Perchè non posso più dirmi "di sinistra".

Aperto da 0xdeadbeef, 01 Marzo 2018, 20:16:29 PM

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paul11

risposta ad Mauro, Green, Inverno ,ecc
mi pare chiaro che "il mondo" era più facilmente" classificabile qualche decennio fa e mi pare di avere anche scritto che la giusta tesi dell a"fenomenologia del debole" evidenziata da Phil, come risultato sociale del modo contemporaneo di produrre, delle tipologie di lavoro, delle frammentazioni dei luoghi di produzione ,delle  delocalizzazioni, ecc. abbia contribuito a "mescolare le carte".

Oggi si è precari" a  vita, è passato il "lavoro sicuro per una vita",anche se  è ancora in atto la differenza giuridica e contrattuale fra lavoratore in aziende private e chi lavora in enti pubblici .

L'economia mi insegna che il lavoro dà stipendi salari e profitti e il territorio con i suoi servizi è il luogo centrale in cui vengono spesi quei soldi guadagnati.
Fare analisi senza tenere conto il circuito della tracciabilità dal luogo della produzione del reddito al luogo della distribuzione(inteso dove e come vengono spesi  i denari guadagnati) del reddito e del relativo risparmio,significa perdere di vista la realtà e non sapere più dov'è il bandolo della matassa.

I partiti  oggi hanno saltato a piedi uniti questo processo, si presentano come public relation o product manager del marketing e fanno "commercio" politico, vendono il loro prodotto.E' in questo che si assomigliano tutti.

Quando passa una legge Fornero sulle pensioni senza 1 minuto di sciopero generale, significa che ormai il sindacato ha preso determinate strade, e l'arco parlamentare fa passare tutti i trattati a maggioranza o al limite con qualche astensione, vuol dire che quello che accade in parlamento e nei corridoi delle"camere caritatis" non è quello che i pusher della politica ci raccontano.

Quando Amato, Dini, D'Alema, Renzi, sono fra  coloro che hanno toccato le riforme delle pensioni e le riforme sul lavoro compresa la privatizzazione delle scuole , mi porta a pensare qualcosa che lascio a voi immaginare.
Non lo ha fatto la destra, non lo ha fatto Berlusconi, perchè avrebbero mobilitato  i sindacati con gli scioperi generali.

Quando dico l'importanza del  pensiero sociale, intendo la capacità di costruire la rete di aggregazione già nei territori
e questo era praticato dalla fabbrica alla parrocchia.
E' chiaro che ora nel mondo del "ognuno per sè e chi volete voi, per tutti",cadono i fondamentali momenti di aggregazione e di identità,di solidarietà che quanto meno erano barriere difensive se non offensive.


probabilmente va ripensato tutto, ma di certo quella di oggi non  è sinistra e oggi non si fa politica, si fa visual, immagine, doxa,
Non c'è la forza di un pensiero ,di un percorso.Oggi strategicamente un politico dice una cosa, perchè studi di opinionisti e relative statistiche dicono che per arrivare ad un dato "target" bisogna fare pubblicità (oppps!) in un dato modo.

Questa è antipolitca è decostruzione politica.

InVerno

Un conto è dire che la base è liquida e si muove per interesse personale, cosa su cui sono d'accordo, un conto è negare l'esistenza di una base e di un contatto con la società e prevedere un collasso sulla base di una causa non esistente. Come avevo già scritto, ciò che liquidità sociale impone è una rivoluzione della forma partito e delle forme di rappresentanza, che è cosa abbastanza ovvia e il ritardo della classe dirigente nel capirlo genera astensionismo. Sono d'accordo comunque che ciò che serva è una rivoluzione culturale, non politica o economica (o non solo), e a questo proposito penso che a) i giornalisti, gli intellettuali, etc siano corresponsabili della politica ,è troppo comodo far parte della società civile, "gli ignari", a giorni alterni e b) che per questioni meramente pragmatiche e ovvie (non è questione di simpatie\antipatie) questa spinta culturale non possa venire dalla "generazione dirigente" e che un ricambio generazionale sia l'unica speranza (ma tutt'altro che un assicurazione sui risultati). Riguardo alle politiche di sinistra...Oggi leggo che Benetton con le tariffe in regime di monopolio si è comprato le autostrade spagnole, strano, avrei pensato che i 6miliardi di ricavi andassero in miglior efficienza di un infrastruttura strategica, molti economisti a favore delle privatizzazioni lo ripetono, questi predicatori di miracoli sono il punto c). Tutto questo non tenendo conto (per semplificare) delle drammatiche condizioni ecologiche ed energetiche  (e migratorie) che si prospettano e che dovrebbero dare l'idea di un "tetto" che nessuno si vuole l'onere di pensare, in ambito sistemico non protezionistico.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

green demetr

cit 0xdeadbeef
"Ma poi in cosa consistono questa "struttura" e questa "sovrastruttura"? Non sono forse esse, in un certo qual
modo, retaggio di una filosofia hegeliana che fa del riduzionismo forse la principale delle sue caratteristiche?"

Ma assolutamente no! In Hegel è forte l'idea dello Spirito, della Storia e di infinite altre cose...
La scienza è riduzionista, Hayek è riduzionista.
Un pò di contegno insomma!


cit 0xdeadbeef
"il debole va sempre
difeso dalla possibile prepotenza del forte. 
Questo dovrebbe valere sia in prospettiva futura, sia nell'immediato."

Considerazione piuttosto debole amico mio. Puoi fare di meglio.

E chi difende il più debole sarebbe la domanda? Ogni forte fa prepotenza.
Sarebbe la questione tirata in ballo dell'amico/nemico di schmitt, dove ogni amicizia vuole un nemico.
La pietra di paragone di ogni politica contemporanea.
Più che la soluzione è il problema!


:(   :(   :(


Per quanto riguarda la mia proposta comunitaria: si tratta di porre in accento la questione filosofica in capo agli intellettuali.
E di verificarla anzitutto nel lavoro quotidiano, a contatto con i compagni di lavoro.
Un lavoro sulle persone e non sulle cose.
Questo per far entrare di prepotenza la psicanalisi nelle analisi marxiste.

Non vedo altre vie. Puoi benissimo ascoltare il filosofo e polemista Zizek, per una introduzione chiara all'incredibile mole di lavoro a cui dover metter mano.
Dal tema dell'immigrazione, a quello della psichiatria, a quello della fine delle ideologie.
Il terreno è minato da un saccentismo perbenista, assolutamente idiota, e fallimentare, che spazia dall'america fino alla corea del sud.
Come a dire che siamo ancora dentro alle ideologie del 900, e che qualsiasi lavoro sui rapporti sovrastrutturali è viziato dalle sue premesse chiaramente "fuori dalla realtà" come molto bene Grillo ha intercettato e fatto slogan.

