"TRASIMACO" Una non inutile lettura pre-elettorale!

Aperto da Eutidemo, 02 Marzo 2018, 17:21:23 PM

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Eutidemo

"TRASIMACO" 
"Amicus Plato, sed magis amica veritas".
Domenica si vota, per cui, nell'ultima settimana pre-elettorale, ho ritenuto non inutile rileggere dopo tanto tempo (e per mio gusto commentare molto alla buona), il primo libro della REPUBBLICA di Platone; se volete, avete tutto sabato per dare un'occhiata anche voi!
Ricordo che, a circa undici o dodici anni di età, quando ancora ero un appassionato lettore di Topolino, non so come "mi punse vaghezza" di leggere qualcuno dei "DIALOGHI" di Platone; a posteriori, dubito fortemente che sia stata una buona idea, perchè non credo che sia una lettura molto adatta ad un ragazzo di quell'età...però ricordo che, pur capendoci poco, fu una lettura che mi piacque molto.
Mi dava molto ai nervi, però, di non poter partecipare direttamente alla discussione, dicendo anche la mia; per quel poco che potesse valere.
Non che adesso la mia opinione valga molto più di allora (ero un "enfant prodige", a tre anni avevo la stessa intelligenza che ho adesso :D ), però mi sono sono voluto togliere lo sfizio di "mettere bocca", molto alla buona, in uno dei dialoghi più intriganti, la "REPUBBLICA", e, in particolare, nella discussione tra Socrate e Trasimaco.
Sotto elezioni, infatti, trovo il tema molto appropriato, perchè ha un profilo politico molto intrigante; in sintesi, infatti, Trasimaco afferma che che il giusto non è altro che l'interesse del più forte (soprattutto in ambito politico, ma non solo), mentre Socrate contesta tale assunto.
Tale tema, invero, è trattato anche nel dialogo LEGGI (IV, 714c), laddove si sostiene e si contesta la tesi che il giusto sia l'utile del più forte, nel senso che nella "polis" le leggi sono poste sempre dal più forte, per conservarsi il governo e fare i propri interessi; quando si combatte per il potere, infatti, i vincitori si impadroniscono a tal punto degli affari della città da non lasciarne nulla (o quasi) agli sconfitti.
Ma, per ora, atteniamoci al dibattito con Trasimaco, che appare nel primo libro della "REPUBBLICA"; il testo di cui mi sono avvalso è il seguente, in modo che chiunque legga possa verificare la fonte su INTERNET:
http://www.ousia.it/content/Sezioni/Testi/PlatoneRepubblica.pdf
Però devo segnalare, per correttezza, che non ho confrontato tale testo con la versione originale in greco, per cui ho il sospetto che alcuni termini siano stati tradotti male; ed infatti, come si vedrà, talvolta il testo mi sembra assolutamente incongruo.
Mi riservo di fare un più accurato confronto in un secondo tempo, anche in seguito alle segnalazioni da voi ricevute.
Ho quindi frazionato il brano in sessanta "passi", ognuno dei quali con un mio breve commento; questo, per rendere più agevole la lettura...che, comunque, in molti punti diventa davvero alquanto farraginosa.
Ed infatti, Socrate, utilizza per lo più il seguente metodo "dialettico": quando vuole trarre una certa conclusione non la  lascia prevedere, ma  fa in modo che l'avversario ammetta senza accorgersene le premesse una per volta e in ordine sparso. 
Cioè, occulta il proprio gioco finché Trasimaco non abbia ammesso tutto ciò di cui  ha bisogno; e poi arriva al dunque partendo da lontano, secondo le regole suggerite da Aristotele (in Topici, VIII, 1), nonchè anche da Schopenauer ne "L'arte di ottenere ragione" (quarto stratagemma).
Per rendere i miei interventi più "realistici", visto che del dialogo in questione non ricordavo "pressochè" niente, mi sono astenuto dal rileggerlo in anticipo integralmente (o per riassunto) prima di commentarlo; in tal modo, quindi, la maggior parte dei miei commenti risultano più o meno gli stessi che avrei fatto se avessi assistito al dibattito in tempo reale ed in prima persona.

Eutidemo

1)
«Ascolta», dice Trasimaco «Io affermo che il giusto non è altro che l'interesse del più forte. Perché non mi lodi? Certo non vorrai!». «Lascia prima che intenda il senso delle tue parole», risponde Socrate, «perché non lo capisco ancora. Tu affermi che il giusto è l'interesse del più forte. Ma perché mai dici questo, Trasimaco? Di sicuro non vuoi dire una cosa del genere: che se Polidamante, il lottatore di pancrazio, è più forte di noi e al suo corpo giova la carne di bue, questo cibo è vantaggioso e giusto anche per noi, che siamo inferiori a lui». 
COMMENTO
Socrate fa ricorso ad uno sfacciato espediente sofistico, perchè è ovvio che "il giusto" a cui si riferisce Trasimaco va inteso nel senso etico di "giustizia", e non nel senso di "opportuno" e "conveniente" dal punto di vista dietetico; si tratta, cioè, da parte di Socrate, di un mero trucco semantico, talmente elementare che, a mio avviso, il suo scopo non era affatto quello di "persuadere" l'avversario, bensì, semplicemente, di "irritarlo".
In buona sostanza, cioè, Socrate sta mettendo in pratica lo STRATAGEMMA N . 8 de "L'ARTE DI OTTENERE RAGIONE", di Arthur Schopenhauer, il quale consiste nel: "Suscitare l'ira dell'avversario, perché nell'ira egli non è più in condizione di giudicare rettamente e di percepire il proprio vantaggio. Si provoca la sua ira facendogli apertamente torto, tormentandolo e, in generale, comportandosi in modo sfacciato."
Il fatto che Socrate ricorra a tale (in verità alquanto discutibile) espediente retorico, secondo me ci lascia intuire una cosa molto importante; e, cioè, che, "probabilmente", in questo caso Platone ci sta riportando quasi in modo stenografico una disputa verbale, quasi "tel quel", così come effettivamente avvenne tra Socrate e Trasimaco.  

2)
«Sei disgustoso, Socrate!», esclama Trasimaco. «Interpreti il discorso in modo da stravolgerlo completamente!». «Nient'affatto, esimio!», replica Socrate. «Esprimi tu più chiaramente cosa intendi dire!» 
COMMENTO
Lo stratagemma di Socrate (ovvero quello n.8 di Schopenhauer), ha effetto, perchè Trasimaco comincia a perdere un po' le staffe.

3)
«Allora non sai», dice Trasimaco «che alcune città sono governate da tiranni, altre hanno un regime democratico, altre ancora un regime aristocratico?» «Come no?» «E in ogni città non comanda la forza che è al governo?» «Naturalmente». «E ogni governo stabilisce le leggi in base al proprio utile: la democrazia istituisce leggi democratiche, la tirannide leggi tiranniche, e così gli altri governi; e una volta che le hanno stabilite proclamano ai sudditi che il proprio utile è giusto e puniscono chi lo trasgredisce come persona che viola le leggi e commette ingiustizia. Questo, carissimo, è ciò che io chiamo il giusto, lo stesso per tutte le città: l'interesse del potere costituito. Esso ha dalla sua la forza, tanto che, se si fa un ragionamento corretto, il giusto si identifica ovunque con l'interesse del più forte». 
COMMENTO
Il discorso di Trasimaco, secondo me, non fa una piega, almeno stando alla prevalente realtà storica; sebbene, come è tipico di quel periodo, Trasimaco tende un po' troppo ad omologare ciò che è "giusto" e ciò che, invece, è soltanto "legale"...due cose che, a mio avviso, non necessariamente coincidono!
Ed infatti, "violare le leggi", non necessariamente significa "commettere ingiustizia"; come l'Antigone di Sofocle ci insegna, e come ci insegnano gli esempi dei tanti che violarono le "leggi razziali" in nome, appunto, della "giustizia".
Io gli avrei obiettato questo.
Ma sentiamo, invece, cosa gli obietta Socrate.

4)
«Ora ho capito il senso della tua affermazione», dice Socrate, «e cercherò di capire se è vera o no. Dunque anche tu, Trasimaco, hai risposto che il giusto è l'interesse; eppure mi avevi proibito di rispondere così. C'è però un'aggiunta: "del più forte"». «Un'aggiunta da poco, forse!», aggiunge. «Non è ancora chiaro neanche se sia importante; è però chiaro che bisogna esaminare se dici il vero. Anch'io infatti riconosco che il giusto è qualcosa di utile, ma tu, con la tua aggiunta, dici che lo è per il più forte; e io non ne sono sicuro. Perciò bisogna esaminare questo punto». «Esamina pure!»
COMMENTO
Anche in questo caso, sia Trasimaco che Socrate tendono un po' troppo ad omologare concetti alquanto diversi, o comunque, non necessariamente "sovrapponibili": come, appunto, il "giusto" e l'"utile".
Ed invero, secondo me, occorre distinguere tra:
a) GIUSTIZIA,  che, almeno in via di principio, consiste nel "dare a ciascuno il suo", o, come più dettagliatamente e magistralmente enuncia  Eneo Domizio Ulpiano nelle sue Regole: "La giustizia consiste nella costante e perpetua volontà di attribuire a ciascuno il suo diritto. Le regole del diritto sono queste: vivere onestamente, non recare danno ad altri, attribuire a ciascuno il suo".
Tale concetto, però, è soggetto anche ad altri tipi di definizione, sia concettuali sia meramente semantici; così come meglio si vedrà in seguito.
b) UTILITA', che consiste nella idoneità, efficacia e proficuità  di determinati mezzi   per raggiungere determinati scopi,  i quali possono essere giusti, ingiusti o del tutto neutri; ad esempio, un buon vocabolario è utile per evitare errori di grammatica.
Quindi, almeno a mio parere, a differenza del concetto di "giusto", che fondamentalmente attiene ai "FINI", il concetto di "utile",  fondamentalmente attiene ai MEZZI, che possono essere utilizzati per gli scopi più diversi.
Perciò, quando Socrate dice: "Il giusto è qualcosa di utile", io obietterei:
- il vero "giusto" è fine a se stesso, quindi non è "utile" a niente;
- posto che fosse  "utile"  a qualcosa, diventando un "mezzo", perderebbe la sua caratteristica fondamentale, sebbene il suo scopo potrebbe essere egualmente encomiabile (ad es., la pace sociale).
Chiarito questo punto, sembra che sia Trasimaco che Socrate concordino nell'identificare il "giusto" con "l'interesse"; cosa, invero, molto discutibile, in quanto, se io trovassi un portafoglio in terra con i documenti del proprietario, non c'è dubbio che sarebbe mio "interesse" tenermi i soldi, però saprei BENISSIMO che, invece, sarebbe "giusto" restituirli al proprietario.
"Cuique suum!"
Ma, per il momento, sorvoliamo su tale punto, e concentriamoci sul fatto che Socrate vuole ora discutere circa l'"interesse" di chi; forse del "più forte", come dice Trasimaco?
O di chi altro, sennò?

5) 
Socrate domanda: «Rispondimi, dunque: non affermi anche che è giusto obbedire ai governanti?» «Certamente!». «Ma in ogni città i governanti sono infallibili e possono anche sbagliare?» «Sicuramente possono anche sbagliare», risponde. «Perciò, quando si mettono a istituire le leggi, alcuni le istituiscono correttamente, altri no?» «Credo di sì». «E legiferare bene significa stabilire ciò che per loro è utile, legiferare male stabilire ciò che per loro è svantaggioso? O com'è che poni la questione?» «Così». «Ma i sudditi devono fare ciò che essi stabiliscono, e questo è il giusto?» «Come no?» «Dunque, secondo il tuo ragionamento, è giusto fare non solo l'interesse del più forte, ma anche il suo contrario, ossia ciò che gli è svantaggioso». «Che cosa vuoi dire?», domandò. 
COMMENTO
Così come pure suggerisce Aristotele (in Topici,VIII, 1), qui Socrate si attiene allo strategemma dialettico per cui, quando si vuole trarre una certa conclusione non la si lascia prevedere, ma si fa in modo che l'avversario ne ammetta, senza accorgersene, le premesse.

6)
«Quello che dici tu, mi sembra; comunque esaminiamo meglio la questione. Non si è convenuto che i governanti, quando impongono ai sudditi di fare determinate cose, a volte non colgono nel segno riguardo a ciò che è meglio per loro, ma d'altra parte è giusto che i sudditi facciano ciò che ordinano i governanti? Non si è convenuto questo?» «Credo di sì», risponde. «Considera allora», proseguii, «che per tua ammissione è giusto fare anche ciò che è svantaggioso ai governanti e ai più forti, quando essi danno senza volerlo ordini contrari al proprio utile; ma d'altro canto tu sostieni che è giusto eseguire ciò che essi ordinano. Allora, sapientissimo Trasimaco, non ne consegue inevitabilmente che sia giusto fare il contrario di ciò che tu dici? Infatti al più debole si impone senz'altro di fare ciò che è svantaggioso al più forte». 
COMMENTO
Trasimaco, avendo accettato le "premesse", è ormai caduto nella trappola; per cui difficilmente, ora, potrà contestare le "conclusioni" che da tali premesse scaturiscono.
Praticamente, con il suo sottile ragionamento, Socrate prospetta una ETEROGENESI DEI FINI dell'ingiusto, cioè, quella che il filosofo e psicologo empirico Wilhelm Wundt sintetizza nell'espressione «conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali».
Cioè, se un governo plutocratico ("il più forte") varasse una riforma fiscale a proprio "presunto" utile e vantaggio, ma, per un errore tecnico del proprio ministro delle finanze, essa, alla fine, si riverberasse a suo danno, per i sudditi sarebbe "giusto" adeguarsi alla legge di riforma varata dai plutocrati a loro presunto utile ma a loro sostanziale danno, ovvero sarebbe "giusto" non adeguarvisi, tenendo conto di quello che sarebbe l'effettivo utile e vantaggio del governo plutocratico?
Mi pare che Socrate intenda qualcosa del genere; ma a cosa ci porta questo?

7)
Sì, per Zeus», dice Polemarco, «questo è chiarissimo, Socrate!». «Se lo confermi con la tua testimonianza», interviene Clitofonte. «Che bisogno c'è di testimoni?», dice. «Lo stesso Trasimaco ammette che a volte i governanti danno ordini contrari al proprio utile, e comunque è giusto che i sudditi li eseguano». «Perché Trasimaco ha definito il giusto come l'eseguire gli ordini impartiti dai governanti, Polemarco». «E ha definito il giusto anche come l'interesse del più forte, Clitofonte. E una volta che ha posto questi due princìpi ha convenuto che talvolta i più forti impartiscono ai più deboli e ai sudditi ordini contrari ai propri interessi. Se si concede questo, ne consegue che l'interesse del più forte non potrà essere giusto più di ciò che gli è svantaggioso». 
COMMENTO
Polemarco sottolinea la contraddizione dell'assunto di Trasimaco, messa in evidenza da Socrate: se davvero il "giusto" consistesse nell'"interesse del più forte", i più deboli dovrebbero disobeddirgli quando il più forte, per errore, ordina cose che, di fatto, contrastano con il suo interesse?
In effetti, si tratta di una questione alquanto pretestuosa, perchè quale mai sarebbe l'astratto principio in base al quale stabilire se il governante (forte) sta sbagliando oppure no, nel cercare di perseguire il suo interesse?
Cioè, posto che il "giusto" consista nell'"interesse del più forte", come fanno i più deboli a sapere con certezza che il più forte sta ordinando cose che, di fatto, contrastano con il suo interesse?
Non potrebbero errare anche loro, nel considerare errati gli ordini del più forte, in quanto per lui "disutili"?
Insomma, per me, è un po' un serpente che si morde la coda.
Ma torniamo al dialogo!

