Tra rappresentanza e governabilità

Aperto da anthonyi, 15 Ottobre 2016, 21:21:24 PM

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davintro

Citazione di: anthonyi il 23 Ottobre 2016, 11:35:10 AM
Citazione di: davintro il 20 Ottobre 2016, 22:12:13 PMpersonalmente dissento dallo schema, molto sostenuto nel senso comune, per cui il maggioritario coinciderebbe con la governabilità e il proporzionale con la rappresentanza. Io mi ritengo convintamente maggioritarista, ma non in nome della "governabilità", bensì proprio della rappresentanza, che per me coincide col rispetto più completo possibile della volontà popolare. Perchè mentre nel maggioritario la volontà popolare si esprime sia nella scelta delle persone fisiche da eleggere in parlamento (tramite i collegi uninominali) sia delle idee che quelle persone incarnano, il proporzionale permette di scegliere solo l'idea, incarnata dal partito votato, ma non le persone concrete, che vengono selezionate nelle liste dalle segreterie di partito. La volontà popolare è più rappresentata nel maggioritario, dove si esprime sia su uomini che idee, non solo idee. E con il proporzionale i governi sono scelti con accordi sucessivi alle elezioni dai partiti, ed è possibile che un partito A formi una coalizione di governo con un partito B che gli elettori del partito A non avrebbero mai accettato, mentre con il maggioritario, che permette l'elezione diretta dei parlamentari, si crea per forza di cose una maggioranza di governo che corrisponde all'indicazione della maggioranza degli elettori. Anzi, invece dal punto di vista della "governabilità" il maggioritario non dà necessariamente più garanzie del proporzionale, in quanto, come la nostra storia politica recente mostra, la necessità di vincere nei collegi porta i partiti più piccoli, per entrare in parlamento, ad entrare in coalizioni con partiti più grandi, col rischio di creare coalizioni spesso litigiose e poco coese, mettendo a repentaglio la governabilità. Comunque, proprio ponendo la rappresentanza come principio guida primario rispetto alla goveranabilità, sono per un modello maggioritario "attenuato", che riservi una parte seppur piccola e minoritaria al proporzionale, tenendo conto dell'importanza del ruolo storico e culturale del voto ai partiti e considerando ingiusto che partiti con importante seguito elettorale ma poco vincenti nei singoli collegi uninomali, debbano essere tout court esclusi dal parlamento. Esempio classico, un partito importante e nobile, come i liberaldemocratici inglesi, che pur perdendo sempre in quasi tutti i colleggi maggioritari contro i conservatori e i laburisti, ottiene comunque molti voti ed è giusto che abbia suoi rappresentanti. Se non si fosse capito, il mio sistema ideale è il Mattarellum italiano in vigore dal 1993 al 2006 a prevalenza maggioritaria ma con piccola quota al proporzionale La governabilità è data a mio avviso non tanto dal sistema elettorale, ma dal senso di responsabilità istituzionale e maturità dell'opposizione, che oltre alla possibilità di intervenire, come co-protagonista decisionale assieme alla maggioranza, nella discussione e nel processo di modifica delle leggi dibattute in parlamento, a cui si deve dare un tempo delimitato, accetti, una volta scaduto il tempo della discussione, il principio del criterio di maggioranza senza trascinare, tramite tecniche ostruzionistiche all'infinito il dibattito su una legge paralizzando la vita politica di un paese, criterio di maggioranza che rispecchia il principio di maggioranza che è il cardine di ogni democrazia possibile
Caro davintro, la mia sensazione è che tu identifichi il maggioritario con il sistema uninominale che vedi capace di indicare la persona preferita dai cittadini. Al riguardo non mi trovi molto d'accordo, l'uninominale è tipicamente caratterizzato da un gran numero di seggi certi in funzione delle tendenze politiche del territorio. La vera scelta della persona c'è nel caso in cui ci siano delle primarie in cui i cittadini scelgono i candidati da presentare, ma questo dipende dal funzionamento dei partiti. In realtà è nei sistemi a collegio nazionale che puoi avere nel sistema elettorale la scelta delle persone tramite l'espressione delle preferenze. Io comunque sono in generale critico nei confronti dei maggioritari di tipo territoriale (Uninominale e a piccoli cluster) proprio per la ragione per la quale questi vengono sostenuti, cioè il legame con il territorio, che per me favorisce la tendenza da parte dell'eletto ad assumere atteggiamenti di difesa del suo territorio che gli fa perdere una visuale globale delle tematiche.

