzo Duc te ne stai andando, è finita!!..." - e mentre mi dimeno furente in una specie di paralisi del sonno (stato d'animo che poi sperimenterò chiaramente due volte negli anni a venire), che non permetteva ai miei ordini cerebrali di ottenere risposta dal corpo, sento una voce come a rallentatore che dice: "...co-o-o-o-me ti-i-i-i ch-i-i-a-a.mi-mi?...", "...qu-u-u-a-a-a-n-n-t-t-t-i  a-n-n-n-i h-a-a-i-i-i?..." - era la dottoressa dell'ambulanza e incomincio a dire: "...Duc! ..mi chiamo Duc, Duc in altum ...ho 38 anni!..." - ma lei e la collega non mi sentivano giacché io ascoltavo il loro confabulare, nel quale un preciso: "...lo stiamo perdendo, iniettiamogli questa tal medicina..." - ed in quel momento grido con tutto me stesso: "...mi chiamo Duc, ho 38 anni, sono ancora vivo ...sono ancora vivo cazzo!!..."
Fu allora che avvertii il ceffone più rinfrancante della mia esistenza. La provvidenziale professionista del 118 non poteva minimamente immaginare che i suoi ripetuti manrovesci, allorché intravide un mio debole ma considerevole ripiglio, mentre aprivo gli occhi e la fissavo sempre più lucidamente, erano un balsamo risanante e, allo stesso tempo, l'ok dell'atterraggio riuscito del mio rientro in quel che ancora oggi è Duc in altum.


P.S. = cavolo Jean, non pensavo di emozionarmi fino a piangere mentre ti scrivevo la mia risposta dopo 10 anni da quell'incredibile esperienza  ...grazie, ogni circostanza è un'opportunità!!
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

Jean

@Duc

Grazie a te per aver condiviso la tua esperienza nella zona intermedia.
Ci sono ormai migliaia di testimonianze in merito, ognuno può farsene l'opinione che crede ma non negare che all'avvicinarsi a quella zona, accada pur se non per tutti qualcosa di non immediatamente spiegabile. 
Al pari d'altre esperienze, senza preconcetti e partito preso, occorre tenerle in considerazione man mano che ci si addentra nel mistero della vita arrivata al suo confine.
Toccherà ad ognuno di noi di passar per quella zona e al riguardo non mi dispiacciono né le testimonianze  né lo scetticismo più irriducibile.  
(... certo che i ceffoni a volte servono, eh...  ;)  )


 
@sariputra e paul

L'esercizio dell'interpretazione, della lettura, sia di un racconto che di un'esperienza di vita o di sogno, ha una doppia faccia. 
Quella rivolta all'ascoltatore (all'osservatore, al pensatore, allo sperimentatore ecc...) e quella rivolta a chi la produca; a entrambi rivela la profondità dalla quale origina, dal sedimento di tutta una vita di conoscenze variamente acquisite.
 
Tuttavia le stesse non basterebbero a dar conto di un valore aggiunto che ho riscontrato nelle vostre. 
In differenti passaggi e con diverse prospettive qualcosa di quanto avete scritto è risuonato in me, sì che la vostra visione si è amalgamata al racconto, come s'amalgamano gli ingredienti (e le sensazioni...) per produrre qualcosa che non è più farina e miele, ma una torta... un intero ch'è diventato maggiore della somma dei costituenti. 
Lo scrittore è stato letto e il giudizio, quale che sia, l'accompagnerà, da tale alchimia non si torna indietro.


 
@Eutidemo

Più avanti riprenderò quanto abbiamo iniziato a discutere, quanto segue è di nullo valore razionale e d'esagerato... relazionale.

Giusto ieri un amico si è dichiarato fortunato di conoscermi... non me lo sarei aspettato ma essendo egli una persona idealista e di gran cuore posso capire come abbia voluto accontentarsi di un'occhiata superficiale alla mia persona. 
Non credo, sinceramente, di meritarmi un tale apprezzamento... ma sospinto da quell'errore ne faccio uno a mia volta, troppo presto dichiarando d'esser stato sul punto di provar qualcosa di morbido al tono della tua ultima. 

Con ciò provando l'imbarazzo d'aver dichiarato che il discuter di quanto non ci sia al di là della vita equivalga a elucubrare sul sesso degli angeli. 
Mi scuso dei termini non appropriati. 
Ogni questione ha pari dignità,  la si può scansare o ignorare (per incompetenza o altri motivi) ma non giudicare, hai ragione.


 
A tutti un grazie per la vostra disponibilità

Jean

Jean

Durante il corso della vita
è ignoto il fin e la dipartita
mente e cuor l'hanno capita
 

Avete letto tre (miei) versi in rima baciata, volutamente privi di punteggiatura. Inserendola sono possibili diverse interpretazioni, ad esempio:
 
DURANTE IL CORSO DELLA VITA
È IGNOTO IL FIN E LA DIPARTITA.
Mente e cuor l'hanno capita.

-        - Con ciò affermando che della vita non si conosca né il fine (scopo) né il termine (morte).
 

Vediamo una seconda possibilità:
DURANTE IL CORSO DELLA VITA
È IGNOTO IL FIN, e la dipartita
mente e cuor l'hanno capita.

-        - Qui solo il fine (scopo) della vita rimane ignoto, mentre è conosciuto il termine (morte).
 

Una terza possibilità:
Durante,  il corso della vita
è ignoto. IL FIN E LA DIPARTITA
MENTE E CUOR L'HANNO CAPITA.

-        - Nel vivere la vita (durante) solo il corso (gli eventi) è ignoto, scopo e termine son conosciuti.
 

Gli stessi versi, con punteggiature diverse, producono significati diversi.
Siamo ancora al solo livello letterale... come accennato da Donquixote in un'altra discussione, possono esserci altri (livelli) sotto a questo: allegorico, morale, anagogico. 
Che, a meno non l'abbia fatto inconsapevolmente, non sono codificati nei miei  scarni versi... ben diversamente da quelli immortali del Poeta, Dante, diminutivo di Durante... informazione questa che permette un'ulteriore interpretazione letterale (o forse allegorica), la seguente:

Dante,  il corso della vita
è ignoto. IL FIN E LA DIPARTITA
MENTE E CUOR L'HANNO CAPITA.

 
Questo mio divertissement, dedicato a Eutidemo,  mi auguro vi abbia incuriosito, pregandovi di considerarlo con leggerezza e non come l'intendeva Pascal:  "in filosofia, il termine divertissement è caratteristico ad esempio del pensiero di Blaise Pascal (1623-1662) per indicare ciò che allontana inutilmente l'uomo dalle inquietudini profonde della sua vita."

Con un altro scopo, oltre quello d'intrattenervi.

I versi, richiamando Dante, si ricollegano alla domanda di Eutidemo, che riporto:

Il viaggio di Dante, invece, fu realmente "sovrasensibile"; anche se tradotto in termini di una superlativa concretezza sensibile; i suoi personaggi, infatti, seppur morti, sono più "corposi" e "sanguigni" di quelli ancora vivi.
Quanto alla "selva oscura", secondo l'interpretazione prevalente, si tratta della "selva del peccato".
Tu dici che potrebbe anche intendersi come la zona intermedia, la nostra stanza di passaggio? 
Non saprei; però propenderei per il no, visto che Dante si trovò ad affrontare tale selva nel pieno rigoglio della sua vita ("nel mezzo del cammin di nostra vita").


per rispondere alla quale necessariamente occorre accennare alla interpretazione della sua opera fondamentale. 

