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accettazione del dolore

Aperto da paco, 02 Novembre 2021, 22:02:22 PM

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paco

Ho appreso qua e là (buddismo, yoga, induismo, ....) che l'accettazione del dolore presuppone necessariamente il superamento dello stesso. Ovviamente c'è dolore e dolore, questa è una premessa dovuta che però non viene mai fatta. Per qualcuno evidentemente, compresi i grandi maestri/guru spirituali, il dolore è dolore. Non sono per niente d'accordo. Prendiamo il dolore lacerante che può colpire una persona, la perdita di una persona cara con la quale si è instaurato un fortissimo legame (figlio, coniuge). Secondo la mia modesta opinione, ma parlo per esperienza personale, la vera accettazione non è il superamento del dolore. C'è a mio avviso un'accettazione superiore, la vera accettazione, che consiste nell'accettare che il dolore possa accompagnare chi rimane per il resto della sua vita. Non si tenta di superarlo o di respingerlo, ma nemmeno si cerca di amplificarlo. Semplicemente lo si accetta così com'è e si accetta il fatto che possa rimanere con noi per sempre (qualunque possano essere le conseguenze). Ovviamente nessuno gode nel provare dolore, ma ci sono degli eventi della vita che la cambiano drasticamente e irrimediabilmente. Almeno per me è così. Siete d'accordo che questa è un'accettazione più autentica?

Jacopus

Ben arrivato, Paco. Non sono esperto di discipline orientali ma la tua descrizione mi trova molto in sintonia. Il dolore va in qualche modo digerito. Certi dolori non passano mai. La morte di mio padre ancora mi agita e mi intristisce a distanza di anni. Vi sono in realtà due approcci contrastanti che andrebbero evitati, sia la dinamica di voler "superare" il dolore, nascondendolo, fingendo, mostrando una maschera da duro e forte, sia la dinamica dell'accettazione del dolore come passione e martirologia, pericolo sempre presente nelle culture di derivazione cristiana. La frase latina: "felice in tristitia, triste in felicitas" è una frase adatta a riassumere la mia posizione.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Phil

Per me il dolore, come il suo contrario, è la reazione (di durata variabile a seconda del soggetto) che separa un evento dalla sua accettazione, intesa come "digestione" (come suggerisce Jacopus). La prima reazione spontanea (psicologica, fisiologica, etc.) ad un evento negativo è il dolore, tuttavia ad esso può seguire l'accettazione, non del dolore stesso (che è un'esperienza che non si può controllare a piacimento), ma dell'evento che l'ha causato. Una volta metabolizzato l'evento, l'effetto domino sarà il venir meno della intensità del dolore che da quell'evento scaturisce; fermo restando che non si resterà indifferenti al ricordo dell'evento spiacevole, la cui accettazione non significa rimozione dalla memoria (ripensare a quell'evento produrrà magari inizialmente solo dispiacere, forma attenuata di dolore, poi gradualmente diventerà una reazione sgradevole sempre più tenue, ovviamente senza mai diventare assoluto distacco emotivo). Ad esempio, accettare l'assenza irrimediabile di un defunto è secondo me il primo passo per attenuare il dolore che ne deriva: finché non accetto che quella persona "non c'è più" (e vorrei invece ci fosse), non posso non provare dolore. In questo caso, come ci suggeriscono da oriente (ma non solo), conviene concentrare i propri "sforzi mentali" sulla causa, piuttosto che sull'effetto indesiderato: più che cercare di accettare il dolore, rendendolo un logorante compagno di viaggio, conviene accettare ciò che l'ha causato (la morte, l'assenza) che è di fatto un compagno di viaggio che non possiamo non avere (essendo l'assenza di quella persona irreversibile) e che dunque, volenti o nolenti, non ci resta che accettare, a prescindere dal dolore che vi si associa.
Lo stesso meccanismo di metabolizzazione avviene (più spontaneamente) con la felicità: se qualcosa mi rende felice, non posso agire direttamente sulla felicità, per aumentarla o diminuirla; tuttavia quando ho metabolizzato ciò (l'evento, la condizione, la novità, etc.) che mi rende felice, a sua volta la felicità andrà scemando; se accetto come compagno di viaggio la presenza di una persona cara (ad esempio nel rapporto di coppia), la felicità di tale presenza andrà solitamente attenuandosi man mano che tale presenza viene metabolizzata, salvo avere delle "vampate di felicità" quando tale presenza innesca o partecipa ad eventi felici, eventi la cui metabolizzazione ridurrà con il tempo la felicità causata dall'evento (portando alla sua accettazione, e così via...).