D'accordo sull'idea delle primarie come fattore che, lasciando scegliere ai cittadini non solo il parlamentare, ma anche i candidati di ciascun partito, alimenta notevolmente il tasso di rappresentatività, dunque di democrazia, nell'elezione del parlamento. Ma c'è una condizione fondamentale. La libertà del voto coincide con il principio di segretezza. Ora, le primarie intese in un certo modo rischiano di compromettere tale fondamentale principio. Perchè se i luoghi indicati per le primarie sono luoghi pubblici come seggi, gazebo, sedi di partito, chi va a votare, si mette in coda, inevitabilmente si espone allo sguardo di tutti, osservando le persone che si recano a votare per le primarie indette da un partito si può facilmente dedurre la simpatia di tali persone per quel partito. E questo può creare problemi, specie nei contesti sociali delle piccole città. Intese in questo modo le primarie annullano la segretezza del voto rendendo questo quasi, scorrettamente, una testimonianza da comunicare ai quattro venti. Il voto alle primarie dovrebbe essere rigorosamente anonimo e nascosto, penso a votazioni elettroniche on-line, magari nei siti web dei partiti che le indicono.

Il sistema delle preferenze non mi piace. Un conto è la possibilità di scegliere un candidato che rappresenta un programma politico, una lista o coalizioni di liste nel suo complesso, un 'altra è, all'interno di un singolo programma politico, esprimere un preferenza che riguarderebbe solo e unicamente l'individuo, a prescindere dal programma (dato che la lista dei candidati da cui scegliere a chi dare la preferenza condivide lo stesso programma). E allora tale sistema tende a favorire uomini che hanno una visibilità, potere e un'influenza sociale non sempre acquisiti per meriti e virtà, ma solo attraverso demagogia se non peggio, a scapito di persone meno socialmente note, ma magari più serie e meritevoli. Non a caso le preferenze sono, specie nel sud Italia, sono associate a fenomeni di clientelismo, corruzione se non di potere malavitoso. Inoltre, il sistema delle preferenze finisce con il promuovere troppa conflittualità politica all'interno dei partiti, con ciascun candidato che nella corsa ad ottenere preferenze vedrà come rivali non solo i candidati delle altre liste, ma anche e soprattutto quelli iscritti nella sua stessa lista. Tutto ciò provoca confusione, favorisce lotte intestine all'interno del singolo partito, che in questo modo potrebbe trovare difficoltà nel raggiungere un'unità programmatica e un'identità chiara e ben definita. In terzo luogo, essendo l'espressione delle preferenze per l'elettore mai obbligatoria ma facoltativa, nella maggior parte dei casi, queste non faranno la differenza, ma ad imporsi resterà l'ordine di lista stabilito dai partiti, restando così il tutto all'interno dei difetti e limiti del proporzionale (mentre nel caso dei collegi uninominali l'elettore è costretto a scegliere uno invece che un altro)

