A nozze Freud e Heidegger; il prete è Marx, il testimone Derrida? Non è il caso.

Aperto da PhyroSphera, 09 Aprile 2025, 19:25:09 PM

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PhyroSphera

Tanto tempo fa' riflettei parecchio sulla differenza dei concetti di angoscia in S. Freud e M Heidegger.
Dipendente dalla fatale gettatezza dell'ente nell'essere dall'essere, misura della nostra finitezza, di essere per la morte ma anche disparente con tale consapevolezza; segno di problemi inerenti la nostra mente, sintomo di malessere psichico: l'angoscia ha bisogno di essere pensata in entrambi i modi. Proprio per questo l'assolutezza freudiana nel trattare i sintomi - fino allo smarrimento del vero pensiero medico -, quindi la sua (freudiana) pretesa di oggettività dimenticando che la psicologia anche quando è scienza è soggettiva e al neurologo la psiche è oggetto che sfugge proprio - ricevono una smentita e un correttivo dalla filosofia di Heidegger. Privata del nemico, l'insistenza heideggeriana sull'essere invece si connoterebbe come sopravvalutazione del sapere su di esso, sapere ontologico, anche solo ontico.
Da una parte lo scientismo di un mero precursore della vera e propria psicoanalisi, Sigmund Freud; dall'altra una critica a tale scientismo, quella di Heidegger o, prescindendo dalla critica, un filosofema che degenera in sofisma, un pensiero che pretenderebbe di squadrare il mare dell'essere nel ciò che è, istituendo un collegamento troppo immediato con le cose; il che tramuterebbe la critica stessa in premessa allo scientismo.
Ma Heidegger aveva criticato il Freud, e se in altra occasione andò oltre col suo pensiero dell'essere, questo è altro conto, non un solo accadere e non bisogna fare indistinzione.
Non l'aveva pensata così Graziella Berto, che (nel suo libro Freud Heidegger Lo spaesamento) istituiva un paragone tra i due paritariamente. Con tanto di tedesco a spaventare ma pure a garantire, la filosofa descriveva, scortata da citazioni da J. Derrida, un gioco di costruzione eccessiva e inautentica di identità, sconfinamento con inclusione di estraneità, rappresentata da Marx e i suoi spettri. Come dire l'identità, se la nostra casa (oikos) accoglie un estraneo, se i suoi perimetri sono stati allargati troppo, come dire della nostra dimora della mente, in cui siamo? La difficoltà di una presenza da definire ma che ci sfugge, psicoanaliticamente, ontologicamente, dipende dall'esserci dell'estraneo e dal non farci i conti.
L'alterità in noi, nell'inconscio; fuori di noi, nell'essere: il voler stabilire troppo separa dalla vera identità, espone alla intrusione, quindi non se ne viene a capo. Lo spettro è creato dalla distrazione: l'invadenza intellettuale accoglie stranieri senza volerci pensare; si reitera la proposizione di una identità inautentica.
La Berto però non coglie la differenza tra chi attirato suo malgrado fuori dal proprio cortile (Heidegger) e chi invece realmente prepotente con chi passava solo accanto al suo (Freud); e così resta non capito il ruolo di Marx e il marxismo: estranei nel senso di intrusi, nei confronti della cultura, civiltà, politica e società caratteristiche della Germania; nel senso di capitati per caso altrove, ma in un mondo non veramente diverso dal proprio, quello dei rivoluzionari antioccidentali, prepotenti anch'essi. Da una parte cioè l'identità di una espropriazione; dall'altra quella di un gemellaggio, celebrato col connubio del freudo-marxismo.

P. A. Rovatti nella Premessa al testo della Berti pone in causa Lacan: ne va del soggetto che noi siamo, del capire come liberarsi dalle catene per agire; ma - dico io - è vera liberazione concludere con l'affermazione: 'il proprio non è il proprio'? Senza individuare il ruolo di intruso di Marx nella dimora occidentale? Imputando ai suoi spettri una cattiva coscienza europea inesistente, credendo che i nostri fantasmi ricorrenti siano cadaveri nell'armadio dell'assassino, che verrebbe ingiustamente identificato con la cultura non solo occidentale ad europea, anche italiana?
Non è libertà ma coscienza di chi ingannato e senza la premessa di Rovatti il testo di G. Berto era ancora più ingannevole. Un testo del 1999 di cui ho analizzato solo la composizione e qualche punto determinante, ma quanto basta per non accettare né evitare di dirne. Dirne in un periodo, quello odierno, segnato dall'alleanza volontaria o involontaria tra cancel culture e marxismo residuo, postmarxismo, ex-marxismo e col bisogno di conoscere la nostra innocenza - così come la conosco io anche gli altri.


MAURO PASTORE

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