Ne dico ancora qualcosa rispondendo a Paul al prossimo post.

Ciao!
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

cit Paul
"probabilmente va ripensato tutto, ma di certo quella di oggi non  è sinistra e oggi non si fa politica, si fa visual, immagine, doxa,
Non c'è la forza di un pensiero ,di un percorso.Oggi strategicamente un politico dice una cosa, perchè studi di opinionisti e relative statistiche dicono che per arrivare ad un dato "target" bisogna fare pubblicità (oppps!) in un dato modo.

Questa è antipolitca è decostruzione politica."

E' quello che sostengo anch'io.

Il passaggio successivo è capire che fine ha fatto la politica, per questo al contrario di Maral, che crede più al fare ora, fare adesso, alla Fusaro, è necessario più che mai soffermarsi sul passato e capirne i fantasmi che si trascinano come miraggi, ma siamo nel deserto! Chiosa un Zizek.

Certo egli stesso con l'avvento di Trump e la marea di critiche che gli sono piovute addosso, ha dovuto ammettere che forse lo scotto da pagare per il cambiamento rischia di essere troppo oneroso.

L'inizio della politica pubblicitaria colta nel libro fondamentale "la società dello spettacolo", è giunta al rimbambimento della gente.
La solidarietà della gente era falsa, i centri di quartiere si sono sfaldati, posso solo ricordare di come quando le cellule comuniste andavano in giro a menarci durante i volantinaggi.
E di come tutto la passione fosse quella di menarsi, fascisti contro comunisti, e chi c'era di mezzo (io) veniva preso a botte lo stesso.
Per non parlare dei cortei da 5 persone e 20 carabinieri di scorta.

Era tutto falso, dai carteggi di mio nonno, in avanti, fino ai tradimenti dei sindacati, li ho vissuti tutti in prima persona.

Solidarietà era ed è solo una parola.

Bisogna avere il coraggio di andare nel merito: Perchè la gente deve essere solidale?
E' questo l'unico dato su cui riflettere.

Vi porto avanti io, è inutile prendere mazzate per un altro ventennio. Non ha motivo di essere solidale: terribile, semplice, piano.

Se lo si fa per una morale, come molti fanno, è una morale depensata, si finisce per non ricordare più perchè lo si sta facendo.

Il risultato si chiama corsa alla poltrona, defezioni, dispetti infantili.

Quando la morale non è più vissuta diventa una catena, su cui si spezzano i rapporti umani,

Lo aveva già chiaro il mio ANALFABETA bisnonno socialista prima delle guerra. (evidentemente prima ci si guardava negli occhi)

Si finiva allora per prediligere, per spostare l'attenzione sui diritti, e non più sui rapporti.

Fermo restando che sui diritti, a scapito di diverse vite, la mia famiglia è piena di martiri con stele annessa, io non rinuncerò mai a parlarne.

I diritti oggi sono stati spazzati via, perchè nel frattempo la società è colassata.

Credere che i rapporti siano strutturati dall'economia, è questo il grande sbaglio, errore ciclopico di tutto il socialismo prima e del comunismo poi.

I rapporti sono creati solo quando qualcosa è in comune.

L'evoluzione dei caratteri intellettuali dovuta alle forme democratiche, ci ha fatto sempre più capire, che prima della classe esistono i soggetti.

E che i soggetti non sono un pezzo unico di un ingranaggio universale.

I soggetti sono spezzati, come la letteratura la pittura la filosofia la musica ha intercettato e ribadito per tutto il novecento.

IL compito più alto dell'intellettualità è dunque quello di ricomprendere come il rapporto tra quegli esseri spezzati che noi siamo, da quegli essere perennemente "rimandanti" che siamo, ci consenta di trovare un senso comune.

Il senso signori!

Un senso che non sia ideologico, ma il frutto maturo delle analisi delle nostre paure e di quelle altrui, di come la solidarietà sia più una funzione del nostro stesso essere, che non una funzione di una analisi economica o politica che sia.

Capire che la feticizzazione è intrinseca al nostro agire, e proprio per questo ogni legge che viene emanata diventa un escremento, una traccia, che sempre più ci zavorra per l'avvenire.

Negli scritti anarchici, che provengono da un socialismo illuminato, vi erano tutte queste istanze di progresso.

Ma non vi è progresso senza analisi, e l'unica analisi è quella intellettuale: non vi è scampo (a mio parere).

Lenin o Mao l'avevano capito. L'egemonia intellettuale, è la base SINE QUA NON , vi sia una reale socialdemocrazia.

L'analisi è psicanalitica, non è sovrastrutturale.

Buon lavoro a tutti.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

0xdeadbeef

A InVerno e Paul11
Mah, c'è poco da aggiungere alle vostre intelligenti considerazioni...
Devo dire di essere...un tantino più in accordo con il pessimismo di Paul, laddove afferma che ormai i partiti non hanno
più una base sociale e, in sostanza, vendono solo un prodotto commerciale.
Tanto per voler per forza aggiungere qualcosa (ma cos'altro, ormai?) e riportare il discorso ai "fondamenti", io direi
che tutto questo è l'effetto dell'emergere dell'individuo.
Dunque aveva ragione Von Hayek quando affermava che le entità collettive (stati, partiti, sindacati etc) non esistono se
non negli individui che le pensano?
Beh, si, non esistono in quanto, effettivamente, gli individui non le pensano (più).
E perchè non le pensano più? A parer mio perchè gli individui non pensano l'"altro": non lo pensano come "altro-da-sè"
e non lo pensano quindi come in "relazione-a-sé".
In altre parole, l'individuo-"monade" non riconosce altro che se stesso (questo, tra l'altro, politicamente, si traduce
nel non riconoscere l'interesse dell'altro come il proprio interesse).
Qui, in questo preciso "punto", perdono di senso i sindacati, i partiti, gli stati e ogni altra entità collettiva.
Non meravigli che in un simile quadro l'individuo, e quindi il mercato e il "contratto", assumano un significato di
relazione "assoluta".
Se l'economia è lo studio dei mezzi più efficaci per raggiungere un dato fine e il contratto è il mezzo più efficace,
cioè economico, per dirimere le controversie fra gli individui, allora ciò vuol dire che l'individuo è allo stesso
tempo mezzo e fine (visto che il fine, nella mancanza di una visione collettiva, è comunque riducibile all'interesse
individuale).
Tutto ciò risponde ad una logica che già Max Weber aveva individuato (la celebre "gabbia d'acciaio", cioè il fare i
soldi per fare altri soldi), e che consiste nell'indistinzione contemporanea di mezzo e scopo (in Severino, più
"ontologicamente", la volontà di potenza serve ad accrescere essa stessa indefinitamente).
Da questo punto di vista è inutile parlare di "base sociale" o entità similari cui i partiti dovrebbero appoggiarsi.
Non solo queste non esistono (in quanto gli individui non le pensano); ma non esistono gli stessi partiti (in quanto
non più pensati come veicolo di interessi e valori collettivi).
O meglio, esistono ma nella maniera descritta da Paul11: "public relation; product manager; marketers" (in quanto
pensati come tali).
Che fare allora? Per me occorre appunto recuperare quel poco del "pensare collettivo" rimasto nella cosiddetta "cultura".
Poco mi importa se qualcuno giudica questa base "di destra": non c'è alcuna alternativa allo strapotere dell'individuo e
di ciò che ne è intimamente correlato (il contratto; il mercato).

