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LOGOS - Argomenti => Tematiche Culturali e Sociali => Discussione aperta da: 0xdeadbeef il 01 Marzo 2018, 20:16:29 PM

Titolo: Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 01 Marzo 2018, 20:16:29 PM
Dopo anni (anzi, ahimè dopo decenni...) passati nella militanza attiva in partiti della sinistra (cosidetta "estrema"), e dopo qualche anno di
riflessione "sabbatica", sono arrivato alla conclusione di non potermi più dire "di sinistra".
Sono ancora dalla parte dei più deboli, delle categorie più svantaggiate, degli operai, dei precari, dei pensionati al minimo etc. Il mio "problema",
se così vogliamo chiamarlo, è che non vedo più, nel frastagliato ed ormai ridotto ai minimi termini arcipelago della sinistra, nessuno in grado di
prendere le difese di suddette categorie.
Ma la faccenda è, per me, molto ma molto più grave, visto che sono arrivato a pensare che le suddette categorie non siano più difendibili con la
stessa teoria politica della sinistra: la sinistra, in altre parole, ha per me fallito "storicamente".
Non sto tanto parlando della situazione politica della sinistra nella stretta attualità (che è miserevole a dir poco); sto parlando della stessa
impalcatura "marxiana" della sinistra storica, che nell'attualità sta dimostrandosi totalmente avulsa dalle dinamiche sociali ed economiche in atto.
Il tentativo di Marx (che fino a prova contraria è stato l'unico pensatore "serio" in tutta la storia della sinistra...) di arginare il già montante
individualismo cercando di "surrogare" l'entità collettiva ideologica chiamata "popolo" con la medesima entità collettiva (ma materiale) chiamata
"classe" è fallito laddove il vincolo culturale della tradizione; della religione e financo del "sangue" si è mostrato ben più forte del vincolo
materiale ipotizzato da Marx.
Ciò che è fallita è, in altre parole, la costruzione di una "coscienza di classe"; ma questo, lungi dall'essere un particolare di poco conto, vuol
dire che è fallita la stessa sinistra che sul pensiero di Marx si è fondata.
Non meravigli, dunque, che oggi la sinistra si barcameni fra i liberisti del Partito Democratico (i quali, perlomeno, hanno almeno il buon gusto di
rifiutare l'etichetta di "partito di sinistra"); i liberali di Piero Grasso, ormai totalmente impegnati nella difesa delle libertà classiche dell'
individualismo di matrice anglosassone, e vari gruppuscoli insignificanti nel momento in cui mancano totalmente di una qualsiasi, e seppur debolissima,
analisi del reale (e Marx proprio sull'analisi del reale fondò tutta la sua teoria).
A parer mio, chi come ha coltivato e condiviso quelle tesi e quei valori si deve arrendere al seguente argomento: per opporsi efficacemente all'
individualismo mercatistico oggi dominante ci si deve rivolgere a quella entità collettiva chiamata "popolo".
Fuori dall'entità collettiva chiamata "popolo", vi può essere solo l'individuo, e quindi quel "contrattualismo" che dei rapporti fra gli individui è
la forma più efficace: vi può cioè essere solo il Mercato, ovvero l'odierna ed estrema forma che il capitalismo classico ha assunto.
Si rende dunque necessaria una ripresa "identitaria"; una ripresa del concetto di "nazione"; perchè quel "diritto" che, solo, può arginare il Mercato
e tutelare le classi svantaggiate, può sorgere solo ed esclusivamente all'interno di una entità collettiva culturalmente omogenea.
saluti
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: Phil il 02 Marzo 2018, 18:28:39 PM
Non sono pratico di filosofia politica, e ancor meno del panorama politico attuale, tuttavia mi è capitato più di una volta di ascoltare persone, decennalmente "di sinistra", dichiarare con sinistro disappunto di non riconoscersi più totalmente in quell'ideologia, di sentirsi un po' più disincantati (e disimpegnati) nei confronti dalla fervente ambizione di rivoluzionare la società secondo quelle categorie. 
Ciò rappresenta, secondo me, un duplice sintomo: un cambiamento personale di prospettiva (quasi inevitabile, per una mente attiva, con il passare dei decenni) e la presa di coscienza del mutamento della società (e delle sue strutture) a cui si vorrebbe applicare un paradigma comunque figlio di altri tempi (forse gli ideali non scadono, ma le ideologie direi di si...).
Magari gli obiettivi e i valori di queste persone sono rimasti (circa) gli stessi, ma le modalità con cui sperano di realizzarli sono mutati (assecondando il duplice mutamento, individuale e della società), per cui il "programma" marxista li vede meno fiduciosi e coinvolti, talvolta persino "eretici"  ;D
Non voglio dire che si tratta di un mutamento "fisiologico" per chi è stato animato in gioventù dall'utopia comunista ("utopia" non è dispregiativo, ovviamente :) ), tuttavia suppongo non sia solo una questione di non potersi riconoscere in un partito attuale: parlare oggi di "borghesia" o "proletariato" (e forse persino di "classe") significa rischiare di essere inattuali, sganciati dalle dinamiche socio-economiche in atto; distacco anacronistico che infatti riconosci quando osservi che
Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Marzo 2018, 20:16:29 PMSi rende dunque necessaria una ripresa "identitaria"; una ripresa del concetto di "nazione"; perchè quel "diritto" che, solo, può arginare il Mercato e tutelare le classi svantaggiate, può sorgere solo ed esclusivamente all'interno di una entità collettiva culturalmente omogenea.
uno scenario in cui europa, multiculturalismo e globalizzazione (ovvero il mondo occidentale in cui viviamo, volenti o nolenti) dovrebbero riavvolgere la bobina della propria storia (che li ha affermati sul palcoscenico dell'umanità), per riportare la situazione ad almeno mezzo secolo fa, quando non c'erano dubbi su quale fosse il "vangelo di sinistra", e la sua promessa di un mondo migliore era ritenuta da molti attendibile.


P.s.
A scanso di equivoci, ribadisco che non ho posizione politica (poiché non me ne sono mai interessato), propongo questa osservazione senza voler quindi insinuare che la prospettiva di sinistra sia fallimentare o che il multiculturalismo sia un bene o che un ritorno alle nazioni in senso "forte" sarebbe un male (o sia impossibile). Il cambio di paradigma è quello che trovo interessante (per come lo intravvedo anche fra le righe del post di Oxdeadbeef), nella fattispecie la difficoltà di "aggiornare" l'ideologia di sinistra, che porta alcuni suoi (ex?)sostenitori alla posizione espressa dal titolo del post (essendo ignorante di politica, non mi interessano dunque tanto i giudizi di valore: giusto, sbagliato, etc. quanto piuttosto cercare di decifrarne le dinamiche "filosofiche").
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: Lou il 02 Marzo 2018, 19:12:25 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Marzo 2018, 20:16:29 PM
Dopo anni (anzi, ahimè dopo decenni...) passati nella militanza attiva in partiti della sinistra (cosidetta "estrema"), e dopo qualche anno di
riflessione "sabbatica", sono arrivato alla conclusione di non potermi più dire "di sinistra".
Sono ancora dalla parte dei più deboli, delle categorie più svantaggiate, degli operai, dei precari, dei pensionati al minimo etc. Il mio "problema",
se così vogliamo chiamarlo, è che non vedo più, nel frastagliato ed ormai ridotto ai minimi termini arcipelago della sinistra, nessuno in grado di
prendere le difese di suddette categorie.
Ma la faccenda è, per me, molto ma molto più grave, visto che sono arrivato a pensare che le suddette categorie non siano più difendibili con la
stessa teoria politica della sinistra: la sinistra, in altre parole, ha per me fallito "storicamente".
Non sto tanto parlando della situazione politica della sinistra nella stretta attualità (che è miserevole a dir poco); sto parlando della stessa
impalcatura "marxiana" della sinistra storica, che nell'attualità sta dimostrandosi totalmente avulsa dalle dinamiche sociali ed economiche in atto.
Il tentativo di Marx (che fino a prova contraria è stato l'unico pensatore "serio" in tutta la storia della sinistra...) di arginare il già montante
individualismo cercando di "surrogare" l'entità collettiva ideologica chiamata "popolo" con la medesima entità collettiva (ma materiale) chiamata
"classe" è fallito laddove il vincolo culturale della tradizione; della religione e financo del "sangue" si è mostrato ben più forte del vincolo
materiale ipotizzato da Marx.
Ciò che è fallita è, in altre parole, la costruzione di una "coscienza di classe"; ma questo, lungi dall'essere un particolare di poco conto, vuol
dire che è fallita la stessa sinistra che sul pensiero di Marx si è fondata.
Non meravigli, dunque, che oggi la sinistra si barcameni fra i liberisti del Partito Democratico (i quali, perlomeno, hanno almeno il buon gusto di
rifiutare l'etichetta di "partito di sinistra"); i liberali di Piero Grasso, ormai totalmente impegnati nella difesa delle libertà classiche dell'
individualismo di matrice anglosassone, e vari gruppuscoli insignificanti nel momento in cui mancano totalmente di una qualsiasi, e seppur debolissima,
analisi del reale (e Marx proprio sull'analisi del reale fondò tutta la sua teoria).
A parer mio, chi come ha coltivato e condiviso quelle tesi e quei valori si deve arrendere al seguente argomento: per opporsi efficacemente all'
individualismo mercatistico oggi dominante ci si deve rivolgere a quella entità collettiva chiamata "popolo".
Fuori dall'entità collettiva chiamata "popolo", vi può essere solo l'individuo, e quindi quel "contrattualismo" che dei rapporti fra gli individui è
la forma più efficace: vi può cioè essere solo il Mercato, ovvero l'odierna ed estrema forma che il capitalismo classico ha assunto.
Si rende dunque necessaria una ripresa "identitaria"; una ripresa del concetto di "nazione"; perchè quel "diritto" che, solo, può arginare il Mercato
e tutelare le classi svantaggiate, può sorgere solo ed esclusivamente all'interno di una entità collettiva culturalmente omogenea.
saluti
Una domanda, la idea di sovranità nazionale come può essere situata in questo discorso?
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 02 Marzo 2018, 19:54:48 PM
Ciao Phil, e grazie per avermi risposto.
Per me (per la mia pratica discorsiva, direbbero i semiologi), non si tratta di "riavvolgere la bobina della storia". Ritengo, anzi,
che coloro che vedono la storia come una marcia incessante nella quale non vi è mai un "ritorno" abbiano, in ultima istanza (direbbe
Marx...), una visione della storia orientata ad un finalismo di chiaro stampo metafisico.
No, credo che la storia offra sempre e solo "eterni ritorni" (anche se, chiaro, mai nelle stesse identiche modalità).
Da questo punto di vista, io vedo la contemporaneità come uno scontro fra l'individuo e l'entità collettiva (con il primo che,
almeno per il momento, risulta vincitore), ove con questo secondo termine io intendo "qualsiasi" entità collettiva; sia essa un
partito politico, un sindacato, uno stato, una religione.
L'individuo porta necessariamente al "mercato", cioè allo strumento più efficace nel dirimerne le controversie con gli altri
individui. Con l'emergere dell'individuo, è ineludibile che il Mercato (lo scrivo in maiuscolo in quanto per me esso ha assunto
una vera e propria portata ontologica) vada a riempire sempre più ogni spazio che prima era deputato all'entità collettiva.
Per cui non fa meraviglia che, letteralmente, vadano scomparendo i partiti politici (sostituiti da una sempre maggiore
personalizzazione della politica); i sindacati; gli stati; persino le religioni (il declino della religione è dovuto, a parer mio,
più all'emergere dell'individuo che non ad una supposta e tutta da dimostrare de-sacralizzazione).
In questo quadro, che ho molto sommariamente e molto semplicisticamente tracciato, la MIA entità collettiva, la "classe", ha
mostrato gravissimi limiti di attuabilità politica, sovrastata da altre entità collettive, quali appunto la nazione, il popolo,
etc.
Marx capi' perfettamente che un "diritto" (inteso come corpus normativo) può sorgere solo ed esclusivamente all'interno di un
gruppo socialmente omogeneo (tant'è che promosse la "dittatura del proletariato"), ma tutto questo è rimasto solo nelle
intenzioni e nella teoria, visto che già con Lenin (poi, macroscopicamente, con Stalin) cominciò ad emergere il "popolo"; la
"patria"; con tutto quel corollario di categorie filosofico-politiche che più estranee al marxismo non potrebbero essere...
Oggi come ieri e più che mai, il "diritto" può sorgere solamente all'interno di una entità collettiva. E, abbiamo visto, la
sola entità collettiva possibile è lo "stato", che si fonda sul popolo e sulle sue tradizioni culturali e religiose (dunque
non sulla "classe", che io avevo invece reputato possibile).
Dunque è per realismo politico che io ho deciso di guardare con simpatia a quelle forze che si rifanno all'identità culturale
e che vengono dette "populiste" (e dico questo pur non condividendone affatto moltissimi aspetti).
La sola alternativa possibile è stare dalla parte delle forze che sostengono il Mercato e il contrattualismo spinto che ne è
a fondamento; cosa che per me non è neanche pensabile.
saluti
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: anthonyi il 02 Marzo 2018, 20:35:25 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Marzo 2018, 20:16:29 PM
Dopo anni (anzi, ahimè dopo decenni...) passati nella militanza attiva in partiti della sinistra (cosidetta "estrema"), e dopo qualche anno di
riflessione "sabbatica", sono arrivato alla conclusione di non potermi più dire "di sinistra".
Sono ancora dalla parte dei più deboli, delle categorie più svantaggiate, degli operai, dei precari, dei pensionati al minimo etc. Il mio "problema",
se così vogliamo chiamarlo, è che non vedo più, nel frastagliato ed ormai ridotto ai minimi termini arcipelago della sinistra, nessuno in grado di
prendere le difese di suddette categorie.
Ma la faccenda è, per me, molto ma molto più grave, visto che sono arrivato a pensare che le suddette categorie non siano più difendibili con la
stessa teoria politica della sinistra: la sinistra, in altre parole, ha per me fallito "storicamente".
Non sto tanto parlando della situazione politica della sinistra nella stretta attualità (che è miserevole a dir poco); sto parlando della stessa
impalcatura "marxiana" della sinistra storica, che nell'attualità sta dimostrandosi totalmente avulsa dalle dinamiche sociali ed economiche in atto.
Il tentativo di Marx (che fino a prova contraria è stato l'unico pensatore "serio" in tutta la storia della sinistra...) di arginare il già montante
individualismo cercando di "surrogare" l'entità collettiva ideologica chiamata "popolo" con la medesima entità collettiva (ma materiale) chiamata
"classe" è fallito laddove il vincolo culturale della tradizione; della religione e financo del "sangue" si è mostrato ben più forte del vincolo
materiale ipotizzato da Marx.
Ciò che è fallita è, in altre parole, la costruzione di una "coscienza di classe"; ma questo, lungi dall'essere un particolare di poco conto, vuol
dire che è fallita la stessa sinistra che sul pensiero di Marx si è fondata.
Non meravigli, dunque, che oggi la sinistra si barcameni fra i liberisti del Partito Democratico (i quali, perlomeno, hanno almeno il buon gusto di
rifiutare l'etichetta di "partito di sinistra"); i liberali di Piero Grasso, ormai totalmente impegnati nella difesa delle libertà classiche dell'
individualismo di matrice anglosassone, e vari gruppuscoli insignificanti nel momento in cui mancano totalmente di una qualsiasi, e seppur debolissima,
analisi del reale (e Marx proprio sull'analisi del reale fondò tutta la sua teoria).
A parer mio, chi come ha coltivato e condiviso quelle tesi e quei valori si deve arrendere al seguente argomento: per opporsi efficacemente all'
individualismo mercatistico oggi dominante ci si deve rivolgere a quella entità collettiva chiamata "popolo".
Fuori dall'entità collettiva chiamata "popolo", vi può essere solo l'individuo, e quindi quel "contrattualismo" che dei rapporti fra gli individui è
la forma più efficace: vi può cioè essere solo il Mercato, ovvero l'odierna ed estrema forma che il capitalismo classico ha assunto.
Si rende dunque necessaria una ripresa "identitaria"; una ripresa del concetto di "nazione"; perchè quel "diritto" che, solo, può arginare il Mercato
e tutelare le classi svantaggiate, può sorgere solo ed esclusivamente all'interno di una entità collettiva culturalmente omogenea.
saluti

L'errore che fai, a mio parere, è quello di far coincidere l'idea di sinistra con il marxismo. Il marxismo è una versione del pensiero di sinistra, una versione che si è purtroppo rivelata fallimentare sia in termini di organizzazione economica, sia di previsioni storiche e sociali. Anche il pensiero liberale nasce nell'ambito della cultura di sinistra, cioè si pone nei termini di una progettazione moderna della società e del sistema economico, in contrasto a visioni tradizionali che lo caratterizzavano. Il pensiero liberale, per correttezza concettuale, non è liberismo, nel nostro paese la sola forza politica che può dirsi liberista è la lega, tutte le altre in realtà non lo sono e meno che mai lo è il PD. Certo il PD non è più marxista, ma non si può dire che non sia più di sinistra, tutte le politiche fatte in questi anni sono state indirizzate ad incrementare i diritti concreti (Non quelli formali scritti sullo statuto e lontani dalla realtà) dei lavoratori disincentivando le forme di lavoro meno gerantite e incrementando i posti di lavoro pur in presenza di crescite economiche non stratosferiche.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: viator il 02 Marzo 2018, 23:16:01 PM
Salve. Per Oxdeadbeef: Complimenti per la tua chiarezza di idee. Se ripenso alla caduta dell'utopia marxista mi commuovo quasi nel trovare che tale evento avrà generato il crollo di un intero mondo interiore in moltissimi. Carriere, sacrifici, esaltazioni che si sono rivelate infruttuose. Per alcuni è stato addirittura il crollo di una vera e propria religione e/o ragione di vita.
Io sono sempre stato antimarxista. Figuriamoci poi il mio atteggiamento verso il cosiddetto "socialismo reale".
Marx è stato comunque un genio. Un genio a suo modo ingenuo, come accade per tutti gli idealisti.
Vedi, il problema che rende fallimentari idealismi ed ideologie (ti assicuro che accadrà ancora in futuro) è che esse consitono in un processo di ripiegamento dell'uomo su sè stesso. L'uomo è parte della natura ma, da quando ha acquisito la coscienza, non può far altro che cercare egoisticamente di contrapporsi ad essa. Naturalmente, non potendo eliminare quegli aspetti della natura che non lo soddisfano, finisce per far finta che non esistano o che possano venir isolati dall'esistenza umana. Li trascura, prendendo appunto a ripiegarsi su visioni e progetti esclusivamente umani. Giusto. Deve pensare anzitutto a sè e dovrà farlo cercando di correggere le "ingiustizie", gli "errori", le "imperfezioni" della natura che all'uomo stesso "non fanno comodo".
l'idealista Marx, dotato di sensibilità ed intelligenza, si è impegnato nell'immaginare una costruzione umana di impronta egualitaria (tanti altri ancora lo hanno fatto e lo faranno). Nel farlo, non si è curato di indagare sul perchè il mondo naturale odii profondamente l'eguaglianza. Ha creduto che bastasse la buona volontà (o il sangue?) di molti per costruire - in tempi umani - una società di eguali che potesse funzionare e prosperare in barba ai meccanismi naturali che, nel nome della diversificazione (in ambito fisico la diversificazione è l'entropia dell'Universo, in quello chimico è la tendenza alla creazione dei composti, in quello biologico è la moltiplicazione ed evoluzione delle specie, in campo sociale è la strutturazione delle gerarchie, in campo economico è il capitalismo.....!!!)....nel nome della diversificazione, dicevo, odia l'uniformità, l'eguagliana, gli schemi precostruibili...... e naturalmente per l'uomo questa sarebbe l'ingiustizia del mondo. Praticamente l'uomo accusa la natura di non essere come lui la vorrebbe !!
Saprai certo benissimo perchè l'egualitarismo marxista e marxiano (ed il suo grottesco spettro del socialismo reale) si è afflosciato dal punto di vista pratico-strategico. La colpa è stata di quel tenero, commovente, idealistico motto : "A ciascuno secondo i suoi bisogni; da ciascuno secondo le proprie capacità".
Questa è semplicemente la formula dell'inefficienza produttiva. L'animo umano (che forse, grazie ai sacrifici degli idealisti, cambierà nel corso delle prossime 40-50.000 generazioni) una volta che venga inserito all'interno di una costruzione collettiva, purtroppo è portato a considerare l'assolvimento dei bisogni un diritto, e l'eventuale capacità un merito che vada remunerato con degli extra (diversamente quale mai incentivo avrebbe per lavorare di più? - qualcuno crede ancora nel mito di Stakanov?).
Ed è così che il capitalismo, il quale non è un'utopia, non è idealistico, non è un'ideologia ma semplicemente un gran calderone efficientistico, può continuare a macinare le nostre esistenze. Perchè esso è semplicemente l'incarnazione umana di principi naturali antichissimi e potentissimi ai quali l'uomo può certo cercare di opporsi........facendolo però da consapevole della dimensione delle forze in gioco e dei  tempi - tutt'altro che umani - che dovrà affrontare.
E' per questo che io sono per il socialismo cautamente riformistico.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: iano il 02 Marzo 2018, 23:40:52 PM
Ciao oxdeadbeef
un nickname più facile no ,eh...😄
Io mi sono trovato ad essere di sinistra in quanto di famiglia numerosa.Il classico proletario.
Una dozzina di fratelli la famiglia dei nonni.
Sei o sette quella dei padri.
Quattro la mia ,definibile ancora proletaria , e via così a regredire.
Non sono mai stato molto di sinistra , ma col tempo lo sono diventato sempre più, man mano che gli altri abbandonavano 😀.Anche qui una questione di numeri più che altro.
A quanto pare sono rimasto uno degli ultimi comunisti senza mai esserlo stato veramente.
L' individualismo in se' non è un male , anzi.
Ma a dire il vero di individualisti ne vedo pochi in giro.
Se esistessero davvero dovrei vedere persone diverse una dall'altra che fanno ognuna cose diverse . cose che esse ritengono sia il bene per loro.
Magari fosse così.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra"
Inserito da: 0xdeadbeef il 04 Marzo 2018, 11:58:37 AM
Grazie a tutti voi delle gentili ed interessanti risposte.
Chiaramente, l'idea di sovranità nazionale è centrale in questo discorso. Bisogna poi vedere se ancora plausibile è
l'idea di "nazione" così come essa si è venuta a determinare nei secoli passati; plausibile è però certamente l'idea
di sovranità politica; una sovranità che "deve" (...) riprendere il suo posto di guida e di determinazione dei fini
cui l'economia (che, fino a prova contraria, è lo studio dei mezzi più efficaci per raggiungere uno scopo politicamente
dato) è chiamata a condurre.
In altre parole, trovo necessario che sia di nuovo la politica a determinare l'economia, non il contrario come sta adesso
invece verificandosi.
Per passare ad altro, non sono molto d'accordo con l'amico Anthony laddove egli squalifica Marx (non parlerei di "marxismo",
che è stata l'applicazione politica e, soprattutto, "totalitaria" del pensiero di Marx) a "versione del pensiero di sinistra".
A parer mio, Marx è stato l'unico grande pensatore della sinistra; una sinistra che, semmai, non ha mai saputo "storicizzarlo",
e sviluppare le sue teorie alla luce dei mutamenti nell'economia e nella società.
Dico "storicizzarlo" proprio per evidenziare particolarmente un aspetto del pensiero di Marx che gli epigoni non hanno
compreso. Egli parlò infatti del materialismo definendolo come "storico", mentre i successori troppo spesso hanno inteso
la teoria marxiana come "scientifica", arrivando in tal modo a risultati concreti davvero sconcertanti.
A tal proposito, devo dire che certe teorie politiche di Marx sono state davvero molto discutibili. La sua statura di politico
non avvicinava neppure da lontano quella da economista; campo nel quale è stato, ritengo, davvero geniale.
Quindi lasciamo perdere, ad esempio, la "dittatura del proletariato" quale fase transitoria verso il "paradiso" rappresentato
dall'anarchismo assoluto del comunismo, e concentriamoci sul Marx economista.
La domanda che dovremmo porci ritengo sia sostanzialmente questa: può una teoria autenticamente di sinistra fare a meno della
devastante critica che Marx ha portato al capitalismo (una critica, per certi versi, ancora inconfutata)?
A parer mio non lo può, naturalmente a meno di perdere ogni sua caratterizzazione "di sinistra"...
In realtà qualcuno ci ha provato, e molto seriamente. Ad esempio Anthony Giddens, padre del "blairismo", nella fondamentale
opera: "Capitalismo e teoria sociale".
In essa (che fra l'altro consiglio caldamente a chi voglia veramente capire cosa e come la sinistra contemporanea sia diventata
quello che è), l'acuto pensatore inglese individua proprio in quel "a ciascuno secondo i suoi bisogni; da ciascuno secondo le sue
capacità" l'essenza del problema (come anche l'amico Viator sottolinea).
La risposta di Giddens è radicale: la sinistra contemporanea deve rigettare quel principio ed abbracciare il "merito" individuale.
Senonchè, quell'abbraccio è stato, per così dire, "mortale". Ed ha portato la sinistra europea intera ad assumere posizioni
politiche ancor più liberali (e dunque liberiste, perchè il liberismo altro non è se non la "libertà" declinata economicamente)
di quelle della destra.
Si poteva fare diversamente? Forse sì, ed il "come" farlo mi sembra di poterlo individuare proprio nel concetto di "identità"; di
"popolo" e dunque di sovranità politica.
Ma la sinistra non ha proprio "visto" questa strada, ritenendo (e, intendiamoci, non completamente a torto) quelle categorie
come patrimonio ed esclusiva della "destra storica".
Dunque miopia politica ed estremismo concettuale non hanno permesso alla sinistra di poter individuare una via d'uscita diversa.
Questa è, seppur in estrema sintesi, la mia opinione.
saluti
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra"
Inserito da: anthonyi il 04 Marzo 2018, 16:54:22 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Marzo 2018, 11:58:37 AM
non sono molto d'accordo con l'amico Anthony laddove egli squalifica Marx (non parlerei di "marxismo",
che è stata l'applicazione politica e, soprattutto, "totalitaria" del pensiero di Marx) a "versione del pensiero di sinistra".
saluti

Lasciando perdere il pensiero di Marx, il punto centrale è la crisi del pensiero socialista e il fatto che visioni di stampo liberale si innestano nel pensiero di sinistra sostituendosi al primo.

Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Marzo 2018, 11:58:37 AM
La sua statura di politico
non avvicinava neppure da lontano quella da economista; campo nel quale è stato, ritengo, davvero geniale.
saluti

Io invece reputo certamente  Marx un grande pensatore sociale (Nel rapporto struttura-sovrastruttura c'è una chiave di sintesi fondamentale della realtà sociale) ma un pessimo economista il cui pensiero ha profondamente confuso l'analisi del sistema economico.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: InVerno il 04 Marzo 2018, 17:44:17 PM
Penso che il buon Marx possa mettersi l'anima in pace, il capitalismo sta finendo (o sta mutando radicalmente) in maniera enteogena, per esaurimento. Per il resto penso che la radicalità del pensiero di Marx non possa tradursi nell'azione parlamentare, vecchio argomento forse, ma da rivalutare di fronte a questo tipo di delusione. Alla sinistra è cresciuta la barba, sono diventati professori di quelle università che occupavano, si inseriscono nella definizione di Marx "comitato d'affari della borghesia" con tutte e due le scarpe, come è normale che sia.. Per di più, visto che si parla di liberismo, nella sinistra attuale c'è una puzza insopportabile di pedagogismo, troppa voglia di insegnare, poca di imparare.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: Jacopus il 04 Marzo 2018, 19:06:13 PM
Condivido molte delle affermazioni di Ox, salvo l'esito, ovvero credere nei valori di nazione e popolo come unici antidoti alle leggi di mercato. Anche questo è un film già visto, che ha portato solo dolore e violenza.
Non ho ricette da offrire in cambio se non quella di augurarmi che i "timonieri" si rendano conto che il capitalismo non può proseguire ancora per molto in questo modo. La globalizzazione ha reso molto più difficile una crisi, perché la rete che avvolge l'intero sistema economico è capace di ammortizzare in un luogo la crisi che si svolge in un altro, salva la possibilità che una crisi globale come non ne abbiamo mai viste spazzi via l'intero sistema sociale in atto.
L'ho già detto altrove, il capitalismo si trova nella condizione di non avere concorrenti, e questo è una contraddizione in termini, che sta già provocando un cambiamento di mentalità: da un lato chi crede di essere "teologicamente" dalla parte del giusto e chi cerca di rovesciare il sistema.
Menti lungimiranti e competenti ne vedo poche e più cresce il bisogno di competenza e lungimiranza, piu' si è avvolti da una cultura del pressapochismo, dello scaricabarile e del capro espiatorio.
La sinistra, più che da pedagogismo, come dice Inverno, è affetta, a mio parere, da assenza di "ideali collettivi". Si "campicchia" come direbbe Totò, avendo sempre in primo piano il conto corrente bancario.
Una sinistra inoltre, che in assenza di un vero e consistente strato sociale "liberale", come esistono in molti altri paesi europei, si è sempre lasciata tentare dalla possibilità di tenere il piede in due staffe, dando luogo ad uno dei tanti esempi di "trasformismo" politico.
La frammentazione del quadro politico è non solo il derivato di una cultura tipicamente "per bande" dell'italiano medio, ma anche il risultato di una frammentazione della società, senza la possibilità di risalire a quei valori unificatori  e universalistici del passato, religione, stato in primo luogo.
Restano le ricette infantili del voto via web, il richiamo del proprio campanile e la proiezione della responsabilità verso soggetti o non responsabili (immigrati) o solo parzialmente responsabili (politici).
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 04 Marzo 2018, 20:11:38 PM
Non c'è alcun dubbio, tanto per rispondere ad Anthony, che nella crisi del pensiero socialista vi sia il fatto che visioni di
stampo liberale si innestino nel pensiero di sinistra sostituendosi al primo.
A questo mi riferivo appunto nella citazione del saggio di Giddens, dove egli propone (mi pare fosse il 1971, ma non vorrei dire
castronerie) la sostituzione dell'egualitarismo con il merito individuale.
Senonchè, ripeto, quella sostituzione (avvenuta fra l'altro acriticamente) è stata "mortale" per la sinistra, che da quel
momento in poi ha cessato di essere tale.
Si poteva fare diversamente? Beh, sulla base di quanto vado dicendo si poteva forse assumere il merito individuale in maniera
diversa, "attenuandolo" con lo strumento del controllo statuale, cioè senza rimmettersi in tutto e per tutto al Mercato.
Questo sarà anche un film già visto, come afferma Jacopus, ma abbondantemente già visto è anche il film dell'assenza del potere
statuale e dell'avvento degli appetiti individualistici (fin dai tempi sumero-accadici, figuriamoci - quindi già conosciamo il
possibile finale...).
Che invece, su quella base, possano sorgere (ma sono già sorte) nuove forme di nazionalismo e xenofobia è un problema che ammetto
reale.
Ma è anche per questo che la sinistra non doveva assolutamente lasciare l'egemonia dell'entità collettiva a quella destra cosiddetta
"storica" che, lasciatemelo dire, in termini elettoralistici la sta facendo fruttare veramente bene.
E' tanto difficile capire che il "diritto"; la "legge"; che potenzialmente può tutelare e difendere i deboli sorge NECESSARIAMENTE
solo all'interno di una entità collettiva ("classe" materiale o "popolo" idealistico che sia)? Cioè che sorge necessariamente
all'interno di un potere politico di tipo statuale?
Fin dai tempi sumero-accadici, tanto per riprendere il "film", abbiamo visto che in assenza del potere politico statuale la sola
forma di "legge" che sorge è quella del "contratto" fra privati individui (e che in tal "contratto" la parte contraente forte
prevale), che è null'altro che lo strumento particolare che poi forma quella categoria generale che siamo usi chiamare "Mercato".
Eppure, a sinistra e nelle immediate adiacenze, non c'è stato nessuno che abbia fatto questa elementare considerazione...
Perchè? In estrema sintesi (poi se qualcuno è interessato posso riprendere il discorso) perchè la sinistra ha assunto il dogma,
l'articolo di fede liberale, secondo cui basta "lasciar fare" al mercato (tanto una miracolosa "mano invisibile" interverrà
per mettere tutto a posto, come nelle parole del Reverendo Adam Smith...).
Per concludere, vorrei dire ad Anthony che, personalmente, su Marx la penso in maniera opposta.
Per me non fu un grande pensatore sociale. Nel rapporto struttura-sovrastruttura, ad esempio, egli diede un'interpretazione
che trovo troppo univoca (anche se, ad onor del vero, definì "in ultima istanza" la determinazione della sovrastruttura da parte
della struttura - ma è, trovo, un'"indebolimento" che non muta troppo la sostanza delle cose).
Viceversa, io penso sia stato un grandissimo economista.
Chiaramente si muoveva ancora all'interno di una economia "classica" (un'economia che non aveva ancora il concetto di valore
economico come valore di scambio), ma certe sue intuizioni sono ancora, fino a prova contraria, inconfutate.
Che dire, ad esempio, della teoria del "plusvalore"? Non spiega forse, essa, le ricorrenti crisi di sovraproduzione
che per il capitalismo sono "struttura" (ieri merci, oggi soldi ma sempre di sovraproduzione si tratta).
Ma non vorrei con questo ridurre questa discussione a una diatriba sul pensiero di Marx...
saluti
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra"
Inserito da: iano il 05 Marzo 2018, 01:41:03 AM
Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Marzo 2018, 11:58:37 AM
Grazie a tutti voi delle gentili ed interessanti risposte.
Chiaramente, l'idea di sovranità nazionale è centrale in questo discorso. Bisogna poi vedere se ancora plausibile è
l'idea di "nazione" così come essa si è venuta a determinare nei secoli passati; plausibile è però certamente l'idea
di sovranità politica; una sovranità che "deve" (...) riprendere il suo posto di guida e di determinazione dei fini
cui l'economia (che, fino a prova contraria, è lo studio dei mezzi più efficaci per raggiungere uno scopo politicamente
dato) è chiamata a condurre.
In altre parole, trovo necessario che sia di nuovo la politica a determinare l'economia, non il contrario come sta adesso
invece verificandosi.
Per passare ad altro, non sono molto d'accordo con l'amico Anthony laddove egli squalifica Marx (non parlerei di "marxismo",
che è stata l'applicazione politica e, soprattutto, "totalitaria" del pensiero di Marx) a "versione del pensiero di sinistra".
A parer mio, Marx è stato l'unico grande pensatore della sinistra; una sinistra che, semmai, non ha mai saputo "storicizzarlo",
e sviluppare le sue teorie alla luce dei mutamenti nell'economia e nella società.
Dico "storicizzarlo" proprio per evidenziare particolarmente un aspetto del pensiero di Marx che gli epigoni non hanno
compreso. Egli parlò infatti del materialismo definendolo come "storico", mentre i successori troppo spesso hanno inteso
la teoria marxiana come "scientifica", arrivando in tal modo a risultati concreti davvero sconcertanti.
A tal proposito, devo dire che certe teorie politiche di Marx sono state davvero molto discutibili. La sua statura di politico
non avvicinava neppure da lontano quella da economista; campo nel quale è stato, ritengo, davvero geniale.
Quindi lasciamo perdere, ad esempio, la "dittatura del proletariato" quale fase transitoria verso il "paradiso" rappresentato
dall'anarchismo assoluto del comunismo, e concentriamoci sul Marx economista.
La domanda che dovremmo porci ritengo sia sostanzialmente questa: può una teoria autenticamente di sinistra fare a meno della
devastante critica che Marx ha portato al capitalismo (una critica, per certi versi, ancora inconfutata)?
A parer mio non lo può, naturalmente a meno di perdere ogni sua caratterizzazione "di sinistra"...
In realtà qualcuno ci ha provato, e molto seriamente. Ad esempio Anthony Giddens, padre del "blairismo", nella fondamentale
opera: "Capitalismo e teoria sociale".
In essa (che fra l'altro consiglio caldamente a chi voglia veramente capire cosa e come la sinistra contemporanea sia diventata
quello che è), l'acuto pensatore inglese individua proprio in quel "a ciascuno secondo i suoi bisogni; da ciascuno secondo le sue
capacità" l'essenza del problema (come anche l'amico Viator sottolinea).
La risposta di Giddens è radicale: la sinistra contemporanea deve rigettare quel principio ed abbracciare il "merito" individuale.
Senonchè, quell'abbraccio è stato, per così dire, "mortale". Ed ha portato la sinistra europea intera ad assumere posizioni
politiche ancor più liberali (e dunque liberiste, perchè il liberismo altro non è se non la "libertà" declinata economicamente)
di quelle della destra.
Si poteva fare diversamente? Forse sì, ed il "come" farlo mi sembra di poterlo individuare proprio nel concetto di "identità"; di
"popolo" e dunque di sovranità politica.
Ma la sinistra non ha proprio "visto" questa strada, ritenendo (e, intendiamoci, non completamente a torto) quelle categorie
come patrimonio ed esclusiva della "destra storica".
Dunque miopia politica ed estremismo concettuale non hanno permesso alla sinistra di poter individuare una via d'uscita diversa.
Questa è, seppur in estrema sintesi, la mia opinione.
saluti.
L'economia determina la politica e viceversa.
Per poter descrivere questa dinamica occorre individuare i soggetti in gioco , e le nazioni sono sempre meno papabili perché sottodimensionate rispetto alle multinazionali , in genere.
Quindi una nazione forte è una necessità contingente che nel nostro caso deve guardare all'Europa.
Cosa problematica sulla breve distanza , ma che non ha alternative.
In questo nuovo quadro le ideologie non sembrano avere gioco.
Una grande nazione oggi è una necessità , non una ideologia , purtroppo.
Purtroppo , perché hai ragione tu , se lo fosse tutto diventerebbe più semplice .
Al momento l'unica cosa furba che siamo riusciti a far in tal senso è il progetto Erasmus.
L'Europa c'è. Adesso bisogna fare gli europei.
Arridaie 😅
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: anthonyi il 05 Marzo 2018, 10:21:00 AM
Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Marzo 2018, 20:11:38 PM
su Marx la penso in maniera opposta.
Per me non fu un grande pensatore sociale. Nel rapporto struttura-sovrastruttura, ad esempio, egli diede un'interpretazione
che trovo troppo univoca (anche se, ad onor del vero, definì "in ultima istanza" la determinazione della sovrastruttura da parte
della struttura - ma è, trovo, un'"indebolimento" che non muta troppo la sostanza delle cose).
Viceversa, io penso sia stato un grandissimo economista.
Chiaramente si muoveva ancora all'interno di una economia "classica" (un'economia che non aveva ancora il concetto di valore
economico come valore di scambio), ma certe sue intuizioni sono ancora, fino a prova contraria, inconfutate.
Che dire, ad esempio, della teoria del "plusvalore"? Non spiega forse, essa, le ricorrenti crisi di sovraproduzione
che per il capitalismo sono "struttura" (ieri merci, oggi soldi ma sempre di sovraproduzione si tratta).
Ma non vorrei con questo ridurre questa discussione a una diatriba sul pensiero di Marx...
saluti

Nessuna diatriba, sono questioni già maturate, il limite della teoria economica socialista è nella funzione imprenditoriale. Si tratta di un limite che arriva direttamente dal materialismo che è proprio della sua visione economica, per cui il valore non può che essere prodotto dal lavoro materiale e il profitto deve essere sottratto a questo valore. Marx non concepisce il fatto che l'azione imprenditoriale crei un di più rispetto al valore dei fattori perché l'azione imprenditoriale è organizzativa e quindi immateriale.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: InVerno il 05 Marzo 2018, 11:06:55 AM
Citazione di: Jacopus il 04 Marzo 2018, 19:06:13 PMLa sinistra, più che da pedagogismo, come dice Inverno, è affetta, a mio parere, da assenza di "ideali collettivi". Si "campicchia" come direbbe Totò, avendo sempre in primo piano il conto corrente bancario.
Non devi porre in antitesi questi nostri due ragionamenti, che sono invece complementari, il pedagogismo infatti è un eufemismo per dire penilunghismo, ove ognuno appone il proprio fallo sul simbolo elettorale risultante in quel frazionamento tipico "de sinistra" che impedisce qualsiasi idea di collettività alla partenza. E mi riferisco ovviamente al panorama Italiano, supponendo che la generalizzazione "sinistra" sia nazionale, visto che poi c'è una sinistra che ha una qualche presa, anche se si trova in america latina (a dire il vero, anche la sinistra portoghese dovrebbe essere guardata con interesse), e chi dice che questo papa è più di sinistra che tanti politici, dice il vero, sentendo semplicemente l'odore lontano della sinistra latina (altro che blairiana). Detto ciò, tutti i ragionamenti massimalisti che si possono fare sono invalidati se poi la proposta risultante è il ritorno al nazionalismo. Abbiamo già vissuto un periodo simile con il gold standard, sappiamo cosa vuol dire giocare la carta nazionalista, non ci penserebbe nemmeno un bambino che si è appena scottato, inutile assurgere a stratificazioni del pensiero altisonanti se la risultante (di sinistra) è questa. La mancanza di ideali collettivi non è certo prerogativa della sinistra, la destra ne manca in egual modo, si salva con il cameratismo e la comodità dell'opposizione, non con ideali di certo. La liquefazione della società avrà a che fare con la forma-partito? Oppure la forma-partito rimane illesa, come vorrebbero tanti protettori di clientele associati? E' nato poco tempo fa un partito (o movimento come piace oggi) che incarna questa liquefazione, che è un partito internazionale e di scopo, con tanto di data di scadenza nel nome, è il primo, e penso che salvo brutali virate, molti si accoderanno. Gli stessi M5S si impongono delle scadenze (2 mandati, democrazia diretta poi ci sciogliamo etc) sono bambinesche forse (loro devono elaborare il lutto di Rousseau anzichè Marx), ma essendo neonati hanno annusato bene quale sia l'aria che tira: movimenti di scopo a scadenza. Piace o non piace, Marx diceva questo e quello, vinceranno loro (e hanno vinto), perchè hanno la miglior analisi storica sulla forma-partito.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: Kobayashi il 05 Marzo 2018, 11:42:55 AM
Citazione di: InVerno il 04 Marzo 2018, 17:44:17 PM[...] il capitalismo sta finendo (o sta mutando radicalmente) in maniera enteogena, per esaurimento.
Puoi spiegare meglio questa cosa?
Io lo vedo in grande forma...
Il liberismo pare vincere sempre, con "progressisti", populisti, movimenti di destra etc.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: InVerno il 05 Marzo 2018, 14:06:46 PM
Citazione di: Kobayashi il 05 Marzo 2018, 11:42:55 AM
Citazione di: InVerno il 04 Marzo 2018, 17:44:17 PM[...] il capitalismo sta finendo (o sta mutando radicalmente) in maniera enteogena, per esaurimento.
Puoi spiegare meglio questa cosa?
Io lo vedo in grande forma...
Il liberismo pare vincere sempre, con "progressisti", populisti, movimenti di destra etc.
Hai letto l'ultimo saggio di Rikfin? Lo chiedo senza ironia ne presupponenza, è che mi sembra una buona lettura per non essere sorpresi davanti a questo tipo di affermazioni.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: Kobayashi il 05 Marzo 2018, 16:24:16 PM
No, non ho letto Rifkin, su questi temi recentemente ho letto soltanto i saggi di Dardot e Laval.
Mi pare che anche Negri e Hardt anni fa avessero parlato di fine imminente del capitalismo, poi però siam sempre qua con le grandi multinazionali che fanno quello che vogliono etc...
Cercherò di leggere Rifkin.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: baylham il 05 Marzo 2018, 17:18:22 PM
Non sono marxista, ma ritengo che la concezione materialistica storica e dialettica di Marx sia importante perché precorritrice delle filosofie sistemiche.

Marx aveva intuito che la società non può essere compresa e cambiata partendo dall'individuo ma dalle relazioni tra individui. Per Marx le relazioni economiche sono fondamentali, determinanti. Sulla base delle relazioni economiche si determinano le classi, a seconda del ruolo che l'individuo ha nella relazioni economiche.

Ma qui sorgono i problemi. Primo problema, nel capitalismo i capitalisti e i lavoratori sono uniti dal ruolo economico che li dividono dalla classe o classi contrapposte, ma sono divisi all'interno della stessa classe: un capitalista è in contrasto con i lavoratori per la distribuzione del reddito e in concorrenza con gli altri capitalisti per i ricavi, un lavoratore è in concorrenza con il capitalista per la distribuzione del reddito e con gli altri lavoratori. Ecco perché la classe economica non unisce gli individui che ne fanno parte in un blocco compatto.

Secondo problema: all'interno di un sistema economico nessuna classe o individuo ha il potere di controllo, di dominio, ma il sistema si autodetermina. Questa è la grande scoperta di Smith, l'unica cosa imperitura di cui possono vantarsi i liberisti: la mano invisibile del mercato. L'autodeterminazione del sistema biologico è alla radice anche dell'evoluzionismo darwiniano.

Terzo problema. La società umana non è isolata ma è parte di un sistema più ampio, quello ecologico. La società preleva le risorse da e dissipa i rifiuti nell'ambiente.

Sostituire la classe con lo Stato o il popolo non cambia fondamentalmente i tre problemi elencati sopra: all'interno del popolo o dello Stato i conflitti economici rimangono e all'esterno c'è il conflitto con gli altri Stati e popoli.

Essere di sinistra, socialdemocratici o comunisti quando l'economia va bene e c'è da distribuire un reddito maggiore è facile; essere di sinistra quando l'economia non va bene e quindi bisogna ridurre il reddito ed i consumi è molto più difficile, la decrescita economica è dura. Questo secondo me spiega la crisi della sinistra e lo spostamento a destra in Europa e negli Usa.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 05 Marzo 2018, 20:22:57 PM
Citazione di: InVerno il 05 Marzo 2018, 11:06:55 AM). Detto ciò, tutti i ragionamenti massimalisti che si possono fare sono invalidati se poi la proposta risultante è il ritorno al nazionalismo. Abbiamo già vissuto un periodo simile con il gold standard, sappiamo cosa vuol dire giocare la carta nazionalista, non ci penserebbe nemmeno un bambino che si è appena scottato, inutile assurgere a stratificazioni del pensiero altisonanti se la risultante (di sinistra) è questa.