Vero che spesso e volentieri il sistema dei collegi territoriali è interpretato abilmente dai partiti facendo candidare le persone che il partito ritiene più importanti da eleggere in collegi tradizionalmente sicuri, storiche roccaforti elettorali di quel partito, sovrastando il principio della coerenza tra candidato e territorio, come nel caso di un partito di sinistra che candida in regioni rosse e facili da vincere come Emilia e Toscana persone che con quei luoghi non ha mai avuto nulla a che fare nella vita, ma che per forza devono entrare in parlamento. Tuttavia penso che tale problema possa essere risolto introducendo dei vincoli che in qualche modo leghino il candidato al territorio del collegio ( non so... la residenza, l'aver fatto le scuole in quella zona, un periodo minimo di lavoro, il semplice luogo di nascita...). Molto importante e condivisibile la tua critica al fatto che proprio il vincolo al territorio possa distogliere il parlamentare eletto da una visione globale della situazione nazionale, legando troppo i suoi interessi alla singola zona di elezione (specie per me che ho sempre un pò la fissa del primato della visione globale rispetto al dettaglio estraniato dal contesto, in tutti i vari argomenti). Ma sarebbe da considerare che i parlamentari non hanno la stesso margine di responsabilità e autonomia che può aver un sindaco, che si coccupa solo della città in cui è stato eletto, ma devono rispondere al loro partito che li ha candidati. E ogni partito ha una linea politica unitaria (almeno in teoria dovrebbe essere così...) decisa da organismi nazionali. In questo modo gli interessi localistici espressi dai singoli parlamentari sarebbero pur sempre armonizzati e contestualizzati in un progetto politico unitario globale e complessivo deciso dalla struttura nazionale del loro partito. Questa globalità è fondamentale, sono il primo a pensarlo, ma ha bisogno anche di essere applicata nelle varie situazioni locali, e ciò richiede la presenza di persone che hanno una conoscenza diretta dei territori, le loro problematiche, le loro risorse. Mi pare un equilibrio accettabile...

anthonyi

Citazione di: davintro il 25 Ottobre 2016, 01:30:19 AM
Citazione di: anthonyi il 23 Ottobre 2016, 11:35:10 AM
Citazione di: davintro il 20 Ottobre 2016, 22:12:13 PMpersonalmente dissento dallo schema, molto sostenuto nel senso comune, per cui il maggioritario coinciderebbe con la governabilità e il proporzionale con la rappresentanza. Io mi ritengo convintamente maggioritarista, ma non in nome della "governabilità", bensì proprio della rappresentanza, che per me coincide col rispetto più completo possibile della volontà popolare. Perchè mentre nel maggioritario la volontà popolare si esprime sia nella scelta delle persone fisiche da eleggere in parlamento (tramite i collegi uninominali) sia delle idee che quelle persone incarnano, il proporzionale permette di scegliere solo l'idea, incarnata dal partito votato, ma non le persone concrete, che vengono selezionate nelle liste dalle segreterie di partito. La volontà popolare è più rappresentata nel maggioritario, dove si esprime sia su uomini che idee, non solo idee. E con il proporzionale i governi sono scelti con accordi sucessivi alle elezioni dai partiti, ed è possibile che un partito A formi una coalizione di governo con un