A Green Demetr
Non è certo parto della mia mente che Marx "ribalti" Hegel mantenendone inalterate tutte le basi filosofiche.
Da una parte (quella di Hegel) la sovrastruttura, lo "spirito", la storia etc; dall'altra (quella di Marx) la
struttura, la materia etc: sempre e solo di, come dire, "circolazione a senso unico" si tratta.
E, per me, questo si chiama riduzionismo (e va senz'altro superato).
Non solo, ma ritengo l'hegelismo (assieme a certe filosofie anglosassoni) "malattia mortale dell'occidente";
vero e proprio impedimento a qualsiasi nuova prospettiva; vero autentico motivo per cui ci si è ridotti alle
condizioni in cui siamo (includendovi, beninteso, le tragedie del 900).
Mi spiace dirlo per l'ammirazione che ho verso l'economista, ma il "politico" Karl Marx di hegelismo fu letteralmente
impregnato.
Infine, ritengo non estranee all'hegelismo certe nefaste degerazioni del pensiero anglosassone, come quelle presenti
nel pensiero dei "marginalisti", che sono alla radice dell'attuale situazione politica, sociale ed economica.
Naturalmente, non estraneo all'hegelismo fu anche il nazista Carl Schmitt (quantunque la sua alta statura di giurista
fu, per certi versi, innegabile).
La mia considerazione sul debole che va difeso dal forte è, ovviamente, debolissima (...); ma è per ricordare che
la "sinistra" si deve giudicare dall'azione concreta, non dal colore di una bandierina sventolata.
saluti

paul11

Citazione di: green demetr il 16 Marzo 2018, 22:13:18 PM
cit Paul
"probabilmente va ripensato tutto, ma di certo quella di oggi non  è sinistra e oggi non si fa politica, si fa visual, immagine, doxa,
Non c'è la forza di un pensiero ,di un percorso.Oggi strategicamente un politico dice una cosa, perchè studi di opinionisti e relative statistiche dicono che per arrivare ad un dato "target" bisogna fare pubblicità (oppps!) in un dato modo.

Questa è antipolitca è decostruzione politica."

E' quello che sostengo anch'io.

Il passaggio successivo è capire che fine ha fatto la politica, per questo al contrario di Maral, che crede più al fare ora, fare adesso, alla Fusaro, è necessario più che mai soffermarsi sul passato e capirne i fantasmi che si trascinano come miraggi, ma siamo nel deserto! Chiosa un Zizek.

Certo egli stesso con l'avvento di Trump e la marea di critiche che gli sono piovute addosso, ha dovuto ammettere che forse lo scotto da pagare per il cambiamento rischia di essere troppo oneroso.

L'inizio della politica pubblicitaria colta nel libro fondamentale "la società dello spettacolo", è giunta al rimbambimento della gente.
La solidarietà della gente era falsa, i centri di quartiere si sono sfaldati, posso solo ricordare di come quando le cellule comuniste andavano in giro a menarci durante i volantinaggi.
E di come tutto la passione fosse quella di menarsi, fascisti contro comunisti, e chi c'era di mezzo (io) veniva preso a botte lo stesso.
Per non parlare dei cortei da 5 persone e 20 carabinieri di scorta.

Era tutto falso, dai carteggi di mio nonno, in avanti, fino ai tradimenti dei sindacati, li ho vissuti tutti in prima persona.

Solidarietà era ed è solo una parola.

Bisogna avere il coraggio di andare nel merito: Perchè la gente deve essere solidale?
E' questo l'unico dato su cui riflettere.

Vi porto avanti io, è inutile prendere mazzate per un altro ventennio. Non ha motivo di essere solidale: terribile, semplice, piano.

Se lo si fa per una morale, come molti fanno, è una morale depensata, si finisce per non ricordare più perchè lo si sta facendo.

Il risultato si chiama corsa alla poltrona, defezioni, dispetti infantili.

Quando la morale non è più vissuta diventa una catena, su cui si spezzano i rapporti umani,

Lo aveva già chiaro il mio ANALFABETA bisnonno socialista prima delle guerra. (evidentemente prima ci si guardava negli occhi)

Si finiva allora per prediligere, per spostare l'attenzione sui diritti, e non più sui rapporti.

Fermo restando che sui diritti, a scapito di diverse vite, la mia famiglia è piena di martiri con stele annessa, io non rinuncerò mai a parlarne.

I diritti oggi sono stati spazzati via, perchè nel frattempo la società è colassata.

Credere che i rapporti siano strutturati dall'economia, è questo il grande sbaglio, errore ciclopico di tutto il socialismo prima e del comunismo poi.

I rapporti sono creati solo quando qualcosa è in comune.

L'evoluzione dei caratteri intellettuali dovuta alle forme democratiche, ci ha fatto sempre più capire, che prima della classe esistono i soggetti.

E che i soggetti non sono un pezzo unico di un ingranaggio universale.

I soggetti sono spezzati, come la letteratura la pittura la filosofia la musica ha intercettato e ribadito per tutto il novecento.

IL compito più alto dell'intellettualità è dunque quello di ricomprendere come il rapporto tra quegli esseri spezzati che noi siamo, da quegli essere perennemente "rimandanti" che siamo, ci consenta di trovare un senso comune.