Trovo che ridurre il discorso al nazionalismo sia, come dire, alquanto riduttivo...
Per quel che mi riguarda, dicevo in una precedente risposta che bisogna vedere quanto sia plausibile l'idea di "nazione"
così come essa si è venuta a formare negli ultimi secoli ("plausibile è però certamente l'idea di sovranità politica",
aggiungevo).
La proposta risultante non è dunque affatto il nazionalismo (semmai la nazione...); bensì primariamente la sovranità
politica.
Poi, se qualcuno pensa che la sovranità politica non sia indispensabile, beh, per quanto mi concerne può adattarsi a
credere nell'animo buono di un essere umano che, ove non represso dalla forza statuale, vivrebbe in pace ed armonia
con tutti gli altri esseri umani. Che aggiungere? Me ne rallegrerei molto per la buonafede e il "candore"...
Per rispondere all'amico Iano, il quale afferma che bisogna guardare all'Europa, dirò che questo sarebbe l'ideale.
Ma, come spesso avviene, l'ideale ha poco a che fare con il reale. Per cui questa Europa a me sembra più un comitato
d'affari (e nemmeno troppo chiari) che non una "nazione" (come del resto mi sembra pensi anche lui).
Il punto cruciale di quel che ho provato a dire in questo post è che il "diritto", cioè l'intero corpus normativo
che regola i rapporti fra gli individui all'interno di un territorio statualmente definito, può sorgere solo
ed esclusivamente nel contesto di una "comunità" che condivide gli stessi principi e valori fondanti. Cioè di una
comunità che è culturalmente omogenea.
Non mi sembra davvero questo il caso dell'Unione Europea. E allora, che fare?
Si torna agli stati nazionali di ottocentesca memoria? Mah, sarebbe problematico assai (anche per alcuni aspetti
cui lo stesso Iano accenna di sfuggita); ma problematico è anche continuare in questa specie di limbo che l'Europa
è diventata. Perchè se essa non è, prima, comunità, allora in essa manca necessariamente sia la sovranità sia un
"diritto comune" che è il solo antidoto allo strapotere delle forme individualistiche del mercato (che non a caso vi
regnano incontrastate).
L'Europa è una specie di "Godot" (come nella commedia di Beckett); una specie di "orda di tartari", che stiamo aspettando
e che non arriva mai: quando mai si farà, se si farà? E chi la farà?
La si farà nel lungo termine? Ma nel lungo termine saremo tutti morti, come diceva il buon Keynes parafrasando il noto
detto "campa cavallo che l'erba cresce".
saluti
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: InVerno il 06 Marzo 2018, 10:57:35 AM
Citazione di: 0xdeadbeef il 05 Marzo 2018, 20:22:57 PMTrovo che ridurre il discorso al nazionalismo sia, come dire, alquanto riduttivo...
Per quel che mi riguarda, dicevo in una precedente risposta che bisogna vedere quanto sia plausibile l'idea di "nazione"
così come essa si è venuta a formare negli ultimi secoli ("plausibile è però certamente l'idea di sovranità politica",
aggiungevo).La proposta risultante non è dunque affatto il nazionalismo (semmai la nazione...); bensì primariamente la sovranità
politica.Poi, se qualcuno pensa che la sovranità politica non sia indispensabile, beh, per quanto mi concerne può adattarsi a
credere nell'animo buono di un essere umano che, ove non represso dalla forza statuale, vivrebbe in pace ed armonia
con tutti gli altri esseri umani. Che aggiungere? Me ne rallegrerei molto per la buonafede e il "candore"..
Melenchon in Francia ha proposto proprio questo, con una spruzzata populista di "rivoluzione francese", una sinistra a-la Robespierre, che per me ha molto a che fare con il nazionalismo (infatti la stessa casella in Italia è occupata dalla Lega) , liberale e civile, ma pur sempre quello è. Buttarla però su un ragionamento binario, stato - non stato, non è che sia molto più serio. Innanzitutto converrebbe alla sinistra diradare un conflitto semantico, se la globalizzazione sia quella del capitale o quella dei popoli, perchè mi pare che da questo punto di vista a sinistra ci sia un equivalenza tra le due incomprensibile. Va da se, che gran parte dei poteri necessari a questo tipo di operazione è già stato ceduto all'EU (che per esempio, è l'unica a poter imporre eventuali dazi) e riprenderselo significa uscire dall'EU. L'Italia che esce dall'EU è la morte dell'EU, sia dal punto di vista meramente simbolico, sia dal punto di vista di un eventuale (mai nata) allenza degli stati mediterranei contro lo strapotere mitteleuropeo. Consiglio di osservare bene Brexit, per rendersi conto di quanto questa opzione sia una zappata sui piedi micidiale (e gli inglesi son forti dei "cugini" oltre atlantico, noi no).
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: green demetr il 06 Marzo 2018, 15:09:05 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Marzo 2018, 20:16:29 PM
Dopo anni (anzi, ahimè dopo decenni...) passati nella militanza attiva in partiti della sinistra (cosidetta "estrema"), e dopo qualche anno di
riflessione "sabbatica", sono arrivato alla conclusione di non potermi più dire "di sinistra".
Sono ancora dalla parte dei più deboli, delle categorie più svantaggiate, degli operai, dei precari, dei pensionati al minimo etc. Il mio "problema",
se così vogliamo chiamarlo, è che non vedo più, nel frastagliato ed ormai ridotto ai minimi termini arcipelago della sinistra, nessuno in grado di
prendere le difese di suddette categorie.
Ma la faccenda è, per me, molto ma molto più grave, visto che sono arrivato a pensare che le suddette categorie non siano più difendibili con la
stessa teoria politica della sinistra: la sinistra, in altre parole, ha per me fallito "storicamente".
Non sto tanto parlando della situazione politica della sinistra nella stretta attualità (che è miserevole a dir poco); sto parlando della stessa
impalcatura "marxiana" della sinistra storica, che nell'attualità sta dimostrandosi totalmente avulsa dalle dinamiche sociali ed economiche in atto.
Il tentativo di Marx (che fino a prova contraria è stato l'unico pensatore "serio" in tutta la storia della sinistra...) di arginare il già montante
individualismo cercando di "surrogare" l'entità collettiva ideologica chiamata "popolo" con la medesima entità collettiva (ma materiale) chiamata
"classe" è fallito laddove il vincolo culturale della tradizione; della religione e financo del "sangue" si è mostrato ben più forte del vincolo
materiale ipotizzato da Marx.
Ciò che è fallita è, in altre parole, la costruzione di una "coscienza di classe"; ma questo, lungi dall'essere un particolare di poco conto, vuol
dire che è fallita la stessa sinistra che sul pensiero di Marx si è fondata.
Non meravigli, dunque, che oggi la sinistra si barcameni fra i liberisti del Partito Democratico (i quali, perlomeno, hanno almeno il buon gusto di
rifiutare l'etichetta di "partito di sinistra"); i liberali di Piero Grasso, ormai totalmente impegnati nella difesa delle libertà classiche dell'
individualismo di matrice anglosassone, e vari gruppuscoli insignificanti nel momento in cui mancano totalmente di una qualsiasi, e seppur debolissima,
analisi del reale (e Marx proprio sull'analisi del reale fondò tutta la sua teoria).
A parer mio, chi come ha coltivato e condiviso quelle tesi e quei valori si deve arrendere al seguente argomento: per opporsi efficacemente all'
individualismo mercatistico oggi dominante ci si deve rivolgere a quella entità collettiva chiamata "popolo".
Fuori dall'entità collettiva chiamata "popolo", vi può essere solo l'individuo, e quindi quel "contrattualismo" che dei rapporti fra gli individui è
la forma più efficace: vi può cioè essere solo il Mercato, ovvero l'odierna ed estrema forma che il capitalismo classico ha assunto.
Si rende dunque necessaria una ripresa "identitaria"; una ripresa del concetto di "nazione"; perchè quel "diritto" che, solo, può arginare il Mercato
e tutelare le classi svantaggiate, può sorgere solo ed esclusivamente all'interno di una entità collettiva culturalmente omogenea.
saluti


Sì ecco la sinistra è morta ufficialmente. Ho un lutto al braccio.

Ma era già morta da tempo....allora che facciamo? diventiamo di destra e votiamo i nazionalisti della lega?????

Ma daiiiiiii.


MAI!!

Numero uno perchè fa ridere: L'Itali per posizione geografica è destinata ad essere terra di passaggio.
La storia lo dimostra. Dai norreni agli arabi, la nostra nazione è un cavolo di melting pot.

L'ideologia dello Stato allo stato attuale delle arti, e cioè nella vita reale e non nella testa dei teorici alternativi, è da tempo alla frutta.

Il progetto capitalista è di mettere i proprio CEO a capo di tutte le istituzioni statali e di creare nuove all'uopo.

Ma questa è roba vecchia, dagli anni 50 del secolo scorso.

Certo ora è avvenuta previo fallimento dell'ideologia marxista, che pensa il capitale SENZA AVER LETTO IL PRIMO LIBRO DEL CAPITALE, che è la condizione sinequa non, vi possa essere qualsiasi forma di socialismo che poi permetta nel delirio del suo autore di arrivare al comunismo.(ma chi lo vuole il comunismo????).

I socialismi europei, che avrebbero dovuto improntarsi alla terza internazionale, lo hanno fatto, tramite il compromesso storico di Karl Kautsky, il che mi pare corretto ideologicamente, ma storicamente abbiamo visto come la socialdemocrazia riformista sia implosa.
Proprio perchè ideologia e non realtà, indagata filosoficamente.

La sinistra avrebbe dovuto ragionare a fondo sul concetto di feticcio: non lo ha mia fatto, e per questo è perita, sotto la disperazione della gente.

Mi è toccata vederla proprio tutta questa lenta agonia, il tradimento dei compagni fatto dai compagni, il prevalere dell'interesse personale, la perversione del potere sindacale, lo sbiadirsi intellettuale fino al torpore parassita dei suoi ridicoli leader.

Lo snocciolare numeri di Bertinotti che poi vota per la guerra....

Per arrivare a Rizzo che ancora non ha capito niente e continua a parlare di classe.....


La CLASSE è FINITA....eh sì che Engels e Kautsky l'avevano capito un pò prima.

L'unica idea positiva era l'unione delle socialdemocrazie.

Ok come nome esiste ancora dalla Merkel a Renzi, ci sono ancora....manca completamente l'apporto culturale nuovo.

Non è certo con il motto "potere al popolo" del leninismo revanchista di Zizek, l'unico intellettuale che sa cosa sta dicendo, comunque sia, si risolve qualcosa.

Ripeto caro Mauro, ma cosa è il feticismo per Marx?

Quanti corsi su youtube partono con: poichè il primo libro di marx è troppo difficile, iniziamo col secondo..... :-X


MA COMEEEEEEEEEE  :'(  , e poi ci si chiede come mai la sinistra sia morta?

Si educa il popolo non parlandogli delle premesse per cui dovrebbe essere educato????

(a parte che non credo nell'educazione) ma che follia è MAI QUESTA???????
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: green demetr il 06 Marzo 2018, 15:56:51 PM
Citazione di: Kobayashi il 05 Marzo 2018, 16:24:16 PM
No, non ho letto Rifkin, su questi temi recentemente ho letto soltanto i saggi di Dardot e Laval.
Mi pare che anche Negri e Hardt anni fa avessero parlato di fine imminente del capitalismo, poi però siam sempre qua con le grandi multinazionali che fanno quello che vogliono etc...
Cercherò di leggere Rifkin.

Il problema di Negri, come giustamente Preve ha fatto rilevare è che crede che la moltiplicazione dei prodotti faccia colassare gli Stati, che sono l'organo di controllo di potere militare.
Questa cecità è dovuta al fatto che egli è figlio del movimento operaista che vide con successo nel veneto il modello del credito alle aziende popolari, cosicchè se un industriale faceva soldi, non li investiva nell'incremento della sua produzione, ma rifinanziava altre aziende, in una forma di cooperazione socialista.

Questo modello in sè mi pare, buono, e fin che è durato, come la banca del commercio equo e solidale, fattibile.

Il problema è però che il capitalismo è quello marittimo, come Schmitt aveva oracolizzato.
(cui il potere iperstatale di terra, ossia il nazismo doveva combattere).

Ovvero, poichè il traffico internazionale non può essere regolamentato, (ci vorrebbe uno stato ipercentrale, globale, appunto un nazionalismo delirante, improponibile, visto i dissidi anzitutto reliiosi e poi a seguito anche di costumi), e visto che il nazismo è fallito...lievemente maniaco di grendheure....

Dunque il capitale estero puà "inquinare" termine tecnico che dice tutto, qualsiasi struttura aziendale socialista.(ed è quello che è successo alla banca solidale)

In generale può inquinare qualsiasi struttura finanziaria, basta vedere cosa hanno fatto alla grecia.


Dunque l'idea dell'attacco al palazzo d'inverno del terzo mondo, è palesemente infantile e ridicolo.

E ovviamente come contrappasso, questo infantilismo si riversa nei deliri di dominio nazionale, dalla Polonia, a Singapore, dal Venezuela a l'Islanda....e certo anche la nostra adorata Italietta.

Ovviamente tutti risolti quando va bene, con il colasso delle loro forze di emissione finanziaria, vedi i paesi scandinavi, con l'eccezione forse della Islanda...ma stento a crederci, e mi aspetto prima o poi di sentire che anche l'Islanda si è inchinata.

Certo l'Islanda è come Bergamo mi sa.....ma va beh.....

Che il capitalismo stia morendo è ovviamente una bufala collossale...si stanno per aprire mercati mondiali.....il capitalismo sta per diventare globale.

Ah ecco tanto per intenderci, Marx e Engels, e Kaustski già lo sapevano....VOGLIO DIRE....

Bisogna attendere che l'imperialismo crolli....okkei...direi che almeno altri 1500 anni come minimo dobbiamo ancora darli per certi.....MA VOGLIO DIRE NON é OVVIO?? se nel solo mercato europeo, a partire dal medioevo, è durato così tanto....e dura tutt'ora....quando gli acquirenti si moltiplicano così tanto....e a proposito i calcoli parlando anche di incremento della pololazione.....


Insomma chi dice che il capitalismo è al gancio....è chiaramente un imbecille.

Ma poi quale capitalismo??? LOL ormai dovrebbero saperlo anche gli allocchi che il capitalismo non è mai esistito.
Il capitalismo è libero mercato....ma se l'intero mondo è dominato da TRUST VERTICALI E ORIZZONTALI!!!

DI che stiamo parlando???? LOL.

Vabbè torniamo al modello sociale.


Io dico che si può ancora fare, magari ripartendo dall'ABC....l'uomo è un essere che colleziona...diceva Marx.....EH GIA' !

Ma perchè colleziona caro Hegel?  Perchè Il soggetto NON è mai Il SOGGETTO, poichè il soggetto è sempre e solo il RESTO dell'azione dello SPIRITO....

Ecco ricominciamo dall'ABC del marxismo....che in testa aveva l'alienazione, non i rapporti di classe.

Eh sì che Engels, come ha fatto notare anche Sgiombo, si accorse, che forse la seconda parte del capitale andava riscritta, in base ai tempi storici....

VOGLIO DIRE siamo alle banalità!

Ma non per quanto riguarda le relazioni umane.

Il progetto politico di MARX, era un progetto per L'UOMO e non per la MACCHINA....

Questa era l'assunto della sua grandezza, ascoltando gli intellettuali di sinsitra, mi pare che si sono rincitrullito di brutto.

E allora aveva ragione Preve a chiamarli CANI DELL'IMPERO.


Certo Preve mi fa tenerezza: crede ancora nello Stato Platonic (vabbè non è il solo, un ceto Badiou, considerato, il massimo filosofo vivente...PURE!)

Direi che siamo alla frutta!!!! basta leggere i suoi ridicoli manifesti e ripensamento di manisfesto... che spingono sempre più a DESTRA.

Cioè sempre più all'uomo MACCHINA, al bio-potere, come già Nietzche aveva predetto, capito solo da Focault nel novecento, e ora da Agamben, ma con GRAND'HEURE da Sloterdijk.

Bolle, Sfera, Schiuma.  Gli ossi di seppia dell'umanità che resiste.

Capisce di cose di sinistra più un filosofo di DESTRA......Ormai il Mondo si è ribaltato....

All'uomo di sinistra che fare? beh direi anzitutto aprire alla psicanalisi, perchè le analisi sul feticcio le ha fatte sole lei...la filosofia del novecento si è rimbambita totalmente, creando deliri su deliri...ahimè doppiati dalla STORIA.

Se non si capisce che la funzione feticcio è la funzione del soggetto, che NON si vuole percepire come movimento dello SPIRITO, ossia come funzione di relazione.

Allora egli soggetto, spezzerà la funzione relazione, per darsi al suo oggetto, ossia per credersi un oggetto. ( e cos'altro avrà mai detto MARX se non questo nel suo PRIMO LIBRO del CAPITALE...che per inciso nella lettura sto analizzando ancora nel suo incipit....tanto che serve! mi sussurrano spettri amici, che so benissimo gran bastardi...ma va beh!)

Per diventare MACCHINA, non esiste miglior manifesto di TEMPI MODERNI DI CHAPLIN....l'unico manifesto che sarà degno di ricordarsi, visto che il delirio ci spinge di pensare di essere androidi.

Qualsiasi politica che non faccia i conti con questo, è una falsa politica, è mera ideologia, sopratutto se riguarda la sinistra, se non c'è vera uninone di intenti di relazione, se ci si affida agli DEI, che siano delle aberranti religioni, o quelli nuovi della civilità delle macchine, NON CAMBIA, come potremo MAI essere FELICI?

Eh sì! parola ormai sparita dal vocabolario Politico.

Almeno i Greci, persino nelle loro forme coatte di RES-PUBBLICA, ce l'avevano in testa.
CHE LA POLIS è VITA.......EUDAMONIA...okkei parolone, ma insomma era quello!


Qualcuno dice la Grecia perchè appunto è un messaggio in codice cifrato....
Che bastardi!  :-X

Ma ovviamente è solo complottismo.  ;D

Meno male....ma rimangono TEMPI BUJ.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 06 Marzo 2018, 16:24:29 PM
Citazione di: InVerno il 06 Marzo 2018, 10:57:35 AMMelenchon in Francia ha proposto proprio questo, con una spruzzata populista di "rivoluzione francese", una sinistra a-la Robespierre, che per me ha molto a che fare con il nazionalismo (infatti la stessa casella in Italia è occupata dalla Lega) , liberale e civile, ma pur sempre quello è. Buttarla però su un ragionamento binario, stato - non stato, non è che sia molto più serio. Innanzitutto converrebbe alla sinistra diradare un conflitto semantico, se la globalizzazione sia quella del capitale o quella dei popoli, perchè mi pare che da questo punto di vista a sinistra ci sia un equivalenza tra le due incomprensibile. Va da se, che gran parte dei poteri necessari a questo tipo di operazione è già stato ceduto all'EU (che per esempio, è l'unica a poter imporre eventuali dazi) e riprenderselo significa uscire dall'EU. L'Italia che esce dall'EU è la morte dell'EU, sia dal punto di vista meramente simbolico, sia dal punto di vista di un eventuale (mai nata) allenza degli stati mediterranei contro lo strapotere mitteleuropeo. Consiglio di osservare bene Brexit, per rendersi conto di quanto questa opzione sia una zappata sui piedi micidiale (e gli inglesi son forti dei "cugini" oltre atlantico, noi no).



Tocchi proprio il punto cruciale; quello per cui, personalmente, non posso più dirmi di sinistra (ma anche quello per cui
penso che le categorie deboli non siano più difendibili con la teoria "classica" della sinistra).
Allora, ricapitolando un pò, io credo che la difesa delle categorie deboli (che per me è scopo primario) possa attuarsi
solo ed esclusivamente all'interno di uno "stato", cioè di una istituzione che, almeno potenzialmente, impone al "forte"
di rispettare i diritti del debole.
Al di fuori dello "stato" non può esservi difesa dei deboli (se non al limite relegandola alla "compassione" dei singoli
individui -come del resto alcuni hanno teorizzato, soprattutto in area anglosassone), in quanto al di fuori dello "stato"
non può darsi "diritto", ma solo libertà individuale (appunto la libertà di avere compassione dei deboli).
Se si condivide questo primo e basilare punto, il passo successivo è interrogarsi su quale forma dovrebbe avere lo stato.
A mio parere, una istituzione di tipo statuale può avvenire solo se vi è almeno una certa omogeneità culturale.
Questo perchè non può darsi alcun "corpus" normativo tra individui che non posseggono almeno un "sostrato" valoriale
e di principio comune.
In altre parole, lo stato può istituirsi solo ed esclusivamente all'interno di una "comunità" (mentre per la teoria
fondativa della sinistra lo stato può istituirsi all'interno di una "classe" materialmente intesa, ed è comunque
inteso come "fase di passaggio" - verso l'anarchia del "comunismo").
Da questo punto di vista, non può darsi uno "stato" nella globalizzazione; perchè in essa manca la comunità, cioè
perchè manca un sostrato valoriale comune.
Mancando necessariamente lo stato, manca di conseguenza il diritto del debole di essere difeso dalla prepotenza del
forte.
Per quanto riguarda il cosiddetto "feticismo marxiano" (per rispondere all'amico Green Demetr), non vedo cosa c'entri
con le mie osservazioni lungo tutto questo post (che, fra l'altro, "grondano" dappertutto di ammirazione per Marx...).
Per quanto riguarda il voto, il nazionalismo o la Lega, non credo di stare facendo un discorso di "trita" politica.
O almeno me lo auguro...
saluti

PS
Pwe quanto riguarda il "melting pot" che l'Italia sarebbe stata (e, tutto sommato, lo è ancora), vogliamo allegramente
dimenticare che, insomma, qualche "guerricciola" c'è stata, o mi sbaglio?
O vogliamo derubricare tutto ad "incidente di percorso" verso un comunque fulgido e radioso avvenire?
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: InVerno il 07 Marzo 2018, 10:31:19 AM
Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Marzo 2018, 16:24:29 PM
Al di fuori dello "stato" non può esservi difesa dei deboli (se non al limite relegandola alla "compassione" dei singoli
individui -come del resto alcuni hanno teorizzato, soprattutto in area anglosassone), in quanto al di fuori dello "stato"
non può darsi "diritto", ma solo libertà individuale (appunto la libertà di avere compassione dei deboli).
Se si condivide questo primo e basilare punto, il passo successivo è interrogarsi su quale forma dovrebbe avere lo stato.
A mio parere, una istituzione di tipo statuale può avvenire solo se vi è almeno una certa omogeneità culturale.
Sono interamente d'accordo con il tuo assunto, ho partecipato più volte a discussioni di questo tipo cercando di mettere in luce punti molto simili. Il problema è che la sinistra post muro di Berlino, orfana di una proposta di mondo (e di stato), ha scelto l'EU e ci ha messo il carico da 90.. E l'ha scelto attraverso quella formula tedesca delle "sofferenze bancarie che uniranno i popoli" che è un assunto delirante, eppur chiaramente espresso dal cancelliere tedesco. In Italia, unita a quella fretta di regalare sovranità all'EU per governare un popolo "ingovernabile", lo diceva Scalfari, lo diceva Prodi, è un pensiero chiaro nella sinistra e il risultato è il pareggio di bilancio in costituzione e altre primizie che altri stati "europeisti" ben si sognano di sacrificare, tronfi della loro "governabilità". Siamo a ripetere l'ovvio, non si fa un unione monetaria senza un unione fiscale etc etc etc. C'è un errore di fondo nel progetto EU, la sinistra è ferma li e non ha soluzioni se non riparazioni "col cacciavite" (cit) nelle tubature del capitale, sperando che nasca nel frattempo una vera comunità Europea sulla quale fondare uno stato. Sta accadendo l'esatto contrario, gli attriti nazionali stanno riportando il nazionalismo, e l'EU rischia di fallire non perchè l'idea in se sia impossibile (certamente ardua) ma perchè è stata intrapresa al contrario di come doveva. Quando si fanno errori simili Renzi si chiama Hollande, Zapatero, Shultz, Tsipras (a settimane) e Brexit (e Corbyn). Fallimento su tutta la linea, un intero continente senza una sinistra, questo da ricordare agli ossessionati della realpolitik..
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: paul11 il 07 Marzo 2018, 14:41:40 PM
ciao Mauro,
sono semplicemente incazzato da anni che la sinistra abbia perso la cultura, premessa per la teoretica e prassi strategica di un "buon partito".
Marx ha insegnato che l'economia di scambio e le forme di produzione e distribuzione della ricchezza, attraverso analisi (ribadisco analisi  e non "aria fritta"), ha delle sue leggi che hanno come effetto sociale dividere la popolazione in privilegiati ,emarginati, borghesi, proletari.
la forma economica determina quella politica e quella sociologica degl istrati sociali. Pochissimi o quasi nessuno ha saputo riattualizzare il metodo engel/marx nella trasformazione dei mezzi di produzione da parte dei capitalisti e di saperla riconfigurare.
Faccio uu esempio, la fabbrica fordista e taylorista di un luogo si smembrata in punti geografici anche agli antipodi.
sappiamo di società con sede fiscale alle isole Caiman, stabilimenti in Romania, mercato in cui vende la merce  Europa, uffici amministrativi e contabili in India.
La divisione del lavoro è divenuta divisone sempre più internazionale e non controllabile, la sinistra non può abbracciare il ruolo della bandiera sciovinista e nazionalista, perchè un lavoratore oggi accetta di lavorare(se vuol lavorare) e farsi trasferire ovunque nel globo .

La classe lavoratrice sfruttata e proletaria della grande fabbrica che concentrava immigrati e il passaggio dal contado alla città, è finita, smembrata, dissolta. oggi s ideve lavorare nelle prassi sul teriotori oe non più sulla fabbrica.

La classe lavoratrice sfruttata, con la donna che invece che accudire i figli va a lavorare ,segna il passaggio della famiglia multireddito,
l'imborghesimento dei "colletti blu" fino a diventare "aristocrazia operaia" con doppio lavoro negli anni Ottanta.

Quì cade sociologicamente il marxismo e la sinistra storica, (e solo dei deficienti non potevano capirlo) perchè non c'è più la classe , la coscienza di classe, base rivoluzionaria per il sovvertimento e riconquista dei mezzi produttivi.

La sinistra storica è spiazzata, è finito l' operaismo, i filosofi e pensatori in chiave marxista non si raccapezzano più, incapaci della sintesi fra pensiero economico e politico e strategia partitica, e cominciano a patteggiare per la "loro" poltrona parlamentare.

E' fallita la strtegia rivoluzionaria extra parlamentare , è fallita la strategia parlamentare del pragmatismo riformista.
Perchè mancano analisi..............n
Il vecchio PCI toccò il culmine negli anni Settanta con la segreteria Berlinguer e il tentativo con Marchais comunista francese di una teoria comune eurocomunista. E' bastato che negli anni Ottanta, il famoso rampantismo, i sanbabilini, ecc, i processi  riconversione e ristrutturazione industriale deflagrassero in italia con fortissima inflazione e perdita dei primi diritti dei lavoratori, che si applicassero tecniche di mercato fra il just in time e il marketing operativo e strategico per mutare sostanzialmente la riconfigurazione del capitalismo con effetti sul sociale, per spiazzare la forme di consenso sociale dei partiti, che persa la fabbrica, perso il territorio, hanno conciato a fare anche loro gli imbonitori.Ma l agente la pigli per il sedere una volta, forse due, ma poi anche un fesso capisce...........

Infine la globalizzazione.............le sinitre sono rimaste storicamente e intendo anche culturalmente e filosoficamente agli anni Settanta.

C'è un ritardo storico e Marx invece ha insegnato che bisogna lavorare strategicamente di anticipo se si vuole nelle crisi dei cicli economici essere pronti alle riconquiste sociali .
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: Phil il 07 Marzo 2018, 17:36:58 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Marzo 2018, 16:24:29 PM
Allora, ricapitolando un pò, io credo che la difesa delle categorie deboli (che per me è scopo primario) possa attuarsi
solo ed esclusivamente all'interno di uno "stato", cioè di una istituzione che, almeno potenzialmente, impone al "forte"
di rispettare i diritti del debole.
Da ignorante in materia, questa frase mi ha colpito: formalmente, ogni democrazia (anche quelle nate da un coacervo difforme di culture, come quella italiana) ha norme e leggi a tutela del debole. Quale norma nel corpus di leggi italiano, o europeo, o occidentale, mortifica il debole dandolo in pasto al forte?
Scoprire che il denominatore comune fra tutte le culture europee è proprio la difesa del debole, non mi stupirebbe... che poi, concretamente, questa tutela non sia perfetta, incorruttibile ed efficientissima, si spiega con il fatto che viene applicata da umani, non da automi (parlare di nobili ideali non dovrebbe farci perdere il senso di realtà).
Con "difendere i deboli" intendiamo piuttosto risolvere la loro situazione di debolezza, "fortificandoli"?
Qui, a parer mio, giova ricordare quanto già osservato nel disincantato post di Viator sulla "naturale" funzionalità della diseguaglianza (resta comunque legittimo sognare un mondo futuro migliore).


Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Marzo 2018, 16:24:29 PM
A mio parere, una istituzione di tipo statuale può avvenire solo se vi è almeno una certa omogeneità culturale.
Questo perchè non può darsi alcun "corpus" normativo tra individui che non posseggono almeno un "sostrato" valoriale
e di principio comune.
[...]Da questo punto di vista, non può darsi uno "stato" nella globalizzazione; perchè in essa manca la comunità, cioè
perchè manca un sostrato valoriale comune.
Mancando necessariamente lo stato, manca di conseguenza il diritto del debole di essere difeso dalla prepotenza del
forte.
Per quel poco che conosco, la globalizzazione non si sostituisce radicalmente alle differenti culture nazionali, le contamina differentemente senza scardinarle: se consideriamo l'Italia come "globalizzata", non per questo concluderemo che, deboli o forti che siamo, vivere in Italia o in un altro paese "globalizzato" sia indifferente... mi pare che il modo in cui una comunità "recepisca" la globalizzazione sia sempre unico, proprio in virtù del peculiare substrato culturale di partenza (con annessi temi e problemi in corso).
I diritti dei deboli non credo vengano ignorati o calpestati a causa della globalizzazione in sé, ma per fattori contingenti locali, non globali: se non erro (ribadisco la mia ignoranza!) la globalizzazione non ha sacrificato i lavoratori italiani quanto ha sacrificati i lavoratori cinesi o indiani...

Di sovrastruttura in sovrastruttura (nazione, continente, globo), direi che la materia umana di base resta indomita e frammentaria, fatta di sottoculture, di microcosmi, di tribù mimetiche che rielaborano le sollecitazioni esterne secondo i loro "genius loci", mutandoli, rinnovandoli, sconvolgendoli ma senza mai risultare, almeno finora, totalmente indifferenziabili dall'esterno, dalle culture altre.
Oggi abbiamo certamente punti in comune anche con chi abita a 10000 km di distanza, ma le differenze dell'humus culturale sono rilevabili talvolta anche spostandosi di 10 km (varcando un confine...).
Stiamo ancora tentando di "fare gli italiani" mentre l'Italia invecchia (a dimostrazione di come leggi e mercato comuni non significhino cultura comune, nemmeno dopo decenni), e già vogliamo fare gli "europei" e i "globalizzati"... dubito sarà l'uso della lingua inglese, o un sistema operativo da smartphone, o un mercato virtuale online ad omogeneizzare le differenti visioni culturali del mondo.

P.s.
In fondo, anche "proletari di tutto il mondo unitevi" voleva essere una forma di globalizzazione metaculturale, no? ;D
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: Lou il 07 Marzo 2018, 17:56:08 PM
La discussione si è assai sviluppata, io mi chiedo se sia possibile considerare che il fronte globalizzazione non implichi di per sè la idea di uniformizazzione e omogeneità di "visioni" e annichilimento delle differenze, ma possa anche essere considerato quale latore della idea di pluralità, esagerando - di "comunità plurale". Forse perchè non sono del tutto convinta che la comunità sia necessariamente legata all' essere omogenei.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: paul11 il 07 Marzo 2018, 19:23:33 PM
Citazione di: Lou il 07 Marzo 2018, 17:56:08 PM
La discussione si è assai sviluppata, io mi chiedo se sia possibile considerare che il fronte globalizzazione non implichi di per sè la idea di uniformizazzione e omogeneità di "visioni" e annichilimento delle differenze, ma possa anche essere considerato quale latore della idea di pluralità, esagerando - di "comunità plurale". Forse perchè non sono del tutto convinta che la comunità sia necessariamente legata all' essere omogenei.
Risponderei anche a phil, ma mi sembra che l'invito sia rivolto a mauro(ox...).

C'è un doppio binario:
una fabbrica, un ciclo di produzione, servizi, ecc, risponde a standard ingegnerizzati in termini di efficacia ed efficienza che valgono in qualunque luogo del globo lo si voglia impiantare,  ma segue anche l'altro binario, il mercato ha necessità di una differenza, di una disomogeneità affinchè il  luogo dove si vende la merce sia al  prezzo più conveniente e il luogo dove si produce quella merce abbia i costi  più bassi possibili.Così avviene ,tenendo conto se si vendono merci deperibili(alimentari) o conservabili.

Quindi se da una parte si tende all' omogeneità dall'altra il mercato speculativo ha necessità di depressioni, di differenze  affinchè continui a sviluppars.,Il mercato "odia" la stagnazione e l'uniformazione.,Vige la teoria fisica  idraulica ed elettrica, differenze di potenziale, differenze di volumi, di livelli diversi, affinchè si renda dinamico, "si muova" il mercato speculativo.
C'è quindi una spinta e una controspinta interna nel mercato del lavoro, finanziario, delle merci.
Quello che è avvenuto e avviene è una deflagrazione interna verticale ed orizzontale sociologicamente che ha scombussolato sia il concetto di famiglia, che di territorio. Ma è chiaro che le culture tendono a difendersi, i quartieri cinesi, marocchini, africani, sono difese di identità culturali, baluardi verso l'esterno.E' del tutto normale questa forma di resistenza.La storia degli ebrei e delle loro comunità "chiuse"fino al ghetto  è un esempio millenario. Ma all'interno delle singole culture esiste una mobilità sociale intesa dal lavavetri al dirigente o proprietario del negozio o artigiano.
Una volta, nella grande fabbrica italiana erano i dialetti a differenziare le provenienze, ma erano le condizioni sociale a uniformare la condizione di cementare le differenze. la coscienza di difesa di gruppo era più forte delle differenze.
Oggi si assiste al contrario troppo spesso, ma anche perchè pochi o nessuno, fra sindacati o partiti creano le condizioni rivendicative per identificare il gruppo sociale sui diritti, per cui si assiste all'individualismo.
Teniamo presente che le differenze tipologiche dei contratti di lavoro hanno contribuito alla divisone e grazie anche alle "sinistre" al potere.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 07 Marzo 2018, 20:05:27 PM
Provo un pò a rispondere a tutti gli interventi (cosa non facilissima...).
Gli ultimi due interventi, di Phil e di Lou, mi pare pongano l'accento sulla globalizzazione; e allora vi invito a
chiedervi: "cos'è la globalizzazione?"
A parer mio, la globalizzazione NON E' quell'interscambio di popoli e di culture che, in fondo, c'è sempre stato.
No, la globalizzazione è, ritengo, il processo per cui la "tecnica" tende sempre più a diventare potere politico
(da cui "tecnocrazia").
Oggi, il "mercatismo" (che personalmente preferisco al vetusto -e fonte di frantendimenti- "capitalismo") è lo
strumento più efficace di cui la volontà di potenza dell'individuo (il cui emergere caratterizza più di ogni altra
cosa la modernità) può servirsi. Per cui con il termine "tecnica" si intende particolarmente la tecnica mercatistica
(o capitalistica, se proprio si vuole).
Di conseguenza, la globalizzazione è il processo per cui il "mercato" tende sempre più a diventare potere politico.
Ma se il mercato tende sempre più a diventare potere politico, questo vuol dire che il potere politico come lo si è
sempre inteso si sta progressivamente obliando. Nel nostro caso e in molti altri, questo potere politico che va
obliandosi è quello della democrazia.
Se nella democrazia (tanto per restare al nostro caso), i rapporti di forza sono stabiliti "ab-solutum" (cioè vi sono
leggi valide per tutti), nel mercato i rapporti di forza sono necessariamente subordinati al "contratto" fra privati
individui, per cui la parte contraente "forte" (ad es. una multinazionale) predomina su quella "debole" (un precario).
Questo vuol semplicemente dire che nella globalizzazione i diritti dei deboli vengono necessariamente subordinati alla
"compassione" (o, come quasi sempre, alla prepotenza) della parte contraente forte.
L'oblio del potere politico come lo si è sempre inteso è dovuto principalmente all'emergere dell'individuo (che, abbiamo
sommariamente visto, è alla base dell'avvento del mercato come "tecnica" - e quindi potere politico- più efficace che esso,
l'individuo, ha a disposizione allo scopo di soddisfare la propria volontà di potenza); un emergere che travolge dunque
lo stato, la democrazia, come ogni altra organizzazione di tipo collettivo.
Naturalmente la "classe" marxiana, quale organizzaziobe di tipo collettivo, ne è anch'essa travolta.
In questo preciso punto si inserisce la mia proposta (mia per modo di dire...). Se (SE...) l'unica organizzazione di tipo
collettivo che ancora mostra segni di resistenza alla travolgente emersione dell'individuo è la "comunità", allora è solo
su di essa che può fondarsi la possibilità di una restaurazione del potere politico "ab-solutum", cioè in possibilità
fondato su leggi di giustizia valide per tutti.
Naturalmente, la strada "ideale" sarebbe un'Unione Europea coesa, "dei popoli" (come qualcuno usa dire). Ma una Unione
siffatta è molto là da venire, e anzi non si vede all'orizzonte nessuno che abbia seriamente l'intenzione di procedere
su quella strada.
Come ben sottolinea l'ottimo intervento dell'amico InVerno.
saluti
PS
Rileggendo, mi sono accorto di non aver risposto sul rapporto fra il mercato e l'espansione di cui esso necessita (per
cui oggi abbiamo la globalizzazione). Mi riprometto di farlo appena posso (oltre che rispondere all'ultimo intervento di
Paul11)
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: Socrate78 il 07 Marzo 2018, 20:43:09 PM
Io invece non sono mai stato di "sinistra", perché dovrei esserlo? Non comprendo poi perché si ritenga che chi è di sinistra sia dalla parte del bene, della giustizia, e chi è dalla parte opposta voglia solo sostenere i privilegi dei potenti a prescindere da tutto. Io ritengo che la cultura della sinistra sia contro la libertà dell'individuo: il comunismo è stata tra le peggiori disgrazia dell'umanità, sì, ha prodotto solo tirannia, deportazioni, riduzione della libertà individuale ed economica del singolo, in nome di un'uguaglianza imposta che è solo tirannia. Nessuno, e sottolineo nessuno, deve dirmi quanta ricchezza devo possedere, e i comunisti non facevano altro in Russia che deportare nei gulag i contadini più benestanti (i kulaki), senza tener conto del fatto che la ricchezza produce altra ricchezza, ed è follia rendere tutti più uguali facendo patire loro la fame. Non solo, la rivoluzione bolscevica era stata favorita dai gruppi di banchieri, era funzionale agli interessi capitalistici se non lo sapete.
Il valore dell'uguaglianza è qualcosa di assolutamente contrario alla libertà: infatti quando lo Stato decide di stabilire un'uguaglianza dall'alto, esso non fa altro che dare limiti e paletti all'intelligenza dell'individuo. Conta e deve contare solo il merito.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: paul11 il 07 Marzo 2018, 22:11:11 PM
Citazione di: Socrate78 il 07 Marzo 2018, 20:43:09 PM
Io invece non sono mai stato di "sinistra", perché dovrei esserlo? Non comprendo poi perché si ritenga che chi è di sinistra sia dalla parte del bene, della giustizia, e chi è dalla parte opposta voglia solo sostenere i privilegi dei potenti a prescindere da tutto. Io ritengo che la cultura della sinistra sia contro la libertà dell'individuo: il comunismo è stata tra le peggiori disgrazia dell'umanità, sì, ha prodotto solo tirannia, deportazioni, riduzione della libertà individuale ed economica del singolo, in nome di un'uguaglianza imposta che è solo tirannia. Nessuno, e sottolineo nessuno, deve dirmi quanta ricchezza devo possedere, e i comunisti non facevano altro in Russia che deportare nei gulag i contadini più benestanti (i kulaki), senza tener conto del fatto che la ricchezza produce altra ricchezza, ed è follia rendere tutti più uguali facendo patire loro la fame. Non solo, la rivoluzione bolscevica era stata favorita dai gruppi di banchieri, era funzionale agli interessi capitalistici se non lo sapete.
Il valore dell'uguaglianza è qualcosa di assolutamente contrario alla libertà: infatti quando lo Stato decide di stabilire un'uguaglianza dall'alto, esso non fa altro che dare limiti e paletti all'intelligenza dell'individuo. Conta e deve contare solo il merito.
ciao Socrate(mi verrebbe da dire che sono Platone :D),
ritengo che si possa essere di destra nobile come di sinistra nobile quando sono chiari i valori le argomentazioni in primis culturali.Oggi nemmeno la destra ha qualità culturali, i giochi di potere partitici hanno fatto fuggire chi poteva e avrebbe voluto suggerire un minimo di cultura, riflessione.
Storicamente già in Grecia importanti filosofi erano contro la democrazia ad esempio e contro l'uguaglianza. e per il merito.
Mi va bene, personalmente ed è ribadisco nobile di pensiero e degna di essere tenuta in considerazione se relaziona il concetto sociale economico con la legge politica, insomma sarebbe da dire come i valori, i principi generali che fondano una comunità diventano diritto pubblico, diritto privato senza creare quella diseguaglianza tale per cui la tolleranza fra le classi mantenga unita ancora la comunità. In fondo le pensioni, gli assegni famigliari per i i figli, furono creati in Italia dalla destra sociale e non dalla sinistra. quindi per quanto mi riguarda l'importante è alzare il livello qualitativo del pensare e fare politica,rispettando i pensieri altrui.Questo è il tempo dell'ascolto per poter riflettere e ripensare la politica.Pensatori seri di destra e sinistra storicamente ve ne sono stati parecchi
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: Phil il 07 Marzo 2018, 22:27:57 PM
@Lou
Il senso del mio intervento va a nozze con la tua prospettiva. Per me, la globalizzazione complica e diversifica più di quanto unifichi o disperda. Con un esempio banale direi che la globalizzazione è come avere nella mia città ristoranti indiani, cinesi e kebabbari che magari mandano parte dei soldi guadagnati in patria. Ciò non comporta che la cucina italiana sparisca o che in tutto il mondo si mangi allo stesso modo; nasce invece la possibilità (non la necessità) di meticciare la cucina italiana, creando nuovi menù.
Per quanto riguarda il flusso economico che non rimane in Italia e viaggia verso paesi esteri, è da valutare anche il percorso inverso, ovvero che i ristoranti italiani all'estero possono inviare qui parte del loro ricavo. Certamente i temi economici della globalizzazione sono molteplici e delicati, non voglio banalizzare troppo.

@Oxdeadbeef
Tornando in topic (non volevo deviare il discorso sulla globalizzazione decontestualizzandola dal tema che avevi proposto), se per globalizzazione intendiamo
Citazione di: 0xdeadbeef il 07 Marzo 2018, 20:05:27 PM
la globalizzazione è il processo per cui il "mercato" tende sempre più a diventare potere politico.
mi viene in mente, per quel poco che so, che la politica è andata sempre a braccetto con il "mercato": oltre alla supremazia militare, il potere politico si (auto)legittima anche economicamente.
Le azioni di un popolo per ottenere risorse da sfruttare economicamente, scandiscono la storia politica dell'uomo, basti pensare alle rotte pioneristiche degli esploratori (Marco Polo, Colombo e compagnia... e non intendo solo "compagnia delle Indie"), ai colonialismi-imperialismi vari (fino all'"esportazione della democrazia"), hanno sempre viaggiato sulle due "ali" dell'economia e della politica.
La globalizzazione è forse solo una questione di unità di misura (il globo), ma se definita come "politica mercatocratica" mi pare sia da sempre un movente cardine delle dinamiche inter-culturali (ovvero fra culture, popoli, stati e nazioni).

Citazione di: 0xdeadbeef il 07 Marzo 2018, 20:05:27 PM
Se nella democrazia (tanto per restare al nostro caso), i rapporti di forza sono stabiliti "ab-solutum" (cioè vi sono
leggi valide per tutti), nel mercato i rapporti di forza sono necessariamente subordinati al "contratto" fra privati
individui, per cui la parte contraente "forte" (ad es. una multinazionale) predomina su quella "debole" (un precario).
Questo vuol semplicemente dire che nella globalizzazione i diritti dei deboli vengono necessariamente subordinati alla
"compassione" (o, come quasi sempre, alla prepotenza) della parte contraente forte.
Una "comunità plurale" o "globalizzata", con differenti legami culturali radicati fuori dal suolo della patria, non è necessariamente in difficoltà nella difesa del debole sul suo territorio, dove vigono comunque leggi statali. Se tali leggi tutelano e aiutano il debole (sussidi, risorse varie, assistenza, etc.) la dimensione globalizzata della comunità e del mercato a cui partecipa, non intralcia affatto tale funzione di sostegno sociale.
Il che non significa certo che il precario possa vantare un ruolo di concorrenza alle multinazionali: il singolo soccombe sempre, anche il singolo più "forte" (economicamente e politicamente) è tale in virtù di accordi (più o meno formalizzati), relazioni delicate e vincolanti. Il mito dell'individualismo vincente (made in usa) si schianta proprio contro la ragnatela di relazioni di potere del mercato globale: il singolo è "di facciata", ha ruolo mediatico per una folla che ama la figura del leader, ma il singolo che splende in copertina riceve la luce da cento altri singoli, magari meno appariscenti, ma che fondano il potere di cui quel singolo è solo il "logo umano", il simbolo di marketing che trascende tutta la piramide che lo eleva. Attualmente "individuo di successo" è una contraddizione in termini, proprio per la complessità della struttura sociale, politica ed economica (nel microcosmo delle città-stato della Grecia era certo più facile che il singolo si guadagnasse il successo "individualmente").

Sicuramente c'è un legame fra leggi di mercato (basate sul dinamismo ben spiegato da paul11) e leggi politiche, ma non sono sicuro che i diritti dei deboli siano politicamente, legislativamente, "travolti"(cit.) di diritto da quelli strettamente economici (almeno dalle nostre parti). Certamente, di fatto, nessuno ama recitare il ruolo del debole e non è una consolazione avere qualche legge di tutela; eppure dare per scontate quelle leggi sarebbe, secondo me, una leggerezza esistenziale... (forse sono solo troppo ottimista).


@Socrate78
Anch'io non sono di sinistra (né di destra, né altro), ma trovo sia un interessante "esercizio ermeneutico" cercare di affrontare la questione della "inattualità della sinistra" posta da Oxdeadbeef, cercando di guardarla dall'interno (nei limiti del possibile), ovvero fermandosi un passo prima dall'impantanarsi nella questione "veritativa" dei giudizi di valore (è giusto/sbagliato, è vero/falso, è bene/male, etc.).
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: paul11 il 08 Marzo 2018, 00:18:37 AM
c'è da fare chiarezza su un punto storico fondamentale.
La storia dei diritti sociali vine addirittura dall'Ottocento con lotte.nessuno o rari casi, ha volutamnte lasciato parte del proprio potere a vantaggio della parte più debole dandogli un diritto e un diritto se è legge diventa inalienabile e inviolabile.

E' quì che storicamente ha vinto il "progresso sociale" riformista che ha incanalato nei parlamenti degli Stati occidentali lotte e malcontenti concedendo diritti sociali. Oggi se c'è assistenza, previdenza, quello che è stato definito stato del benessere o welfare state è sicuramente un progresso nella storia umana sociale,Casi di morti di fame o di malsanità sono da telegiornali tanto sono eccezioni e non ordinarietà.Questo è un fatto ed è frutto sia di destra che sinistra  sociale.
Il rapporto conflittuale è sempre stato fra economia e politica, la prima del privato nello scambio economico che genera un valore aggiunto ,un surplus e la politica che sceglie a seconda del governo di sinistra o destra di generare una ridistribuzione attraverso la fiscalità da riversare nella previdenza, assistenza, sanità, scuola pubblica.Il ruolo quindi dello stato è regolatore della differenza economica per pacificare il conflitto sociale, mantenerlo nelle regole della tolleranza democratica.
Keynes diceva che lo stato sociale costruito dallo Stato era come un aumento di stipendio/salario, essendo gratuito o quasi.

Da qualche anno assistiamo al dissesto dello stato sociale, del welfare, e le sinistre di tutti i Paesi avanzati sono sparite, proprio nel momento in cui la globalizzazione ha accentuato il suo passo. E' accaduto, per farla breve che lo Stato ha tolto un poco o tanto delle risorse economiche nel welfare sociale e si è messo a fare welfare alle multinazioali e al potere finanziario delle banche.In questa logica sono caduti anche i governi di sinistra e non intendo solo in Italia,perchè il problema è internazionale e la cultura è internazionale .Il ruolo compensativo dello Stato sulle discrepanze, differenze economiche di reddito che era appannaggio dei programmi politiici della sinistra(salvaguardia dell'occupazione, più investimenti =più lavoro,ecc) è saltato.
Le leve del potere centrale degli Stati nell'Europa è passato ai commissari europei e al governatore della banca centrale europea.
Abbiamo visto tutti la sinistra direi radicale in Grecia doversi piegare alle volontà della centrale Europa ricattata dalla manovra economica imposta dal Fondo Monetario Internazionale e dalla BCE. Lo Stato singolo ha perso potere e adatto che la sinistra ha sempre avuto il ruolo sociale nel pragmatismo riformista, di regolare gli scompensi dei redditi privati, da allora non ha più quella indipendenza di governo, la sua manovra è molto più limitata per cui il suo pensiero politico storico entra in contraddizione con il potere economico della deregolazione dei diritti che impone il capitale internazionale, in quanto è il mercato(lo disse Monti quando la prima notizia dei telegiornali che per mesi ci tempestò sullo "spread" differenziale fra gli investitori del nostro debito in rapporto a quello tedesco.Il nostro destino era in mano agli investitori internazionali,mentre la Fornero racimolava risparmio sul diritto pensionistico dei lavoratori con un Parlamento silente al "colpo di Stato".

