[GDL]Fenomenologia dello Spirito di Hegel

Aperto da green demetr, 30 Novembre 2021, 11:26:27 AM

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green demetr

Perchè Hegel e non Kant.
Questo domande che ci facevamo al bar dell'università di Milano, fra gli sguardi increduli delle bariste.
Ma come non ripetono la lezioncina, come facevano alla tavolata poco distante da noi 2?
Eravamo in 5 siamo rimasti in 2.
Ora sono rimasto solo soletto. Come al solito.
Hegel si, Kant no.
Kant molto bene, ma no.

Il fatto è che l'imperativo categorico, mi pare proprio un cascame del più ampio problema del suo carattere ossessivo.

Hegel sì, perchè sebbene lo critichi, è comunque sulla scia di Kant.
Certo chiama Ragione quello che Kant chiama intelletto, e chiama Intelletto quello che Kant chiama ragione.

Sinceramente sono d'accordo con Hegel, la ratio, come dice la radice latina, è la capacitò di divisione, una qualità più che una sostanza dell'uomo.
Ma a bocce ferme, stanno dicendo la stessa cosa.
Ossia che la qualità fondamentale dell'essere uomini è proprio il fatto di venire da categorie apriori.
E che la Ragione o l'Intelletto sono la parte fondante e fondamentale dell'essere filosofi, essere filosofi che è una questione morale naturalmente.
Noi non siamo filosofi, noi lo diventiamo, cosi raccontava la sfinge ai suoi ricercatori.
Ma la sfinge va comprensa non guardata. Non ci si guarda allo specchio, se no, si finisce impietriti, e si diventa dei somari e non dei filosofi.
Così non si guarda in volto la Sfinge, la si comprende.
E così è il domandare, il domandare va domandato.
La biblioteca non serve a niente se non la si domanda.
Credere ciecamente nella biblioteca è rimanere impietriti dalla sfinge.
E il domandare che si domanda, richiede il pensiero che si pensa.
E il pensiero pensante è la FILOSOFIA. Pensiero di pensiero.
Pensiero al quadrato.

La fenomenologia è il massimo prolegomena a questo pensante.
(mi pare) Io non l'ho mai letta (tutta).

Leggiamola insieme!!  8)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

paul11

 Fenomenologia dello spirito di Hegel è forse il testo più difficile di filosofia che abbia studiato.
Un anno di studio, 17 pagine di fronte e retro di appunti sul testo.
Per capire bene il testo bisognerebbe studiarsi quanto meno la logica dialettica di Hegel ,che è una sua "invenzione", una sua caratteristica ( senza la quale è poi impossible capire in profondità Severino che utilizza anch'esso la logica dialettica anche se con caratteristiche ancora diverse).
E' stato edito alle stampe nel 1807. E' scritto male, e questo lo rende infatti traduttivamente dal tedesco all'italiano ancora più difficoltoso, poiché Hegel quando lo scrisse era in ristrettezze economiche e doveva sbrigarsi per avere denaro dall'editore.
Originariamente il titolo sarebbe dovuto essere "Scienza dell'esperienza e della coscienza".


La via che conduce alla meta è il ricordo degli spiriti così come essi sono in se stessi  e compiono l'organizzazione del loro regno. La loro conservazione, secondo il lato della loro esistenza libera che si manifesta nella forma dell'accidentalità, è la storia ; secondo il lato della loro organizzazione concettuale ,invece, tale conservazione è la scienza del sapere fenomenico, tutt'e due insieme,cioè la storia compresa concettualmente, formano il Calvario dello Spirito assoluto, formano, la realtà, la verità, al certezza del suo trono,senza il quale vige la solitudine priva di vita.


Pur non essendo  il sistema scientifico della verità la fenomenologia dello Spirito è la scienza  dell'esperienza della coscienza, è il sistema dell'esperienza dello Spirito.
La coscienza , l'essere consapevole, non è altro che l'esistenza immediata dello Spirito e dunque essa è sempre  coscienza dello Spirito secondo le due direzioni – oggettiva e soggettiva-  dal genitivo.

green demetr

Citazione di: paul11 il 03 Dicembre 2021, 23:17:42 PM
Fenomenologia dello spirito di Hegel è forse il testo più difficile di filosofia che abbia studiato.
Un anno di studio, 17 pagine di fronte e retro di appunti sul testo.
Per capire bene il testo bisognerebbe studiarsi quanto meno la logica dialettica di Hegel ,che è una sua "invenzione", una sua caratteristica ( senza la quale è poi impossible capire in profondità Severino che utilizza anch'esso la logica dialettica anche se con caratteristiche ancora diverse).
E' stato edito alle stampe nel 1807. E' scritto male, e questo lo rende infatti traduttivamente dal tedesco all'italiano ancora più difficoltoso, poiché Hegel quando lo scrisse era in ristrettezze economiche e doveva sbrigarsi per avere denaro dall'editore.
Originariamente il titolo sarebbe dovuto essere "Scienza dell'esperienza e della coscienza".


La via che conduce alla meta è il ricordo degli spiriti così come essi sono in se stessi  e compiono l'organizzazione del loro regno. La loro conservazione, secondo il lato della loro esistenza libera che si manifesta nella forma dell'accidentalità, è la storia ; secondo il lato della loro organizzazione concettuale ,invece, tale conservazione è la scienza del sapere fenomenico, tutt'e due insieme,cioè la storia compresa concettualmente, formano il Calvario dello Spirito assoluto, formano, la realtà, la verità, al certezza del suo trono,senza il quale vige la solitudine priva di vita.


Pur non essendo  il sistema scientifico della verità la fenomenologia dello Spirito è la scienza  dell'esperienza della coscienza, è il sistema dell'esperienza dello Spirito.
La coscienza , l'essere consapevole, non è altro che l'esistenza immediata dello Spirito e dunque essa è sempre  coscienza dello Spirito secondo le due direzioni – oggettiva e soggettiva-  dal genitivo.


Yes sir.
Oggi lo tradurrei sistema della conoscenza dall'esperienza e dell'evenienza.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

#3
Sulla prefazione di Hegel si sono soffermati molti corsi di università, in generale è famoso l'assunto per cui questa prefazione si dice essere piuttosto una postfazione, in quanto ogni cosa viene vista sempre a posteriori e giammai apriori.
In particolare leggiamo questo passo, su cui il filosofo novizio dovrà poi passare la vita a meditare in caso di incomprensione.

La versione che utilizziamo è quella consigliata dal filosofo Bodei, ossia quella di Negri, l'unica che non ha fatto pasticci con l'impaginazione. Anche se la più difficile da intendere.
Ma come diceva Bodei se lo capivano i ragazzi degli anni 70 perchè non dovrebbero capirla i ragazzi millenials?
(la versione che si usa nelle università è quella einaudi che semplifica ancora di più i concetti).




Il nostro cioè ci sta avvisando del compito del filosofo e della sua intellettualità (scienza), ossia non tanto la comprensione analitica dell'oggetto (la differenza) quanto piuttosto della sua destinalità (la comprensione, in quanto saggezza, integrale, dove finiscono le differenze).
Ossia lo scartamento metodico dell'intera filosofia analitica americana.
Compito del filosofo è allora la religione, in quanto comprensione dell'eternità e dell'amore, ossia della bellezza del sentimento (sacralità, qui usata impropriamente, rispetto alle ricerche di Agamben).

Qua Hegel ci fa capire che il compito dell'uomo non è capire l'essenza, ma la destinalità dell'essenza.
Temi che Heidegger riprenderà evidentemente, pari passo.

Andando più oltre e saltando i passaggi che criticano la filosofia analitica americana, ossia la sostituzione dell'orizzonte abissale, con l'orizzonte superficiale, ossia la collezione di oggetti in misura estesa verso una universalità vacua, rispetto all'estrinsecazione della ricerca verso se stessa, ossia l'uscita dalla collezione degli oggetti, per capire la finalità della raccolta degli oggetti.

In maniera che con piacere vedo essere agile e precisa leggiamo questo passo.




In cui senza esitazione si afferma come la saggezza si ottiene non tramite la conoscenza della sostanza, quanto piuttosto del soggetto.
Come già ripetuto da me (e da Heidegger) all'infinito, ossia il problema del soggetto.

Se ragioniamo (ma nessuno lo fa) abbiamo già le chiavi, per effettuare dunque la ricerca di noi stessi, rimane un mistero perchè nessuno abbia mai iniziato il lavoro.