Il senso signori!

Un senso che non sia ideologico, ma il frutto maturo delle analisi delle nostre paure e di quelle altrui, di come la solidarietà sia più una funzione del nostro stesso essere, che non una funzione di una analisi economica o politica che sia.

Capire che la feticizzazione è intrinseca al nostro agire, e proprio per questo ogni legge che viene emanata diventa un escremento, una traccia, che sempre più ci zavorra per l'avvenire.

Negli scritti anarchici, che provengono da un socialismo illuminato, vi erano tutte queste istanze di progresso.

Ma non vi è progresso senza analisi, e l'unica analisi è quella intellettuale: non vi è scampo (a mio parere).

Lenin o Mao l'avevano capito. L'egemonia intellettuale, è la base SINE QUA NON , vi sia una reale socialdemocrazia.

L'analisi è psicanalitica, non è sovrastrutturale.

Buon lavoro a tutti.
ciao green,
entriamo in un argomento che è profondo come la notte se interpreto bene il tuo discorso.
Se già l'economia è sovrastruttura e la politica altra ancora stratificazione culturale,
e seguendo la tua traccia il problema è psicanalitico, allora i problemi sono la paura e i simboli feticisti che 
costruiscono i dispositivi culturali.
Ne desumo che il problema è come ,di nuovo, si interpreta la natura umana.

Se lo straricco non si accontenta di ciò che ha e per feticismo continua ad accumulare denaro, la morale direbbe che è iniquo 
il suo agire e la sua mente è preda di una paura compulsiva che in realtà non riesca mai a quietare la sua sete di denaro.
Siamo tutti schiavi delle nostre paure e costruiamo forme intelligenti, dei dispositivi culturali per cercarla di bloccarla.
Allora la potenza e il dominio diventano tentativi di sublimazione,ai riti antichi sostituiamo abitudini moderne, nuove consuetudini sociali sostituiscono le vecchie e ci illudiamo che la conoscenza possa appunto costruire forme che quanto meno leniscano le paure. I cani abbaiono ascoltando il tuono, le rondini volano basse ,sentono l'elettricità dell'aria di un temporale in avvicinamento.
Forse abbiamo oltre che paure ancestrali,simili a quelle istintive animali,costruito per nostra caratteristica intellettiva delle costruzioni,ma non siamo mai riuscite a vincere, le trasformiamo storicamente.
La solidarietà allora diventa una esigenza di fare gruppo, di vincere la paura comune.

Ma detto questo Green, e probabilmente è parecchio importante andare  a fondo della tematica, perchè le forme economiche e politiche e l'aspetto morale del tipo è giusto il merito e non l'egualitarismo, è giusta la tirannia e non la democrazia,(sono esempi,,,al contrario) sarebbero effetti sociali, in cui il discrimine è comunque chi conquista il dominio e detta le regole,cioè chi culturalmente e come determina un modo di pensare.
Intendo dire che il debole una volta avuta la rivincita sul forte, se fosse solo la condizione economica  a spingerlo alla rivalsa, una volta divenuto adesso forte continuerebbe le stesse contraddizioni del suo nemico,

Penso, che oltre alla paura ancestrale umana che la conoscenza non riesce a vincere seppur costruisce dei dispositivi culturali dei surrogati di antichi riti,abbiamo un'etica.C'è chi riesce a spingersi non oltre un confine, c'è chi proprio non gli riesce.
Il senso del limite è etico se sociale e morale individuale e aggiungerei, appartiene ad un altro aspetto della natura umana, la coscienza.
Mi fermerei quì perchè il discorso è spinoso e arduo e sentirei, per chi ne ha voglia, altri pareri.

0xdeadbeef

#81
Citazione di: paul11 il 18 Marzo 2018, 01:48:08 AM

Intendo dire che il debole una volta avuta la rivincita sul forte, se fosse solo la condizione economica  a spingerlo alla rivalsa, una volta divenuto adesso forte continuerebbe le stesse contraddizioni del suo nemico,

Penso, che oltre alla paura ancestrale umana che la conoscenza non riesce a vincere seppur costruisce dei dispositivi culturali dei surrogati di antichi riti,abbiamo un'etica.C'è chi riesce a spingersi non oltre un confine, c'è chi proprio non gli riesce.
Il senso del limite è etico se sociale e morale individuale e aggiungerei, appartiene ad un altro aspetto della natura umana, la coscienza.
Mi fermerei quì perchè il discorso è spinoso e arduo e sentirei, per chi ne ha voglia, altri pareri.

Il problema per come lo vedo io, lo accennavo, è essenzialmente nel modo in cui ci poniamo davanti all'"altro".
Il problema dell'"altro" non è risovibile con gli strumenti della filosofia hegeliana (che, ripeto, ammorba ora
più che mai tutto il nostro modo di pensare).
O per meglio dire, è risolvibile con gli strumenti della filosofia hegeliana nel senso della soluzione "finale";
cioè con una sintesi "pratica" che annulla uno dei due termini (l'"io" o l'"altro").
Non mi meraviglia né mi scandalizza che qualcuno pensi a una tale soluzione; solo che, credo, occorre esserne
consapevoli...
Del resto questo è quel che successe con il nazismo, che pensò di annullare l'"altro" inteso come razza, cultura,
religione. E quel che successe con il "socialismo reale", che pensò di annullare un "altro" inteso materialmente,
come classe al proletariato avversa.
O come avviene oggi, in forme certo meno tragiche ma non per questo meno gravi e drammatiche, con un "altro" non
compreso nella sua "alterità" di cultura e posizione sociale (e, certo, oggi l'"altro" non finisce nei lager o nei
gulag, ma finisce in quella specie di limbo costituito dalla cosiddetta "invisibilità").
Sicuramente si ha paura dell'"altro". Ma se ne ha paura appunto perchè la sua irriducibile alterità non viene
compresa. Da questo punto di vista la comunità non può essere intesa come comunità di "uguali" contrapposta ad
comunità "altre" da annientare ("sintetizzare") secondo gli schemi hegeliani.
Riconoscere l'"altro" come alterità-assoluta comporta essenzialmente una "responsabilità", un "posizionarsi" di
fronte all'"altro" che comporta primariamente una "scelta" di ordine etico e morale.
Una scelta che quindi, dice giustamente Paul11, rimanda alla "coscienza" (ma sempre e comunque ogni problema
filosofico è rimandato ad essa; non esiste in realtà alcuna "soluzione", e tutti siamo sempre e comunque
irrimediabilmente "soli" davanti alla, per certi versi, tremenda necessità della scelta).
Sorge allora spontanea una riflessione su una categoria dell'antica filosofia greca oggi quasi del tutto
dimenticata: la "misura" come giustizia.
Ma qui, almeno per il momento, vorrei fermarmi.
saluti