Qualche tempo fa collegai le date dei Trattati europei con i governi italiani di allora e l'accoglimento di qesuti dentro la legiìslaizone italiana.
Sono responsabili tutti i tipi di governo, dalla sinistra alla destra al centro, da Andreotti, Ciampi, Prodi a quelli di poc'anzi , con
Lega, pdi di D'alema.E' quì che la politica ha scavato la sua fossa.La crisi della sinistra è solo la punta dell'iceberg della crisi della politica in rapporto alla configurazione economica globale che ha mutato sociologicamente le condizioni sociali.
La prima condizione è la ripresa dell'autonomia e indipendenza dello Stato come leva del governo sul potere economico, diversamente è finita davvero la politica e stiamo andando verso qualcosa d'altro come i cinque stelle stanno dimostrando, privi di un programma sociale e di una cultura sociale storica. Voglio vederli confrontarsi con i poteri centrali europei che fra poco tuoneranno sui soliti indici e le speculazioni finanziarie degli avvoltoi che non tarderanno ad arrivare.,così come la coalizione di centro destra con il programma della lega in testa...........
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: baylham il 08 Marzo 2018, 09:34:45 AM
Citazione di: paul11 il 08 Marzo 2018, 00:18:37 AM
Qualche tempo fa collegai le date dei Trattati europei con i governi italiani di allora e l'accoglimento di qesuti dentro la legiìslaizone italiana.
Sono responsabili tutti i tipi di governo, dalla sinistra alla destra al centro, da Andreotti, Ciampi, Prodi a quelli di poc'anzi , con
Lega, pdi di D'alema.E' quì che la politica ha scavato la sua fossa.La crisi della sinistra è solo la punta dell'iceberg della crisi della politica in rapporto alla configurazione economica globale che ha mutato sociologicamente le condizioni sociali.
La prima condizione è la ripresa dell'autonomia e indipendenza dello Stato come leva del governo sul potere economico, diversamente è finita davvero la politica e stiamo andando verso qualcosa d'altro come i cinque stelle stanno dimostrando, privi di un programma sociale e di una cultura sociale storica. Voglio vederli confrontarsi con i poteri centrali europei che fra poco tuoneranno sui soliti indici e le speculazioni finanziarie degli avvoltoi che non tarderanno ad arrivare.,così come la coalizione di centro destra con il programma della lega in testa...........

La prima condizione per ridare forza alla politica non è il nazionalismo, ma l'internazionalismo, come Marx aveva ben capito già nell'Ottocento: se il livello economico è globale anche la politica deve essere globale.  Le politiche sociali la Sinistra le deve proporre a livello europeo o mondiale per essere un minimo credibili.

L'europeismo perciò non ha scavato la fossa alla politica, ha fatto il contrario, ha colto la giusta dimensione della politica.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: InVerno il 08 Marzo 2018, 09:57:26 AM
Citazione di: Lou il 07 Marzo 2018, 17:56:08 PM
La discussione si è assai sviluppata, io mi chiedo se sia possibile considerare che il fronte globalizzazione non implichi di per sè la idea di uniformizazzione e omogeneità di "visioni" e annichilimento delle differenze, ma possa anche essere considerato quale latore della idea di pluralità, esagerando - di "comunità plurale". Forse perchè non sono del tutto convinta che la comunità sia necessariamente legata all' essere omogenei.
Penso che la comunità sia necessariamente legata ad un certo grado di omogeneità, per quanto mi riguarda per esempio è assolutamente impensabile fare una comunità Europea senza una lingua franca (il che nella migliore delle ipotesi prospetta un ulteriore travaglio di 30-40 anni alla sinistra, prima di avere una nazione europea). Penso tuttavia sia possibile salvaguardare le pluralità attraverso il federalismo, ma la problematica centrale del federalismo è il territorio, l'idea di città, lo sviluppo concreto di micro-comunità, quel collettivismo anticapitalista che pare non trovare alcun tipo di ombrello ove ripararsi e che si vorrebbe instaurare su un territorio sviluppato in maniera centralista.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 08 Marzo 2018, 20:27:41 PM
Citazione di: Phil il 07 Marzo 2018, 22:27:57 PM

mi viene in mente, per quel poco che so, che la politica è andata sempre a braccetto con il "mercato": oltre alla supremazia militare, il potere politico si (auto)legittima anche economicamente.
Le azioni di un popolo per ottenere risorse da sfruttare economicamente, scandiscono la storia politica dell'uomo, basti pensare alle rotte pioneristiche degli esploratori (Marco Polo, Colombo e compagnia... e non intendo solo "compagnia delle Indie"), ai colonialismi-imperialismi vari (fino all'"esportazione della democrazia"), hanno sempre viaggiato sulle due "ali" dell'economia e della politica.
La globalizzazione è forse solo una questione di unità di misura (il globo), ma se definita come "politica mercatocratica" mi pare sia da sempre un movente cardine delle dinamiche inter-culturali (ovvero fra culture, popoli, stati e nazioni).


Una "comunità plurale" o "globalizzata", con differenti legami culturali radicati fuori dal suolo della patria, non è necessariamente in difficoltà nella difesa del debole sul suo territorio,




Nel precedente post, avevo definito la globalizzazione come il processo per cui il mercato tende sempre più a diventare
potere politico.
In realtà, come dicevo nel poscritto, rilegggendo quel post mi ero accorto di aver omesso una parte importante, e cioè
quella per cui il mercato necessita di una espansione continua (la qual cosa, evidentemente, porta alla globalizzazione).
Dunque correggo così la definizione: la globalizzazione è la dimensione massima dell'espansione del mercato (che tende
sempre più a diventare potere politico).
Che il mercato tenda sempre più a diventare potere politico mi sembra palese.
Da dove viene la perdità di sovranità degli stati di cui tanto si parla se non da un potere economico che gli stati ormai
sovrasta? Di esempi ve ne sono a bizzeffe; dal caso della Grecia alle continue ingerenze della tecnocrazia di Bruxelles
verso i nostri governi, come si suol dire, "democraticamente eletti" (laddove la suddetta tecnocrazia non lo è affatto,
ma è appunto espressione della "tecnica" mercatistica).
Che poi questa "tecnica mercatistica" non favorisca la parte contraente forte su quella debole è una affermazione che
mi lascia sbigottito (probabilmente devo inforcare un buon paio di occhiali quando vado a leggere certi dati sulla
povertà che avanza, visto che allora ci vedo male...).
La politica non è andata "sempre" a braccetto con il mercato. Se proprio devo individuare un periodo storico che somiglia,
sotto questo aspetto, alla contemporaneità direi proprio il Rinascimento; periodo in cui, e non certo per caso, il
potere politico fu preso dai mercanti e dai banchieri.
Intendiamoci, il potere politico non ha mai disdegnato la ricchezza (e ci ha spesso "flirtato"...), ma un conto è un
potere politico che regola (e magari sfrutta anche) la ricchezza; un altro è un potere politico che DALLA ricchezza è
deposto (come deposti furono i Comuni italiani medievali dal mercante (poi "signore") rinascimentale, e come tutto
sommato deposto fu il governo Berlusconi dagli omologhi "signori" della tecnocrazia europea e dei mercati finanziari
mondiali).
Ma, dicevo, bisogna spendere qualche parola sulla globalizzazione come dimensione massima dell'espansione del mercato.
Personalmente (ma non sono certo il solo...), definisco "mercatismo" la dimensione quasi "ontologica" che ormai hanno
assunto l'economia e le sue "leggi". Una dimensione che sta spazzando via ogni altro "potere" ad esse concorrente.
Per una fondamentale legge economica (detta "di scala"), vi è una intima relazione fra la dimensione e la produzione
di un impianto aziendale e la sua capacità di diminuire il costo medio unitario di produzione.
In parole povere (ma già quelle lo sono assai...), più una azienda è grande minore è il costo della merce
che essa produce (con grande beneficio della competitività, ovviamente).
Questo è, in radice, il motivo per cui al mercato stanno stretti i confini nazionali (e questo è anche il motivo per
cui l'economia si è "trasferita" dal piccolo reale al più grande virtuale...).
Non è certo per caso che la globalizzazione così come la intendiamo ha una precisa data di nascita. Nel 1989 infatti, a
"muro" non ancora crollato, R.Reagan e M.Thatcher firmarono la celebre intesa sulla libera circolazione di capitale,
cui presto seguirono le aziende "fisiche" (nel 92 nella sola città rumena di Timisoara vi erano 5000 aziende italiane)
e, da ultime, le persone.
saluti
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: Phil il 08 Marzo 2018, 21:37:03 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 08 Marzo 2018, 20:27:41 PM
Che poi questa "tecnica mercatistica" non favorisca la parte contraente forte su quella debole è una affermazione che
mi lascia sbigottito (probabilmente devo inforcare un buon paio di occhiali quando vado a leggere certi dati sulla
povertà che avanza, visto che allora ci vedo male...).
A scanso di equivoci, chiarisco che con:
Citazione di: Phil il 07 Marzo 2018, 22:27:57 PM
Una "comunità plurale" o "globalizzata" [...] non è necessariamente in difficoltà nella difesa del debole sul suo territorio, dove vigono comunque leggi statali. Se tali leggi tutelano e aiutano il debole (sussidi, risorse varie, assistenza, etc.) la dimensione globalizzata della comunità e del mercato a cui partecipa, non intralcia affatto tale funzione di sostegno sociale.
[...]
Sicuramente c'è un legame fra leggi di mercato [...] e leggi politiche, ma non sono sicuro che i diritti dei deboli siano politicamente, legislativamente, "travolti"(cit.) di diritto da quelli strettamente economici (almeno dalle nostre parti).
non intendevo affatto che la povertà non stia avanzando (non conosco i dati, mi fido senza esitazione di te :) ), quanto piuttosto che sul piano politico, oggi la debolezza economica non è anche necessariamente una debolezza di diritti, una mancanza di difesa del debole (l'aspetto che hai individuato come perno fondamentale del discorso).
Chiedo: lo stato sociale di oggi è meno "accudente" di quello dei rampanti anni ottanta, soprattutto al netto della differenza di andamento economico ("boom vs crisi")?

Bisognerebbe forse fare una "fenomenologia della debolezza", distinguendo accuratamente il piano politico da quello economico, non perché i due non siano intrecciati (indubbiamente!), ma perché talvolta l'economia opprime ma il welfare decomprime, o almeno ci prova (fino a un secolo fa, il debole era oppresso in entrambi i settori, economia e diritti-sussidi, ora la debolezza economica va ripensata nel contesto democratico vigente). In questo senso scrivevo che il paradigma di sinistra "classico" va rivisitato nel cuore delle sue categorie, figlie di un'epoca differente (e, sempre a scanso di equivoci, non dico fosse un'epoca migliore o peggiore: nessuna teleologia storicistico-metafisica  ;) ).
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: InVerno il 08 Marzo 2018, 22:37:02 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 08 Marzo 2018, 20:27:41 PMPer una fondamentale legge economica (detta "di scala"), vi è una intima relazione fra la dimensione e la produzione
di un impianto aziendale e la sua capacità di diminuire il costo medio unitario di produzione.
E' proprio il prezzo marginale, azzerato lentamente dalla digitalizzazione, a mettere in atto quell'esaurimento del sistema. Leggendo però Socrate (l'utente) che contrappone una sinistra egalitaria e classista, ad una destra libertaria e meritocratica, mi rendo conto di una contraddizione. La forza politica che ragiona per classi orizzontali, ad oggi, è la destra. Non la destra riformista (o centralista) e neoliberista che bene o male sta seguendo lo stesso andamento della controparte, ma quella destra nazionalista (in europa "lepenista") che sta invece guadagnando terreno, spaventando proprio quel capitale che riconosce nelle pastoie nazionali una iattura "antimeritocratica". Se tanto mi da tanto, quando Benoist descriveva il fascismo come "un socialismo senza materialismo e internazionalismo" , Socrate e noi dovremmo ben ponderare le analisi. E' inutile comunque paventare spauracchi "fascisti", esistono esempi ben più gentili di queste transizioni politiche, come accadde in America a cavallo dell'ultimo secolo dove partito Repubblicano e Democratico si scambiarono  diametralmente di posizione ruotando intorno all'idea della dimensione dello stato, tensione che poi terminerà nel New Deal, da parte di quella forza politica che trentanni prima predicava turboanarcocapitalismo.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: green demetr il 09 Marzo 2018, 02:54:18 AM
Citazione di: paul11 il 07 Marzo 2018, 19:23:33 PM
Il mercato "odia" la stagnazione e l'uniformazione.,Vige la teoria fisica  idraulica ed elettrica, differenze di potenziale, differenze di volumi, di livelli diversi, affinchè si renda dinamico, "si muova" il mercato speculativo.

....Ma è chiaro che le culture tendono a difendersi, i quartieri cinesi, marocchini, africani, sono difese di identità culturali, baluardi verso l'esterno.E' del tutto normale questa forma di resistenza.La storia degli ebrei e delle loro comunità "chiuse"fino al ghetto  è un esempio millenario.


Concordo con tutto quanto hai detto finora.

Il punto è che il mercato non è una specie di entità fantasma.

Il mercato è il desiderio feticista della gente.

Il problema non è tanto gestirlo, quanto sorpassarlo. Credo che in fondo di questo si occupi Marx quando prova l'ipotesi della abolizione della proprietà privata.

Ora non mi sembra che l'ipotesi della fine della storia di Marx-Hegel, sia cosa carina da dirsi.

Che facciamo aspettiamo che la gente si dissolva da sè? Ma intanto dissolve il Mondo, come spesso piace dire a Sgiombo.


Certo che fin quando pensiamo al mercato come entità a se stante...non siamo certo nemmeno sul tavolo della discussione politica.
Poi se la socialdemocrazia mette a capo Macron in Francia, e ora il capo dell'ILVA in Italia....non saprei.

In Francia ha funzionato...ma in ITALIA la vedo dura.

Periodo complicato per le menti grige che vogliono vendere fumo.....

E comunque il problema intellettuale rimane, cosa fare?
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: green demetr il 09 Marzo 2018, 02:55:34 AM
Citazione di: Lou il 07 Marzo 2018, 17:56:08 PM
La discussione si è assai sviluppata, io mi chiedo se sia possibile considerare che il fronte globalizzazione non implichi di per sè la idea di uniformizazzione e omogeneità di "visioni" e annichilimento delle differenze, ma possa anche essere considerato quale latore della idea di pluralità, esagerando - di "comunità plurale". Forse perchè non sono del tutto convinta che la comunità sia necessariamente legata all' essere omogenei.

Ti pare che in Arabia la pensino come noi???

No la tua preoccupazione è eccessiva.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: green demetr il 09 Marzo 2018, 03:08:03 AM
Citazione di: Phil il 07 Marzo 2018, 17:36:58 PM
P.s.
In fondo, anche "proletari di tutto il mondo unitevi" voleva essere una forma di globalizzazione metaculturale, no? ;D


Ma globalizzazione è intesa infatti del mercato, non delle nazioni.

A mio parere l'internazionalismo è ancora molto importante.

Ma il dibattito pubblico, che seguo tramite Zizek, è alquanto modesto, e legato alle poltrone.

Per esempio il problema della immigrazione è noto da moltissimo tempo.

Ma quei pochi intellettuali di sinistra che hanno spinto ad affrontarlo sono stati tacciati di filo-capitalismo....

In realtà è solo che non volevano affrontare un tema tabù che normalmente era nella faretra della ideologia di sinistra. Per mantenere la poltrona.

Li fai fessi una, due tre volte, alla quarta la sinsitra è sparita  repentinamente in tutta europa!!!

E non vedo proprio come possa ricostituirsi...sono fermi agli anni 70. Concordo con Paul....

Figurati se si mettono lì a ragionare (e a recuperare 50 anni di critiche scomode, e riconsiderarle poi....ma sai che affronto!)....fa da sfigato!....meglio diventare altra cosa....ossia populisti migliori degli altri.....

Che la giostra cominci.....io i pop corn li ho già presi  ;D

temo che finirò alla scheda bianca...o comincerò a votare partiti sotto il 3%.

Oddio ad oggi non ne vedo nemmeno uno...ma non si sa mai.  ;)   (è pur vero che non li conosco tutti).
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: anthonyi il 09 Marzo 2018, 13:30:46 PM
Citazione di: paul11 il 08 Marzo 2018, 00:18:37 AM

E' quì che storicamente ha vinto il "progresso sociale" riformista che ha incanalato nei parlamenti degli Stati occidentali lotte e malcontenti concedendo diritti sociali. Oggi se c'è assistenza, previdenza, quello che è stato definito stato del benessere o welfare state è sicuramente un progresso nella storia umana sociale,Casi di morti di fame o di malsanità sono da telegiornali tanto sono eccezioni e non ordinarietà.Questo è un fatto ed è frutto sia di destra che sinistra  sociale.
Il rapporto conflittuale è sempre stato fra economia e politica, la prima del privato nello scambio economico che genera un valore aggiunto ,un surplus e la politica che sceglie a seconda del governo di sinistra o destra di generare una ridistribuzione attraverso la fiscalità da riversare nella previdenza, assistenza, sanità, scuola pubblica.Il ruolo quindi dello stato è regolatore della differenza economica per pacificare il conflitto sociale, mantenerlo nelle regole della tolleranza democratica.
Keynes diceva che lo stato sociale costruito dallo Stato era come un aumento di stipendio/salario, essendo gratuito o quasi.

Da qualche anno assistiamo al dissesto dello stato sociale, del welfare, e le sinistre di tutti i Paesi avanzati sono sparite, proprio nel momento in cui la globalizzazione ha accentuato il suo passo. E' accaduto, per farla breve che lo Stato ha tolto un poco o tanto delle risorse economiche nel welfare sociale e si è messo a fare welfare alle multinazioali e al potere finanziario delle banche.In questa logica sono caduti anche i governi di sinistra e non intendo solo in Italia,perchè il problema è internazionale e la cultura è internazionale .Il ruolo compensativo dello Stato sulle discrepanze, differenze economiche di reddito che era appannaggio dei programmi politiici della sinistra(salvaguardia dell'occupazione, più investimenti =più lavoro,ecc) è saltato.
Le leve del potere centrale degli Stati nell'Europa è passato ai commissari europei e al governatore della banca centrale europea.

Mi sembra che alla base del tuo ragionamento ci sia l'idea che il welfare sia un prodotto dell'azione politica, mentre invece la prima precondizione del welfare è la crescita economica, se non ci sono risorse il welfare non può essere finanziato. Purtroppo un certo pensiero di sinistra è capace solo di riflettere sulle dimensioni delle fette di torta e non capisce che prima di fare le fette bisogna fare la torta. Ci sono evoluzioni della sinistra più liberali che invece lo hanno capito ed è per questo che dedicano la loro attenzione alle multinazionali (ma anche alle industrie nazionali) e alle banche, e lo fanno per creare/mantenere quelle condizioni di crescita economica che altrimenti non ci sarebbero. Purtroppo questo non lo hanno capito tanti cittadini del nostro paese che preferiscono credere alle sirene di illusorie maxi-torte alle quali abbuffarsi che non si capisce bene chi preparerà.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 09 Marzo 2018, 15:32:48 PM
Citazione di: Phil il 08 Marzo 2018, 21:37:03 PM
non intendevo affatto che la povertà non stia avanzando (non conosco i dati, mi fido senza esitazione di te :) ), quanto piuttosto che sul piano politico, oggi la debolezza economica non è anche necessariamente una debolezza di diritti, una mancanza di difesa del debole (l'aspetto che hai individuato come perno fondamentale del discorso).
Chiedo: lo stato sociale di oggi è meno "accudente" di quello dei rampanti anni ottanta, soprattutto al netto della differenza di andamento economico ("boom vs crisi")?

Bisognerebbe forse fare una "fenomenologia della debolezza", distinguendo accuratamente il piano politico da quello economico, non perché i due non siano intrecciati (indubbiamente!), ma perché talvolta l'economia opprime ma il welfare decomprime, o almeno ci prova (fino a un secolo fa, il debole era oppresso in entrambi i settori, economia e diritti-sussidi, ora la debolezza economica va ripensata nel contesto democratico vigente). In questo senso scrivevo che il paradigma di sinistra "classico" va rivisitato nel cuore delle sue categorie, figlie di un'epoca differente (e, sempre a scanso di equivoci, non dico fosse un'epoca migliore o peggiore: nessuna teleologia storicistico-metafisica  ;) ).



Innanzitutto devo scusarmi, caro Phil, di aver usato espressioni non proprio "felici" (come quella degli occhiali...).
Così come di aver espresso delle tesi in maniera non chiarissima (me ne accorgo solo adesso rileggendo il mio post).
A mia parziale scusante, diciamo che avevo avuto una giornata piuttosto pesante (tanto dovevo,anche perchè capisco di
trovarmi davanti una persona estremamente gentile ed educata, e che quindi merita altrettanto riguardo).
Quello che io sostengo è che se lo stato va sempre più obliandosi, necessariamente anche le sue leggi seguono il medesimo
destino.
Ogni cosa, e lo vediamo quotidianamente, è sempre più regolata non da "leggi", ma da "contratti" (il compianto e valente
giurista Guido Rossi, ad esempio, già qualche anno fa sosteneva che di fatto il Codice Fallimentare risultava privatizzato).
Direi, anzi, che la stessa "legge" è sempre più intesa come "contratto", laddove sempre più si giudica non dell'"in sè"
normativo, ma della privata convenienza o meno di ripettare quell'"in sè".
Guarda, tanto per fare un esempio davvero "classico", alla miriade di contratti di lavoro sorti negli ultimi anni. Si è
sempre meno rispettato un contratto nazionale unico di categoria (che non è certo "legge" ma che ad una legge è, tutto
sommato, molto somigliante) per dare sempre più spazio a contratti detti "di secondo livello", o aziendali, ove non
addirittura personali, visto che di fatto nulla impedisce più alle aziende di applicare contratti personalizzati.
Tutto questo ha forse portato benefici ai lavoratori (che, in questo caso specifico, rappresentano i "deboli")?
Sicuramente negli anni 80 lo stato sociale era ben più "accudente" di quello di oggi.
Questo è dovuto, naturalmente, a vari motivi. Forse oggi quel modello non è riproponibile, ma non c'è a mio parere
dubbio che tutto ciò sia dovuto "anche" ad una redistribuzione sempre meno equa della ricchezza prodotta (certi
squilibri non sono dovuti a nessuna "crisi", ma rispondono a criteri "meritocratici" che sempre meno tengono conto
delle condizioni di vera ed autentica sofferenza delle classi meno abbienti - e che sono, in ultima analisi, i criteri
introdotti dalla forma-mentis mercatistica).
Mi pare piuttosto che da certe tue considerazioni emerga una distinzione fra i cosiddetti "diritti civili" e quelli
detti "sociali".
A mio modo di vedere, il "diritto" è sempre e solo stabilito dall'autorità statuale; e lo distinguerei dalla "libertà"
così come da sempre intesa nel mondo anglosassone (la libertà preesiste all'autorità statuale, che deve solo rispettare
la sua originarietà). Ma non intendo divagare ed andare a parare in un campo che poco c'entra con quello di cui stiamo
discutendo.
Al "mercato" poco importa dei diritti "civili" (secondo il mio paradigma parlerei comunque di "libertà civili"...).
Al mercato interessa solo ed esclusivamente che il "diritto sociale" non vada ad intaccare i principi su cui si regge
la sua impalcatura ideologica (spacciata spudoratamente per scienza economica).
Al mercato interessa che ogni cosa sia soggetta ad esso stesso. Per cui non può esistere un contratto nazionale unico
(tanto per restare al nostro esempio) stabilito da due parti contraenti "ufficiali" (ad es. Confindustria e il Sindacato)
che rappresentano la pluralità delle parti contraenti; ma tale pluralità deve poter esplicarsi "privatamente", cioè senza
nessuna rappresentanza "collettiva".
Questo perchè il Mercato è, in ultima analisi, l'antitesi di qualsivoglia "entità collettiva" (e l'entità collettiva è,
come vado dicendo lungo tutto questo post, l'unico rimedio al suo strapotere).
saluti
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: Lou il 09 Marzo 2018, 17:52:05 PM
Citazione di: green demetr il 09 Marzo 2018, 02:55:34 AM
Citazione di: Lou il 07 Marzo 2018, 17:56:08 PM
La discussione si è assai sviluppata, io mi chiedo se sia possibile considerare che il fronte globalizzazione non implichi di per sè la idea di uniformizazzione e omogeneità di "visioni" e annichilimento delle differenze, ma possa anche essere considerato quale latore della idea di pluralità, esagerando - di "comunità plurale". Forse perchè non sono del tutto convinta che la comunità sia necessariamente legata all' essere omogenei.

Ti pare che in Arabia la pensino come noi???

No la tua preoccupazione è eccessiva.
Più che una preoccupazione era un intervento, a suo modo espressione di una nota in disaccordo con alcune altre posizioni espresse.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 09 Marzo 2018, 19:57:23 PM
Citazione di: InVerno il 08 Marzo 2018, 22:37:02 PME' proprio il prezzo marginale, azzerato lentamente dalla digitalizzazione, a mettere in atto quell'esaurimento del sistema. Leggendo però Socrate (l'utente) che contrappone una sinistra egalitaria e classista, ad una destra libertaria e meritocratica, mi rendo conto di una contraddizione. La forza politica che ragiona per classi orizzontali, ad oggi, è la destra. Non la destra riformista (o centralista) e neoliberista che bene o male sta seguendo lo stesso andamento della controparte, ma quella destra nazionalista (in europa "lepenista") che sta invece guadagnando terreno, spaventando proprio quel capitale che riconosce nelle pastoie nazionali una iattura "antimeritocratica". Se tanto mi da tanto, quando Benoist descriveva il fascismo come "un socialismo senza materialismo e internazionalismo" , Socrate e noi dovremmo ben ponderare le analisi. E' inutile comunque paventare spauracchi "fascisti", esistono esempi ben più gentili di queste transizioni politiche, come accadde in America a cavallo dell'ultimo secolo dove partito Repubblicano e Democratico si scambiarono  diametralmente di posizione ruotando intorno all'idea della dimensione dello stato, tensione che poi terminerà nel New Deal, da parte di quella forza politica che trentanni prima predicava turboanarcocapitalismo.



Ciao InVerno
Ti confesso che per quanto mi sia sforzato non sono riuscito a capire quanto affermi nella prima riga della risposta...
Ti rispondo quindi sulla base del poco che mi pare di intuire. La digitalizzazione azzera semmai il valore aggiunto, non
credi? Il prezzo marginale dovrebbe invece scendere all'aumentare dei volumi produttivi; almeno secondo la teoria dell'
economia di scala cui mi riferivo.
Da questo punto di vista, per "esaurimento del sistema" si dovrebbe intendere la saturazione dello spazio "fisico" (la
globalizzazione, una volta "globalizzato il globo", per usare un gioco di parole, non troverebbe più alcuno spazio).
Ma se lo spazio fisico è saturato, non saturato nè, per certi versi, saturabile è lo spazio virtuale; da qui l'espansione
del mercato nella finanza (come del resto aveva già intuito J.Schumpeter negli anni 40 del 900).
E comunque ribadisco che importante è capire come la globalizzazione risponda ad una precisa logica di ordine economico:
il sistema capitalistico o si espande o implode (in quanto il "plusvalore", nella stasi, tende ad azzerarsi).
Trovo invece molto pertinenti le tue successive argomentazioni.
Il motivo, infatti, per cui non posso più dirmi di sinistra è esattamente quello. Ma a proposito cade anche il tuo
riferimento agli USA. Chissà, forse un giorno certa sinistra (anzi, il pochissimo che ne resta) capirà che è andata ben
oltre quel "morire democristiani" che era lo spauracchio dei comunisti di decenni orsono...
saluti e stima
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: anthonyi il 10 Marzo 2018, 07:50:17 AM
Citazione di: 0xdeadbeef il 09 Marzo 2018, 15:32:48 PM

Al mercato interessa solo ed esclusivamente che il "diritto sociale" non vada ad intaccare i principi su cui si regge
la sua impalcatura ideologica (spacciata spudoratamente per scienza economica).
Al mercato interessa che ogni cosa sia soggetta ad esso stesso. Per cui non può esistere un contratto nazionale unico
(tanto per restare al nostro esempio) stabilito da due parti contraenti "ufficiali" (ad es. Confindustria e il Sindacato)
che rappresentano la pluralità delle parti contraenti; ma tale pluralità deve poter esplicarsi "privatamente", cioè senza
nessuna rappresentanza "collettiva".
Questo perchè il Mercato è, in ultima analisi, l'antitesi di qualsivoglia "entità collettiva" (e l'entità collettiva è,
come vado dicendo lungo tutto questo post, l'unico rimedio al suo strapotere).
saluti

Ciao 0xdeadbeef, perché rappresenti il mercato come un'entità personalistica? Il mercato è uno strumento, un sistema di regole, discutibili per carità, ma non è che si può dire che il mercato ha strapotere.
Sarebbe come dire che un sistema elettorale ha strapotere perché pretende di nominare con le sue regole tutti i deputati di un'assemblea.
E comunque le entità collettive non sono in antitesi al mercato, basta rispettare il diritto degli individui di scegliere se appartenere o meno a dette entità collettive.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: paul11 il 10 Marzo 2018, 09:57:53 AM
Citazione di: anthonyi il 09 Marzo 2018, 13:30:46 PM
Citazione di: paul11 il 08 Marzo 2018, 00:18:37 AM

E' quì che storicamente ha vinto il "progresso sociale" riformista che ha incanalato nei parlamenti degli Stati occidentali lotte e malcontenti concedendo diritti sociali. Oggi se c'è assistenza, previdenza, quello che è stato definito stato del benessere o welfare state è sicuramente un progresso nella storia umana sociale,Casi di morti di fame o di malsanità sono da telegiornali tanto sono eccezioni e non ordinarietà.Questo è un fatto ed è frutto sia di destra che sinistra  sociale.
Il rapporto conflittuale è sempre stato fra economia e politica, la prima del privato nello scambio economico che genera un valore aggiunto ,un surplus e la politica che sceglie a seconda del governo di sinistra o destra di generare una ridistribuzione attraverso la fiscalità da riversare nella previdenza, assistenza, sanità, scuola pubblica.Il ruolo quindi dello stato è regolatore della differenza economica per pacificare il conflitto sociale, mantenerlo nelle regole della tolleranza democratica.
Keynes diceva che lo stato sociale costruito dallo Stato era come un aumento di stipendio/salario, essendo gratuito o quasi.

Da qualche anno assistiamo al dissesto dello stato sociale, del welfare, e le sinistre di tutti i Paesi avanzati sono sparite, proprio nel momento in cui la globalizzazione ha accentuato il suo passo. E' accaduto, per farla breve che lo Stato ha tolto un poco o tanto delle risorse economiche nel welfare sociale e si è messo a fare welfare alle multinazioali e al potere finanziario delle banche.In questa logica sono caduti anche i governi di sinistra e non intendo solo in Italia,perchè il problema è internazionale e la cultura è internazionale .Il ruolo compensativo dello Stato sulle discrepanze, differenze economiche di reddito che era appannaggio dei programmi politiici della sinistra(salvaguardia dell'occupazione, più investimenti =più lavoro,ecc) è saltato.
Le leve del potere centrale degli Stati nell'Europa è passato ai commissari europei e al governatore della banca centrale europea.

Mi sembra che alla base del tuo ragionamento ci sia l'idea che il welfare sia un prodotto dell'azione politica, mentre invece la prima precondizione del welfare è la crescita economica, se non ci sono risorse il welfare non può essere finanziato. Purtroppo un certo pensiero di sinistra è capace solo di riflettere sulle dimensioni delle fette di torta e non capisce che prima di fare le fette bisogna fare la torta. Ci sono evoluzioni della sinistra più liberali che invece lo hanno capito ed è per questo che dedicano la loro attenzione alle multinazionali (ma anche alle industrie nazionali) e alle banche, e lo fanno per creare/mantenere quelle condizioni di crescita economica che altrimenti non ci sarebbero. Purtroppo questo non lo hanno capito tanti cittadini del nostro paese che preferiscono credere alle sirene di illusorie maxi-torte alle quali abbuffarsi che non si capisce bene chi preparerà.
ciao Anthonyi,
il welfare è anche e non solo il prodotto storico di lotte sociali raccolte in diritti e quindi norme e dall'altra sicuramente l'aspetto economico.
Non esiste se non per speculazione politica ed economica che il welfare necessariamente sussiste solo in presenza di crescita economica :questa è ideologia liberista.
Perchè il concetto di crescita in un determinato pensiero economico è dato semplicemente dalla quantità di denaro che circola nell'economia di scambio.e adatto che scuola sanità pubblica, muovono denaro e occupano persone è garantito che il reddito e le spese vadano nellel tasche di qualcuno.
E' ideologico perchè i concetti di valore vanno da Adam Smith ai marginalisti austriaci, passando per Marx, Ricardo, Keynes, monetaristi, ecc.

E' ideologica ribadisco e quindi determinata da rapporti di forza, quale configurazione economica si vogliono perseguire.
Bisogna quindi scindere, ma sapendo che sono intimamente connesse ,la macroeconomia dalla microeconomia, lo Stato o dall'impresa economica, ed è infatti quì è stata ed è la battaglia, dove la sinistra sociale vuole più Stato e il liberismo di destra più impresa.
Il welfare ha accontentato entrambi perchè se il committente degli appalti è lo Stato, chi ci guadagna sono le imprese. 

Il concetto di risorsa di valore e di moneta sono a loro volta dinamicamente connesse-
Quanti giorni di scorta di grano sopperisce al fabbisogno mondiale?
Quanti barili di greggio di petrolio sono estratii rispetto alla domanda mondiale?
Chi coltiva grano e chi estrae petrolio sa di non doverlo fare all'infinito, si ferma dove il prezzo e i costi raggiungono il punto di equilibrio del profitto. Quindi la risorsa è interpretabile come bene economico.

La scelta ad esempio degli indici economici è semplicemente ideologica da parte dell UE, perchè si è convenuto che fosse "giusta" per tenere unita la UE nelle diverse basi legislative di ogni Stato,visto che l'euro è comunque la moneta rappresentativa anche nelle diversità singolari.Per cui il rapporto PIL/debito pubblico in una certa percentuale è sua volta ideologica e convenuta.
Non hanno assolutamente basi "oggettive" economiche,tantè che lasciano sforare o meno e stanno già cominciando a darci avvisi di sforamento (è caduto il PD che era filo europeo).

Se Trump sta facendo il "grande casino dei dazi" è solo un rapporto di forza perchè l'economia e la modalità di scelta di una forma economica all'interno di una organizzazione umana  e tutte potrebbero funzionare ,dal nazismo fascismo comunismo, liberismo.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: Phil il 10 Marzo 2018, 13:34:54 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 09 Marzo 2018, 15:32:48 PM
Al mercato interessa solo ed esclusivamente che il "diritto sociale" non vada ad intaccare i principi su cui si regge
la sua impalcatura ideologica (spacciata spudoratamente per scienza economica).
Al mercato interessa che ogni cosa sia soggetta ad esso stesso. Per cui non può esistere un contratto nazionale unico
(tanto per restare al nostro esempio) stabilito da due parti contraenti "ufficiali" (ad es. Confindustria e il Sindacato)
che rappresentano la pluralità delle parti contraenti; ma tale pluralità deve poter esplicarsi "privatamente", cioè senza
nessuna rappresentanza "collettiva".
Questo perchè il Mercato è, in ultima analisi, l'antitesi di qualsivoglia "entità collettiva" (e l'entità collettiva è,
come vado dicendo lungo tutto questo post, l'unico rimedio al suo strapotere).
La questione, se ho ben inteso, è allora come rovesciare (o disinnescare?) il rapporto di forze fra "mercato" (forza d'impatto in crescita) e "politica" (sempre più debole, in quanto dipendente dal mercato).
Una "entità collettiva" nazionale, servendosi di leggi protezionistiche (anti-globalizzazione) e di un economia fortemente statalizzata-interventista, non rischierebbe, nel panorama attuale, la chiusura in un anacronistico isolamento?
Intendi che sarebbero comunque più i vantaggi sociali di tale chiusura che gli svantaggi?

Sull'interessate tema della "debolezza", credo sia necessario mettere bene a fuoco cosa essa significhi concretamente (fermo restando che ogni "quantificazione", anche quella della debolezza, è relativa al suo contesto storico-culturale, come ben osservato qui: http://www.indiscreto.org/perche-vincono-populisti/).
Se il precario è debole nei confronti di chi gli dà lavoro (multinazionale o imprenditore che sia), come possiamo renderlo meno debole? Se ci sono già sindacati, sostegni al reddito, etc. la sua "debolezza" è: di fatto, nell'avere poco capitale da usare e, di diritto, nel non poter scegliere quale contratto avere?
Eppure, è meglio avere oggi un contratto di secondo livello o abolirli per aspettare un domani (lontano?) un contratto più lungo, più stabile più redditizio?. Non sempre, ad oggi, dove è possibile ricorrere al primo si potrebbe utilizzare indifferentemente il secondo... nella debolezza del contratto di lavoro "anomalo" c'è la forza di un espediente che non giova solo al datore di lavoro, ma anche al lavoratore che, in alternativa, avrebbe probabilmente ancora meno "forza economica".

Davvero è possibile reimpostare, riducendoli drasticamente, i rapporti di forza, di dipendenza, di asimmetria, mantenendo al contempo un'economia (e una politica) funzionante oltre che "accudente"?
Se l'"identità collettiva" coincidesse con il potere centrale dello stato (che bandirebbe coercitivamente rapporti di forza troppo sbilanciati) proprio ciò rappresenterebbe un rapporto di forza oppressivo che, forse, considerando lo scenario odierno mondiale (tutt'altro che facilmente reversibile), appiattirebbe (indebolendola) la crescita economica (e anche culturale) dello stato.
Qui tuona la domanda pragmatica di green demetr:
Citazione di: green demetr il 09 Marzo 2018, 02:54:18 AM
E comunque il problema intellettuale rimane, cosa fare?

Sull'aspetto ideologico, a monte della prassi, concordo con la considerazione di paul11:
Citazione di: paul11 il 10 Marzo 2018, 09:57:53 AM
E' ideologica ribadisco e quindi determinata da rapporti di forza, quale configurazione economica si vogliono perseguire.
Bisogna quindi scindere, ma sapendo che sono intimamente connesse ,la macroeconomia dalla microeconomia, lo Stato o dall'impresa economica, ed è infatti quì è stata ed è la battaglia, dove la sinistra sociale vuole più Stato e il liberismo di destra più impresa.
Il welfare ha accontentato entrambi perchè se il committente degli appalti è lo Stato, chi ci guadagna sono le imprese.


P.s.
@Oxdeadbeef, abbiamo tutti le nostre giornatacce... e la tua era a malapena intuibile  ;)
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 10 Marzo 2018, 16:54:54 PM
Citazione di: anthonyi il 10 Marzo 2018, 07:50:17 AM
Ciao 0xdeadbeef, perché rappresenti il mercato come un'entità personalistica? Il mercato è uno strumento, un sistema di regole, discutibili per carità, ma non è che si può dire che il mercato ha strapotere.
Sarebbe come dire che un sistema elettorale ha strapotere perché pretende di nominare con le sue regole tutti i deputati di un'assemblea.
E comunque le entità collettive non sono in antitesi al mercato, basta rispettare il diritto degli individui di scegliere se appartenere o meno a dette entità collettive.


Per tutta l'economia detta "classica" (fino a Marx e Ricardo) il valore di un bene economico è determinato dal
cosiddetto "valore-lavoro", cioè dalla quantità di lavoro necessario a produrlo (celebre l'esempio di Marx circa
i diciannove - mi pare - passaggi per fare uno spillo).
Questo fino alla Scuola Marginalista, che affermò il valore di un bene economico essere il valore che ad esso
attribuiscono gli attori dello scambio (che è il concetto che vige nella contemporaneità).
Cioè, in linea con la cosiddetta "rivoluzione copernicana del pensiero" (Kant), ovvero con la "messa al centro"
del soggetto in un mondo che fino ad allora aveva appunto "messo al centro" l'oggetto, anche in economia sono
i soggetti attori dello scambio ad assumere preponderanza sugli oggetti costituiti dalla quantità di lavoro
necessario per produrli (l'esempio più "facile" di quanto vado dicendo è lo "schizzo" di un grande artista, che
benchè necessiti di ben poco tempo per essere realizzato assume però grande valore sia per il venditore che per il
compratore).
Questo vuol semplicemente dire che tutto il mercato si fonda su "valori" (mercatistici) soggettivi, individuali.
L'aggettivo "libero", che sempre più si accompagna al sostantivo "mercato", dimostra che esso, il mercato, è sempre
più inteso come "sciolto" da regole e norme (celebre la definizione, mi pare di R.Reagan, di un mercato libero da
"lacci e lacciuoli" normativi). Direi anzi che tutta la tradizione "mercatistica", da Adam Smith ai Marginalisti,
fino ad arrivare agli odierni economisti sostenitori della teoria dell'equilibrio perfetto dei mercati, abbia sempre
predicato e predichi esattamente la non-invadenza normativa da parte dello stato (secondo il noto giurista R.Nozick
lo stato dev'essere "minimo", cioè garantire esclusivamente la sicurezza interna ed esterna e il rispetto dei
contratti stipulati in regime di libero mercato).
Tutte teorie che, anche se non esplicitate chiaramente nelle loro forme, riempiono ogni "interstizio" della
nostra vita nell'attualita'.
O almeno così a me pare...
saluti
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 10 Marzo 2018, 20:07:50 PM
Citazione di: Phil il 10 Marzo 2018, 13:34:54 PMLa questione, se ho ben inteso, è allora come rovesciare (o disinnescare?) il rapporto di forze fra "mercato" (forza d'impatto in crescita) e "politica" (sempre più debole, in quanto dipendente dal mercato).
Una "entità collettiva" nazionale, servendosi di leggi protezionistiche (anti-globalizzazione) e di un economia fortemente statalizzata-interventista, non rischierebbe, nel panorama attuale, la chiusura in un anacronistico isolamento?
Intendi che sarebbero comunque più i vantaggi sociali di tale chiusura che gli svantaggi?

Sull'interessate tema della "debolezza", credo sia necessario mettere bene a fuoco cosa essa significhi concretamente (fermo restando che ogni "quantificazione", anche quella della debolezza, è relativa al suo contesto storico-culturale, come ben osservato qui: http://www.indiscreto.org/perche-vincono-populisti/).
Se il precario è debole nei confronti di chi gli dà lavoro (multinazionale o imprenditore che sia), come possiamo renderlo meno debole? Se ci sono già sindacati, sostegni al reddito, etc. la sua "debolezza" è: di fatto, nell'avere poco capitale da usare e, di diritto, nel non poter scegliere quale contratto avere?




Inutile nascondere, caro Phil, che la fase propositiva è di grandissima problematicità.
Siamo tutti immersi in una economia globale, con interscambi così fitti che qualsiasi idea di un ritorno "autarchico"
al potere politico deve fare i conti (e che conti...) con una realtà che ad essa si oppone irriducibilmente.
A rendere il quadro ancor più complesso ci si mettono anche aspetti, direi, antropologici e filosofici quali
l'emergere di un individuo che, senz'altro, ad un potere "collettivamente inteso", come quello politico, si
oppone in maniera radicale.
Quindi sì, senza alcun dubbio nel panorama attuale è di fatto impossibile non finire in un isolamento (se si
perseguissero politiche diverse dal, diciamo, "mainstream" dominante).
Però diciamo anche che da qui a non usare per nulla la nostra capacità critica ne passa...
Mi chiedi: se il precario è debole, come possiamo renderlo meno debole? Ad esempio rendendolo, come dire, un pò
meno precario...
Come? Magari ripristinando la legge sul lavoro così come era stata originariamente scritta dal povero Marco Biagi
(36 mesi da precario, poi o assunzione a tempo indeterminato o licenziamento). Magari togliendo tutte quelle
forme contrattuali nate negli ultimi anni e rispristinando una trattativa contrattuale nazionale. O in molti
altri modi.
A tal proposito, come fai a dire che queste forme contrattuali "anomale" giovano anche al lavoratore?
Conosco abbastanza bene la materia, e posso assicurarti che forme contrattuali "anomale" ci sono sempre state (ad
esempio in agricoltura, dove la stagionalità necessita di mano d'opera non numericamente costante); il problema è
che adesso queste forme contrattuali sono diventate la regola: perchè? Forse perchè il lavoratore precario è più
ricattabile? Forse perchè la paura che non gli venga rinnovato il contratto lo spinge a "sputare sangue"?
Io credo queste cose probabili...
Intendiamoci, nessuno (a meno che non sia...) sta pensando ad economie pianificate o a, comunque, pesanti interventi
statali. Ma saltare di palo in frasca, come sta avvenendo, non è nè socialmente giusto né economicamente razionale.
Perchè di questo secondo aspetto (la razionalità economica) abbiamo poco o nulla parlato; ma c'è anch'essa, eccome.
Ad esempio (poi ci sarebbe da scriverne intere biblioteche...), pensiamo che questo andamento al ribasso dei
salari (e all'aumento delle rendite) sia economicamente razionale?
Eppure da più parti si avverte che uno dei principali problemi del paese è la scarsa domanda di beni (la "domanda
interna"). E allora, se la gente non compra perchè non ha soldi, pensiamo di togliergli ulteriori soldi? E non
pensiamo che questo deprime ulteriormente la domanda interna?
Un altro esempio è quello relativo al debito pubblico.
Abbiamo un debito altissimo, d'accordo, che impedisce qualsiasi forma di "interventismo" statale o di spesa pubblica.
Ma perchè nessuno ci dice mai com'è possibile che un paese, il nostro, che ha da oltre 20 anni il miglior dato
primario ("avanzo", se positivo) d'Europa si vede crescere costantemente il debito (qui urgerebbe un controllo per
verificare le mie parole, visto che la cosa è grossa assai e che siamo in pieno clima di "fake news"...)?
Che il debito pubblico NON sia dovuto solo alle nostre allegre spese come qualcuno vorrebbe darci a bere (riuscendoci)?
Ma qui mi fermo, sennò vado avanti fino a domattina.
saluti e stima
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: Phil il 10 Marzo 2018, 22:53:29 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 10 Marzo 2018, 20:07:50 PM
come fai a dire che queste forme contrattuali "anomale" giovano anche al lavoratore?
Intendevo che, talvolta, si tratta del giovamento del "danno minore" (non certo di un giovamento "assoluto"), ovvero credo "giovino" al lavoratore, o meglio, ad alcuni di loro, perché a volte se le aziende non potessero ricorrere a tali contratti, ad esempio, assumerebbero 2 persone (a tempo determinato) al posto di 3 (con contratto anomalo ridotto) e quel terzo lavoratore sarebbe a lungo disoccupato (considerando che non siamo in tempi in cui il lavoro si trova rapidamente) ritrovandosi in una condizione di "debolezza critica" (rispetto alla quale un contratto anomalo è di sicuro giovamento).

Da un lato, è indubitabile che:
Citazione di: 0xdeadbeef il 10 Marzo 2018, 20:07:50 PM
queste forme contrattuali sono diventate la regola: perchè? Forse perchè il lavoratore precario è più
ricattabile? Forse perchè la paura che non gli venga rinnovato il contratto lo spinge a "sputare sangue"?
Io credo queste cose probabili...
oltre al fatto che (azzardo, e forse sbaglio) i contratti anomali fanno risparmiare alle imprese (tasse e affini) e costano invece al lavoratore una riduzione di contributi versati (ripeto, magari sbaglio...).

Dall'altro lato tuttavia, l'impresa, pur risparmiando in versamenti vari, investe tempo e risorse per formare ed inserire continuamente lavoratori che dureranno poco (quindi non è sempre un buon investimento...).
Tale mobilità è inoltre la linfa di cui si nutrono le agenzie interinali (e i loro lavoratori), le varie agenzie formative (e tutti coloro che gli ruotano intorno) e sospinge le iniziative di "start up", innovative o meno (alimentate anche dal timore di non trovare lavoro stabile da dipendenti).

Intendiamoci, cercando di vedere il bicchiere mezzo pieno non voglio certo tessere gli elogi della "instabilità" (non posso proprio farlo, per esperienza personale  ;) ), ma nemmeno vedrei nella precarietà una condizione di seria "debolezza", almeno non grave quanto la disoccupazione  ;D  soprattutto in un periodo storico in cui
Citazione di: 0xdeadbeef il 10 Marzo 2018, 20:07:50 PM
la fase propositiva è di grandissima problematicità.
Siamo tutti immersi in una economia globale, con interscambi così fitti che qualsiasi idea di un ritorno "autarchico"
al potere politico deve fare i conti (e che conti...) con una realtà che ad essa si oppone irriducibilmente.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: anthonyi il 11 Marzo 2018, 07:38:12 AM
Citazione di: paul11 il 10 Marzo 2018, 09:57:53 AM
Citazione di: anthonyi il 09 Marzo 2018, 13:30:46 PM
Citazione di: paul11 il 08 Marzo 2018, 00:18:37 AM

E' quì che storicamente ha vinto il "progresso sociale" riformista che ha incanalato nei parlamenti degli Stati occidentali lotte e malcontenti concedendo diritti sociali. Oggi se c'è assistenza, previdenza, quello che è stato definito stato del benessere o welfare state è sicuramente un progresso nella storia umana sociale,Casi di morti di fame o di malsanità sono da telegiornali tanto sono eccezioni e non ordinarietà.Questo è un fatto ed è frutto sia di destra che sinistra  sociale.
Il rapporto conflittuale è sempre stato fra economia e politica, la prima del privato nello scambio economico che genera un valore aggiunto ,un surplus e la politica che sceglie a seconda del governo di sinistra o destra di generare una ridistribuzione attraverso la fiscalità da riversare nella previdenza, assistenza, sanità, scuola pubblica.Il ruolo quindi dello stato è regolatore della differenza economica per pacificare il conflitto sociale, mantenerlo nelle regole della tolleranza democratica.
Keynes diceva che lo stato sociale costruito dallo Stato era come un aumento di stipendio/salario, essendo gratuito o quasi.