Ma di interpretazioni ce ne son diverse... io propendo per quella di Luigi Valli (Roma1878 – Roma1931critico letterario e docente universitario italiano

Prima discepolo poi amico fraterno di Giovanni Pascoli, si distinse come filosofo, poeta e studioso di Dante Alighieri, dedicando la gran parte della sua breve vita per rivelare al mondo il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore:

cit:  La tesi dell'esistenza di un linguaggio segreto convenzionale di carattere mistico-iniziatico che si sarebbe infiltrato nella poesia d'amore italiana del Duecento e del Trecento dandole un significato completamente diverso da quello apparente (tesi che la nostra tradizione scolastica aveva finora ignorata o derisa senza mai discuterla), è posta dunque nuovamente con formule più precise, con argomentazioni più solide e ben più ricca documentazione.
Il mio libro Il linguaggio segreto di Dante e dei «Fedeli d'Amore» [1] ha avuto accoglienza assai diversa da quella che ebbero quasi un secolo fa i libri di Gabriele Rossetti nei quali quella tesi fu posta per la prima volta. Delle sue opere, la principale fu semplicemente bruciata [2]; le altre furono sepolte sotto molti insulti e molte ironie mescolate a qualche pretesa confutazione, condotta con assai più alterigia che onestà e serietà di metodo.

http://www.classicitaliani.it/Valli/valli_linguaggio_segreto_dante_05.htm#Note_aggiunte


una bella lettura, prima ancora che per gli argomenti, per la preparazione e la limpidezza di pensiero dell'autore.

Anche su questa rivista, Riflessioni, potete trovare del materiale non convenzionale su Dante:

http://www.riflessioni.it/testi/dante.htm


e chi volesse ampliare la ricerca può giungere all'ermetismo, ad esempio (sempre su Dante):

http://www.scuolaermetica.it/index.php?option=com_content&view=article&id=403:pietro-negri-il-linguaggio-segreto-dei-fedeli-damore&catid=9:testi&Itemid=40&jjj=1463515651138


e molto ancora... per dire che si conosce sempre poco di quanto ha animato e anima il cammino di conoscenza dell'uomo. 
Molti di quei cammini erano (e sono) per iniziati, qual era Dante, e all'interno degli stessi ci son regole e pratiche.

L'interpretazione (prevalente) della selva oscura qual luogo del peccato è sul piano allegorico, ad esempio:

Interpretazione complessiva
Il canto I dell'Inferno è di introduzione all'intero poema, presenta quindi la situazione iniziale e spiega le ragioni del viaggio allegorico: Dante vi compare nella duplice veste di personaggio reale, che in un determinato momento storico si smarrisce in una selva (a metà della sua vita, quindi nell'anno 1300 quando stava per compiere 35 anni), e in quella di ogni uomo che in questa vita è chiamato a compiere un percorso di redenzione e purificazione morale per liberarsi dal peccato e guadagnare la beatitudine. Sul piano allegorico, dunque, la selva rappresenta proprio il peccato (essa è infatti descritta come selvaggia e aspra e forte, spaventosa al solo ricordo e poco meno amara della morte stessa), mentre su quello letterale è un luogo in cui chi compie un viaggio rischia realisticamente di smarrirsi per essere uscito dalla diritta via, per cui i lettori del tempo di Dante potevano trovare familiare un paesaggio simile (all'epoca le zone boscose erano assai estese e selvatiche, come per esempio in Maremma: cfr. Inf., XIII, 7-9). 

E tuttavia sono riportate differenti interpretazioni (sempre dalla stessa fonte):

Note e passi controversi
Il v. 1 è stato interpretato da alcuni come in quella metà della vita che si trascorre dormendo (Dante racconterebbe una visione avuta in sogno), ma l'autore si rifà quasi certamente a un passo biblico (Isaia, 38, 10) dove si dice in dimidio dierum meorum vadam ad portas Inferi, cioè «andrò presso la porta dell'Inferno a metà dei miei giorni». Dante stesso, in Conv., IV, 23 descrive la vita umana come un arco che inizia a declinare dopo i 35 anni di età, senza contare che descrive il suo viaggio come realmente avvenuto (egli è andato sensibilmente nell'Aldilà). In Ps., LXXXIX, 10 si legge inoltre che dies annorum nostrorum... septuaginta anni («la vita dell'uomo dura settant'anni»), per cui è evidente che Dante intende collocare il suo viaggio nella primavera dell'anno 1300.
http://divinacommedia.weebly.com/inferno-canto-i.html
 

Questa è la mia interpretazione:

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita. 


Allegoricamente, la zona intermedia, posta in mezzo tra la veglia (la via diritta, stato di veglia, il giorno) e il sonno. 


Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura! 


Un ambiente che pare più reale di quello quotidiano, nel quale gli elementi costitutivi appaiono ostili.                
              
                                     
Tant'è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,
dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.  

    
Tutto è spiacevole, amaro al massimo grado... e tuttavia quel luogo conduce anche a (molto) altro.


Io non so ben ridir com'i' v'intrai,
tant'era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai. 


Prima di iniziare a descrivere il suo "viaggio", dice che il "sonno" l'ha strappato del tutto alla possibilità di risvegliarsi. Una delle interpretazioni (tuttavia la più seguita) è:

cit. "Il sonno del peccato"
La metafora del sonno usata per indicare il peccato ha anch'essa diversi precedenti scritturali; ricordiamo tra essi la parabola delle vergini sagge e delle vergini dormienti (Matteo, 25) e la lettera di San Paolo ai Romani (XIII, 11): « hora est jam nos de somno surgere. Nunc enim propior est nostra salus, quam cum credidimus» [« è ormai tempo di svegliarci dal sonno, perché la nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti» ]. 

Mi permetto di rilevare che ciò (nei versi di Dante) implica che il "peccato" dovrebbe aver a tal punto corrotto il Poeta da strapparlo del tutto alla retta via. 
Strano che invece d'essere condotto ad un cammino di redenzione gli venga (niente di meno) concesso un viaggio Divino. 
E nella vita reale Dante non si riteneva certo un peccatore di tal portata, tutt'altro.
 

Ma poi ch'i' fui al piè d'un colle giunto,
là dove terminava quella valle
che m'avea di paura il cor compunto,      15

...........
così l'animo mio ch'ancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva.   
   27

un ultimo sguardo al passaggio... che a questo punto si palesa di tutt'altro tipo che quello prodotto dal sonno, ritrovandosi ora nell'aldilà, donde non si ritorna... a meno non si tratti di un aldilà non del tutto compiuto.

Nella prospettiva iniziatica ci sono prove al limite del possibile, dalle quali si ritorna cambiati. 
Come ritornano cambiate molte persone dopo un'esperienza di pre-morte.

Riassumendo, al percorrere una strada se ne aprono innumerevoli altre... ad esempio,  un'ipotesi sulla interpretazione della Commedia da parte del compianto Umberto Eco:
http://paolofranceschetti.blogspot.it/2010/06/il-nome-della-rosa-e-i-misteri-della.html

... un altro (poco conosciuto) cammino di conoscenza, che richiede studio e applicazione.
E forse, ancor più,  una certa dose di "flessibilità" che impedisca d'aderire del tutto a una sola direzione (di ricerca).
Tutte buone, tutte escluse... sinché non rimanga quella che ci sia peculiare, al di là di tutte le altre.

Abbiamo appena iniziato un viaggio.


 
Cordialmente

Jean 

Jean

Il luogo della narrazione


Aprite un libro (o un computer) e iniziate la lettura, diciamo di un racconto, se non un più corposo romanzo.
Man mano incontrate i personaggi, ne scoprite le caratteristiche fisiche e/o psicologiche, le modalità di interrelazione tra loro e con l'ambiente... e più o meno intensamente aderite alla realtà proposta.
Poi si fa tardi, siete stanchi oppure avete degli impegni... comunque sia il libro vien chiuso e la lettura interrotta.
 