paul11

ciao Mauro(ox...),
Ho dovuto ristudiarmi Hegel ,come adesso studio Platone, per uscire dalle convenzioni culturali in cui vari pensatori lo hanno interpretato e tramandati, per  capire la differenza fra originale autore e interpretazione.
Hegel utilizza la coscienza per operare una sintesi concettuale e razionale fra gli oggetti reali del mondo, il concreto, e l'astrazione del pensiero.Il dato da cui inizia è che le cose in sè e per sè non sono vere, un oggetto reale da solo come un pensiero da solo non reggono ma diventano verità se si opera con il pensiero razionale sull'oggetto del mondo reale.
Questa applicazione della coscienza, come il luogo della sintesi del movimento dialettico del sapere è applicabile nella società, nella misura in cui il singolo individuo è come un oggetto in sè e per sè che necessita di essere parte con altri individui per giungere ad una sintesi storica.
Questo è solo per chiarire un pochino.
Il come sia stato interpretato, dal materialismo allo spiritualismo, dalla politica di destra e dalla politica di sinistra, o di centro, è interpretativo. Spesso hanno preso solo parti del pensiero hegeliano,mistificando invece l'intero pensiero.

L'altrui è importante da capire, per comprendere quella parte di noi che c'è ma non emerge magari per nostra personalità, per nostro carattere. Il problema è quando l'altro non gli importa di capire noi.E' da quì che nasce la legge.
La legge storicamente è quella forma ,il dettame della comunità che impedisce che i forti abbiano sopravvento sui deboli rendendoli schiavi dei loro voleri.La legge limita e condiziona il più forte soprattutto e permette la libertà al più debole.
Questo è un principio, ma sappiamo che la realtà è più infida perchè il forte cerca in tutti i modi persino legali ,il sopravvento.
Nessuna forma organizzativa, dalla monarchia alla democrazia, salvaguarda una deriva verso forme tiranniche.
Di questo sono consapevoli da Platone ad Aristotele, da Hobbes a Locke fino ai nostri tempi.
Il motivo storico dello statuto dell comunità inglese di lasciare al popolo le armi è proprio nello storico riconoscimento nelle common law di accettare pure persino la monarchia, ma il popolo ha il dovere ultimo, otre al potere legislativo, di poter resistere e ribellarsi armandosi di fronte alle tirannie,

La coscienza è ancora un altro problema.La coscienza secondo Nietzsche, secondo un cristiano, secondo un comunista, un fascista, secondo un buddista, ebreo, musulmano, secondo Calvino, Lutero................?

Quello che facevo notare nella discussione  su Trasimaco è che la giustizia come misura nell'antichità era il parametro esterno all'organizzazione umana.Era l'ordine del cosmos.Ripeto il nomos basileus era la sovranità del monarca che incarnava la mediazione fra l'ordine dell' universo da trasmettere nella misura dell'ordine della polis, della comunità umana a sua volta nel dominio fra natura e cosmos appunto. Per questo la Legge è sopra il re, è prima del re,
Storicamente è accaduto che la verità della misura della giustizia sia diventata accomodante a misura dell'uomo dei suoi interessi e utilità che quindi hanno perso il principio della giustizia.La politica quindi diventa fonte di mediazione di interessi, di individui, associazioni, gruppi economici,i partiti di conseguenza perdono la propria originaria teoretica dei principi su cui si costituiscono e si conformano alla mediazione di interessi che gioco forza il compromesso negoziale fa perdere la propria identità storica, perchè si adattano agli interessi e alle nuove forze sociali civili che vengono rappresentati nell'agone politico.
Ecco perchè tutti i partiti si assomigliano una volta giunti al potere.
D'altra parte ognuno di noi ha dei suoi principi, crede di più in certe cose e meno in altre, e nel momento in cui vive in un luogo di lavoro, in una società di persone, viene al compromesso per potere socialmente vivere in pace e non conflittualmente.
Allora se il compromesso e la mediazione sono parte intrinseca e quindi irriducibile per poter convivere socialmente, quanta parte di noi perdiamo ,compromettiamo, e per diventare altro da noi e convivere?

InVerno

#83
Citazione di: 0xdeadbeef il 17 Marzo 2018, 20:25:38 PMChe fare allora? Per me occorre appunto recuperare quel poco del "pensare collettivo" rimasto nella cosiddetta "cultura".
Poco mi importa se qualcuno giudica questa base "di destra": non c'è alcuna alternativa allo strapotere dell'individuo e
di ciò che ne è intimamente correlato (il contratto; il mercato).
Nelle culture di origine non idraulica (dove sopravvive invece un approccio dinastico e rigido verso il potere) la chiave per la metanoia è sempre stata il mito dello stato nascente, intuizione di Alberoni ancora da comprendere a fondo. Alla sinistra non serve solo un idea di collettività, ma anche un idea di "età dell'oro", l'unica capace di generare un cambiamento apprezzabile in questo tipo di culture "turbolente". Che nella cultura della freccia" (del progresso inesauribile) si sposterà nel futuro anzichè nel passato. Tutte cose ben note e barbose, che richiamano la sinistra alla sua idea di paradiso post sovietico, l'Europa socialista, che deve intraprendere con radicalità a tutto campo, non con ambivalenze e irrimediabili sconfitte, ideologiche ed economiche. Non penso ci sia via di scampo, ma considerate le arcinote situazioni europee, si tratta di una via crucis e di qui il "peccato originale" di Prodi, illudere il popolo che sarebbe stato "meno lavoro, più soldi" quando in realtà si tratta dell'esatto contrario, del sacrificio costante e fino ad esaurimento della propria identità collettiva nazionale, al fine di ricrearne un altra "età dell'oro", e che a oggi ha avuto come unica conseguenza un horror vacui in tutta la cultura di sinistra. Ma come si fa a chiedere sacrificio in una democrazia violentata dalla demagogia, in un oclocrazia?  Per la maggior parte degli europei, l'europa non è niente più che un telefono rotto senza garanzia, un prodotto scadente, ed è proprio il materialismo che dovrebbe rispondere di questa situazione.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

baylham

Il contratto non è rivolto a risolvere le controversie (eccetto la transazione), per quello c'è la legge e il processo. Il contratto è una relazione orizzontale, di reciprocità tra le parti, uno scambio, un accordo. Chi contratta ha almeno un minimo di potere, di prendere o lasciare. L'alternativa sono le relazioni di potere, gerarchiche, verticali, asimmetriche.