Da qualche anno assistiamo al dissesto dello stato sociale, del welfare, e le sinistre di tutti i Paesi avanzati sono sparite, proprio nel momento in cui la globalizzazione ha accentuato il suo passo. E' accaduto, per farla breve che lo Stato ha tolto un poco o tanto delle risorse economiche nel welfare sociale e si è messo a fare welfare alle multinazioali e al potere finanziario delle banche.In questa logica sono caduti anche i governi di sinistra e non intendo solo in Italia,perchè il problema è internazionale e la cultura è internazionale .Il ruolo compensativo dello Stato sulle discrepanze, differenze economiche di reddito che era appannaggio dei programmi politiici della sinistra(salvaguardia dell'occupazione, più investimenti =più lavoro,ecc) è saltato.
Le leve del potere centrale degli Stati nell'Europa è passato ai commissari europei e al governatore della banca centrale europea.

Mi sembra che alla base del tuo ragionamento ci sia l'idea che il welfare sia un prodotto dell'azione politica, mentre invece la prima precondizione del welfare è la crescita economica, se non ci sono risorse il welfare non può essere finanziato. Purtroppo un certo pensiero di sinistra è capace solo di riflettere sulle dimensioni delle fette di torta e non capisce che prima di fare le fette bisogna fare la torta. Ci sono evoluzioni della sinistra più liberali che invece lo hanno capito ed è per questo che dedicano la loro attenzione alle multinazionali (ma anche alle industrie nazionali) e alle banche, e lo fanno per creare/mantenere quelle condizioni di crescita economica che altrimenti non ci sarebbero. Purtroppo questo non lo hanno capito tanti cittadini del nostro paese che preferiscono credere alle sirene di illusorie maxi-torte alle quali abbuffarsi che non si capisce bene chi preparerà.
ciao Anthonyi,
il welfare è anche e non solo il prodotto storico di lotte sociali raccolte in diritti e quindi norme e dall'altra sicuramente l'aspetto economico.
Non esiste se non per speculazione politica ed economica che il welfare necessariamente sussiste solo in presenza di crescita economica :questa è ideologia liberista.
Perchè il concetto di crescita in un determinato pensiero economico è dato semplicemente dalla quantità di denaro che circola nell'economia di scambio.e adatto che scuola sanità pubblica, muovono denaro e occupano persone è garantito che il reddito e le spese vadano nellel tasche di qualcuno.
E' ideologico perchè i concetti di valore vanno da Adam Smith ai marginalisti austriaci, passando per Marx, Ricardo, Keynes, monetaristi, ecc.

E' ideologica ribadisco e quindi determinata da rapporti di forza, quale configurazione economica si vogliono perseguire.
Bisogna quindi scindere, ma sapendo che sono intimamente connesse ,la macroeconomia dalla microeconomia, lo Stato o dall'impresa economica, ed è infatti quì è stata ed è la battaglia, dove la sinistra sociale vuole più Stato e il liberismo di destra più impresa.
Il welfare ha accontentato entrambi perchè se il committente degli appalti è lo Stato, chi ci guadagna sono le imprese.

Il concetto di risorsa di valore e di moneta sono a loro volta dinamicamente connesse-
Quanti giorni di scorta di grano sopperisce al fabbisogno mondiale?
Quanti barili di greggio di petrolio sono estratii rispetto alla domanda mondiale?
Chi coltiva grano e chi estrae petrolio sa di non doverlo fare all'infinito, si ferma dove il prezzo e i costi raggiungono il punto di equilibrio del profitto. Quindi la risorsa è interpretabile come bene economico.

La scelta ad esempio degli indici economici è semplicemente ideologica da parte dell UE, perchè si è convenuto che fosse "giusta" per tenere unita la UE nelle diverse basi legislative di ogni Stato,visto che l'euro è comunque la moneta rappresentativa anche nelle diversità singolari.Per cui il rapporto PIL/debito pubblico in una certa percentuale è sua volta ideologica e convenuta.
Non hanno assolutamente basi "oggettive" economiche,tantè che lasciano sforare o meno e stanno già cominciando a darci avvisi di sforamento (è caduto il PD che era filo europeo).

Se Trump sta facendo il "grande casino dei dazi" è solo un rapporto di forza perchè l'economia e la modalità di scelta di una forma economica all'interno di una organizzazione umana  e tutte potrebbero funzionare ,dal nazismo fascismo comunismo, liberismo.

Ciao paul11,

la questione che io ponevo era soprattutto politico-culturale, io mettevo in discussione l'ingenua convinzione che le problematiche sociali siano risolvibili con una regola scritta. Le leggi interagiscono con il sistema sociale producendo risultati che possono essere distanti dalle intenzioni del legislatore.
Abolisci i vaucher e voilà tutti quei lavoratori che prima avevano un minimo di regolarizzazione tornano al nero, ripristini l'art 18 vecchia versione e voilà le aziende si fanno i conti sui rischi e decidono di non investire e magari di chiudere in Italia.
Tu fai un forte uso della parola "ideologia" e in un certo senso io ti do ragione.
L'analisi economica si basa soprattutto su valori contabili, numeri che possono dare una falsa sensazione di oggettività che invece non hanno perché sono suscettibili di valutazioni di vario genere.
Io infatti sono sostenitore della relatività del concetto di PIL, preferendo quella che dovrebbe essere una valutazione qualitativa dello stesso.
Ciononostante quando una convenzione diventa una regola contrattuale questa diventa un dato oggettivo. Se l'Italia ha sottoscritto dei patti nei quali prendeva degli impegni (E lo ha fatto cosciente dei vantaggi che avrebbe avuto ad entrare nell'Euro sui quali non mi dilungherò) questi impegni vanno rispettati anche perché in realtà conviene all'Italia (Ma non conviene alla classe politica che preferisce sempre spendere il più possibile i soldi dei cittadini presenti e futuri).
Quello che però non mi piace dell'uso della parola "ideologia" è l'idea che esista una scienza economica che sia stata costruita ad Hoc per giustificare il mercato. Nell'ambito del dibattito economico sono presenti molteplici analisi che sono state sviluppate per spiegare i cosiddetti fallimenti del mercato i quali spiegano e giustificano varie forme di intervento istituzionale e pubblico e lo fanno con gli stessi strumenti formali con i quali, in altre situazioni, viene dimostrata l'ottimalità del mercato.
Un saluto
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 11 Marzo 2018, 09:57:13 AM
Ciao Phil
Beh, sicuramente è meglio pane e acqua di niente...
Questo però se vogliamo vedere le cose esclusivamente dalla parte del lavoratore in stato di "bisogno" (e beninteso
sottolineo proprio quell'"in stato di bisogno" - intendendolo come immediato); perchè in realtà le cose viste con gli
occhi dell'economista, o con gli occhi di chi ha a cuore le sorti del paese, stanno diversamente.
Dunque tralasciamo il fatto che qui si sta letteralmente cancellando la cosidetta "classe media", di cui facevano
parte anche quei lavoratori mediamente specializzati (e certamente non in stato di bisogno immediato) che nei passati
decenni hanno fatto la fortuna del paese, e concentriamoci sull'economia, come dire, "dura e pura".
A proposito di "domanda interna" (cui accennavo): qui si stanno tirando su intere generazioni che non potranno mai
formarsi una famiglia; il che, economicamente, si traduce nel fatto che non compreranno mai una abitazione (con
annessi e connessi).
Più in generale, intere generazioni non godono e non godranno mai di un reddito che gli permetta di fare qualche
"spesuccia" (oltre che vivono e vivranno una condizione di paura e instabilità che li dissuade e li dissuaderà
dallo spendere anche pochi euro).
Non sto con ciò parlando di "giustizia sociale" o altro argomento di ordine morale: qui siamo in presenza di milioni
di persone che non fanno e non faranno mai "girare l'economia", come si suol dire.
Tutto questo si traduce in scarsa "domanda interna", che è uno dei problemi più gravi che affliggono il paese (secondo
solo forse al debito pubblico).
Il contratto "anomalo", dicevo, giova quindi solo al lavoratore in stato di bisogno immediato. E, ora aggiungo, giova
a quelle aziende cosiddette "a basso valore aggiunto", cioè che producono beni in cui la differenza fra costo (di
produzione) e prezzo (alla vendita) è bassa.
In realtà i contratti anomali non fanno risparmiare soldi alle imprese (anzi, direi tutt'altro). Il vero vantaggio
per le imprese è dato dall'enorme grado di flessibilità che questa tipologia di contratti consentono di avere.
Proprio perchè, nella stragrande maggioranza, si tratta di aziende con produzione a basso valore aggiunto, le
aziende che più si avvalgono dei contratti anomali non hanno un gran bisogno di "formare" i loro dipendenti.
Questo, in genere, perchè il basso valore aggiunto significa una produzione incentrata non, ad esempio, sulla
qualità o sul contenuto tecnologico; ma una produzione, come dire, "di basso profilo" che non necessita di
elevata specializzazione e formazione dei dipendenti.
Ma anche su questo specifico punto torniamo a uno dei grandi problemi di cui soffre il paese.
Abbiamo, come noto, perso tutte quelle "eccellenze" che avevano reso prospero il nostro paese negli anni del "boom".
Eccellenze produttive (penso alla chimica come al tessile, alla siderurgia o all'elettronica) che avevano, appunto,
un "alto valore aggiunto", e che perciò necessitavano di personale altamente o mediamente specializzato.
Allora, magari dirai, che facciamo? Rimettiamo indietro le lancette dell'orologio?
Naturalmente no, ma sarebbe bene rendersi conto che, soprattutto dopo l'adozione di una moneta forte come l'euro,
questa caccia al "basso profilo" (conseguenza del basso valore aggiunto) non ci porterà davvero da nessuna parte.
Ci salverà, magari, nell'immediato (consentendoci di mangiare appunto pane e acqua), ma stiamo sicuri che nel
medio-lungo termine condurrà ad autentici disastri.
saluti
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 11 Marzo 2018, 11:28:57 AM
Citazione di: anthonyi il 11 Marzo 2018, 07:38:12 AMQuello che però non mi piace dell'uso della parola "ideologia" è l'idea che esista una scienza economica che sia stata costruita ad Hoc per giustificare il mercato. Nell'ambito del dibattito economico sono presenti molteplici analisi che sono state sviluppate per spiegare i cosiddetti fallimenti del mercato i quali spiegano e giustificano varie forme di intervento istituzionale e pubblico e lo fanno con gli stessi strumenti formali con i quali, in altre situazioni, viene dimostrata l'ottimalità del mercato.
Un saluto



Scusatemi, Paul11 e Anthony, se mi inserisco nel vostro discorso, ma c'è questo passo che mi piacerebbe commentare.
Allora, se prendiamo per buone le teorie marginaliste sul valore di un bene economico come il valore che ad esso
attribuiscono gli attori dello scambio (teorie che costituiscono il fondamento assoluto dell'ideologia mercatista),
cioè (allargando il discorso alla visione filosofica di Von Hayek) se consideriamo tutto in relazione alla sfera
soggettiva, allora non esiste UNA razionalità economica, cioè non esiste UNA scienza economica.
Questo è facilmente intuibile: se io devo andare a Milano e ho molti soldi e poco tempo ci andrò in aereo; mentre
se ho pochi soldi e molto tempo ci andrò in autostop (scusate l'esempio scemo, ma credo che calzi).
Credo sia ora di interrogarsi sul portato di "scientificità" di una disciplina "umana" quale l'economia; cioè
credo sia arrivata l'ora di chiedersi: "razionalità a favore di chi?"
E del resto, quella che io credo la più calzante definizione di "eonomia" così recita: l'economia è quella scienza
che studia i mezzi più efficaci per raggiungere uno scopo politicamente prestabilito.
Dunque, per quanto mi riguarda, vi può essere un, diciamo, elevato grado di scientificità per quel che riguarda lo
studio dei mezzi; non ve ne è alcuno per quel che riguarda un fine politicamente, cioè ideologicamente, prestabilito.
saluti ad entrambi
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: Phil il 11 Marzo 2018, 16:14:58 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 11 Marzo 2018, 09:57:13 AM
Più in generale, intere generazioni non godono e non godranno mai di un reddito che gli permetta di fare qualche
"spesuccia" (oltre che vivono e vivranno una condizione di paura e instabilità che li dissuade e li dissuaderà
dallo spendere anche pochi euro).
Non sto con ciò parlando di "giustizia sociale" o altro argomento di ordine morale: qui siamo in presenza di milioni
di persone che non fanno e non faranno mai "girare l'economia", come si suol dire.
Non prendermi per nostalgico dei "sani valori di una volta", ma ho il dubbio che, in generale, la classe medio-bassa di oggi faccia girare di più l'economia e accantoni meno risparmi rispetto al vecchio "proletariato" che, a parità di basso stipendio, in proporzione forse accantonava di più e spendeva meno... da considerare che oggi, in alcuni casi, sarebbe ancora più saggio accantonare, visto che i lavori, oltre a pagare poco, durano anche meno che in passato (dipende ovviamente dalle necessità a breve termine, dal contesto famigliare e da altri fattori).

Certo, la generazione dei nostri genitori si sentiva culturalmente forse meno spinta a spendere e a ostentare un certo "status sociale minimo" (oggi vengono percepiti quasi come un "dovere morale": la vacanza "altrove", le spese tecnologiche, le attività extra-scolastiche per i figli, vizietti vari, etc.) e al contempo la loro generazione sapeva che i risparmi avrebbero fruttato almeno un po' (mentre oggi banche e poste danno interessi che sembrano quasi non giustificare lo spirito di rinuncia e l'abnegazione nel risparmiare).

Questa è solo la mia "sensazione"... per cui ecco il domandone da mille punti: ci sono dati che trattano questo rapporto fra risparmio/spesa-frivola (ovvero non per bisogni primari) per la famiglia media negli ultimi decenni?
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 11 Marzo 2018, 17:00:36 PM
Citazione di: Phil il 11 Marzo 2018, 16:14:58 PM
Questa è solo la mia "sensazione"... per cui ecco il domandone da mille punti: ci sono dati che trattano questo rapporto fra risparmio/spesa-frivola (ovvero non per bisogni primari) per la famiglia media negli ultimi decenni?



Naturalmente, c'è una montagna di dati a tua disposizione. Come ti dicevo, vanno sotto la voce "domanda interna"
(per cui basta cercare quella dicitura), che è uno dei problemi più gravi che ha il nostro paese (fra l'altro
la bassa cifra del PIL è principalmente dovuta a questo fattore; e questo a sua volta determina un aumento del debito
pubblico etc.).
Naturalmente non si fa distinzione fra spesa "frivola" e spesa "necessaria"; ma va anche detto che tale distinzione
non ha alcuna rilevanza economica (una spesa è sempre una spesa e, facendo "girare l'economia", determina un aumento
della domanda interna, quindi del PIL, e dunque indirettamente provoca un abbassamento del debito pubblico).
Sul risparmio invece mi risulta che le cose non vanno così male (si tratta però pur sempre di dati aggregati, che
non tengono delle specificità - c'è chi risparmia molto e chi invece, per tirare avanti, si indebita).
saluti
Questo mi pare un buon link
https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=6&cad=rja&uact=8&ved=0ahUKEwjyjKTP0uTZAhWMSsAKHR1uAyUQFghGMAU&url=http%3A%2F%2Fwww.corriere.it%2Feconomia%2F17_aprile_01%2Fnon-c-ripresa-economica-senza-domanda-interna-caa08662-1715-11e7-8391-fba9d6968946.shtml&usg=AOvVaw2IEj_9mlPkwRlxWwfIz-VA
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: Phil il 11 Marzo 2018, 19:45:31 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 11 Marzo 2018, 17:00:36 PM
Naturalmente non si fa distinzione fra spesa "frivola" e spesa "necessaria"; ma va anche detto che tale distinzione
non ha alcuna rilevanza economica (una spesa è sempre una spesa e, facendo "girare l'economia", determina un aumento
della domanda interna, quindi del PIL
Effettivamente, la distinzione fra spesa per necessità primaria e spesa per frivolezze, era una mia curiosità sociologico-antropologica (per fare un confronto con le abitudini economiche del passato), ma capisco che a livello di macroeconomia generale sia un capriccio analitico...

P.s.
Grazie per il link!
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: paul11 il 12 Marzo 2018, 01:22:59 AM
Citazione di: Phil il 08 Marzo 2018, 21:37:03 PM

Bisognerebbe forse fare una "fenomenologia della debolezza", distinguendo accuratamente il piano politico da quello economico, non perché i due non siano intrecciati (indubbiamente!), ma perché talvolta l'economia opprime ma il welfare decomprime, o almeno ci prova (fino a un secolo fa, il debole era oppresso in entrambi i settori, economia e diritti-sussidi, ora la debolezza economica va ripensata nel contesto democratico vigente). In questo senso scrivevo che il paradigma di sinistra "classico" va rivisitato nel cuore delle sue categorie, figlie di un'epoca differente (e, sempre a scanso di equivoci, non dico fosse un'epoca migliore o peggiore: nessuna teleologia storicistico-metafisica  ;) ).
La "fenomenologia della debolezza" è il tema centrale per chi pensa di ritenersi di "sinistra" storica sociale.
Non avendo frequentato i partiti mi chiedo dove siano finite e cosa abbiano studiato negli ultimi trent'anni almeno, i centri studi e le scuole di partito,Cosa sia scaturito visto che sia sul piano tattico di partito che strategico come mozione uscite dai congressi e portate avanti dalle segreterie di partito ,si è visto solo un continuo sconvolgimento e una rincorsa all'interclassismo fino a confondersi con i vecchi partiti antagonisti di decenni prima.

Hanno perso il controllo capillare del territorio, il concetto di fabbrica-società, il rapporto mezzi di produzione e distribuzione della ricchezza nel territorio,fino ad assecondare le politiche dei "due tempi", vale a dire prima investimenti e poi se c'è ricchezza distribuzione, alimentando quello stato di crisi che non è solo degli ultimi anni, calmierando retribuzioni, pensioni, spezzettando 
le tipologie di contratti di lavoro, insomma variabilizzando l'uomo sottoposto alle esigenze del capitale e tutto questo quando gli indicatori economici mostrano chiaramente che la componente costo del lavoro è ridicola rispetto al capitale finanziario investito in strumenti ,tecnologie. cespiti patrimoniali?
Com'è che il "mondo" funzionava anche quando il costo del lavoro era più alto, il debito pubblico "alle stelle"e c'era l'antagonismo PCI- Democrazia cristiana?

La strategia di chiunque si ritenga di sinistra è che quando il ciclo economico tende al basso si devono ergere muri difensivi, perchè il capitalista chiederà sacrifici in nome della sua sopravvivenza che coinvolge gli strati a più basso peso contrattuale.
Questo lo sanno storicamente i sindacati come i partiti.Si è invece accettato supinamente e direi stranamente(perchè non è razionale a meno che non si sia più di sinistra) di accettare alla fine tutte le indicazioni che le grandi corporazioni capitalistiche hanno messo in atto.
Oggi è davvero difficile stabilire la fenomenologia del debole essendo deflagrato il nucleo famigliare(è multitireddito, sono conviventi, hanno anziani malati a carico, chi cura i figli?.Oggi due coniugi operai con contratto a tempo indeterminato e con un figlio sono "borghesi" più di un funzionario con moglie e due figli a carico e magari anziani con problemi a cui necessita una badante.
Oggi c'è da una parte una debolezza che è "percepita", sono coloro che reclamano da sempre e lo possono fare per diritti sindacali (sono il colletti blu poi diventata aristocrazia operaia)sindacali, c'è una "reale" che troppo speso essendo individuale e non sindacalizzata non ha peso contrattuale e continuamente ricattabile.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: paul11 il 12 Marzo 2018, 01:42:26 AM
Citazione di: anthonyi il 11 Marzo 2018, 07:38:12 AM
Citazione di: paul11 il 10 Marzo 2018, 09:57:53 AM
Citazione di: anthonyi il 09 Marzo 2018, 13:30:46 PM
Citazione di: paul11 il 08 Marzo 2018, 00:18:37 AM

E' quì che storicamente ha vinto il "progresso sociale" riformista che ha incanalato nei parlamenti degli Stati occidentali lotte e malcontenti concedendo diritti sociali. Oggi se c'è assistenza, previdenza, quello che è stato definito stato del benessere o welfare state è sicuramente un progresso nella storia umana sociale,Casi di morti di fame o di malsanità sono da telegiornali tanto sono eccezioni e non ordinarietà.Questo è un fatto ed è frutto sia di destra che sinistra  sociale.
Il rapporto conflittuale è sempre stato fra economia e politica, la prima del privato nello scambio economico che genera un valore aggiunto ,un surplus e la politica che sceglie a seconda del governo di sinistra o destra di generare una ridistribuzione attraverso la fiscalità da riversare nella previdenza, assistenza, sanità, scuola pubblica.Il ruolo quindi dello stato è regolatore della differenza economica per pacificare il conflitto sociale, mantenerlo nelle regole della tolleranza democratica.
Keynes diceva che lo stato sociale costruito dallo Stato era come un aumento di stipendio/salario, essendo gratuito o quasi.

Da qualche anno assistiamo al dissesto dello stato sociale, del welfare, e le sinistre di tutti i Paesi avanzati sono sparite, proprio nel momento in cui la globalizzazione ha accentuato il suo passo. E' accaduto, per farla breve che lo Stato ha tolto un poco o tanto delle risorse economiche nel welfare sociale e si è messo a fare welfare alle multinazioali e al potere finanziario delle banche.In questa logica sono caduti anche i governi di sinistra e non intendo solo in Italia,perchè il problema è internazionale e la cultura è internazionale .Il ruolo compensativo dello Stato sulle discrepanze, differenze economiche di reddito che era appannaggio dei programmi politiici della sinistra(salvaguardia dell'occupazione, più investimenti =più lavoro,ecc) è saltato.
Le leve del potere centrale degli Stati nell'Europa è passato ai commissari europei e al governatore della banca centrale europea.

Mi sembra che alla base del tuo ragionamento ci sia l'idea che il welfare sia un prodotto dell'azione politica, mentre invece la prima precondizione del welfare è la crescita economica, se non ci sono risorse il welfare non può essere finanziato. Purtroppo un certo pensiero di sinistra è capace solo di riflettere sulle dimensioni delle fette di torta e non capisce che prima di fare le fette bisogna fare la torta. Ci sono evoluzioni della sinistra più liberali che invece lo hanno capito ed è per questo che dedicano la loro attenzione alle multinazionali (ma anche alle industrie nazionali) e alle banche, e lo fanno per creare/mantenere quelle condizioni di crescita economica che altrimenti non ci sarebbero. Purtroppo questo non lo hanno capito tanti cittadini del nostro paese che preferiscono credere alle sirene di illusorie maxi-torte alle quali abbuffarsi che non si capisce bene chi preparerà.
ciao Anthonyi,
il welfare è anche e non solo il prodotto storico di lotte sociali raccolte in diritti e quindi norme e dall'altra sicuramente l'aspetto economico.
Non esiste se non per speculazione politica ed economica che il welfare necessariamente sussiste solo in presenza di crescita economica :questa è ideologia liberista.
Perchè il concetto di crescita in un determinato pensiero economico è dato semplicemente dalla quantità di denaro che circola nell'economia di scambio.e adatto che scuola sanità pubblica, muovono denaro e occupano persone è garantito che il reddito e le spese vadano nellel tasche di qualcuno.
E' ideologico perchè i concetti di valore vanno da Adam Smith ai marginalisti austriaci, passando per Marx, Ricardo, Keynes, monetaristi, ecc.

E' ideologica ribadisco e quindi determinata da rapporti di forza, quale configurazione economica si vogliono perseguire.
Bisogna quindi scindere, ma sapendo che sono intimamente connesse ,la macroeconomia dalla microeconomia, lo Stato o dall'impresa economica, ed è infatti quì è stata ed è la battaglia, dove la sinistra sociale vuole più Stato e il liberismo di destra più impresa.
Il welfare ha accontentato entrambi perchè se il committente degli appalti è lo Stato, chi ci guadagna sono le imprese.

Il concetto di risorsa di valore e di moneta sono a loro volta dinamicamente connesse-
Quanti giorni di scorta di grano sopperisce al fabbisogno mondiale?
Quanti barili di greggio di petrolio sono estratii rispetto alla domanda mondiale?
Chi coltiva grano e chi estrae petrolio sa di non doverlo fare all'infinito, si ferma dove il prezzo e i costi raggiungono il punto di equilibrio del profitto. Quindi la risorsa è interpretabile come bene economico.

La scelta ad esempio degli indici economici è semplicemente ideologica da parte dell UE, perchè si è convenuto che fosse "giusta" per tenere unita la UE nelle diverse basi legislative di ogni Stato,visto che l'euro è comunque la moneta rappresentativa anche nelle diversità singolari.Per cui il rapporto PIL/debito pubblico in una certa percentuale è sua volta ideologica e convenuta.
Non hanno assolutamente basi "oggettive" economiche,tantè che lasciano sforare o meno e stanno già cominciando a darci avvisi di sforamento (è caduto il PD che era filo europeo).

Se Trump sta facendo il "grande casino dei dazi" è solo un rapporto di forza perchè l'economia e la modalità di scelta di una forma economica all'interno di una organizzazione umana  e tutte potrebbero funzionare ,dal nazismo fascismo comunismo, liberismo.

Ciao paul11,

la questione che io ponevo era soprattutto politico-culturale, io mettevo in discussione l'ingenua convinzione che le problematiche sociali siano risolvibili con una regola scritta. Le leggi interagiscono con il sistema sociale producendo risultati che possono essere distanti dalle intenzioni del legislatore.
Abolisci i vaucher e voilà tutti quei lavoratori che prima avevano un minimo di regolarizzazione tornano al nero, ripristini l'art 18 vecchia versione e voilà le aziende si fanno i conti sui rischi e decidono di non investire e magari di chiudere in Italia.
Tu fai un forte uso della parola "ideologia" e in un certo senso io ti do ragione.
L'analisi economica si basa soprattutto su valori contabili, numeri che possono dare una falsa sensazione di oggettività che invece non hanno perché sono suscettibili di valutazioni di vario genere.
Io infatti sono sostenitore della relatività del concetto di PIL, preferendo quella che dovrebbe essere una valutazione qualitativa dello stesso.
Ciononostante quando una convenzione diventa una regola contrattuale questa diventa un dato oggettivo. Se l'Italia ha sottoscritto dei patti nei quali prendeva degli impegni (E lo ha fatto cosciente dei vantaggi che avrebbe avuto ad entrare nell'Euro sui quali non mi dilungherò) questi impegni vanno rispettati anche perché in realtà conviene all'Italia (Ma non conviene alla classe politica che preferisce sempre spendere il più possibile i soldi dei cittadini presenti e futuri).
Quello che però non mi piace dell'uso della parola "ideologia" è l'idea che esista una scienza economica che sia stata costruita ad Hoc per giustificare il mercato. Nell'ambito del dibattito economico sono presenti molteplici analisi che sono state sviluppate per spiegare i cosiddetti fallimenti del mercato i quali spiegano e giustificano varie forme di intervento istituzionale e pubblico e lo fanno con gli stessi strumenti formali con i quali, in altre situazioni, viene dimostrata l'ottimalità del mercato.
Un saluto
ciao Anthonyi,
dai per scontato che questo mondo è ormai è così, i trattati li abbiamo firmati,ecc.
Il ragionamento è giusto dal punto di vista pratico,ma lo stesso Trump sta mostrando che si possono mutare le condizioni.Certo lui è USA e noi Italia, il peso internazionale lo sappiamo da quale parte sta.
Il problema è pesare strategicamente diverse possibilità di intervento e scegliere quella che si ritene più consona.
Renzi, ad esempio ha cercato e bisogna riconoscerlo, di far qualcosa sugli indicatori economici adottati dall'Europa, il suo errore è di no averlo ben evidenziato al popolo italiano e di non aver mostrato strade alternative percorribili,Non si può solo sbandierare che il ciclo economico riprende fiato e si avanza di 1%, la famiglie capiscono crisi o abbondanza da come e quanto ci arrivano a fine mese se con debiti o risparmiando o in pari:ed è questo quello che alla fine conta.

A suo tempo ho già scritto cosa penso del rapporto attuale Italia-Europa, i trattati si possono anche stracciare.............,superare, ricontrattare,se esce anche l'Italia, l'Europa chiude bottega e questo è un punto di forza.
E poi questa non è Europa, è un coercevo di trattati e ricordiamoci che l'Europa non avrebbe nessuna legittimità, in quanto non ha una Costituzione,usciremmo semplicemente dai trattati come brexit insegna.

Quello che intendo dire è che nulla è scontato, tanto meno il futuro anche prossimo, che potrebbe essere peggio di adesso, ma anche meglio.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: anthonyi il 12 Marzo 2018, 07:36:47 AM
Citazione di: 0xdeadbeef il 11 Marzo 2018, 11:28:57 AM
Citazione di: anthonyi il 11 Marzo 2018, 07:38:12 AMQuello che però non mi piace dell'uso della parola "ideologia" è l'idea che esista una scienza economica che sia stata costruita ad Hoc per giustificare il mercato. Nell'ambito del dibattito economico sono presenti molteplici analisi che sono state sviluppate per spiegare i cosiddetti fallimenti del mercato i quali spiegano e giustificano varie forme di intervento istituzionale e pubblico e lo fanno con gli stessi strumenti formali con i quali, in altre situazioni, viene dimostrata l'ottimalità del mercato.
Un saluto



Scusatemi, Paul11 e Anthony, se mi inserisco nel vostro discorso, ma c'è questo passo che mi piacerebbe commentare.
Allora, se prendiamo per buone le teorie marginaliste sul valore di un bene economico come il valore che ad esso
attribuiscono gli attori dello scambio (teorie che costituiscono il fondamento assoluto dell'ideologia mercatista),
cioè (allargando il discorso alla visione filosofica di Von Hayek) se consideriamo tutto in relazione alla sfera
soggettiva, allora non esiste UNA razionalità economica, cioè non esiste UNA scienza economica.
Questo è facilmente intuibile: se io devo andare a Milano e ho molti soldi e poco tempo ci andrò in aereo; mentre
se ho pochi soldi e molto tempo ci andrò in autostop (scusate l'esempio scemo, ma credo che calzi).
Credo sia ora di interrogarsi sul portato di "scientificità" di una disciplina "umana" quale l'economia; cioè
credo sia arrivata l'ora di chiedersi: "razionalità a favore di chi?"
E del resto, quella che io credo la più calzante definizione di "eonomia" così recita: l'economia è quella scienza
che studia i mezzi più efficaci per raggiungere uno scopo politicamente prestabilito.
Dunque, per quanto mi riguarda, vi può essere un, diciamo, elevato grado di scientificità per quel che riguarda lo
studio dei mezzi; non ve ne è alcuno per quel che riguarda un fine politicamente, cioè ideologicamente, prestabilito.
saluti ad entrambi

Ciao 0xdeadbeef, per carità nessun problema per la tua interlocuzione.
La tua definizione di economia è forse un po' restrittiva, nel senso che la stessa (Scienza o dottrina) economica si occupa anche dei problemi inerenti la formazione delle scelte politiche.
Conosco bene il dibattito epistemologico sulla natura della (Scienza o dottrina) economica e anche nel post che tu hai letto sottolineo la falsa oggettività dei numeri economici.
Quello che però mi preme è sottolineare la differenza tra la rilevazione di detti problemi e l'affermazione, a mio parere calunniosa, che certi metodi di analisi siano stati creati appositamente per imporre un certo modello di economia e società.
Un saluto.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: anthonyi il 12 Marzo 2018, 08:42:20 AM
Citazione di: paul11 il 12 Marzo 2018, 01:42:26 AM


A suo tempo ho già scritto cosa penso del rapporto attuale Italia-Europa, i trattati si possono anche stracciare.............,superare, ricontrattare,se esce anche l'Italia, l'Europa chiude bottega e questo è un punto di forza.
E poi questa non è Europa, è un coercevo di trattati e ricordiamoci che l'Europa non avrebbe nessuna legittimità, in quanto non ha una Costituzione,usciremmo semplicemente dai trattati come brexit insegna.

Quello che intendo dire è che nulla è scontato, tanto meno il futuro anche prossimo, che potrebbe essere peggio di adesso, ma anche meglio.

Ciao paul11,

Secondo me guardare la realtà non vuol dire avere una visione statica del mondo. Anch'io so che i trattati possono essere disdetti, pensa che anche l'immane debito pubblico che abbiamo potrebbe essere annullato con un atto legislativo. Solo che il guardare la realtà mi obbliga a guardare agli effetti di queste rotture di contratti. I sistemi economici sviluppati si reggono sulla fiducia e se noi come Italia abbiamo vissuto un brutto periodo dal 2011 in poi lo dobbiamo alla crisi di fiducia che si era creata nei confronti del nostro sistema. Tu parli di un'Italia fuori dall'Europa, naturalmente è importante differenziare tra un'uscita alla Trump, fregandosene di tutti gli impegni presi, oppure alla Brexit, con una contrattazione di tutte le pertinenze dovute e una ridiscussione dei rispettivi rapporti per il futuro.
Quest'ultima per l'Italia, dopo il QE di Draghi, è praticamente irrealizzabile visto che la BCE ha in cassa il 20 % circa del nostro debito pubblico, difficile pensare che lo stato possa avere le finanze per ricomprarli.
Resta la strategia Trumpiana, facciamo carta straccia di tutti gli accordi finanziari, economici commerciali degli ultimi 50 anni e cominciamo a preoccuparci di come pagare il gas che arriva con i metanodotti dalla Russia, l'energia elettrica che arriva da Francia e Svizzera, il grano che arriva da Canada e USA. Questo beninteso perché energia e cibo sono gli unici beni essenziali, di tutti gli altri si può fare a meno e probabilmente dovremo farne a meno nel caso facessimo scelte talmente assurde da distruggere l'insieme di relazioni economiche che abbiamo con il Resto del mondo (Perché è chiaro che i nostri rapporti con ogni paese extra UE sono condizionati dalla nostra appartenenza con la UE).

Un saluto

PS Naturalmente il riferimento a Trump è solo un richiamo al tuo post, Trump è certamente un opportunista politico ma non è certamente incosciente, nel suo agire vi sono precise strategie che vogliono costruire nuovi rapporti con il resto del mondo (Che non è detto siano vantaggiosi per gli USA) e agisce (almeno si spera) tenendo conto delle reazioni al suo agire.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: InVerno il 12 Marzo 2018, 09:13:40 AM
Penso che l'economia centri ben poco con l'attuale insoddisfazione degli elettori sinistri, ciò che realmente manca è un idea di paese, di futuro, un progetto pluriennale di grande respiro. Vivere gli 800€\mese nel disorientamento individualista e consumista è una cosa, vivere la stessa cifra e sentirsi parte di un ideologia, di un progetto, è tutta un altra. Non è questione di vivere di consolazioni, è questione di riprendersi il primato politico nella dialettica del paese, smetterla con l'ontologicizzazione dell'economia, smetterla di pensare che la gente viva di +\- 1%, vedere il fascimo dov'è, non passare le ultime due settimane della campagna elettorale a parlare di Casapound, un partito che perderebbe le elezioni anche se partecipasse da solo, e non parlare di Cina, India, Ungheria, Polonia... La sinistra ha scelto l'Europa come idea di paese, pensare ad una ritirata nel nazionalismo quando la casella è già occupata vuol dire rimanere senza sedia nel famoso giochino. Voterò PD quando li vedrò prendere un pullman, chiamare tutti gli "amici", andare a Bruxxels e picchettare il parlamento chiedendo una costituzione Europea, a oltranza, fino ad assiderare, perchè solo allora avranno compiuto il loro progetto.
Peraltro si fa tanto parlare di uscire dall'EU, ma nessuno parla della nostra incredibile percentuale di conversione dei finanziamenti EU in investimenti, pratica nella quale siamo tra gli ultimi. Esempio pratico: Bandi 2014-2020 Europei, un pacco di miliardi, siamo nel 2018 e nella mia regione perlomeno non si è mosso un solo euro, fra meno di due anni dovranno "rispedire i soldi" a Bruxxels, e suppongo che saranno tutti se non quasi, visto il tempo rimasto per investirli. Non mi permetto nemmeno di annoiare sviscerando le motivazioni di questo ritardo, le sanno tutti, sparare sulla croce rossa è inutile. Ma rimanere soli con questi problemi,senza nemmeno più gli altri paesi a pungolarci, come si vorrebbe con una brexit nostrana, sarebbe la pietra tombale su un paese tragicomico.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: Phil il 12 Marzo 2018, 18:22:13 PM
Citazione di: paul11 il 12 Marzo 2018, 01:22:59 AM
Citazione di: Phil il 08 Marzo 2018, 21:37:03 PM

Bisognerebbe forse fare una "fenomenologia della debolezza", distinguendo accuratamente il piano politico da quello economico, non perché i due non siano intrecciati (indubbiamente!), ma perché talvolta l'economia opprime ma il welfare decomprime[...]
La "fenomenologia della debolezza" è il tema centrale per chi pensa di ritenersi di "sinistra" storica sociale.
La "fenomenologia della debolezza" è infatti un tematica "di metodo" che proponevo al "fondatore" del topic che, se non ho frainteso, aveva identificato la tutela del debole come uno dei capisaldi dell'attitudine di sinistra:
Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Marzo 2018, 16:24:29 PM
credo che la difesa delle categorie deboli (che per me è scopo primario) possa attuarsi
solo ed esclusivamente all'interno di uno "stato", cioè di una istituzione che, almeno potenzialmente, impone al "forte"
di rispettare i diritti del debole.
Poiché, se è vero che
Citazione di: 0xdeadbeef il 11 Marzo 2018, 17:00:36 PM
una spesa è sempre una spesa e, facendo "girare l'economia", determina un aumento
della domanda interna, quindi del PIL, e dunque indirettamente provoca un abbassamento del debito pubblico).
è anche vero che se si sceglie di stare "a sinistra" (come anche da altre "parti") è essenzialmente una questione di valori e di ideologie (come ben ricordavi, @paul11), altrimenti i numeri dell'economia, in sé, non hanno un intrinseco "senso politico": diventano "buoni o cattivi" solo dopo che un paradigma di valori mi consente di leggerli come "giusti o sbagliati" sul piano ideale, ovvero rispetto a ciò che ritengo "buono o cattivo" (la "difesa del debole", chiunque esso sia, non è una universale necessità oggettivamente economica; dipende dalla chiave di lettura "filosofica" della realtà, prima ancora che dell'economia...).

Quindi, per capire adeguatamente la prospettiva di Oxdeadbeef (che, ripeto, non coincide con il mio essere a digiuno di politica né con la carenza di un "giusto e sbagliato" personali da voler augurare al mondo) bisogna, secondo me, definire (con una fenomenologia o altri metodi) cosa significa oggi essere "deboli", per poter poi coerentemente rispettare quell'assioma che vede nella loro difesa una necessità primaria (ideologica ed economica).
La "debolezza" mi pare una categoria fondante del pensiero di sinistra che, suppongo, possa anche essere aggiornata; altre, come "proletario", forse vanno sostituite con categorie ideologiche più denotanti la contemporaneità.

Un incipit di una "fenomenologia della debolezza" (e che ne rispetti la problematicità) potrebbe essere proprio:
Citazione di: paul11 il 12 Marzo 2018, 01:22:59 AM
Oggi è davvero difficile stabilire la fenomenologia del debole essendo deflagrato il nucleo famigliare(è multitireddito, sono conviventi, hanno anziani malati a carico, chi cura i figli?.Oggi due coniugi operai con contratto a tempo indeterminato e con un figlio sono "borghesi" più di un funzionario con moglie e due figli a carico e magari anziani con problemi a cui necessita una badante.
Oggi c'è da una parte una debolezza che è "percepita", sono coloro che reclamano da sempre e lo possono fare per diritti sindacali (sono il colletti blu poi diventata aristocrazia operaia)sindacali, c'è una "reale" che troppo speso essendo individuale e non sindacalizzata non ha peso contrattuale e continuamente ricattabile.

Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 12 Marzo 2018, 19:57:01 PM
Citazione di: anthonyi il 12 Marzo 2018, 07:36:47 AM


Ciao 0xdeadbeef, per carità nessun problema per la tua interlocuzione.
La tua definizione di economia è forse un po' restrittiva, nel senso che la stessa (Scienza o dottrina) economica si occupa anche dei problemi inerenti la formazione delle scelte politiche.
Conosco bene il dibattito epistemologico sulla natura della (Scienza o dottrina) economica e anche nel post che tu hai letto sottolineo la falsa oggettività dei numeri economici.
Quello che però mi preme è sottolineare la differenza tra la rilevazione di detti problemi e l'affermazione, a mio parere calunniosa, che certi metodi di analisi siano stati creati appositamente per imporre un certo modello di economia e società.
Un saluto.




Questa la definizione di L.Robbins (una delle più celebri): "l'economia è la scienza che studia la condotta umana nel
momento in cui, data una graduatoria di obiettivi, si devono operare delle scelte su mezzi scarsi applicabili ad
usi alternativi".
Io l'ho certamente "ridotta" (del resto: "pluralitas non est ponenda sine necessitate", diceva G.d'Ockham implicitamente
affermando proprio uno dei principi cardine dell'economia); ma credo, forse a torto, di averne messo in evidenza un
punto saliente: lo studio dei mezzi (condotta umana) per raggiungere uno scopo (data una graduatoria di obiettivi) vuol
semplicemente dire che lo scopo è stabilito (dato) politicamente, cioè ideologicamente.
E quindi che vi può essere "scienza" (con tutti gli annessi e i connessi che tale termine implica) solo dei mezzi, non
certo degli scopi.
Il "problema", per come la vedo io, è che adesso il mainstream dominante ci vuol far credere che siano scientifici anche
gli scopi (anzi, non si fa proprio menzione di mezzi e di scopi, visto che tutto è aggregato come "scienza economica").
Ora, io non credo (sono decisamente avverso ai complottismi...) che qualcuno si sia messo ad un tavolo e, intenzionalmente,
abbia creato certe metodologie allo scopo di imporre un certo modello di economia e società.
Questo no; a parer mio è che si è semplicemente perseguito il proprio interesse, per cui si sono prese "qua e là" quelle
teorie che meglio si adattavano allo scopo (e si sono scartate quelle che invece lo rendevano problematico).
Oggi, ad esempio, chi conosce economisti come P.Sraffa, che pure demolì letteralmente la teoria dell'equilibrio perfetto
dei mercati (su ammissione dello stesso P.Samuelson)?
Esattamente come per una confessione religiosa, gli "eretici" sono semplicemente oscurati prima, e dimenticati poi (è
noto che nelle facoltà di economia si studino solo le teorie "politically correct").
Tutto questo non fa parte di un "piano" (magari segretissimo; pluto-giudaico-massonico...); la realtà è molto più
semplice e meschina: questi fanno solo il proprio interesse particolare. E il fatto che da questo sorga un certo modello
di economia e di società è solo una conseguenza, come dire, "inintenzionale".
saluti
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: paul11 il 13 Marzo 2018, 00:37:31 AM
cerco di rispondere un poco a tutti gli ultimi post.
mauro(ox...) io penso che l'epistemologia di Paul Feyerebend sia la migliore.
hai dato una classica definizione di economia ed è incentrata sul comportamento.
E di nuovo siamo alla contraddizione.Di quali comportamenti  e di quale natura umana?

Rovescio il paradigma è la pongo come universale come filosofia dell'economia e  non come scienza economica mirata ad un fine ideologico.
L'economia è la forma di energia e materia che governa le regole fisiche e che fa sì che ogni sistema vivente tenda ad un equilibrio economicizzando le risorse in modalità efficace ed efficiente in relazione all'ambiente in cui vive.

perchè diversamente è contraddittoria una definizione speculativa di scarsità di risorsa, ci potrebbe benissimo essere abbondanza, e ci sono prezzi anche per beni abbondanti, mentre la scarsità segue la regola speculativa dell'offerta di un bene ,servizio, risorsa.e può essere indipendente dalal domanda come il capitalismo attuale impone. Cioè fa scarseggiare l'offerta per tenere alti i prezzi,soprattutto in regime di cartelli oligopolisti se non di monopolio. Quindi la teoria della scienza economica, almeno una delle teorie che vuole passare come paradigmatica culturalmente e convenzionale i ha basi puramente speculative e mira al comportamento edonistico ed utilitaristico.
Ma allora quando l'uomo economicamente si pone come problematica ambientale ,quando allarga l'orizzonte l'economico al concetto di mondo, inteso come salubrità alimentare , sostenibilità equilibrio di risorse ,di cosa parliamo, di economia o di altro?

Basta studiarsi la storia della teoria del  VALORE ECONOMICO, per rendersi conto delle diverse scuole di pensiero.

Anthonyi, il debito è il fondamento dell'economia attuale.Tutti invitano ad acquistare e ancora un pò ti danno il finanziamento per comprare il caffè al bar sotto casa: perchè?
Perchè nei finanziamenti ci sono interessi e questo ha insito per sua natura il concetto di  RISCHIO.Pensi che le aziende finanziarie non sanno che tutti  i crediti non li porteranno a casa.un tempo c'erano i protesti presso i tribunali, c'è il fido quando si richiede un forte finanziamento per acquistare un immobile o un imprenditore che investe, con tanto di fideiussioni per chiudere le sicurezze, ma tenere comunque alto il tasso di rischio.Ci sono agenzie apposite per le riscossioni de i crediti , il fisco e l ostato hanno inventato il ravvedimento operoso, le multe sono pagate con lo sconto se si risolvono in breve tempo.
Il tutto perchè il creditore sa benissimo in qualunque forma si collochi con lo stato o fra privati, che non riuscirà ad avere in breve tempo e magari tutto il capitale, allora preferisce patteggiare una minore realaizzazione del capitale.
Il 20% del debito italiano è in mano alla Ue, e l'altro 80 % a chi è in mano?
Gli stati devono indebitarsi, ribadisco devono se vogliono avere il ruolo di investitori e mettere in circolo economico denaro che crea reddito, il problema è in quale modo, agli appalti mafiosi, agli sprechi, o in maniera mirata ed oculata.
C' è questa mania del debito come se fosse la moderna "punizione divina".Il problema è come ideologicamente utilizzano lo sforamento del debito............per far fare il sacrifico alla punizione divina e lo fa il solito popolo:e si chiude il circolo vizioso dell'invenzione terrorifica del debito.
Funziona così questa scienza moderna che utilizza il dispositivo culturale antico. Si presenta un dio periodicamente(la Merkel o qualche commissario, o Draghi, o la signora del FMI ecc) che periodicamente alza l'indice della mano con su scritto pil/debito pubblico e subito il popolo corre a vedere sotto i materassi e le piastrelle dove ha messo i sudati risparmi perchè ora si chiede il sacrifico per la colpa del debito.I capitribù del popolo che fino a poco prima bestemmiavano gli dei guardano ora loro stessi gli dei in maniera terrorizzata e alzano la mano prostrando la schiena a novanta gradi in un luogo chiamato parlamento dove il dio sul palmo della mano ha scritto; taci, dici sì  o  te ne vai.,

Se nessuno facesse debiti, questo tipo di economia globale sparisce, perchè il debito diventa ingegnerizzato titolo di credito e investimento di cui si avvalgono tutti, dalle assicurazioni ai fondi d'investimento ,ai fondi pensionistici dei lavoratori dipendenti,dalle banche alle finanziarie di consumo, per accorgermi che ho un fondo d'investimento che ha dentro una piccola dose del mio debito(ho investito sul mio debito, bel paradosso economico).

Bisogna avere coraggio quando si fanno scelte e l'italiano oggi non ne ha.Non ci sono le condizioni culturali, non ci sono amalgame sociali,non c'è un progetto che sia uno,quindi è chiaro che il quadro non è mutato negli ultimi anni(ed è per questo che è fallito Renzi,l'ennesimo imbonitore).
Il marxismo ha insegnato alcune metodologie anche per i non marxisti.. Cambiare il paradigma facendo un analisi economica e storica, studiare gli strati sociali, quindi la sociologia in funzione del reddito prodotto e delle forme della distribuzione del  reddito e veder dove finisce il plusvalore,studiare come la sovrastruttura, la politica, accompagna la forma economica e infine giocare d'anticipo,perchè senza un progetto non si può avere una prassi e la storia ha insegnato che predire è fondamentale è sapere come farà il capitalismo la prossima mossa sulla scacchiera della storia  e in quale modalità si muterà.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: anthonyi il 13 Marzo 2018, 07:46:19 AM
Citazione di: 0xdeadbeef il 12 Marzo 2018, 19:57:01 PM

Oggi, ad esempio, chi conosce economisti come P.Sraffa, che pure demolì letteralmente la teoria dell'equilibrio perfetto
dei mercati (su ammissione dello stesso P.Samuelson)?