8)
«Lui però», dice Clitofonte, «ha affermato che l'interesse del più forte è ciò che il più forte ritiene utile per sé: questo deve fare il più debole, e questa è la definizione che è stata data di giusto». «Ma non si è espresso in questi termini!», ribatte Polemarco. «Non fa differenza, Polemarco», interviene Socrate. «Se ora Trasimaco la pensa così, accettiamo questa sua definizione. Ma tu dimmi, Trasimaco: era questo ciò che intendevi per giusto, ovvero ciò che sembra utile al più forte, che lo sia davvero o no? Dobbiamo dire che questa è la tua posizione?» 
COMMENTO
Socrate tenta di inchiodare Trasimaco alla sua contraddizione, sebbene anche il suo assunto, secondo me, ha un punto debole; che vuol dire "che lo sia davvero o no?"
In tal modo, infatti, si "decontestualizza" il problema, confondendo il piano concreto con quello astratto.

9)
«Nient'affatto!», replica Trasimaco. «Credi forse che io chiami più forte chi sbaglia proprio quando sbaglia?» «Per la verità», obietta Socrate, «credevo che tu dicessi proprio questo, quando hai ammesso che i governanti non sono infallibili, ma possono sbagliare in qualcosa». «Nei discorsi, Socrate, sei proprio un sicofante!», ribatte Trasimaco. «Ad esempio, tu chiami medico chi sbaglia a proposito degli ammalati per il fatto stesso che sbaglia? O computista chi sbaglia a fare i calcoli proprio nel momento in cui sbaglia, in virtù di questo errore? Mi sembrano piuttosto modi di dire le frasi del tipo il medico ha sbagliato, il computista ha sbagliato, lo scrivano ha sbagliato, ma secondo me ciascuno di loro, per quanto risponde alla definizione che diamo di lui, non sbaglia mai; perciò, a rigore di termini, dato che anche tu fai il meticoloso, nessun artigiano sbaglia. Chi sbaglia lo fa quando viene meno la sua scienza, e in ciò non è un artigiano; di conseguenza nessun artigiano o sapiente o governante sbaglia quando è tale, sebbene chiunque possa dire che il medico o il governante ha sbagliato. In tal senso, quindi, interpreta ora la mia risposta. L'espressione più esatta è però la seguente: chi governa, per quanto è governante, non sbaglia e stabilisce senza sbagliare ciò che è meglio per sé, e al suddito tocca eseguirlo. Perciò, come dicevo dall'inizio, considero giusto agire nell'interesse del più forte». 
COMMENTO
Il ragionamento di Trasimaco, in questo punto, diventa alquanto contorto.
Ed infatti, se è in parte vero che l'artigiano che sbaglia lo fa quando viene meno la sua scienza, ciò non significa affatto che, per tale motivo, quando sbaglia non sia pur sempre un artigiano; ed infatti, non bisogna confondere ciò che si è (artigiano), con ciò che si fa (il prodotto della propria arte)...che può essere fatto bene o male, ma questo non cambia affatto la qualifica del soggetto agente.
Di conseguenza, secondo me, sia un artigiano, sia un sapiente sia un governante può benissimo sbagliare, pur restando tale.
Comunque, a questo punto, i due si mettono un po' a battibeccare come due comari.

10)
«Va bene, Trasimaco», dice Socrate. «Ti pare che io faccia il sicofante?» «Ma certo!», risponde quello. «Credi dunque che io ti abbia posto la domanda così per usare di proposito dei giri di parole?» «Ne sono sicuro!», ribatte (n.d.a. e non ha tutti i torti). «E non ti servirà a nulla, poiché non potrai sfuggirmi nei tuoi raggiri, e neppure sopraffarmi nella discussione senza che io me ne accorga». «Ma non ci proverei neanche, beato!», cerca di calmarlo Socrate. «Tuttavia, per evitare che una cosa del genere si ripeta, definisci se stai parlando del governante e del più forte "in maniera generica" o nel "senso stretto del termine", come hai fatto ora, precisando quale dei due è il più forte nel cui interesse sarà giusto che il più debole agisca».
COMMENTO
Se ho ben compreso, sia Socrate che Trasimaco intendono il governate ed il più forte "in maniera generica" quando può sbagliare, o "nel senso stretto del termine", quando non può sbagliare; distinzione che a me, sinceramente, pare alquanto astratta. 
Mi ricorda un po' (in un certo senso) il "mito della caverna", per cui:
- il governante nel "senso stretto del termine", sarebbe una sorta di "governante IDEALE", il quale, per sua natura, almeno "nel mondo delle idee", non potrebbe mai sbagliare;
- il governante "in maniera generica", invece, sarebbe la sua ombra sul fondo della caverna, e, cioè, un qualsiasi "governante CONCRETO".

Eutidemo

11)
 «Sto parlando del governante nel senso più stretto del termine», risponde Trasimaco. «Contrasta pure questa mia affermazione con giri di parole e calunnie, se ne sei capace, io non mi tiro indietro; ma non ci riuscirai». «Credi che io», replica Socrate, «sia così pazzo da tentare di tosare un leone e calunniare Trasimaco?» «Ma se hai cercato di farlo proprio ora», ribatte Trasimaco, «senza riuscire neanche in questo!». «Basta con simili discorsi!», taglia corto Socrate. 
COMMENTO
E fa bene a tagliare corto, perchè certe rimostranze di Trasimaco cominciano a diventare un po' stucchevoli; sebbene esse non siano del tutto infondate.

12)
«Piuttosto dimmi: il medico nel senso stretto del termine, di cui parlavi poco fa, è un affarista o uno che cura gli ammalati? Parla solo di chi è davvero medico». «Uno che cura gli ammalati», risponde. «E il timoniere? Chi è veramente timoniere è un capo di marinai o un marinaio?» «Un capo di marinai». «Non bisogna tener conto, credo, del fatto che egli si trova a bordo della nave, e chiamarlo per questo marinaio; infatti non si chiama timoniere perché naviga, ma per la sua arte e la sua autorità sui marinai». «E' vero», ammette Trasimaco. «Ciascuno di loro non ha un proprio interesse?» «Certamente». «E anche la loro arte», aggiunsi, «non ha per sua natura lo scopo di cercare e procurare a ciascuno il proprio utile?» «Sì, ha questo scopo», risponde Trasimaco. 
«E ogni arte ha forse un interesse diverso da quello di essere il più possibile perfetta?» «Che cosa significa questa domanda?» chiede Trasimaco.
COMMENTO
Lo chiederei anche io a Socrate, perchè la domanda mi pare alquanto malposta; ed infatti l'interesse di ogni arte è di produrre ciò a cui a destinata, ma, quello di riuscire a farlo in modo perfetto, è soltanto un desiderio dell'artista, e NON il fine specifico di una determinata arte.
Ma forse sono io che ho capito male...vediamo come ce lo spiega lui.

13) 
«Ad esempio», spiega Socrate, «se mi chiedessi se al corpo basta essere corpo o ha bisogno di qualcos'altro, risponderei: "Ne ha bisogno senz'altro! L'arte medica è stata inventata proprio per questo, perché il corpo è debole e non gli basta essere così com'è. Pertanto quest'arte è stata istituita per procurargli ciò che gli serve". Mi sembra che avrei ragione a parlare così; o no?» «Sì, avresti ragione», risponde Trasimaco. 
COMMENTO
Io, invece, non sarei tanto d'accordo, in quanto:
- al corpo "sano" basta benissimo essere così com'è, e non gi serve affatto un medico;
- un medico (forse) serve solo ad un corpo "malato".
Cioè, mi sembra alquanto incongruo confondere la condizione patologica con quella fisiologica; sarebbe come dire che, per respirare, i polmoni hanno bisogno della ventilazione artificiale anche quando funzionano perfettamente per conto loro.
Ma vediamo dove vuole andare a parare Socrate.

14)
Socrate dice:
«Allora la medicina in sé vale poco, oppure anche altre arti hanno bisogno talvolta di una qualità, come gli occhi hanno bisogno della vista e le orecchie dell'udito, e perciò necessitano, oltre che di questi organi, di un'arte che ricerchi e procuri ciò che serve al loro funzionamento? C'è dunque un difetto nell'arte stessa, e ciascuna arte ha bisogno di un'altra arte che ricerchi ciò che le serve, e questa ne richiede a sua volta un'altra dello stesso genere, e così all'infinito? O l'arte ricercherà da sé ciò che le serve? Oppure non ha bisogno né di se stessa né di un'altra per ricercare ciò che è utile a sanare il proprio difetto, poiché non ci sono difetti o errori in nessuna arte; e a un'arte spetta di ricercare l'utile solo per ciò che la concerne come arte, ma ciascuna arte in sé, se è autentica, non conosce danno o contaminazione finché resta qual è nella sua perfetta integrità? Esamina il problema col rigore di cui parlavi: le cose stanno così o diversamente?» 
COMMENTO
Sinceramente, a me pare uno sproloquio privo di senso, a meno che non serva a predisporre un'altra trappola dialettica per l'interlocutore; anche se, per il momento, io non la intravedo ancora!
Ed invero, a mio parere, non è affatto un "difetto" dell'arte, se ciascuna arte ha bisogno di un'altra arte che ricerchi ciò che le serve, e questa ne richiede a sua volta un'altra; ad esempio, non è è affatto un "difetto" dell'arte dentistica, quella di dover ricorrere all'arte dell'odontotecnico, e, questo, all'arte del protesiologo e così via.
E' vero che, all'epoca di Socrate non esistevano tante specializzazioni quante ne esistono adesso; ma, anche allora, l'arte guerriera necessitava dell'arte metallurgica, quella del cantore dell'accordatore di lira ecc.
Quindi, a me sembra normale che determinate arti vengano supportate da altre, senza che, per questo, le prime possano essere in alcun modo considerate "difettose".
Ma, forse, io ho frainteso ciò che Socrate intendeva dire...per cui andiamo avanti.

15)
«Pare che stiano così», Trasimaco conviene. «Pertanto», continua Socrate, «la medicina ricerca ciò che è utile non alla medicina, ma al corpo». «Sì», ammette Trasimaco. «E l'ippica ricerca ciò che è utile non all'ippica, ma ai cavalli; e nessun'altra arte ricerca l'utile proprio, giacché non ne ha bisogno, bensì l'utile di ciò che la concerne come arte». «Pare di sì», ammette Trasimaco. 
COMMENTO
Qui il discorso di Socrate si fa ancora più cervellotico!
Ed infatti, a prescindere dal fatto che, in medicina, agiscono soggetti diversi, alcuni dei quali dediti alla ricerca volta a migliorare l'arte medica in quanto tale, ed altri soggetti dediti esclusivamente a curare i corpi dei malati, anche a voler concedere che, all'epoca di Socrate, gli stessi soggetti si occupassero di entrambe le cose, mi sembra evidente che la ricerca di ciò che è utile alla medicina, è pur sempre "mediatamente" utile al corpo da guarire; cioè, "fuor di sofisma", ciò che è utile alla medicina, è utile anche al corpo da curare.
Lo stesso vale per l'ippica e per le altre arti, mi pare!
Ogni arte, cioè, se proprio vogliamo usare la terminologia di Socrate (che io trovo alquanto impropria), ricerca l'utile proprio proprio al fine di meglio procurare l'utile di ciò che la concerne come arte.

16
««Eppure, Trasimaco, le arti comandano e signoreggiano su ciò di cui sono arti». Dice Socrate, e Trasimaco Convenne anche su questo punto, con molta riluttanza. 
COMMENTO
Secondo me, personalizzare l'arte come se fosse un soggetto che "comanda" e "signoreggia", sia pure metaforicamente, è solo un espediente per confondere la carte in tavola.

17)
«Dunque nessuna scienza ricerca e impone l'interesse del più forte, bensì quello di chi è più debole e soggetto ad essa». Alla fine Trasimaco ammette anche questo, benché cercasse di far resistenza. 
COMMENTO
Io non lo avrei ammesso tanto facilmente, per vari motivi.
Innanzitutto, prima Socrate usava il termine "arte" (secondo me in modo assolutamente improprio), adesso, invece, senza renderci conto del cambiamento, in suo luogo usa il termine "scienza"; termine forse un po' più appropriato, anche se non del tutto, tenendo conto del tema. Ma, comunque, usa in modo sinonimico due concetti, a mio avviso, non omologabili.
In secondo luogo, un conto è dire, come faceva Trasimaco al principio, che i governanti tendono a far passare per "giusto" ciò che fa loro più comodo (o più "utile", se preferite), ed un altro conto è estendere impropriamente il discorso, come fa Socrate, ad altre attività, tipo quella del medico, che, con l'attività di governo non hanno niente a che vedere!
Anche tale genere di omologazione, a mio parere, è del tutto impropria!
Inoltre, che senso ha dire che "nessuna scienza ricerca e impone l'interesse del più forte, bensì quello di chi è più debole e soggetto ad essa"?
Ed infatti, mentre, in un certo senso, può anche essere lecito asserire che la "scienza di governo" impone (o non impone) l'interesse del "più forte", rispetto a chi è "più debole" e soggetto ad essa, in quanto costui si trova suddito delle leggi emesse dal governante, questo non è vero per la maggior parte delle altre "scienze" (o "arti"), in quanto, chi le pratica non può imporre (o non imporre) l'interesse del "più forte", rispetto a chi è "più debole" e soggetto ad esse; ed infatti, circa la musica, la danza, la pittura ecc., non c'è un soggetto forte che la pratica, ed un soggetto debole che la subisce, e così è per la maggior parte delle altre arti!

18)
Quando vede che Trasimaco è d'accordo,  Socrate riprende il filo del suo (sofistico) discorso: «Non è forse vero che nessun medico, per quanto è medico, ricerca e impone ciò che è utile al medico, bensì ciò che è utile all'ammalato? Abbiamo convenuto che il medico in senso stretto governa i corpi, ma non è un affarista. O non l'abbiamo convenuto?» 
Trasimaco lo ammette. «Quindi anche il timoniere in senso stretto è capo dei marinai, non un marinaio?» «Siamo d'accordo». «Perciò un simile timoniere e capo non ricercherà e non imporrà l'interesse del timoniere, ma quello del marinaio e di chi gli è soggetto». Trasimaco lo ammette con riluttanza. «Di conseguenza, Trasimaco», conclude Socrate, «nessun altro uomo in nessun posto di comando, in quanto capo, ricerca e impone il proprio interesse, bensì l'interesse di colui che gli è sottoposto e per il quale esercita la propria funzione, e tutte le sue parole e le sue azioni mirano all'utilità e alla convenienza di quello». 
COMMENTO
Socrate conclude il suo sillogismo paralogistico, omologando ciò che omologabile non è; ed infatti, per esempio, non si può certo dire che un medico sia in "un posto di comando" alla stessa stregua di come lo è un "governante politico":
- sia perchè il paziente non è obbligato ad obbedire alle sue prescrizioni, e può scegliere benissimo un altro medico in qualsiasi momento, mentre il governato no;
- sia perchè il medico non ha un contrasto di interessi con il suo paziente, mentre un governante (intendendo per esso anche una fazione o una classe sociale), potrebbe benissimo averne con i governati, e, quindi, gestendo il potere, tendere a fare il proprio interesse, e non quello dei sudditi.
Per cui, l'assimilazione della "scienza" o "arte" di governo alle altre "scienze" o "arti", è semplicemente un espediente dialettico, per far indebitamente prevalere la propria tesi. 
Peraltro, restando alla sola "scienza" o "arte" politica, nel dibattito tra Socrate e Trasimaco, spesso il primo tende a confondere il piano "deontologico" con con quello "ontologico": ed infatti, è ovvio che, "nel mondo ideale", chi governa, "NON DOVREBBE" ricercare e imporre il proprio interesse, bensì l'interesse dei governati,  per i quali esercita la propria funzione.
Bella scoperta!
Ma quello che Trasimaco intendeva dire è che, a parte ciò che un governante dovrebbe fare "in teoria", di fatto non è quasi mai quello che fa "in pratica"; in quanto, appunto, in pratica, l'esperienza ci insegna che chi è al potere (democratico o meno che sia), tende a perseguire se non addirittura il proprio interesse personale, quantomeno l'interesse particolare del suo partito e/o della sua classe sociale.
E, avendone la "forza" (politica, militare e propagandistica), cerca, più o meno consapevolmente, di far passare i propri interessi, come il "GIUSTO" per tutti!
Forse Trasimaco, per farsi capire meglio da Socrate, non avrebbe dovuto dire che "Il giusto è l'utile del più forte", bensì che  "L'utile del più forte, è ciò che quest'ultimo cerca di contrabbandere come se fosse il Giusto".