Alle 12.30 del 22 novembre 1963 il presidente fu ferito mortalmente da alcuni colpi di fucile. Avevo quasi 10 anni e alla sera guardai il reportage alla televisione. Si fece tardi e dovetti andar a letto, ancora non si sapeva che le ferite non lasciarono scampo all'uomo che, supportato dal fratello e qualche altra persona assennata, evitò un confronto militare con la Russia che non si sarebbe limitato alle sole armi convenzionali. Il mondo, per come lo conosciamo, fu ad un passo dalla fine.

Al tempo non comprendevo di armi nucleari e problemi connessi, ma percepivo l'importanza  di quel presidente, così la mattina dopo riandai alla televisione per
sapere come erano andate le cose.
Ricordo distintamente d'aver avuto il pensiero che al riaccendere la televisione sarebbe continuato il flusso delle immagini, suoni e notizie, allo stesso modo di quando vien riavviato un proiettore (con la sua pizza d'un film) che per qualche motivo è stato spento.

Naturalmente avevo il concetto del tempo, sapevo che il mondo continuava anche se momentaneamente non ne avrei fatto parte in modo cosciente (causa il dormire), tuttavia, sarà stata la relativa novità del mezzo tecnologico (televisione), chissà perché mi attendevo che a causa del mio interesse – riaccendere la tv – riprendesse il flusso della... narrazione dal punto interrotto, allo stesso modo di quando si legge un libro, che par quasi vi aspetti per continuar la storia.
 
Il film e il suo spettatore, il libro e il suo lettore... ma prima che (il senso della presenza del) l' io s'implementi stabilmente nel nostro corpo organico, non ci son né libri né film; al più, all'avvicinarsi a quell'evento, aumentano gli spezzoni o i brani di qualche pagina registrati dalla memoria. 
Poi, come mi par qualcuno dica, si vien gettati nel mondo e via a leggere, o guardare, se preferite.

Quel che cattura il mio interesse è la sensazione, pur se non continua, di vivere la mia storia, la mia narrazione, contemporaneamente  all'osservarla. 
Così che mi son domandato una cosa molto semplice: se anche per un breve istante la potessi prevedere significa che è già stata scritta (o filmata/girata, ma da qui farò riferimento solo all'analogia "cartacea",  per non duplicare inutilmente l'esempio) e che il mio ruolo, il ruolo dell'io, sia quello del lettore che scorre le pagine del suo proprio libro.

Adesso mettiamo a confronto una caratteristica (per il momento) delle differenti realtà, come le ho chiamate, quella letteraria e la reale (intesa come quotidiana, notando nel farlo delle assonanze col percorso deduttivo di Andrea Molino e Donalduck).

Quella che chiamo "ricchezza espositiva", che si raffigura nella presenza di molteplici dettagli. In campo letterario personalmente non son portato a servirmene più dello stretto necessario ma riconosco un indubbio talento a scrittori quali H.Hesse nel descrivere ad esempio un fiore,  addentrandosi sempre più nella sua struttura (quasi usasse uno zoom) e contemporaneamente inserendovi delle "pennellate emotive".  
Beh, dipende da come vi approcciate all'osservazione di un fiore, quella di Hesse per molti è addirittura superiore alla propria esperienza. 
Per altre cose sarà diverso.

Per me i particolari o i dettagli, rivestono una certa importanza, e prima di procedere, visto che è estate e mi auguro abbiate del tempo libero, vi riporto qui sotto un resoconto d'altri che vi hanno prestato analoga attenzione:
 
Parliamo dell'abusata citazione "Dio è nei dettagli"; una di quelle frasi che tutti usano e quasi tutti fanno finta di capire. E invece ha almeno 3 significati molto diversi, a seconda delle versioni e delle attribuzioni: a Gustave Flaubert  ("Dieu est dans le detail"); ad Aby Warburg ("Gott ist im detail")  e a Mies Van der Rohe ("God s in the details").
1) Gustave Flaubert è il padre del romanzo moderno, siamo nella Parigi secondo Ottocento, caput mondi  per artisti, scrittori, sovversivi, avventurieri, imprenditori; con Madame Bovary Flaubert ha creato non solo il modello nella nuova donna, psicolabile e "fashion victim" ante litteram,  ma il modello del nuovo romanzo;
la lezione del maestro Flaubert è condensata in un slogan, "occorre far parlare le cose": è la tecnica narrativa che sarà poi la base  del cinema e della pubblicità.
Dalla descrizione della spazzola di Madame Bovary percepiamo l'inquietudine della donna moderna con più forza e più precisione rispetto a un'astratta e prolissa descrizione psicologica.
Attorno a Flaubert si ritrovano una serie di "nipotini" di grande futuro, Maupassant, Zola, Hugo, tutti i protagonisti del nuovo realismo.
Lo scrittore moderno è un selezionatore, un decoder, che costruisce una storia mostrando oggetti e fatti. Non è più il Dio onnisciente manzoniano, che vede tutto dall'alto.
Un giorno Maupassant chiese al maestro: "Dunque Dio è morto?"
No, rispose Flaubert, Dio non è morto:  Dieu est dans le detail.
2) Aby Warburg è il padre della critica d'arte contemporanea, siamo ad Amburgo nel 1925, attraverso una serie di conferenze Aby Warburg diffonde la sua fondamentale teoria sull'arte e l'architettura occidentale  come continua ripetizione di archetipi ricorrenti: proprio  dall'analisi dei dettagli si rintracciano una serie di rimandi, nei dettagli si nascondono stratificati significati simbolici ma anche diabolici:
il diabolon è un segno di doppiezza, che divide e falsifica, frammenta e disperde, il simbolon è la metà di un segno, che rimanda a un insieme originario autentico.
Warburg faceva l'esempio degli ornamenti architettonici – siamo nell'epoca del liberty simboli autentici di una realtà perduta, quando sono in rovina,  che diventano doppi e falsi quando vengono "restaurati" o "rifatti in stile", tramutandosi da simboli in diavoli.
Per rendere chiaro il concetto, Warburg riprese Flaubert, e disse: non solo Dio è nei dettagli ma anche il Diavolo è nei dettagli!  Di fatto, la sua frase rese celebre il motto di  Flaubert, e lo diffuse nella lingua tedesca (Gott ist im detail!)
3) Mies Van der Rohe è il padre dell'architettura contemporanea: siamo a Chicago attorno al 1960, Mies Van der Rohe insieme a Gropius,  Aalto e Wright è considerato il padre del movimento moderno,  già direttore del Bauhaus, quindi emigrato negli Usa a causa del nazismo,  è il capostipite nobile dell'archistar-guru contemporaneo.
Tutta la sua filosofia è in due celebri slogan: "less is more", manifesto del minimalismo,  del sottrarre funzione alla forma per arrivare a dare forma alla funzione, quasi come se l'architetto fosse Dio, e a precisare la questione se l'architettura sia la divinità dell'uomo razionale, Van der Rohe pronunciò quello che divenne il suo secondo slogan:
"God is in the details", Dio è nei dettagli, intendendo però dire l'esatto contrario  di quanto disse Flaubert: se per Flaubert Dio si rivelava nei dettagli, segnali e simboli di un'unità superiore,  per Van der Rohe i dettagli, ossia l'assenza di dettagli, o comunque la non manifestazione dei dettagli, rappresentano e significano l'assenza di Dio, o la sua non visibilità.
Dunque: per Flaubert dai dettagli si capisce la qualità divina di una creazione; per Warburg nei dettagli inutili, decorativi, si nasconde il Diavolo; per Van Der Rohe la perfezione divina è nella non visibilità dei dettagli, corrispondente alla non visibilità di Dio, il vecchio Dio absconditus. E quindi, oggi, la cura per ogni dettaglio è proprio nell'evitare di far vedere i dettagli!

http://calepiopress.it/2015/03/16/cosa-vuol-dire-dio-e-nei-dettagli/



Eh già, i dettagli "significativi" sembrano appartenere a  Dio mentre quelli inutili o decorativi  al Diavolo (riporto come scritto nell'articolo, Giona non me ne voglia), ma come avete letto, non tutti la pensano (o li vedono...) allo stesso modo.