partito B che gli elettori del partito A non avrebbero mai accettato, mentre con il maggioritario, che permette l'elezione diretta dei parlamentari, si crea per forza di cose una maggioranza di governo che corrisponde all'indicazione della maggioranza degli elettori. Anzi, invece dal punto di vista della "governabilità" il maggioritario non dà necessariamente più garanzie del proporzionale, in quanto, come la nostra storia politica recente mostra, la necessità di vincere nei collegi porta i partiti più piccoli, per entrare in parlamento, ad entrare in coalizioni con partiti più grandi, col rischio di creare coalizioni spesso litigiose e poco coese, mettendo a repentaglio la governabilità. Comunque, proprio ponendo la rappresentanza come principio guida primario rispetto alla goveranabilità, sono per un modello maggioritario "attenuato", che riservi una parte seppur piccola e minoritaria al proporzionale, tenendo conto dell'importanza del ruolo storico e culturale del voto ai partiti e considerando ingiusto che partiti con importante seguito elettorale ma poco vincenti nei singoli collegi uninomali, debbano essere tout court esclusi dal parlamento. Esempio classico, un partito importante e nobile, come i liberaldemocratici inglesi, che pur perdendo sempre in quasi tutti i colleggi maggioritari contro i conservatori e i laburisti, ottiene comunque molti voti ed è giusto che abbia suoi rappresentanti. Se non si fosse capito, il mio sistema ideale è il Mattarellum italiano in vigore dal 1993 al 2006 a prevalenza maggioritaria ma con piccola quota al proporzionale La governabilità è data a mio avviso non tanto dal sistema elettorale, ma dal senso di responsabilità istituzionale e maturità dell'opposizione, che oltre alla possibilità di intervenire, come co-protagonista decisionale assieme alla maggioranza, nella discussione e nel processo di modifica delle leggi dibattute in parlamento, a cui si deve dare un tempo delimitato, accetti, una volta scaduto il tempo della discussione, il principio del criterio di maggioranza senza trascinare, tramite tecniche ostruzionistiche all'infinito il dibattito su una legge paralizzando la vita politica di un paese, criterio di maggioranza che rispecchia il principio di maggioranza che è il cardine di ogni democrazia possibile
Caro davintro, la mia sensazione è che tu identifichi il maggioritario con il sistema uninominale che vedi capace di indicare la persona preferita dai cittadini. Al riguardo non mi trovi molto d'accordo, l'uninominale è tipicamente caratterizzato da un gran numero di seggi certi in funzione delle tendenze politiche del territorio. La vera scelta della persona c'è nel caso in cui ci siano delle primarie in cui i cittadini scelgono i candidati da presentare, ma questo dipende dal funzionamento dei partiti. In realtà è nei sistemi a collegio nazionale che puoi avere nel sistema elettorale la scelta delle persone tramite l'espressione delle preferenze. Io comunque sono in generale critico nei confronti dei maggioritari di tipo territoriale (Uninominale e a piccoli cluster) proprio per la ragione per la quale questi vengono sostenuti, cioè il legame con il territorio, che per me favorisce la tendenza da parte dell'eletto ad assumere atteggiamenti di difesa del suo territorio che gli fa perdere una visuale globale delle tematiche.