Per me il compito infinito della sinistra è quello di eliminare l'asimmetria nella relazione economica sociale tra gli uomini.

Come già scritto la mia cartina al tornasole per valutare gli indirizzi dei singoli, dei movimenti e partiti politici sono le reazioni nelle situazioni di difficoltà, di crisi, di decrescita del reddito e della ricchezza. Riprendendo l'ultimo intervento di InVerno, come si distribuiscono i sacrifici, non i benefici. Infatti nella crisi economica gli equilibri politici si sono spostati complessivamente a destra.

Comunque nella società italiana chi è il difeso, chi è il difensore e chi è il forte?

Per me il debole è lo straniero extracomunitario. A differenza degli altri cittadini italiani non può nemmeno accedere al contratto di locazione o di lavoro, non può nemmeno prendere o lasciare un contratto, non può nemmeno ricevere una ospitalità.
All'obiezione che lo straniero non fa parte del popolo italiano, rispondo che la sinistra non fa distinzioni di nazionalità, è internazionalista.

Lo Stato non è un'alternativa al mercato, l'alternativa al mercato è la pianificazione. I principali desiderata dei partiti italiani, il protezionismo, la moneta nazionale, il reddito di cittadinanza che acquisti perché non hai un lavoro e che perdi dopo avere rifiutato 3 proposte di lavoro dipendente, la flat tax, la riduzione delle imposte e gli incentivi all'innovazione, la riduzione del cuneo fiscale, sono pienamente dentro il mercato capitalistico, hanno l'obiettivo di puntellarlo, di espanderlo. La maggioranza di questi programmi punta ad aumentare le rendite ed i profitti capitalistici interni come volano, incentivo per gli investimenti e la crescita economica, per far ridiscendere occupazione e reddito in basso nella scala sociale economica, quindi trasferiscono reddito alle classi sociali già ricche aumentando le disuguaglianze economiche e sociali infra e inter statali. Per rinviare, ammorbidire il conflitto economico, invece della redistribuzione di reddito e ricchezza tramite le imposte, si espande il debito pubblico. Ci vuole una grande faccia di tolla per proporre di finanziare programmi dichiarati primari, principali, fondanti con la lotta agli sprechi o con la crescita economica o col debito pubblico. Alla fine arriva l'insolvenza dello Stato, la crisi e il sistema capitalistico riparte. La forza di un sistema si dimostra proprio nel superamento delle crisi e nell'assenza di una alternativa.

Infine l'individuo, come il mercato, è già un universale.

0xdeadbeef

A Paul11
Tutto l'Idealismo tedesco, dunque anche Hegel, "parte" da una errata interpretazione della "cosa in sè" kantiana,
che gli Idealisti ritengono non necessaria "interpretazione" (come nel "fenomeno" di Kant), ma, di fatto, "creazione".
Per l'Idealismo, nel soggetto si attua una "sintesi" di pensiero e realtà, cioè di soggetto E oggetto (che
invece per Kant erano distinti), e questo è chiaramente esplicitato da Hegel nella celebre affermazione: "il
reale è razionale e il razionale è reale" (Fenomenologia dello spirito).
Sulla conseguenze della sintesi idealistica illuminanti sono le parole di Fichte: "il procedimento sintetico
consiste nel ricercare negli opposti quella nota per cui essi sono identici".
Come si faccia, da queste basi, a riconoscere l'"altro" (come non-sintetizzato all'"io") non saprei...
La "destra" e la "sinistra", come noto, sono termini che nascono dal posizionarsi nel Parlamento Francese
degli "interpreti" (e già questa è una contraddizione) del pensiero di Hegel (tant'è che si chiamavano
esplicitamente "destra" e "sinistra" hegeliana). Marx, come accennavo, in realtà "ribalta" solo l'
interpretazione della destra hegeliana (quella che dà preminenza al "razionale"), prendendone però
tutti i caratteri fondanti (il soggetto "creatore"; la "sintesi") ed adattandoli alla sua pur brillantissima
teoria economica.
Ora, questa sia pur scandalosamente sintetica (...) descrizione per dire: attenti, perchè l'Idealismo, o
Hegelismo, è tutto fuorchè morto o superato, ed ammorba oggi più che mai ogni aspetto del vivere.
L'Hegelismo, dicevo, non ci permette non di "considerare nella giusta luce", ma neppure di pensare l'"altro".
Sia esso un immigrato o un nostro familiare, non viene "pensato" come "altro"; ma sempre e solo come un,
diciamo, "prodotto" del nostro "io"; ed in esso, di conseguenza, sempre cerchiamo "quella nota per
cui essi, l'altro e l'io, sono identici" (per usare le parole di Fichte).
All'Hegelismo è sconosciuto quel concetto di "limite" che era invece fondante di tutta la filosofia "classica"
greca. Per questa visione (che è, ripeto, la nostra) finito e infinito sono termini privi di significato
in quanto anch'essi "sintetizzati" in un "reale" che assume perciò le sembianze dell'infinito irreale (Hegel,
vedendo Napoleone a cavallo, lo definirà "Iddio reale").
E com'è possibile, chiedo, pensare la "giustizia" senza pensare il limite, il finito?
Quale limite come "giusto limite" posso mai pensare se sono incapace di pensare il limite? Quale "misura" sarò
in grado di adottare nei confronti dell'immigrato o di un mio familiare se non contemplo nessuna misura?
Naturalmente tutto questo vale per il "compromesso", che è esso stesso presa d'atto di finitudine, di limite,
di misura e di giustizia.
Ed infatti il compromesso è sempre meno "com-promesso"; cioè è sempre meno espressione di un accordo comune
su una base "arbitrata" (in genere da regole intese come assolute) per diventare "contratto", cioè accordo in
cui la parte forte, semmai, si degna di concedere qualche briciola ...
Per vivere in pace, non conflittualmente, a mio parere è innanzitutto necessario riconoscere l'"altro", ove
tale riconoscimento vuol dire, sì, rispetto e solidarietà, ma anche, se occorre, esclusione.
saluti

baylham

Riconoscere l'altro significa riconoscere di far parte di un sistema di relazioni autoorganizzantesi, ad una azione corrisponde una reazione.