bobmax

Avvengono fatti nella vita che ci scaraventano al limite dell'esistenza. Dove la nostra rassicurante realtà si fa incerta, i colori sbiadiscono e l'angoscia si impadronisce dei nostri cuori.
E' lo sguardo della Medusa che all'improvviso ci ritroviamo davanti. Uno sguardo che abbiamo sempre esorcizzato, allontanato da noi, ma in quei momenti non è più possibile ignorarlo.
Sono i momenti del dolore più autentico.

Sì, penso anch'io che questo dolore debba essere accettato nella sua enormità, e nella sua irrimediabilità.
E' per sempre.
Prima non c'era, ma ora c'è, e non se ne andrà mai più.

Tuttavia occorre secondo me considerare che questa accettazione del dolore, senza speranza di soluzione, proprio per il suo obbligarci a porci sul "limite" agisce su ciò che siamo.
Ci cambia.
L'esistenza, che noi siamo, ne viene scossa e inizia in noi un cambiamento.

Perché questo cambiamento avvenga occorre però non cercare scorciatoie, che potrebbero in effetti alleviare il dolore, magari sublimandolo, ma a scapito della mancata occasione di vivere il limite.

Razionalizzare l'evento doloroso, con considerazioni di buon senso, perché così è la vita... oppure fuggirlo cercando di dimenticarlo, permettono magari di continuare a vivere "quasi" come prima, ma è come se tutto ciò avvenisse a scapito della nostra fedeltà.
Fedeltà al Vero.

La Verità non ammette alcun espediente.

E allora senza alcun tornaconto, alcun vantaggio, ci ritroviamo a volere la Verità e basta!

Stando sul limite...
Allora, forse, potremo incominciare a tornare a noi stessi.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

iano

#4
@Bobmax
Il post di Phil, mi sembra di segno diverso dal tuo.
L'accettazione del dolore è un logoramento evitabile.
Non si accetta il dolore, ma le sue cause, e questa accettazione attenua il dolore, inteso come allarme di cui occorre prendere nota. Se ne abbiamo ben preso norma l'allarme non si attenua, ma diventa nel suo ripetersi ( abitudine) rumore di fondo, sempre meno avvertito.
Il dolore va' accettato come utile allarme il quale per sua natura ha un suono lacerante, ma limitato nel tempo.
Non qualcosa con cui bisogna accettare di convivere, quindi.
Se l'allarme suona c'è un motivo, ed è bene che suoni.
Meno bene quando non conosciamo il motivo , e allora dobbiamo andare a cercare.
Occorre comunque sempre un atteggiamento attivo, reattivo, e mai di passiva accettazione.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

bobmax

@Iano
Con l'accettazione delle cause si intende normalmente accettare il mondo così come è.
O meglio, così come appare.
È avvenuto questo fatto doloroso, facciamocene una ragione...
Così funziona il mondo.

Questo approccio dà per sottinteso che questo "funzionamento" non ha alcun senso.

Il dolore in questo caso è sempre considerato relativo, appartenente all'esserci mondano.
Un accidente dovuto al sostanziale non senso del mondo.

Tuttavia ogni dolore può assumere una valenza ben diversa. Cioè rivelarsi essere dolore metafisico!

Ciò avviene quando il mondo non è accettato, per come appare funzionare.
Questo dolore pretende una risposta. Che non può essere: così va il mondo...

Quali sono la "vere" cause di questo dolore?

Questa non accettazione del mondo, dovuta proprio alla accettazione del dolore, in quanto "vero", costringe alla ricerca.

Perché questo mondo dolente?
E qual è la causa di questo male?

È come se fossi all'origine di tutte le cose... E che questo male dipendesse proprio da me.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

atomista non pentito

Subiamo perdite importanti ( es i genitori , personalmente da quando mi hanno lasciato definitivamente la vita ha completamente cambiato prospettiva e colore ..... diversa insomma) fino alla perdita piu' importante ossia noi stessi. Chiamiamo per cio' dolore un qualcosa ( fisico e sentimentale) , ma null'altro e' che la vita che si dipana da splendido tiranno quale e'.

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