D'accordo sull'idea delle primarie come fattore che, lasciando scegliere ai cittadini non solo il parlamentare, ma anche i candidati di ciascun partito, alimenta notevolmente il tasso di rappresentatività, dunque di democrazia, nell'elezione del parlamento. Ma c'è una condizione fondamentale. La libertà del voto coincide con il principio di segretezza. Ora, le primarie intese in un certo modo rischiano di compromettere tale fondamentale principio. Perchè se i luoghi indicati per le primarie sono luoghi pubblici come seggi, gazebo, sedi di partito, chi va a votare, si mette in coda, inevitabilmente si espone allo sguardo di tutti, osservando le persone che si recano a votare per le primarie indette da un partito si può facilmente dedurre la simpatia di tali persone per quel partito. E questo può creare problemi, specie nei contesti sociali delle piccole città. Intese in questo modo le primarie annullano la segretezza del voto rendendo questo quasi, scorrettamente, una testimonianza da comunicare ai quattro venti. Il voto alle primarie dovrebbe essere rigorosamente anonimo e nascosto, penso a votazioni elettroniche on-line, magari nei siti web dei partiti che le indicono.

Il sistema delle preferenze non mi piace. Un conto è la possibilità di scegliere un candidato che rappresenta un programma politico, una lista o coalizioni di liste nel suo complesso, un 'altra è, all'interno di un singolo programma politico, esprimere un preferenza che riguarderebbe solo e unicamente l'individuo, a prescindere dal programma (dato che la lista dei candidati da cui scegliere a chi dare la preferenza condivide lo stesso programma). E allora tale sistema tende a favorire uomini che hanno una visibilità, potere e un'influenza sociale non sempre acquisiti per meriti e virtà, ma solo attraverso demagogia se non peggio, a scapito di persone meno socialmente note, ma magari più serie e meritevoli. Non a caso le preferenze sono, specie nel sud Italia, sono associate a fenomeni di clientelismo, corruzione se non di potere malavitoso. Inoltre, il sistema delle preferenze finisce con il promuovere troppa conflittualità politica all'interno dei partiti, con ciascun candidato che nella corsa ad ottenere preferenze vedrà come rivali non solo i candidati delle altre liste, ma anche e soprattutto quelli iscritti nella sua stessa lista. Tutto ciò provoca confusione, favorisce lotte intestine all'interno del singolo partito, che in questo modo potrebbe trovare difficoltà nel raggiungere un'unità programmatica e un'identità chiara e ben definita. In terzo luogo, essendo l'espressione delle preferenze per l'elettore mai obbligatoria ma facoltativa, nella maggior parte dei casi, queste non faranno la differenza, ma ad imporsi resterà l'ordine di lista stabilito dai partiti, restando così il tutto all'interno dei difetti e limiti del proporzionale (mentre nel caso dei collegi uninominali l'elettore è costretto a scegliere uno invece che un altro)

Vero che spesso e volentieri il sistema dei collegi territoriali è interpretato abilmente dai partiti facendo candidare le persone che il partito ritiene più importanti da eleggere in collegi tradizionalmente sicuri, storiche roccaforti elettorali di quel partito, sovrastando il principio della coerenza tra candidato e territorio, come nel caso di un partito di sinistra che candida in regioni rosse e facili da vincere come Emilia e Toscana persone che con quei luoghi non ha mai avuto nulla a che fare nella vita, ma che per forza devono entrare in parlamento. Tuttavia penso che tale problema possa essere risolto introducendo dei vincoli che in qualche modo leghino il candidato al territorio del collegio ( non so... la residenza, l'aver fatto le scuole in quella zona, un periodo minimo di lavoro, il semplice luogo di nascita...). Molto importante e condivisibile la tua critica al fatto che proprio il vincolo al territorio possa distogliere il parlamentare eletto da una visione globale della situazione nazionale, legando troppo i suoi interessi alla singola zona di elezione (specie per me che ho sempre un pò la fissa del primato della visione globale rispetto al dettaglio estraniato dal contesto, in tutti i vari argomenti). Ma sarebbe da considerare che i parlamentari non hanno la stesso margine di responsabilità e autonomia che può aver un sindaco, che si coccupa solo della città in cui è stato eletto, ma devono rispondere al loro partito che li ha candidati. E ogni partito ha una linea politica unitaria (almeno in teoria dovrebbe essere così...) decisa da organismi nazionali. In questo modo gli interessi localistici espressi dai singoli parlamentari sarebbero pur sempre armonizzati e contestualizzati in un progetto politico unitario globale e complessivo deciso dalla struttura nazionale del loro partito. Questa globalità è fondamentale, sono il primo a pensarlo, ma ha bisogno anche di essere applicata nelle varie situazioni locali, e ciò richiede la presenza di persone che hanno una conoscenza diretta dei territori, le loro problematiche, le loro risorse. Mi pare un equilibrio accettabile...

Caro Davintro, ma perché vedi così in negativo il fatto che degli individui diano una testimonianza pubblica di una loro espressione democratica. La politica è fatta di persone in carne ed ossa, non di pezzi di carta, e il nostro paese con i giochetti sulle tessere di partito ha vissuto tante amarezze, per me le primarie dovrebbero essere obbligatorie per tutti i partiti che vogliono presentare liste di candidati per qualsiasi carica pubblica.