E' chiaro che il soggetto, che non è un apriori, è sempre il lavoro paziente di una comprensione che vada sempre più a fondo nella sua estrinsecazione, ossia nel suo progressivo inabissamento nelle sue forme di datità del cosciente.

Non è tanto la questione della comprensione storica orizzontale (appunto la sua storiografia, la sua biografia) quanto la comprensione della propria relazione a questa storicità, a questo perenne rivolgersi dietro di sè, per capire dove egli è ora, e perchè, ossia ci si rivolge dietro per andare ancora più a fondo, ossia per estrinsecarsi.
E ciò che sentiamo (conosciamo per differenza) è l'abisso dell'anima, ossia l'eco dell'integralità, di cui noi sempre siamo la sua vallata, ossia il mezzo tramite cui quella Voce (D-o) si esprime.

Coincide per esempio con la fine dei tempi che stiamo tutti noi vivendo, e che d'altronde ogni uomo verifica, in ogni tempo storico.
Infatti ogni uomo è sempre alla fine dei tempi.
Nel caso Hegeliano, parliamo della rivoluzione francese.
Mi fa ridere che tanti studiosi perdano il tempo a chiedersi quanto la rivoluzione francese abbia inciso nel pensiero hegeliano.

Evidentemente non sanno leggere, e soprattutto non sanno sentire. Ossia fanno filosofia senza sapere nulla di filosofia.
Il che è una cosa ignobile. In sintonia con questi tempi volgari, ossia con tutti i tempi in cui il filosofo vive (suo malgrado) presenti e (forse) futuri.

In questo senso nel prosieguo della lettura è utile capire tutto ciò che finora i filosofi (pretesi tali, i cattedratici e i ricercatori) sembra non abbiano capito.
Mi parrebbe veramente strano che Hegel non abbia fatto il lavoro di cui dicevo sopra.
E cioè la domanda è "Quale è il nostro destino?".




NB
Stavo pensando al numero impressionante di persone che ritengono la filosofia di Hegel una riflessione sull'autocoscienza.....
Ma ma...c'è scritto l'esatto opposto!!!!
:D
E' proprio vero che manca il lavoro sui testi.

Vai avanti tu che mi vien da ridere

paul11

 Per Husserl  l'oggetto della scienza fenomenologica è considerato esclusivamente sul piano eidetico trascendentale. Hegel invece intende il fenomeno  come il manifestare di ciò che è in sé come il lato concreto dell'esistenza dell'essenza. Per Kant il fenomeno è semplicemente, dal lato oggettivo, l'oggetto indeterminato di una intuizione empirica, mentre dal lato soggettivo, è rappresentazione sensibile; l'esperienza costituisce la connessione sintetica delle intuizioni, la conoscenza dei fenomeni in generale. Per Hegel è lo spirito  che si relaziona al fenomeno e all'esperienza,ciò che per Kant è confinato nel noumenico.
Il fenomeno, l'apparire,  il movimento del nascere  e del morire che non perisce e neppure nasce esso stesso, ma che costituisce il movimento della vita e della verità.
La fenomenologia per Hegel è l'insieme delle manifestazioni  dello Spirito nella sfera dell'esistenza concreta , della coscienza e della storia universale. LA "Fenomenologia dello Spirito" è quindi l'automanifestazione dello Spirito esistente a se stesso. Questa automanifestazione dà luogo  all'esperienza che è il movimento dialettico che la coscienza esercita in se stessa. Fino a l punto in cui lo Spirito giunge a sapersi  come Spirito.
Lo Spirito ,essendo Dio, è trino, per cui nella dialettica hegeliana sia ha: In sè=Padre; Per sè=Figlio;
In sé e per sè= Spirito Santo.
Il motore che regge è il negativo. La differenza assoluta.Lo Spirito deve guardare il negativo e soggiornarvi; è questo soggiorno che  converte il negativo nell'essere, quindi viene rivelata la radice  speculativa della sua dialettica, vale a dire il il Dio Padre che si incarna come Figlio che muore e risorge e che ridiscende nella sua comunità come Spirito Santo.
La morte di Cristo come autonegazione assoluta di Dio, mostra l'immane potenza del negativo  che è l'energia del pensiero.
Il tema di fondo, l'automanifestazione storico concettuale dello Spirito assoluto, viene tradotto su due piani: a) il piano della coscienza naturale nel progressivo movimento dialettico verso il sapere assoluto; b) il piano della coscienza filosofica che Hegel dice "in sé o per noi", in cui si situa l'esposizione vera della coscienza  naturale (lo Spirito come soggetto della fenomenologia).

viator

Salve Paul11. Il tuo ultimo intervento mi ha permesso - credo presuntuosamente - di capire la differenza tra :

       
  • lo scrivere di filosofia (il filosofeggiare)
  • lo scrivere circa la storia della filosofia (esaminare i precedenti cardinali delle dottrine filosofiche)
  • il dedicarsi alla critica filosofica (commentare il filosofare altrui, trascorso od attuale che sia).
..............è quindi da tale mia soggettiva constatazione che capisco finalmente l'origine della mia avversione per le letture filosofiche !!. Io preferisco (anzi, a dire il vero - risulto in grado) limitarmi allo scrivere di filosofia (ovviamente casereccia e spesso troppo fantasticata).

Grazie comunque per il tuo gratuito benchè involontario "suggerimento". Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

paul11

 Ci sono due coscienze ,quella naturale e quella filosofica. La coscienza naturale diviene Spirito che sa se stesso. Quindi la coscienza filosofica che è l'Io narrante, rispetto alla coscienza naturale pura che è l'IO narrato,  conduce l'esposizione della Fenomenologia dello Spirito, che non è altro che la coscienza naturale giunta al sapere assoluto, attraverso due itinerari, quello storico fenomenico della coscienza naturale e quello concettuale fenomenologico della coscienza filosofica.
Nella religione lo Spirito che sa se stesso  è immediatamente la sua autocoscienza pura. Nel loro insieme le figure spirituali-lo spirito vero, lo spirito estraniato da sé e lo spirito certo di se stesso- costituiscono invece lo Spirito nella sua coscienza, che si contrappone al suo mondo e non vi si riconosce. Quando però assoggetta a sé tanto il suo mondo oggettivo in generale, quanto la sua rappresentazione e i suoi concetti determinati, allora lo Spirito è autocoscienza essente presso sé.
Lo spirito è coscienza in generale, è ciò che abbraccia al suo interno certezza sensibile, percezioni e intelletto, nella misura in cui esso si considera come realtà oggettiva essente e astrae dal fatto che questa realtà è il suo essere per sé, allora lo spirito è autocoscienza. In quanto coscienza immediata dell'essere in sé e dell'essere per sé, in quanto unità della coscienza e dell'autocoscienza, lo spirito è la coscienza che ha la ragione.
Quando lo spirito che ha la ragione si intuisce finalmente come coscienza che è ragione, quando la ragione è nello spirito stesso come realtà e costituisce il suo mondo , allora esso è  nella sua verità. A questo punto lo spirito è lo spirito, l'essenza etica reale. Nella misura in cui  è la verità immediata , lo spirito è la vita etica di un popolo: l'individuo che costituisce un mondo. Lo spirito deve raggiungere  mediante una serie di figure il sapere di se stesso.
Il tema di "Fenomenologia dello Spirito" è il movimento dialettico dell'automanifestazione dello Spirito assoluto nell'esistenza concreta.

green demetr

yes sir Paul!

grazie dell'intervento sulla trinità-
Ci devo pensare sopra.
Per spezzare una freccia a favore di Kant bisogna ricordare che però la sua ultima opera è la critica dei costumi (che sarebbe poi il quarto tomo della sua ricerca monumentale).
Dunque non è che la storia sia completamente dentro il noumeno, come asserisce Paul.
Trovo molto difficile la questione dello stare dentro la negatività.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

continuiamo la lettura sommaria dell'introduzione




La forma non è la sostanza in quanto tale, data e poi adottata come certa, bensì è la sua Ex-Factualitas.
Effettualità, traduce Negri, anche se oggi, se dico effetto, intendo una causa sostanziale, e non trascendente.
Ma il punto è che Hegel intende chiaramente che la sostanzialità è trascendenza, pensiero di pensiero, interezza in tal senso. E il pensiero di pensiero è la forma della sostanzialità che si dà una forma, in quanto soggetto.