Per escludere l'altro che ha solo la vita da offrire, da scambiare, da perdere, devi toglierli la vita, farlo morire. E' quello che si sta proponendo, che sta succedendo, più o meno coscientemente.

paul11

Il problema non è Hegel in sè e per sè,anche se lo storicismo superò il giusnaturalismo umanista come concezione storica.
Hegel lo interpreti  non appropriatamente Mauro.Molto banalmente esemplificando; vedo una pianta, un oggetto del mondo e lo inquadro nel mio pensiero.Per poterlo concettualizzare razionalmente lo comparo agli altri oggetti del mondo e quindi costruisco similitudini e differenze. Mi accorgo che altre piante sono simili e sempre conoscendo studiando costruisco una chiave tassonomica, per classificare ,catalogare quell'oggetto del mondo e concettualizzo in speci, generi ,famiglie, ecc. vale adire in insiemi fino ad arrivare al regno vegetale che comprende tutti gli insiemi dipendenti.
Il problema non è nel metodo,confrontare un oggetto del mondo, inquadrarlo nel pensiero razionale e razionalizzarlo nella coscienza che quindi comprende un pensiero relato ad un oggetto fisico del mondo, che a mio parere è giusto, ma è nella chiave di lettura per leggere il mondo.nel nostro esempio è la chiave tassonomica che costruisce similitudini e differenze. 
Quindi sono nei paradigmi, nei postulati per la costruzione nel nostro esempio del regno vegetale(  vedo che l'apparato riproduttivo dei vegetali posso dividerlo in angiosperme e gimnosperme, ecc)

La politica è un insieme, un aggregato di individui umani dove ognuno è altrui per l'altrui.
La singolarità individuale è irriducibile ed è la legge che lega più individui in una comunità,sapendo che all'interno di essa 
c'è il saggio e il cretino, il sano e il malato, il tollerante e il prepotente. il forte e il debole.ecc.

La contraddizione sta nella chiave paradigmatica costitutiva della legge che governa  i comportamenti e li limita nella regola ,nelle norme. Se io dico che i paradigmi sono, libertà, uguaglianza e giustizia, non posso dalla enunciazione ammettere uno sforamento del forte e del prepotente sopra la testa del pacifico, tollerante e debole. Devo quì dare un limite.

Se l'atto di violazione della legge sta solo nell'uso illegittimo dei propri diritti e accetto che il forte diventa potente economicamente, 
perchè legalmente può farlo,ho creato delle disparità che limitano i tre paradigmi(libertà uguaglianza, giustizia) per alcune parti della popolazione all'interno della giurisdizione della legge e l'amplificano per altre parti di quella stessa popolazione.
Non posso solo enunciare "la legge è uguale per tutti" se so che nella pratica economica il denaro equivale a potere,così come dei ruoli sociali e civili sono più potenti di altri. Non posso dire che la contrattazione, il negoziato è fra pari forze.

Il problema sta nella tolleranza di fuoriuscita del sistema politico che ha  una legge, un ordinamento che deve recepire le diversità "altrui", ma che nello stesso tempo deve tenere conto dei paradigmi, dei principi costitutivi che danno identità comune alle differenze "altrui", diversamente diventa legge della giungla "legittimata e legalizzata".
Il sistema perderebbe coerenza e consistenza e vigerebbe solo il timore fisico della pena con cui si arma lo Stato.

La sinistra ha accettato le contraddizioni esistenti fra dichiarazione enunciativa della Costituzione con  i suoi valori, i suoi paradigmi e poi il mondo pratico quotidiaoi o del vivere che è differente dagli enunciati, vedendo persone più libere  e altre più vincolate, persone con privilegi e "sans papier",chi è disoccupato e chi non sa nemmeno più quanto ha in patrimoni.

E' l'abuso di un diritto che porta per contrappeso alla debolezza di un'altrettanto diritto. 
Non posso dire che la legge è uguale per tutti, quando un contratto di lavoro costruisce già in essere come normativa una forte sperequazione fra datore di lavoro e lavoro dipendente subordinato.E il job act non lo ha promulgato la destra.

Sono gli atti che dichiarano oggi più che mai le coerenze di appartenenza ad un a tradizione politica.
Se si accetta che la legge è mobile e va modificata in funzione del mercato, l'uomo è merce e non più cittadino.
hanno deciso le gerarchie pratiche e l'adattamento delle normative in funzione della realtà economica che non è certo egualitaria nella produzione e distribuzione della ricchezza.
Non è pensabile oggi non toccare le forme della produzione di ricchezza, laddove nei luoghi di lavoro il cittadino-lavoratore è ricattato, e pensare che la sola fase ridistributiva della ricchezza(attraverso la fiscalità e poi con l'assistenza e previdenza) possa compensare quell'anomalia originaria
Il nostro sistema politico è incoerente fra pensiero ed azione,così come fra Costituzione e leggi