Ciao 0xdeadbeef,
Io conosco Piero Sraffa, lo sapevi che fece un sacco di soldi speculando sull'oro ai tempi della crisi di Bretton Woods, questo per dirti che tutti fanno il proprio interesse, anche i critici dell'interesse privato. Delle contraddizioni formali della teoria dell'equilibrio sono in tanti ad aver parlato, così come dei fallimenti reali del mercato e non mi pare siano stati soggetti a censure.

Un saluto
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 13 Marzo 2018, 20:04:24 PM
Citazione di: paul11 il 13 Marzo 2018, 00:37:31 AM
cerco di rispondere un poco a tutti gli ultimi post.
mauro(ox...) io penso che l'epistemologia di Paul Feyerebend sia la migliore.
hai dato una classica definizione di economia ed è incentrata sul comportamento.
E di nuovo siamo alla contraddizione.Di quali comportamenti  e di quale natura umana?



Il comportamento, la condotta, più efficace ed efficiente nel senso cui pensava G.d'Ockham quando affermò il celebre
"pluralitas non est ponenda sine necessitate" (che poi in sostanza si tradurrà con: "ottenere il massimo risultato
con il minimo sforzo").
Non è certo un caso che quella affermazione venga proprio da Ockham e dall'allora nascente filosofia anglosassone.
E' infatti proprio dalla critica degli "universali" che il particolarismo che segnerà tutta la storia del
pensiero anglosassone prende le mosse, ma non voglio divagare su queste pur pertinenti tematiche.
Fatto è che oggi quel particolarismo sembra dimenticato (per la verità, dicevo, è dimenticato persino che il valore
di un bene come valore di scambio pone tutta l'economia su un piano soggettivo).
In altre parole, per le volontà dominanti valgono solo i principi che portano un utile immediato. Per cui quando
fa comodo l'economia è intesa in senso soggettivo; quando non fa comodo in senso oggettivo (ecco la "scienza"...).
Tutto ciò, naturalmente, è in linea con le teorie di Von Hayek (che io ritengo il massimo pensatore del "mercatismo"),
il quale afferma le "conseguenze inintenzionali dell'agire intenzionale", cioè afferma che basta perseguire il
proprio utile immediato per far sì che questo formi un "sistema", o "ordine", che è anche, intrinsecamente, il
miglior sistema che potremmo avere (ecco perchè il "complottismo" non ha significato).
Dal punto di vista di Von Hayek (che è il punto di vista di tutti i "mercatisti") il "mondo" come salubrità e
sostenibilità di risorse è null'altro che un "universale", quindi letteralmente non esiste.
O per meglio dire, esiste ma solo in relazione con l'individuo che lo pensa come utile. Per cui se ci saranno molti
individui a pensarlo come tale, esso assumerà una connotazione oggettiva, e quei problemi diventeranno "reali" (la
salubrità e la sostenibilità costituiranno allora la base di un sistema economico e politico volto alla loro
preservazione).
E' però chiaro che, prima di quell'ipotetico momento, la salubrità e la sostenibilità saranno visti come "impicci".
Detta così sembrerebbe solo ed esclusivamente un problema di maggioranza (quindi di democrazia, e sotto certi aspetti
lo è anche). Ma vanno considerate le categorie di "forte" e di "debole" (e qui mi riallaccio a quella "fenomenologia
della debolezza" di cui parlava Phil).
E' chiaro infatti che l'utile del forte ha peso ben maggiore di quello del debole (e quindi condiziona, anche
"democraticamente", le scelte politiche ed economiche).
Ma "chi" è il debole?
Per me, nella società dell'oggi, è debole colui che nell'atto del "contratto mercatistico" rappresenta la parte
svantaggiata.
Il "contratto", lungi dall'essere solo lo strumento che tutti conosciamo , nel moderno emergere dell'individuo
rappresenta il mezzo più efficace, cioè economico, di risoluzione delle controversie fra soggetti privati (da
qui il suo debordare in ogni dove).
Non ritengo esagerato chiamare la società contemporanea come la "società del contratto". Nel processo di
ritrazione di ogni sfera collettiva (o pubblica), il contratto sta sempre più sostituendo la stessa legge,
ormai oggetto di valutazione non "in sè", ma a seconda che convenga o meno rispettarla.
Dunque, oggi essere deboli vuol dire essere deboli "nel" contratto. A questa debolezza dovrebbe rimediare
l'istituzione statuale, con una azione che, di per se stessa, non può che essere limitante dello stesso
istituto del contratto (in quanto il contratto è la forma con cui maggiormente si esplica l'utilitarismo).
In parole povere, ad una concezione del "bene" inteso come perseguimento del proprio utile (che è tipico
di tutta la filosofia anglosassone) dovremmo opporre una concezione del "bene" inteso come perseguimento
di un ideale assoluto di giustizia.
saluti
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: paul11 il 14 Marzo 2018, 10:05:07 AM
ciao Mauro,
bene, sulla prima parte del tuo discorso tutto ok e hai perfettamente ragione sul "contratto", e adesso approfondisco.
Già con Eutidemo era in abbozzo il discorso diritto di natura(giusnaturalismo) che ha due matrici :cristiana tomistica e umanistica laica.

La sua rappresentazione formulazione pratica è il "contratto" , la "negoziazione" che come si sa è il principio soprattutto del concetto di mercato, si negozia un prezzo sulle curve della domanda e offerta.

E' fondamentale capire che la lotta di classe è diventata negoziazione nei luoghi produttivi e dei luoghi di lavoro.

Si è costruito un doppio binario nel diritto e molto furbescamente, perchè il "patto sociale" si risolve contrattualisticamente nella pacificazione del conflitto con  i contratti sindacali del le parti sociali.
E'fondamentale capire dove la legislazione in termini di diritto incrocia la scrittura privara di associazioni che non hanno personalità giuridica vera e propria  non sono "enti pubblici" e infatti la Costituzione italiana ad esempio dice poco.

Gli endemismi, le specificità legislative dei vari Stati occidentali hanno incanalato la  pacificazione del conflitto  fra il debole e il forte
nella logica dell'interesse economico e non del diritto.

I sindacati quindi contrattano soprattutto salario e stipendi e quindi il costo del lavoro.
Questa forma  neocontrattualistica è tipica del sindacato americano e della tradizione tradeunionista inglese, in Germania è la cogestione regolamentata però nei suoi principi da leggi.

E' accaduto che la cinghia di trasmissione ad esempio fra partito e sindacato nella teoria e pratica comunista,finita la fase rivoluzionaria e sposata la tesi contrattualistica si sia appiattita.

Quì è altrettanto fondamentale capire le tipologie dei partiti storici diversamente dai movimenti e partiti moderni.
Tanto per capirci 5 stelle e Forza italia o cambiano le prassi o spariranno in breve tempo.
La lega tiene perchè ha anche sindacati.
Cosa significa?
Che se un partito politico perde di vista il rapporto-fabbrica(luogo di lavoro) -società-territorio-Stato, diventa un imbonitore venditore di favole, perchè non ha il rapporto faccia -faccia, perchè non costruisce la fase di "reclutamento" dei giovani appassionati.
Si perde il contatto sociale.Il pensiero sociale è fondamentale nella progettazione politica che  accompagna i cristiano sociali, le sinistre sociali come le destre sociali.
Quando le cellule comuniste erano all'interno delle fabbriche ,l'azione cattolica agiva altrettanto nelle parrocchie dei territori.
I due partiti storici (PCI e DC)i erano dentro il tessuto economico sociale e i loro capi storici si formavano dalle associazioni giovanili sui territori.
E poi vale ancora la legge sociologica che il modo di produrre diventa la forma del modo di fare Stato, chi ha in mano i mezzi di produzione pretende che lo stato sia a sua immagine e somiglianza, meno diritti e più contrattazione
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 15 Marzo 2018, 14:40:23 PM
La negoziazione riguarda ormai la stessa categoria della giustizia.
Prendiamo ad esempio il "Jobs Act" varato dal governo Renzi. Il licenziamento per "giusta causa" c'è sempre
stato, ma c'è sempre stata la possibilità di ricorrere ad un giudice qualora si ritenesse che il licenziamento
fosse per "ingiusta causa".
Orbene, quel governo ha semplicemente sostituito la "giustizia" con il "mercato", dando a chi licenzia la
possibilità di scegliere di licenziare, anche per ingiusta causa, pagando qualche mese (ora non ricordo nemmeno
quanti) di stipendio.
La medesima cosa, pur senza quel clamore, si è verificata e si verifica un pò in tutto il "diritto" (almeno
stando a quanto affermava il compianto e valente giurista Guido Rossi).
Beh, a me la cosa pare di una gravità inaudita, e quando ci renderemo conto (se ce ne renderemo) di dove
questa deriva ci porterà (ma in parte ci ha già portati) sarà sempre troppo tardi.
Quello che ci aspetta è dunque un nuovo "totalitarismo"? A me sembra di non poterlo escludere.
Sia chiaro però che quella che è in crisi non è la politica, come tanti affermano, ma la democrazia. Se, infatti,
definissimo la politica in maniera "weberiana" (in sostanza la distinzione fra chi comanda e chi è comandato),
vedremmo molto chiaramente che il mercato tende a diventare, esso stesso, forza politica.
L'antica distinzione fra "oikos" (famiglia) e "polis" (città) era funzionale ad una concezione dell'"oikos"
come formazione nella quale i rapporti di forza erano pre-determinati dal "sangue" (per cui la "oekonomia",
l'economia, era intesa come "governo della famiglia"). E si contrapponeva, l'"oikos", ad una "polis" dove
invece i rapporti di forza erano da determinare (da qui la "polis" come "istituzione").
A mio modo di vedere, è chiarissimo che se l'"oekonomia" invade lo spazio della "polis" i rapporti di forza
non vengono "istituiti politicamente", ma sono essenzialmente gli stessi, pre-determinati, dell'"oikos", cioè
dell'"oekonomia" (e nell'economia che invade il campo politico comanda essenzialmente chi ha il potere economico).
Dunque in gioco c'è ben di più che non la sinistra o un'altra formazione politica. In gioco ci sono
nientemeno che i principi-cardine che hanno caratterizzato i momenti più "alti" della nostra civiltà, quali
appunto il sentimento di giustizia e la democrazia.
Non vedere questo concretissimo rischio (ma che già è realtà sotto molti aspetti) è, a parer mio, davvero
miope.
saluti
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: green demetr il 15 Marzo 2018, 15:20:08 PM
Citazione di: paul11 il 14 Marzo 2018, 10:05:07 AM
....
Quando le cellule comuniste erano all'interno delle fabbriche ,l'azione cattolica agiva altrettanto nelle parrocchie dei territori.
I due partiti storici (PCI e DC)i erano dentro il tessuto economico sociale e i loro capi storici si formavano dalle associazioni giovanili sui territori.
E poi vale ancora la legge sociologica che il modo di produrre diventa la forma del modo di fare Stato, chi ha in mano i mezzi di produzione pretende che lo stato sia a sua immagine e somiglianza, meno diritti e più contrattazione

Già ma oggi chi produce più? Nel senso che il terziario ha ormai il controllo politico che siano banche, che siano agenzie di contrattazione (ne ho sentito per la prima volta parlare guardando i serial tv americani, ma non credo esistano già in Italia, o sbaglio?), che siano società che fanno giochi, che siano le poste, che siano le amministrazioni di ciò che fanno altre amministrazioni che non fanno altro che emettere leggi ampollose, auto-rimandantesi, autocontradditorie, come ha fatto di recente notare Tremonti, tornato intellettuale per un secondo, come quelle europee.
E' un fatto numerico, chi produce per davvero è infinitamente minoritario rispetto a chi fa altro.

E poi la parola contatto sociale che cosa vuol dire oggi?
Come forse sai io i sindacati li odio, mi hanno fatto male, molto male.
Vendere lucciole per lanterne è contatto sociale, preferisco farne a meno.

Una volta la gente era sincermanente preoccupata del buon funzionamento almeno delle cose, se non dei rapporti personali.

Oggi si è perso completamente anche il buon costume.

Si fà per tutto per i conti in tasca, ma personali.

A parte che sarebbe dovuto valere ieri (e poichè non lo è stato sono morte le ideologie) ma il tema della comunità, dell'interesse per le persone e non per le cose, dovrebbe essere finalmente percepito oggi come oggi.
E invece come acutamente analizzato da pensatori a sinistra come Zizek o Badiou, la gente trova sempre il modo di dare il peggio.

E' interessante vedere i 2 manifesti di Badiou, dal primo che allarmava sul da farsi, al secondo, che allarma sul rimanere svegli.

A me pare sempre più evidente il colasso intellettuale, oltre che quello spirituale (ma quello va bè, è per pochi).

Ci stiamo rimbambendo, chissà la libreria distopica quali nuove perle ci darà.

Per finire, sebbene non abbia molto seguito questo 3d, possiamo dire che non potersi dire di sinistra è quasi il sintomo di non potersi dire più niente di niente.

Così giusto per mettere un pò d'allegria nell'aria  ;D 

In verità ripeto è semplice: rimettere il tema comunitario al centro dell'attenzione.

Che poi è la stessa cosa che dice Paul mi pare (anche se lui intende in maniera politica, e va bene lo stesso! ci terrei a confermarlo)
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: green demetr il 15 Marzo 2018, 15:31:57 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 15 Marzo 2018, 14:40:23 PM
La negoziazione riguarda ormai la stessa categoria della giustizia.
Prendiamo ad esempio il "Jobs Act" varato dal governo Renzi. Il licenziamento per "giusta causa" c'è sempre
stato, ma c'è sempre stata la possibilità di ricorrere ad un giudice qualora si ritenesse che il licenziamento
fosse per "ingiusta causa".
Orbene, quel governo ha semplicemente sostituito la "giustizia" con il "mercato", dando a chi licenzia la
possibilità di scegliere di licenziare, anche per ingiusta causa, pagando qualche mese (ora non ricordo nemmeno
quanti) di stipendio.
La medesima cosa, pur senza quel clamore, si è verificata e si verifica un pò in tutto il "diritto" (almeno
stando a quanto affermava il compianto e valente giurista Guido Rossi).
Beh, a me la cosa pare di una gravità inaudita, e quando ci renderemo conto (se ce ne renderemo) di dove
questa deriva ci porterà (ma in parte ci ha già portati) sarà sempre troppo tardi.
Quello che ci aspetta è dunque un nuovo "totalitarismo"? A me sembra di non poterlo escludere.
Sia chiaro però che quella che è in crisi non è la politica, come tanti affermano, ma la democrazia. Se, infatti,
definissimo la politica in maniera "weberiana" (in sostanza la distinzione fra chi comanda e chi è comandato),
vedremmo molto chiaramente che il mercato tende a diventare, esso stesso, forza politica.
L'antica distinzione fra "oikos" (famiglia) e "polis" (città) era funzionale ad una concezione dell'"oikos"
come formazione nella quale i rapporti di forza erano pre-determinati dal "sangue" (per cui la "oekonomia",
l'economia, era intesa come "governo della famiglia"). E si contrapponeva, l'"oikos", ad una "polis" dove
invece i rapporti di forza erano da determinare (da qui la "polis" come "istituzione").
A mio modo di vedere, è chiarissimo che se l'"oekonomia" invade lo spazio della "polis" i rapporti di forza
non vengono "istituiti politicamente", ma sono essenzialmente gli stessi, pre-determinati, dell'"oikos", cioè
dell'"oekonomia" (e nell'economia che invade il campo politico comanda essenzialmente chi ha il potere economico).
Dunque in gioco c'è ben di più che non la sinistra o un'altra formazione politica. In gioco ci sono
nientemeno che i principi-cardine che hanno caratterizzato i momenti più "alti" della nostra civiltà, quali
appunto il sentimento di giustizia e la democrazia.
Non vedere questo concretissimo rischio (ma che già è realtà sotto molti aspetti) è, a parer mio, davvero
miope.
saluti

Non sono contrario in toto sia chiaro, ma l'idea del diritto alle famiglie è la maniera in cui comunità e liberazione con i loro convegno riminesi, stanno tentando di salvare il salvabile a DESTRA, e cioè via cattolica.

Bizzarro che oggi uomini di sinistra pensino come uomini di destra.

Non è il solo caso di Mauro.  :o

Secondo me Mauro, anche riascoltandoti in questi interventi, mi sembra che tu sia molto attacco all'aspetto sovrastrutturale, e non all'aspetto sociale.

Possibile che non ti accorgi, che proprio lo snocciolar numeri, come faceva al tempo il compagno Bertinotti risultava ancor più indigesto una volta poi che nei fatti, cominciò a frequentare i salotti romani, e sopratutto firmò l'intervento italiano nei balcani (mi sembra).

Credo sia ora di far luce più che sui numeri sulla proprio umanità: qualcuno in politica è in grado di farlo?
Chi deve smuover passioni, è appassionato? o è una mummia come Grasso, che a livello comunicativo ha distrutto l'ultimo avamposto di sinistra che tentava di essere ancora sinistra, seppure prendesse tutte decisioni di destra e contro la sinistra (capisco anche perchè la gente se ne è stufata).

Sopratutto essere appassionati oggi è intervinire a colpi di tweet?

No perchè la sociologia ci spiega che è esattamente così....ma questo significa cavalcare l'onda, e non domarla. Per fare una sciocca metafora.

Ovviamente la questione è ben più seria e radicale, e chiama in ballo la filosofia, che notoriamente influsice meno di zero su queste cose.

La cosa bizzarra è che esiste una intellettualità di sinistra, ma che non riesce a creare paradigmi di immagine sufficienti.

L'apparato simboloico di sinistra è morto, per come lo conoscevamo prima....
Forse è tardi, ma sarebbe delittuoso non provarci almeno a ricostruirlo.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 15 Marzo 2018, 19:36:15 PM
Citazione di: green demetr il 15 Marzo 2018, 15:31:57 PM
Bizzarro che oggi uomini di sinistra pensino come uomini di destra.




A mio parere, bizzarro è che non si sia ancora capito che "destra" e "sinistra" siano termini politici legati
ad una precisa stagione (quella che va da metà 800 a tutto il 900); molto lunga, se vogliamo, ma che dimostra
ormai chiari segnali di presentare ormai poche similitudini con la contemporaneità.
A parer mio ci vogliono altri strumenti di analisi che non quelli otto-novecenteschi; e questa analisi, per
avere almeno una parvenza di credibilità, deve partire come si suol dire, dall'inizio, cioè partire dai
fondamentali filosofici.
Da questo punto di vista, e scusami la franchezza, non è snocciolando i Bertinotti, i Grasso, le Comunione
e Liberazione; cioè la politica "strictu sensu"; che potremo tentare di capirci qualcosa.
Nella risposta a Paul11 vedo che affermi la necessità di rimettere al centro dell'attenzione il tema
comunitario...
Beh, bisogna vedere che intendi, visto che, presumo, la tua idea di comunità è assai diversa dalla mia (dal
momento che sembri svalutare non poco l'aspetto sovrastrutturale...).
Ma poi in cosa consistono questa "struttura" e questa "sovrastruttura"? Non sono forse esse, in un certo qual
modo, retaggio di una filosofia hegeliana che fa del riduzionismo forse la principale delle sue caratteristiche?
Ad esempio, non credo sia agevole dire se il "mercatismo" (che, ripeto, per me è l'attuale ed estrema forma del
capitalismo) sia struttura o sovrastruttura: probabilmente è entrambe le categorie; ma questo dimostra appunto
la necessità di andare oltre le strutture filosofiche (...) hegeliane.
In attesa di tue delucidazioni (mi interesserebbe in particolare sentirti dire qualcosa sulla comunità), concludo
sostenendo quello che per me dovrebbe essere l'imperativo categorico di qualsiasi "sinistra": il debole va sempre
difeso dalla possibile prepotenza del forte.
Questo dovrebbe valere sia in prospettiva futura, sia nell'immediato.
saluti
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: InVerno il 16 Marzo 2018, 11:24:18 AM
Citazione di: paul11 il 14 Marzo 2018, 10:05:07 AM
Quì è altrettanto fondamentale capire le tipologie dei partiti storici diversamente dai movimenti e partiti moderni.
Tanto per capirci 5 stelle e Forza italia o cambiano le prassi o spariranno in breve tempo.
La lega tiene perchè ha anche sindacati.
Cosa significa?
Che se un partito politico perde di vista il rapporto-fabbrica(luogo di lavoro) -società-territorio-Stato, diventa un imbonitore venditore di favole, perchè non ha il rapporto faccia -faccia, perchè non costruisce la fase di "reclutamento" dei giovani appassionati.
Mescolare FI e 5s da questo punto di vista ha poco senso, li si può trattare dal punto di vista del partito-azienda (nessuno degli esimi giornalisti italiani ha ancora chiesto a 5s perchè non lavorano opensource) ma dal punto di vista del bacino elettorale prendi un granchio. M5s ha una base e un contatto con essa, ma non è nel secondario, è nel terziario, il 25% del 2013 l'ha fatto in gran parte negli uffici attraverso gli schermi. Con la proposta del reddito di cittadinanza ha aggredito l'elettorato che lavora nel secondario e\o disoccupato, e questa può essere considerata una vera e propria manovra elettorale, ma la base ce l'hanno e rimane principalmente nel settore servizi (unico che può ricevere un "partito digitale"). Questa analisi andrebbe fatta anche dalla sinistra, il politico perderà pure di vista il rapporto con la fabbrica, ma le fabbriche oggi hanno molti meno voti, perchè la gran parte della forza lavoro si è spostata. Le p.iva interessano a qualcuno? Lo snobismo di sinistra non li ha mai considerati, o meglio erano "quelli che evadono" contro i santi a lavoro dipendente.. Bella narrativa, funziona.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: paul11 il 16 Marzo 2018, 14:18:11 PM
Citazione di: InVerno il 16 Marzo 2018, 11:24:18 AM
Citazione di: paul11 il 14 Marzo 2018, 10:05:07 AM
Quì è altrettanto fondamentale capire le tipologie dei partiti storici diversamente dai movimenti e partiti moderni.
Tanto per capirci 5 stelle e Forza italia o cambiano le prassi o spariranno in breve tempo.
La lega tiene perchè ha anche sindacati.
Cosa significa?
Che se un partito politico perde di vista il rapporto-fabbrica(luogo di lavoro) -società-territorio-Stato, diventa un imbonitore venditore di favole, perchè non ha il rapporto faccia -faccia, perchè non costruisce la fase di "reclutamento" dei giovani appassionati.
Mescolare FI e 5s da questo punto di vista ha poco senso, li si può trattare dal punto di vista del partito-azienda (nessuno degli esimi giornalisti italiani ha ancora chiesto a 5s perchè non lavorano opensource) ma dal punto di vista del bacino elettorale prendi un granchio. M5s ha una base e un contatto con essa, ma non è nel secondario, è nel terziario, il 25% del 2013 l'ha fatto in gran parte negli uffici attraverso gli schermi. Con la proposta del reddito di cittadinanza ha aggredito l'elettorato che lavora nel secondario e\o disoccupato, e questa può essere considerata una vera e propria manovra elettorale, ma la base ce l'hanno e rimane principalmente nel settore servizi (unico che può ricevere un "partito digitale"). Questa analisi andrebbe fatta anche dalla sinistra, il politico perderà pure di vista il rapporto con la fabbrica, ma le fabbriche oggi hanno molti meno voti, perchè la gran parte della forza lavoro si è spostata. Le p.iva interessano a qualcuno? Lo snobismo di sinistra non li ha mai considerati, o meglio erano "quelli che evadono" contro i santi a lavoro dipendente.. Bella narrativa, funziona.
Nessuno ha più una base elettorale,del tipo voto tal partito per "fede" e a prescindere da quello che fa e farà
La base elettorale era nel  PCI ,era nella Dc dove nessuno si diceva democristiano e poi raccoglieva 12 milioni di voti..
Nessuno oggi può partire da una base di milioni di voti a prescindere.
e le "sberle" subite negli ultimi anni dimostrano infatti l'erosione della base che piuttosto non vota.
L'elettore oggi vota"per convenienza" non per fede, il che significa in un determinato momento temporale in cui cadono le elezioni ,le condizioni social,economiche del momento, il proprio modo di pensare portano di più verso un certo tipo di partito o movimento o addirittura astensionismo.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: paul11 il 16 Marzo 2018, 14:50:30 PM
risposta ad Mauro, Green, Inverno ,ecc
mi pare chiaro che "il mondo" era più facilmente" classificabile qualche decennio fa e mi pare di avere anche scritto che la giusta tesi dell a"fenomenologia del debole" evidenziata da Phil, come risultato sociale del modo contemporaneo di produrre, delle tipologie di lavoro, delle frammentazioni dei luoghi di produzione ,delle  delocalizzazioni, ecc. abbia contribuito a "mescolare le carte".

Oggi si è precari" a  vita, è passato il "lavoro sicuro per una vita",anche se  è ancora in atto la differenza giuridica e contrattuale fra lavoratore in aziende private e chi lavora in enti pubblici .

L'economia mi insegna che il lavoro dà stipendi salari e profitti e il territorio con i suoi servizi è il luogo centrale in cui vengono spesi quei soldi guadagnati.
Fare analisi senza tenere conto il circuito della tracciabilità dal luogo della produzione del reddito al luogo della distribuzione(inteso dove e come vengono spesi  i denari guadagnati) del reddito e del relativo risparmio,significa perdere di vista la realtà e non sapere più dov'è il bandolo della matassa.

I partiti  oggi hanno saltato a piedi uniti questo processo, si presentano come public relation o product manager del marketing e fanno "commercio" politico, vendono il loro prodotto.E' in questo che si assomigliano tutti.

Quando passa una legge Fornero sulle pensioni senza 1 minuto di sciopero generale, significa che ormai il sindacato ha preso determinate strade, e l'arco parlamentare fa passare tutti i trattati a maggioranza o al limite con qualche astensione, vuol dire che quello che accade in parlamento e nei corridoi delle"camere caritatis" non è quello che i pusher della politica ci raccontano.

Quando Amato, Dini, D'Alema, Renzi, sono fra  coloro che hanno toccato le riforme delle pensioni e le riforme sul lavoro compresa la privatizzazione delle scuole , mi porta a pensare qualcosa che lascio a voi immaginare.
Non lo ha fatto la destra, non lo ha fatto Berlusconi, perchè avrebbero mobilitato  i sindacati con gli scioperi generali.

Quando dico l'importanza del  pensiero sociale, intendo la capacità di costruire la rete di aggregazione già nei territori
e questo era praticato dalla fabbrica alla parrocchia.
E' chiaro che ora nel mondo del "ognuno per sè e chi volete voi, per tutti",cadono i fondamentali momenti di aggregazione e di identità,di solidarietà che quanto meno erano barriere difensive se non offensive.


probabilmente va ripensato tutto, ma di certo quella di oggi non  è sinistra e oggi non si fa politica, si fa visual, immagine, doxa,
Non c'è la forza di un pensiero ,di un percorso.Oggi strategicamente un politico dice una cosa, perchè studi di opinionisti e relative statistiche dicono che per arrivare ad un dato "target" bisogna fare pubblicità (oppps!) in un dato modo.

Questa è antipolitca è decostruzione politica.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: InVerno il 16 Marzo 2018, 16:12:24 PM
Un conto è dire che la base è liquida e si muove per interesse personale, cosa su cui sono d'accordo, un conto è negare l'esistenza di una base e di un contatto con la società e prevedere un collasso sulla base di una causa non esistente. Come avevo già scritto, ciò che liquidità sociale impone è una rivoluzione della forma partito e delle forme di rappresentanza, che è cosa abbastanza ovvia e il ritardo della classe dirigente nel capirlo genera astensionismo. Sono d'accordo comunque che ciò che serva è una rivoluzione culturale, non politica o economica (o non solo), e a questo proposito penso che a) i giornalisti, gli intellettuali, etc siano corresponsabili della politica ,è troppo comodo far parte della società civile, "gli ignari", a giorni alterni e b) che per questioni meramente pragmatiche e ovvie (non è questione di simpatie\antipatie) questa spinta culturale non possa venire dalla "generazione dirigente" e che un ricambio generazionale sia l'unica speranza (ma tutt'altro che un assicurazione sui risultati). Riguardo alle politiche di sinistra...Oggi leggo che Benetton con le tariffe in regime di monopolio si è comprato le autostrade spagnole, strano, avrei pensato che i 6miliardi di ricavi andassero in miglior efficienza di un infrastruttura strategica, molti economisti a favore delle privatizzazioni lo ripetono, questi predicatori di miracoli sono il punto c). Tutto questo non tenendo conto (per semplificare) delle drammatiche condizioni ecologiche ed energetiche  (e migratorie) che si prospettano e che dovrebbero dare l'idea di un "tetto" che nessuno si vuole l'onere di pensare, in ambito sistemico non protezionistico.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: green demetr il 16 Marzo 2018, 22:12:25 PM
cit 0xdeadbeef
"Ma poi in cosa consistono questa "struttura" e questa "sovrastruttura"? Non sono forse esse, in un certo qual
modo, retaggio di una filosofia hegeliana che fa del riduzionismo forse la principale delle sue caratteristiche?"

Ma assolutamente no! In Hegel è forte l'idea dello Spirito, della Storia e di infinite altre cose...
La scienza è riduzionista, Hayek è riduzionista.
Un pò di contegno insomma!


cit 0xdeadbeef
"il debole va sempre
difeso dalla possibile prepotenza del forte. 
Questo dovrebbe valere sia in prospettiva futura, sia nell'immediato."

Considerazione piuttosto debole amico mio. Puoi fare di meglio.

E chi difende il più debole sarebbe la domanda? Ogni forte fa prepotenza.
Sarebbe la questione tirata in ballo dell'amico/nemico di schmitt, dove ogni amicizia vuole un nemico.
La pietra di paragone di ogni politica contemporanea.
Più che la soluzione è il problema!


:(   :(   :(


Per quanto riguarda la mia proposta comunitaria: si tratta di porre in accento la questione filosofica in capo agli intellettuali.
E di verificarla anzitutto nel lavoro quotidiano, a contatto con i compagni di lavoro.
Un lavoro sulle persone e non sulle cose.
Questo per far entrare di prepotenza la psicanalisi nelle analisi marxiste.

Non vedo altre vie. Puoi benissimo ascoltare il filosofo e polemista Zizek, per una introduzione chiara all'incredibile mole di lavoro a cui dover metter mano.
Dal tema dell'immigrazione, a quello della psichiatria, a quello della fine delle ideologie.
Il terreno è minato da un saccentismo perbenista, assolutamente idiota, e fallimentare, che spazia dall'america fino alla corea del sud.
Come a dire che siamo ancora dentro alle ideologie del 900, e che qualsiasi lavoro sui rapporti sovrastrutturali è viziato dalle sue premesse chiaramente "fuori dalla realtà" come molto bene Grillo ha intercettato e fatto slogan.

Ne dico ancora qualcosa rispondendo a Paul al prossimo post.

Ciao!
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: green demetr il 16 Marzo 2018, 22:13:18 PM
cit Paul
"probabilmente va ripensato tutto, ma di certo quella di oggi non  è sinistra e oggi non si fa politica, si fa visual, immagine, doxa,
Non c'è la forza di un pensiero ,di un percorso.Oggi strategicamente un politico dice una cosa, perchè studi di opinionisti e relative statistiche dicono che per arrivare ad un dato "target" bisogna fare pubblicità (oppps!) in un dato modo.

Questa è antipolitca è decostruzione politica."

E' quello che sostengo anch'io.

Il passaggio successivo è capire che fine ha fatto la politica, per questo al contrario di Maral, che crede più al fare ora, fare adesso, alla Fusaro, è necessario più che mai soffermarsi sul passato e capirne i fantasmi che si trascinano come miraggi, ma siamo nel deserto! Chiosa un Zizek.

Certo egli stesso con l'avvento di Trump e la marea di critiche che gli sono piovute addosso, ha dovuto ammettere che forse lo scotto da pagare per il cambiamento rischia di essere troppo oneroso.

L'inizio della politica pubblicitaria colta nel libro fondamentale "la società dello spettacolo", è giunta al rimbambimento della gente.
La solidarietà della gente era falsa, i centri di quartiere si sono sfaldati, posso solo ricordare di come quando le cellule comuniste andavano in giro a menarci durante i volantinaggi.
E di come tutto la passione fosse quella di menarsi, fascisti contro comunisti, e chi c'era di mezzo (io) veniva preso a botte lo stesso.
Per non parlare dei cortei da 5 persone e 20 carabinieri di scorta.

Era tutto falso, dai carteggi di mio nonno, in avanti, fino ai tradimenti dei sindacati, li ho vissuti tutti in prima persona.

Solidarietà era ed è solo una parola.

Bisogna avere il coraggio di andare nel merito: Perchè la gente deve essere solidale?
E' questo l'unico dato su cui riflettere.

Vi porto avanti io, è inutile prendere mazzate per un altro ventennio. Non ha motivo di essere solidale: terribile, semplice, piano.

Se lo si fa per una morale, come molti fanno, è una morale depensata, si finisce per non ricordare più perchè lo si sta facendo.

Il risultato si chiama corsa alla poltrona, defezioni, dispetti infantili.

Quando la morale non è più vissuta diventa una catena, su cui si spezzano i rapporti umani,

Lo aveva già chiaro il mio ANALFABETA bisnonno socialista prima delle guerra. (evidentemente prima ci si guardava negli occhi)

Si finiva allora per prediligere, per spostare l'attenzione sui diritti, e non più sui rapporti.

Fermo restando che sui diritti, a scapito di diverse vite, la mia famiglia è piena di martiri con stele annessa, io non rinuncerò mai a parlarne.

I diritti oggi sono stati spazzati via, perchè nel frattempo la società è colassata.

Credere che i rapporti siano strutturati dall'economia, è questo il grande sbaglio, errore ciclopico di tutto il socialismo prima e del comunismo poi.

I rapporti sono creati solo quando qualcosa è in comune.

L'evoluzione dei caratteri intellettuali dovuta alle forme democratiche, ci ha fatto sempre più capire, che prima della classe esistono i soggetti.

E che i soggetti non sono un pezzo unico di un ingranaggio universale.

I soggetti sono spezzati, come la letteratura la pittura la filosofia la musica ha intercettato e ribadito per tutto il novecento.

IL compito più alto dell'intellettualità è dunque quello di ricomprendere come il rapporto tra quegli esseri spezzati che noi siamo, da quegli essere perennemente "rimandanti" che siamo, ci consenta di trovare un senso comune.

Il senso signori!

Un senso che non sia ideologico, ma il frutto maturo delle analisi delle nostre paure e di quelle altrui, di come la solidarietà sia più una funzione del nostro stesso essere, che non una funzione di una analisi economica o politica che sia.

Capire che la feticizzazione è intrinseca al nostro agire, e proprio per questo ogni legge che viene emanata diventa un escremento, una traccia, che sempre più ci zavorra per l'avvenire.

Negli scritti anarchici, che provengono da un socialismo illuminato, vi erano tutte queste istanze di progresso.

Ma non vi è progresso senza analisi, e l'unica analisi è quella intellettuale: non vi è scampo (a mio parere).

Lenin o Mao l'avevano capito. L'egemonia intellettuale, è la base SINE QUA NON , vi sia una reale socialdemocrazia.

L'analisi è psicanalitica, non è sovrastrutturale.

Buon lavoro a tutti.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 17 Marzo 2018, 20:25:38 PM
A InVerno e Paul11
Mah, c'è poco da aggiungere alle vostre intelligenti considerazioni...
Devo dire di essere...un tantino più in accordo con il pessimismo di Paul, laddove afferma che ormai i partiti non hanno
più una base sociale e, in sostanza, vendono solo un prodotto commerciale.
Tanto per voler per forza aggiungere qualcosa (ma cos'altro, ormai?) e riportare il discorso ai "fondamenti", io direi
che tutto questo è l'effetto dell'emergere dell'individuo.
Dunque aveva ragione Von Hayek quando affermava che le entità collettive (stati, partiti, sindacati etc) non esistono se
non negli individui che le pensano?
Beh, si, non esistono in quanto, effettivamente, gli individui non le pensano (più).
E perchè non le pensano più? A parer mio perchè gli individui non pensano l'"altro": non lo pensano come "altro-da-sè"
e non lo pensano quindi come in "relazione-a-sé".
In altre parole, l'individuo-"monade" non riconosce altro che se stesso (questo, tra l'altro, politicamente, si traduce
nel non riconoscere l'interesse dell'altro come il proprio interesse).
Qui, in questo preciso "punto", perdono di senso i sindacati, i partiti, gli stati e ogni altra entità collettiva.
Non meravigli che in un simile quadro l'individuo, e quindi il mercato e il "contratto", assumano un significato di
relazione "assoluta".
Se l'economia è lo studio dei mezzi più efficaci per raggiungere un dato fine e il contratto è il mezzo più efficace,
cioè economico, per dirimere le controversie fra gli individui, allora ciò vuol dire che l'individuo è allo stesso
tempo mezzo e fine (visto che il fine, nella mancanza di una visione collettiva, è comunque riducibile all'interesse
individuale).
Tutto ciò risponde ad una logica che già Max Weber aveva individuato (la celebre "gabbia d'acciaio", cioè il fare i
soldi per fare altri soldi), e che consiste nell'indistinzione contemporanea di mezzo e scopo (in Severino, più
"ontologicamente", la volontà di potenza serve ad accrescere essa stessa indefinitamente).
Da questo punto di vista è inutile parlare di "base sociale" o entità similari cui i partiti dovrebbero appoggiarsi.
Non solo queste non esistono (in quanto gli individui non le pensano); ma non esistono gli stessi partiti (in quanto
non più pensati come veicolo di interessi e valori collettivi).
O meglio, esistono ma nella maniera descritta da Paul11: "public relation; product manager; marketers" (in quanto
pensati come tali).
Che fare allora? Per me occorre appunto recuperare quel poco del "pensare collettivo" rimasto nella cosiddetta "cultura".
Poco mi importa se qualcuno giudica questa base "di destra": non c'è alcuna alternativa allo strapotere dell'individuo e
di ciò che ne è intimamente correlato (il contratto; il mercato).

A Green Demetr
Non è certo parto della mia mente che Marx "ribalti" Hegel mantenendone inalterate tutte le basi filosofiche.
Da una parte (quella di Hegel) la sovrastruttura, lo "spirito", la storia etc; dall'altra (quella di Marx) la
struttura, la materia etc: sempre e solo di, come dire, "circolazione a senso unico" si tratta.
E, per me, questo si chiama riduzionismo (e va senz'altro superato).
Non solo, ma ritengo l'hegelismo (assieme a certe filosofie anglosassoni) "malattia mortale dell'occidente";
vero e proprio impedimento a qualsiasi nuova prospettiva; vero autentico motivo per cui ci si è ridotti alle
condizioni in cui siamo (includendovi, beninteso, le tragedie del 900).
Mi spiace dirlo per l'ammirazione che ho verso l'economista, ma il "politico" Karl Marx di hegelismo fu letteralmente
impregnato.
Infine, ritengo non estranee all'hegelismo certe nefaste degerazioni del pensiero anglosassone, come quelle presenti
nel pensiero dei "marginalisti", che sono alla radice dell'attuale situazione politica, sociale ed economica.
Naturalmente, non estraneo all'hegelismo fu anche il nazista Carl Schmitt (quantunque la sua alta statura di giurista
fu, per certi versi, innegabile).
La mia considerazione sul debole che va difeso dal forte è, ovviamente, debolissima (...); ma è per ricordare che
la "sinistra" si deve giudicare dall'azione concreta, non dal colore di una bandierina sventolata.
saluti
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: paul11 il 18 Marzo 2018, 01:48:08 AM
Citazione di: green demetr il 16 Marzo 2018, 22:13:18 PM
cit Paul
"probabilmente va ripensato tutto, ma di certo quella di oggi non  è sinistra e oggi non si fa politica, si fa visual, immagine, doxa,
Non c'è la forza di un pensiero ,di un percorso.Oggi strategicamente un politico dice una cosa, perchè studi di opinionisti e relative statistiche dicono che per arrivare ad un dato "target" bisogna fare pubblicità (oppps!) in un dato modo.

Questa è antipolitca è decostruzione politica."

E' quello che sostengo anch'io.

Il passaggio successivo è capire che fine ha fatto la politica, per questo al contrario di Maral, che crede più al fare ora, fare adesso, alla Fusaro, è necessario più che mai soffermarsi sul passato e capirne i fantasmi che si trascinano come miraggi, ma siamo nel deserto! Chiosa un Zizek.

Certo egli stesso con l'avvento di Trump e la marea di critiche che gli sono piovute addosso, ha dovuto ammettere che forse lo scotto da pagare per il cambiamento rischia di essere troppo oneroso.

L'inizio della politica pubblicitaria colta nel libro fondamentale "la società dello spettacolo", è giunta al rimbambimento della gente.
La solidarietà della gente era falsa, i centri di quartiere si sono sfaldati, posso solo ricordare di come quando le cellule comuniste andavano in giro a menarci durante i volantinaggi.
E di come tutto la passione fosse quella di menarsi, fascisti contro comunisti, e chi c'era di mezzo (io) veniva preso a botte lo stesso.
Per non parlare dei cortei da 5 persone e 20 carabinieri di scorta.

Era tutto falso, dai carteggi di mio nonno, in avanti, fino ai tradimenti dei sindacati, li ho vissuti tutti in prima persona.

Solidarietà era ed è solo una parola.

Bisogna avere il coraggio di andare nel merito: Perchè la gente deve essere solidale?
E' questo l'unico dato su cui riflettere.

Vi porto avanti io, è inutile prendere mazzate per un altro ventennio. Non ha motivo di essere solidale: terribile, semplice, piano.

Se lo si fa per una morale, come molti fanno, è una morale depensata, si finisce per non ricordare più perchè lo si sta facendo.

Il risultato si chiama corsa alla poltrona, defezioni, dispetti infantili.

Quando la morale non è più vissuta diventa una catena, su cui si spezzano i rapporti umani,

Lo aveva già chiaro il mio ANALFABETA bisnonno socialista prima delle guerra. (evidentemente prima ci si guardava negli occhi)

Si finiva allora per prediligere, per spostare l'attenzione sui diritti, e non più sui rapporti.

Fermo restando che sui diritti, a scapito di diverse vite, la mia famiglia è piena di martiri con stele annessa, io non rinuncerò mai a parlarne.

I diritti oggi sono stati spazzati via, perchè nel frattempo la società è colassata.

Credere che i rapporti siano strutturati dall'economia, è questo il grande sbaglio, errore ciclopico di tutto il socialismo prima e del comunismo poi.

I rapporti sono creati solo quando qualcosa è in comune.

L'evoluzione dei caratteri intellettuali dovuta alle forme democratiche, ci ha fatto sempre più capire, che prima della classe esistono i soggetti.

E che i soggetti non sono un pezzo unico di un ingranaggio universale.

I soggetti sono spezzati, come la letteratura la pittura la filosofia la musica ha intercettato e ribadito per tutto il novecento.

IL compito più alto dell'intellettualità è dunque quello di ricomprendere come il rapporto tra quegli esseri spezzati che noi siamo, da quegli essere perennemente "rimandanti" che siamo, ci consenta di trovare un senso comune.

Il senso signori!

Un senso che non sia ideologico, ma il frutto maturo delle analisi delle nostre paure e di quelle altrui, di come la solidarietà sia più una funzione del nostro stesso essere, che non una funzione di una analisi economica o politica che sia.

Capire che la feticizzazione è intrinseca al nostro agire, e proprio per questo ogni legge che viene emanata diventa un escremento, una traccia, che sempre più ci zavorra per l'avvenire.

Negli scritti anarchici, che provengono da un socialismo illuminato, vi erano tutte queste istanze di progresso.

Ma non vi è progresso senza analisi, e l'unica analisi è quella intellettuale: non vi è scampo (a mio parere).

Lenin o Mao l'avevano capito. L'egemonia intellettuale, è la base SINE QUA NON , vi sia una reale socialdemocrazia.

L'analisi è psicanalitica, non è sovrastrutturale.

Buon lavoro a tutti.
ciao green,
entriamo in un argomento che è profondo come la notte se interpreto bene il tuo discorso.
Se già l'economia è sovrastruttura e la politica altra ancora stratificazione culturale,
e seguendo la tua traccia il problema è psicanalitico, allora i problemi sono la paura e i simboli feticisti che 
costruiscono i dispositivi culturali.
Ne desumo che il problema è come ,di nuovo, si interpreta la natura umana.

Se lo straricco non si accontenta di ciò che ha e per feticismo continua ad accumulare denaro, la morale direbbe che è iniquo 
il suo agire e la sua mente è preda di una paura compulsiva che in realtà non riesca mai a quietare la sua sete di denaro.
Siamo tutti schiavi delle nostre paure e costruiamo forme intelligenti, dei dispositivi culturali per cercarla di bloccarla.
Allora la potenza e il dominio diventano tentativi di sublimazione,ai riti antichi sostituiamo abitudini moderne, nuove consuetudini sociali sostituiscono le vecchie e ci illudiamo che la conoscenza possa appunto costruire forme che quanto meno leniscano le paure. I cani abbaiono ascoltando il tuono, le rondini volano basse ,sentono l'elettricità dell'aria di un temporale in avvicinamento.
Forse abbiamo oltre che paure ancestrali,simili a quelle istintive animali,costruito per nostra caratteristica intellettiva delle costruzioni,ma non siamo mai riuscite a vincere, le trasformiamo storicamente.
La solidarietà allora diventa una esigenza di fare gruppo, di vincere la paura comune.

Ma detto questo Green, e probabilmente è parecchio importante andare  a fondo della tematica, perchè le forme economiche e politiche e l'aspetto morale del tipo è giusto il merito e non l'egualitarismo, è giusta la tirannia e non la democrazia,(sono esempi,,,al contrario) sarebbero effetti sociali, in cui il discrimine è comunque chi conquista il dominio e detta le regole,cioè chi culturalmente e come determina un modo di pensare.
Intendo dire che il debole una volta avuta la rivincita sul forte, se fosse solo la condizione economica  a spingerlo alla rivalsa, una volta divenuto adesso forte continuerebbe le stesse contraddizioni del suo nemico,

Penso, che oltre alla paura ancestrale umana che la conoscenza non riesce a vincere seppur costruisce dei dispositivi culturali dei surrogati di antichi riti,abbiamo un'etica.C'è chi riesce a spingersi non oltre un confine, c'è chi proprio non gli riesce.
Il senso del limite è etico se sociale e morale individuale e aggiungerei, appartiene ad un altro aspetto della natura umana, la coscienza.
Mi fermerei quì perchè il discorso è spinoso e arduo e sentirei, per chi ne ha voglia, altri pareri.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 18 Marzo 2018, 10:39:34 AM
Citazione di: paul11 il 18 Marzo 2018, 01:48:08 AM

Intendo dire che il debole una volta avuta la rivincita sul forte, se fosse solo la condizione economica  a spingerlo alla rivalsa, una volta divenuto adesso forte continuerebbe le stesse contraddizioni del suo nemico,

Penso, che oltre alla paura ancestrale umana che la conoscenza non riesce a vincere seppur costruisce dei dispositivi culturali dei surrogati di antichi riti,abbiamo un'etica.C'è chi riesce a spingersi non oltre un confine, c'è chi proprio non gli riesce.
Il senso del limite è etico se sociale e morale individuale e aggiungerei, appartiene ad un altro aspetto della natura umana, la coscienza.
Mi fermerei quì perchè il discorso è spinoso e arduo e sentirei, per chi ne ha voglia, altri pareri.