19)
Quando arrivammo a questo punto della discussione e appariva evidente a tutti che la definizione di giustizia si era convertita nel suo contrario, Trasimaco, anziché rispondere, domanda: «Dimmi, Socrate: tu hai una balia?» «Cosa?», replica Socrate. «Non sarebbe meglio rispondere piuttosto che fare simili domande?» «Il fatto è», disse, «che ti lascia con il moccio al naso e non te lo soffia quando ne hai bisogno; e per merito suo tu non sai neanche riconoscere le pecore dal pastore». «E perché mai?», chiede Socrate. «Perché pensi che i pastori o i bovari ricerchino il bene delle pecore o dei buoi, e li ingrassino e li curino con uno scopo diverso dal bene proprio e dei loro padroni; allo stesso modo credi che i governanti delle città, quelli che detengono realmente il potere, abbiano verso i sudditi un atteggiamento diverso da quello che si può avere con le pecore, e ricerchino giorno e notte qualcos'altro che il modo di trarne un vantaggio personale. E hai fatto tanti progressi nei concetti di giusto e dì giustizia, di ingiusto e di ingiustizia, da ignorare che la giustizia e il giusto sono in realtà un bene altrui, cioè l'interesse di chi è più forte e comanda, e un male proprio di chi obbedisce e serve, mentre l'ingiustizia comanda su chi è veramente ingenuo e giusto, e i sudditi fanno l'interesse del più forte e lo rendono felice mettendosi al suo servizio, ma non procurano il benché minimo vantaggio a se stessi. Devi considerare, sciocco di un Socrate, che in ogni circostanza un uomo giusto ottiene meno di uno ingiusto. Innanzi tutto, nei contratti privati, quando due persone del genere si mettono in società, allo scioglimento del rapporto non troverai mai che il giusto possieda di più dell'ingiusto: possederà di meno; poi, nei rapporti con lo Stato, quando ci sono tributi da pagare, a parità di mezzi l'uomo giusto paga di più, l'altro di meno, quando invece c'è da prendere l'uno non ricava nulla, l'altro ricava molto. E nel caso ricoprano entrambi una carica, il giusto, anche se non gli capita nessun altro guaio, subisce un danno negli interessi personali perché li ha trascurati e non ricava vantaggio dalla cosa pubblica per il fatto che è giusto, e oltre a ciò diviene inviso a familiari e conoscenti, se non è disposto a favorirli contro giustizia. 
All'ingiusto invece capita l'esatto contrario: mi riferisco, come dicevo poco fa, a chi sa imporsi sugli altri. Lo capirai nel modo più facile se giungerai all'ingiustizia più perfetta, che rende felicissimo chi la commette, e infelicissimi quanti la subiscono e non vorrebbero comportarsi ingiustamente. E la tirannide, che non si appropria dei beni altrui, sacri e profani, privati e pubblici, poco a poco, con l'inganno e la violenza, ma prende tutto in una volta. Se uno viene sorpreso a commettere ingiustizia in un singolo ambito, viene punito e riceve il massimo biasimo: non a caso coloro che si macchiano di queste colpe una alla volta sono chiamati sacrileghi, schiavisti, scassinatori, rapinatori, ladri. Ma quando uno ha ridotto in schiavitù i propri concittadini, oltre a essersi appropriato delle loro ricchezze, invece di questi nomi infamanti guadagna la reputazione di uomo felice e beato, non solo da parte dei concittadini, ma anche di chiunque altro venga a sapere che ha commesso l'ingiustizia più completa; infatti coloro che biasimano l'ingiustizia la biasimano per il timore non di farla, ma di subirla. Così, Socrate, l'ingiustizia, quando si realizza in misura adeguata, è una cosa più forte, più libera, più potente della giustizia, e come ho detto dall'inizio il giusto è l'interesse del più forte, l'ingiusto giova e conviene a se stesso». 
COMMENTO
Quella di Trasimaco, è una fotografia forse un po' troppo cinica e spietata della realtà; ma non si può negare che (almeno nella maggior parte dei casi) colga quasi sempre nel segno!
Oggi come allora, per esempio, chi mai potrebbe  negare che: "...quando ci sono tributi da pagare, a parità di mezzi l'uomo giusto paga di più, l'altro di meno!"; e lo stesso, indubbiamente, vale anche per MOLTE sue altre affermazioni, sebbene, a mio avviso, non proprio tutte.
Vediamo come reagiscono gli altri partecipanti al dibattito.

Eutidemo

20)
A questo punto Trasimaco avrebbe in mente di andarsene, dopo aver rovesciato giù dalle orecchie, come un bagnino, un bel diluvio di parole; ma i presenti non glielo permettono, ma, anzi lo costringono a rimanere e a rendere conto delle sue affermazioni. 
Socrate lo prega: «Divino Trasimaco, tu hai in mente di andartene dopo averci scagliato addosso un simile discorso, senza averci sufficientemente chiarito o aver appreso tu stesso se le cose stanno così o diversamente? O credi che sia cosa da poco accingersi a definire la condotta di un'intera vita, alla quale ciascuno di noi deve attenersi per poter vivere con il massimo profitto?» 
«E io la penso forse altrimenti?», ribatte Trasimaco. 
«Tu dai questa impressione», risponde Socrate, «oppure non ti curi affatto di noi e non ti importa se vivremo meglio o peggio ignorando ciò che tu dici di sapere. Piuttosto, carissimo, vedi di chiarire le idee anche a noi: non mancherai di trarre un guadagno dal favore che ci farai, poiché siamo tanti. ».
COMMENTO
A mio parere c'è poco da chiarire, perchè Trasimaco si è semplicemente limitato, come Machiavelli, a descrivere la realtà politica così com'è, e non come sarebbe teoricamente auspicabile che fosse; e, cioè, che, chi ne ha la possibilità o la forza (in senso lato, anche mediatico) cerca di far passare per "GIUSTO" quello che corrisponde al suo interesse personale, partitico, di classe, di categoria...e chi più ne ha ne metta!
Ma Socrate, a questo punto, quando afferma che non è cosa da poco accingersi a definire la condotta di un'intera vita, "...alla quale ciascuno di noi deve attenersi per poter vivere con il massimo profitto...", sembra voler prospettare una visione eudaimonistica della giustizia; cioè, come se l'essere "giusti" non fosse un bene etico da desiderarsi per se stesso, ma solo "al fine" di essere felici.  
Vale a dire che trasforma quello che, almeno secondo me, dovrebbe essere un "imperativo categorico", in un mero "imperativo ipotetico".

21)
«Quanto a me, voglio dirti la mia: non sono affatto convinto che l'ingiustizia sia più vantaggiosa della giustizia, neppure se le si permette e non le si impedisce di fare quello che vuole. Ammettiamo pure, mio caro, che uno sia ingiusto e possa commettere ingiustizia celandola o ricorrendo apertamente alla violenza; tuttavia non mi convince che tale condizione sia più vantaggiosa della giustizia. Forse c'è qualcun altro tra noi che la pensa così, non solo io; perciò, grand'uomo, cerca dì persuaderci bene che non è corretta la nostra risoluzione di tenere la giustizia in maggior conto dell'ingiustizia». 
COMMENTO
A questo punto, bisogna vedere cosa si intende per "VANTAGGIOSO", in quanto:
- se per "vantaggioso" si intende il gretto soddisfacimento del proprio interesse personale, partitico, di classe ecc., anche a scapito dell'equità, non c'è dubbio che anche un comportamento ingiusto (specie se abilmente dissimulato) possa senz'altro risultare "vantaggioso";
- se, invece, per "vantaggioso" si intende ciò che giova eticamente alla nostra integrità morale, nulla può risultare tale a scapito dell'equità, e non c'è dubbio nessun comportamento ingiusto possa considerarsi "vantaggioso" per un uomo dotato di retta coscienza (sebbene sotto una prospettiva più eudaimonistica che veramente etica).

22)
«E come potrò persuaderti?», dice Trasimaco. «Se non sei stato persuaso da ciò che ho detto poco fa, cos'altro potrei fare? Devo forse infilarti il discorso nell'anima con la forza?» «No, per Zeus, non farlo!», risponde Socrate. «Prima di tutto rimani fermo a quello che hai detto, oppure, se cambi opinione, cambiala manifestamente e non ingannarci.»
COMMENTO
La premessa di Socrate è molto insidiosa, per cui prevedo che stia per predisporre una ulteriore trappola dialettica a danno del povero Trasimaco.

23)
«Ora però, Trasimaco, per ritornare al discorso di prima, tu vedi che, se all'inizio hai definito il vero medico, in seguito non hai più ritenuto opportuno attenerti rigorosamente alla definizione del vero pastore, ma pensi che egli, in quanto pastore, pascoli le greggi avendo di mira non ciò che è meglio per le pecore, ma un banchetto, come un convitato che sta per mettersi a tavola, oppure la loro vendita, come un affarista e non come un pastore. Ma alla pastorizia non importa altro se non di procurare il meglio agli esseri cui è preposta, poiché per quanto si riferisce a se stessa, finché non le manca nulla per essere pastorizia, ha certamente provveduto in modo sufficiente alla sua piena realizzazione; analogamente credevo che ora fosse per noi necessario ammettere che ogni autorità, pubblica o privata che sia, in quanto autorità ricerca solamente il meglio per chi è soggetto al suo potere e alla sua cura.»
COMMENTO
Socrate torna a prospettare analogie tra l'attività del politico ed altre attività, che, secondo me, sono fuorvianti in un senso o nell'altro; e che, per giunta, non sono paragonabili neanche tra di loro.
Ed infatti, ai medici, in generale, importa  di procurare il meglio ai propri pazienti, in quanto si tratta di altri esseri umani; e, per lo più, di clienti paganti, i quali vengono attratti dai medici più bravi, dei quali è nota la cura che si prendono dei malati. Senza considerare il famoso "Giuramento di Ippocrate"; sebbene dubito che i medici dell'epoca lo prestassero, visto che Ippocrate era di dieci anni più giovane di Socrate.
Ai pastori, invece, non importa minimamente di procurare il meglio alle proprie pecore in quanto tali, ma gli interessa di curarle e trattarle bene solo per trarne un lucro meramente economico; da questo punto di vista, in effetti, il mestiere del pastore è più affine a quello del governante, almeno, se è vero che Vespasiano, con riferimento ai suoi sudditi, disse: "Boni pastoris est tondere pecus, non deglubere" ("Il buon pastore deve tosare le pecore, non scorticarle"!) -Gaio Svetonio Tranquillo De Vita Caesarum, III – 32.
Che il pastore abbia di mira ciò che è meglio per le pecore, e non per se stesso (tosandole o vendendole, o mangiandone gli agnellini), è un'idea di Socrate che, con tutto il rispetto, non mi perito di definire alquanto bizzarra!
Quanto al fatto che ogni autorità, pubblica o privata che sia, in quanto autorità "dovrebbe" ricercare solamente il meglio per chi è soggetto al suo potere e alla sua cura, questo è indubbiamente vero sotto il profilo (come ho già detto) "deontologico"; come lo è per il medico,  ma non certo per il pastore, per il quale il benessere delle pecore è solo un mezzo per perseguire il benessere proprio, e non un fine in se stesso.
Sotto il profilo "ontologico", invece, non necessariamente è così; anzi, in genere, con il pretesto (abilmente propagandato, specie in sede prelettorale) di ricercare solamente il meglio per chi è soggetto al suo potere e alla sua cura, il governo o il regime del momento, tende precipuamente a fare l'interesse proprio e dei propri "apparatchiki".
Mi sembra che sia questo il punto su cui Socrate e Trasimaco non riescono proprio ad intendersi: uno chiede "Dove vai?", e l'altro risponde "Sono le quattro e mezza!".

24)
Socrate chiede:  «Tu pensi che i governanti delle città, quelli che lo sono veramente, governino volentieri?» «Per Zeus», risponde Trasimaco, «non lo penso: ne sono sicuro!» «Ma come, Trasimaco?», si stupisce Socrate. «Non ti accorgi che nessuno vuole ricoprire spontaneamente le alte cariche, ma chiedono un compenso perché pensano che dall'esercizio della carica non verrà un vantaggio a loro, bensì ai sudditi?»
COMMENTO
Che, all'epoca di Socrate, nessuno volesse ricoprire spontaneamente le cariche pubbliche, non mi risulta storicamente vero; come non mi risulta che sia mai stato vero in nessun'altra epoca...compresa la nostra.
Mi dispiace per Socrate (rectius; Platone), ma non gli credo affatto, circa questo punto!
D'altronde lo stesso Platone pare che, una volta, disse: "Amicus Socrates, sed magis amica veritas." (Olof Gigon - Vita Aristotelis Marciana, Berlino, Walter de Gruyter, 1962; cfr. Enrico Berti, La filosofia del "primo" Aristotele, Milano, Vita e Pensiero, 1997, p. 59 prima edizione Padova, CEDAM, 1962).

25)
Socrate continua il suo ragionamento:« Dimmi ancora una cosa: non affermiamo continuamente che ogni arte è diversa dalle altre per il fatto che ha una diversa funzione? E non rispondermi con dei paradossi, grand'uomo, in modo che possiamo arrivare a una conclusione». «Sì, la diciamo diversa per questo motivo», Ammette Trasimaco.
«Quindi ciascuna arte ci procura anche un vantaggio suo proprio e non comune, ad esempio l'arte medica ci procura la salute, quella del timoniere la salvezza nella navigazione, e lo stesso vale per le altre?» «Certamente». «E l'arte del mercenario non procura un compenso? Questa infatti è la sua funzione: oppure identifichi la medicina con l'arte del timoniere? O ancora, sempre che tu voglia dare definizioni precise, come ti sei proposto, se uno che fa il timoniere acquista la salute perché gli giova navigare per mare, per questo tu chiami la sua arte medicina?» «No di certo!», risponde Trasimaco. «E non chiami così neanche l'arte del mercenario, credo, nel caso che uno goda di buona salute grazie ad essa». «Sicuramente no». «E allora dobbiamo definire mercenaria la medicina, se uno riceve un compenso per guarire gli ammalati?» Trasimaco dice di no. «E non abbiamo convenuto che ciascuna arte ha un'utilità sua propria?» «è così», risponde. «Se dunque tutti gli artigiani ricavano un utile comune, è chiaro che lo ricavano da qualcosa di identico ed esterno alla loro arte, di cui si servono in comune». «A quanto pare», ammette Trasimaco. «Possiamo almeno dire che con il loro compenso gli artigiani ricavano un utile dal fatto di associare alla propria arte quella del mercenario». Trasimaco lo ammette con riluttanza. «Pertanto l'utile, di ricevere un compenso non viene a ciascuno dalla propria arte, ma, a voler essere precisi, l'arte medica procura la salute e quella mercenaria un compenso, l'arte edilizia costruisce una casa e quella mercenaria che le è connessa produce un compenso; lo stesso discorso vale per tutte le altre arti: ciascuna compie l'opera che le è propria nell'interesse di ciò cui è preposta.»
COMMENTO
Cosa significa: "L'arte del mercenario non procura un compenso? Questa infatti è la sua funzione!".
Ma, ovviamente, quella del "mercenario" (cioè di chiunque offra prestazioni dietro compenso, non del solo "soldato mercenario" in particolare), <<NON E' AFFATTO UN'ARTE A SE'>>, ma è semplicemente una delle due modalità economiche con le quali viene svolta una qualsiasi arte e/o professione, e, cioè:
- dietro compenso (mercenariamente);
- gratis (gratuitamente).
Se, invece, ho ben compreso il contorto (e truffaldino) ragionamento di Socrate, in buona sostanza lui vuole dire che il compenso non viene a ciascuno dalla propria specifica arte, ma dall'associata "arte mercenaria"; cioè, come testualmente dice, l'arte medica procura la salute ai pazienti, e quella mercenaria un compenso al medico...come se il medico svolgesse contemporaneamente due "arti".
Mentre quella "mercenaria", come sopra detto, non è affato un'arte, ma è semplicemente una delle due modalità economiche con le quali viene svolta una qualsiasi arte e/o professione.
Ed invero, secondo me, il compenso che ognuno trae dalla propria arte o professione, non è affatto un'altra arte associata alla prima, bensì semplicemente il sinallagma delle proprie prestazioni.