Nel ripromettermi di tornare sull'argomento (qui o in qualche altra sezione del forum) diciamo che la "ricchezza espositiva" di un'opera letteraria può competere, aumentandone la quantità di dettagli, con quella dell'esperienza "reale".

E cosa sono i dettagli se non "informazioni" variamente codificate?

È un discorso lungo e scarse son le mie forze, ma col mio strisciar di lumaca vi porterò (alla mia visione dell') all'al di là dell'aldilà...


 
Cordialmente

Jean

paul11

#21
Caro Jean,
i dettagli mi hanno portato ali minimalismo.
Penso che un grande scrittore debba avere le qualità del grande pittore.
Ci sono pittori che inseriscono nei dettagli i simboli, e nel dipinto il paesaggio, l'ambientazione, i protagonisti.
Intendo dire che c'è in un romanzo, ma direi anche nella musica dove il tema dominante lascia degli spiragli dove improvvisamente, cambiano ritmi, strumentazione, ma sempre dentro il tema. una modalità in cui lì'autore prende per mano e ci porta a leggere ciò che è sua intenzione mettere in risalto.E' filosofico il concetto, c'è un tutto e ci sono i particolari, dove la bravura dell'artista è costruire assonanze e dissonanze fra il particolare e il "generale"
Oppure il focus è veramente nel minimalismo, ma il significato è la perdita del quadro generale di riferimento.
Insomma, si può volutamente sfocare il quadro generale ed esaltare il particolare, oppure il contrario, oppure in assonanza armonica il generale e il particolare, o in dissonanza per mettere in risalto il contrasto.
Non ti sembra che per certi versi corrispondano alle correnti artistiche e filosofiche, quindi culturali?
Il dove pongo lo sguardo è il focus che esalto tralasciando, separando evidenziando.

Sembra che il romanzo occidentale abbia avuto una grande spinta proprio dal logos greco, dalla separazione
dell'astratto e dal mondo.Qualunque oggetto prelevato da uno dei domini nel momento in cui lo trascendo nell'altro dominio lo significo.Ecco perchè il diavolo è spudorata esaltazione, Dio è il nascosto disegno dell'imperscrutabile.
Ogni cosa ci parla simbolicamente fra i domini e sai bene che della psiche è proprio il simbolo il significante per antonomasia.

Andrea Molino

Saluti a tutti e in special modo a Jean!
Arrivo solo ora, dopo essere passato Al di Là delle ferie... ;)


Tranquillizzo subito tutti dicendo che non intendo ribadire la mia opinione su cosa ci sia Al di Là o Al di Quà, ma mi permetto un piccolo intervento essendo stato citato da Jean ed essendo abbastanza impegnato sull'argomento...


Mi scuso in anticipo con Eutidemo perché tutti i miei commenti riguardano le sue affermazioni, ma al momento sono le uniche che hanno stimolato la mia vena polemica.

Riguardo alla scrivania di Eutidemo:

  • Posso affermare che sopra la scrivania ci sono sicuramente: aria, polvere e batteri
  • Posso affermare che molto probabilmente c'è un computer che sta usando per intervenire in questo forum
  • Non posso affermare che NON ci sia un palazzo di 30 piani perché ad esempio sulla mia, c'è l'Empire State Building (modellino) che di piani ne ha 103

Riguardo al disco rotto che non suona più:
   OK, ma perché il disco sul grammofono dovrebbe essere considerata una rappresentazione corretta della coscienza umana?
   Io utilizzerei una di queste: 

  • Il turista sale sull'autobus. L'autobus si rompe e il turista scende ed aspetta il successivo oppure prende un taxi o noleggia un auto....
  • Metto un disco sul grammofono. Il grammofono si rompe e mi compro un giradischi nuovo.

Riguardo all'Io che può sparire temporaneamente per varie cause:
  Non è che la gente non sappia fare 2+2=4, quanto piuttosto che ognuno usa il proprio punto di vista:

  • Tu noti che l'Io cosciente può sparire quindi ritieni che prima o poi sparirà per sempre
  • Altri notato che l'Io cosciente può riapparire dopo essere sparito quindi ritengono che potrà riapparire indefinitamente

Aggiungo che le battaglie verbali possono essere divertenti, ma difficilmente sono produttive, perché il loro scopo è battere l'avversario non progredire nella conoscenza.

anthonyi

L'oggetto del forum mi sollecita una possibile risposta. E se al di là dell'aldilà ci fosse l'aldiquà. In caso affermativo questo chiuderebbe il cerchio, che invece rimarrebbe immancabilmente aperto se la risposta fosse negativa. Solo in quest'ultimo caso, i contenuti propri dell'aldilà sarebbero importanti, per questo che questa è una risposta fondamentale.

Jean

sevgili arkadaşım paul,

i dettagli e il quadro, il particolare e la visione globale nel caso della pittura e, come ben dici, nella musica e nella scrittura. 
Per focalizzare l'uno si perde necessariamente l'altro, come nel famoso principio d'indeterminazione in campo scientifico, che non permette la contemporanea stima di posizione e velocità d'una particella.

Il movimento dell'osservazione  (uno spostamento continuo dell'attenzione dall'istante percepito – forma, colore, suono o parola – al successivo) se vuol cogliere entrambi deve giocare sulla prospettiva. 
Ma come hanno ben insegnato i tre giganti del Rinascimento maturo: Leonardo, Michelangelo e Raffaello (e poi la pittura tonale veneta del cinquecento), è possibile  svincolarsi dalla rigidità di quella solo geometrica dovuta ad elementi architettonici (vie di fuga) intervenendo sulla separazione delle superfici, sullo sfocamento progressivo e sulla differenziazione delle aree luminose ed in ombra.

In tal modo il focus non è statico, ma al pari d'un respiro segue la percezione che è un continuo rinnovarsi nel tempo e giustamente osservi come nell'impadronirsi di un oggetto focalizzandolo, esso vien "prelevato" da un dominio e posto in un altro.

Le differenti realtà di cui parlo son a loro modo dei domini, sì che quanto detto può ottenersi anche con esse, "giocando prospetticamente". 

Questo è uno dei motivi del mio scrivere "narrativamente", non per esibire o distinguermi, ma perché corrisponde alla mia modalità percettiva, spostandomi in continuazione  nelle (almeno) due realtà. 
Sul simbolo non si può che convenire.



Merhaba Andrea,

per quel che mi riguarda non hai bisogno di tranquillizzarmi, puoi esprimere quello che vuoi ed io prendere quello che mi corrisponde... non amo la censura e volutamente ho salutato te e Paul nella lingua Turca, un popolo oggi sottoposto ad una durissima prova, specialmente chi lavora nell'informazione.

Riguardo la scrivania di Eutidemo me la immagino in flatlandia (non essendo stato esplicitamente vietato)... solo due dimensioni, che non permettono la terza neppure per le microscopiche particelle di polvere o batteri... di più, neppure per lo spessore infinitesimo delle molecole e atomi dei gas dell'aria. 
Beh, ovviamente neppure un mastodontico computer (relativamente ai batteri)...