Ancora recentemente, sul sito migliore di filosofia su Youtube (per distacco) ossia l'istituto degli altri studi di Napoli, mi sono accorto, che il problema del sostanzialismo, sia rimasto ancora oggi.

Galli nell'intervento postato recentemente, ha sottolineato come il problema della dialettica è quello del realismo.
Ma non il realismo come analitica, come studio della sostanza che in quanto pensata (Cartesio: penso dunque sono) è reale.
Bensì sulla critica alla pretesa fattualità del soggetto, e di conseguenza nel pensiero sottosopra degli analitici di oggi (e come abbiamo visto anche di ieri, anche se i loro nomi non li conosco) che pensano l'oggetto come base della fattualità.
E invece il soggetto è già oggetto di critica, in quanto effettualità, originaria, trascendente.

Rispetto ai primi 15 minuti della lezione intervista, addentriamoci nei problemi della critica della dialettica, che poi è la cosa che mi interessa di più.
I problemi che sono emersi da Hegel fino ad oggi sono 3.
Il fattualismo normativo, o normale, per cui la dialettica arriva ad ammettere un soggetto, normale, ossia così come è.
Vale a dire che sostiene la posizione cartesiana, che seppure non si domandava del pensiero dietro il pensiero, accettava comunque che il pensiero fosse normale, appunto assertivo.
Questo tipo di dialettica, mi pare, oltre che fuori strada, anche fuori luogo, non si capisce infatti come tale posizione possa giustificarsi.
Scrive infatti Hegel più sopra, che il pensiero pensato, è soltanto il frutto di una levigazione ben lontana da intaccare il suo centro, la sua origine, il suo fondamento come diciamo rispettivamente Paul ed io.
E dunque ciò che il pensante, che è puro pensiero, ottiene come pensiero di se stesso, è solo un fantasma.
E' impossibile perciò ogni normativismo (o normalismo), che poi è ovvio che finiscano negli infiniti formalismi della filosofia analitica (la filosofia che non pensa, la filosofia mathema, la filosofia algebra).
Il secondo problema è invece quello corretto, infatti la dialettica che accetta il soggetto, solo come storico, è la dialettica che critica il fantasma, assumendone un ruolo politico (di guida dice Galli, una volta, precisa però, che si è capito di cosa si tratta).
La politica è dunque la politica del soggetto storico, e della sua forma più alta, ossia quella di popolo.
Il popolo è nella storia, annota il Dr.Divago, un videoblogger che stimo tantissimo, è la cattiva politica della modernità che non intende le forme del suo dispiegamento, e perciò la spinge fuori della storia, senza più pensiero di chi eravamo, non mai chi saremo.
Ma anche in questo caso, i cani dell'impero, i think tank dell'ingiustizia, e dell'antidemocrazia (ancora Dr.Divago: Platone ce l'ha insegnato, il tiranno è la forma dell'anti-filosofia, in quanto la filosofia è solo nella democrazia) intervengono a fianco del padrone.
Il problema che con stupore immenso vedo interessare l'accademia napoletana, è quello della frase fatta: tutto ciò che reale è razionale.
Ossia il problema della giustificazione del reale.
Vale a dire che il reale è tutto ciò che riguarda il soggetto. Ossia (Galli è un filosofo politico, ma come già detto, oggi la filosofia deve per forza essere politica anzitutto, e quindi va bene così) che il discorso politico supporti il discorso scientifico, in parole povere, se vedo a, allora è a.
Quello che mi sconcerta è perchè porsi in tale ambasce, per tali affermazioni senza senso dei think-tanker, o dei filosofi continentali che vogliono fare amicizia per forza con quelli analitici.
Mi pare che basterebbe la prefazione, quella che stiamo leggendo su e giù, per capire che tale posizione è ridicola.
Infatti Hegel usa il termine scienza, nel senso di saggezza, non certo in termini di analitica della sostanza.
Ma anche se fosse, se volessimo partire dalla fattualità, come vorrebbero questi manigoldi del pensiero, se fossimo critici, diremmo subito che si tratta sempre di una effettualità. Ossia qualcosa che è in essere, ma essendo diviene perpetuamente.
L'effettualità è quindi certo nella storia.
Possiamo certo pensare forse in maniera storicista, a pensare ad un pensiero politico, sulla relazione della fattualità nella storia (appunto delle effettualità).
Ma faremmo un torto ad Hegel, che invece pone la critica non sul piano del politico, ma su quello del metafisico.
Il piano politico va ripensato, una volta che questo periodo di tirannia sarà finito (catastrofi escluse),e  finirà, come sempre sono cadute le tirannie, che vivendo di continue contraddizioni alla fine rovinano su se stesse.
Nel ripensamento, sarebbe da pensare il politico, ossia la fattualità storica (o effettualità), come critica secondaria, a quella principale, che come abbiamo già visto riguarda il soggetto.
Prima di fare politica mi devo chiedere: CHI SONO?
E' sempre stato quello il problema del mio dissentire, purtroppo parlo nel deserto, ma noi infatti parliamo DAL DESERTO come dice Nietzche, la cui lettura dobbiamo ancora iniziare.
Dunque il problema della scuola storicista della (critica) dialettica, non è affatto se la effettualità sia da considerare una fattualità (anche perchè appunto sarebbe una effettualità, con buona pace degli analitici e degli amici del tiranno) bensì come questa effettualità riguarda il soggetto, appunto il problema del soggetto, prima ancora del soggetto storico.
Il che mi sorprende sempre come anche persone intelligenti e colte, si facciano sempre cogliere impreparate su questo.
Il terzo problema della dialettica (ad oggi) è quella del totale disconoscimento di qualsiasi effettualità come rappresentazione dell'intero.
Questa posizione nella sua radicalità è valida, ma nella sua forma critica, ossia politica, è ridicola.
Infatti se diciamo che il reale è il fantasma, o meglio se neghiamo alla realtà la possibilità di arrivare al fantasma ( e di condurlo, perchè quella è la politica), stiamo dicendo, come anche Galli, non manca di dire, che ogni cosa vale, e infatti da queste file si arriva all'occasionalismo, una forma della negazione della storia, tanto più ridicola, quanto essendo noi tutti dentro lo spazio e il tempo, dice di come sia poi impossibile fare politica, ma poichè l'occasionalista fa politica, ossia pone il soggetto che lui è in relazione con gli oggetti, può al massimo arrivare a posizioni ciniche (ponendosi il problema del soggetto come errato in partenza), ma nella maggior parte dei casi si arriva a posizione che di fatto fanno comodo al tiranno.
Ma ponendosi il problema del soggetto come errato, o come impossibilità di raggiungimento del fantasma(origine fondamento intero etc...), così nega il soggetto che lui è.
Non tanto la posizione cinica in cui il soggetto si conosce come tale, ma proprio la negazione del cinismo come condizione di un soggetto, e quindi di inveramento di una parte del fantasma che noi siamo.
D'altra parte il cinismo è una forma politica e se pensato, porta in fin dei conti a delle forme della cura del sè.
Ma il cinismo de-pensato è ovviamente un occasionalismo, un de-pensamento del reale, più che una sua critica.
Infatti la critica parte sempre dal soggetto che noi siamo.
Come dicevo sempre ai miei giovani amici: chi sta parlando?

Insomma 3 problematiche di una critica che evidentemente o non legge Hegel (forse leggono quello che gli amici analitici scrivono di Hegel), o, e questo è assurdo per me, che proprio non lo capisce.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr





Hegel si preoccupa in questi primi passaggi di assicurare che la nostra attenzione sia sulla problematica del soggetto.
Perciò assume la serietà del compito critico, rispetto alla svogliata indifferenza rispetto al sè.
L'io scrive ha orrore di pensarsi incapace di stare nell'assoluto, in quanto verrebbe meno la certezza assoluta dello starci.
Nasce dunque dallo psicologismo, il sè come previamente dato, l'intera genealogia della filosofia analitica.
In particolare il passaggio riportato, testimonia di una tematica a me carissima, evidentemente tra grandi pensatori ci si capisce al volo.
La pretesa posizione che la realtà coincida con la natura, mette (addirittura secondo il nostro) al bando la posizione estetica (come dice Nietzche nei suoi aforismi ogni etica è già una estetica), discreditando la "forma del fine".
Ossia la sua politica.
Nella parte su Aristotele, invece comincia a introdurre alcuni parallelismi possibili.
Mi pare che radicalizzi la posizione aristoteliana, dando nome al motore immobile, di soggetto.
Qua non si capisce se la traduzione sia adeguata.
Un motore immobile non può infatti riconoscersi.
Tenendo a mente la sequenza del ragionamento, probabilmente Hegel vede nella storia, una sorta di disvelamento dell'immobile nel suo motore.
Ossia il soggetto che si conosce come tale è motore è la storia.
Ma la storia è certamente il fine della forma, e dunque la forma si conosce come soggetto motore.
Ora dovremmo pensare alla forma come immobile?
Se nel senso di forma dell'immobile certamente sì.
Ma andrei piano con questi parallelismi.
Ricordiamoci l'errore che si esporrebbe una critica, che non pensando la sequenza del ragionamento hegeliano, e prendendo la frase a sè stante, potrebbe anche suonare come Dio è la Storia.
Mentre Dio è dentro la storia, ossia ne è la sua coscienza (critica).
Se Dio fosse la Storia torneremmo alle forme pan-salvifiche, che tanto contraddistinguono ciascuna fase storica.
Ossia forme di giustificazione del potere in atto, dentro la Storia, contro Dio, il Dio ascondito, naturalmente.
Ricordiamoci le avvisaglie sul problema del criticismo avanzate da Galli Carlo, nel post precedente!
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green demetr

Divagando un attimo (mica tanto un attimo ;) ), mi vengono diverse intuizioni.
Che anzitutto Dio non sia il Dio che crediamo: dovremmo ripensare alla letteratura ebraica, e alla letteratura che ne derivo, personalmente, e su cui rimando, con un parallelismo fortissimo, a mio parere (vedi il mio topic lettura della bibbia).

Che il problema della storia sia legato anzitutto, e questa è la mia proposta, al problema del soggetto, e secondariamente alla saggezza che i popoli determinano dalle loro miserie.
E come le miserie sono il frutto dell'incapacità di vedere la forma come esito morale.
Sto pensando ad alcuni gruppi della mistica ebraica per cui il dovere sociale, è il dovere che Dio ha dato al mondo.
Ma il dovere sociale, non è il procrastinamento della miseria e dell'ignoranza, ma dovrebbe essere un ripensamento non solo del sè, ma anche di dove il sè, si trova.
Certamente all'interno di quell'universo segnico-simbolico che si fa chiamare soggetto, ma anche rispetto alla finalità di quell'universo segnico-simbolico che chiamiamo oggetto.
E nella fattispecie, per portare a passo spedito la discussione, l'aspetto storico.
E' la relazione che si dispiega come consapevolezza della nostra miseria, fra ciò che siamo (e dunque non siamo) e ciò che è (e dunque non è).
Questa relazione che si dispiega come fine, è il fine di essere un pò di più ciò che siamo, e ciò che può diventare un pochino di più di quello che è (per noi, non per le macchine, sempre per stare dentro al nostro tempo apocalittico) appunto di dipanare la storia.
La storia non deve essere un modello salvifico, ma il conto dei nostri fallimenti.
E con storia dunque intendo anzitutto la storia personale di ciascuno rispetto alle storie degli altri.
Un lavoro sulla collezione di oggetti, colossale, che richiederebbe altro che Marx, che comunque ha pensato un modello di guida politica.
Ma la collezione di oggetti, oggi detta anche natura, non è reale.
Reale è la storia, e forse la sua apocalissi.
Ma rispetto all'apocalisse, se questo, e lo è stato sin dalla notte dei tempi, è il filo rosso della storia, cosa possiamo fare noi?
E' per questo che avevo mollato.
In un mondo che non riesce più a vedere l'invisibile, a che pro darsi da fare a pensare.
O meglio il darsi da fare a pensare, comporta thanatos, l'implosione del sè e della sua raccolta di oggetti.
Con un esito nefasto, la depressione, detta anche disperazione.
Senza più orizzonte, non esiste più motivo.
Ecco che ritorna l'eterogenesi dei fini, di cui Platone, Aristotele, Hegel parlano.
Ossia come dice il vlogger Dr.Divago, senza l'orizzonte democratico dell'agire, e del pensare, sopratutto, insieme, a che pro indagare l'invisibile (da soli, e non come dovrebbe essere insieme).
Forse come dice Severino, la fine dell'umanità come la conosciamo, è un esito spiacevole, ma inesorabile.
Eppure il pensiero religioso, non è questo.
Infatti il pensiero antico che ragionava dell'invisibile, con ben altra capacità e destrezza rispetto alla micragnosa miopia attuale, pensava ad una etica, perfettamente razionale, che imponeva al bene di dover essere, e al male di cessare.
Ecco quello che sembra essersi fermato è proprio questa domanda sull'invisibile.
Naturalmente farò i salti mortali per iniziare almeno, la lettura di Severino (anche se non si potrebbe, cercheremo di fare poche citazioni e stare alla sostanza dei testi).
Severino che pur segue il pensiero dialettico Hegeliano, ma che ne disconosce la negatività.
Per Severino l'essere non può che essere, perciò anche ciò che sembra male, è una mera illusione da poter fermare.
Il male è il male.
Ma infatti è il rapporto con il male il luogo dell'indagine.
Il male come nella teologia più ottusa, esiste davvero.
Il fine dell'eterogenesi dei fini (del soggetto e dell'oggetto, e dei loro fantasmi dei soggetti e degli oggetti), è la saggezza fra ciò che è bene e ciò che è male.
In fin dei conti se togliessimo queste categorie, che appartengono al vocabolario della bigotteria, non riusciremmo a intenderle veramente, ossia il contrario di ciò che pensa la bigotteria (senza arrivare all'estreimismo gnostico, che guida i potenti della terra, che Dio è cattivo).

Dunque sto dicendo che questi gruppi di lettura, sono un tentativo, o comunque un atto etico da fare, come molti lo stanno facendo per mostrare le contradizioni del tiranno platonico, nonostante tanti sanno benissimo che non c'è niente da fare.

Sono d'accordo non c'è niente da fare, ma forse questo atto etico era da fare prima, chi lo sà, forse non ero così solo a capire.

E invece no, sono il solo che potrebbe (e sottolineo mille volte potrebbe) capire qualcosa (non dico tutto, ormai siamo troppo lontani da quelle cime che erano i pensatori greci o ebraici del tempo che fu, tragico sì, ma drammatico nel suo titanico scontro con questa tragedia).
E certamente mi vengono in mente quali pensieri e intuizioni avrei potuto avere pensando a Sofocle o persino Euripide.
Ahimè lo sconforto ormai mi assale, la voglia di vivere è al minimo, e c'è e c'era (e ci sarà) così tanto da fare.



Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Riprendiamo la lettura del Negri.
Siamo al paragrafo 22 e seguenti.
In questo momento Hegel sta cercando di dare delle definizioni sommarie, cercando anche di fare esempi, come il parallelo possibile con il motore immobile aristoteliano.
Ciò che a Hegel interessa è distinguere il soggetto dal suo oggetto, ovvero far capire che è l'oggetto ad avere il suo soggetto.
Questo oggetto originario, lo prova a chiamare come "sè per sè", "pura negatività", "auto-movimento".
Ma queste sono solo definizioni approssimative di quello che invece per Hegel è l'assoluto.
Ossia l'assolutamente altro rispetto al soggetto e i suoi oggetti annoterei a latere io.
In questo senso la frase "Dio è l'assoluto" è senza senso, infatti prevedrebbe un Dio che diventa soggetto (come nella tradizione cristiana), e questo non ha alcun senso, anzi è l'esatto opposto della verità che è contenuta unicamente nel verbo essere. Dunque annotiamo a latere l'unica frase con senso è "l'essere è".
Annotiamo come questo sia il vero principio di non contraddizione (da Aristotele a Severino, stendendo il solito velo pietoso sui formalisti).
Nel paragrafo 25 continua nel tentativo di essere il più possibile esplicativo al riguardo di questo oggetto.
Aggiunge che questa modalità del negativo, si realizza essenzialmente in noi (soggetti) come sistema.
Il sistema è dunque la scienza del negativo, dell'assolutamente altro costituentesi etc...
Che cos'è lo spirito di cui la scienza è la fenomenologia?
E' appunto il nome che diamo per comodità a tutto quanto detto fino ad ora riguardo quell'oggetto.
Annotiamo per non lasciare indietro nessuno (sebbene Hegel sembra più interessato agli attributi dell'essere) che questo oggetto non è l'oggetto dell'analisi del soggetto.
Non esiste un soggetto che analizzi lo spirito, in quanto lo spirito è un sistema.
Per ragioni personali non userò mai l'attribuzione di auto-conoscenza e altre automatiche cose in quanto vi è un alto pericolo che la gente pensi questo automatico come qualcosa di oggettivo, e dunque indagabile.
L'assoluto non ha attributi in realtà: è la scienza che si compie come atto umano (e dunque soggettivo), e questa scienza si chiama fenomenologia.
Possiamo ben dire che anche oggi la fenomenologia è l'unica disciplina che si possa dire filosofia.
Ma fenomenologia del sistema, e non formalmente come purtroppo oggi continuano a fraintendere i giovani accademici, collezione di oggetti.
Il sistema altro non è che la dimensione temporale dell'essere, come dirà più avanti Heidegger è il Dasein, tradotto genialmente da Chiodi con Esserci.
L'Esserci non è l'esserci del soggetto, ma l'esserci è il sistema stesso, in perenne movimento come il tempo.
Severino andando oltre lo stesso Hegel ci spiegherà poi che questo dimensione temporale, è la dimensione della follia, ossia della necessaria contraddizione (a che si formi il sistema stesso).
Per conto mio e qui dò la mia opinione, non mi sembra sensato tanto perdere tempo sulle attribuzioni, quanto sullo spostarsi rapidamente sul problema del soggetto, che come abbiamo già visto, lo stesso Hegel ha già indicato come compito futuro della filosofia.
Certamente capisco anche Hegel, soprattutto vedendo come tanta gente, si areni subito su queste attribuzioni di circostanza, e peggio ancora come queste attribuzioni di circostanza vengano assunte come assunzioni certe.
Nel paragrafo 26 abbiamo la famosa sentenza che l'in sè deve dare conto del suo essere per sè.
Il dare conto è al soggetto.
Ma come tra le righe scrive, il soggetto è una delle forme con cui si dà il sistema. Ma appunto l'avevamo già detto prima! in quanto l'essente è, e dunque ogni essente è, e quel particolare essente che è il soggetto non deve dare conto a nessuno per davvero (nemmeno a se stesso, ammesso che esista un sè stesso, invero no, se abbiamo già capito)
Questo è per sottolineare ancora come la ricerca di attributi finisca solo per creare confusione nel lettore meno smaliziato, e addirittura veri e propri non-sensi letterari da chi è un lettore "professionista", ma che non riesce a capire assolutamente nulla del Nostro.
Dunque l'in sè e per sè di romanzesca memoria dai licei, sarebbe da riscrivere come dimensione temporale del negativo, o dimensione perennemente altra dal suo manifestarsi fenomenologico.
Sebbene preferisca per me l'ultima, per far capire il lettore meno attrezzato useremo l'espressione "dimensione temporale del negativo" piuttosto che "l'in sè e per sè", che ha scelto Hegel.
Nel paragrafo 29 specifica che la ricerca è il modo in cui procede la memoria del dispiegamento del negativo (l'in sè che diventa per sè), in quanto il negativo si dà fuori dalla sua forma originaria (ossia nella sua essenza) solo come memoria. Ossia decade a memoria, e solo come tale può essere inteso il suo procedere, e dunque come memoria diventa storia, detto in altra maniera più chiara.
L'originario si invera solo nella studio del processo della memoria, in quanto critica, aggiungerei io.
Nel paragrafo 30 chiama questo modo, rispetto al soggetto che noi siamo, rappresentazione.
L'originario lo conosciamo dunque come toglimento, e il resto, ciò che rimane, rimane solo come rappresentazione e non più come attribuzione.
Introduce inoltre il concetto di sapere: il sapere è ciò che va contro la rappresentazione, in quanto la rappresentazione non intende minimamente il sistema (ne è solo la traccia come abbiamo già detto).
Aggiungo io come intuizione personale del momento: il sapere è il sapere di non sapere, dunque!
O meglio il sapere che Hegel intende come modalità totale del sistema, non può venire rappresentato.
D'altronde in nuce questo si capisce immediatamente quando parliamo piuttosto che del'in sè (en sich, consiglia Negri), della modalità del negativo.
La rappresentazione è quel negativo, ossia la caduta dell'originario nella sua dimensione mnemonica.
Rimane da capire se è l'unico negativo individuato da Hegel, o se ve ne sono di più (ovviamente per me ne esistono di più pensiamo ai demoni o al male o agli angeli).
Nel paragrafo 31 abbiamo una critica della fenomenologia che tollera o accetta la rappresentazione come fondamento: questo non permette alcun passo in avanti nel sapere.
Come anche su questo forum spesso ho scritto, il fondamento è la rovina del fondamento, il resto, ora forse meglio identificato nel suo costituirsi come idea.
Nel paragrafo 32 troviamo una espressione decisiva che poi Severino renderà famosa (pensavo fosse una sua invenzione, ma non lo è a quanto parte, ndr):cit "Il circolo che riposa in sè chiuso e che tiene, come sostanza, i suoi momenti, è la relazione immediata, che non suscita, dunque, meraviglia, alcuna.". Dirà Severino molto similmente il circolo della terra chiusa, è il sotterraneo che abita l'occidente", che nulla sà della gloria, ossia della terra senza il cielo: è la terra separata.
E' l'intelletto che ha la forza di questa separazione dall'originario.
E chiamiamo spirito quella forza che è in grado di sostenere la cosa che più deprechiamo la morte, lo spirito è in grado cioè di guardare oltre la morte.
Se l'intelletto separa la vita dalla morte, potremmo dire noi, compito dello spirito è quello di riunirli.
Anche questo tema fondamentale in Severino. Tutto nella capacità di lettura a fondo di un semplice paragrafo, seminale.
Il paragrafo 33 è una critica ai tempi formali in cui siamo, dove la rappresentazione è conosciuta solo astrattamente come universale e non viene usata come invece era solito nell'antichità per conoscere tutti gli aspetti della vita  quotidiana.
Nei paragrafi successivi Hegel si sofferma una voltà di più sugli attributi dell'oggetto.
Insistendo sulla metafora del per sè che ritorna nel in sè.
Ma appunto poi ricordandosi lui stesso che stiamo parlando semplicemente del negativo. (possiamo aggiungere il toglimento, la separazione, è uguale!).
Nel 38esimo paragrafo fa una breve considerazione sul formalismo che forse ha paura o scambia il negativo con il falso, il che metterebbe a rischio il punto fondamentale della filosofia che è la verità (tutte sciocchezze ndr!).
Spiega poi come il negativo sia solo un movimento, e di come sia il dogmatismo (nel 40esimo) ad attribuire la verità meramente agli oggetti, ma appunto pre-supposti oggetti.
Dunque la verità è un attributo (formalismo) e non una ricerca (che come abbiamo già detto pensa l'oggetto come mera traccia).
Nei paragrafi successivi continua le critiche al formalismo, ricordo solo come "la dimostrazione per assurdo", diremmo oggi noi, dei greci sarebbe impossibile senza uscire dal formalismo dell'oggetto preso in considerazione.
Dobbiamo saltare fino al 54paragrafo per tornare di nuovo a parlar degli attributi dell'oggetto.
Qui si introduce il pensiero: il pensiero è l'oggetto per cui il soggetto può darsi il suo oggetto.
Ossia dico io: è il toglimento necessario per diventare il soggetto tale quale noi ci conosciamo.
Nel paragrafo 55 specifichiamo meglio il concetto:
il pensiero è (dunque) il soggetto.
Questo intelletto che si determina come pensiero è dunque in quanto traccia razionalità.
Ossia l'intellettualità è il pensiero e la razionalità è l'atto della separazione formale tra soggetto e oggetto conosciuto. (come già detto il ribaltamento del pensiero kantiano, che invece formalizza il pensiero ponendo la razionalità prima del pensiero).
Ricordiamoci che il pensiero è il toglimento delle forme ottenute dal razionalismo.
Il pensiero essendo la forma per eccellenza della negatività, ossia come il soggetto la esperisce.
Il soggetto si esperisce come effetto di un toglimento, e questo toglimento è il suo stesso pensiero.
Nel 56esimo paragrafo ricorda come questo razionalismo sia necessario, infatti lo speculativismo è la forma dell'essente.
Direi di sorvolare su questo tecnicismo logicista.
(infatti riguarda i nostri oggetti, e non il soggetto, che in tutto questa ridda di attributi forse scordiamo essere la vera ricerca futura).
Nel 57 torniamo ad una critica del formalismo, in quanto la detenzione della verità è sempre una questione politica, io stato detengo una verità che tu stato nemico non hai etc..
Ma appunto la verità non si detiene essendo invece come già detto parecchi paragrafi sopra un sistema, la cui nostra ricerca è la sua semplice modalità progressiva (la traccia).
Nessuno sa del sistema, ma ognuno sa del pensiero.
Nel 58 paragrafo Hegel fa una strana dichiarazione: l'attribuzione è l'anima, salvo poi smentirsi subito dopo (l'anima è qualcosa di superiore).
In effetti è abbastanza evidente la pena con cui il Nostro eroe procede nel voler illustrare quello che per lui è il lavoro massimo dell'attribuzione, che lui chiama qui infine concetto.
Per lui l'attribuzione (in sè e per sè, pensiero negativo, alterità assoluta) è il concetto. E i concetti vanno assolutamente saputi a memoria.
Sinceramente non capisco questo accanimento: chi vuol capire, capisce già, gli altri a casa a fare altro.
Ma ognuno esperisce una modalità diversa di conoscere la propria sapienza, Hegel la conosce tramite sofferenza evidentemente.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

paul11

 Un inciso.