26)
Ciò premesso, Socrate chiede a Trasimaco: «Ma se ad essa non si aggiunge un compenso, può forse l'artigiano ricavare un utile dalla propria arte?» «Pare di no», risponde Trasimaco. «Ma non è utile anche quando lavora gratuitamente?» «Credo proprio di sì». «Allora, Trasimaco, è ormai evidente che nessuna arte o autorità procura il proprio utile, ma, come abbiamo detto da tempo, procura e impone l'utile del suddito, mirando all'interesse del più debole, non a quello del più forte. Per questo, caro Trasimaco, poco fa sostenevo che nessuno è disposto a ricoprire volontariamente una carica e a occuparsi dei mali altrui per raddrizzarli, ma chiede un compenso, perché chi intende esercitare bene la propria arte non fa e non impone mai il suo meglio, quando lo impone secondo la sua arte, ma il meglio del suddito. Ecco perché, a quanto sembra, chi è disposto a governare deve ricevere una ricompensa: del denaro, un onore, oppure una punizione se non governa». 
COMMENTO
A mio avviso, Socrate ha fatto un prolisso (e sofistico) ragionamento, per dire una cosa molto semplice: e, cioè, che, chi esercita un'arte (o meglio un "mestiere", come sarebbe più appropriato dire) lo fa per offrire un bene o un servizio a terzi, in cambio di un compenso proporzionato alla fatica e all'abilità con cui esercita la propria attività a vantaggio del prossimo.
Non ci voleva certo socrate, per scoprire che:
- la sua arte ricerca l'utile di terzi
- in cambio di un compenso da parte di detti terzi.
Il medico cura al meglio il paziente, a fronte di un onorario, l'avvocato difende al meglio il suo assistito a fronte di una parcella...e così via!
Affermato tale (ovvio) principio generale, Socrate lo estende anche ai "governanti", considerando anche costoro come soggetti che esercitano un'"arte" (o un "mestiere"); e ne trae la conclusione che nessuno è disposto a ricoprire volontariamente una carica pubblica e ad occuparsi dei mali altrui per raddrizzarli, se non riceve, per questo un apposito compenso.
A questo punto, però, occorre tenere presente che, ai tempi di Socrate, Montesquieu non era ancora nato, per cui c'era un po' di comprensibile confusione circa l'"esercizio dei poteri pubblici": legislativo, amministrativo e giudiziario, che, molto spesso, confluivano in uno stesso soggetto o in diversi soggetti indifferenziatamente.
Sia allora, come oggi, in genere (ma non sempre) era previsto un compenso a seconda delle cariche esercitate; ma:
- mentre per le cariche amministrative secondarie tale compenso era una sorta di "stipendio" (come per il "curatore delle strade");
- per i ruoli di effettivo potere "politico" dei membri del regime dominante, si trattava di meri "appannaggi" formali -quando c'erano-, che non costituivano certo l'incentivo prevalente ad esercitare il potere politico.
Esattamente come oggi!
Il potere "politico" (e non solo quello), infatti, in genere, è di per sè <<compenso a se stesso>>, perchè consente di meglio perseguire il propri interessi personali, quantomeno a livello di gratificazione narcisistica; come dicono in Sicilia, infatti, "Cumannari è megghiu di futtiri". 
Consente, inoltre, di meglio perseguire e far prevalere gli interessi del proprio partito, della propria classe, della propria razza e chi più ne ha ne metta, rispetto ad altri interessi "più DEBOLI"; per mezzo di cosa?
Della "FORZA", ovviamente, comunque la si voglia considerare: poliziesca e/o propagandistica. 
Alessandro Magno, infatti, una volta chiese ad un pirata che aveva catturato, come gli fosse sembrato  giusto di infestare il mare con la sua nave;  ed egli, con sincera arroganza, gli rispose  che gli era sembrato giusto allo stesso modo con cui, a lui Alessandro, era parso giusto di infestare la terra con le sue armate. E aggiunse: "Ma poichè io lo faccio al governo di una piccola nave sono chiamato predone, mentre tu, che lo fai essendo al governo di uno Stato, sei chiamato Re!".
Il che, è un po' la stessa cosa che dice Adelchi: "Una feroce FORZA il mondo possiede, e fa nomarsi  DRITTO!"
Insomma, almeno per i veri POLITICI, è assurdo  sostenere che non occuperebbero mai  volontariamente alcuna  carica pubblica, se non ricevendo, per questo un apposito compenso.
Benito Mussolini, non prese mai lo stipendio come Capo del Governo, e dunque non erano stati per lui versati i contributi, per cui la moglie si trovò in difficoltà a percepire la pensione di riversibilità; ma non credo che lo fece per mera "filantropia"! 
E' pur vero però, che, in determinati Paesi ed in certi periodi storici (come, in parte, oggi accade in Italia), c'è anche chi, non avendo nè arte nè parte, ed essendo sostanzialmente privo di qualsiasi idea o autentico interesse politico, intraprende tale carriera all'unico ed esclusivo fine di sbarcare il lunario; ed è già tanto se non arrotonda l'indennità in modo illegale, e se esercita in modo non troppo svogliato il proprio incarico pubblico.
Ciò non toglie che, al contrario, in taluni casi (molto rari, almeno per quanto mi risulta), c'è pure chi persegue il potere per pura passione  "ideale"; e, questo, in modo assolutamente disinteressato, all'unico ed esclusivo fine di rendere "migliore" la vita dei governati. Ovviamente, però, fa tutto ciò secondo la "sua" idea di ciò che è "migliore"; la quale idea non sempre è condivisa dai governati, e, soprattutto, non è spesso condivisa dalla "realtà".
Peraltro, come si sa, le vie dell'Inferno sono lastricate di buone intenzioni, per cui tra coloro che perseguono il potere per pura passione "ideale", la filantropia spesso si tramuta in fanatica "ideologia" alla Robespierre; e questo, non di rado con conseguenze peggiori, per i governati, che se fossero governati da cialtroni che mirano solo al loro interesse.
Ma torniamo al dialogo.

Eutidemo

27)
«Cosa vuoi dire con questo, Socrate?», chiede Glaucone. «Conosco le due ricompense, ma non ho capito qual è la punizione di cui parli come se fosse da annoverare tra le ricompense». «Allora non conosci la ricompensa dei migliori», spiega Socrate, «quella per cui governano gli uomini più valenti, quando sono disposti a farlo. O non sai che l'avidità di onori e di ricchezze è ritenuta un disonore, e lo è effettivamente?» «Sì, lo so», risponde. «Appunto per questo», riprende Socrate, «gli uomini onesti non sono disposti a governare per denaro o per gli onori. Infatti non vogliono essere chiamati mercenari esigendo apertamente un compenso per la loro carica, o ladri ricavandolo da questa carica di nascosto; lo stesso vale per gli onori, poiché non sono ambiziosi. Pertanto con loro, se accettano di governare, bisogna ricorrere alla costrizione e alla pena; da qui forse deriva il fatto che si ritiene disonorevole occupare una carica spontaneamente, senza attendere la costrizione. Ma la pena più grave, nel caso non si voglia governare di persona, sta nell'essere governati da chi è moralmente inferiore; questo è il timore che a mio parere spinge gli uomini onesti a governare, quando lo fanno. In tal caso assumono il potere non come se fosse qualcosa di buono in cui possono deliziarsi di piacere, ma come se andassero verso qualcosa di necessario, poiché non possono affidarlo a persone migliori o uguali a loro. Forse, se esistesse una città di uomini buoni, si farebbe a gara per non governare come adesso per governare, e allora sarebbe evidente che il vero uomo di governo non è fatto per mirare al proprio utile, ma a quello del suddito; di conseguenza ogni persona fornita di discernimento preferirebbe ricevere vantaggi da un altro piuttosto che giovare al prossimo e avere per questo delle noie. Io comunque non sono assolutamente d'accordo con Trasimaco sul fatto che il giusto sia l'interesse del più forte."
COMMENTO
Il prosieguo del ragionamento di Socrate, in pratica, lo avevo già commentato in anticipo, essendo implicito in quanto aveva già detto in precedenza; però, ora aggiunge che gli uomini onesti,  che non vogliono esigere apertamente un compenso per la loro carica (o ricavarlo di nascosto da questa carica) nè vogliono trarne vantaggi ed onori, se accettano di governare, con loro bisogna ricorrere alla "costrizione e alla pena".
Ed osserva che da qui, forse, deriva il fatto che si ritiene disonorevole occupare una carica spontaneamente, senza attendere la costrizione; il che non mi è ben chiaro, salvo che Socrate non intenda riferirsi alle studiate messe in scena di ritrosia ad accettare le cariche, da parte dei più astuti politicanti, di ogni epoca e Paese.
Ad ogni modo, quanto alla "doppia pena":
- non mi risulta affatto che nessuno sia mai finito il prigione perchè si rifiutava di governare;
- mi risulta invece, che, sia pure in casi non molto frequenti, taluno abbia accettato il potere come qualcosa di necessario, non potendosi affidarlo a persone migliori o uguali a lui (ma non mi sovvengono esempi al riguardo).
Poi, Socrate, dice una cosa molto strana, con la quale, in buona sostanza, sembra di fatto dare ragione a Trasimaco; e, cioè, che, "...se esistesse una città di uomini buoni, si farebbe a gara per non governare come adesso per governare, e allora sarebbe evidente che il vero uomo di governo non è fatto per mirare al proprio utile, ma a quello del suddito".
Appunto: "Se esistesse"!
Ma poichè una città del genere, di fatto, "non esiste", ne deriva che è vero proprio quello che Trasimaco affermava, e cioè che, in genere (e salve le eccezioni da me sopra considerate),   l'uomo di governo mira prevalentemente al proprio utile, e non a quello dei sudditi: utile proprio, che, ovviamente, può essere:
- personale, ma di vario genere (narcisistico, economico ecc.)
- di classe, di gruppo ecc. (finanziario, economico, etnico ecc.).

28)
Poi Socrate cambia argomento, e dice: «Ma questo punto lo riesamineremo in un altro momento: mi sembra molto più importante quello che dice ora Trasimaco, quando sostiene che la vita dell'ingiusto è migliore di quella del giusto.  Tu, Glaucone, quale tesi scegli? Quale delle due ti sembra più vera?» «Secondo me, la vita del giusto è più vantaggiosa». «Hai sentito», fa Socrate, «quanti sono i vantaggi della vita dell'ingiusto che Trasimaco ha enumerato?» «Ho sentito», risponde Glaucone, «ma non sono convinto». «Vuoi che proviamo a convincere lui che non dice il vero, se riusciamo a trovare il modo?» «Certo che lo voglio!», dice Glaucone. 
COMMENTO
A questo punto, viene completamente cambiato, per così dire, il tema "disputandi", in quanto Socrate intende ora discutere se la vita dell'ingiusto sia migliore di quella del giusto; ma, a dire il vero, non mi sembra che Trasimaco sia mai partito da una affermazione del genere...anche se adesso Socrate ce lo vuole condurre. 

29)
«Se dunque», prosegue Socrate, «opponendo discorso a discorso, diremo quanti vantaggi comporta l'essere giusti e ribatteremo alle sue repliche, bisognerà contare e misurare quanti vantaggi ciascuna delle due parti adduce alla propria tesi, e alla fine avremo bisogno di giudici che dirimano la questione; se invece condurremo la nostra indagine mettendoci d'accordo tra noi come prima, noi stessi saremo a un tempo giudici e avvocati». «Precisamente», dice. «Quale metodo preferisci?», domanda Socrate. «Quest'ultimo», risponde.
COMMENTO
Socrate non lo sa, ma, a sua insaputa, io, invece, ho preferito il primo; in quanto, con stolta improntitudine, mi sono voluto ergere a giudice della diatriba tra lui e Trasimaco.

30)
Socrate cerca di coinvolgere di nuovo Trasimaco nella discussione, che, per un po' era rimasto in silenzio ad ascoltare: «Su, Trasimaco», lo incita, «torna da capo e rispondici. Sostieni che la perfetta ingiustizia è più vantaggiosa della perfetta giustizia?» «Sostengo proprio questo», risponde quello, «per le ragioni che ho esposto». «Ma allora quali definizioni dai di esse? Chiami l'una virtù, l'altra vizio?» «Come no?» «Dunque chiami virtù la giustizia, vizio l'ingiustizia?» «Naturalmente, carissimo», risponde, «dal momento che affermo anche che l'ingiustizia è utile, la giustizia no!».
COMMENTO
Socrate induce Trasimaco a fare una duplice affermazione:
- l'ingiustizia è più vantaggiosa della giustizia;
- però l'ingiustizia è un vizio, mentre la giustizia è una virtù.
Non capisco però il nesso!
Che senso ha considerare virtù la giustizia, e vizio l'ingiustizia..."dal momento che l'ingiustizia è utile, la giustizia no?"
Bisognerebbe verificare il testo originale in greco.

31)
«E allora cosa vuoi dire?» chiede Soicrate «Il contrario», risponde Trasimaco. «Forse che la giustizia è un vizio?» «No, che è una nobilissima ingenuità». «Quindi tu chiami l'ingiustizia cattiveria?» «No, la chiamo accortezza». «E gli ingiusti, Trasimaco, ti sembrano forse assennati e buoni?» «Sì», risponde Trasimaco, «almeno quelli che sono capaci di un'ingiustizia perfetta e possono sottomettere città e popoli; ma forse tu pensi che io stia parlando dei tagliaborse! Senza dubbio anche simili azioni producono un vantaggio, se non vengono scoperte; non è però di questo che vale la pena di parlare, bensì dell'argomento che ho introdotto poco fa». 
COMMENTO
A me sembra che, in taluni punti, il discorso di Trasimaco si faccia un po' contraddittorio; ed infatti prima ha ammesso che l'ingiustizia è un "vizio", mentre adesso dice che gli ingiusti sono "buoni".
Peraltro, secondo me, Trasimaco confonde l'"ingiustizia" con l'"astuzia", mentre, invece, non è affatto così, trattandosi di due cose completamente diverse; ed infatti si può essere ingiusti in modo decisamente stupido, e giusti in modo molto astuto.
Non a caso, Gesù, diceva: "Siate puri come le colombe, ma astuti come serpenti!"(Matteo 10,16-18), e ne dette spesso anche dimostrazione pratica.
Però Trasimaco ha ragione, quando osserva che Socrate è andato "off topics", e, quindi, vuole tornare al tema in discussione.

32)
Socrate esclama: «Capisco ciò che vuoi dire, ma mi ha stupito il fatto che tu tenga l'ingiustizia in conto di virtù e sapienza, e l'ingiustizia nella considerazione opposta» (ci deve essere un errore nel mio testo di riferimento, perchè prima mi pare che sia stato detto il contrario). «Ma io sostengo proprio questo!». «Questa tesi, amico, ora è più solida e non è più facile avere da obiettare», replica Socrate. «Se tu sostenessi che l'ingiustizia giova, ma ammettessi come altri che è un vizio o qualcosa di turpe, avremmo qualcosa da dire, rifacendoci alle opinioni consuete; ora invece dirai chiaramente che essa è bella e forte e le aggiungerai tutti gli altri beni che noi abbiamo attribuito alla giustizia, dato che hai avuto il coraggio di tenerla in conto di virtù e di sapienza». 
COMMENTO
C'è qualcosa che non mi torna.
Poco fa Socrate aveva chiesto: «Dunque chiami virtù la giustizia, vizio l'ingiustizia?» e Trasimaco aveva risposto: «Naturalmente, carissimo!».
Adesso, invece, Socrate dice «Mi ha stupito il fatto che tu tenga l'ingiustizia in conto di virtù e sapienza, e l'ingiustizia nella considerazione opposta» (???). e Trasimaco  risponde «Ma io sostengo proprio questo!».
Deve esserci qualche errore nella traduzione del mio testo di riferimento.
Però, poi, Socrate dice chiaramente che Trasimaco ha avuto il coraggio di tenere l'ingiustizia in conto di virtù e di sapienza; per cui (salvo verifiche sul testo originale), per il momento ritengo di dover prendere per buono tale secondo assunto. 