anthonyi

Citazione di: Eutidemo il 24 Ottobre 2016, 06:55:11 AM
Caro Anthony, temo di non essermi spiegato bene; io non intendevo affatto attribuire lo stesso significato al concetto di "autorità" istituzionale e a quello di  "autoritarismo".
Intendevo dire che (quantomeno in teoria, leggi elettorali permettendo), noi diamo il nostro voto a soggetti che, senza rivestire ancora alcun ruolo istituzionale, ci convincono per l'"autorevolezza" della loro persona e delle loro opinioni.
Ma, ovviamente, l''"autorevolezza" è un concetto opinabile, per cui nessun soggetto meramente "autorevole" può avere l'"autorità" di emanare leggi...ci mancherebbe!
Per ottenere quest'ultima, occorre che abbia i voti sufficienti per entrare in Parlamento; e, solo una volta ottenuti questi, avrà '"autorità" per poter emanare leggi.
Per fare le leggi non basta l"autorevolezza", ma è necessaria l'"autorità" conferita dalla legge (elettorale), a chi ha avuto l"autorevolezza" per ottenere i voti sufficienti a legiferare, e a formare un governo.
Non ho affatto detto che: "... dopo il voto la posizione dell'eletto è intrinsecamente autoritaria...", ho solo rilevato una evidenza giuridica valida in tutti i Paesi dove vige una "democrazia rappresentativa": e, cioè, che solo dopo il voto la posizione dell'eletto gli conferisce l'"autorità" giuridica necessaria per legiferare.
Mai prima...ovviamente (per fortuna)!
La mia più che una "argomentazione", era mera "osservazione" di quanto avviene in TUTTI i Paesi Democratici (nessuno escluso); non è vero che vale solo nel caso di un sistema con poteri fortemente accentrati.
Per cui, evidentemente, tu hai equivocato quanto ho scritto, in quanto:
- il concetto di "autorità" è del tutto "asettico", inteso, come io lo intendo, sotto il profilo istituzionale,
- mentre l'"autoritarismo" è soltanto una concenzione politica (deteriore) circa il modo di esercitare l'"autorità".
Si tratta solo di una questione semantica!
:)


Caro Eutidemo, direi che la nostra incomprensione nasce dal contesto nel quale si interpretano le parole, in un contesto istituzione autorità vuol dire legalità, i prefetti sono autorità che agiscono per realizzare la legalità. La parola autorità si può però interpretare anche nel contesto politico, nel quale essa sottolinea l'imposizione (e quindi l'accentramento di potere) della parola o delle scelte dell'uno rispetto alle scelte di qualcun altro, ed è in tale contesto che nasce la contrapposizione con l'autorevolezza, perché se la parola o le scelte dell'uno sono rappresentative, per scelta di coloro che sono rappresentati, di un numero più grande rispetto a quello che l'altro rappresenta, allora il predominio delle prime è effetto di autorevolezza, mentre il predominio delle seconde è effetto di autoritarismo.
Saluti

anthonyi

Citazione di: paul11 il 24 Ottobre 2016, 01:02:05 AM
Non sono contro il comunismo socialismo o dottrine confessionali come lo ha rappresentato la DC,.
Il problema serio in Italia è che si sono conosciute solo dottrine fortemente ideologiche, dal fascismo al comunismo alle dottrine confessionali, non siamo mai passati per le dottrine laiche che hanno referenti in Kant soprattutto.
Il nostro Paese conosce poco a livello di popolo il diritto, quindi non difende le posizioni emancipative conquistate ,tende tipicamente come strumentalizzazione ideologica, ma proprio perchè quelle ideologie negano la cultura del diritto laico, ad essere sudditi che supinamente subiscono o rivoltosi.La via di mezzo di una coscienza civile laica non l'abbiamo conosciuta come negli anglo sassoni, non esiste l'indignazione, ma appunto l'accettazione o la rivoluzione.

Renzi rappresenta non la discontinuità, ma la continuità populista, demagogica con una punta di arrogante autoritarismo(vedasi come ha fatto fuori internamente le opposizioni), la continuità supina verso i poteri forti (banche,UE,FMI,pluripotenziati economici). Usa il popolo come hanno da sempre fatto in Italia le èlite da quattro soldi, i radical chic, gli snob. A nessuno oa troppo pochi  ha mai interessato far crescere il popolo civilmente e rendere trasparente le proprie decisioni. Un personaggio che di formazione nasce di sinistra e compie il job act,
non è di sinistra è di destra e nemmeno sociale ,ma padronale e antidemocratica.
Guardiamo ai contenuti e ai metodi utilizzati e non ai proclami demagogisti.