Per capire la filosofia, la vera filosofia bisogna entrare nei fondamenti del problema umano:
1) che ci facciamo qui? Perché esistiamo?
2) perché la nostra condizione è di essere ignoranti, ma con una facoltà che è la ragione che ha come fine togliere l'ignoranza e quindi acquisire conoscenza.
3) l'universo, il mondo la realtà, rispecchia la contraddizione fra condizione di ignoranza da una parte e dall'altra possibilità di conoscere e togliere ignoranza.


Questi punti sono essenziali per capire qualunque filosofia " seria".
Se noi con la facoltà intellettiva togliamo il velo dell'ignoranza, significa che il senso, o almeno un senso ,dell'esistenza è acquisire conoscenza, elevandosi di livello.


Il procedimento dialettico è togliere il negativo dell'ignoranza per acquisire il positivo della conoscenza e adatto che questo è il moto universale, poiché tutto si muove per opposti, per contrari, per contraddizioni, in quanto la verità è immobile e il divenire è la contraddizione appunto, diventa quanto meno più chiaro che il soggetto umano, inteso come coscienza ,per elevarsi deve sapere relazionare la ragione con la realtà per togliere ignoranza contraddittoria negativa.
Elevarsi al punto di saper corrispondere il concetto con lo Spirito che permea l'universo.
E' un movimento emancipativo.
E' uno scontro dialettico tra forze che determinano una realtà possibili fra tante, come lo è la storia.


Il problema di qualunque forma di conoscenza e filosofia  è che non c'è il giudizio assoluto per cui dovremmo sapere se il nostro evolversi dall'ignoranza ad una presunta conoscenza sia davvero un moto emancipatovi. Se le religioni dichiarano un Dio ,se Aristotele dichiara di un motore immobile, al di là di una origine assoluta come verità, cioè la relazione che se esisto da qualche parte qualcosa o qualcuno ha voluto questa esistenza o comunque l'ha permessa e quindi riporta ad una formulazione di senso dell'esistenza, tutto il resto è un ragionamento speculativo come lo è anche quello di Hegel: questo è il punto debole. Nessuna storia porta necessariamente ad uno Spirito, perché le strade della storia sono innumerevoli possibilità e quindi se vi è un successo vi è anche un fallimento. La strada del ragionamento concettuale può comprendere, ma comprendere non è ancora vivere significativamente .Semmai si sa che dialetticamente  ci si muove fra verità e menzogna fra contraddizioni e conoscenze, ma dire che la strada è giusta o sbagliata significherebbe avere il giudizio universale "in tasca". Quindi anche Hegel scommette speculativamente sulla verità.


La contraddizione fondamentale umana è credere che la verità sia interna all'uomo, questo errore lo compie una certa spiritualità, lo compie in parte la modernità culturale e filosofica quando si pone come soggettivista e solo dopo riconosce che la relazione fra uomo e mondo, fra io e Dio, fra soggetto ed oggetto, fra umanità e realtà, è  il punto di vista dell'essere umano rispetto all'universo, non essendovi un giudizio "oggettivo" reale, universale, assolutamente vero e certo.
Noi "scommettiamo" su noi stessi e sulla storia e l'intera narrazione, fra nefandezze e saggezze.

green demetr

in BLU PAUL

" La strada del ragionamento concettuale può comprendere, ma comprendere non è ancora vivere significativamente .Semmai si sa che dialetticamente  ci si muove fra verità e menzogna fra contraddizioni e conoscenze, ma dire che la strada è giusta o sbagliata significherebbe avere il giudizio universale "in tasca". Quindi anche Hegel scommette speculativamente sulla verità."

Vivere significativamente è una espressione molto densa.
Credo che Hegel che è l'impersonificazione stessa della filosofia, la filosofia seria, ci accompagna sul terreno che poi porta al ragionamento sul significato della vita.
Io non avendolo letto non posso dirti come lo raggiungeremo, ma a buon senso deduco già che la filosofia ci accompagna alle soglie della religione, ma è poi la religione che decide dei quella significazione di cui tu parli.

Il punto è però capire l'apparato concettuale che si riferisce al negativo, o come ormai tutti hanno studiato all'assoluto (ma come ho già scritto sopra, questa parola rischia di travisare proprio questo apparato concettuale, che va inteso nella sua costellazione negativa e non positiva).
quando tu dici cit "Quindi anche Hegel scommette speculativamente sulla verità" mescolato insieme a quanto pur dici correttamente poco prima cit "Semmai si sa che dialetticamente  ci si muove fra verità e menzogna fra contraddizioni e conoscenze".
Non stai dando forse una accezione positiva alla speculazione sulla verità?
Credo di sì, infatti prima dicevi correttamente: cit"Il procedimento dialettico è togliere il negativo dell'ignoranza per acquisire il positivo della conoscenza e adatto che questo è il moto universale, poiché tutto si muove per opposti, per contrari, per contraddizioni, in quanto la verità è immobile e il divenire è la contraddizione appunto, diventa quanto meno più chiaro che il soggetto umano, inteso come coscienza ,per elevarsi deve sapere relazionare la ragione con la realtà per togliere ignoranza contraddittoria negativa."
Quello che voglio dire è che la dissipazione dell'ignoranza, lo vedi come un moto positivo.
In quanto vedi la contraddittorietà non nella dissipazione, ma nell'ignoranza della verità.
Forse è una sottigliezza da poco conto, ma se ci ragioni meglio su, vedrai che è una sottigliezza i cui esiti sono totalmente opposti a quelli che tu poi indichi come critica:
"Il problema di qualunque forma di conoscenza e filosofia  è che non c'è il giudizio assoluto per cui dovremmo sapere se il nostro evolversi dall'ignoranza ad una presunta conoscenza sia davvero un moto emancipativo."
Ossia muovi a Hegel la critica che ne fa un Leopardi:

"Dipinte in queste rive
son dell'umana gente                                50
le magnifiche sorti e progressive.
Qui mira e qui ti specchia,
secol superbo e sciocco,
che il calle insino allora
dal risorto pensier segnato innanti                     55
abbandonasti, e volti addietro i passi,
del ritornar ti vanti,
e procedere il chiami."