33)
«Sei un indovino veridico!», esclama Socrate. «Tuttavia», prosegue, «non dobbiamo rinunciare a proseguire la nostra indagine, finché non sarò certo che dici ciò che veramente pensi. Mi sembra infatti che tu, Trasimaco, ora non stia affatto scherzando, ma stia esprimendo veramente la tua opinione»
«Che differenza fa per te», replica Trasimaco, «se io la penso davvero così oppure no? Perché non provi piuttosto a confutare il mio ragionamento?» «Nessuna differenza», ribatte Socrate. «Ma cerca di rispondere a quest'altra domanda: ti sembra che l'uomo giusto vorrebbe avere la meglio sul giusto?» «Assolutamente no!», risponde. «Non sarebbe semplice e ingenuo, com'è in realtà». «E vorrebbe prevalere su un'azione giusta?» «No, su un'azione giusta no», risponde. «E pensi che vorrebbe prevalere sull'ingiusto e riterrebbe giusto farlo, oppure no?» «Lo riterrebbe giusto», dice lui, «e lo vorrebbe, ma non ne sarebbe capace». «Non ti sto chiedendo questo», ribatte Socrate, «bensì se il giusto abbia la pretesa e la volontà di prevalere non sul giusto, ma sull'ingiusto». «Le cose stanno così», ammette Trasimaco. 
«E l'uomo ingiusto? Pretende di avere la meglio sul giusto e sull'azione giusta?» «Come no», risponde, «visto che pretende di avere la meglio su tutti?» «Quindi l'uomo ingiusto prevarrà anche sull'ingiusto e sull'azione ingiusta e lotterà per primeggiare su tutti?» «è così». «Dobbiamo dunque concludere», ripresi, «che il giusto non prevale sul suo simile, ma su chi gli è dissimile, l'ingiusto prevale tanto sul simile quanto sul dissimile?» 
«Ottima definizione!», conviene Trasimaco.
COMMENTO
Questo modo di argomentare mi sconcerta alquanto; ed infatti, a prescindere dal concetto un po' ambiguo del verbo "prevalere", se vogliamo intenderlo nel senso di "aver ragione di" esso ha un determinato senso, se, invece, vogliamo intenderlo nel senso di "sopraffare" esso ha un senso leggermente diverso.
E, comunque, poichè tale verbo viene attribuito da Socrate sia all'uomo giusto che a quello ingiusto, a mio avviso diviene davvero difficoltoso attribuirgli un senso davvero univoco; che, forse, è quello -abbastanza neutro- di "primeggiare", che adotta Trasimaco.
Per cercare di capire meglio, però, dobbiamo concentrarci sulla conclusione di Socrate, e, cioè che:
- il giusto non prevale sul suo simile, ma solo su chi gli è dissimile, cioè sull'ingiusto;
- l'ingiusto, invece, prevale tanto sul simile quanto sul dissimile. 
Ora, per quanto riguarda l'ingiusto, il concetto è abbastanza chiaro, univoco e condivisibile; mentre, per quanto concerne il giusto, a mio parere, lo è molto meno.
Ed infatti, sia che al verbo "prevalere" si voglia attribuire  il significato di "aver ragione di", "aver la meglio su", "primeggiare"...in tutte queste accezioni, bisognerebbe stabilire:
- in quale ambito (politico, giuridizionale, sportivo ecc.);
- in quale modo (giustamente o ingiustamente).
Poniamo, ad esempio, che l'ambito sia quello politico, e che, in lizza elettorale, ci siano tanto gli "ingiusti" quanto i "giusti".
Orbene, nel caso degli "ingiusti", come detto, essi cercheranno "per fas et nefas" e  in "modo fraudolento" di "prevalere" su tutti gli altri, giusti o ingiusti che essi siano; per esempio, comprando il voto degli elettori, seducendoli con false promesse, gettando fango sugli avversari, ricorrendo a brogli nel momento dell spoglio delle schede, e chi più ne ha ne metta.
Nel caso dei "giusti", invece, a mio parere ANCHE essi  cercherebbero anch'essi di "prevalere" elettoralmente su tutti gli altri, giusti o ingiusti che essi siano; ma, a differenza che nell'altro caso, in modo regolare, e senza ricorrere a "sporchi trucchi" di sorta.
E così in campo giudiziale, sportivo ecc.
Per cui, quello che afferma Socrate, e che Trasimaco approva, e, cioè, che il giusto non cerca di prevalere sul suo simile (gli altri giusti), ma solo su chi gli è dissimile (gli ingiusti), mentre l'ingiusto cerca di prevalere tanto sul suo simile (gli altri ingiusti), quanto sul suo dissimile (i giusti), non mi sembra affatto congruo.
A meno che Socrate per "prevalere", intenda implicitamente "sopraffare illecitamente", e, cioè, prevalere usando messi ingiusti ed iniqui; ma, se così fosse, chi è veramente giusto, non vorrebbe prevalere in tal modo nè a danno dei giusti, nè a danno degli ingiusti.
Ed invero, un "giusto", anche se facesse causa a un "ingiusto", non produrebbe mai in aula falsi  testimoni per batterlo!
Altrimenti, che "giusto" sarebbe?
In modo processualmente leale, invece, cercherebbe alla stessa stregua di prevalere sia sia su una controparte "giusta" che su una "ingiusta."
Ma vediamo come va a finire la faccenda.

Eutidemo

34)
«E l'ingiusto», domanda Socrate, «è assennato e buono, il giusto invece non è né l'una né l'altra cosa?» «Anche questo va bene», risponde Trasimaco. «Allora», fa Socrate, «l'ingiusto assomiglia all'uomo assennato e buono, il giusto no?» «Perché non dovrebbe assomigliare a persone di tal genere», dice Trasimaco, «se è come loro, a differenza di quell'altro?» «Sta bene. Quindi ciascuno dei due è come coloro cui somiglia?» «C'è forse qualche dubbio?», ribatte Trasimaco. 
COMMENTO
O il testo a cui mi sono affidato presenta gravi problemi di traduzione, oppure fatico davvero a seguire le acrobazie semantiche di Socrate e Trasimaco.
Come si fa a definire "buono" colui che è "ingiusto"...forse nel senso che è buono a frodare, ingannare e a sopraffare gli altri (giusti o ingiusti che siano)?
Bisognerebbe verificare sul testo originario se Socrate abbia usato il termine "χρηστός" (buono in senso morale), ovvero "δεινός" (buono in senso tecnico, cioè, idoneo); ma è un tipo di verifica che, adesso non sono i grado di effettuare.
E come si fa a definire "assennato" colui che è ingiusto...forse nel senso che è molto astuto ed esperto nell'ingannare e a sopraffare gli altri (giusti o ingiusti che siano)?

35)
«D'accordo, Trasimaco. Tu distingui chi è musicista da chi non lo è?» «Certo». «Quale dei due giudichi saggio, e quale insipiente?» «Il musicista senza dubbio saggio, l'altro insipiente». «Quindi l'uno, in quanto saggio, è buono, l'altro, in quanto insipiente, è cattivo?» «Sì». «E nel caso del medico? Non è la stessa cosa?» «è così».
COMMENTO
Ora Socrate, come suo solito, salta di palo in fresca e attacca l'avversario partendo da lontano, con una similutidine di cui ci spiegherà meglio, successivamente, il senso; comunque qui ci fa capire che con l'aggettivo "buono" e/o "saggio" Socrate intende indicare chi "esperto nella sua specifica arte", sia essa musicale o medica o qualsiasi altra...e non chi è "moralmente buono"; cioè, suppongo, sul testo greco dovrebbe esserci scritto "δεινός" (buono in senso tecnico, cioè, idoneo).

36)
«Allora, grand'uomo, ti sembra che un musicista, quando accorda la lira, voglia superare un altro musicista e pretenda di avere la meglio su di lui nel tendere e nell'allentare le corde?» «Non mi pare». «E su chi invece non è musicista?» «è inevitabile», dice Trasimaco. «E il medico? Vorrebbe prevalere su un altro medico o sul suo operato nel prescrivere cibi e bevande?» «Sicuramente no». «E su chi invece non è medico?» «Sì». 
COMMENTO
A me, sinceramente, sembra l'esatto contrario, in quanto, quando un musicista accorda la lira, vuole superare proprio un altro musicista,  e non chi non è musicista; altrimenti si potrebbe sostenere che a San Remo i cantanti cerchino di battere in bravura gli spettatori, invece che battersi tra di loro per stabilire chi è il più bravo.
Lo stesso dicasi per i medici, in quanto sono in concorrenza tra di loro per primeggiare in rinomanza, non certo con il loro insipienti clienti e pazienti.
Ma forse Socrate vuole dire un'altra cosa; vediamo cosa.

37)
«Vedi un po' dunque se, in ogni genere di competenza e di incompetenza, ti sembra che un esperto qualsiasi vorrebbe prevalere negli atti e nelle parole su un altro esperto, anziché essere come il suo simile nello stesso campo d'azione». «Forse», disse, «è giocoforza che sia così». «E l'inesperto? Non vorrebbe prevalere ugualmente sull'esperto e sull'inesperto?» «Forse». «Ma l'esperto è sapiente?» «Sì». «E il sapiente è buono?» «Sì». «Quindi chi è buono e sapiente non vorrà prevalere sul suo simile, ma su chi gli è dissimile, anzi contrario». «Pare di sì», disse. «E chi è malvagio e ignorante vorrà prevalere tanto sul suo simile quanto sul suo contrario». «Così pare». ammette Trasimaco
COMMENTO
Ora a me pare che, adesso, Socrate dice una cosa che prima non mi pare avesse mai detto; cioè che l'inesperto vorrebbe prevalere ugualmente sia sull'esperto (ἔμπειρος?) sia sull'inesperto.
Ma tale affermazione appare del tutto gratuita, e non sufficientemente spiegata.

38)
«Dunque, Trasimaco», chiesi, «secondo noi l'ingiusto prevale tanto sul suo simile quanto sul suo dissimile? Non hai detto questo?» «Certo», ammette. 
COMMENTO
E su questo ci siamo!

39)
«Invece il giusto non prevale sul suo simile, ma sul suo dissimile?» chede Socrate «Sì» risponde Trasimaco.
COMMENTO
E su questo io dissentivo e dissento, perchè, di qualunque campo si tratti (politico, giudiziario sportivo ecc.), il giusto cerca sempre di prevalere su chiunque altro con il quale sia in competizione, simile o dissimile da lui; l'unica differenza rispetto all'ingiusto, è che lui cerca di prevalere in modo giusto e leale.
L'ingiusto, invece, in modo ingiusto e sleale.

Eutidemo

40)
«Allora», continua Socrate, «il giusto è simile al sapiente e al buono, l'ingiusto al malvagio e all'ignorante». «Può darsi». «Ma noi abbiamo convenuto che ciascuno dei due ha gli stessi caratteri di colui al quale somiglia». «Sì, l'abbiamo convenuto». «Ecco che il giusto si è rivelato buono e sapiente, l'ingiusto ignorante e malvagio». Trasimaco ammise tutto ciò, non con la facilità con cui ora lo racconto, ma trascinato a forza e con riluttanza, grondante di sudore perché era estate; quella fu la prima volta che vidi Trasimaco arrossire.
COMMENTO
Io, invece, non ammetto un bel niente; a parte, forse, il fatto di essere un po' stupido, perchè la logica della conclusione di Socrate mi sfugge COMPLETAMENTE!
Ed infatti, posso essere benissimo d'accordo con lui sul fatto che «il giusto è simile al sapiente e al buono, l'ingiusto al malvagio e all'ignorante», ma non riesco assolutamente a comprendere come tale conclusione discenda dalle sue precedenti acrobazione semantiche.
Per me, la sua conclusione, assolutamente "non sequitur"!
Però capisco come mai Trasimaco sia grondante di sudore; lo sono anche io, benchè sia Inverno e le condutture mi si siano ghiacciate per il gelo! 
In conclusione, cioè, partendo da premesse insensate e contraddittorie, con tutto il rispetto, a me pare che Socrate sia pervenuto a conclusioni molto poco conseguenziali.
Ma, a quanto pare, non è ancora finita!

41)
A ogni modo, dopo aver convenuto che la giustizia è virtù e sapienza, l'ingiustizia malvagità e ignoranza, Socrate prosegue: «Bene, su questo punto restiamo d'accordo così. Ma abbiamo anche affermato che l'ingiustizia è forte. Te ne ricordi, vero, Trasimaco?» «Me ne ricordo», risponde, «ma non mi piace neppure ciò che dici ora, e ho qualcosa da obiettare. Se però parlassi, mi accuseresti di fare un'arringa, lo so bene! Perciò lasciami dire tutto quello che voglio, oppure, se vuoi pormi delle domande, chiedi pure: io risponderò "va bene" e farò cenno di sì o di no, come alle vecchie che raccontano favole». «Ma non rispondere il contrario di ciò che pensi», dice Socrate. «Cercherò di accontentarti», replica, «dal momento che non mi lasci parlare. Cos'altro vuoi?» «Nulla, per Zeus!», esclama Socrate. «Ma se hai davvero intenzione di fare così, fallo pure, e io ti interrogherò». «E allora interrogami!». 
COMMENTO
Divertente pantomima!

42)
«Bene, per procedere con ordine nella nostra ricerca, ti ripeto la domanda posta poco fa, ovvero quale rapporto intercorre tra la giustizia e l'ingiustizia. A un certo punto è stato detto che l'ingiustizia è più forte della giustizia; ora però», continua Socrate, «se è vero che la giustizia è sapienza e virtù, credo che risulterà senz'altro più forte anche dell'ingiustizia, dato che l'ingiustizia è ignoranza e nessuno potrà più disconoscerlo.»
COMMENTO
A mio avviso, asserire che l'"ingiustizia" è più forte della "giustizia", o viceversa, non ha senso, perchè entrambe le cose attengono alla "modalità etica" di chi agisce, e,cioè, per dirla modernamente, al "coefficiente psichico dell'azione" e non all'"efficacia" delle azioni intraprese, giuste o ingiuste che esse siano; intendo dire che sia l'uomo giusto, come quello ingiusto, possono prevalere o meno, non tanto in ragione del loro connotato morale "giusto" o "ingiusto", quanto, piuttosto, in ragione della loro "forza" e "sapienza" personale ed intellettuale...che non ha niente a che vedere con il loro carattere di giusto o di ingiusto!
E' vero che, generalmente, l'"ingiusto" tende a prevalere, perchè, avendo meno scrupoli nell'agire, incontra meno ostacoli nel perseguire i suoi piani; ma non è detto che un "giusto", più abile ed intelligente di lui, possa riuscire a contrastarlo ed a prevalere su di lui.
Voglio dire che la "giustizia" o l'"ingiustizia" in sè, in relazione alla "forza" (o meglio "efficacia") della specifica azione, c'entrano ben  poco!

43)
 «Ma io, Trasimaco, non desidero condurre l'indagine in maniera tanto semplice, e preferisco quest'altro punto di vista: secondo te è ingiusto che una città cerchi di asservire e abbia già asservito ingiustamente altre città, e ne tenga molte sottomesse al suo dominio?» «Come no?», risponde Trasimaco. «La città migliore e perfettamente ingiusta terrà proprio questo comportamento!». «Capisco che la tua tesi era questa», dice Socrate. «Ma voglio fare questa considerazione in proposito: la città che è divenuta padrona di un'altra città avrà questo potere senza la giustizia, o è necessario che lo abbia con la giustizia?» «Se le cose stanno come tu hai detto poc'anzi», risponde, «ovvero la giustizia è sapienza, dovrà averlo con la giustizia; se le cose stanno come ho detto io, con l'ingiustizia». 
COMMENTO
Anche in questo caso, secondo me Socrate e Trasimaco fanno una grande confusione di carattere semantico e concettuale: ed infatti un conto è definire "giusto" o "ingiusto", sotto il profilo etico, l'atto di impadronirsi di un'altra città, ed un altro conto è definire "giusto" o "non giusto" il modo con cui si cerca di porre in atto tale operazione.
Mi spiego con un esempio: fu senz'altro "ingiusto", da parte di Hitler, violare la neutralità dei Paesi Bassi, ma il piano con cui venne eseguita la loro occupazione militare fu concepito in modo molto "giusto" ed acconcio; perchè conseguì il risultato voluto.
Ed invero c'è sempre un modo tecnicamente "giusto" per ottenere il risultato voluto, per quanto esso sia eticamente "ingiusto"; così come  c'è sempre un modo tecnicamente "non giusto" per ottenere il risultato eticamente "giusto"!
Se si gioca troppo con le parole, come fa Socrate, si finisce sempre per incappare in questo genere di paradossi!