Invece lì sopra c'è un foglio, piatto ovviamente, con scritte queste parole:

Per la tua mania 
di vivere 
in una città 
guarda bene come "cià" (ci ha) 
conciati 
la metropoli. 
Belli come noi 
ben pochi sai 
ce n'erano 
e dicevano 
quelli vengono dalla campagna. 
Ma ridevano 
si spanciavano 
già sapevano 
che saremmo ben presto anche noi diventati 
come loro. 
Tutti grigi 
come grattacieli con la faccia di cera 
con la faccia di cera 
è la legge di questa atmosfera 
che sfuggire non puoi 
fino a quando tu vivi in città. 
Nuda sulla pianta 
prendevi 
il sole con me 
e cantavano per noi 
sui rami le allodole. 
Ora invece qui 
nella città 
i motori 
delle macchine 
già ci cantano la marcia funebre. 
E le fabbriche 
ci profumano anche l'aria 
colorandoci il cielo di nero che odora di morte.
Ma il Comune 
dice che però la città è moderna 
non ci devi far caso 
se il cemento ti chiude anche il naso, 
la nevrosi è di moda: 
chi non l'ha ripudiato sarà. 
Ahia, non respiro più, 
mi sento 
che soffoco un po', 
sento il fiato, che va giù, 
va giù e non viene su, 
vedo solo che 
qualcosa sta 
nascendo... 
forse è un albero 
sì è un albero 
di trenta piani.


Non continuo col divertissement per non indurti a pensare che ti stia canzonando (visto che il testo sopra è  appunto una canzone ...), se mi sono permesso è perché sei tornato fresco dalle ferie e volevo mantenere il dialogo in un tono leggero, confidando nel sens of humor di Eutidemo...



Ziyaretiniz için teşekkürler, Antony

La tua è una risposta sibillina, non potendo far esperienza (al momento... e speriamo ancora per un bel po'...) neppure dell'aldilà, il cerchio non si chiude né rimane aperto... cosa intendi per contenuti propri dell'aldilà, puoi approfondire?  
 



Cordialmente


Jean

Jean

Rimettere mano a qualcosa che per qualche motivo abbiamo lasciato in sospeso e` un po` come rimettersi in viaggio, dopo una sosta voluta o forzata. 
C'è da riprender confidenza col sentiero, indossare (le avessimo tolte) l`adeguate calzature e sì, un bel respiro e alzar la gamba, per il nuovo primo passo... o appoggiar la penna, per disegnar  misteriosi simboli che aggregati formeranno parole, come queste.

Dov'eravamo prima è l'al di là dell'adesso, il qui e ora da cui si può procedere verso un altro, differente aldilà. 
La difficoltà nel tentare di figurarsi un al di là dell'aldilà risiede nel fatto che comunque la rigiriamo rimaniamo  imprigionati dentro un movimento che coinvolge la freccia del tempo nelle sole due direzioni permesse, passato e futuro.

Un viaggio fisico è soggetto alle  condizioni  del luogo ove avviene, che è lo stesso per tutti i viaggi nel nostro mondo e nell'universo conosciuto, lo spazio-tempo, secondo l'interpretazione prevalente, anche se "conosciuto" è una visione alquanto ottimistica. 

La topologia ci insegna che non abbiamo alcuna possibilità di avere una "visione" riguardo la forma del nostro universo rimanendo in esso, potendo anche esser ripiegato una o innumerevoli volte su se` stesso, ipotesi che potrebbe giustificare  quanto ho scritto nel mio ultimo post nella sezione viaggi  (famolo strano...) , dove mi piaceva pensar che qualcosa delle nostre vite, dei nostri atti, possa rimaner intrappolato nella "struttura universale", eventualità che per quanto remota (sarà poi davvero cosi`?) non si può escludere, appunto non conoscendo tale struttura. 

Per conoscerla c'è  un solo modo, quello di collocarsi  al di là di essa, in una dimensione superiore, allo stesso modo che per conoscere un universo bidimensionale occorra osservarlo da un livello a tre dimensioni (da un universo tridimensionale).  

Spostarsi di livello potrebbe essere una delle poche se non l'unica soluzione laddove tutte le strade riconducono all'inizio,  un po' come accade nelle discussioni filosofiche o spirituali, quando gli interlocutori non riescano (evento ricorrente) a mescolare le proprie "soluzioni" con quelle altrui per ottenerne una del tutto miscibile (omogenea) invece di stratificare una sopra l'altra, secondo la propria caratteristica (logica interna), come l'olio sopra l'acqua.

Come ottenere una soluzione omogenea tra acqua e olio? 
Si può ottenere solo spostandosi di livello, fornendo energia per far passare alla fase gassosa le due sostanze, così da avere una miscela gassosa perfettamente omogenea... ma bisogna accettare di perdere le proprie prerogative  "liquide" per acquisire quelle gassose (modificando la propria logica interna).  

Per spostarsi di livello (un altro tipo di viaggio...)  a volte  occorre rimettere tutto in discussione e valutare in un contesto differente le informazioni di cui si dispone, similmente all'edificare una struttura portante  (costrutto) che andrà poi tamponata con quelle (informazioni). 
L'opera di molti artisti innovativi origina da queste premesse al pari di quella di grandi pensatori, filosofi ecc. che adoperano il materiale di cui  dispongono (l'esperienza dei predecessori) mescolandolo con quello che un'intuizione o un ragionamento ha fatto scaturire da loro stessi... ottenendo un risultato che appare una diversa costruzione, un'architettura che può apparir balzana, fuori dalle regole o troppo ardita, avveniristica in certi casi.  
Beh, facile immaginarsi le difficoltà che incontreranno... Van Gogh ha venduto un solo quadro in vita...


L'amico Andrea Molino si è cimentato in qualcosa del genere quando ha elaborato e proposto la sua soluzione al problema umano (Stiamo vivendo una di tante vite in un Universo Virtuale ) e dal mio punto di vista il suo "spostarsi di livello" ( al di là del presunto aldilà...) compensa ampiamente i punti deboli del suo costrutto. 

Così quello che appare come un gioco di parole, lo scioglilingua con cui ho titolato la presente discussione, si rivela congruo in ordine all'ottenere informazioni su qualsiasi cosa, poiché solo un cambio di prospettiva, di livello, potrebbe permettere d'osservare quelli sottostanti. 
Uno dei maggiori impedimenti nel realizzarlo, o almeno di considerarlo possibile, risiede nella forza dei paradigmi che modellano le nostre esperienze, la nostra vita. 

Volenti o meno procediamo lungo le loro strade, tanto più se a causa di ciò ne consegue l'impressione (o l'illusione) di comprendere il senso degli eventi che capitano a noi e al mondo. 
Il proverbio che afferma non vi sia peggior sordo di chi non vuol sentire rivela la fondamentale condizione psicologica umana, il desiderio di sicurezza (e la conseguente tendenza all'inerzia)... che potrebbe dissolversi all'arrivo di una informazione superiore più potente (convincente). 

Guardando alla storia della scienza è palese la difficoltà (eufemismo) che ogni nuovo e più valido paradigma ha dovuto affrontare almeno per farsi strada, che poi per sostituire del tutto quelli meno validi dipende da molti fattori, interessi e poteri.

Anche questo dei cambiamenti di paradigma è un viaggio, un signor viaggio, che prima o poi andrà a modificare nel profondo la struttura conoscitiva della mente umana, sempreché l'umanità non sia in vista del capolinea, eventualità non del tutto da escludere...peccato, nel caso.