Ma Hegel non è così sprovveduto, e infatti come ho già detto nel tentativo di delucidare la negatività assoluta, si spinge a dipingere concetti, che negano qualsiasi passo avanti.
L'assoluto non è un procedimento veritativo.
L'assoluto è il concetto che diamo alla relazione che unisce l'uomo a Dio.
E questa relazione è una contraddizione permanente.
Dunque l'unica verità è questa contraddizione, se non fosse che non è una contraddizione (questa sarebbe la tematica severiniana), bensì questa relazione stessa, che viene chiamata, e compresa solo come movimento assoluto del negativo.
Eppure prima di affrontare questo apparato concettuale, che lascia incomprensioni a iosa,Hegel era stato chiaro su quale fosse il compito della filosofia: studiare il soggetto!
Il soggetto va ri-compreso (e in tale ri-comprensione risiede la scienza o saggezza come meglio chiamo io la cosa).
Per ricomprendere questo soggetto va anzitutto inteso quale sia il nodo distintivo tra esso e la sua relazione (di dipendenza, subordinazione) con Dio.
Questo nodo è la negatività, la relazione tra uomo e dio è dunque la negatività. L'uomo e Dio si danno negandosi.
Si da soggetto come negazione della subordinazione della relazione uomo-Dio, e parimenti si da Dio come negazione della subordinazione di Dio alla relazione.
(il pensiero severiniano è totalmente diverso perciò).
La critica che i formalisti fanno ad Hegel è che questa subordinazione è una mera fantasia dell'autore.
Ma la subordinazione è semplicemente il nucleo del movimento negativo, inteso dal soggetto come concetto.
E' dunque ovvio che questa subordinazione non è dell'ordine del reale! (e qui i formalisti vanno a farfalle).
Il reale ossia la necessità che esista un Dio, poichè vi è un soggetto, si da non come reale, bensì come negazione del reale.
Appunto come soggetto!
La veritatività è dell'ordine negativo del soggetto (e di conseguenza dell'ordine negativo del Dio, che dunque è un semplice corollario di nessuna rilevanza filosofica).
In quanto è il soggetto che concettualizza Dio come ordine negativo rispetto a se stesso.
Ma il soggetto non è il concetto del negativo che invece lo precede.
Ossia il concetto del negativo è l'universo fenomenico, e dunque veritativo, della relazione fra il soggetto come resto della relazione della negazione di Dio.
Ma il resto della relazione con Dio, NON è DIO!
E' invece appunto il soggetto stesso.
Il soggetto non può sapere la verità se non nella forma di quello che appare al soggetto stesso, di se stesso.
E il soggetto appare a se stesso, come un resto, ossia il soggetto appare a se stesso come falsità.
La falsità essendo relazionata al resto, e dunque al fenomeno dell'apparire di un resto.
Se sono un resto, quale la verità che mi ha portato a essere resto?
La veritatività è dunque proprio la negazione della verità, è dunque l'assoluto essere altro, il continuo cangiamento della verità nel suo opposto, continua menzogna, male.
Come può il soggetto sapere di essere un resto? è questa la fenomenologia! l'indagine di ciò che rimane, e ciò che rimane è ciò che appare della negazione, ossia la storia stessa.
L'apparire della storia, e dunque l'apparire del male, è esattamente il compito che spetta alla filosofia.
La filosofia è l'interrogazione dell'apparie del male, al resto che già noi siamo.
Va dunque da sè che la relazione che esemplificata chiamiamo uomo-dio, ma che appunto non ha nulla a che fare nè con l'uomo nè con dio, pone due problematiche fondanti o dette originarie.
Chi sono io? e Dove sto andando?
Vale a dire quale è il nesso tra la traccia che io sono e il male (che è anch'esso una traccia) in cui sono calato?
Per capire la traccia va intesa dunque la fenomenologia.
Ma la fenomenologia non è la verità!!!!
E' l'esatto opposto!!!
La verità infatti appare come chiaramente il nodo della relazione tra negativo e soggetto.
E la relazione tra negativo e soggetto è il male.
Non solo il soggetto non raggiunge mai questo nucleo relazionale, ne è anzi perennemente forcluso, ma questa forclusione poi procede nella relazione con l'altra traccia, che per convenzione chiamiamo natura, e che coincide con il male assoluto, in quanto ciò che appare, appare sempre come contro l'uomo, e mai a favore.
Il soggetto perciò affronta il male della sua impermanenza dal nuclero originario, anzi della sua totale forclusione, deve anche affrontare il male che ha nome natura.
In questo senso il resto dal nodo relazionale originario, che noi siamo, necessita di costruire delle astrazioni, anzi le astrazioni sono esattamente il ponte certo che questo nodo esista.
Nel momento che il nostro pensiero si attiva, si attiva anche il nodo originario forcludente, negativo.
Noi ci conosciamo solo tramite questo doppio movimento che va verso Dio, e rimbalaza indietro come soggetto.
Il soggetto si conosce solo tramite la consapevolezza che il pensiero si attiva e si riconosce nel movimento che rimbalza dal nodo originario al resto che noi siamo.
La differenza fondamentale tra il soggetto formale, e quello metafisico, è che il soggetto formale non ammette un nodo originario, ma al massimo una teoria sul nodo originario, il soggetto metafisico invece si riconosce prima di qualsiasi gioco linguistico, come esistente.
Ed esiste solo come pensiero, dunque come astrazione.
E' per questo che Hegel si sofferma così tanto sulla costruzione di un apparato concettuale.
Maggiori sono le istanze astrattive concettuali CONSAPEVOLI che il soggetto altro non è che la differenza ontologica, tra ciò che è esistente, e ciò che invece è (ma in realtà NON è) ossia tra ciò che esiste in quanto partecipe della stessa sostanza (che concettualmente chiamiamo DIO).
Il pensiero altro non è che Dio.
Si può capire come mai la trinità valga una affinità e una compatibilità simbolico-concettuale, che ad Hegel non deve essere sfuggita.
Ma la trinità dice cosa sia il soggetto, non dice niente invece della relazione forclusiva.
Su questa forclusività è il sentimento che decide.
Non la ragione.
La ragione costruisce concetti, ossia mezzi di conoscenza, ossia di interpretazione di questa forclusione.
Lo stesso termine forclusione, con cui i lacaniani intercettano il termine assoluto, sistema negativo e tutti quelli riportati sopra da me, sono altrettanti sinonimi, ma ogni sinonimo scolpisce per intero le infinite erosioni che l'astrazione carpisce dall'intero (assoluto, forclusione, negatività etc...e come capiamo possiamo benissimo ampliare il lavoro di Hegel! anzi probabilmente questo è il compito del filosofo, ampliare al massimo grado intellettivo e immaginario i sinonimi concettuali)
Perchè è proprio il carpimento del sinonimo concettuale, che il soggetto arrichisce il resto che egli comunque è.
Un conto è il soggetto semplice che forcluso da se stesso, si immagina vero, e un conto il soggetto forclusoa che sa di se stesso gli infiniti concetti cha scaturiscono dal pensiero che rimbalza indietro, che riflette, che si incurva etc...
In questo senso capiamo anche Deleuze per cui il compito del filosofo era quello di costruire concetti.
Egli affermava, a questo punto correttamente (non credevo devo essere sincero) che i concetti non sono costruzioni che aspettano passive nell'empireo che l'uomo le colga, anzi esse sono il pane quotidiano del filosofo, una costante manipolazione e creazione, proprio a partire da questa relazione col negativo.
Il concetto che si piega alla positività che non pensa la forclusione, non è un concetto filosofico, ma una semplice affermazione linguistica.
Questo non decide ancora della critica che hai mosso riguardo la pregnanza del vivere.
Ma decide del fatto che confondi il formale, con l'assoluta alterità (di qualsiasi verità formale, in quanto la verità è semplicemente un atto formale).
La galassia concettuale di Hegel nasce sotto la cattiva stella dell'impossibilità cognitiva dell'originario.
Ma essa studia l'uomo e giammai l'originario, essendo l'uomo tutto ciò che il pensiero ricava dall'erosione di quel blocco granitico che chiamiamo intero, uno, Dio etc..etc...ogni sinonimo concettuale richiama una galassia di metafore, essendo la metafora (e in particolare la metonimia) lo strumento principe di ogni conoscenza.
Dunque è più grande la poesia e la letteratura che la filosofia.
La filosofia è quel sottosuolo che permette la comprensione della Ginestra di Leopardi, e questo sottosuolo ha una ricchezza tematica tutta sua e ancora da approfondire.

Intanto dobbiamo imparare a memoria la concettualità che ereditiamo da Hegel, avevo in mente di porre uno specchietto riassuntivo, mi rendo conto che in effetti il dolore di Hegel era dominato da questa necessità di iniziare il lavoro. Purtroppo se già all'epoca il formalismo era un gran problema da risolvere, figuriamoci oggi!!!!

cit " Se le religioni dichiarano un Dio ,se Aristotele dichiara di un motore immobile, al di là di una origine assoluta come verità, cioè la relazione che se esisto da qualche parte qualcosa o qualcuno ha voluto questa esistenza o comunque l'ha permessa e quindi riporta ad una formulazione di senso dell'esistenza, tutto il resto è un ragionamento speculativo come lo è anche quello di Hegel: questo è il punto debole. Nessuna storia porta necessariamente ad uno Spirito, perché le strade della storia sono innumerevoli possibilità e quindi se vi è un successo vi è anche un fallimento. La strada del ragionamento concettuale può comprendere, ma comprendere non è ancora vivere significativamente .Semmai si sa che dialetticamente  ci si muove fra verità e menzogna fra contraddizioni e conoscenze, ma dire che la strada è giusta o sbagliata significherebbe avere il giudizio universale "in tasca". Quindi anche Hegel scommette speculativamente sulla verità."