44)
«Sono molto contento, Trasimaco», dice Socrate, «che non ti limiti a fare cenno di sì o di no, ma risponda, e per giunta molto bene!». «è per usarti una cortesia», replica Trasimaco. «E fai bene. Anzi, usami anche questa cortesia e dimmi: credi che una città, o un esercito, o dei briganti, o dei ladri, o un qualsiasi altro gruppo che si associa per un'impresa ingiusta, potrebbero concludere qualcosa se commettessero ingiustizie reciproche?» «Certo che no», risponde. «E se non le commettessero? Non otterrebbero di più?» «Sicuramente sì». «Infatti, Trasimaco, l'ingiustizia provoca discordie, odi, contese reciproche, la giustizia concordia e amicizia. O no?» 
COMMENTO
Questo ragionamento è sicuramente vero, ma molto ambiguo!
Ed infatti, se un gruppo di ladri  o briganti si associa per un'impresa ingiusta, questa costituisce il fine dell'azione, che resta comunque eticamente ingiusto; ma è ovvio che, se detti delinquenti non sono completamente idioti, sanno benissimo che, se cercano di fregarsi a vicenda nel compimento dell'impresa ingiusta, è molto probabile che questa non vada a buon fine.
Per cui essi evitano di commettere, per così dire, "ingiustizie reciproche", ma non per senso di giustizia e di equità, bensì solo per perseguire meglio il fine criminale ed ingiusto della loro associazione a delinquere. 
Anche in questo caso, quindi, la parole "giustizia" ed "ingiustizia" vengono usate con DIVERSI significati valoriali e semantici.

45)
«E va bene», risponde, «così almeno non litigherò con te». «Fai bene, mio ottimo amico. E dimmi un po': se questa è l'opera dell'ingiustizia, suscitare odio dovunque si trovi, quando sorge sia tra uomini liberi sia tra schiavi non farà nascere in loro odi reciproci e discordie, rendendoli incapaci di un'azione comune e congiunta?» «Certamente». 
COMMENTO
Socrate continua a confondere il senso etico di coloro che si propongono fini giusti, con il senso meramente  pratico di coloro che che evitano ingiustizie reciproche, onde essere meglio capaci di un'azione "ingiusta" comune e congiunta.
Non sono due cose omologabili, secondo me!

46)
«E se nasce tra due persone? Non entreranno in dissidio, non si odieranno e non saranno nemiche tra loro e dei giusti?» «Lo saranno», risponde Trasimaco. «E se l'ingiustizia, mirabile uomo, si manifesterà in un solo individuo, perderà forse il suo potere o lo manterrà in uguale misura?» «Ammettiamo che lo conservi in uguale misura», risponde. «Non risulta quindi evidente che l'ingiustizia ha un potere tale per cui, dovunque sorga, che si tratti di una città, di un popolo, di un esercito o di qualsiasi altra comunità, innanzitutto rende impossibile un'azione congiunta a causa della discordia e del dissenso, poi rende tale comunità nemica di se stessa e di chiunque sia contrario ad essa e giusto? Non è così?» «Certo».
COMMENTO
A mio avviso Socrate dà troppo per scontato che l'"ingiustizia" provochi sempre e comunque "discordia"; a mio avviso, infatti, l'"ingiustizia" provoca "discordia" solo quando essa viene commessa in modo provocatorio e palese, altrimenti non provoca discordia alcuna.
Se, per esempio, io sottraggo dei soldi dal portafoglio di un mio amico senza che lui se ne accorga, io commetto senz'altro una azione "ingiusta" nei suoi confronti; la quale, però, non provoca tra di noi nessuna discordia.
Anzi, se io sono così bastardo da convincerlo che a commettere il furto è stato un altro nostro amico, io, ingiusto, senza essere in lite con nessuno, provocherei discordia tra due persone giuste.

Eutidemo

47)
«E anche se si manifesta in un solo individuo provocherà, penso, gli stessi effetti che per natura produce: anzitutto lo renderà incapace di agire per il dissidio interno e la mancanza di concordia con se stesso, poi lo renderà nemico di sé e dei giusti, vero?» «Sì». 
COMMENTO
Come l'ingiustizia possa manifestarsi in un solo individuo, mi risulta molto poco chiaro, perchè l'ingiustizia presuppone la prevaricazione di un uomo su un altro; ma uno non può mica prevaricare se stesso!
Anche qui, secondo me, Socrate usa il termine "ingiustizia" in modo improprio, perchè il dissidio interno e la mancanza di concordia con se stesso di una persona, non hanno niente a che vedere con l'"ingiustizia" in sè e per sè; se mai, tale dissidio interno può scaturire da un conflitto di coscienza, ma, in tal caso, si tratta di un discorso diverso.

48)
«Ma anche gli dèi, caro amico, sono giusti?» «Ammettiamolo», risponde. «Pertanto, Trasimaco, l'ingiusto sarà nemico degli dèi, il giusto sarà loro amico». «Saziati pure del tuo discorso senza timore!», dice. «Io non ti contrasterò, per evitare di essere inviso ai presenti». 
COMMENTO
Ma di quali dei sta mai parlando Socrate?
Se si riferisce a quelli dell'Olimpo, non credo che tra i mortali sia mai esistita una peggiore  combriccola di esseri ingiusti, capricciosi ed iniqui!

49)
«Su, allora», replica, «imbandiscimi anche ciò che resta del banchetto, rispondendo come fai adesso. è ormai assodato che i giusti si rivelano più sapienti, migliori, più capaci di agire, e gli ingiusti non sono in grado di agire congiuntamente, ma non siamo affatto nel vero quando diciamo che alcuni di loro, benché ingiusti, unirono validamente i loro sforzi in un'azione comune; non si sarebbero risparmiati tra loro, se fossero stati del tutto ingiusti, ma c'era evidentemente in loro una forma di giustizia che li tratteneva dal commettere ingiustizie reciproche, almeno quando arrecavano danno ai loro nemici, e permise loro di fare ciò che fecero».
COMMENTO
Come ho già scritto sopra, non necessariamente dovrebbe esserci in loro una forma di giustizia a trattenerli dal commettere ingiustizie reciproche, essendo sufficiente che ci fosse in loro -sebbene ingiusti- il buon senso sufficiente a capire che, per validamente congiungere i loro sforzi in una ingiusta azione comune, è più conveniente non intralciarsi a vicenda.
Tuttavia c'è anche da considerare un'altra circostanza: il "senso di giustizia" è molto "elastico"!
Ed infatti, ci sono comportamenti che non ci verrebbe mai in mente di tenere con membri del nostro "clan" (famiglia, amici, club, gang ecc.), in quanto la loro ingiustizia ci farebbe rabbrividire e ci disgusterebbe; gli stessi ingiusti comportamenti nei confronti di estranei, invece, non scuoterebbero minimamente la nostra coscienza.
In sociologia ed in psicologia, invero, è ormai stato appurato come le azioni basate sulla fedeltà al gruppo possono comportare, per certi versi, un sacrificio degli interessi puramente personali, proprio come, per altri versi, possono anche facilitare un maggiore appagamento degli interessi personali stessi; e questo spiega la "giustizia" all'interno delle associazioni di "ingiusti" di cui parla Socrate, le cui azioni comportano, però, conseguenze "ingiuste" per chi non è membro del gruppo.
Si pensi, solo come esempio, al cosiddetto "familismo amorale"!

50)
«Costoro si accinsero a compiere azioni ingiuste, ma erano ingiusti solo a metà, poiché coloro che sono pienamente malvagi e perfettamente ingiusti sono anche incapaci di agire». 
COMMENTO
Questo è verissimmo, perchè l'uomo è "un animale sociale", e, quindi, anche quando compie azioni ingiuste e malvage nei confronti di chi non è parte del proprio gruppo, resta quasi sempre "socialmente giusto" nei confronti dei membri del proprio gruppo.
E' quello che i militari chiamano "Spirito di corpo", e gli psicologi "Körper Geist"!
Coloro che sono davvero pienamente malvagi e perfettamente ingiusti  con tutti, sono effettivamente anche incapaci di agire, perchè l'uomo isolato "est imago mortis"; ed infatti, non vanno molto lontano, e spesso fanno una brutta fine (pensate al mafioso che tradisce la Mafia).
In genere, si tratta di "sociopatici" affetti da vera e propria deviazione mentale!

51)
«Per questo capisco che le cose stanno così, e non come tu hai stabilito in un primo momento; ma bisogna anche esaminare, come ci eravamo proposti di fare in un secondo tempo, se i giusti vivono meglio degli ingiusti e sono più felici. Da ciò che si è detto, mi sembra che appaiano tali già adesso; tuttavia la questione va esaminata ancora più attentamente. Infatti il discorso non verte su un argomento qualsiasi, ma su come si deve vivere». 
COMMENTO
E' vero!
Ed infatti, salvo che non siano psicologicamente malati, coloro che sono e si sentono "giusti", nei confronti della propria specifica comunità (di qualunque genere essa sia) vivono meglio degli ingiusti e sono più felici di loro; però, se si comportano ingiustamente nei confronti di chi è al di fuori della propria specifica comunità, vivono egualmente felici e contenti. 
Anzi, in caso di guerra contro i confinanti della propria comunità (anche se si tratta di una ingiusta guerra di conquista), magari si beccano pure qualche medaglia al valor militare!

52)
«Allora esamina», lo incita Trasimaco. «Lo sto facendo», ribatte Socrate. «Ma tu dimmi: ti sembra che esista una funzione propria del cavallo?» «Sì». «E questa funzione del cavallo e di qualsiasi altro essere, la si potrebbe definire ciò che si può realizzare solo con quello o nella maniera migliore con quello?» «Non capisco», dice. «Allora mettiamola così: puoi vedere altrimenti che con gli occhi?» «Certo che no!». «Ancora: puoi sentire altrimenti che con le orecchie?» «Nient'affatto». «Quindi diciamo a ragione che queste sono le loro funzioni?» «Senza dubbio». «Ancora: puoi tagliare un tralcio di vite con un coltello, un temperino e con molti altri arnesi?» «Come no?» «Ma con nessun arnese, credo, puoi eseguire il lavoro così bene come con una falce, che è stata costruita a questo scopo». «Vero». «Stabiliremo quindi che questa è la sua funzione?» «Sì, lo stabiliremo». «Ora credo che tu possa capire meglio la mia domanda di poco fa, quando ti chiedevo se la funzione di ciascuna cosa è ciò che essa sola può fare, o che essa fa meglio di ogni altra». «Capisco», disse, «e mi sembra che questa sia la funzione di ciascuna cosa». «Bene», riprende Socrate. 
COMMENTO
Come già avevo anticipato nella premessa, anche ora Socrate utilizza il suo solito metodo: quando vuole trarre una certa conclusione non la  lascia prevedere, ma si fa in modo che l'avversario ammetta senza accorgersene le premesse una per volta e in ordine sparso. 
Cioè, occulta il proprio gioco finché Trasimaco non abbia ammesso tutto ciò di cui  ha bisogno; e poi arriva al dunque partendo da lontano, secondo le regole suggerite da Aristotele (in Topici, VIII, 1), nonchè da Schopenauer ne "L'arte di ottenere ragione" (quarto stratagemma).

53)
«E non ti sembra che ciascuna cosa a cui è assegnata una funzione abbia anche una virtù? Ritorniamo agli esempi di prima: diciamo che esiste una funzione propria degli occhi?» «Esiste». «Quindi esiste anche una virtù degli occhi?» «Anche una virtù». «Ancora: esiste una funzione propria delle orecchie?» «Sì». «Quindi anche una virtù?» «Anche una virtù». «E riguardo a tutte le altre cose? Non è così?» «è così». 
COMMENTO
Credo che Socrate, per "virtù", intenda la capacità di una cosa di esercitare idoneamente la sua "funzione".

54)
«Allora fa' attenzione: gli occhi potrebbero assolvere bene la loro funzione senza la virtù loro propria, ma con un difetto in luogo della virtù?» «E come potrebbero?», risponde Trasimaco. «Forse stai parlando della cecità in luogo della vista». «Quale che sia la loro virtù», dice Socrate. «Non è ancora questo l'oggetto delle mie domande, bensì se gli organi assolveranno bene la loro funzione grazie alla virtù loro propria, e male per il difetto». «Quello che dici è vero», ammette Trasimaco. «Quindi anche le orecchie, private della virtù loro propria, assolveranno male la loro funzione?» «Certamente». «Stabiliamo dunque la stessa regola anche per tutte le altre cose?» «Credo di sì». 
COMMENTO
Quanto sopra è consequenziale a quanto detto sopra; Socrate allunga il brodo, per meglio piazzare meglio la corda al collo di Trasimaco.

55)
«Su, considera ancora questo punto. Esiste una funzione propria dell'anima che non si potrebbe compiere con nessun altro essere? Ad esempio dirigere, comandare, decidere, e tutte le altre azioni come queste, potremmo giustamente assegnarle, come sua caratteristica peculiare, a qualcosa di diverso dall'anima?» «No, a nessun'altra cosa». «E per quanto riguarda il vivere? Non diremo che è una funzione propria dell'anima?» «Senz'altro», risponde. «Quindi diciamo che esiste anche una virtù dell'anima?» «Sì, lo diciamo». «Ma l'anima, Trasimaco, potrà mai svolgere bene le sue funzioni se è priva della virtù sua propria, o è impossibile?» «è impossibile». «Perciò è inevitabile che un'anima cattiva comandi e diriga male, e un'anima buona svolga bene tutti questi compiti». «è inevitabile». 
COMMENTO
A questo punto Socrate abbandona il saldo terreno delle premesse "spicciole", e si avventura su un terreno che inizia a diventare molto "sdrucciolo"; ed infatti, il concetto di "anima" è molto ambiguo, sebbene, dal tenore del discorso di Socrate, con linguaggio moderno potremmo definirla "ego cosciente", ovvero la consapevolezza delle azioni che si stanno compiendo, e la capacità di riuscire controllare i propri impulsi al riguardo.
Ovvero ancora, in termini giuridici, la "capacità di intendere e di volere"!   
Comunque, secondo me, il "vivere" non è affatto una "funzione" propria dell'anima, sebbene, anche a voler vedere la cosa come la vedevano gli antichi, ne è semmai un "effetto"; ma questo, in fondo, non ha molta rilevanza ai fini del  discorso che sta facendo Socrate, per cui ritengo inutile approfondire la faccenda.
Ha invece molta rilevanza la sua successiva affermazione, e, cioè, che è inevitabile che un'anima "cattiva" comandi e diriga "male", e un'anima "buona" svolga "bene" tutti questi compiti; ed infatti cosa si intende per  "cattiva" e "buona"...e cosa significa comandare e dirigere "male" e "bene"?  
Tali termini, invero, (come al solito) possono essere intesi sia in senso "etico" sia in senso "tecnico", in quanto:
- nel primo senso, si intende condotta "bene" una azione moralmente meritoria, e, cioè, "buona" (ad esempio la carità);
- nel secondo senso, invece, si può intendere condotta "bene" anche una azione moralmente spregevole, se, però, messa in atto con mezzi idonei a perseguire il fine che ci si era riproposto (ad esempio una rapina in banca).
Per dirla in soldoni, un'"anima bella", ma un po' tonta, potrà fare "male" il "bene", se si fa raggirare da un imbroglione e lasciandosi così indurre a fare una donazione ai dei truffatori; in tal caso, invece, l'imbroglione avrà fatto molto "bene" il "male" che si riprometteva di perpetrare con la sua truffa.