Assenzio

Citazione di: 0xdeadbeef il 19 Marzo 2018, 20:31:04 PM
A Paul11
Tutto l'Idealismo tedesco, dunque anche Hegel, "parte" da una errata interpretazione della "cosa in sè" kantiana,
che gli Idealisti ritengono non necessaria "interpretazione" (come nel "fenomeno" di Kant), ma, di fatto, "creazione".
Per l'Idealismo, nel soggetto si attua una "sintesi" di pensiero e realtà, cioè di soggetto E oggetto (che
invece per Kant erano distinti), e questo è chiaramente esplicitato da Hegel nella celebre affermazione: "il
reale è razionale e il razionale è reale" (Fenomenologia dello spirito).
Sulla conseguenze della sintesi idealistica illuminanti sono le parole di Fichte: "il procedimento sintetico
consiste nel ricercare negli opposti quella nota per cui essi sono identici".
Come si faccia, da queste basi, a riconoscere l'"altro" (come non-sintetizzato all'"io") non saprei...
La "destra" e la "sinistra", come noto, sono termini che nascono dal posizionarsi nel Parlamento Francese
degli "interpreti" (e già questa è una contraddizione) del pensiero di Hegel (tant'è che si chiamavano
esplicitamente "destra" e "sinistra" hegeliana). Marx, come accennavo, in realtà "ribalta" solo l'
interpretazione della destra hegeliana (quella che dà preminenza al "razionale"), prendendone però
tutti i caratteri fondanti (il soggetto "creatore"; la "sintesi") ed adattandoli alla sua pur brillantissima
teoria economica.
Ora, questa sia pur scandalosamente sintetica (...) descrizione per dire: attenti, perchè l'Idealismo, o
Hegelismo, è tutto fuorchè morto o superato, ed ammorba oggi più che mai ogni aspetto del vivere.
L'Hegelismo, dicevo, non ci permette non di "considerare nella giusta luce", ma neppure di pensare l'"altro".
Sia esso un immigrato o un nostro familiare, non viene "pensato" come "altro"; ma sempre e solo come un,
diciamo, "prodotto" del nostro "io"; ed in esso, di conseguenza, sempre cerchiamo "quella nota per
cui essi, l'altro e l'io, sono identici" (per usare le parole di Fichte).
All'Hegelismo è sconosciuto quel concetto di "limite" che era invece fondante di tutta la filosofia "classica"
greca. Per questa visione (che è, ripeto, la nostra) finito e infinito sono termini privi di significato
in quanto anch'essi "sintetizzati" in un "reale" che assume perciò le sembianze dell'infinito irreale (Hegel,
vedendo Napoleone a cavallo, lo definirà "Iddio reale").
E com'è possibile, chiedo, pensare la "giustizia" senza pensare il limite, il finito?
Quale limite come "giusto limite" posso mai pensare se sono incapace di pensare il limite? Quale "misura" sarò
in grado di adottare nei confronti dell'immigrato o di un mio familiare se non contemplo nessuna misura?
Naturalmente tutto questo vale per il "compromesso", che è esso stesso presa d'atto di finitudine, di limite,
di misura e di giustizia.
Ed infatti il compromesso è sempre meno "com-promesso"; cioè è sempre meno espressione di un accordo comune
su una base "arbitrata" (in genere da regole intese come assolute) per diventare "contratto", cioè accordo in
cui la parte forte, semmai, si degna di concedere qualche briciola ...
Per vivere in pace, non conflittualmente, a mio parere è innanzitutto necessario riconoscere l'"altro", ove
tale riconoscimento vuol dire, sì, rispetto e solidarietà, ma anche, se occorre, esclusione.
saluti
Ciao Oxdeadbeef, e un saluto a tutti gli amici del forum. 
Tu scrivi la creazione dell' "altro", ok,  ma tale creazione non avviene forse a livello ideale? Secondo me l'hegelismo è la corrente di pensiero che più si formalizza sul tema del riconoscimento dell'altro, perché è una tappa fondamentale e quindi necessaria allo Spirito per giungere alla piena consapevolezza di sé, e cioè a livello individuale, o di io empirico come direbbe Fichte, al sapere assoluto. Ma tale riconoscimento avviene non attraverso il bene comune e quindi l'Amore, come era stato prima di Hegel, ma Hegel basa tale riconoscimento sulla contrapposizione, sulla lotta (tema di cui Marx fu entusiasta e poi fece proprio), sul confronto di autocoscienze. La creazione dell'altro avviene a livello ideale, ma Hegel era un idealista particolare, per lui non era fondamentale che la realtà avesse una natura ideale, ma era invece basilare la sua natura eminentemente dialettica. E dialetticamente a livello di autocoscienze non c'è identità, non ancora, ma c'è lo scontro, la lotta, perciò secondo me nell'hegelismo abbiamo invece il vero riconoscimento dell'altro, tant'è vero che Hegel tratta del riconoscimento a livello storico-culturale (nella Fenomenologia), mentre a me sembra che la tua analisi si fermi a livello psicologico. Anzi, secondo me è stato proprio Marx, paradossalmente, ad appiattire le differenze tra autocoscienze, non a caso egli fa dell'alienazione un punto cardine della sua dialettica, ma cos'è l'alienazione se non la perdita della propria consapevolezza nel mondo?
Saluti

anthonyi

Citazione di: paul11 il 20 Marzo 2018, 11:53:45 AM


Sono gli atti che dichiarano oggi più che mai le coerenze di appartenenza ad un a tradizione politica.
Se si accetta che la legge è mobile e va modificata in funzione del mercato, l'uomo è merce e non più cittadino.
hanno deciso le gerarchie pratiche e l'adattamento delle normative in funzione della realtà economica che non è certo egualitaria nella produzione e distribuzione della ricchezza.
Non è pensabile oggi non toccare le forme della produzione di ricchezza, laddove nei luoghi di lavoro il cittadino-lavoratore è ricattato, e pensare che la sola fase ridistributiva della ricchezza(attraverso la fiscalità e poi con l'assistenza e previdenza) possa compensare quell'anomalia originaria
Il nostro sistema politico è incoerente fra pensiero ed azione,così come fra Costituzione e leggi

Ciao paul11, ho l'impressione che tu analizzi il problema partendo da posizioni molto idealiste. Gli ideali, i valori, i principi, sono  molto importanti, ma pensare che automaticamente si applichino alla realtà non ha senso. Non a caso i saggi costituenti hanno riempito la nostra costituzione ideale di verbi che sottolineano la "proposizione" di un modello sociale e non la sua imposizione.
Quello che poi tu evochi con un certo disprezzo come "adattamento al mercato" è in realtà una sana componente di realismo che purtroppo spesso manca nel comportamento dei nostri giuristi. Qualsiasi legge deve essere adattata al mercato(anche paradossalmente una legge che lo vuole abolire) perché altrimenti non può avere effetti) per farti un esempio vuoi intervenire sul mercato della droga perché lo ritieni dannoso, non ha senso che fai una legge che vieta il commercio della droga perché il bisogno spinge i drogati a comprarla illegalmente.
Tu mi dirai ma che c'entra la droga col Job act, e invece c'entra perché anche nel Job act non ha senso discutere solo delle regole ma bisogna guardare gli effetti di quelle regole. Naturalmente è una questione di interpretazione, il mio parere è che il Ja abbia migliorato la condizione media dei lavoratori e soprattutto abbia ridotto la precarietà rispetto alla situazione preesistente.
Purtroppo soprattutto nel nostro paese vi è una visione ideale, etica, e a volte addirittura estetica delle leggi dello stato, e invece ci vorrebbe un pò di pragmatismo.
Per dire, tu che proponi un cambiamento delle "forme di produzione della ricchezza" potresti provare a precisare nel concreto cosa intendi.
In realtà, nel concreto, questo cambiamento viene continuamente attuato da quelli che la teoria economica definisce imprenditori. Non a caso Hayek afferma che la differenza tra sistema liberale rispetto a quello socialista sta nel fatto che all'interno di un sistema liberale sarebbe possibile organizzare il socialismo ma non è vero il contrario.
Un saluto

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