Il problema per come lo vedo io, lo accennavo, è essenzialmente nel modo in cui ci poniamo davanti all'"altro".
Il problema dell'"altro" non è risovibile con gli strumenti della filosofia hegeliana (che, ripeto, ammorba ora
più che mai tutto il nostro modo di pensare).
O per meglio dire, è risolvibile con gli strumenti della filosofia hegeliana nel senso della soluzione "finale";
cioè con una sintesi "pratica" che annulla uno dei due termini (l'"io" o l'"altro").
Non mi meraviglia né mi scandalizza che qualcuno pensi a una tale soluzione; solo che, credo, occorre esserne
consapevoli...
Del resto questo è quel che successe con il nazismo, che pensò di annullare l'"altro" inteso come razza, cultura,
religione. E quel che successe con il "socialismo reale", che pensò di annullare un "altro" inteso materialmente,
come classe al proletariato avversa.
O come avviene oggi, in forme certo meno tragiche ma non per questo meno gravi e drammatiche, con un "altro" non
compreso nella sua "alterità" di cultura e posizione sociale (e, certo, oggi l'"altro" non finisce nei lager o nei
gulag, ma finisce in quella specie di limbo costituito dalla cosiddetta "invisibilità").
Sicuramente si ha paura dell'"altro". Ma se ne ha paura appunto perchè la sua irriducibile alterità non viene
compresa. Da questo punto di vista la comunità non può essere intesa come comunità di "uguali" contrapposta ad
comunità "altre" da annientare ("sintetizzare") secondo gli schemi hegeliani.
Riconoscere l'"altro" come alterità-assoluta comporta essenzialmente una "responsabilità", un "posizionarsi" di
fronte all'"altro" che comporta primariamente una "scelta" di ordine etico e morale.
Una scelta che quindi, dice giustamente Paul11, rimanda alla "coscienza" (ma sempre e comunque ogni problema
filosofico è rimandato ad essa; non esiste in realtà alcuna "soluzione", e tutti siamo sempre e comunque
irrimediabilmente "soli" davanti alla, per certi versi, tremenda necessità della scelta).
Sorge allora spontanea una riflessione su una categoria dell'antica filosofia greca oggi quasi del tutto
dimenticata: la "misura" come giustizia.
Ma qui, almeno per il momento, vorrei fermarmi.
saluti
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: paul11 il 18 Marzo 2018, 23:52:31 PM
ciao Mauro(ox...),
Ho dovuto ristudiarmi Hegel ,come adesso studio Platone, per uscire dalle convenzioni culturali in cui vari pensatori lo hanno interpretato e tramandati, per  capire la differenza fra originale autore e interpretazione.
Hegel utilizza la coscienza per operare una sintesi concettuale e razionale fra gli oggetti reali del mondo, il concreto, e l'astrazione del pensiero.Il dato da cui inizia è che le cose in sè e per sè non sono vere, un oggetto reale da solo come un pensiero da solo non reggono ma diventano verità se si opera con il pensiero razionale sull'oggetto del mondo reale.
Questa applicazione della coscienza, come il luogo della sintesi del movimento dialettico del sapere è applicabile nella società, nella misura in cui il singolo individuo è come un oggetto in sè e per sè che necessita di essere parte con altri individui per giungere ad una sintesi storica.
Questo è solo per chiarire un pochino.
Il come sia stato interpretato, dal materialismo allo spiritualismo, dalla politica di destra e dalla politica di sinistra, o di centro, è interpretativo. Spesso hanno preso solo parti del pensiero hegeliano,mistificando invece l'intero pensiero.

L'altrui è importante da capire, per comprendere quella parte di noi che c'è ma non emerge magari per nostra personalità, per nostro carattere. Il problema è quando l'altro non gli importa di capire noi.E' da quì che nasce la legge.
La legge storicamente è quella forma ,il dettame della comunità che impedisce che i forti abbiano sopravvento sui deboli rendendoli schiavi dei loro voleri.La legge limita e condiziona il più forte soprattutto e permette la libertà al più debole.
Questo è un principio, ma sappiamo che la realtà è più infida perchè il forte cerca in tutti i modi persino legali ,il sopravvento.
Nessuna forma organizzativa, dalla monarchia alla democrazia, salvaguarda una deriva verso forme tiranniche.
Di questo sono consapevoli da Platone ad Aristotele, da Hobbes a Locke fino ai nostri tempi.
Il motivo storico dello statuto dell comunità inglese di lasciare al popolo le armi è proprio nello storico riconoscimento nelle common law di accettare pure persino la monarchia, ma il popolo ha il dovere ultimo, otre al potere legislativo, di poter resistere e ribellarsi armandosi di fronte alle tirannie,

La coscienza è ancora un altro problema.La coscienza secondo Nietzsche, secondo un cristiano, secondo un comunista, un fascista, secondo un buddista, ebreo, musulmano, secondo Calvino, Lutero................?

Quello che facevo notare nella discussione  su Trasimaco è che la giustizia come misura nell'antichità era il parametro esterno all'organizzazione umana.Era l'ordine del cosmos.Ripeto il nomos basileus era la sovranità del monarca che incarnava la mediazione fra l'ordine dell' universo da trasmettere nella misura dell'ordine della polis, della comunità umana a sua volta nel dominio fra natura e cosmos appunto. Per questo la Legge è sopra il re, è prima del re,
Storicamente è accaduto che la verità della misura della giustizia sia diventata accomodante a misura dell'uomo dei suoi interessi e utilità che quindi hanno perso il principio della giustizia.La politica quindi diventa fonte di mediazione di interessi, di individui, associazioni, gruppi economici,i partiti di conseguenza perdono la propria originaria teoretica dei principi su cui si costituiscono e si conformano alla mediazione di interessi che gioco forza il compromesso negoziale fa perdere la propria identità storica, perchè si adattano agli interessi e alle nuove forze sociali civili che vengono rappresentati nell'agone politico.
Ecco perchè tutti i partiti si assomigliano una volta giunti al potere.
D'altra parte ognuno di noi ha dei suoi principi, crede di più in certe cose e meno in altre, e nel momento in cui vive in un luogo di lavoro, in una società di persone, viene al compromesso per potere socialmente vivere in pace e non conflittualmente.
Allora se il compromesso e la mediazione sono parte intrinseca e quindi irriducibile per poter convivere socialmente, quanta parte di noi perdiamo ,compromettiamo, e per diventare altro da noi e convivere?
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: InVerno il 19 Marzo 2018, 12:21:35 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 17 Marzo 2018, 20:25:38 PMChe fare allora? Per me occorre appunto recuperare quel poco del "pensare collettivo" rimasto nella cosiddetta "cultura".
Poco mi importa se qualcuno giudica questa base "di destra": non c'è alcuna alternativa allo strapotere dell'individuo e
di ciò che ne è intimamente correlato (il contratto; il mercato).
Nelle culture di origine non idraulica (dove sopravvive invece un approccio dinastico e rigido verso il potere) la chiave per la metanoia è sempre stata il mito dello stato nascente, intuizione di Alberoni ancora da comprendere a fondo. Alla sinistra non serve solo un idea di collettività, ma anche un idea di "età dell'oro", l'unica capace di generare un cambiamento apprezzabile in questo tipo di culture "turbolente". Che nella cultura della freccia" (del progresso inesauribile) si sposterà nel futuro anzichè nel passato. Tutte cose ben note e barbose, che richiamano la sinistra alla sua idea di paradiso post sovietico, l'Europa socialista, che deve intraprendere con radicalità a tutto campo, non con ambivalenze e irrimediabili sconfitte, ideologiche ed economiche. Non penso ci sia via di scampo, ma considerate le arcinote situazioni europee, si tratta di una via crucis e di qui il "peccato originale" di Prodi, illudere il popolo che sarebbe stato "meno lavoro, più soldi" quando in realtà si tratta dell'esatto contrario, del sacrificio costante e fino ad esaurimento della propria identità collettiva nazionale, al fine di ricrearne un altra "età dell'oro", e che a oggi ha avuto come unica conseguenza un horror vacui in tutta la cultura di sinistra. Ma come si fa a chiedere sacrificio in una democrazia violentata dalla demagogia, in un oclocrazia?  Per la maggior parte degli europei, l'europa non è niente più che un telefono rotto senza garanzia, un prodotto scadente, ed è proprio il materialismo che dovrebbe rispondere di questa situazione.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: baylham il 19 Marzo 2018, 16:35:41 PM
Il contratto non è rivolto a risolvere le controversie (eccetto la transazione), per quello c'è la legge e il processo. Il contratto è una relazione orizzontale, di reciprocità tra le parti, uno scambio, un accordo. Chi contratta ha almeno un minimo di potere, di prendere o lasciare. L'alternativa sono le relazioni di potere, gerarchiche, verticali, asimmetriche.

Per me il compito infinito della sinistra è quello di eliminare l'asimmetria nella relazione economica sociale tra gli uomini.

Come già scritto la mia cartina al tornasole per valutare gli indirizzi dei singoli, dei movimenti e partiti politici sono le reazioni nelle situazioni di difficoltà, di crisi, di decrescita del reddito e della ricchezza. Riprendendo l'ultimo intervento di InVerno, come si distribuiscono i sacrifici, non i benefici. Infatti nella crisi economica gli equilibri politici si sono spostati complessivamente a destra.

Comunque nella società italiana chi è il difeso, chi è il difensore e chi è il forte?

Per me il debole è lo straniero extracomunitario. A differenza degli altri cittadini italiani non può nemmeno accedere al contratto di locazione o di lavoro, non può nemmeno prendere o lasciare un contratto, non può nemmeno ricevere una ospitalità.
All'obiezione che lo straniero non fa parte del popolo italiano, rispondo che la sinistra non fa distinzioni di nazionalità, è internazionalista.

Lo Stato non è un'alternativa al mercato, l'alternativa al mercato è la pianificazione. I principali desiderata dei partiti italiani, il protezionismo, la moneta nazionale, il reddito di cittadinanza che acquisti perché non hai un lavoro e che perdi dopo avere rifiutato 3 proposte di lavoro dipendente, la flat tax, la riduzione delle imposte e gli incentivi all'innovazione, la riduzione del cuneo fiscale, sono pienamente dentro il mercato capitalistico, hanno l'obiettivo di puntellarlo, di espanderlo. La maggioranza di questi programmi punta ad aumentare le rendite ed i profitti capitalistici interni come volano, incentivo per gli investimenti e la crescita economica, per far ridiscendere occupazione e reddito in basso nella scala sociale economica, quindi trasferiscono reddito alle classi sociali già ricche aumentando le disuguaglianze economiche e sociali infra e inter statali. Per rinviare, ammorbidire il conflitto economico, invece della redistribuzione di reddito e ricchezza tramite le imposte, si espande il debito pubblico. Ci vuole una grande faccia di tolla per proporre di finanziare programmi dichiarati primari, principali, fondanti con la lotta agli sprechi o con la crescita economica o col debito pubblico. Alla fine arriva l'insolvenza dello Stato, la crisi e il sistema capitalistico riparte. La forza di un sistema si dimostra proprio nel superamento delle crisi e nell'assenza di una alternativa.

Infine l'individuo, come il mercato, è già un universale.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 19 Marzo 2018, 20:31:04 PM
A Paul11
Tutto l'Idealismo tedesco, dunque anche Hegel, "parte" da una errata interpretazione della "cosa in sè" kantiana,
che gli Idealisti ritengono non necessaria "interpretazione" (come nel "fenomeno" di Kant), ma, di fatto, "creazione".
Per l'Idealismo, nel soggetto si attua una "sintesi" di pensiero e realtà, cioè di soggetto E oggetto (che
invece per Kant erano distinti), e questo è chiaramente esplicitato da Hegel nella celebre affermazione: "il
reale è razionale e il razionale è reale" (Fenomenologia dello spirito).
Sulla conseguenze della sintesi idealistica illuminanti sono le parole di Fichte: "il procedimento sintetico
consiste nel ricercare negli opposti quella nota per cui essi sono identici".
Come si faccia, da queste basi, a riconoscere l'"altro" (come non-sintetizzato all'"io") non saprei...
La "destra" e la "sinistra", come noto, sono termini che nascono dal posizionarsi nel Parlamento Francese
degli "interpreti" (e già questa è una contraddizione) del pensiero di Hegel (tant'è che si chiamavano
esplicitamente "destra" e "sinistra" hegeliana). Marx, come accennavo, in realtà "ribalta" solo l'
interpretazione della destra hegeliana (quella che dà preminenza al "razionale"), prendendone però
tutti i caratteri fondanti (il soggetto "creatore"; la "sintesi") ed adattandoli alla sua pur brillantissima
teoria economica.
Ora, questa sia pur scandalosamente sintetica (...) descrizione per dire: attenti, perchè l'Idealismo, o
Hegelismo, è tutto fuorchè morto o superato, ed ammorba oggi più che mai ogni aspetto del vivere.
L'Hegelismo, dicevo, non ci permette non di "considerare nella giusta luce", ma neppure di pensare l'"altro".
Sia esso un immigrato o un nostro familiare, non viene "pensato" come "altro"; ma sempre e solo come un,
diciamo, "prodotto" del nostro "io"; ed in esso, di conseguenza, sempre cerchiamo "quella nota per
cui essi, l'altro e l'io, sono identici" (per usare le parole di Fichte).
All'Hegelismo è sconosciuto quel concetto di "limite" che era invece fondante di tutta la filosofia "classica"
greca. Per questa visione (che è, ripeto, la nostra) finito e infinito sono termini privi di significato
in quanto anch'essi "sintetizzati" in un "reale" che assume perciò le sembianze dell'infinito irreale (Hegel,
vedendo Napoleone a cavallo, lo definirà "Iddio reale").
E com'è possibile, chiedo, pensare la "giustizia" senza pensare il limite, il finito?
Quale limite come "giusto limite" posso mai pensare se sono incapace di pensare il limite? Quale "misura" sarò
in grado di adottare nei confronti dell'immigrato o di un mio familiare se non contemplo nessuna misura?
Naturalmente tutto questo vale per il "compromesso", che è esso stesso presa d'atto di finitudine, di limite,
di misura e di giustizia.
Ed infatti il compromesso è sempre meno "com-promesso"; cioè è sempre meno espressione di un accordo comune
su una base "arbitrata" (in genere da regole intese come assolute) per diventare "contratto", cioè accordo in
cui la parte forte, semmai, si degna di concedere qualche briciola ...
Per vivere in pace, non conflittualmente, a mio parere è innanzitutto necessario riconoscere l'"altro", ove
tale riconoscimento vuol dire, sì, rispetto e solidarietà, ma anche, se occorre, esclusione.
saluti
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: baylham il 20 Marzo 2018, 10:09:35 AM
Riconoscere l'altro significa riconoscere di far parte di un sistema di relazioni autoorganizzantesi, ad una azione corrisponde una reazione.

Per escludere l'altro che ha solo la vita da offrire, da scambiare, da perdere, devi toglierli la vita, farlo morire. E' quello che si sta proponendo, che sta succedendo, più o meno coscientemente.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: paul11 il 20 Marzo 2018, 11:53:45 AM
Il problema non è Hegel in sè e per sè,anche se lo storicismo superò il giusnaturalismo umanista come concezione storica.
Hegel lo interpreti  non appropriatamente Mauro.Molto banalmente esemplificando; vedo una pianta, un oggetto del mondo e lo inquadro nel mio pensiero.Per poterlo concettualizzare razionalmente lo comparo agli altri oggetti del mondo e quindi costruisco similitudini e differenze. Mi accorgo che altre piante sono simili e sempre conoscendo studiando costruisco una chiave tassonomica, per classificare ,catalogare quell'oggetto del mondo e concettualizzo in speci, generi ,famiglie, ecc. vale adire in insiemi fino ad arrivare al regno vegetale che comprende tutti gli insiemi dipendenti.
Il problema non è nel metodo,confrontare un oggetto del mondo, inquadrarlo nel pensiero razionale e razionalizzarlo nella coscienza che quindi comprende un pensiero relato ad un oggetto fisico del mondo, che a mio parere è giusto, ma è nella chiave di lettura per leggere il mondo.nel nostro esempio è la chiave tassonomica che costruisce similitudini e differenze. 
Quindi sono nei paradigmi, nei postulati per la costruzione nel nostro esempio del regno vegetale(  vedo che l'apparato riproduttivo dei vegetali posso dividerlo in angiosperme e gimnosperme, ecc)

La politica è un insieme, un aggregato di individui umani dove ognuno è altrui per l'altrui.
La singolarità individuale è irriducibile ed è la legge che lega più individui in una comunità,sapendo che all'interno di essa 
c'è il saggio e il cretino, il sano e il malato, il tollerante e il prepotente. il forte e il debole.ecc.

La contraddizione sta nella chiave paradigmatica costitutiva della legge che governa  i comportamenti e li limita nella regola ,nelle norme. Se io dico che i paradigmi sono, libertà, uguaglianza e giustizia, non posso dalla enunciazione ammettere uno sforamento del forte e del prepotente sopra la testa del pacifico, tollerante e debole. Devo quì dare un limite.

Se l'atto di violazione della legge sta solo nell'uso illegittimo dei propri diritti e accetto che il forte diventa potente economicamente, 
perchè legalmente può farlo,ho creato delle disparità che limitano i tre paradigmi(libertà uguaglianza, giustizia) per alcune parti della popolazione all'interno della giurisdizione della legge e l'amplificano per altre parti di quella stessa popolazione.
Non posso solo enunciare "la legge è uguale per tutti" se so che nella pratica economica il denaro equivale a potere,così come dei ruoli sociali e civili sono più potenti di altri. Non posso dire che la contrattazione, il negoziato è fra pari forze.

Il problema sta nella tolleranza di fuoriuscita del sistema politico che ha  una legge, un ordinamento che deve recepire le diversità "altrui", ma che nello stesso tempo deve tenere conto dei paradigmi, dei principi costitutivi che danno identità comune alle differenze "altrui", diversamente diventa legge della giungla "legittimata e legalizzata".
Il sistema perderebbe coerenza e consistenza e vigerebbe solo il timore fisico della pena con cui si arma lo Stato.

La sinistra ha accettato le contraddizioni esistenti fra dichiarazione enunciativa della Costituzione con  i suoi valori, i suoi paradigmi e poi il mondo pratico quotidiaoi o del vivere che è differente dagli enunciati, vedendo persone più libere  e altre più vincolate, persone con privilegi e "sans papier",chi è disoccupato e chi non sa nemmeno più quanto ha in patrimoni.

E' l'abuso di un diritto che porta per contrappeso alla debolezza di un'altrettanto diritto. 
Non posso dire che la legge è uguale per tutti, quando un contratto di lavoro costruisce già in essere come normativa una forte sperequazione fra datore di lavoro e lavoro dipendente subordinato.E il job act non lo ha promulgato la destra.

Sono gli atti che dichiarano oggi più che mai le coerenze di appartenenza ad un a tradizione politica.
Se si accetta che la legge è mobile e va modificata in funzione del mercato, l'uomo è merce e non più cittadino.
hanno deciso le gerarchie pratiche e l'adattamento delle normative in funzione della realtà economica che non è certo egualitaria nella produzione e distribuzione della ricchezza.
Non è pensabile oggi non toccare le forme della produzione di ricchezza, laddove nei luoghi di lavoro il cittadino-lavoratore è ricattato, e pensare che la sola fase ridistributiva della ricchezza(attraverso la fiscalità e poi con l'assistenza e previdenza) possa compensare quell'anomalia originaria
Il nostro sistema politico è incoerente fra pensiero ed azione,così come fra Costituzione e leggi
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: Assenzio il 20 Marzo 2018, 12:42:42 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 19 Marzo 2018, 20:31:04 PM
A Paul11
Tutto l'Idealismo tedesco, dunque anche Hegel, "parte" da una errata interpretazione della "cosa in sè" kantiana,
che gli Idealisti ritengono non necessaria "interpretazione" (come nel "fenomeno" di Kant), ma, di fatto, "creazione".
Per l'Idealismo, nel soggetto si attua una "sintesi" di pensiero e realtà, cioè di soggetto E oggetto (che
invece per Kant erano distinti), e questo è chiaramente esplicitato da Hegel nella celebre affermazione: "il
reale è razionale e il razionale è reale" (Fenomenologia dello spirito).
Sulla conseguenze della sintesi idealistica illuminanti sono le parole di Fichte: "il procedimento sintetico
consiste nel ricercare negli opposti quella nota per cui essi sono identici".
Come si faccia, da queste basi, a riconoscere l'"altro" (come non-sintetizzato all'"io") non saprei...
La "destra" e la "sinistra", come noto, sono termini che nascono dal posizionarsi nel Parlamento Francese
degli "interpreti" (e già questa è una contraddizione) del pensiero di Hegel (tant'è che si chiamavano
esplicitamente "destra" e "sinistra" hegeliana). Marx, come accennavo, in realtà "ribalta" solo l'
interpretazione della destra hegeliana (quella che dà preminenza al "razionale"), prendendone però
tutti i caratteri fondanti (il soggetto "creatore"; la "sintesi") ed adattandoli alla sua pur brillantissima
teoria economica.
Ora, questa sia pur scandalosamente sintetica (...) descrizione per dire: attenti, perchè l'Idealismo, o
Hegelismo, è tutto fuorchè morto o superato, ed ammorba oggi più che mai ogni aspetto del vivere.
L'Hegelismo, dicevo, non ci permette non di "considerare nella giusta luce", ma neppure di pensare l'"altro".
Sia esso un immigrato o un nostro familiare, non viene "pensato" come "altro"; ma sempre e solo come un,
diciamo, "prodotto" del nostro "io"; ed in esso, di conseguenza, sempre cerchiamo "quella nota per
cui essi, l'altro e l'io, sono identici" (per usare le parole di Fichte).
All'Hegelismo è sconosciuto quel concetto di "limite" che era invece fondante di tutta la filosofia "classica"
greca. Per questa visione (che è, ripeto, la nostra) finito e infinito sono termini privi di significato
in quanto anch'essi "sintetizzati" in un "reale" che assume perciò le sembianze dell'infinito irreale (Hegel,
vedendo Napoleone a cavallo, lo definirà "Iddio reale").
E com'è possibile, chiedo, pensare la "giustizia" senza pensare il limite, il finito?
Quale limite come "giusto limite" posso mai pensare se sono incapace di pensare il limite? Quale "misura" sarò
in grado di adottare nei confronti dell'immigrato o di un mio familiare se non contemplo nessuna misura?
Naturalmente tutto questo vale per il "compromesso", che è esso stesso presa d'atto di finitudine, di limite,
di misura e di giustizia.
Ed infatti il compromesso è sempre meno "com-promesso"; cioè è sempre meno espressione di un accordo comune
su una base "arbitrata" (in genere da regole intese come assolute) per diventare "contratto", cioè accordo in
cui la parte forte, semmai, si degna di concedere qualche briciola ...
Per vivere in pace, non conflittualmente, a mio parere è innanzitutto necessario riconoscere l'"altro", ove
tale riconoscimento vuol dire, sì, rispetto e solidarietà, ma anche, se occorre, esclusione.
saluti
Ciao Oxdeadbeef, e un saluto a tutti gli amici del forum. 
Tu scrivi la creazione dell' "altro", ok,  ma tale creazione non avviene forse a livello ideale? Secondo me l'hegelismo è la corrente di pensiero che più si formalizza sul tema del riconoscimento dell'altro, perché è una tappa fondamentale e quindi necessaria allo Spirito per giungere alla piena consapevolezza di sé, e cioè a livello individuale, o di io empirico come direbbe Fichte, al sapere assoluto. Ma tale riconoscimento avviene non attraverso il bene comune e quindi l'Amore, come era stato prima di Hegel, ma Hegel basa tale riconoscimento sulla contrapposizione, sulla lotta (tema di cui Marx fu entusiasta e poi fece proprio), sul confronto di autocoscienze. La creazione dell'altro avviene a livello ideale, ma Hegel era un idealista particolare, per lui non era fondamentale che la realtà avesse una natura ideale, ma era invece basilare la sua natura eminentemente dialettica. E dialetticamente a livello di autocoscienze non c'è identità, non ancora, ma c'è lo scontro, la lotta, perciò secondo me nell'hegelismo abbiamo invece il vero riconoscimento dell'altro, tant'è vero che Hegel tratta del riconoscimento a livello storico-culturale (nella Fenomenologia), mentre a me sembra che la tua analisi si fermi a livello psicologico. Anzi, secondo me è stato proprio Marx, paradossalmente, ad appiattire le differenze tra autocoscienze, non a caso egli fa dell'alienazione un punto cardine della sua dialettica, ma cos'è l'alienazione se non la perdita della propria consapevolezza nel mondo?
Saluti
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: anthonyi il 21 Marzo 2018, 09:04:52 AM
Citazione di: paul11 il 20 Marzo 2018, 11:53:45 AM


Sono gli atti che dichiarano oggi più che mai le coerenze di appartenenza ad un a tradizione politica.
Se si accetta che la legge è mobile e va modificata in funzione del mercato, l'uomo è merce e non più cittadino.
hanno deciso le gerarchie pratiche e l'adattamento delle normative in funzione della realtà economica che non è certo egualitaria nella produzione e distribuzione della ricchezza.
Non è pensabile oggi non toccare le forme della produzione di ricchezza, laddove nei luoghi di lavoro il cittadino-lavoratore è ricattato, e pensare che la sola fase ridistributiva della ricchezza(attraverso la fiscalità e poi con l'assistenza e previdenza) possa compensare quell'anomalia originaria
Il nostro sistema politico è incoerente fra pensiero ed azione,così come fra Costituzione e leggi

Ciao paul11, ho l'impressione che tu analizzi il problema partendo da posizioni molto idealiste. Gli ideali, i valori, i principi, sono  molto importanti, ma pensare che automaticamente si applichino alla realtà non ha senso. Non a caso i saggi costituenti hanno riempito la nostra costituzione ideale di verbi che sottolineano la "proposizione" di un modello sociale e non la sua imposizione.
Quello che poi tu evochi con un certo disprezzo come "adattamento al mercato" è in realtà una sana componente di realismo che purtroppo spesso manca nel comportamento dei nostri giuristi. Qualsiasi legge deve essere adattata al mercato(anche paradossalmente una legge che lo vuole abolire) perché altrimenti non può avere effetti) per farti un esempio vuoi intervenire sul mercato della droga perché lo ritieni dannoso, non ha senso che fai una legge che vieta il commercio della droga perché il bisogno spinge i drogati a comprarla illegalmente.
Tu mi dirai ma che c'entra la droga col Job act, e invece c'entra perché anche nel Job act non ha senso discutere solo delle regole ma bisogna guardare gli effetti di quelle regole. Naturalmente è una questione di interpretazione, il mio parere è che il Ja abbia migliorato la condizione media dei lavoratori e soprattutto abbia ridotto la precarietà rispetto alla situazione preesistente.
Purtroppo soprattutto nel nostro paese vi è una visione ideale, etica, e a volte addirittura estetica delle leggi dello stato, e invece ci vorrebbe un pò di pragmatismo.
Per dire, tu che proponi un cambiamento delle "forme di produzione della ricchezza" potresti provare a precisare nel concreto cosa intendi.
In realtà, nel concreto, questo cambiamento viene continuamente attuato da quelli che la teoria economica definisce imprenditori. Non a caso Hayek afferma che la differenza tra sistema liberale rispetto a quello socialista sta nel fatto che all'interno di un sistema liberale sarebbe possibile organizzare il socialismo ma non è vero il contrario.
Un saluto
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: paul11 il 21 Marzo 2018, 11:54:01 AM
Citazione di: anthonyi il 21 Marzo 2018, 09:04:52 AM
Citazione di: paul11 il 20 Marzo 2018, 11:53:45 AM


Sono gli atti che dichiarano oggi più che mai le coerenze di appartenenza ad un a tradizione politica.
Se si accetta che la legge è mobile e va modificata in funzione del mercato, l'uomo è merce e non più cittadino.
hanno deciso le gerarchie pratiche e l'adattamento delle normative in funzione della realtà economica che non è certo egualitaria nella produzione e distribuzione della ricchezza.
Non è pensabile oggi non toccare le forme della produzione di ricchezza, laddove nei luoghi di lavoro il cittadino-lavoratore è ricattato, e pensare che la sola fase ridistributiva della ricchezza(attraverso la fiscalità e poi con l'assistenza e previdenza) possa compensare quell'anomalia originaria
Il nostro sistema politico è incoerente fra pensiero ed azione,così come fra Costituzione e leggi

Ciao paul11, ho l'impressione che tu analizzi il problema partendo da posizioni molto idealiste. Gli ideali, i valori, i principi, sono  molto importanti, ma pensare che automaticamente si applichino alla realtà non ha senso. Non a caso i saggi costituenti hanno riempito la nostra costituzione ideale di verbi che sottolineano la "proposizione" di un modello sociale e non la sua imposizione.
Quello che poi tu evochi con un certo disprezzo come "adattamento al mercato" è in realtà una sana componente di realismo che purtroppo spesso manca nel comportamento dei nostri giuristi. Qualsiasi legge deve essere adattata al mercato(anche paradossalmente una legge che lo vuole abolire) perché altrimenti non può avere effetti) per farti un esempio vuoi intervenire sul mercato della droga perché lo ritieni dannoso, non ha senso che fai una legge che vieta il commercio della droga perché il bisogno spinge i drogati a comprarla illegalmente.
Tu mi dirai ma che c'entra la droga col Job act, e invece c'entra perché anche nel Job act non ha senso discutere solo delle regole ma bisogna guardare gli effetti di quelle regole. Naturalmente è una questione di interpretazione, il mio parere è che il Ja abbia migliorato la condizione media dei lavoratori e soprattutto abbia ridotto la precarietà rispetto alla situazione preesistente.
Purtroppo soprattutto nel nostro paese vi è una visione ideale, etica, e a volte addirittura estetica delle leggi dello stato, e invece ci vorrebbe un pò di pragmatismo.
Per dire, tu che proponi un cambiamento delle "forme di produzione della ricchezza" potresti provare a precisare nel concreto cosa intendi.
In realtà, nel concreto, questo cambiamento viene continuamente attuato da quelli che la teoria economica definisce imprenditori. Non a caso Hayek afferma che la differenza tra sistema liberale rispetto a quello socialista sta nel fatto che all'interno di un sistema liberale sarebbe possibile organizzare il socialismo ma non è vero il contrario.
Un saluto
ciao anthonyi.
non ritengo propriamente di essere un idealista.

Semmai è cosa si inserisce come prioritario nel sistema umano che dichiara la tipologia di sistema.
Ad esempio io dico dei valori e tu invece il mercato.così mi sembra di capire dalla tua argomentazione.

S pongo l'uomo come centralità del sistema e dichiaro ad esempio la dignità, la giustizia,  come fondamento, sarà il mercato ad adattarsi a questi valori coniugati all'uomo.
Se invece dichiaro che il mercato è fondamentale, sarà l'uomo la variabile ad essere adattata anche se calpestasse dignità e giustizia.

E mi ricordo una polemica nata parecchi anni fa, anni Ottanta.
Sul giornale La Stampa di Torino, di proprietà Agnelli , nel quale scriveva Norberto Bobbio, ci fu una polemica con l'amministratore della Fiat Cesare Romiti.
Si era impiccato un operaio della fabbrica in fondo ai capannoni. Era nella lista da epurare dopo l ostato di crisi aziendale dichiarato allora dalla Fiat.
Romiti, ragionando da imprenditore, dichiarava che purtroppo la salvaguardia dell'azienda è superiore al lavoratore.
Bobbio dichiarava invece che l'azienda e il mercato non potevano essere superiori alle persone umane.

Ora ,la nostra Costituzione dichiara dei valori come princicpi appunto costitutivi dello Stato italiano, salvo smentirsi nel Codice civile nel libro sul lavoro.
L'imprenditore ha la libertà e facoltà "libera" e sottolineo libera (perchè Hayek è un liberista prima di essere un liberale, Bobbio ad esempio era un liberalsocialista) di aprire e chiudere fabbriche ,spostare sedi sociali, insomma di organizzare la propria azienda seguendo la logica del profitto.
Questo è il fondamento, pratico e ribadisco pratico ,che permette ad aziende seppur con bilanci positivi e profittevoli, di delocalizzare, di chiedere stati di "crisi" e avere prestiti agevolati bancari ,decontribuzione del costo del lavoro, ecc.
Il lavoratore di quell'azienda, che ricordiamolo è cittadino italiano e in quanto tale tacitamente adempiente alla Costituzione, si trova a spasso con il culo per terra.
E' giusto? Cosa intendiamo per giustizia?

O la Costituzione coerentemente la mutano e non dichiarano teorie che poi le pratiche smentiscono o no lasciano la libertà imprenditoriale superiore alla libertà del cittadino dipendete lavoratore con contratto di subordinato.
Uno dei grandi motivi per cui la sinistra storicamente ha perso, è quello di non essere mai intervenuta legislativamente a bloccare,
regolamentare seriamente questo problema. 
Altro è dire che visto che la comunità internazionale impone la libera imprenditoria soprattutto nel tempo della globalizzazione allora l'uomo è delocalizzabile dall'italia la Polo Sud e al Polo Nord,come variabile migratoria.

Infine il welfare state, l'intervento dello Stato, è servito più a dare profitti agli imprenditori furbetti che ai lavoratori , e in più a mantenere la quieta sociale, perchè se non fossero stati nemmeno dati sussidi a coloro che fossero cassaintegrati fino agl iesodati, si sarebbero andati allo scontro fisico, allo scontro sociale per disperazione.
Il popolo ha due tipi di coscienza, uno è nello stomaco e fin quando mangia è più tranquillo ,ed è quello che  ha funzionato nello "stato del benessere", l'altro è la coscienza intesa come conoscenza come presa d'atto  dello sfruttamento economico.

Lo sfruttamento economico avviene nel luogo della produzione del reddito, quindi dove si produce il valore aggiunto , plus valore, o qual dir si voglia. Quì la legislazione ben si guarda di entrarci(se non sulla tipologia del contratto) e lascia il compito alla scrittura privata della contrattazione dei rappresentanti datoriali e dei lavoratori.
A volte paragono lo stadio calcistico ai luoghi di lavoro, lì la Costituzione è parvenza, le prassi sono altre sono concessi comportamenti oltre la legge.
Eppure è nei luoghi di produzione che si forma "la produzione della ricchezza",perchè i prezzi finali sono determinati dai margini contributivi studiati dalle analisi dei controlli di gestione operative che tengono conto dei costi dei fattori produttivi.
E quì il sindacato è indietro di un millennio.
E' la produzione del reddito che genera il pil, la redistribuzione attinge dalla ricchezza prodotta e lo Stato attraverso al fiscalità, dovrebbe fa rientrare nell'equità sociale(e quì sì che vi rientra anche la Costituzione) secondo cui chi ha più reddito dà più denaro a fisco che lo redistribuisce equamente nelle fasce più bisognose  della popolazione e nei servizi sociali.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: anthonyi il 22 Marzo 2018, 12:04:29 PM
Citazione di: paul11 il 21 Marzo 2018, 11:54:01 AM
Citazione di: anthonyi il 21 Marzo 2018, 09:04:52 AM
Citazione di: paul11 il 20 Marzo 2018, 11:53:45 AM


Sono gli atti che dichiarano oggi più che mai le coerenze di appartenenza ad un a tradizione politica.
Se si accetta che la legge è mobile e va modificata in funzione del mercato, l'uomo è merce e non più cittadino.
hanno deciso le gerarchie pratiche e l'adattamento delle normative in funzione della realtà economica che non è certo egualitaria nella produzione e distribuzione della ricchezza.
Non è pensabile oggi non toccare le forme della produzione di ricchezza, laddove nei luoghi di lavoro il cittadino-lavoratore è ricattato, e pensare che la sola fase ridistributiva della ricchezza(attraverso la fiscalità e poi con l'assistenza e previdenza) possa compensare quell'anomalia originaria
Il nostro sistema politico è incoerente fra pensiero ed azione,così come fra Costituzione e leggi

Ciao paul11, ho l'impressione che tu analizzi il problema partendo da posizioni molto idealiste. Gli ideali, i valori, i principi, sono  molto importanti, ma pensare che automaticamente si applichino alla realtà non ha senso. Non a caso i saggi costituenti hanno riempito la nostra costituzione ideale di verbi che sottolineano la "proposizione" di un modello sociale e non la sua imposizione.
Quello che poi tu evochi con un certo disprezzo come "adattamento al mercato" è in realtà una sana componente di realismo che purtroppo spesso manca nel comportamento dei nostri giuristi. Qualsiasi legge deve essere adattata al mercato(anche paradossalmente una legge che lo vuole abolire) perché altrimenti non può avere effetti) per farti un esempio vuoi intervenire sul mercato della droga perché lo ritieni dannoso, non ha senso che fai una legge che vieta il commercio della droga perché il bisogno spinge i drogati a comprarla illegalmente.
Tu mi dirai ma che c'entra la droga col Job act, e invece c'entra perché anche nel Job act non ha senso discutere solo delle regole ma bisogna guardare gli effetti di quelle regole. Naturalmente è una questione di interpretazione, il mio parere è che il Ja abbia migliorato la condizione media dei lavoratori e soprattutto abbia ridotto la precarietà rispetto alla situazione preesistente.
Purtroppo soprattutto nel nostro paese vi è una visione ideale, etica, e a volte addirittura estetica delle leggi dello stato, e invece ci vorrebbe un pò di pragmatismo.
Per dire, tu che proponi un cambiamento delle "forme di produzione della ricchezza" potresti provare a precisare nel concreto cosa intendi.
In realtà, nel concreto, questo cambiamento viene continuamente attuato da quelli che la teoria economica definisce imprenditori. Non a caso Hayek afferma che la differenza tra sistema liberale rispetto a quello socialista sta nel fatto che all'interno di un sistema liberale sarebbe possibile organizzare il socialismo ma non è vero il contrario.
Un saluto
ciao anthonyi.
non ritengo propriamente di essere un idealista.

Semmai è cosa si inserisce come prioritario nel sistema umano che dichiara la tipologia di sistema.
Ad esempio io dico dei valori e tu invece il mercato.così mi sembra di capire dalla tua argomentazione.

S pongo l'uomo come centralità del sistema e dichiaro ad esempio la dignità, la giustizia,  come fondamento, sarà il mercato ad adattarsi a questi valori coniugati all'uomo.
Se invece dichiaro che il mercato è fondamentale, sarà l'uomo la variabile ad essere adattata anche se calpestasse dignità e giustizia.

E mi ricordo una polemica nata parecchi anni fa, anni Ottanta.
Sul giornale La Stampa di Torino, di proprietà Agnelli , nel quale scriveva Norberto Bobbio, ci fu una polemica con l'amministratore della Fiat Cesare Romiti.
Si era impiccato un operaio della fabbrica in fondo ai capannoni. Era nella lista da epurare dopo l ostato di crisi aziendale dichiarato allora dalla Fiat.
Romiti, ragionando da imprenditore, dichiarava che purtroppo la salvaguardia dell'azienda è superiore al lavoratore.
Bobbio dichiarava invece che l'azienda e il mercato non potevano essere superiori alle persone umane.

Ora ,la nostra Costituzione dichiara dei valori come princicpi appunto costitutivi dello Stato italiano, salvo smentirsi nel Codice civile nel libro sul lavoro.
L'imprenditore ha la libertà e facoltà "libera" e sottolineo libera (perchè Hayek è un liberista prima di essere un liberale, Bobbio ad esempio era un liberalsocialista) di aprire e chiudere fabbriche ,spostare sedi sociali, insomma di organizzare la propria azienda seguendo la logica del profitto.
Questo è il fondamento, pratico e ribadisco pratico ,che permette ad aziende seppur con bilanci positivi e profittevoli, di delocalizzare, di chiedere stati di "crisi" e avere prestiti agevolati bancari ,decontribuzione del costo del lavoro, ecc.
Il lavoratore di quell'azienda, che ricordiamolo è cittadino italiano e in quanto tale tacitamente adempiente alla Costituzione, si trova a spasso con il culo per terra.
E' giusto? Cosa intendiamo per giustizia?

O la Costituzione coerentemente la mutano e non dichiarano teorie che poi le pratiche smentiscono o no lasciano la libertà imprenditoriale superiore alla libertà del cittadino dipendete lavoratore con contratto di subordinato.
Uno dei grandi motivi per cui la sinistra storicamente ha perso, è quello di non essere mai intervenuta legislativamente a bloccare,
regolamentare seriamente questo problema.
Altro è dire che visto che la comunità internazionale impone la libera imprenditoria soprattutto nel tempo della globalizzazione allora l'uomo è delocalizzabile dall'italia la Polo Sud e al Polo Nord,come variabile migratoria.

Infine il welfare state, l'intervento dello Stato, è servito più a dare profitti agli imprenditori furbetti che ai lavoratori , e in più a mantenere la quieta sociale, perchè se non fossero stati nemmeno dati sussidi a coloro che fossero cassaintegrati fino agl iesodati, si sarebbero andati allo scontro fisico, allo scontro sociale per disperazione.
Il popolo ha due tipi di coscienza, uno è nello stomaco e fin quando mangia è più tranquillo ,ed è quello che  ha funzionato nello "stato del benessere", l'altro è la coscienza intesa come conoscenza come presa d'atto  dello sfruttamento economico.

Lo sfruttamento economico avviene nel luogo della produzione del reddito, quindi dove si produce il valore aggiunto , plus valore, o qual dir si voglia. Quì la legislazione ben si guarda di entrarci(se non sulla tipologia del contratto) e lascia il compito alla scrittura privata della contrattazione dei rappresentanti datoriali e dei lavoratori.
A volte paragono lo stadio calcistico ai luoghi di lavoro, lì la Costituzione è parvenza, le prassi sono altre sono concessi comportamenti oltre la legge.
Eppure è nei luoghi di produzione che si forma "la produzione della ricchezza",perchè i prezzi finali sono determinati dai margini contributivi studiati dalle analisi dei controlli di gestione operative che tengono conto dei costi dei fattori produttivi.
E quì il sindacato è indietro di un millennio.
E' la produzione del reddito che genera il pil, la redistribuzione attinge dalla ricchezza prodotta e lo Stato attraverso al fiscalità, dovrebbe fa rientrare nell'equità sociale(e quì sì che vi rientra anche la Costituzione) secondo cui chi ha più reddito dà più denaro a fisco che lo redistribuisce equamente nelle fasce più bisognose  della popolazione e nei servizi sociali.

Ciao paul11, mi spiace contraddirti, ma al di là di quello che tu pensi tu sei un idealista. Affermare che i principi sono più "importanti" del mercato è un'affermazione idealista che mette a confronto il valore delle due categorie.
Da pragmatico quale sono io non vedo alcun senso in questo confronto di valore, e per me, come per te, la persona è un valore assoluto. Io non avrei condiviso l'affermazione che l'azienda era più importante di quell'operaio morto, anche se la comprendo. Per molti imprenditori l'azienda è il senso della loro vita.
Essere pragmatico non vuol dire dare valore al mercato ma semplicemente confrontarsi con esso per tirarne fuori il meglio in funzione dei propri principi/valori/obiettivi.
Tu invece mi sembri presentare una serie di argomentazioni in chiave critica (E' il vecchio discorso del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto), arrivi a mettere in discussione il sistema di welfare che tutela i lavoratori, mi sembra che per te il principale problema di questo sia stato il fatto di impedire che questi arrivassero a un livello di esasperazione tale da fare la rivoluzione, ma davvero è questo quello che vorresti?
Un saluto
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: paul11 il 22 Marzo 2018, 22:37:48 PM
ciao anthonyi,
credo poco alle etichette, perchè ogni umano crede in qualcosa se difende una posizione del suo pensiero.
Tu pensi che io sia un idealista perchè credo in valori che non si trovano nel mondo fisico,
E tu pensi di essere pragmatista perchè il mercato forse è composto di atomi?

Il soggetto,Anthonyi, il soggetto è sempre l'uomo.
La dignità esiste o no, il mercato se esiste esiste solo in a una modalità?

Se per te l'uomo è un valore assoluto, allora sei un idealista?
Il problema è cosa ritieni sia giusto e il perchè ritieni che sia giusto?
O poni il mercato prima dell'uomo o poni l'uomo prima del mercato.
Poi dipende che valore dai all'uomo. Quale interpretazione dai della natura umana?
Il mercato non è un soggetto è una forma di scambio, di relazione economica.
Quindi è la forma relazionale economica .

Il fatto che il welfare state sia interpretabile  come un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto dimostra la sua ambiguità
che è per me tipica della natura umana.Quì per ambiguo non intendo un attributo denigratorio, ma il fatto che non è chiaramente univoca l'interrpretazione, può essere soggetto a diverse argomentazioni valide se sono coerenti.

La violenza è insita nella natura delle cose e nella natura umana e viene sublimata culturalmente.
Se la  natura fosse ordine ,sappiamo anche che  esiste il caos.Se la natura ha delle sue regolarità sappiamo anche che i cataclismi sovvertono per un periodo di tempo quel ciclo dell'ordine.Come dire che il disordine momentaneo,più o meno intenso, è parte di un ordine più generale affinchè avvenga un mutamento.Il tutto dentro un equilibrio che si squilibra a ha bisogno di uno scossone per riequilbrarsi.
Se lo Stato ha il monopolio della violenza, in quanto le forze dell'ordine sono armate e il cittadino no, significa che la volontà dello Stato è più forte come violenza sul singolo cittadino, non basta la legge per veicolare i comportamenti e condizionarne i limiti di legalità.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: anthonyi il 23 Marzo 2018, 08:00:32 AM
Citazione di: paul11 il 22 Marzo 2018, 22:37:48 PM
ciao anthonyi,
credo poco alle etichette, perchè ogni umano crede in qualcosa se difende una posizione del suo pensiero.
Tu pensi che io sia un idealista perchè credo in valori che non si trovano nel mondo fisico,
E tu pensi di essere pragmatista perchè il mercato forse è composto di atomi?

Il soggetto,Anthonyi, il soggetto è sempre l'uomo.
La dignità esiste o no, il mercato se esiste esiste solo in a una modalità?

Se per te l'uomo è un valore assoluto, allora sei un idealista?
Il problema è cosa ritieni sia giusto e il perchè ritieni che sia giusto?
O poni il mercato prima dell'uomo o poni l'uomo prima del mercato.
Poi dipende che valore dai all'uomo. Quale interpretazione dai della natura umana?
Il mercato non è un soggetto è una forma di scambio, di relazione economica.
Quindi è la forma relazionale economica .





Ciao paul11, idealista non è un'etichetta, è un'interpretazione del tuo ragionamento, tu ti poni il problema di un confronto tra una certa idea di giustizia ed il mercato, cioè poni il mercato sotto il dominio delle idee etiche.
Avere dei valori non vuol dire essere idealista, vuol dire solo essere etico, naturalmente in una certa forma. Poi certo ci sono tanti modi di essere etici perché l'etica spesso ha problemi interni, considera la scelta tra la vita di un uomo rapito come Aldo Moro e la necessità di dimostrare la forza delle istituzioni. Al di là di questi problemi, poi, l'etica si confronta con la realtà e con le forme di applicazione e qui incontra il marcato.
Certo il mercato non è fatto di atomi, è un'idea ma ha riferimenti e associazioni mentali con comportamenti individuali che sono fatti fisici e che sono relazionati a individui che hanno tutti valore etico. Nel mercato gli individui fanno quello che ritengono meglio per loro (E' la ricerca della felicità che è scritta nella costituzione americana) e se un'argomentazione etica afferma che questo qualcosa è sbagliato non pone un problema di assolutezza del valore della persona ma di confronto tra rispettivi valori individuali. Cosa vale di più, la preferenza del consumatore di pagare un bene il meno possibile? la preferenza dell'imprenditore di guadagnare il più possibile? la preferenza del lavoratore di guadagnare il più possibile con una certa stabilità nel tempo?
A me viene da pensare che chi ha una rigorosa certezza tra l'ordine etico di dette preferenze, e magari afferma che la preferenza del lavoratore è l'unica che conta eticamente, in realtà si sta ponendo nella posizione di un filosofo etico che afferma l'assolutezza del suo pensiero etico e lo vuole imporre alla società.
Un saluto.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: paul11 il 23 Marzo 2018, 09:56:36 AM
Citazione di: anthonyi il 23 Marzo 2018, 08:00:32 AM
Citazione di: paul11 il 22 Marzo 2018, 22:37:48 PM
ciao anthonyi,
credo poco alle etichette, perchè ogni umano crede in qualcosa se difende una posizione del suo pensiero.
Tu pensi che io sia un idealista perchè credo in valori che non si trovano nel mondo fisico,
E tu pensi di essere pragmatista perchè il mercato forse è composto di atomi?

Il soggetto,Anthonyi, il soggetto è sempre l'uomo.
La dignità esiste o no, il mercato se esiste esiste solo in a una modalità?

Se per te l'uomo è un valore assoluto, allora sei un idealista?
Il problema è cosa ritieni sia giusto e il perchè ritieni che sia giusto?
O poni il mercato prima dell'uomo o poni l'uomo prima del mercato.
Poi dipende che valore dai all'uomo. Quale interpretazione dai della natura umana?
Il mercato non è un soggetto è una forma di scambio, di relazione economica.
Quindi è la forma relazionale economica .