Il nostro sistema Politico che è rappresentanza nel Parlamento è troppo legato al partitismo.
Penso lo abbiano capito anche i sassi che sono le segreterie di partito che decidono la politica italiana compresi gli "inciuci". Allora se un partito decide le liste elettorali e decide chi mettere nelle commissioni, decide come il proprio partito voterà, significa che l'esercito dei peones nel Parlamento non serve a nulla perchè dovranno fare ciò che la segreteria ha deciso. O prendiamo atto e diciamo che il Parlamento è rappresentato solo da una ventina di persone in Italia e gli altri non servono a nulla, oppure si costruisce una forma diversa di rappresentanza.
Chi conta oggi?Renzi, Berlusconi, Salvini e Grillo e pochissimi altri.Gli altri non servono a nulla se non come raccoglitori di voti per sè e per il partito.
Le organizzazioni si dividono in formali, informali, percepite e reali. Fra la formalità delle istituzioni costituzionali e e il Paese reale, c'è un abisso in cui i ruoli intermedi negano le spinte delle realtà, coagulano le richieste dei poteri forti mediandoli legislativamente: questa non è più democrazia.E' solo dalla conoscenza del Paese reale che si possono costituire le forme elettorali della rappresentanza e bisogna pensarlo innovativamente, anche senza passare per i partiti politici, utilizzando le nuove forme informatiche per coagulare la democrazia diretta e quella rappresentativa.

Caro paul11, hai ragione a dire che il sistema culturale italiano non ha conosciuto il laicismo, maglio ancora non si fonda su una visione liberale moderna. Non so se a differenza rispetto a quello che dici, però, io non vedo le logiche di cooptazione partitica come intrinsecamente espressive di questo ritardo culturale. La politica è azione di gruppo e come tale si fonda su azioni che devono essere coordinate tra tante persone. Per tale ragione per me è perfettamente normale che di 945 deputati, in realtà sono pochi quelli che contano e che coordinano tutti gli altri. L'elemento fondamentale della cultura liberale è invece il principio di responsabilità politica, l'idea cioè che le scelte politiche siano attribuibili a specifici individui o gruppi che se ne assumono la responsabilità essendo premiati se le scelte si rivelano buone, o puniti altrimenti.
La logica dell'inciucio, ma anche quella delle alleanze trasversali, delle logge massoniche e delle mafie che coordinano segretamente politici e funzionari anche riferentesi a parti politiche contrapposte, distruggono la responsabilità creando quel clima da "Tanto sono tutti uguali" del quale noi italiani siamo vittime.
Saluti