Il mio post "famolo strano... questo viaggio" anticipava quanto ora vado dicendo, che ci son tanti modi di viaggiare e che anzi, tutto non sia che un viaggio, uno spostarsi continuo da un punto all'altro, da una convinzione, una situazione... ad una differente. Il divenire non e` che un viaggio... che contiene la narrazione di ogni spostamento di qualsivoglia natura, ma per "leggerlo" (o "viverlo") occorre il tempo (un'altra dimensione) , senza il quale resterebbero una collezione di istanti, dei fotogrammi che alcuno, facendo scorrere le pagine del libro ove giacciono, riporterebbe in "vita".   

Ma quando la realtà fisico-mentale dell`uomo giunge alla sua conclusione siamo del tutto certi che quel movimento, in questa realtà e collocazione, sarà, per come lo conosciamo, definitivamente terminato. 
La domanda è se, in un modo che "non conosciamo",  per qualcosa di quel che ha riguardato la nostra vita, i nostri sentimenti e atti, non vi sia un definitivo arresto. Dove e come trovare risposta a una  domanda che riguarda un ambito solo immaginabile (l'aldilà)?

Potremmo partire con la constatazione che sin dalla notte dei tempi l'uomo si è posto una tale domanda e poco importano le diverse motivazioni che l'hanno spinto a porsela, se per fede, per scienza, per paura, per filosofia... per gioco, anche. 

Nella mente (coscienza o qualsiasi altro nome preferiate) c'è questa domanda che affiora in ognuno di noi; anche chi escluda ogni chances, nel porsela e sbarazzarsene, gli fa percorrere un (limitato/piccolo) "viaggio" (a tale domanda) in lui. 
Ma per altri quella domanda procede e procede... e ha prodotto (o contribuito allo sviluppo del) la filosofia, la spiritualità e anche la scienza, che originando da antichi saperi (alchimia, astrologia ecc.) ritorna oggi sui suoi passi e discetta di coscienza e di Dio, abbandonato il timore d'andar oltre i limiti suoi propri... chi li ha stabiliti?

Che si possa spiegare la vita con Darwin o in qualunque altro modo è una ricchezza: la pluralità dei punti di vista, degli approcci, si può considerare come la biodiversità della coscienza umana, che va incoraggiata e non costretta, appunto, da dogmi e paradigmi. 
Ovvio che per calcolar traiettorie si userà sempre la meccanica classica di Newton e per particelle quella quantistica, come si adopera l`attrezzo adeguato secondo il lavoro da svolgere.

Così viaggiare, in questa accezione estesa, è compiere un qualsivoglia tragitto/movimento fisicamente, mentalmente... emozionalmente e in ogni altro modo, se c'è. 
Tutti questi movimenti  secondo la mia visione lasciano delle tracce (un punto "d'informazione" nel caso più semplice, delle "scie" negli altri) nel tessuto spazio-temporale dell'universo. 
Una di queste tracce, che procede dagli albori dell'umanità, riguarda l'interrogativo in merito alla nostra collocazione e alle caratteristiche del luogo che permette la nostra esistenza. 
La terra da piatta e` divenuta tonda e all'universo e` stata aggiunta la dimensione temporale... quell'interrogativo ha percorso, indubbiamente, un bel tragitto, ma come sempre accade la risposta ad una questione non è che la porta per la successiva e al momento siamo ancor lontani dalla soluzione riguardo la forma dell'universo e quali i suoi limiti, se vi sono.

Le persone non interessate a tali questioni pensano che l'universo sia una palla enorme che contiene galassie che contengono stelle ecc. e paghi dell'apparente senso di sicurezza  prodotto da una visione semplificata delle cose non scorgono una qualche utilità nello studio e nella ricerca di matematici, uomini di scienza e di cultura. 

Ma l'universo non è affatto semplice, oltre alla dimensione   temporale  contiene mostri di inaudita potenza...  e sollecita le menti sensibili a cimentarsi con i suoi misteri.  
Qual è il motivo di tanto interesse e dedizione, perché molte persone arrivano a spenderci la propria vita?

Alla prossima.

 

 

Cordialmente

Jean

 

 

 

Numerosi studiosi hanno sostenuto in modo convincente che l'universo immaginato da Dante nella Divina commedia è una 3-sfera (anche se, naturalmente, egli non usava questo termine). Dopo essere risalito dall'inferno fino alla superficie della Terra e aver raggiunto la sommità del monte del purgatorio, nel «Paradiso» Dante ascende attraverso i gusci sferici concentrici in cui si trovano i vari pianeti, supera il cielo delle stelle fisse e raggiunge il Nono Cielo, o Primo Mobile. Qui, in cima al Primo Mobile, egli contempla assieme all'amata Beatrice sia la metà dell'universo che ha appena attraversato (guardando verso il basso), sia l'altra metà, quella celestiale, che consiste in una serie di gusci sferici concentrici dove vivono gli angeli, poi gli arcangeli e quindi, procedendo verso l'interno, le schiere angeliche di grado più elevato. La sfera bidimensionale posta al margine esterno di quel guscio sferico che costituisce il Primo Mobile corrisponde all'equatore; da lì lui e Beatrice osservano l'universo. La Terra (e l'inferno al suo centro) si trovano a un polo, mentre all'altro polo c'è il regno dei serafini.  

Estratto da "La congettura di Poincaré", di DONAL O'SHEA

Jean

Da dove veniamo, che siamo, dove andiamo?
 
... è il titolo d'un famoso quadro (forse il più famoso di Paul Gauguin) e da qualche parte ho evidenziato come non c'azzecchi poi molto quel "che siamo", proponendo di sostituirlo con "dove siamo", per riportare il viaggio (della vita umana) al momento presente, come fa un quadro riproducendo il fotogramma di un unico momento.

Dei molti che si son cimentati con l'inafferrabile questione del "chi siamo" i più non ne hanno cavato un ragno dal buco e i pochi che ne han tratto qualcosa - pur se non l'altrettanto inafferrabile (uomo) ragno – al massimo possono condividerne una descrizione, affermando come conti l'esperienza diretta, personale.

Tali persone son considerati Maestri, Guru o saggi ma per quanto li frequentate, aderendo alle loro suggestioni e/o indicazioni, non potranno farvi andar al di là di voi stessi. Semplicemente perché non tornereste indietro... e quelli che son tornati non son andati... applicandolo a loro stessi...

Forse la questione del "chi siamo" se non è stata sinora risolta potrebbe non esserlo neppur in futuro, così vi propongo di lasciarla in sospeso e porvi la domanda di "dov'è quel chi siamo", considerato che pur senza conoscerci come vorremmo, tuttavia disponiamo di un certo margine d'azione.

Col tempo, riferito alla mia persona, l'impressione di trovarmi dentro a un corpo è andata crescendo così da permettermi di distinguere diversi operatori quando interagisco con gli altri, con me stesso e con me stesso in riferimento agli oggetti.

Quello che una volta appariva come un piccolo spazio (o un piccolo intervallo di tempo) dove si svolgeva la faccenda si è ampliato rivelando la simultanea presenza di un io (me) che agisco/reagisco, dell'osservatore di tutto il fenomeno... e di una traccia che ne guida il percorso e l'evoluzione. 
E naturalmente, alla base di tutto, di un corpo che sostiene l'intera esperienza.

Facendo ricorso ad una metafora è come l'apertura di un sipario, appaiono gli attori e le parti che recitano mentre qualcuno guarda lo spettacolo... ed è palese non si tratti di assoluta improvvisazione. 
Il teatro è il corpo.

Il corpo sostiene l'intero evento/fenomeno attraverso un flusso continuo di (scambio di) informazioni tra tutte le componenti coinvolte. Qualcosa, che ha un corrispettivo organico, funge da interfaccia e almeno al livello più immediato le informazioni assumono/hanno  la forma del linguaggio appreso.
 