Ciao paul11, idealista non è un'etichetta, è un'interpretazione del tuo ragionamento, tu ti poni il problema di un confronto tra una certa idea di giustizia ed il mercato, cioè poni il mercato sotto il dominio delle idee etiche.
Avere dei valori non vuol dire essere idealista, vuol dire solo essere etico, naturalmente in una certa forma. Poi certo ci sono tanti modi di essere etici perché l'etica spesso ha problemi interni, considera la scelta tra la vita di un uomo rapito come Aldo Moro e la necessità di dimostrare la forza delle istituzioni. Al di là di questi problemi, poi, l'etica si confronta con la realtà e con le forme di applicazione e qui incontra il marcato.
Certo il mercato non è fatto di atomi, è un'idea ma ha riferimenti e associazioni mentali con comportamenti individuali che sono fatti fisici e che sono relazionati a individui che hanno tutti valore etico. Nel mercato gli individui fanno quello che ritengono meglio per loro (E' la ricerca della felicità che è scritta nella costituzione americana) e se un'argomentazione etica afferma che questo qualcosa è sbagliato non pone un problema di assolutezza del valore della persona ma di confronto tra rispettivi valori individuali. Cosa vale di più, la preferenza del consumatore di pagare un bene il meno possibile? la preferenza dell'imprenditore di guadagnare il più possibile? la preferenza del lavoratore di guadagnare il più possibile con una certa stabilità nel tempo?
A me viene da pensare che chi ha una rigorosa certezza tra l'ordine etico di dette preferenze, e magari afferma che la preferenza del lavoratore è l'unica che conta eticamente, in realtà si sta ponendo nella posizione di un filosofo etico che afferma l'assolutezza del suo pensiero etico e lo vuole imporre alla società.
Un saluto.
ciao Anthonyi.
idealista è una definizione filosofica non etica.
Secondo te esiste un "mercato etico"?

Come il modo di pensare e di fare politica oggi, hai parecchie incongruenze, ma sei in buona compagnia, è la stragrande maggioranza sia di persone che si dicono culturali che della popolazione,che è ambigua e perdonami il termine, ma è ipocrita anche in buona fede.

Ma va bene, faccio l'esercizio di seguire la tua posizione.
Io ho il diritto di muovere guerra contro chi e quanti ritengo che sia opportuno.
Questa è la regola della natura e delle organizzazioni umane senza etica e morale.
Perchè nel momento in cui percepisco che la  mia condizione esistente sia condizionata dalla felicità altrui per la mia infelicità e il felice non vuol sentire ragione, allora muovo guerra contro il felice.
A quel punto il felice chiama in causa lo Stato per salvaguardarsi.
Ipocritamente il privilegiato chiede un"assunzione di responsabilità" sul patto sociale , sulle REGOLE DELL'ORDINAMENTO PRESCRITTE DALLA LEGGE".
E quì si ricasca nella contraddizione, perchè la chiamata in causa dello Stato implica il principio costituente della comunità, società, nazione  o Stato che sia. E che  piaccia o no in quest assunzione sono declinati  i valori di libertà, giustizia e uguaglianza.

Come dire ,sono uscito dall'utero giusto, venuto al mondo ricco economicamente , faccio di tutto per essere felice.
Fingo ,perchè questa è la menzogna culturale, che tutti diventiamo felici con il mercato (quando invece in uno scambio economico a sommatoria zero, se qualcuno ne esce più felice qualcuno d'altro necessariamente  è un pò più infelice).
E se siamo più felici noi del primo mondo è perchè qualcuno sta pagando il prezzo della nostra felicità  nel quarto mondo.

Quindi al netto di etiche e morali, tutto diventa rapporto di forza e in cui lo Stato salvaguarda(anche con la violenza armata) prima i privilegiato e poi cerca di dare briciole al debole per tenerlo buono.

Il conflitto è sempre silente,come cenere sotto il fuoco. Come in natura il capobranco sa che domattina potrebbe essere sfidato per il poter del branco.

Indi, in qualunque prospettiva tu metta le argomentazioni, saprò coglierne più di una contraddizione, perchè qualunque organizzazione umana se è pensata per gli umani (senza un concetto di nomos ,di ordine, di universale,di un"qualcosa che sta prima dell'uomo e "sopra" l'uomo) non ha un ordine intrinseco, ma solo equilibri di potere e di forze
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: anthonyi il 24 Marzo 2018, 10:58:53 AM
Ciao paul11, Mercato etico? Da un po' cerco di spiegarti che è un concetto senza senso, per me almeno. Nel mercato gli individui possono essere etici o meno, ma molto dipende dal concetto di etica che tu usi.
Non pretendo di essere coerente in senso assoluto nei miei ragionamenti, mi considero un falsificazionista con una forte attenzione al postmoderno, quello che qualcuno ha definito pensiero liquido. Per questo sono più preoccupato della "sensazione" di un pensiero totalmente ordinato che, proprio per questo, è chiuso alle alternative.
Comunque mi farebbe piacere conoscere qualcuna delle mie incongruenze,
Riporto una tua frase:
"Perchè nel momento in cui percepisco che la  mia condizione esistente sia condizionata dalla felicità altrui per la mia infelicità e il felice non vuol sentire ragione, allora muovo guerra contro il felice."
Ti rendi conto che esprime una posizione perfettamente simmetrica, sia tu che il felice vedete l'altro come nemico in quanto la sua felicità è fonte di infelicità per l'altro.
Il felice però è descritto come un sadico e quindi non mi sembra una situazione generalizzabile. Normalmente le persone vedono la propria felicità con relazione positiva all'altrui felicità, il conflitto esiste, certamente fa molto più rumore dell'armonia (E' il contrasto tra il silenzio della foresta che cresce e il frastuono dell'albero abbattuto) ma è sempre circoscritto a situazioni relative.
E il conflitto come si risolve? Con le regole, con la conciliazione. Le regole le fa lo stato e la conciliazione è una riproposizione dei meccanismi di mercato.
In entrambi i casi quei principi etici e ideali ai quali tu affermi di riferirti possono avere un ruolo ma questo non mette in discussione il fatto che i rapporti di forza siano fondamentali, in politica, come in economia, gli individui agiscono per realizzare i propri obiettivi tra i quali possono essere o meno compresi dei principi etici. La società la fanno gli uomini, non i principi che sono una dotazione qualitativa e relativa degli uomini stessi.
Che poi tu possa denigrare questi uomini perché li raffronti appunto con un tuo ideale etico rimane comunque un discorso ideale, cioè un qualcosa che non propone in alcun modo un'alternativa concreta per quel quarto mondo infelice (Condivido che sia infelice, ma non condivido che la causa della sua infelicità sia nella "felicità"(Magari da queste parti fossimo tutti felici) del primo mondo).
Un saluto



Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: paul11 il 24 Marzo 2018, 14:41:53 PM
ciao anthonyi,
se non sono chiare le logiche del tuo pensiero sulla politica e sul mercato, facciamo confusioni.
Cosa vuol dire che sei "liquido"?

L'altrui non è un sadico a priori. Ho scritto che "nel momento in cui percepisco la felicità altrui...", il che significa che se non esiste, e non esiste quasi più nel pensiero moderno politico, un ordine fuori dal sistema umano da cui dipenderebbe lo stesso sistema umano, una condizione esterna allo scambio politico ed economico, l'altrui può essere tutto.Io mi fido se coopera anche per la mia felicità, se lo percepisco che la sua feliicità crea mia infelicità finisce la cooperazione e può iniziare il conflitto.
Questa è  una differenza fra il sentirsi di "sinistra" o altro.
Se quella persona felice ritene  che sia GIUSTO"(questo è il criterio soggettivato del termine GIUSTIZIA che è mutato in duemila anni di storia) perchè giustifica la sua condizione sociale di privilegiato come attinente alla sua qualità e capacità umana per cui è altrettanto  GIUSTO  che altri siano poveri in quanto meno capaci o magari per destino come alcune religioni hanno posto) deve sapere che se non lo fonda quel criterio su una giustizia ontologica, che esiste al di sopra del genere umano e quindi deve avere carattere universale, la sua è opinione quanto la mia.
E se tutto è opinione significa che tutto si risolve nella forza e nel potere e la coesistenza è solo negoziale, mediata della politica che non supera il conflitto, ma semplicemente ogni giorno è mediato da un equilibrio instabile, in quanto poggia sul nulla.

Così il quartomondista ha ragione a muovere guerra al primo mondo, come il povero con il ricco.
Perchè non esiste nessuna ragiona fondata sul governo umano(essendo tutto posto sull'ambiguità dell uomo che può essere saggio o stolto, misericordioso o cinico). la pace è solo un equilibrio temporale instabile,in attesa che mutino i punti di forza che rivoluzionano la storia.

Lo Stato moderno è la mediazione di una metafisica nata con il nomos, divenuta lex e ius nel diritto romano nella teoria e nella pratica orientata agli usi e costumi delle persone, vale a dire un'ambiguità.
i codici di Giustiniano mutarono con l'avvento dei barbari antichi divenuti imperi e bisognosi a loro volta di costituzioni.
I popoli germanici inserirono nei codex del diritto romano i loro usi e costumi alterando del tutto il rapporto fra ordine universale in cui uomo natura e universo sono compresi come cerchi concentrici, laddove il peso dei rapporti umani non diventa più condizionato dall'ordine universale, gli ordinamenti diventano funzionali ai rapporti interpersonali, alle azioni sociali.
Quindi la Legge  del nomos vine sì mantenuta come forma ,ma svuotata da ogni sostanza.
Quindi si predicano  i valori etici che cementano il giuramento della comunità (perchè giurano , i monarchi che i governi di fronte alla Legge), simile a duemila anni fa, ma la pratica è tutt'altra cosa.

Non hai ancora capito una cosa fondamentale, che è al di là di ciò che penso io politicamente.
Un sistema è coerente come logica razionale o è irrazionale.

Se si ritiene che il capitalismo e il mercato attuale sia giusto ,come è giusto che ci meno dell'1% della popolazione mondiale detenga ricchezza superiori all' altro 90% e la facciamo passare per repubblica, per Democrazia, per Libertà, per Giustizia ed Uguaglianza, permetti che mi indigni?

Diciamo allora che nulla è mutato negli ultimi secoli almeno, i nobili e aristocratici sono ora i moderni capitalisti, come gli schiavi, i plebei, i servitori della gleba, i proletari furono gli antenati sociali del povero, del "debole" attuale.

Deve cadere la maschera del dispositivo culturale millenario  che nasconde la profonda ambiguità umana.
Non va più bene il nomos, l'ordine antico, va bene, Allora coerentemente si scriva che le Costituzioni Occidentali sono fondate sullo sfruttamento economico e si facciano i giuramenti nei caveau delle banche non in luoghi istituzionali che nulla hanno più
a che fare con un ordine superiore a cui si originano giustizia, libertà ed uguaglianza.

Chiedo coerenza prima di tutto, togliamo i veli alle ambiguità e alle ipocrisie.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: Phil il 24 Marzo 2018, 17:22:31 PM
Citazione di: anthonyi il 21 Marzo 2018, 09:04:52 AM
Per dire, tu che proponi un cambiamento delle "forme di produzione della ricchezza" potresti provare a precisare nel concreto cosa intendi.
In realtà, nel concreto, questo cambiamento viene continuamente attuato da quelli che la teoria economica definisce imprenditori. Non a caso Hayek afferma che la differenza tra sistema liberale rispetto a quello socialista sta nel fatto che all'interno di un sistema liberale sarebbe possibile organizzare il socialismo ma non è vero il contrario.
Concordo, l'aspetto propositivo penso sia un nodo che ogni critica radicale all'economia vigente fa fatica a sciogliere... salvo trincerarsi in utopie e distopie. Agire sulle dinamiche in corso, piuttosto che ipotizzarne altre sostitutive, di rimpiazzo, sarebbe forse una via più percorribile, se non fosse che gli attori di quel cambiamento (dagli imprenditori in su) hanno solitamente un pragmatismo impermeabile e refrattario ad ideologie filantropiche (perché sono fortuitamente egoisti cattivi o perché così è, in genere, la natura umana in quelle situazioni di forza?).

Citazione di: anthonyi il 23 Marzo 2018, 08:00:32 AM
A me viene da pensare che chi ha una rigorosa certezza tra l'ordine etico di dette preferenze, e magari afferma che la preferenza del lavoratore è l'unica che conta eticamente, in realtà si sta ponendo nella posizione di un filosofo etico che afferma l'assolutezza del suo pensiero etico e lo vuole imporre alla società.
Questa è secondo me la pietra angolare di ogni visione politica della società: pensare politicamente comporta gerarchizzare il valore (etico, non economico) dei differenti elementi della società, secondo un ordine che si ritiene auspicabile diventi quello vigente, poiché giusto (è giusto votare per Tizio, sbagliato per Caio; è giusto si faccia così, sbagliato si faccia cosà, etc. e tale giustizia di rado è autenticamente "secondo me", viene invece solitamente presupposta come oggettiva, anche se si ammette che non tutti possono capirla... di solito, chi non ha la nostra stessa visione politica, o è un corrotto oppure solo un po' tonto  ;D ).

Citazione di: paul11 il 23 Marzo 2018, 09:56:36 AM
Io ho il diritto di muovere guerra contro chi e quanti ritengo che sia opportuno.
Questa è la regola della natura e delle organizzazioni umane senza etica e morale.
Anche l'etica e la morale implicano il muovere guerra a quanti ritengo opportuno, ovvero agli immorali... ovviamente non è sempre una guerra di proiettili e bombe, ma si tende (e si spera, non neghiamolo) che i fautori della posizione avversaria spariscano (non diciamo "periscano"), in quanto "sbagliati", "disfunzionali" e "sconvenienti". Se l'etica divide in buoni e cattivi, è quasi un "dovere morale" per i buoni muovere guerra (almeno culturale) ai cattivi... senza ovviamente tollerare che loro possano fare altrettanto  ;)
Per la serie: "uccidere è sbagliato... certo, se morissero tutti coloro che secondo me non meritano di vivere, staremmo meglio"  ;D
Questa avversione, pur impacchettata da civile ostilità e democratico ostracismo, è la rivisitazione sociologica dell'istinto di sopraffazione del "nemico-rivale" (che non è più solo chi ci contende il cibo o la femmina del branco...).

Citazione di: paul11 il 23 Marzo 2018, 09:56:36 AM
E quì si ricasca nella contraddizione, perchè la chiamata in causa dello Stato implica il principio costituente della comunità, società, nazione  o Stato che sia. E che  piaccia o no in quest assunzione sono declinati  i valori di libertà, giustizia e uguaglianza.
Valori molto ambigui e strumentalizzabili dal potere centrale: libertà, ma non dalle imposizioni dello Stato; giustizia, ma sempre e solo per come la intende lo Stato; uguaglianza; salvo le discriminazioni previste dallo Stato...  nulla di assoluto e ontologico, tutta una questione di convenzioni, compromessi e contingenze storiche.

Citazione di: paul11 il 23 Marzo 2018, 09:56:36 AM
(quando invece in uno scambio economico a sommatoria zero, se qualcuno ne esce più felice qualcuno d'altro necessariamente  è un pò più infelice).
Se la sommatoria economica è zero, ciò non vale anche per la "sommatoria della felicità" (se proprio vogliamo quantificare la felicità): esempio banale, se mi dai 10 euro per lavarti l'auto, alla fine siamo felici entrambi: io felice del guadagno, tu felice dell'auto pulita... e se tu non avessi un'auto da farmi lavare né i 10 euro da darmi, io non sarei affatto contento di avere 10 euro in meno... e se tutti avessimo un'auto e 10 euro in eccesso da spendere, forse sentiremo persino la mancanza di qualcuno a cui dare quei 10 euro per risparmiarci la sudata  ;)  Il che costituirebbe "domanda", innescando una possibile opportunità di "mercato", etc.
(Scritto da uno che per lavare l'auto si affida al meteo e a madre natura  ;D  )

Citazione di: paul11 il 23 Marzo 2018, 09:56:36 AM
E se siamo più felici noi del primo mondo è perchè qualcuno sta pagando il prezzo della nostra felicità  nel quarto mondo.
Secondo me la felicità è sempre contestuale (ad ogni "mondo" e, ancora più capillarmente, ad ogni individuo) e non c'è sempre qualcuno che la paga, ma non voglio deviare il topic sul tema della felicità.

Citazione di: paul11 il 23 Marzo 2018, 09:56:36 AM
Quindi al netto di etiche e morali, tutto diventa rapporto di forza e in cui lo Stato salvaguarda(anche con la violenza armata) prima i privilegiato e poi cerca di dare briciole al debole per tenerlo buono.
Chiedo: questa salvaguardia statale del privilegiato (per incompetenza mia, non mi viene in mente molto in merito, ma mi fido  :) ) non viene bilanciata un po' dai differenti livelli di tassazione, dal "rischio di impresa" e dal welfare?

Citazione di: paul11 il 23 Marzo 2018, 09:56:36 AM
perchè qualunque organizzazione umana se è pensata per gli umani (senza un concetto di nomos ,di ordine, di universale,di un"qualcosa che sta prima dell'uomo e "sopra" l'uomo) non ha un ordine intrinseco, ma solo equilibri di potere e di forze
In fondo, tali equilibri di potere e forze, per quanto dinamici, non sono comunque una forma di ordine intrinseco?
Pensiamo proprio al mercato: pur senza "qualcosa che sta prima dell'uomo e sopra l'uomo" funziona in modo ordinato; l'interpretazione e l'attribuzione di senso degli eventi del mercato è invece una questione di valori (che fondano le rispettive ideologie) che stanno prima e sopra l'uomo.

Citazione di: paul11 il 24 Marzo 2018, 14:41:53 PM
Se quella persona felice ritene  che sia GIUSTO"(questo è il criterio soggettivato del termine GIUSTIZIA che è mutato in duemila anni di storia) perchè giustifica la sua condizione sociale di privilegiato come attinente alla sua qualità e capacità umana per cui è altrettanto  GIUSTO  che altri siano poveri in quanto meno capaci o magari per destino come alcune religioni hanno posto) deve sapere che se non lo fonda quel criterio su una giustizia ontologica, che esiste al di sopra del genere umano e quindi deve avere carattere universale, la sua è opinione quanto la mia.
E se tutto è opinione significa che tutto si risolve nella forza e nel potere e la coesistenza è solo negoziale, mediata della politica che non supera il conflitto, ma semplicemente ogni giorno è mediato da un equilibrio instabile, in quanto poggia sul nulla.

Così il quartomondista ha ragione a muovere guerra al primo mondo, come il povero con il ricco.
Perchè non esiste nessuna ragiona fondata sul governo umano(essendo tutto posto sull'ambiguità dell uomo che può essere saggio o stolto, misericordioso o cinico). la pace è solo un equilibrio temporale instabile,in attesa che mutino i punti di forza che rivoluzionano la storia.
Questa mi sembra una chiave di lettura pertinente alla nostra società: lasciare fra parentesi la giustizia "di natura" o "metaumana" per impostare un'analisi immanente di come funzionano le dinamiche globali, prendendo atto della "ambiguità dell'uomo che può essere saggio o stolto, misericordioso o cinico" e in cui "la pace è solo un equilibrio temporale instabile...".
La "giustizia ontologica" ha sicuramente un nobile retaggio, ma per conoscerla dobbiamo forse solo aspettare di andare nell'aldilà (poiché anche nel "maccanicismo" del karma, "giusto" e "sbagliato" si sgretolano, diventando polvere d'ignoranza).


P.s.
Ricordo, a scanso di equivoci, che le mie considerazioni sono basate sulla curiosità (e sulla pressoché totale ignoranza dei temi politici trattati  ;D ) e non vogliono essere una polemica contro il pensiero di sinistra  :)
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: anthonyi il 24 Marzo 2018, 17:59:25 PM
Citazione di: paul11 il 24 Marzo 2018, 14:41:53 PM
ciao anthonyi,
se non sono chiare le logiche del tuo pensiero sulla politica e sul mercato, facciamo confusioni.
Cosa vuol dire che sei "liquido"?

L'altrui non è un sadico a priori. Ho scritto che "nel momento in cui percepisco la felicità altrui...", il che significa che se non esiste, e non esiste quasi più nel pensiero moderno politico, un ordine fuori dal sistema umano da cui dipenderebbe lo stesso sistema umano, una condizione esterna allo scambio politico ed economico, l'altrui può essere tutto.Io mi fido se coopera anche per la mia felicità, se lo percepisco che la sua feliicità crea mia infelicità finisce la cooperazione e può iniziare il conflitto.
Questa è  una differenza fra il sentirsi di "sinistra" o altro.
Se quella persona felice ritene  che sia GIUSTO"(questo è il criterio soggettivato del termine GIUSTIZIA che è mutato in duemila anni di storia) perchè giustifica la sua condizione sociale di privilegiato come attinente alla sua qualità e capacità umana per cui è altrettanto  GIUSTO  che altri siano poveri in quanto meno capaci o magari per destino come alcune religioni hanno posto) deve sapere che se non lo fonda quel criterio su una giustizia ontologica, che esiste al di sopra del genere umano e quindi deve avere carattere universale, la sua è opinione quanto la mia.
E se tutto è opinione significa che tutto si risolve nella forza e nel potere e la coesistenza è solo negoziale, mediata della politica che non supera il conflitto, ma semplicemente ogni giorno è mediato da un equilibrio instabile, in quanto poggia sul nulla.

Così il quartomondista ha ragione a muovere guerra al primo mondo, come il povero con il ricco.
Perchè non esiste nessuna ragiona fondata sul governo umano(essendo tutto posto sull'ambiguità dell uomo che può essere saggio o stolto, misericordioso o cinico). la pace è solo un equilibrio temporale instabile,in attesa che mutino i punti di forza che rivoluzionano la storia.

Lo Stato moderno è la mediazione di una metafisica nata con il nomos, divenuta lex e ius nel diritto romano nella teoria e nella pratica orientata agli usi e costumi delle persone, vale a dire un'ambiguità.
i codici di Giustiniano mutarono con l'avvento dei barbari antichi divenuti imperi e bisognosi a loro volta di costituzioni.
I popoli germanici inserirono nei codex del diritto romano i loro usi e costumi alterando del tutto il rapporto fra ordine universale in cui uomo natura e universo sono compresi come cerchi concentrici, laddove il peso dei rapporti umani non diventa più condizionato dall'ordine universale, gli ordinamenti diventano funzionali ai rapporti interpersonali, alle azioni sociali.
Quindi la Legge  del nomos vine sì mantenuta come forma ,ma svuotata da ogni sostanza.
Quindi si predicano  i valori etici che cementano il giuramento della comunità (perchè giurano , i monarchi che i governi di fronte alla Legge), simile a duemila anni fa, ma la pratica è tutt'altra cosa.

Non hai ancora capito una cosa fondamentale, che è al di là di ciò che penso io politicamente.
Un sistema è coerente come logica razionale o è irrazionale.

Se si ritiene che il capitalismo e il mercato attuale sia giusto ,come è giusto che ci meno dell'1% della popolazione mondiale detenga ricchezza superiori all' altro 90% e la facciamo passare per repubblica, per Democrazia, per Libertà, per Giustizia ed Uguaglianza, permetti che mi indigni?

Diciamo allora che nulla è mutato negli ultimi secoli almeno, i nobili e aristocratici sono ora i moderni capitalisti, come gli schiavi, i plebei, i servitori della gleba, i proletari furono gli antenati sociali del povero, del "debole" attuale.

Deve cadere la maschera del dispositivo culturale millenario  che nasconde la profonda ambiguità umana.
Non va più bene il nomos, l'ordine antico, va bene, Allora coerentemente si scriva che le Costituzioni Occidentali sono fondate sullo sfruttamento economico e si facciano i giuramenti nei caveau delle banche non in luoghi istituzionali che nulla hanno più
a che fare con un ordine superiore a cui si originano giustizia, libertà ed uguaglianza.

Chiedo coerenza prima di tutto, togliamo i veli alle ambiguità e alle ipocrisie.

Ciao paul11
Pensiero liquido è un concetto intuitivo, il liquido si adatta al contenitore per cui restituisce sempre un equilibrio anche se la forma del contenitore cambia. E' forse lo stesso concetto che esprimi tu nel post, una società con basi squilibrate che, quotidianamente ricostruisce il suo equilibrio, è questa la logica del mercato, è questa la logica della democrazia moderna che infatti è stata definita poliarchia cioè somma di tanti poteri (Negli ultimi giorni abbiamo scoperto che c'è anche quello di Facebook), squilibrati quanto si vuole, ma siccome sono tanti sono anche relativi. Anche le grandi concentrazioni di ricchezza sono relative, hai idea di quanti soldi ha perso negli ultimi giorni il fondatore di Facebook.
In fondo esprimiamo gli stessi concetti solo che tu credi possa esistere un "ordine superiore" e confronti la realtà con questo, io no.
Un saluto
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 25 Marzo 2018, 15:01:19 PM
Citazione di: paul11 il 20 Marzo 2018, 11:53:45 AM
Il problema non è Hegel in sè e per sè,anche se lo storicismo superò il giusnaturalismo umanista come concezione storica.

Sono gli atti che dichiarano oggi più che mai le coerenze di appartenenza ad un a tradizione politica.
Se si accetta che la legge è mobile e va modificata in funzione del mercato, l'uomo è merce e non più cittadino.



Devo innanzitutto scusarmi con tutti voi per la scarsa "presenza" sugli ultimi sviluppi della discussione.
Ahimè, vorrei ma ho davvero pochissimo tempo libero a dispoaizione...
Dunque, il problema non è Hegel in sé e per sè ma lo sono le strutture profonde del pensiero occidentale (di
cui Hegel e l'Idealismo sono tappa fondamentale).
Come E. Levinas, io penso che in sostanza tutto il pensiero occidentale si sia risolto in una specie di
"ontologia dell'io".
Certo, l'Idealismo non ha coscienza di questo "produrre" l'oggetto da parte del soggetto; ma questo, nei fatti,
è ciò che avviene.
Del resto, come spiegare che la "volontà", già con Schopenauer, sia sia venuta a costituire come snodo centrale
di tutto il pensare? Come spiegare che ancora oggi si dica tranquillamente ai bambini: "con la volontà si
ottiene tutto"?
A me sembra chiarissimo che la volontà ottiene tutto se il soggetto di tale volontà è inteso come produttore e
creatore (e perciò anche "distruttore"). L'oggetto (e dunque gli altri soggetti, che per il soggetto che li
pensa sono comunque oggetti), nel pensiero occidentale, si è sempre più venuto a costituire
come "cosa", cioè come termine su cui il soggetto ha, per così dire, "pieno potere" (come anche in Severino).
Ora, non è che si presenta un filosofo qualsiasi, scrive un'opera grandissima e l'occidente cambia prospettiva
(questo è creduto semmai solo all'interno di una prospettiva idealistica); è solo per indagare un attimo
quelle che chiamavo "strutture profonde" (e perlopiù inconsce) del pensiero occidentale; un pensiero che, a
mio parere, non può per sua stessa natura contemplare l'"altro" nella giusta luce.
Vorrei però tornare un attimo a quella che è la tesi centrale del mio discorso (quella per cui non posso più
dirmi di sinistra): c'è una sola forza che può opporsi alla globalizzazione individualista (e quindi al mercato
suo strumento d'elezione). Questa forza è la comunità (intesa come gruppo che condivide valori, principi e
tradizioni comuni).
Perchè è solo all'interno della comunità che può sorgere la "legge", cioè la categoria "immobile" (io direi
assoluta) per la quale l'uomo è cittadino, non merce.
Ritengo non occorra far ricorso alle "strutture profonde ed inconsce del pensiero" per rendersi conto di questo.
Nessuna "legge" sta sorgendo negli istituti internazionali; solo "contratti" e mercato: questo dovrebbe far
riflettere...
Quanto alla "sinistra", essa è di fatto scomparsa proprio perchè non ha capito che nella dimensione internazionale
non può sorgere alcuna "legge" (cioè non può sorgere l'unico strumento di una possibile - possibile...- difesa del
debole dalle angherie del forte).
saluti (scusandomi ancora se non risponderò a breve).
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: viator il 25 Marzo 2018, 23:05:32 PM
Salve. Qualche considerazione filosofica tra l'ovvio e l'ironico.

Se dovessimo cercare di suddividere le indoli umane in due sole grandi tipologie potremmo provare con le seguenti :
- gli ambiziosi (o, con termine più "morbido", gli intraprendenti)
- i passivi (o, con termine più "morbido", i coatti)

Il capitalista fa parte della prima tipologia (composta a sua volta da due categorie : il capitalista di successo ed il capitalista frustrato perché non riesce a diventare ricco).

Il contadino, il proletario ed il piccolo borghese fanno parte della seconda tipologia (composta a sua volta da due categorie : il coatto contemplativo ed il coatto frustrato e perciò rivendicativo).

Ci si lamenta del fatto che esistano i capitalisti.

Una soluzione sarebbe il poter agire sull'indole delle persone, in modo da ridurre il numero dei temperamenti intraprendenti o farli diventare meno attivi e voraci; di converso, cercare di far diventare più consapevoli i passivi.

Ci si può provare con l'educazione, ma i tempi sarebbero comunque millenari.

Una scorciatoia potrebbe essere una qualche ideologia egualitaria, comunitaria, giustizialistica, che riuscisse ad affermarsi imponendo leggi che frenino (o cancellino) la troppa intraprendenza dei singoli la quale - è noto - è di grave ostacolo all'equità nella distribuzione delle risorse.

Occorrerebbe quindi trovare un gruppo sociale intraprendente che si dia da fare per garantire il trionfo di un sistema di leggi che frenino o cancellino gli eccessi di intraprendenza.

Fu, mi sembra, Churchill che affermò che il capitalismo è il sistema che permette a pochi di diventare molto ricchi, mentre il comunismo è quello che obbliga quasi tutti a restare assai poveri.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: paul11 il 26 Marzo 2018, 01:12:14 AM
ciao Mauro (Oxdeadbeaf).
sono d'accordo su entrambi i tuoi due punti, ma come dato iniziale.
Anch' io penso che l'uomo occidentale abbia una cultura ontologica dell'io troppo sviluppata da arrivare alla costruzione di un ego
smisurato.
Ma si tratta di capire se lo è per natura, per indole rispetto alle altre etnie del pianeta, e se qualche dispositivo culturale lo abbia posto in luce. Personalmente ritengo che siano esistite entrambe le circostanze.
Così come penso che viviamo un tempo umanamente decadente, ma gratificato da un tempo altrettanto imponente tecnicamente e tecnologicamente che ,per così dire, equilibra lo squilibrio.L'uomo si sta illudendo che le conquiste tecnologiche possano renderlo felice. 

Come ho sostenuto in altre discussioni il controllo sociale fra individui, compreso il cittadino verso il potere, lo si può avere a misura di luogo circoscritto in comunità.Quando geograficamente il potere si allontana dalle comunità diventa difficile sia amministrare il governo e sia mantenere il contatto fra individui in comunità diverse.
A questo punto il federalismo potrebbe essere una soluzione ,che tanto per capirci fu in italia portato avanti da Carlo  Cattaneo nell'Ottocento.

ciao Viator,
sarà forse ovvio e ironico ciò che scrivi, ma è vero.
Come a suo tempo scrissi, si è limitato il potere politico, chissà perchè non quello economico.
Hanno creato pseudo istituti di controllo sul monopolio (vedi le sanzioni su Microsoft ad esempio).
E' innegabile che ci siano persone con più meriti, più capacità di altre.Il problema è quanto economicamente debbano e può essere accettato socialmente da una società Può percepire il doppio. il triplo. il quadruplo......cento volte...mille volte?
la legge di mercato in economia è perfetta solo in origine.Immediatamente più competitori in un settore economico si selezionano con il fatturato.Quel mercato perfetto porta poi a cartelli, trust, oligopoli, fino al monopolio.E' la ù"deriva" naturale della legge della concentrazione, per cui il ricco diventa sempre più ricco e viceversa il povero.
Si tratta non di bloccare l'intraprendente, ma di stabilire regole di "equità" sociale. anche sul reddito economico.
E' ora di smetterla con ricchi da fare schifo e altri in miseria, nel tempo di sonde spaziali spedite per ogni dove.Non chiedo a chi ha la fortuna di nascere con talento e di farci i soldi di capire che quel suo talento dovrebbe essere anche al servizio della comunità,sarebbe troppo bello,ma che ci sia un limite sì e questo è un errore storico del riformismo pragmatico di sinistra.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: green demetr il 26 Marzo 2018, 22:18:35 PM
citazioni di Phil
"Concordo, l'aspetto propositivo penso sia un nodo che ogni critica radicale all'economia vigente fa fatica a sciogliere... salvo trincerarsi in utopie e distopie. Agire sulle dinamiche in corso, piuttosto che ipotizzarne altre sostitutive, di rimpiazzo, sarebbe forse una via più percorribile, se non fosse che gli attori di quel cambiamento (dagli imprenditori in su) hanno solitamente un pragmatismo impermeabile e refrattario ad ideologie filantropiche (perché sono fortuitamente egoisti cattivi o perché così è, in genere, la natura umana in quelle situazioni di forza?)"

Direi che è l'esatto contrario, basta sentire qualsiasi imprenditore, in qualsiasi conferenza della confcommercio, o in qualsiasi manifestazione intellettuale finanziata da suddetti imprenditori: sono loro i veri filantropi, coloro che smuovono il mondo, e non solo ritengono quello che fanno nobile e onesto, ma si aspettano di essere approvati e apprezzati per quel che fanno.

Come nel caso di Anthony trattasi di persone che hanno completamente perso il senso delle relazioni.
Non sto a fare il giochino psiscologico, però appunto essi vogliono, pretendono di essere approvati e apprezzati, alias essi sono sotto il giogo del fantasma materno (ossia l'assenza della madre reale o fantasmatica che sia).

Direi che siamo lontani dal vero tema che riguarda la sinistra.

"Questa è secondo me la pietra angolare di ogni visione politica della società: pensare politicamente comporta gerarchizzare il valore (etico, non economico) dei differenti elementi della società, secondo un ordine che si ritiene auspicabile diventi quello vigente, poiché giusto (è giusto votare per Tizio, sbagliato per Caio; è giusto si faccia così, sbagliato si faccia cosà, etc. e tale giustizia di rado è autenticamente "secondo me", viene invece solitamente presupposta come oggettiva, anche se si ammette che non tutti possono capirla... di solito, chi non ha la nostra stessa visione politica, o è un corrotto oppure solo un po' tonto  ;D )."

Ma no, dai troppa importanza al pensiero automatico di Antony, la questione non è politica, perchè nel novecento è stata anzitutto ideologica. Dall'Hegelismo a Marx un solco è stato tracciato.
Il punto nevralgico è che non esiste discorso ideologico, se prima non c'è analisi dei rapporti sociali, certo, ma anche personali.

Il buon Freud ne ha lasciato traccia, con alcune suggerimenti per futuri lavori sulle componenti della leadership nei gruppi.
In cui si dava quasi per scontato che l'individuo fosse debole.

Ora la sinistra deve fare i conti sia con i fenomeni della leadership, che rivelano l'implosione sempre più forte degli individui, sia a livello sociale, che privato. Sia con i fenomeni del marketing, sia con quelli economici.

Ma gli economici sono solo alla fine. In questo senso ritengo che il lavoro di Marx, principale, a livello storico, è quello di aver stabilito che lo studio maggiore deve essere quello della economia politica.

Dove il termine politica dentro il termine economia non è una semplice specializzazione, ma il vero e proprio entroterra culturale.

Il pensare all'economia pura è semplicemente uno dei sintomi dell'alienazione sociale. Un pensiero assolutamente delirante.


"Anche l'etica e la morale implicano il muovere guerra a quanti ritengo opportuno, ovvero agli immorali... ovviamente non è sempre una guerra di proiettili e bombe, ma si tende (e si spera, non neghiamolo) che i fautori della posizione avversaria spariscano (non diciamo "periscano"), in quanto "sbagliati", "disfunzionali" e "sconvenienti". Se l'etica divide in buoni e cattivi, è quasi un "dovere morale" per i buoni muovere guerra (almeno culturale) ai cattivi... senza ovviamente tollerare che loro possano fare altrettanto  ;) 
Per la serie: "uccidere è sbagliato... certo, se morissero tutti coloro che secondo me non meritano di vivere, staremmo meglio"  ;D 
Questa avversione, pur impacchettata da civile ostilità e democratico ostracismo, è la rivisitazione sociologica dell'istinto di sopraffazione del "nemico-rivale" (che non è più solo chi ci contende il cibo o la femmina del branco...)."

E' proprio per uscire da questo genere di pensieri infausti, che bisogna ripensare a fondo alle categorie Hegeliane, come correttamente intuito da Kojevè, maestro di buona parte di quella elite intellettuale francese, da cui nascerà l'esistenzialismo.

Se il positivo coincide con il negativo, allora vi è vera dialettica.

Non è come nella visione pacchianamente errata di OxandBeaf, dove il positivo torna a se stesso, previa distruzione del negativo.

Quello è esattamente quello contro cui ha lottato Hegel. Non quello che ha proposto.

Qui vi è una generale confusione dettata sostanzialmente dall'impoverimento dei dibattiti intellettuali.

Per rete non trovo queste tematiche, trovo invece sempre e solo interpretazioni sui futuri depensati, del globalismoe e delle bioetiche.

L'autocoscienza hegeliana, è un termine veramente sfortunato, perchè non fa capire come il soggetto viene defenestrato costantemente da se stesso, invece sembra quasi che è una specie di deus ex machina.

E invece torno a ripetere il deus ex machina sono le persone, svuotate del loro bagagliaio storico, fatto di lotte cruente sui diritti, che come zombie si aggirano per i luoghi buj della società contemporanea per sbranarsi a vicenda.
Morti che non sono morti, il cui unico obiettivo è morire, facendo morire l'altro.

E' questo il fantasma paranoico che sballa il soggetto fino a farlo precipitare nella schizofrenia delle società contemporanee.

Dove vi è schisi, non vi è più la capacità di distinguo, e tutta sembra uno. Anzi tutto deve essere uno.
Quindi la politica è una sola, l'europa ce lo chiede, il tema è il globalismo.
Tutti slogan maldestri che non dicono assolutamente nulla rispetto al dibattito del novecento.
Che ci riportano al mondo moderno: appunto siamo nella post-modernità. Quella ancora indagata da Cartesio e Pinel sulle ghiandole umane, sulle strutture matematiche del pensiero, immobilizzate sul corpo-cadavere, che segrega l'altro nei manicomi e nelle prigioni.

Qui ancora non è passato un Kant, l'idealismo tedesco, la psicoanalisi freudiana, la grande stagione della fenomenologia tedesca che termina nel corpo vivente di Husserl. Fino ai dilemmi metafisici contro la tecnica Pensati da Heidegger, fino alla grande stagione del pensiero semiotico fenomenologico di un Sini.

E' veramente sconfortante.


"Valori molto ambigui e strumentalizzabili dal potere centrale: libertà, ma non dalle imposizioni dello Stato; giustizia, ma sempre e solo per come la intende lo Stato; uguaglianza; salvo le discriminazioni previste dallo Stato...  nulla di assoluto e ontologico, tutta una questione di convenzioni, compromessi e contingenze storiche. "

Tutta una serie di questioni che sono sfociate nel modernismo francese, con Glocksman a tirarne le fila, ossia che l'ideologia fallisce proprio quando instaura con i diritti, le sue istanze materiali.
All'inizio degli anni 70 e con lo strepitoso la società dello spettacolo di Debord scritto negli anni 60.
L'intellettualità si trova di fronte al colasso dello slogan che "il libero pensiero che porta alla democrazia": cominciano ad arrivare notizie sui Gulag sovietici. Lo Stato ha tradito.

Siamo di fronte all'apertura di una stagione che perirà di lì a poco, negli anni 90 crolla il muro di Berlino.

(non per questo non si può dimenticare l'enorme lavoro effettuato proprio in quegli anni da Focault, che rilancia uno dei 2 temi di urgenza massima della contemporaneità, l'idea di bio-potere, alias il bio-potere di Stato, il diritto sui cadaveri, sugli zombie suoi adepti, che saremmo noi.).

Non c'è stato nemmeno il tempo per elaborare il lutto del fallimento di (ogni) ideologia.

Ci si stava per darsi in pasto al pensiero unico, come Fusaro lo ha fortunatamente ribatezzato.

Di qui la necessità di un ripensamento etico che radicalizzi la questione umana, fino addirittura alle sue origine mitiche.

Solo con queste premesse va letto Paul, rispetto all'etica, altrimenti sembra che stia facendo un discorso demodè, e invece non lo è affatto. Da Agamben e Esposito, il tema della Teologia Politica è quantomeno il primo grande scoglio da superare per riportarsi in pari e all'altezza dei tempi. Come l'urgenza delle situazione richiederebbe.


"Chiedo: questa salvaguardia statale del privilegiato (per incompetenza mia, non mi viene in mente molto in merito, ma mi fido  :) ) non viene bilanciata un po' dai differenti livelli di tassazione, dal "rischio di impresa" e dal welfare?"

Caro Phil mi sorprendi...ma in quale mondo vivi?  (vale a dire: ma quando mai?)
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: green demetr il 26 Marzo 2018, 22:59:14 PM
Citazione di: paul11 il 18 Marzo 2018, 01:48:08 AM
Citazione di: green demetr il 16 Marzo 2018, 22:13:18 PM
cit Paul
"probabilmente va ripensato tutto, ma di certo quella di oggi non  è sinistra e oggi non si fa politica, si fa visual, immagine, doxa,
Non c'è la forza di un pensiero ,di un percorso.Oggi strategicamente un politico dice una cosa, perchè studi di opinionisti e relative statistiche dicono che per arrivare ad un dato "target" bisogna fare pubblicità (oppps!) in un dato modo.

Questa è antipolitca è decostruzione politica."

E' quello che sostengo anch'io.


Il passaggio successivo è capire che fine ha fatto la politica, per questo al contrario di Maral, che crede più al fare ora, fare adesso, alla Fusaro, è necessario più che mai soffermarsi sul passato e capirne i fantasmi che si trascinano come miraggi, ma siamo nel deserto! Chiosa un Zizek.

Certo egli stesso con l'avvento di Trump e la marea di critiche che gli sono piovute addosso, ha dovuto ammettere che forse lo scotto da pagare per il cambiamento rischia di essere troppo oneroso.

L'inizio della politica pubblicitaria colta nel libro fondamentale "la società dello spettacolo", è giunta al rimbambimento della gente.
La solidarietà della gente era falsa, i centri di quartiere si sono sfaldati, posso solo ricordare di come quando le cellule comuniste andavano in giro a menarci durante i volantinaggi.
E di come tutto la passione fosse quella di menarsi, fascisti contro comunisti, e chi c'era di mezzo (io) veniva preso a botte lo stesso.
Per non parlare dei cortei da 5 persone e 20 carabinieri di scorta.

Era tutto falso, dai carteggi di mio nonno, in avanti, fino ai tradimenti dei sindacati, li ho vissuti tutti in prima persona.

Solidarietà era ed è solo una parola.

Bisogna avere il coraggio di andare nel merito: Perchè la gente deve essere solidale?
E' questo l'unico dato su cui riflettere.

Vi porto avanti io, è inutile prendere mazzate per un altro ventennio. Non ha motivo di essere solidale: terribile, semplice, piano.

Se lo si fa per una morale, come molti fanno, è una morale depensata, si finisce per non ricordare più perchè lo si sta facendo.

Il risultato si chiama corsa alla poltrona, defezioni, dispetti infantili.

Quando la morale non è più vissuta diventa una catena, su cui si spezzano i rapporti umani,

Lo aveva già chiaro il mio ANALFABETA bisnonno socialista prima delle guerra. (evidentemente prima ci si guardava negli occhi)

Si finiva allora per prediligere, per spostare l'attenzione sui diritti, e non più sui rapporti.

Fermo restando che sui diritti, a scapito di diverse vite, la mia famiglia è piena di martiri con stele annessa, io non rinuncerò mai a parlarne.

I diritti oggi sono stati spazzati via, perchè nel frattempo la società è colassata.

Credere che i rapporti siano strutturati dall'economia, è questo il grande sbaglio, errore ciclopico di tutto il socialismo prima e del comunismo poi.

I rapporti sono creati solo quando qualcosa è in comune.

L'evoluzione dei caratteri intellettuali dovuta alle forme democratiche, ci ha fatto sempre più capire, che prima della classe esistono i soggetti.

E che i soggetti non sono un pezzo unico di un ingranaggio universale.

I soggetti sono spezzati, come la letteratura la pittura la filosofia la musica ha intercettato e ribadito per tutto il novecento.

IL compito più alto dell'intellettualità è dunque quello di ricomprendere come il rapporto tra quegli esseri spezzati che noi siamo, da quegli essere perennemente "rimandanti" che siamo, ci consenta di trovare un senso comune.

Il senso signori!

Un senso che non sia ideologico, ma il frutto maturo delle analisi delle nostre paure e di quelle altrui, di come la solidarietà sia più una funzione del nostro stesso essere, che non una funzione di una analisi economica o politica che sia.

Capire che la feticizzazione è intrinseca al nostro agire, e proprio per questo ogni legge che viene emanata diventa un escremento, una traccia, che sempre più ci zavorra per l'avvenire.

Negli scritti anarchici, che provengono da un socialismo illuminato, vi erano tutte queste istanze di progresso.

Ma non vi è progresso senza analisi, e l'unica analisi è quella intellettuale: non vi è scampo (a mio parere).

Lenin o Mao l'avevano capito. L'egemonia intellettuale, è la base SINE QUA NON , vi sia una reale socialdemocrazia.

L'analisi è psicanalitica, non è sovrastrutturale.

Buon lavoro a tutti.
ciao green,
entriamo in un argomento che è profondo come la notte se interpreto bene il tuo discorso.
Se già l'economia è sovrastruttura e la politica altra ancora stratificazione culturale,
e seguendo la tua traccia il problema è psicanalitico, allora i problemi sono la paura e i simboli feticisti che
costruiscono i dispositivi culturali.
Ne desumo che il problema è come ,di nuovo, si interpreta la natura umana.

Se lo straricco non si accontenta di ciò che ha e per feticismo continua ad accumulare denaro, la morale direbbe che è iniquo
il suo agire e la sua mente è preda di una paura compulsiva che in realtà non riesca mai a quietare la sua sete di denaro.
Siamo tutti schiavi delle nostre paure e costruiamo forme intelligenti, dei dispositivi culturali per cercarla di bloccarla.
Allora la potenza e il dominio diventano tentativi di sublimazione,ai riti antichi sostituiamo abitudini moderne, nuove consuetudini sociali sostituiscono le vecchie e ci illudiamo che la conoscenza possa appunto costruire forme che quanto meno leniscano le paure. I cani abbaiono ascoltando il tuono, le rondini volano basse ,sentono l'elettricità dell'aria di un temporale in avvicinamento.
Forse abbiamo oltre che paure ancestrali,simili a quelle istintive animali,costruito per nostra caratteristica intellettiva delle costruzioni,ma non siamo mai riuscite a vincere, le trasformiamo storicamente.
La solidarietà allora diventa una esigenza di fare gruppo, di vincere la paura comune.

Ma detto questo Green, e probabilmente è parecchio importante andare  a fondo della tematica, perchè le forme economiche e politiche e l'aspetto morale del tipo è giusto il merito e non l'egualitarismo, è giusta la tirannia e non la democrazia,(sono esempi,,,al contrario) sarebbero effetti sociali, in cui il discrimine è comunque chi conquista il dominio e detta le regole,cioè chi culturalmente e come determina un modo di pensare.
Intendo dire che il debole una volta avuta la rivincita sul forte, se fosse solo la condizione economica  a spingerlo alla rivalsa, una volta divenuto adesso forte continuerebbe le stesse contraddizioni del suo nemico,

Penso, che oltre alla paura ancestrale umana che la conoscenza non riesce a vincere seppur costruisce dei dispositivi culturali dei surrogati di antichi riti,abbiamo un'etica.C'è chi riesce a spingersi non oltre un confine, c'è chi proprio non gli riesce.
Il senso del limite è etico se sociale e morale individuale e aggiungerei, appartiene ad un altro aspetto della natura umana, la coscienza.
Mi fermerei quì perchè il discorso è spinoso e arduo e sentirei, per chi ne ha voglia, altri pareri.


Sfortunatamente sembra che la maggior parte degli utenti intenda solo il lato politico della questione, e lo pretenda etico.
Chi pensando ad un socialismo liberale, chi ad un una società delle api, dove ognuno ha la sua funzione di competenza.


Ma torniamo proprio alla questione etica.

Se riprendiamo la metafora hegeliana in cui facciamo finire la storia dialettica servo-padrone che diventa padrone-servo, e lì implode.
Non capiremmo mai come invece è proprio la storia, ossia la negatività, che disattende qualsiasi pretesa morale.

Rileggendolo in chiave del potere naturale, è la stessa cosa.

Ma la morale riguarda lo scambio degli oggetti, o non forse lo scambio delle relazioni?

Seguendo l'antropologia strutturale, è chiaro che sono le relazioni ad essere cambiate, vendute.

Gli oggetti sono solo gli ornamenti, che permettono di entrare nella comunità.

Appunto come la sociologia ci insegna, cum munus, con un dono. (co- munus, co-munità).

Nella grande rilettura cristiana, il dono non è quello del supellettile, e del suo simbolo, il denaro, quanto invece della proprio persona.

Purtroppo si è perso il lato spirituale della vicenda, sappiamo tutti che persona, è un termine giuridico romano.

E come tale già principio di equivoci, perchè se il diritto è fondato sul dono della persona, appunto sul diritto familiare, il passo verso la sua alienzazione, e quindi scambio per mero ogetto, è breve.