56)
«Non abbiamo forse convenuto che la giustizia è la virtù dell'anima, l'ingiustizia il suo vizio?» «Sì, l'abbiamo convenuto». ««Quindi l'anima giusta e l'uomo giusto vivranno bene, l'uomo ingiusto vivrà male». «Pare di sì», risponde, «secondo il tuo ragionamento».
COMMENTO
Non mi pare affatto che l'abbiano convenuto in questi termini.
Ad ogni modo anche io condivido in pieno l'affermazione per cui la giustizia è la virtù dell'anima, l'ingiustizia il suo vizio; però, secondo me, si tratta solo di una scelta aprioristica di carattere morale, che ciascuno fa per una sua scelta di vita, ma che non può farsi derivare da alcun ragionamento di carattere logico (tantomeno dai sofismi di Socrate).

57)
 «Comunque chi vive bene è sereno e felice, chi non vive bene tutto il contrario». «Come no?» «Quindi il giusto è felice, l'ingiusto è infelice». «Ammettiamolo», dice Trasimaco. «Ma essere infelici non giova, essere felici sì». «Come no?» «Quindi, beato Trasimaco, l'ingiustizia non è mai più vantaggiosa della giustizia». 
COMMENTO
Questo non lo condivido affatto, perchè si tratta di una visione, in un certo senso "utilitaristica", o, quantomeno, "eudaimonistica" della giustizia; mentre invece, secondo me, il vero uomo giusto deve perseguire la "giustizia" in quanto tale, e non per trarne un vantaggio "eudaimonistico", sia pure perfettamente legittimo e meritato.
Anzi, il vero uomo giusto deve perseguire la "giustizia" anche a costo della propria personale infelicità, almeno su questa terra; ciò, in quanto, come dice Gesù, sono "Beati quelli che sono perseguitati per la giustizia, perché di loro è il regno dei cieli!"
Senza considerare che, a mio parere, l'ingiusto può vivere benissimo felice e contento (almeno su questa terra), a due imprescindibili condizioni:
-  di non avere scrupoli di coscienza;
- di essere abbastanza abile da perpetrare le proprie ingiustizie senza farsene accorgere.

58)
«E questo», dice Trasimaco, «sia il tuo banchetto delle Bendidie, Socrate!». «Grazie a te, Trasimaco», replica Socrate, «perché sei divenuto affabile e hai smesso di essere scortese. Tuttavia non ho banchettato bene, ma per causa mia, non tua; come i ghiottoni afferrano e assaggiano quello che viene via via portato in tavola prima di aver gustato a sufficienza la portata precedente, così mi sembra che anch'io, prima di aver trovato l'oggetto primario della nostra indagine, ovvero che cos'è il giusto, abbia abbandonato quel problema e mi sia lanciato a indagare se esso sia vizio e ignoranza oppure sapienza e virtù.» 
COMMENTO
Meno male che se n'è accorto pure lui!

59)
«Poi, essendo il discorso caduto sul fatto che l'ingiustizia è più vantaggiosa della giustizia, non mi sono trattenuto dal passare da quell'argomento a questo, cosicché ora mi trovo a non aver ricavato alcuna conoscenza dalla discussione» perché quando non so che cos'è il giusto, tanto meno saprò se è o non è una virtù, e se chi la possiede è o non è felice». 
COMMENTO
Sono d'accordo anche io, su questo!

60)
«Perché quando non so che cos'è il giusto, tanto meno saprò se è o non è una virtù, e se chi la possiede è o non è felice». 
COMMENTO
E' vero, anche se, come ho detto sopra, il parametro eudaimonistico non mi sembra il più congruo per identificare cosa sia la giustizia, e cosa no.
    
                                                                           FINE

green demetr

cit eutidemo
"Cioè, mi sembra alquanto incongruo confondere la condizione patologica con quella fisiologica; sarebbe come dire che, per respirare, i polmoni hanno bisogno della ventilazione artificiale anche quando funzionano perfettamente per conto loro.
Ma vediamo dove vuole andare a parare Socrate."

Siamo molto d'accordo.

Ma qui conviene anche l'approfondimento, che ho conosciuto tramite l'intellettuale psicanalista Calciolari, ossia che nella tavola dei veleni risiede anche quella dei rimedi.

Ossia che il rimedio è posteriore ad un veleno, quello che nella grande filosofia di Nietzche viene chiamato risentimento, imposto.
Mai veramente "contratto per caso".

Il duo Socrate-Platone è pessimo, non l'ho mai apprezzato, proprio per via dei dialoghi psicopompi, che decidono apriori cosa sia giusto e cosa sia bene: insomma un delirio di onnipotenza, come quelli rilevasti per l'ennesima volta in questa miserabile campagna elettorale, e ancora più esecrabile accompagnamento giornalistico, ormai relegatosi a suscitatore di scandali per casalinghe e casalinghi frutrati, piuttosto che a luogo di pensiero.
A luogo dell'odio piuttosto che a luogo dell'intellettualità.

Ma lo diceva già Carmelo Bene, il problema principale dell'Italia è il giornalismo. (che informa dei fatti e non sui fatti).

Platone con i suoi libretti d'odio al paragone era un principiante.

cit eutidemo
"E' vero, anche se, come ho detto sopra, il parametro eudaimonistico non mi sembra il più congruo per identificare cosa sia la giustizia, e cosa no."

Non sono affatto d'accordo. La giustizia è semplicemente il luogo di inveramento delle istanze storiche sociali.

Ma le istanze storiche sociali dovrebbero essere progressive e non reazionarie o restaurative, se vogliamo proprio parlare di una idea di giustizia etica.

Il capitalismo è l'inveramento delle pretese eudamonie.
Ma l'edamonie pretese individualmente come inizio, risultano poi divenatre solo in un malesere diffuso e generale.

Ovviamente la soluzione non è negare le eudamonie iniziali, ma risolverle in forme sempre più plurali e ottimiste.

Come la grande filosofia di Nietzche insegna.

Purtroppo siamo ancora a dire agli altri cosa è bene e cosa è male.

E cos'altro non è se non essere tanti piccoli socrate invidiosi e moralisti?

E Nietzche lo ha ribadito più volte.

Trovo sempre patetico unire Platone e Nietzche, quando è evidente che siamo proprio agli antipodi.

Certo qualcosa che li unisce c'è ed è proprio la eudamonia.

l'esser felici in quanto uomini.

Ma i risultati sono pochi.

Ora se dobbiamo dare peso (e ce l'hanno) che l'intera storia del pensiero sia il frutto di quel diabolico duo che è platone ed aristotele capiamo che siamo agli antipodi del vero filosofare.

Meno male che ancora c'è qualcuno che legge platone e non si fa vergogna nel dire quanto sia somaro.
Grazie Eutidemo.

Buon voto a tutti.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Eutidemo

Caro Green Demetr,
in primo luogo ti ringrazio per l'apprezzamento che hai avuto la gentilezza di manifestare per il mio commento, per la verità molto "alla buona", del dibattito (o meglio, "battibecco") tra Socrate e Trasimaco. :)
Quanto all'"eudaimonia", non ho assolutamente nulla contro di essa, in quanto la ritengo una modalità di vita a cui tutti dovremmo aspirare; nel mio commento, intendevo soltanto dire che non mi sembra che quello "eudaimonistico" sia il parametro più adatto per identificare cosa sia la giustizia, e cosa no.
Ed infatti, almeno secondo me, la "giustizia" è un bene etico da desiderarsi di per se stesso, come un FINE, e non come un MEZZO per  trarre una (sia pur legittima) soddisfazione o autogratificazione per il fatto di sentirsi "giusti".
Detto questo, è sicuramente vero, come egregiamente scrivi tu, che la giustizia è il luogo di inveramento delle istanze storiche sociali, a seconda del particolare periodo epocale che l'umanità sta attraversando; ed è pure vero che le istanze storiche sociali dovrebbero essere progressive e non reazionarie o restaurative, se vogliamo proprio parlare di una idea di giustizia etica.
Non sono invece molto d'accordo sul fatto che Il capitalismo sia l'inveramento delle pretese <<"eudaimonistiche">>, in quanto penso che, piuttosto, esso costituisca la piena realizzazione delle mere aspirazioni <<"edonistiche">> dell'uomo; che sono cosa ben diversa!
Ed infatti, l'<<"eudaimonismo">> e l'<<"eudaimonìa">> derivano dal greco "εὐδαιμονισμός" e "εὐδαιμονία" che significa vivere guidati da un buon "δαιμον"(che, in greco, non significa "demonio", bensì "buon genio", "spirito guida"), il quale ci insegna come vivere in piena <<"felicità">> la nostra vita; ed invece, nonostante la quasi omofonia, l'<<"edonismo">> ha un significato, anche etimologico, completamente diverso, in quanto deriva dal greco antico "ἡδονή", che significa "piacere", e NON "felicità", che in greco si dice  "ευτυχία" (le quali sono due cose completamente differenti, sebbene non necessariamente incompatibili tra di loro)!
Ed il capitalismo, a mio avviso, tende in modo esasperato a procurarci il primo, cioè il "piacere", cercando di illuderci che esso sia l'unico mezzo per procurarci la seconda, cioè la "felicita"; mentre invece, almeno secondo me, non è affatto così! >:(
Per cui, come dicevo sopra, per me il capitalismo è precipuamente a sfondo "edonistico", e non affatto "eudaimonistico"! ;)

green demetr

Citazione di: Eutidemo il 03 Marzo 2018, 17:59:54 PM
Caro Green Demetr,
in primo luogo ti ringrazio per l'apprezzamento che hai avuto la gentilezza di manifestare per il mio commento, per la verità molto "alla buona", del dibattito (o meglio, "battibecco") tra Socrate e Trasimaco. :)
Quanto all'"eudaimonia", non ho assolutamente nulla contro di essa, in quanto la ritengo una modalità di vita a cui tutti dovremmo aspirare; nel mio commento, intendevo soltanto dire che non mi sembra che quello "eudaimonistico" sia il parametro più adatto per identificare cosa sia la giustizia, e cosa no.
Ed infatti, almeno secondo me, la "giustizia" è un bene etico da desiderarsi di per se stesso, come un FINE, e non come un MEZZO per  trarre una (sia pur legittima) soddisfazione o autogratificazione per il fatto di sentirsi "giusti".
Detto questo, è sicuramente vero, come egregiamente scrivi tu, che la giustizia è il luogo di inveramento delle istanze storiche sociali, a seconda del particolare periodo epocale che l'umanità sta attraversando; ed è pure vero che le istanze storiche sociali dovrebbero essere progressive e non reazionarie o restaurative, se vogliamo proprio parlare di una idea di giustizia etica.
Non sono invece molto d'accordo sul fatto che Il capitalismo sia l'inveramento delle pretese <<"eudaimonistiche">>, in quanto penso che, piuttosto, esso costituisca la piena realizzazione delle mere aspirazioni <<"edonistiche">> dell'uomo; che sono cosa ben diversa!
Ed infatti, l'<<"eudaimonismo">> e l'<<"eudaimonìa">> derivano dal greco "εὐδαιμονισμός" e "εὐδαιμονία" che significa vivere guidati da un buon "δαιμον"(che, in greco, non significa "demonio", bensì "buon genio", "spirito guida"), il quale ci insegna come vivere in piena <<"felicità">> la nostra vita; ed invece, nonostante la quasi omofonia, l'<<"edonismo">> ha un significato, anche etimologico, completamente diverso, in quanto deriva dal greco antico "ἡδονή", che significa "piacere", e NON "felicità", che in greco si dice  "ευτυχία" (le quali sono due cose completamente differenti, sebbene non necessariamente incompatibili tra di loro)!
Ed il capitalismo, a mio avviso, tende in modo esasperato a procurarci il primo, cioè il "piacere", cercando di illuderci che esso sia l'unico mezzo per procurarci la seconda, cioè la "felicita"; mentre invece, almeno secondo me, non è affatto così! >:(
Per cui, come dicevo sopra, per me il capitalismo è precipuamente a sfondo "edonistico", e non affatto "eudaimonistico"! ;)

E' vero che i greci intendono la vita come eudamonia, ma proprio a scapito dell'edonismo.

Una eudamonia che faccia a meno dell'edonismo è solo ideologia. E della peggiore.

Quindi sono d'accordo con te che però il solo edonismo non garantisce alcuna eudamonia.
(ma mi sembra che infatti l'avevo specificato).

Proprio per questo il progetto di comunità di amici, è di là da venire.

Non siamo minimamente vicini a quell'orizzonte, siamo ancora qui a contare i buoni e i cattivi.

Siamo ancora qui a fare politiche del nemico (o dell'amico che è la stessa cosa, vedi Schmitt), e non politiche comunitarie.

Frattanto non si capiscono nemmeno cose come legalità e legittimità (sempre Schmitt credo, ma ho ripreso l'idea da Nereo Villa) ipotesi su cui nei mesi scorsi sto riflettendo, anche spinto dalle tue osservazioni di qualche post di mesi fa, riguardo le preleggi.

In effetti è con la lettura di Glucksman che ho inteso meglio il rapporto tra politica e giurisdizione.

O meglio tra rivoluzione e messa in leggi delle ipotesi rivoluzionarie.
Leggi che richidedono una nuova rivoluzione etc....

Credo che il punto di Hackeraggio intellettuale, sia proprio all'interno del concetto di legge.
Se infatti si trovasse una legge che producesse infinite rivoluzioni che riportano alla stessa legge, si avrebbe la vittoria definitiva dello status quo.
Credo che questa cosa fu intuita molto bene da Rabelais almeno secondo il Glucksman.
Ossia una legge che prevede infinite rivoluzioni ma solo all'interno della stessa legge.

Una legge che illuda la rivoluzione ma che poi fa delle rivoluzione una parte stessa della legge.

Il progetto di repubblica platonica mi sembra un chiaro esempio di totalitarismo.

Totalmente desueto, mi fanno pena i filosofi, i molti filosofi, che tentano di riprendere quel progetto.

Il vero progetto di legge che prevede la sua immanente accettazione, è proprio quello capitalista.
Che produce illusione di rivoluzione, perchè effettivamente rivoluziona per davvero l'edonismo.
Ma ad un prezzo carissimo, l'accettazione del mors tua vita mea.

E' una sorta di Leviatano evoluto. Non un mostro, ma piuttosto un avvenente donna che dona piaceri.
Ma che ti tiene al laccio dei suoi capricci.

Il problema non sono tanto i capricci, quanto quel laccio.

Invece anche i pochi, pochissimi, ok solo Zizek, che l'hanno capito, ancora che puntano il dito contro i capricci.

Ma è lo stesso errore di Platone! Siamo da capo.

Socrate mi ripugna!
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Eutidemo

Io sono "giusnaturalista", per cui il "positivismo giuridico" di Socrate e di Platone mi aggrada poco; secondo me, infatti, l'uomo non è fatto per servire la legge, bensì è la legge che è fatta per servire l'uomo (Vangelo di Marco 2,27). ;)
E' vero che, se le leggi (nomoi) ci potessero parlare, ci direbbero che, se i privati (idiotai) rendessero le norme prive di autorità (akuroi) e facessero ognuno come gli pare, come sostiene Socrate l'intero ordine civile verrebbe sovvertito; però è anche vero che non di rado, delle norme inique l'ordine civile l'hanno gravemente tradito (come, ad esempio, le "leggi razziali", ma non solo).
Buon post-voto! :)

green demetr

Citazione di: Eutidemo il 05 Marzo 2018, 06:17:33 AM
Io sono "giusnaturalista", per cui il "positivismo giuridico" di Socrate e di Platone mi aggrada poco; secondo me, infatti, l'uomo non è fatto per servire la legge, bensì è la legge che è fatta per servire l'uomo (Vangelo di Marco 2,27). ;)
E' vero che, se le leggi (nomoi) ci potessero parlare, ci direbbero che, se i privati (idiotai) rendessero le norme prive di autorità (akuroi) e facessero ognuno come gli pare, come sostiene Socrate l'intero ordine civile verrebbe sovvertito; però è anche vero che non di rado, delle norme inique l'ordine civile l'hanno gravemente tradito (come, ad esempio, le "leggi razziali", ma non solo).
Buon post-voto! :)


Buon post voto mica tanto....La sinistra è morta e sepolta.