La molteplicità degli operatori in gioco esclude il dualismo corpo-mente ma al momento non sento di escludere del tutto che la sensazione dell'esser presenti - quello che  Ryle ha chiamato il fantasma nella macchina, dandone una mera connotazione biologica - non possa, in particolari situazioni, condurre ad un soggetto al momento al di là della capacità di "misura" dei nostri strumenti (mentali).

Mi sono imbattuto nell'opera di Ryle e ne riporto qui sotto un estratto da Wiki:
 

La filosofia come cartografia

La filosofia tradizionale concepiva il compito del filosofo come lo studio degli oggetti mentali invece che fisici. Ryle sostenne che non era più possibile per i filosofi credere ciò. Invece di questo, Ryle osservò la tendenza dei filosofi ad investigare su oggetti la cui natura non era né fisica né mentale. Ryle pensava invece che "i problemi filosofici sono problemi di tipo particolare, non sono problemi ordinari riguardanti enti speciali".

Ryle propone l'analogia della filosofia come cartografia. Chi ha competenze in un certo linguaggio, secondo Ryle, sta a un filosofo come gli abitanti di un villaggio a un cartografo. Gli abitanti del villaggio hanno una certa competenza riguardo al proprio villaggio, conoscono abitanti e dintorni. Se venisse loro chiesto di consultare una mappa per desumerne lo stesso tipo di conoscenze, incontrerebbero problemi finché non riuscissero a correlare e tradurre le loro conoscenze pratiche in simboli cartografici. L'abitante del villaggio concepisce il villaggio in termini pratici e personali, mentre il cartografo lo concepisce in termini neutrali, pubblici e astratti.

Stilando una "mappa" delle parole e delle frasi contenute in determinate espressioni, i filosofi possono generare quelli che Ryle chiama "fili d'implicazione". In altre parole, ogni parola e frase di un'espressione contribuisce all'espressione in modo tale che, se le parole o frasi fossero mutate, l'espressione avrebbe un'implicazione diversa. Il filosofo deve mostrare le direzioni e i limiti dei diversi "fili d'implicazione" che un "concetto contribuisce alle espressioni in cui compare". Per mostrare ciò, deve "strattonare" i fili contigui, che, a loro volta, propagano gli "strattoni". La filosofia quindi indaga il significato di questi fili d'implicazione nelle espressioni in cui sono usati.
 

Mi piace l'analogia con la cartografia (e, per estensione, con la topologia che ancor più m'affascina) perché si confà al tema introduttivo di questo post e dell'intero topic, quel "dove siamo" dal quale riprenderò in seguito il discorso, avvalendomi delle squisite e preziose suggestioni (di Ryle) sopra riportate.
 
 

Una buona domenica a tutto il forum.
 

Jean

sgiombo

#27
Per quel poco che ho letto su di lui, Ryle polemizza col dualismo cartesiano affermando che non c' è nessun "fantasma nella macchina", cioè nessuna coscienza soggettiva (costituita da quelli che oggi spesso vengono chiamati "qualia") nel cervello.
Sostiene cioè un monismo materialistico, per il quale esiste solo la materia, inclusi i cervelli, che sono costituiti da neuroni, assoni sinapsi, ecc., oltre ai quali non esiste (in più) alcuna coscienza.

Per parte mia mi permetto di sostenere che il ragionamento va rovesciato "da capo a piedi": trovo alquanto banale l' affermazione che non c' è nessun fantasma nella macchina perché molto semplicemente ed ovviamente lo esige la chiusura causale del mondo fisico.
Però ritengo che per comprendere il problema dei rapporti mente-cervello sia necessario rendersi conto che in realtà è la macchina (il cervello) ad essere nel fantasma (la coscienza, l' esperienza cosciente).

Nel cervello ci sono solo molecole, atomi, ecc., verissimo!

Ma dové il cervello?

Il cervello, con i suoi costituenti materiali di cui unicamente è fatto, fa parte del mondo materiale naturale intersoggettivamente constatabile e scientificamente conoscibile.
Bene. Ma questo mondo materiale naturale è per ciascuno di noi parte di ciò che accade nella propria esperienza fenomenica cosciente (altra parte essendo costituita dal mondo mentale: pensieri, ragionamenti, sentimenti, ricordi, concetti astratti, fantasie, ecc.).
Si tratta, tanto nel caso della materia quanto in quello del pensiero, di "fenomeni", apparenze, (insiemi e successioni di) sensazioni le quali sono reali unicamente in quanto tali, cioè se e quando accadono nell' ambito del flusso di eventi coscienti.
Se chiudo gli occhi lo schermo del computer qui davanti a me, cioè quel determinato insieme di sensazioni visive complessivamente rettangolare, in parte bianco in parte nero in parte di altri colori, non esiste più.
Se qualcosa continua realmente ad accadere, se qualcosa continua ad esistere quando chiudo gli occhi (o li rivolgo altrove), così da spiegare come mai non appena li riapro puntualmente lo schermo del computer ricomincia ad esistere nuovamente, allora questo qualcosa non può essere lo schermo del computer stesso, cioè quell' insieme di sensazioni visive complessivamente rettangolare, in parte bianco in parte nero in parte di altri colori: (pretendere di) affermarlo sarebbe un' evidentissima, plateale autocontraddizione!
Sarebbe pretendere che esista qualcosa allorché tale cosa non esiste, che esista ciò che non esiste.
Se (come credo) qualcosa continua ad esistere quando chiudo gli occhi (o li rivolgo altrove), così da spiegare come mai non appena li riapro puntualmente lo schermo del computer (quell' insieme di sensazioni visive complessivamente rettangolare, in parte bianco in parte nero in parte di altri colori) ricomincia ad esistere nuovamente, allora può soltanto trattarsi di qualcosa di "congetturabile" (dal greco e a la Kant "noumeno") e non affatto sensibile, costituito da sensazioni, apparente (dal greco e a la Kant "fenomeno").

Dunque non bisogna cercare presunti e del tutto ovviamente, banalmente inesistenti "fantasmi (la coscienza) nella macchina (il cervello)", ma casomai "la macchina (il cervello) nel fantasma (la coscienza)", accanto al pensiero (materia e pensiero essendo parimenti fenomeni facenti parte dell' esperienza cosciente, del "fantasma").

Jean

Benvenuto caro amico,
 
dopo qualche anno di frequentazione di questo forum mi si è formata la sensazione che almeno per certi argomenti e le spiegazioni che se ne danno e che conducono ben presto ad una  distanza tra gli interlocutori, questa dipenda in gran parte dal percorso conoscitivo (diverso) di ognuno che lo ha portato ad allontanarsi sempre più da un terreno culturale-linguistico comune al quale in linea di principio (tutti, chi più chi meno) apparteniamo.

Intendo quel minimo comun denominatore che a fronte (a volte) di un certo impegno permette di comprendere le argomentazioni poste (purché il proponente da parte sua s'impegni, quando possibile, in uno sforzo teso alla semplificazione...).

Con ciò non intendo assolutamente... né relativamente... esprimer giudizio sugli strumenti precipui delle discipline cui si riferiscono, siano filosofici, scientifici o altri. 
Ma mi par di rilevare, in sostanza, che le distanze, le incomprensioni siano sovente frutto di una mancanza d'elasticità (... son un esperto in elastici, nel caso...), financo d'immaginazione e per ultima... di fiducia, nel senso che l'obiettivo comune è metter alla prova il conosciuto per acquisire parte di quel che ancor non si conosce e non far confliggere diverse conoscenze qual materia e antimateria...

Detto ciò, nella prospettiva di cercar più quel che unisce, i punti in comune, rispetto a quelli divergenti, ti propongo una lettura integrata di una parte dei nostri interventi... confidando appunto nella tua immaginazione per superar le inevitabili discrasie (cattive mescolanze). 