davintro

Rispondo ad Anthonyi

Credo ci sia un equivoco, forse mi sono spiegato male. Non volevo in alcun modo criticare dal punto di vista etico le persone che decidono di esprimere in modo pubblico il loro voto. Io poi personalmente sono uno che non si fà molti problemi a parlare delle mie idee politiche o anche a manifestare il mio voto con familiari, amici, conoscenti. Non c'è nulla di sbagliato o illecito in ciò. Solo che occorre tutelare la libertà, non solo di chi intende manifestare le proprie idee o il proprio voto, ma anche la volontà di persone, magari più riservate di me da questo punto di vista, di tenersi per sè tutto ciò, anche questo pienamente legittimo. La segretezza non è un obbligo, ma comunque un diritto. Questo in linea di principio. Più in particolare, pensando a situazioni in cui rendendo manifeste le proprie simpatie, facendosi vedere mentre si va a votare alle primarie di un partito X, questa persona potrebbe, specie nel contesto di piccole città dove tutti sanno tutto di tutti, avere problemi con i propri superiori nei luoghi di lavoro, con i colleghi, nelle scuole negli uffici, in famiglia, in generale con persone che hanno idee opposte al partito per cui egli ha votato alle primarie e magari hanno forti pregiudizi ed ostilità verso chi simpatizza per quel partito. Questi sono scenari sempre possibili e che non vanno sottovalutati. Ecco perchè la segretezza è basilare in ogni democrazia, e le primarie non possono essere un eccezione che contravviene a questo fondamento, specie nel caso di renderle, come vorresti tu, renderle obbligatorie per ogni partito, cioè istituzionalizzarle. Le primarie svolte in luoghi pubblici precludono il diritto di partecipare alle persone che preferiscono restare anonime, o comunicare il suo sostegno al partito solo a chi vuole comunicarlo, e non chiunque passi di là in strada o in piazza e osserva chi sta in fila. Le primarie come ogni elezione rispetti il principio di segretezza. Poi ovviamente ciascuno è libero di comunicare di aver partecipato se vuole, e a chi vuole, rispettando la libertà di scelta di tutti da questo punto di vista

anthonyi

Citazione di: davintro il 25 Ottobre 2016, 22:38:10 PM
Rispondo ad Anthonyi

Credo ci sia un equivoco, forse mi sono spiegato male. Non volevo in alcun modo criticare dal punto di vista etico le persone che decidono di esprimere in modo pubblico il loro voto. Io poi personalmente sono uno che non si fà molti problemi a parlare delle mie idee politiche o anche a manifestare il mio voto con familiari, amici, conoscenti. Non c'è nulla di sbagliato o illecito in ciò. Solo che occorre tutelare la libertà, non solo di chi intende manifestare le proprie idee o il proprio voto, ma anche la volontà di persone, magari più riservate di me da questo punto di vista, di tenersi per sè tutto ciò, anche questo pienamente legittimo. La segretezza non è un obbligo, ma comunque un diritto. Questo in linea di principio. Più in particolare, pensando a situazioni in cui rendendo manifeste le proprie simpatie, facendosi vedere mentre si va a votare alle primarie di un partito X, questa persona potrebbe, specie nel contesto di piccole città dove tutti sanno tutto di tutti, avere problemi con i propri superiori nei luoghi di lavoro, con i colleghi, nelle scuole negli uffici, in famiglia, in generale con persone che hanno idee opposte al partito per cui egli ha votato alle primarie e magari hanno forti pregiudizi ed ostilità verso chi simpatizza per quel partito. Questi sono scenari sempre possibili e che non vanno sottovalutati. Ecco perchè la segretezza è basilare in ogni democrazia, e le primarie non possono essere un eccezione che contravviene a questo fondamento, specie nel caso di renderle, come vorresti tu, renderle obbligatorie per ogni partito, cioè istituzionalizzarle. Le primarie svolte in luoghi pubblici precludono il diritto di partecipare alle persone che preferiscono restare anonime, o comunicare il suo sostegno al partito solo a chi vuole comunicarlo, e non chiunque passi di là in strada o in piazza e osserva chi sta in fila. Le primarie come ogni elezione rispetti il principio di segretezza. Poi ovviamente ciascuno è libero di comunicare di aver partecipato se vuole, e a chi vuole, rispettando la libertà di scelta di tutti da questo punto di vista

Non ho mai pensato che tu volessi criticare chi va a votare alle primarie, quello che però volevo sottolineare è che la pubblicità dell'azione politica è un valore sociale, la democrazia è rafforzata da tutto ciò che è trasparente (La parola chiave della rivoluzione di Gorbaciov, per me il più grande politico di tutto il ventesimo secolo, era Glasnost, trasparenza). Certo individualmente, come mi fai notare, è meglio non mettersi contro nessuno, si tratta di una situazione con la quale, nei paesi controllati dalle varie mafie di questo paese, abbiamo purtroppo spesso a che fare.

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