Ormai non è valso più nemmeno il voto politico della sinistra degli impresentabili, dalla Boldrini a Civati. Con il molto enigmatico (a sentir Travaglio, e mi fido) Grasso a seppellirli per sempre.

Non si vota più per "area", si vota il nome.

Oddio questo era già vera nel ventennio berlusconiano.

Poi sono arrivasti i funestatori d'Italia, con in capo Monti (e sì che lo diceva di non essere un buon comunicatore...), i governi tecnici.

Poi è arrivato il governo di Renzi. E la cosa del "nome" è passata a sinistra pure.

Certamente già lo sapevo da tempo. Da molto tempo. Ma è pure sempre uno di quei passaggi storici a cui assisto allibito.

Il passaggio di Bagnai alla Lega forse ne è stato il testimonial più lampante.

E ora? Ora sono contento per i 5 stelle, il loro programma principale è ineccebile.

Ma qui fanno tutti finta che non sia mai esista la p2, le trattative stato-mafia, lampedusa, la presa lampo della Libia.

Già lo so, da lungo tempo, che quel programma sarà disatteso...mi rimane la curiosità di vedere come la disperazione del sud (che evidentemente non posso conoscere essendo di Milano...e Milano è messa male male...Non oso nemmeno immaginare) rileggerà questa impossibilità storica.

Caro Eutidemo se la filosofia positivista fascista, chiaramente fascista, con l'articolazione dello Stato in esercito, governo, mercanti, educatori ed educati, è qualcosa di irrealizzabile e sbagliata fino al midollo.
La filosofia giusnaturalista è l'apoteosi del MALE.

Lo si capisce d'altronde dal tuo puerile senso di giustizia che si rifà a S. Paolo, dal tuo senso quasi illuminista che non sa proprio a meno di NON fare i conti con la realtà.

Lo sanno tutti che il giusnaturalismo è quello appoggiato dalla chiesa...già quella chiesa che in nome del DIO-NATURA, si è macchiata dei peccati contro l'uomo e la morale (come l'edonismo di cui su si parlava).

Già perchè quello che la gente non  capirà mai è che non esiste il giusto e lo sbagliato.
Che sono solo convenzioni.

Inoltre il tabù dell'incesto che in altro 3d tu riferisci a livello biologico...strano perchè una volta il matrimonio tra cugini era considerato normale, nel periodo delle grandi famiglie nobiliari europee, è invece, dicevo, proprio a livello strutturale, come Levi-Struss sul metodo Mauss ha DIMOSTRATO.

Poi è arrivata la feccia inglese, il puritanesimo e tutto il MALE che dilaga a tutt'oggi.

Ma appunto se si vuol credere a S.Paolo, allora non oso ascoltare quello che pensi dei gay.
( e lo dico davvero, preferisco il silenzio).

Per inciso il diritto che si crede riferito alla natura, è una boiata, infatti si chiama natura, quello che è una presa di posizione formale, del tutto arbitraria.

(evoluzione a salti? evoluzione genetica? evoluzine in base ai luoghi?) quale gius (lol) naturalismo????


E dunque è nè più nè meno che positivismo e quindi fascismo (ripeto esercito-governo-mestieri-educatori-educati IN NOME di qualche boiata).


No non ci siamo proprio Eutidemo  :'( , e sì sono balzato sulla sedia! perchè poi pensi alla colf paragonata ad un uomo di neandertal....e allora forse non era uno scherzo come pensavo.

Ma cosa c'entra con la fine della sinistra, e quindi della politica tout court....perchè la destra al massimo difende degli interessi particolari, o meglio fa finta, per aiutare solo gli amici.

C'entra perchè nei programmi del 5stelle di secondaria importanza, vi sono perle di giusnaturalismo, come il fatto che esiste una GIUSTA DIETA.......

Cari amici arriveremo presto a questi deliri. (5stelle o meno, i semi sono stati lanciati già tempo fa con le cavolate bio-etiche).

Frattanto il manuale diagnostico di psichiatria si arricchisce spropositatamente di sintomi nuovi, deliri nuovi, blocchi mentali impensabili in una civiltà povera, ma dignitosa nelle sue credenze popolari, rurali (vedi alla voce Pasolini).

I tempi sono BUJ, e diventeranno sempre più BUJ.

E come dice CB, il popolo sarà preso a calci sui denti, dal popolo stesso....


La filosofia che già conta pochi outsider, ormai è alla frutta.

Come dice Sloterdijk godiamoci questi ultimi lampi di calore di un sole morente: quello della libertà di pensiero.

Me li sto godendo tutti.

Ciao a tutti  ;D



Vai avanti tu che mi vien da ridere

Eutidemo

Caro Green Demetr,
cercherò di risponderti, brevemente, e punto per punto:
1)
Sono perfettamente d'accordo sul fatto che la filosofia positivista fascista (e ancor più nazista), in buona parte ispirata alla REPUBBLICA di Platone, sia quanto di più infame e deleterio abbia partorito la Storia. ;)
2)
Quanto al fatto che la filosofia giusnaturalista, secondo te, sia l'apoteosi del MALE, sinceramente, non capisco proprio perchè; nè comprendo in quale senso, e, soprattutto per quali ragioni, ritieni "puerile" il mio senso di giustizia" (che a tutto si rifà, meno che a San Paolo, di cui ho riportato una citazione a fini completamente diversi).
E poi dovresti specificare meglio, quali "conti" e con quale "realtà". ;)
3) 
Quanto al fatto che "...lo sanno tutti che il giusnaturalismo è quello appoggiato dalla chiesa", temo che tu ti riferisca solo ad "un" tipo di giusnaturalismo (che, personalmente, non condivido affatto), mentre, invece, ce ne sono più di uno; come, ad esempio, quello che ispirò il processo di Norimberga, che, di religioso, non aveva assolutamente niente...e ad altri tipi ancora. ;)
4)
Il "giusto" e lo "sbagliato" esistono eccome; tanto è vero che tu pensi di dire cose "giuste" ed io "sbagliate"!  
Tale componenti psichiche hanno sia un fondamento genetico che un fondamento culturale; puoi anche chiamare quest'ultimo "convenzioni", non c'è problema.
Posso benissimo essere d'accordo...e allora? :D
5)
Quanto al tabu dell'incesto, se è per questo ci sono state culture che consideravano normale anche il matrimonio tra fratello e sorella (ad esempio quello dei Faraoni); ma tu confondi le diverse tipologie di "incesto", e, soprattutto, confondi le "eccezioni" culturali ristrette a particolari "ridotte" caste dominanti, con la tendenza genetica "generale" della specie "homo", presso la quale l'incesto, soprattutto tra figli e genitori, ha sempre costituito un tabu.
Ed invero, se tale tendenza fosse stata generalizzata, considerate le patologie recessive collegate a tali tipi di unione, la specie umana si sarebbe estinta da lungo tempo; come, storicamente, sono degenerate si sono estinte alcune popolazioni dedite, nemmeno all'incesto vero e proprio, bensì ad una eccessiva endogamia. 
Per cui, sostenere che il tabu etico dell'incesto, così come altri, sia frutto di "mera convenzione", è solo frutto di ignoranza della realtà (quella che imputi a me); ogni comportamento ha una sua ragion d'essere filogenetica, oltre che culturale. 
Quanto a Levi-Strauss incentrava il suo interesse precipuamente agli aspetti culturali, ed era quasi del tutto alieno dagli approfondimenti genetici ed etologici, per cui le sue considerazioni riguardano altri aspetti. ;)  6)
Quanto alla "...feccia inglese, il puritanesimo e tutto il MALE che dilaga a tutt'oggi...", non riesco assolutamente a capire di che cosa tu stia parlando, e, soprattutto, cosa c'entra col nostro discorso!
Affastelli in modo incoerente e scollegato troppo cose diverse! ;D
7)
Quanto a San Paolo, per esempio, mi dispiace deluderti, ma non sono affatto uno suo "fan" (anzi)!
Ciò non toglie che, ove opportuno ed appropriato, io citi talvolta dei suoi passi; così come cito i passi anche di altri!
Ma se dovessi essere un seguace di tutti coloro che cito, dovrei essere veramente un eclettico estremo! ;D
8)
Quanto ai "gay", a parte il fatto che sin dal 1990 l'Oms cancellò l'omosessualità dall'elenco delle malattie mentali, definendola per la prima volta "una variante naturale del comportamento umano", nella mia "tesi sul fondamento biologico dell'etica", personalmente, già nel lontano 1974, io la definivo "una varianza genetica del comportamento sessuale normale in varie specie animali, tra cui l'uomo" (anche se oggi tale definizione andrebbe un po' aggiornata). ;)
9)
Poi scrivi in modo un po' confusionario: "...il diritto che si crede riferito alla natura, è una boiata, infatti si chiama natura, quello che è una presa di posizione formale, del tutto arbitraria...evoluzione a salti... evoluzione genetica... evoluzoine in base ai luoghi? quale gius (lol) naturalismo..."!
Da quello che scrivi, sebbene non sia molto chiaro e coerente, mi sembra di capire che tu non sia sufficientemente informato di quello di cui stai parlando.
Tu scrivi, ad esempio: "si chiama natura, quello che è una presa di posizione formale, del tutto arbitraria"; è evidente che non hai mai letto un libro di etologia, per cui è inutile discuterne!
Tra l'altro, tu confondi il "positivismo giuridico", col "positivismo" in generale, per cui è evidente che non sai assolutamente di cosa stai parlando; ed invero, il il "positivismo giuridico"(pur avendo illustri antecedenti storici) è una dottrina giuridica partorita dal liberalismo, e poi applicata sia dai regimi giuridici fascisti che da quelli comunisti.
La tua filastrocca "esercito-governo-mestieri-educatori-educati IN NOME di qualche boiata..."  non c'entra assolutamente niente con il il "positivismo giuridico"; è come se tu criticassi i cocomeri, sostenendo che la musica troppo alta danneggia i timpani.
Quello che scrivi non ha senso compiuto! ::)
In sintesi, comunque, per tua informazione, per "positivismo giuridico" (denominato anche "giuspositivismo"), si intende quella dottrina di filosofia del diritto, la quale considera come unico possibile diritto quello consacrato nei codici di un qualunque Stato, sia esso democratico o dittatoriale, comunista o fascista. ;)
10)
Quanto alla colf paragonata ad un uomo di neanderthal:
- innanzitutto io la paragonavo ad un "homo floriensis", e non ad un "uomo di neanderthal";
- in secondo luogo era ovvio che si trattava uno scherzo (le ho stampato la foto e lei non fa altro che farla vedere alle amiche per riderci sopra).
Secondo me, senza offesa, tu dovresti:
- prestare più attenzione a quello che leggi;
- capirlo BENE;
- riflettere adeguatamente prima di rispondere;
- infine, scrivere la replica in modo "pertinente", con la testa, e non con la pancia. ;D
11)
Da questo punto in poi, riesco a seguirti sempre di meno, perchè non fai che affastellare concetti scollegati, e sciorinare un discorso esasperatamente paratattico, senza un filo coerente che si possa agevolmente seguire.
Chi ha mai parlato di fine della sinistra, e quindi della politica tout court?
Ma non è che stai confondendo i miei interventi con quelli di qualcun altro?
Tutto il tuo successivo discorso, sebbene un po' confuso e frammentario, lo condivido abbastantanza (anche se è alquanto puerile e semplicistico); ma che c'entra col nostro tema?
Quanto al fatto che nei programmi dei5stelle ci sono perle di giusnaturalismo, come il fatto che esiste una GIUSTA DIETA, non capisco a cosa ti riferisci; ma la cosa mi incurioscisce alquanto.
Circa, poi, il manuale diagnostico di psichiatria, che si arricchisce spropositatamente di sintomi nuovi, deliri nuovi, blocchi mentali impensabili in una civiltà povera, ma dignitosa nelle sue credenze popolari, rurali (vedi alla voce Pasolini)...vedo che sei partito per la tangente in una direzione per me completamente incompresibile!
E poi, chi diamine sarebbe CB?
Mah, chi ti capisce è bravo! ::)
P.S.
Ho fatto una fatica infernale a decrittare il tuo post, per cui, per cortesia, il prossimo scrivilo in modo più "lineareE "coerente",  e, soprattutto "pertinente" e "comprensibile", altrimenti mi asterrò dal rispondere.
Grazie! :)

paul11

#14
complimenti Eutidemo per esserti confrontato con un testo filosofico che hai riportato,nonostante personalmente sia di diversa opinione dalla tua sul testo.
Il metodo dialettico maieutico utilizzato nei dialoghi da Platone, utilizzano il maestro(Socrate) e i discepoli che insieme indagano argomenti iniziando spesso da diversa opinione.
Per quanto il testo da te riportato sia un poco differente da quello a cui io mi riferisco che è "Platone tutti gli scritti" di Giovanni reale ed. Bompiani del 2001, il senso è simile..Fra l'altro Eutidemo è il titolo del 21° capitolo  della sesta tetralogia degli scritti di Platone e il passo di Trasimaco è nel primo capitolo della Repubblica, ottava tetratlogia.
I termini più importanti utilizzati nel passo, sono virtù/vizio, vantaggio/svantaggio, felicità/infelicità, giustizia e ingiustizia.
Chiariamo un punto fondamentale, Socrate come molti filosofi e pensatori della Grecia antica, ritengono che la Legge sia sopra il governo.Il re incarna la legge a sua volta relazionata ad un ordine superiore universale.Ne derivano che i concetti e termini ne siano subordinati.La storia insegna che quella legge interpretata dagli antichi siano i principi delle moderne Costituzioni, inalienabili.L'ordine originario universale, è l'ordinamento giuridico che passa nei tempi storici che guida le organizzazioni umane in similitudine a quell'ordine
Passano i governanti, ma rimane la Legge che è la tradizione che prima fu nomos nelle polis poi lex e ius nelle cives latine.

La posizione di Trasimaco è tipica dell'uomo del popolo che vede e subisce le pratiche del governo da cui si percepisce il segno dell'ingiustizia.Ma vedere i risultati dei governi è cosa diversa dai principi che determinarono le Leggi.Colui o coloro che governano se manca la virtù dell'incarnare la legge, di farsi carico, da quì l'onere del virtuoso e onesto governo delle problematiche umane,seminano ingiustizia e discordia.Il virtuoso cerca il vantaggio per il popolo, l'ingiusto cerca il vantaggio per sè seminando sedizione, rivolta, separazione nella polis e rendendosi inviso al popolo non rende affatto felice nè il popolo nè se stesso.Ritenendo giusta l'ingiustizia di coloro che governano il popolo traendo proprio vantaggio, in realtà confonde virtù,che è caratteristica della bontà d'animo del cercare vantaggio anche per gli altri, non solo per sè,

IL problema della felicità, eudaimonia, sta nella relazione che si pone con gli altri termini come virtù e giustizia e Socrate lo indagherà anche nel libro successivo a questo passo, se veramente il giusto, il virtuoso possa essere anche felice, sereno.

per quanto riguarda al dialogo Eutidemo/green
Andrei piano sulle considerazioni frettolose e confuse.
Il termine diritto di natura, ad esempio  ha subito storicamente molte interpretazioni presentandosi quindi come termine ambiguo.La modernità ha contribuito a generare confusione e non chiarezza.
Il diritto di natura è diverso dal greco antico a San Tommaso, che è ancora diverso nell'umanesimo del buon selvaggio e dell'uomo lupo.Il diritto di natura superato dallo storicismo e poi dal diritto positivo, riappare come termine corporativo-contrattuale. Ma il neo-contrattualismo utilizzato negli USAe ad esempio nella storia dei sindacati dei lavoratori è ben diverso dal diritto di natura che ispirò il diritto canonico.

Il positivismo giuriidico nasce dalla forza del legislatore, vale a dire la Legge a cui lo stesso governante deve giurare fedeltà, quella Legge istituisce polis, cives, comunità, Stati, Imperi. Kelsen è un autore importante. secondo cui è la legge che fa il popolo.
Non esiste ordine, ordinamento giuridico ,istituzione, se non vi è una Legge a cui ogni individuo vi si riconosce e vi riconosce l'altrui facente parte di quella comunità legata e regolata dalla stessa legge.

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