Abbiamo dunque compreso anche aiutati da Paul, che non si può dire cit "al di là di una idea assoluta come verità", in quanto la verità appunto non esiste, ossia non esiste una verità che chiamo assoluto, ma un assoluto con cui io soggetto mi distinguo pur appartenendogli come astrazione ed essendone un prodotto come fenomenologia.
L'assoluto è il concetto veritativo del soggetto, non della verità o dell'origine come abbiamo già visto (l'origine è la relazione tra il soggetto che si riconosce immediatamente tale, in quanto pensante, i suoi concetti complementari, che invece interrogano di cosa consista la relazione con l'oggetto originario, premesso, ma impossibile da conoscere, conosciamo solo i suoi effetti, e i suoi effetti sono il nostro stesso pensare e soprattutto i concetti che riusciamo ad elaborare, per una comprensione maggiore del nostro essere resto di qualcosa, e delle sue conseguenza sentimentali, repetita juvant).
Capiamo anche sebbene la cosa si infittisca di mistero, come anche la cit" Nessuna storia porta necessariamente ad uno Spirito, perché le strade della storia sono innumerevoli possibilità e quindi se vi è un successo vi è anche un fallimento " sia impropria.
Infatti non solo la storia non porta allo spirito, ma le strade non sono affatto innumerevoli, ma ciò che appare, appare sempre come male, malvagità, distruzione.
La storia è anch'essa il resto di una relazione fra due oggetti inconoscibili, la storia come entità, e il male come entità, sono totalmente irrelati alla nostra entità.
Ma noi entriamo in contatto con queste entità, e ovviamente esattamente come per noi stessi, ci entriamo in contatto negativo, in questo caso doppiamente negativo, infatti notiamo come la natura ci distrugga invece che curarci.
Il che rende la comprensione del nostro desiderio di curarci, assai complicato.
Infatti quale è la relazione tra ciò che appare essere l'uomo e ciò che appare essere la storia?
Necessitano ulteriori concetti. Che appunto è ciò che più appassiona Paul, il rapporto uomo-natura.


infatti il nostro Paul conclude nonostante le premesse errate in maniera perfetta: "La contraddizione fondamentale umana è credere che la verità sia interna all'uomo, questo errore lo compie una certa spiritualità, lo compie in parte la modernità culturale e filosofica quando si pone come soggettivista e solo dopo riconosce che la relazione fra uomo e mondo, fra io e Dio, fra soggetto ed oggetto, fra umanità e realtà, è  il punto di vista dell'essere umano rispetto all'universo, non essendovi un giudizio "oggettivo" reale, universale, assolutamente vero e certo.
Noi "scommettiamo" su noi stessi e sulla storia e l'intera narrazione, fra nefandezze e saggezze."


Esatto caro Paul, l'uomo scommette su se stesso, ma Hegel mette sotto critica proprio questa scommessa, dimostrando che questa scommessa come dici tu è pura follia.
L'uomo che invece rifugge dalla verità, o meglio che capisce che la verità ha a che fare con l'originario, e dunque non appartiene all'uomo, studia non la verità, ma il rapporto che intercorre tra ciò che indaga e ciò che di rimando ottiene in maniera negativa come sentimento.
L'uomo studia se stesso, e non capisco proprio come fai a vederlo come debolezza, infatti pure essendo debolezza, è comunque costitutiva dell'essere uomo.
l'essere umano cade dal paradiso terrestre e si immerge nella storia, una potente metafora per indicare sia la cacciata dall'originario sia il tema del male "dovrai irrigare i terreni col sudore della fronte etc...etc..."
La bibbia non è scema.  8)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Riprendiamo dall'inizio vediamo di aggiungere elementi e di ragionare con me stesso.


cit "Quanto più rigidamente l'opinione concepisce il vero e il falso come entità contrapposte, tanto più poi, in rapporto a un diverso sistema filosofico, si aspetta unicamente un'approvazione o riprovazione, e soltanto o l'una o l'altra sa vedere in una presa di posizione rispetto a quel diverso sistema stesso."
In questa frase il buon Giorgio sembra già provvidamente indicare alcuni dei problemi che la PNL comporta.
Naturalmente il nostro eroe sta costruendo un sistema di pensiero adatto all'accoglimento di quello che l'idealismo e il romanticismo chiamano Spirito.
La cibernetica e la sua logica infame ancora non esisteva.
Nell'inizio della prefazione alla sua opera massima, vi è un preoccupazione costante, come abbiamo già visto, tesa a distanziarsi da qualsiasi costrutto logico-matematico.
cit "Per di più, in un tale aggregato di nozioni che non a buon diritto porta il nome di scienza (formale), una conversazione intorno al fine e a simili generalità suole non esser differente da quel modo d'indagine meramente storico e non ancora concettuale, nel quale si parla anche del contenuto stesso, dei nervi, dei muscoli ecc. Nella filosofia invece sorgerebbe questo squilibrio : che farebbe uso di un tal modo di indagine, mentre essa stessa lo dichiarerebbe incapace a cogliere la verità."
Per Hegel la costruzione del sistema che accolga lo spirito, è da ricercarsi nella congiunzione impossibile tra scienza e spirito.
Lo spirito che di dica scientifico non è spirito e la scienza che si dica spirituale non è scienza.
Eppure è l'esistenza stessa di questa contraddittorietà, che ci porterà sulle tracce dello spirito.
Abbiamo già detto che questa contraddittorietà viene concettualizzata come Negazione.
Hegel sembra ossessionato da questa esigenza di costruzione para-logica.
Nella prefazione alla edizione della nuova Italia, si davano alcuni indizi o strade di lettura. Ne riporto 2.
1) Per prima cosa si recuperavano gli scritti teologici del giovane Hegel ritrovati e pubblicati solo nel 1909.
In essi la necessita di combinare il sentimento religioso, con un logos razionale erano già evidenti.
2) Così nel romanticismo il "geist" lo spirito si caricava dello stesso peso razionale.
3) in Hegel la fine coincide con l'ironica presa di distanza da se stessi. In quanto logicamente ci è sempre negato il contatto con lo spirito.
4) per Hegel l'ideale è di cogliere la rosa dentro il crocifisso, ossia trovare un modo dell'accoglienza dello spirito senza passare per la sofferenza cristica.
Aggiungo a corollario del 4 (ma vedremo se è così o meno) che la condizione cristica dell'uomo abbandonato al suo destino, si sposa bene con la fine.
Ma la fine che cosa è? è la costante presa di negazione della nostra essenza. Ogni volta che noi seguiamo le tracce dello spirito, infine ci ritroviamo sempre negati.
Unendo le strade consigliate del 3 con il 4, possiamo immaginare come l'autocoscienza sia questo processo infinito a cui noi siamo chiamati fino a consumarci.
Infatti Dio (Cristo) muore.
Proviamo a riferirci invece a Nereo Villa: il cristo è una entita sinderetica.
Dunque non può essere uccisa. E' piuttosto lei che accoglie il soggetto a essere quello che deve essere.
Rispetto a queste visioni armoniche (probabilmente riprese da Steiner, il teosofo) non sono in disaccordo totale, il punto è che noi partiamo da un soggetto, e la filosofia costruisce sistemi a partire da esso, se noi instaurassimo un sistema a volo d'uccello, un occhio di falco, come la ghematria ci insegna a proposito del genesi 1:1, noi presupporremmo una forza che ci anticipa.
Questa visione religiosa supponga che sia contenuta in Hegel, e la studieremo meglio quando la paragoneremo con la teosofia di Bohme.
Si capisce l'urgenza di hegel proprio a partire da queste problematiche di ordine superiore.
Hegel come ogni grande pensatore, non parte dall'alto, ma dal basso. Proprio perchè nel suo  pensiero egli parte dal  basso,  e sentendo già, ciò che parte dall'alto, necessita di una sistemazione a doppia mandata. A doppia elica, o meglio spirale.
Ciò che è basso è anche alto, recita l'antica sapienza gnostica.
Hegel non pensa ai pensatori religiosi, semplicemente perchè li dà per acquisiti, il suo problema massimo è invece l'eterno nemico: la scienza analitica, formale, senza fine e senza anima.

Domani proviamo a riscriverlo in forma ridotta.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

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