Potrei far meglio ma lo scopo al momento è indicativo, non esaustivo e col tempo continueremo il discorso sugli altri punti.
 


corsivo nero Sgiombo; lineare blu Jean


 
Se chiudo gli occhi lo schermo del computer qui davanti a me, cioè quel determinato insieme di sensazioni visive complessivamente rettangolare, in parte bianco in parte nero in parte di altri colori, non esiste più.
Se qualcosa continua realmente ad accadere, se qualcosa continua ad esistere quando chiudo gli occhi (o li rivolgo altrove), così da spiegare come mai non appena li riapro

Facendo ricorso ad una metafora è come l'apertura di un sipario, appaiono gli attori e le parti che recitano mentre qualcuno guarda lo spettacolo...
Qualcosa, che ha un corrispettivo organico, funge da interfaccia e almeno al livello più immediato le informazioni assumono/hanno  la forma del linguaggio appreso
puntualmente lo schermo del computer ricomincia ad esistere nuovamente,
ed è palese non si tratti di assoluta improvvisazione
allora questo qualcosa non può essere lo schermo del computer stesso, cioè quell' insieme di sensazioni visive complessivamente rettangolare, in parte bianco in parte nero in parte di altri colori: (pretendere di) affermarlo sarebbe un' evidentissima, plateale autocontraddizione!
Sarebbe pretendere che esista qualcosa allorché tale cosa non esiste, che esista ciò che non esiste.
Se (come credo) qualcosa continua ad esistere quando chiudo gli occhi (o li rivolgo altrove), così da spiegare come mai non appena li riapro

Il teatro è il corpo
puntualmente lo schermo del computer (quell' insieme di sensazioni visive complessivamente rettangolare, in parte bianco in parte nero in parte di altri colori) ricomincia ad esistere nuovamente,
Il corpo sostiene l'intero evento/fenomeno
allora può soltanto trattarsi di qualcosa di "congetturabile" (dal greco e a la Kant "noumeno")
attraverso un flusso continuo di (scambio di) informazioni tra tutte le componenti coinvolte
e non affatto sensibile, costituito da sensazioni, apparente (dal greco e a la Kant "fenomeno").


 
un cordiale saluto
 

Jean

sgiombo

#29
Citazione di: Jean il 07 Marzo 2017, 21:37:24 PM
Benvenuto caro amico,

dopo qualche anno di frequentazione di questo forum mi si è formata la sensazione che almeno per certi argomenti e le spiegazioni che se ne danno e che conducono ben presto ad una  distanza tra gli interlocutori, questa dipenda in gran parte dal percorso conoscitivo (diverso) di ognuno che lo ha portato ad allontanarsi sempre più da un terreno culturale-linguistico comune al quale in linea di principio (tutti, chi più chi meno) apparteniamo.

Intendo quel minimo comun denominatore che a fronte (a volte) di un certo impegno permette di comprendere le argomentazioni poste (purché il proponente da parte sua s'impegni, quando possibile, in uno sforzo teso alla semplificazione...).

Con ciò non intendo assolutamente... né relativamente... esprimer giudizio sugli strumenti precipui delle discipline cui si riferiscono, siano filosofici, scientifici o altri.
Ma mi par di rilevare, in sostanza, che le distanze, le incomprensioni siano sovente frutto di una mancanza d'elasticità (... son un esperto in elastici, nel caso...), financo d'immaginazione e per ultima... di fiducia, nel senso che l'obiettivo comune è metter alla prova il conosciuto per acquisire parte di quel che ancor non si conosce e non far confliggere diverse conoscenze qual materia e antimateria...

Detto ciò, nella prospettiva di cercar più quel che unisce, i punti in comune, rispetto a quelli divergenti, ti propongo una lettura integrata di una parte dei nostri interventi... confidando appunto nella tua immaginazione per superar le inevitabili discrasie (cattive mescolanze).  

Potrei far meglio ma lo scopo al momento è indicativo, non esaustivo e col tempo continueremo il discorso sugli altri punti.



corsivo nero Sgiombo; lineare blu Jean



Se chiudo gli occhi lo schermo del computer qui davanti a me, cioè quel determinato insieme di sensazioni visive complessivamente rettangolare, in parte bianco in parte nero in parte di altri colori, non esiste più.
Se qualcosa continua realmente ad accadere, se qualcosa continua ad esistere quando chiudo gli occhi (o li rivolgo altrove), così da spiegare come mai non appena li riapro

Facendo ricorso ad una metafora è come l'apertura di un sipario, appaiono gli attori e le parti che recitano mentre qualcuno guarda lo spettacolo...
Qualcosa, che ha un corrispettivo organico, funge da interfaccia e almeno al livello più immediato le informazioni assumono/hanno  la forma del linguaggio appreso
puntualmente lo schermo del computer ricomincia ad esistere nuovamente,
ed è palese non si tratti di assoluta improvvisazione
allora questo qualcosa non può essere lo schermo del computer stesso, cioè quell' insieme di sensazioni visive complessivamente rettangolare, in parte bianco in parte nero in parte di altri colori: (pretendere di) affermarlo sarebbe un' evidentissima, plateale autocontraddizione!
Sarebbe pretendere che esista qualcosa allorché tale cosa non esiste, che esista ciò che non esiste.
Se (come credo) qualcosa continua ad esistere quando chiudo gli occhi (o li rivolgo altrove), così da spiegare come mai non appena li riapro

Il teatro è il corpo
puntualmente lo schermo del computer (quell' insieme di sensazioni visive complessivamente rettangolare, in parte bianco in parte nero in parte di altri colori) ricomincia ad esistere nuovamente,
Il corpo sostiene l'intero evento/fenomeno
allora può soltanto trattarsi di qualcosa di "congetturabile" (dal greco e a la Kant "noumeno")
attraverso un flusso continuo di (scambio di) informazioni tra tutte le componenti coinvolte
e non affatto sensibile, costituito da sensazioni, apparente (dal greco e a la Kant "fenomeno").



un cordiale saluto


Jean

CitazioneEffettivamente sono sempre stato considerato dai veri amici alquanto rigido nelle mie convinzioni (cosa che loro per lo più apprezzano più che disprezzare: mi voglio bene per quel che sono, un "originale", un anticonformista, un Donchisiotte o un Cirano: non per niente siamo tutti grandi ammiratori di Guccini).

Però scusami, ma proprio non riesco a condividere le metafore.

Dietro il sipario ci sono attori e scenografie fenomeniche (fatte di qualia: "macchie di varie forme di colori diversi) potenzialmente tali anche quando non vengono visti).
Invece "dietro" ai fenomeni, reali anche allorché i fenomeni non lo sono, non vi sono i fenomeni stessi (più autocontraddittorio di così!?!?!?), ma casomai "cose congetturabili" e non apparenti.

Inoltre nel corpo e in particolare nel cervello vi sono solo enti e/o eventi materiali: neuroni e cellule gliali, membrane, assoni, sinapsi, potenziali d' azione, eccitazioni e inibizioni trans-sinaptiche, a loro volta costituiti da molecole, atomi, particelle/onde subatomiche, campi di forza, ecc.).
Mi sembra evidentissimo che i "contenuti di coscienza" propri del "titolare del cervello", necessariamente coesistenti con e biunivocamente corrispondenti a gli eventi materiali (neurofisiologici; perfettamente riducibili a eventi fisici) che in esso accadono siano tutt' altra cosa: visioni di coloratissimi arcobaleni, sapori di ottimi manicaretti, musiche sublimi, ecc. e/o ragionamenti, ricordi, concetti, sentimenti, "stati d' animo, ecc.