Non lo è stato fin quando non sono nate le città.

Si poteva far finta di niente, per rimanere sotto lo stesso tetto, lo stesso scudo.
(famiglia Stemma regno sovranità).

Le gerarchie sono infinite.

Una volta rotto il simbolo con il suo contraltare spirituale, siamo alla consegna delle armi.
Il patto sociale era solo un passo più avanti.

Dentro la persona, però vi è anche il regno di Dio, il dono è anche quello! E' sopratutto quello. Le infinite manifestazioni della volontà divina, alias Natura.

La grande iattura diagnosticata nella post-modernità  è proprio la iattura con il giusnaturalismo cristiano.

Lasciato lo scudo crociate di nostro Signore redentore, Il Diavolo e il suo sterco, ossia l'usura è entrata di forza nella storia.

Chiamasi signoraggio, ed è l'unico problema a monte.
Perchè se al denaro noi diamo un valore già di per sè diseguale, perchè favorisce l'emittente ma non il ricevente. Di fatto noi indebitiamo qualsiasi forma di produzione.

Il problema che poi nei deliri nazisti viene attribuito agli ebrei, è quello.

Ossia la cattiva fede IN NOME della buona fede. Dei mercati, delle capacità della gente etc...

Il problema è strutturale.

Per quale motivo il mercante vende la sua anima al diavolo?

Beh qui il dibattito contemporaneo si fa interessante.

La vende perchè si difende come nel caso del mercante di venezia di shakespeeare?

Perchè lui NON è cristiano....Certo che la questione è religioso.

Il professor Cacciari in quest'ultimo anno ha ribadito più volte la questione.

Ossia lo scontro inevitabile fra mondo cattolico e mondo ebraico.

Scontro sempre rimandato, sempre appianato, quasi dismesso.

Noi siamo essere divini (cristianesimo) o siamo atomi materiali del male (gnosticismo).

Un dibattito di cui le LEGGI, del bene e del male si sono come specchi alimentati i secoli.

Cacciari, Zizek, la scuola di Lubiana, un loro referente ebraico: di questo oggi il panorama filosofico contemporaneo (quello più valido) sta dibattendo.

Il disinteresse con cui invece la società si veste, dà solo dell'idea dello scollamento spirituale, e quindi di qualsiasi lavoro di autocoscienza hegeliano, o di lavoro sul negativo, che la psicanalisi lacaniana rispettivamente hanno tentato di portare in agenda.

Quindi certo che viene da lontano da molto lontano.

A me non pare una buona scusa rimuoverlo dal dibattito. E sono contento che tu non lo faccia.

Anche se le domande sul politico del bene e del male, sembrano ignorare queste istaze religioso storiche.

a presto, dubito riusciamo a creare dibattito su questo.

NB

in questo senso l'opera di shakespeare il mercante di venezia almeno per me è una lacuna importante a quanto pare.  ;)























Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: viator il 26 Marzo 2018, 23:17:19 PM
Salve. A parte le contingenze generate dal crollo dell'ex URSS (caduta delle ideologie ed avanzata del capitalismo globalitario), il problema della sinistra - nel mondo ed in particolar modo in Italia) è costituito dalla sparizione, in essa di personalità carismatiche.

La sinistra può affermarsi e reggere unicamente sulla base della presenza in essa di tali figure (suprema ironia dell'egualitarismo, questa !!).

Mentre L'ideologia resta il sogno dei meno fortunati e non riesce ad affermarsi per approvazione generalizzata da parte delle masse, l'unico modo per affermarne il predominio sono le rivoluzioni o le guerre "di liberazione" seguite dal culto del carisma di chi le ha vinte (seconda suprema ironia, questa volta del comunismo letterale !!) il quale degenererà inesorabilmente nella dittatura ........ non del proletariato !!.

URSS, Cina, Cuba, Vietnam, Corea del Nord dicono forse qualcosa in proposito ?.

Al di fuori di simili "avventure" esiste il problema generato dal fatto che le ideologie di sinistra, quando restano sulla carta senza rivoluzione e senza guerra, non sono in grado di produrre personaggi popolar-carismatici poiché al loro interno - in nome di dichiarate democraticità ed egualitarsmo sventolati come dogmatici - si sviluppano degli apparati troppo rigidi che ne spersonalizzano i protagonisti.

Per la sinistra italiana l'unico barlume di carismaticità è stato quello di un certo Berlinguer. Per il resto ha operato sempre e solamente la selezione di un apparato che è sempre stato troppo chiuso verso l'esterno (la cittadella ideologica era assediata dai nemici ed occorreva tenerne ben chiuse le porte).
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 27 Marzo 2018, 15:34:56 PM
Citazione di: paul11 il 26 Marzo 2018, 01:12:14 AM
ciao Mauro (Oxdeadbeaf).
sono d'accordo su entrambi i tuoi due punti, ma come dato iniziale.
Anch' io penso che l'uomo occidentale abbia una cultura ontologica dell'io troppo sviluppata da arrivare alla costruzione di un ego
smisurato.
Ma si tratta di capire se lo è per natura, per indole rispetto alle altre etnie del pianeta, e se qualche dispositivo culturale lo abbia posto in luce. Personalmente ritengo che siano esistite entrambe le circostanze.
Così come penso che viviamo un tempo umanamente decadente, ma gratificato da un tempo altrettanto imponente tecnicamente e tecnologicamente che ,per così dire, equilibra lo squilibrio.L'uomo si sta illudendo che le conquiste tecnologiche possano renderlo felice.

Come ho sostenuto in altre discussioni il controllo sociale fra individui, compreso il cittadino verso il potere, lo si può avere a misura di luogo circoscritto in comunità.Quando geograficamente il potere si allontana dalle comunità diventa difficile sia amministrare il governo e sia mantenere il contatto fra individui in comunità diverse.
A questo punto il federalismo potrebbe essere una soluzione ,che tanto per capirci fu in italia portato avanti da Carlo  Cattaneo nell'Ottocento.





Mi chiedo se sia lecito disgiungere, nell'uomo, natura e cultura...
Dirò di più: cos'altro è la "natura umana" se non la capacità dell'uomo di essere (parafrasando Aristotele) "animale
culturale"?
Ma se questa mia interpretazione fosse plausibile, perchè mai questa "smania" di ricercare sempre e comunque l'origine
come se da essa non fosse possibile nessun "ritorno"?
L'individuo è emerso nella cultura occidentale da gran tempo; con Socrate, con il Cristianesimo; ma già prima i segni
della consapevolezza dell'uomo di essere individuo sono ben presenti.
Eppure ciò non ha impedito periodi di preminenza della comunità. Già nella Mesopotamia il potere regale "restaurato"
si inaugurava in genere con una cancellazione della schiavitù per debiti (cosa che avveniva regolarmente in assenza,
o in debolezza, di un potere politico sovrano). Le stesse "steli" dei sovrani venivano in genere poste nei luoghi
deputati al mercato (puro caso?).
Insomma: proprio il pragmatismo tanto caro a certi (incerti...) conoscitori della filosofia anglosassone e
americana dovrebbe portarci a riflettere un attimo sui guasti cui ha condotto l'acritica e passiva accettazione
di questo modello di sviluppo, non credi?
E allora, questo "animale culturale" sa ancora domandarsi cosa sia una "legge"?
Ebbene, fino a prova contraria una legge (questa volta parafrasando Machiavelli) o si, diciamo, "auto-nomina da se"
o è per convenzione generale. Ma sempre e comunque è intesa come assoluta (o altrimenti mai potremmo dire che essa è
"uguale per tutti").
Dunque, mi dicano i "pragmatici" come è possibile avere leggi senza questo riferimento all'assolutezza (e mi dicano
anche se per loro è possibile fare a meno delle leggi...).
Un riferimento all'assolutezza che, con ogni evidenza, non può darsi al di fuori di valori e principi condivisi, cioè
non può darsi al di fuori della comunità (anche pensandola "materialmente", come classe - ma è un modello almeno
per il momento storicamente perdente-, tale assolutezza permane sempre e comunque).
Io non credo sia ancora tempo di pensare ad una "cura" (ancora troppo vaga ed incerta è la diagnosi).
Per me sarebbe preferibile avere una Europa coesa; una Europa "comunità"; ma la strada è ancora troppo lunga (e mi
sembra che in ben pochi intendano percorrerla...).
Non vedo favorevolmente il modello federalista. Tanti staterelli con una ben limitata sovranità mi sembra che a poco
possano giovare (anche perchè, e stavolta Hegel aveva ragione, "nell'arena internazionale non v'è pretore").
saluti
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: Phil il 27 Marzo 2018, 15:50:37 PM
Citazione di: green demetr il 26 Marzo 2018, 22:18:35 PM
citazioni di Phil
"Chiedo: questa salvaguardia statale del privilegiato (per incompetenza mia, non mi viene in mente molto in merito, ma mi fido  :) ) non viene bilanciata un po' dai differenti livelli di tassazione, dal "rischio di impresa" e dal welfare?"


Caro Phil mi sorprendi...ma in quale mondo vivi?  (vale a dire: ma quando mai?)
Incapace di pensare politicamente e digiuno di politica, mi rimetto alla clemenza della corte  :)
Il fatto è che sento spesso parlare di tale "salvaguardia statale" dei facoltosi privilegiati, ma altrettanto spesso non viene poi esplicato in che modo il sistema, di diritto e/o di fatto, tuteli i privilegiati; esempi concreti e pertinenti, intendo... se parliamo di mafie, evasione fiscale etc, mi si conceda che non sono elementi legislativamente fondanti lo stato, quindi il discorso "tutela statale" del forte a scapito del debole, va fuori-fuoco. Sicuramente c'è dell'altro, ma lo ignoro...

P.s.
A la Marzullo: il ricco è tale perché è privilegiato oppure è privilegiato perchè è ricco?

P.p.s.
Interessanti le questioni su Hegel, la religione e il postmoderno, anche se l'off topic è dietro l'angolo  ;)
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: anthonyi il 27 Marzo 2018, 17:13:32 PM
Citazione di: green demetr il 26 Marzo 2018, 22:18:35 PM


Come nel caso di Anthony trattasi di persone che hanno completamente perso il senso delle relazioni

Ciao green demetr
Sarei curioso di sapere sulla base di quali mie affermazioni trai una conclusione del genere. Non che mi dispiaccia essere associato alla cultura aziendalista, anzi, ma sulla base di cosa puoi affermare che questa cultura, e la cose che dico, siano prive di "senso delle relazioni"?
Un saluto
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: paul11 il 27 Marzo 2018, 18:26:10 PM
In effetti ha ragione Green, non è possible discutere sul "dispositivo culturale" che permea da secoli la civiltà occidentale.
Ci ho provato, ma c'è uno svicolare incredibile, un non voler entrare nell'ipocrisa umana di questo tempo.

Dopo questa premessa.

Ciao Mauro(Oxdeadbeaf),
personalmente disgiungo natura e cultura anche se sono intimamente connessi nell'uomo.
L'uomo nasce animale e ha delle facoltà intuitive e intellettive, delle predisposizioni.Ma non nasce "imparato", deve fare esperienza e conoscere per essere e fare  cultura.
Da quì l'ambiguità umana. la cultura è un abito che può assecondare qualunque istinto animale umano.
Si può creare una cultura di comodo a propria misura e autogiustificazione.
E questo grazie al dispositivo culturale.
E faccio un esempio per rispondere a Phil indirettamente.
La persona ,Green, etimologicamente deriva dal greco e significa maschera, quella della  tragedia greca.
Come saprai Nietzsche ha scritto un importante aforisma sulla maschera.

La maschera è l'ambiguità umana e la persona è ambiguità, perchè può avere parecchi appellativi e attributi.
Per ambiguità non intendo quindi il termine in forma denigratoria necessariamente, ma il fatto che può avere molti attributi, che le etiche, la morale hanno dibattuto.La necessità delle religioni, dei dogmi come delle Leggi, prende sia la morale che la prassi del diritto.

Giuridicamente avviene che la persona oggi sia fisica e giuridica.Strabiliante formalizzazione che parecchi giuristi contemporanei hanno dibattuto.
Il ricco si nasconde nella personalità giuridica, formalizzata dal diritto creando, costituendo società.
Persino il fisco divide la persona fisica da quella giuridica.
Quando il diritto imperiale anglosassone al tempo del colonialismo, delle Compagnie delle Indie accettò di PRIVILEGIARE
i finanzieri per il colonialismo, in quanto lo scambio economico era, se si fa denaro fuori dall'Inghilterra, è altrettanto vero che il denaro torna nei forzieri della madre patria.Ma adatto che il finanziamento comportava RISCHIO, i commercianti e banche chiesero di disgiungere la proprietà privata,il patrimonio del singolo  da quello societaria.
Questo PRIVILEGIO sussiste ancora.Il diritto fallimentare stabilisce che se una società di capitali viene dichiarata fallita(a seconda se la società è per azioni in accomandita, ecc.) è il patrimonio dell'azienda con i libri contabili ad andare  in tribunale, ma non la proprietà, il patrimonio del singolo associato che non viene toccato dal regime fallimentare.Quindi tutto ciò che è patrimonio aziendale, compreso auto, panfili intestata alla nonna di cento anni che vive invece in una baita sperduta con la pensione minima, è  BENE STRUMENTALE e come tale può essere scaricato fiscalmente come deduzioni e/o detrazioni.
Ogni investimento nel patrimonio societario, ogni asset, entra nel passivo contabilmente societario.
Quando ogni anno le società per azioni presentano il conto economico e patrimoniale da lì si vedono incrociando  i dati con formule opportune8es, EBITDA) come dividono finanziariamente e operativamente la società
Il lavoratore invece con contratto di lavoro di subordinato, le trattenute fiscali e contributive sono alla FONTE.
Ed è quì, non certo sui patrimoni delle società che gli Stati fanno i conti quando bisogna fare i SACRIFICI.
Perchè è quì che c'è  L'ENTRATA FISCALE CERTA e pure come capitale anticipato e non posticipato che secondo le equazioni finanziarie maturano un interesse economico.

Questo è un privilegio che nessuna sinistra occidentale riformista ha mai messo in discussione, semmai hanno sguinzagliato gli agenti della finanza a cercare denaro quando lo stato be aveva bisogno,ed oggi è parecchio più semplice stanare evasione ed elusione fiscale.
Ma se sbaglia il lavoratore subordinato paga la multa, se invece si piglia un grande evasore, si crea un patteggiamento sul dovuto che è sempre meno del capitale iniziale dovuto.

Le sinistre mondiali hanno accettato di fatto ,da sempre che il motore economico fossero le società private e gli hanno creato privilegi e pure litanie ideologiche. Perchè "creano" lavoro è bella la pantomima linguistica nel passaggio dallo sfruttamento economico a quello della creazione del posto di lavoro.Indi, ha un ruolo sociale fondamentale, come se SOLO questa potesse essere l'unica forma di economia di scambio. E le sinistre parlamentari questo lo hanno accettato praticamente da subito.

Il lassismo politico  delle sinistre storiche ha così patteggiato con i poteri forti economici, tu sorreggimi anzi finanziami il partito e le campagne elettorali e in cambio...........In USA funziona così ed è anche trasparente, tutti possono sapere chi ha finanziato Trump o la Clinton.

Il problema è cosa signfiica oggi dirsi di sinistra, di destra o di centro?
Se la proprietà privata è intoccabile, se il fisco non tocca i patrimoni, dove si vuole che lo Stato "peschi" i soldi?
da quanti anni si parla di patrimoniale e questa sottospecie di sinistra che per me è la nuova democrazia cristiana uscita da ulivo  e margherita e con tante erbette,non ha mai fatto nulla di sinistra?
Evviva l fine di questa sinistra se era sinistra.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: Phil il 28 Marzo 2018, 16:06:28 PM
Citazione di: paul11 il 27 Marzo 2018, 18:26:10 PM
Questo PRIVILEGIO sussiste ancora.
Credo di aver capito il tuo discorso, ma la questione che ponevo è quella della "salvaguardia statale dei privilegiati" (da te evocata): intestare un panfilo alla nonna che vive in baita, più che una tutela garantita dallo stato (che ne penserebbe un controllo del fisco?) è un escamotage da "fatta la legge, trovato l'inganno", un espediente imputabile al singolo, non certo l'applicazione di un servizio di sostegno statale alla ricchezza...
Quando parlavo di "bilanciamento" da parte del welfare intendevo, ad esempio, che in caso di fallimento, il lavoratore può sperare sul contributo di disoccupazione e altre agevolazioni, l'imprenditore può invece sperare che non gli pignorino la nonna  ;D

Con ciò non voglio fare l'apologia dell'imprenditore, tuttavia da quanto leggo sembra che il suo privilegio sia più una questione di astuzia gestionale (ai limiti dell'illegalità) e di eventuali favoritismi amicali (anche questi non certo auspicati dalla legislazione), piuttosto che di statale supporto ai ricchi a discapito dei poveri.
Come accennavo, distinguerei infatti i privilegi statali (quali?) concessi ai ricchi, dalle furbate, dall'evasione e dalle mafie; tutti elementi che possono fare certo parte del sistema, sebbene, almeno legislativamente, siano avversate dallo stato (il che non consentirebbe di parlare di "privilegi statali", almeno fino a prova contraria...).

Citazione di: paul11 il 27 Marzo 2018, 18:26:10 PM
L'uomo nasce animale e ha delle facoltà intuitive e intellettive, delle predisposizioni.Ma non nasce "imparato", deve fare esperienza e conoscere per essere e fare  cultura.
Da quì l'ambiguità umana. la cultura è un abito che può assecondare qualunque istinto animale umano.
Si può creare una cultura di comodo a propria misura e autogiustificazione.
E questo grazie al dispositivo culturale.
Secondo me, si può creare un'ideologia, non una cultura; il dispositivo che (auto)giustifica un determinato approccio alla politica o all'economia, non è culturale, semmai ideologico.
La cultura richiede un'identità interdisciplinare, un forte consolidamento storico e una accettazione popolare, che l'ideologia non può conoscere, essendo essa per sua natura settoriale, generazionale e inevitabilmente in contrasto con le altre ideologie con cui coabita nel medesimo territorio.
Fatta questa sostituzione linguistica (cultura/ideologia), concordo con il resto del discorso.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 28 Marzo 2018, 20:41:53 PM
Citazione di: Phil il 27 Marzo 2018, 15:50:37 PMIncapace di pensare politicamente e digiuno di politica, mi rimetto alla clemenza della corte  :)
Il fatto è che sento spesso parlare di tale "salvaguardia statale" dei facoltosi privilegiati, ma altrettanto spesso non viene poi esplicato in che modo il sistema, di diritto e/o di fatto, tuteli i privilegiati; esempi concreti e pertinenti, intendo... se parliamo di mafie, evasione fiscale etc, mi si conceda che non sono elementi legislativamente fondanti lo stato, quindi il discorso "tutela statale" del forte a scapito del debole, va fuori-fuoco. Sicuramente c'è dell'altro, ma lo ignoro...

P.s.
A la Marzullo: il ricco è tale perché è privilegiato oppure è privilegiato perchè è ricco?

P.p.s.
Interessanti le questioni su Hegel, la religione e il postmoderno, anche se l'off topic è dietro l'angolo  ;)




A parer mio non è questione di "salvaguardia statale" (dei facoltosi privilegiati), quanto del fatto che lo "stato"
va sempre più assumendo la connotazione di "minimo" (come nella fondamentale teoria di R.Nozick).
Lo "stato minimo" è, nella teoria di Nozick (che ad esempio R.Reagan riprese nel celebre: "lo stato non è la
soluzione del problema; lo stato è il problema"), quello stato che si occupa solo ed esclusivamente della
sicurezza interna ed esterna e che, soprattutto, garantisce il rispetto dei contratti.
Dunque uno stato che lascia campo libero al "contratto" come unico strumento della risoluzione delle controversie.
Nessuna "mediazione"; nessun corpo intermedio (ad esempio sindacato e rappresentanza datoriale) che si frappone
fra le parti contraenti. Ma dirò di più: nessun tipo di rappresentanza alcuna; foss'anche il "partito" democraticamente
inteso (che bisogno c'è dei partiti; che bisogno c'è della stessa democrazia laddove lo stato è già inteso,
dogmaticamente, come "minimo"?).
E' dunque importante saper vedere il "contratto" nella luce che esso ha assunto nel tempo (certo non è
più quello, diciamo, come lo si è sempre inteso). Da questo punto di vista, "vedere il contratto" vuol dire
vedere il Mercato (la maiuscola è voluta...) nella connotazione "ontologica" che sempre più va assumendo.
Uno stato siffatto (cioè minimo), salvaguarda i facoltosi privilegiati in quanto, nel contratto, la parte
contraente forte ha necessariamente la meglio su quella debole.
Su Hegel sì, l'off topic è dietro l'angolo; ma è anche vero che una riflessione su Hegel (e, naturalmente, su
tutto l'Idealismo) si impone laddove da certi, diciamo, punti di vista non è possibile pensare l'"altro", cioè
pensare uno degli elementi fondamentali su cui poi costruire la "comunità" (che, secondo quanto vado esponendo su
questo post, è la sola alternativa al contrattualismo dilagante).
saluti
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: paul11 il 29 Marzo 2018, 09:54:12 AM
ciao Phil,
dubito che hai capito, come dubito che lo abbia capito il forum,troppo condizionato dalla nostra condizione educativa che ci hanno martellato dispositivi culturali.
Faccio un esempio per eccezione.Le associazioni mafiose che costituiscono società economiche con prestanome hanno avuto necessità di una legge STRAORDINARIA affinchè i beni dei mafiosi potessero essere confiscati dallo Stato.Chiediti allora in via ordinaria cosa accade e per i beni mafiosi cosa accadeva.
Semplicemente che per successione ereditaria rientravano nella "famiglia":morto un papa se ne fa un altro.l
La perpetuazione del privilegio che dalla sovranità della polis passa al concetto giuridico economico.

Il dispositivo culturale è stata la capacità della metamorfosi del concetto metafisico di Sovranità che nell'antica Grecia, come ho scritto altrove era il nomos basileus.
La personalità giuridica ,separata dalla personalità fisica nasce nel diritto romano commisto con quello canonico.
Avviene una"trascendenza". Affinchè il concetto di sovranità fosse postulato all'interno di una forma superiore alla nuda vita fisica del singolo individuo ,bisognava dare una regola costitutiva alla comunità, all'associazione, fino allo Stato ,che fosse di un ordine superiore

Nella modernità il potere economico si appropria di questa forma trascendente costruendo il mostro giuridico di un ente di diritto privato che ha una personalità giuridica così come lo Stato è il supremo ente di diritto pubblico.

E' accaduto storicamente al pari passo della storia della cultura occidentale, che non  è vero che sia stata superata la metafisica  è stato mantenuto il dispositvo culturale come forma, lo hanno semmai svuotato degli antichi contenuti formali e relazionali con gli ordini e i domini di universali e di dominio naturale in cui lo stesso dominio umano doveva essere in accordo.

Si è spacciato con un terrmine ambiguo"libertà", il liberarsi dalle condizioni in cui il dominio umano era culturalmente immesso, fra quello universale e quello naturale. L'uomo si è illuso con l'ontologia dell'io che giustamente Oxdeadbeaf ha posto, che l'appropriazione della propria volontà di potenza finalmente liberata dalle catene relazionali in cui i domini culturali superiori lo costringevano, potesse possedere la conoscenza, non per migliorare se stesso, l'appropriazione come conquista di territori, come appropriazione dei segreti della natura, il tutto come volontà di potenza, che solo una cultura surrogata poteva spacciare come libertà.La cultura della libertà negativa(liberarsi da...) per quella positiva(liberasi per...) ha solo creato disfunzioni sociali, disgregando la comunità e creando nuove sopraffazioni.

Quindi, lo sfruttamento economico è già LEGITTIMATO E LEGALIZZATO nel nostro sistema e ordinamento giuridico.
Nessuno, nemmeno lo Stato può impedire ad una Società di capitali la sua volontà di eliminare una sua PROPRIETA'  da un luogo di lavoro per spostarla e crearne un'altra agli antipodi del mondo: nessuno e ribadisco, nemmeno lo Stato.
Le pantomime dei sindacati e dei partiti  politici, sono sceneggiate .


Quindi la Sovranità del popolo che costruisce una polis, una cives, uno Stato non può superare la volontà di un ente di diritto privato quale una multinazionale o comunque una società di capitali.

questo è chiaro?

Cosa è in realtà allora una Repubblica liberaldemocratica?
Perchè hanno costruito un mostro a due teste confliggendo le libertà civili e sociali con quelle economiche e in cui il potere economico supera il singolo Stato.
Ecco allora il problema delle sovranità nazionali, ecco il problema di democrazia libertà uguaglianza.
Ecco insomma cadere come immagini retoriche i principi delle Legge Costituzionale.
Il potere economico è superiore alle Sovranità delle volontà popolari sancite dalle Leggi degli Stati.

Oxdeadbeaf, il contratto giuridicamente è una scrittura privata, è un accordo attraverso un negoziato, è l'incontro attraverso una mediazione di interessi diversi.

Nel'ordinamento esiste una gerarchia legislativa. La scrittura privata è vincolata dalle disposizioni legislative, così come le leggi sono a loro volta legate ai Quattro codici e quest'ultimi alla Costituzione.
Il neocorporitarismo o neocontrattualismo è semplicemente la sceneggiata della pacificazione del conflitto.
E' il potere legislativo che sancisce i limiti del contratto delle parti sociali che sono libere associazioni, non sono nemmeno enti di diritto pubblico.Basta andare da un notaio con uno statuto per costruire un nuovo sindacato o un nuovo partito essendo società  di persone e non di capitali.

Il contrattualismo è la rappresentazione del conflitto che il potere legislativo demanda alle parti sociali.
Quindi è un sottoinsieme che dipende dal potere statale che infatti è libero  o meno di riconoscerlo o convocarlo al tavolo del Governo
e adatto che nessuna legge italiana ha formalizzato il sindacato, semplicemente lo riconosce scrivendo "i sindacati più rappresentativi....", vale adire riconosce il poter edi rappresentanza dato dal numero del consenso con le tessere
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: Phil il 29 Marzo 2018, 17:07:07 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 28 Marzo 2018, 20:41:53 PM
Su Hegel sì, l'off topic è dietro l'angolo; ma è anche vero che una riflessione su Hegel (e, naturalmente, su
tutto l'Idealismo) si impone laddove da certi, diciamo, punti di vista non è possibile pensare l'"altro", cioè
pensare uno degli elementi fondamentali su cui poi costruire la "comunità" (che, secondo quanto vado esponendo su
questo post, è la sola alternativa al contrattualismo dilagante).
L'altro è pensabile in molti modi (tu stesso citavi Levinas, se non erro, che lo pensa ben differentemente da Hegel); possiamo pensarlo in modo esistenziale, in modo religioso, in base all'Isee, in base alla cultura... poi scommetto distingueremo fra l'altro-x e l'altro-y (dove "x" e "y" possono essere, a piacimento: amico/nemico, ricco/povero, buono/cattivo, familiare/ignoto, etc.). Ho il sospetto che gli altri siano sempre (almeno) due  ;)

Citazione di: 0xdeadbeef il 28 Marzo 2018, 20:41:53 PM
Uno stato siffatto (cioè minimo), salvaguarda i facoltosi privilegiati in quanto, nel contratto, la parte
contraente forte ha necessariamente la meglio su quella debole.
(Tauto)logicamente non potrebbe essere il contrario... per parlare di uno stato che non privilegia i forti, dovremmo avere quindi uno stato che elimina la differenza fra forti e deboli, abolendo radicalmente l'asimmetria della contrattazione? Scenario interessante, ma bisognerebbe allora rifondare l'economia e il mercato del lavoro praticamente da zero; operazione difficile da fare "in corsa", senza resettare tutto il meccanismo...

Citazione di: paul11 il 29 Marzo 2018, 09:54:12 AM
Faccio un esempio per eccezione.Le associazioni mafiose che costituiscono società economiche con prestanome hanno avuto necessità di una legge STRAORDINARIA affinchè i beni dei mafiosi potessero essere confiscati dallo Stato.Chiediti allora in via ordinaria cosa accade e per i beni mafiosi cosa accadeva.
Non ho capito: citi l'esempio di una legge straordinaria contro la mafia per dimostrare che lo stato tende ad ammiccare ai potenti? Un'azione correttiva del genere, almeno a livello formale-legislativo, non dimostra il contrario?
Mi sembra continuino a mancare esempi concreti per la tesi della "salvaguardia statale dei privilegiati"...

Citazione di: paul11 il 29 Marzo 2018, 09:54:12 AM
Si è spacciato con un terrmine ambiguo"libertà", il liberarsi dalle condizioni in cui il dominio umano era culturalmente immesso, fra quello universale e quello naturale. L'uomo si è illuso con l'ontologia dell'io che giustamente Oxdeadbeaf ha posto, che l'appropriazione della propria volontà di potenza finalmente liberata dalle catene relazionali in cui i domini culturali superiori lo costringevano, potesse possedere la conoscenza, non per migliorare se stesso, l'appropriazione come conquista di territori, come appropriazione dei segreti della natura, il tutto come volontà di potenza, che solo una cultura surrogata poteva spacciare come libertà.La cultura della libertà negativa(liberarsi da...) per quella positiva(liberasi per...) ha solo creato disfunzioni sociali, disgregando la comunità e creando nuove sopraffazioni.

Quindi, lo sfruttamento economico è già LEGITTIMATO E LEGALIZZATO nel nostro sistema e ordinamento giuridico.
Nessuno, nemmeno lo Stato può impedire ad una Società di capitali la sua volontà di eliminare una sua PROPRIETA'  da un luogo di lavoro per spostarla e crearne un'altra agli antipodi del mondo: nessuno e ribadisco, nemmeno lo Stato.
Le pantomime dei sindacati e dei partiti  politici, sono sceneggiate .
Non mi pare che quel "quindi"(giuridico) abbia un forte legame logico con l'interessante excursus storico-filosofico che lo precede (libertà, ontologia dell'io, volontà di potenza, etc.), oppure non l'ho capito... se intendi che l'economia permessa dalle leggi del nostro sistema si basa sullo sfruttamento-impiego di risorse (umane e non), mi risulta difficile pensare ad una forma di economia (statale e non) che funzioni diversamente...

Citazione di: paul11 il 29 Marzo 2018, 09:54:12 AM
Quindi la Sovranità del popolo che costruisce una polis, una cives, uno Stato non può superare la volontà di un ente di diritto privato quale una multinazionale o comunque una società di capitali.

questo è chiaro?
Mi sembra di capire, ma forse sbaglio, che auspichi un'economia fortemente statalizzata, un "protezionismo interventista" che tenga le multinazionali fuori e le nostre aziende dentro i nostri confini... sarebbe davvero un passo avanti per la tutela dei deboli o per i lavoratori in generale? Si può davvero percorrere questa strada, oggi?
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: paul11 il 30 Marzo 2018, 01:29:07 AM
ciao Phil,
il job act così caro a Renzi e compagnia è il più eclatante esempio di come un umano che per poter vivere deve avere un reddito e per avere un reddito deve lavorare(perchè ha la sfortuna di essere nato da famiglia non privilegiata), nel momento in cui entra in un luogo di lavoro si trova in uno scenario dove i diritti sono compravendita in funzione dei profitti.
Essendo questo tipo di mercato capitalistico e competitivo i diritti civili e sociali sono economicamente costi nello scenario  economico Quindi il ricatto economico è o si perde in diritti o il profitto economico cerca luoghi di produzione del plusvalore in cui i costi siano più bassi.
Quindi ciò che aumenta economicamente come profitto ha necessità di perdere come diritti e come la bilancia mondiale dei diritti globale dimostra, colui che ha più diritti li perde in funzione di chi non ne ha.

Phil quale altro esempio vuoi se non che lo Stato non entra mai nelle tassazioni patrimoniali, che la volontà Sovrana nulla puà contro la volontà Economica? la sudditanza politica all'economia stratifica necessariamente in classi sociali,
Ed essendo per la politica necessario che il motore economico, una volta ritenta inviolabile  la proprietà privata dei mezzi di produzione, come forma socio  economica in cui si riconosce lo Stato, è altrettanto chiaro che lo scontro  fra diritto nella Legge e legge economica è prassi non solo teoria.

Quando si dice "siamo tornati indietro...." è riferito alla perdita di diritti.
Cercali nei post che ho scritto in varie discussioni i diversi esempi di come l'economia capitalistica sorregga e sostenti i privilegiati e accorra come una croce rossa i "deboli".

Il problema storico dello Stato è che la Legge deve creare ORDINE  e LIMITE.
Deve necessariamente limitare i privilegi, deve dare un tetto ai patrimoni, deve insomma limitare il forte se vuole che si conviva con il debole e quest'ultimo non si ribelli.L'ordine non può essere assecondare l'utilità egoistica perdendo la giustizia.
La libertà non è quella economica che assolutizza quella del forte condizionando l'agire dei diritti del debole.
Se un lavoratore è nelle condizioni di "tacere per lavorare...." si limita di fatto un diritto per avere uno scambio economico, quello di continuare ad avere un reddito per vivere.Il ricatto che sarebbe lo scambio economico del diritto politico è un assurdo ,è il paradosso di chi riteneva che il riformismo come il progresso fosse una retta lanciata all'infinito e non una ciclicità  che l'economia con le sue crisi ricatta riprendendosi ciò che prima era stato concesso.
Oggi esistono aziende eternamente in stato di crisi, per lo Stato ed eternamente in profitto economico come economie che i mass media spacciano in crisi per poi scoprire bilanci in profitto.
La cultura della crisi continua è la cultura del ricatto e del sacrifico continuo e toglie pretese rivendicative.

Se non si capiscono questi semplici concetti è inutle che continui a postare.

Qualunque configurazione economica è possible, ma tenendo ferma l Legge che deve avere ordine e limite se vuole avere la giustizia.
Oggi( è da ieri, l'altro ieri.....)i è il contrario, è la Legge, la Sovranità a sottomettersi al profitto,all'economia del capitale che compete.

Ma soprattutto il dispositivo culturale che ha messo al centro LA SOLA organizzazione umana per poi lasciare al forte la possibilità di determinarne scopi e fini significa aver perso gli ordini universali e quello naturale, per cui le risorse limitate, l'ambiente e l' ecologia sono fuori dalle regole egoistiche della pazzia utilitaristica individuale.oggi dovremmo chiederci cosa e come riconfigurare il sistema umano globale sostenibile al sistema mondo
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 30 Marzo 2018, 15:29:42 PM
Citazione di: paul11 il 29 Marzo 2018, 09:54:12 AM
Quindi, lo sfruttamento economico è già LEGITTIMATO E LEGALIZZATO nel nostro sistema e ordinamento giuridico.
Nessuno, nemmeno lo Stato può impedire ad una Società di capitali la sua volontà di eliminare una sua PROPRIETA'  da un luogo di lavoro per spostarla e crearne un'altra agli antipodi del mondo: nessuno e ribadisco, nemmeno lo Stato.
Le pantomime dei sindacati e dei partiti  politici, sono sceneggiate .


Quindi la Sovranità del popolo che costruisce una polis, una cives, uno Stato non può superare la volontà di un ente di diritto privato quale una multinazionale o comunque una società di capitali.


Oxdeadbeaf, il contratto giuridicamente è una scrittura privata, è un accordo attraverso un negoziato, è l'incontro attraverso una mediazione di interessi diversi.

Nel'ordinamento esiste una gerarchia legislativa. La scrittura privata è vincolata dalle disposizioni legislative, così come le leggi sono a loro volta legate ai Quattro codici e quest'ultimi alla Costituzione.




A parer mio non tieni nella dovuta considerazione quei concetti di "limite"; di "finitudine"; di "misura" e,
conseguentemente, di "giustizia" cui accennavamo.
Dal tuo discorso traspare (o meglio: a me sembra traspaia) quasi un "tutto o niente"; quasi come se una
volta istituita la proprietà privata ogni cosa ne fosse poi logica, necessaria e, soprattutto, irrimediabile
conseguenza.
Sotto tale luce, mi sembra assai più comprensibile questo tuo dare estrema importanza all'origine...
Eppure, nell'ultima risposta a Phil affermi: "Il problema storico dello Stato è che la Legge deve creare ORDINE 
e LIMITE. Deve necessariamente limitare i privilegi, deve dare un tetto ai patrimoni, deve insomma limitare il
forte se vuole che si conviva con il debole e quest'ultimo non si ribelli.L'ordine non può essere assecondare
l'utilità egoistica perdendo la giustizia".
Ecco, questo è esattamente quel che anch'io penso; ma mi sembra vi sia, come dire, un aspetto conflittuale con
altre tue affermazioni.
Dai, ad esempio, dai una interpretazione molto tecnica del "contratto", che non rispecchia certamente quel che
io intendo con questo termine.
Per me, che ne cerco di dare una interpretazione filosofico-politica, il "contratto" è null'altro che la, diciamo,
"nuova legge": ciò che prende il posto della norma "uguale per tutti" e vi si sostituisce con una non-norma disuguale
per sua stessa natura.
Il "contratto" è, in altre parole, lo strumento-principe dell'individuo laddove la legge lo era delle entità collettive
(e la storia del pensiero ci dice che la contemporaneità rappresenta il trionfo dell'individuo e l'obliarsi di
ogni entità collettiva).
Ora, era forse il trionfo del "contratto" già inscritto nei, per così dire, "cromosomi" del concetto di proprietà
privata fin dall'origine? Era cioè "destino" che esso trionfasse?
Ecco, da quanto hai scritto mi sembra, e forse sbaglio, di vedere che per te era proprio questo il destino delle
società umane e dell'uomo stesso.
saluti
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 30 Marzo 2018, 16:11:37 PM
Citazione di: Phil il 29 Marzo 2018, 17:07:07 PM

L'altro è pensabile in molti modi (tu stesso citavi Levinas, se non erro, che lo pensa ben differentemente da Hegel); possiamo pensarlo in modo esistenziale, in modo religioso, in base all'Isee, in base alla cultura... poi scommetto distingueremo fra l'altro-x e l'altro-y (dove "x" e "y" possono essere, a piacimento: amico/nemico, ricco/povero, buono/cattivo, familiare/ignoto, etc.). Ho il sospetto che gli altri siano sempre (almeno) due  ;)
(Tauto)logicamente non potrebbe essere il contrario... per parlare di uno stato che non privilegia i forti, dovremmo avere quindi uno stato che elimina la differenza fra forti e deboli, abolendo radicalmente l'asimmetria della contrattazione? Scenario interessante, ma bisognerebbe allora rifondare l'economia e il mercato del lavoro praticamente da zero; operazione difficile da fare "in corsa", senza resettare tutto il meccanismo...


L'"altro" è, per me, quel che per gli Idealisti era il "non io"...
Senonchè, nella mia visione ("mia" per modo di dire) non avviene alcuna "sintesi", è l"altro" permane nella sua
irriducibile alterità (in quanto l'"altro" rimane "oggetto" - seppur conoscibile dal soggetto solo come "fenomeno").
La mia visione, in parole povere, è la stessa di Kant...
La differenza fra forte e debole non può essere eliminata (naturalmente...), ma può, e deve, essere "attenuata".
Così come l'asimmetria della contrattazione può (e deve) essere attenuata mediante il ricorso a rappresentanze di
tipo collettivo (l'esempio più tipico è chiaramente quello dei sindacati e delle organizzazioni datoriali).
Perchè mai usare il termine "rifondare" (l'economia e il mercato del lavoro) in un senso che a me pare quasi
richiamare quello di "rivoluzionare"?
Occorre forse tornare indietro di secoli per ritrovare forme di contrattazione collettiva?
Forse che il pragmatismo non ci suggerisce di considerare i guasti che questo recentissimo modello economico ha prodotto?
A tal proposito, vorrei tornare un attimo su quella "domanda interna" cui accennavamo (mi pare proprio con te).
A fronte di "perfomances" brillanti delle esportazioni il PIL non cresce (o cresce poco, in maniera assolutamente
insufficiante a limitare l'aumento del debito pubblico).
Questo è evidentemente dovuto ad una scarsissima domanda interna, eppure quasi nesssuno parla di questo gigantesco
problema. Perchè? Forse perchè questo ci obbligherebbe a ripensare un attimo alle condizioni ed ai salari da fame
frutto di una contrattazione "selvaggia" (leggi: non più regolamentata)?
Non si tratta di discutere di valori e principi morali (certo, anche di quelli ma non solo...); si tratta di cominciare
a discutere di economia "dura" in maniera critica e (molto) meno ideologizzata.
Trovo, francamente, che sarebbe l'ora di cominciare...
saluti
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: viator il 31 Marzo 2018, 00:24:56 AM
Salve. Secondo il mio punto di vista, e con riferimento alla sola realtà italiana, si è tornati e si sta tornando indietro in conseguenza di una grave carenza istituzionale di cui abbiamo sempre sofferto nel dopoguerra: la mancanza di stabilità e di autorità degli Esecutivi che si sono succeduti nel tempo, in parte incapaci ed in parte del tutto riluttanti (e la riluttanza è un ottimo strumento per celare l'incapacità) ad opporsi agli eccessi capitalistici di certe fasi storiche ed agli eccessi demagogici, ideologici e socialutopici di altrri momenti storici.

Governi che si sono succeduti occupandosi solo dell'ordinario e della gestione elettoralistica del potere. Governi d'altra parte espressi da un Sistema (che io chiamo sbrigativamente "italico andazzo") che prevede che molti abbiano un poco di potere unito a molti benefici e nessuno abbia un minimo di responsabilità.

In mezzo a tanto squallore, esiste purtuttavia una peculiarità stupefacente di un tale sistema : la sua intrinseca immodificabilità. In nome di una democraticità e di una Costituzionalità di facciata esso provvede automaticamente ad espellere da sè tutto ciò e tutti coloro che non vi si adattino.

Problematiche come mafie, questione meridionale, rapporti con il Vaticano...secondo voi sono state affrontate da qualcuno nel dopoguerra?

Ora è chiaro che se i veri nodi interni non sono mai stati affrontati, figuriamoci se siamo in grado di affrontare fenomeni esterni come la globalizzazione o le  migrazioni dal terzo mondo !!

Io vedo tre ipotetici sbocchi alla situazione italiana :

- quello più positivo ma del tutto utopistico ed improbabile :
----qualcuno decide di dichiarar guerra alla Svizzera, in tre settimane la perdiamo e diventiamo una felice e prospera colonia elvetica;

- quello di dubbio esito e di moderata probalilità :
----compare sulla scena un secondo Uomo della Provvidenza (venne così definito dal Papa il Cav. B.M. dopo la firma del Concordato);

- quello più desolante ma più probabile :
----decadimento, disfacimento, marcescenza.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: paul11 il 31 Marzo 2018, 19:40:37 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 30 Marzo 2018, 16:11:37 PM
Citazione di: Phil il 29 Marzo 2018, 17:07:07 PM

L'altro è pensabile in molti modi (tu stesso citavi Levinas, se non erro, che lo pensa ben differentemente da Hegel); possiamo pensarlo in modo esistenziale, in modo religioso, in base all'Isee, in base alla cultura... poi scommetto distingueremo fra l'altro-x e l'altro-y (dove "x" e "y" possono essere, a piacimento: amico/nemico, ricco/povero, buono/cattivo, familiare/ignoto, etc.). Ho il sospetto che gli altri siano sempre (almeno) due  ;)
(Tauto)logicamente non potrebbe essere il contrario... per parlare di uno stato che non privilegia i forti, dovremmo avere quindi uno stato che elimina la differenza fra forti e deboli, abolendo radicalmente l'asimmetria della contrattazione? Scenario interessante, ma bisognerebbe allora rifondare l'economia e il mercato del lavoro praticamente da zero; operazione difficile da fare "in corsa", senza resettare tutto il meccanismo...


L'"altro" è, per me, quel che per gli Idealisti era il "non io"...
Senonchè, nella mia visione ("mia" per modo di dire) non avviene alcuna "sintesi", è l"altro" permane nella sua
irriducibile alterità (in quanto l'"altro" rimane "oggetto" - seppur conoscibile dal soggetto solo come "fenomeno").
La mia visione, in parole povere, è la stessa di Kant...
La differenza fra forte e debole non può essere eliminata (naturalmente...), ma può, e deve, essere "attenuata".
Così come l'asimmetria della contrattazione può (e deve) essere attenuata mediante il ricorso a rappresentanze di
tipo collettivo (l'esempio più tipico è chiaramente quello dei sindacati e delle organizzazioni datoriali).
Perchè mai usare il termine "rifondare" (l'economia e il mercato del lavoro) in un senso che a me pare quasi
richiamare quello di "rivoluzionare"?
Occorre forse tornare indietro di secoli per ritrovare forme di contrattazione collettiva?
Forse che il pragmatismo non ci suggerisce di considerare i guasti che questo recentissimo modello economico ha prodotto?
A tal proposito, vorrei tornare un attimo su quella "domanda interna" cui accennavamo (mi pare proprio con te).
A fronte di "perfomances" brillanti delle esportazioni il PIL non cresce (o cresce poco, in maniera assolutamente
insufficiante a limitare l'aumento del debito pubblico).
Questo è evidentemente dovuto ad una scarsissima domanda interna, eppure quasi nesssuno parla di questo gigantesco
problema. Perchè? Forse perchè questo ci obbligherebbe a ripensare un attimo alle condizioni ed ai salari da fame
frutto di una contrattazione "selvaggia" (leggi: non più regolamentata)?
Non si tratta di discutere di valori e principi morali (certo, anche di quelli ma non solo...); si tratta di cominciare
a discutere di economia "dura" in maniera critica e (molto) meno ideologizzata.
Trovo, francamente, che sarebbe l'ora di cominciare..
.
saluti
ciao Mauro(Oxdeadbeaf),
prima di tutto una serena Buona Pasqua a te e a tutto il forum.
Ho evidenziato la tua ultima parte del post, perchè bisogna adesso capire il dispositivo culturale economico.
Ho spiegato il primo dispositivo culturale politico che era ORDINE e LIMITE  originariamente, poi si è piegato .grazie alla cultura della modernità, sull'esigenza degli individui,  spacciando la GIUSTIZIA per utilità egoistica.

Il nocciolo dell'economia è come nasce il dispositivo del  CAPITALISMO, da dove e come quello che tu chiami MERCATO è potuto diventare quello che è oggi.
Personalmente ritengo che il dispositivo culturale originario è il CRISTIANESIMO,Vediamo come il capitalismo è riuscito a mantenere la forma, svuotare i contenuti e metterne altri.
il CREDITO E IL DEBITO sono concetti di REDENZIONE E COLPA.
il titolo di credito che surroga il denaro metallico, nacque per comodità e affinchè i banditi non svaligiassero i corrieri con i cavalli nell'epoca post rinascimentale e medioevale.Se non ricordo male  la cambiale nacque a Prato,vicino alla potente e fiorente Firenze dei commercianti Medici.
Il denaro metallico era ingombrante già allora.Questo processo di SMATERIALIZZAZIONE svuoterò il denaro da ogni valore
( stranamente anche valore è sinonimo di un termine morale) divenendo puramente autoreferenziale.
Il titolo di credito è una MONETA FIDUCIARIA( L a Fede che è anche Speranza),mentre la moneta metallica doveva avere il suo valore intrinseco nei componenti della moneta stessa (oro, argento ecc.).
L'interesse economico nasce concettualmente dall'argomentazione che chi ha un capitale e lo presta compie UN SACRIFICIO, per cui l'ìnteresse è il compenso del sacrificio
In sintesi il capitalismo è una RELIGIONE CULTURALE(per questo è potente) che applica un culto ,ma non secondo un qualche dogma.Questo culto non conosce momenti di arresto, è continuo come la maturazione di un capitale in montante (capitale+interesse),non ha giorni di riposo festivo,l'anno economico è di 360 giorni per le equazioni finanziarie.
Il culto capitalistico non è diretto alla REDENZIONE ,ma alla COLPA.Un' aberrante coscienza colpevole che non conoscendo redenzione fonda se stessa sulla colpa e non espiandola deve renderla universale.Alla fine riesce nella sua rete a catturare anche Dio nella sua colpa.per cui non è vero che Dio è morto, ma è stato incorporato nel destino umano
Nè Nietzsche, nè Freud, nè Marx sono riusciti a vincere questo concetto del dispositivo culturale,paradossalmente ne sono solidali.Il SUPERUOMO. IL RIMOSSO e il SOCIALISMO hanno con sè ancora la colpa del rimosso peccaminoso
L'antica PISTIS ,la FEDE era il credito di cui godiamo presso Dio.
Il culto capitalistico si è emancipato da ogni oggetto e la colpa da ogni peccato.La banca ha preso il posto della chiesa e governando il credito manipola LA FEDE.

Costruire quindi l'economia del debito e del credito indissolubile con continuità infinita,non può essere fermata o estinta.
Se non volete comprare, qualcuno vi induce a farlo, se non avete denaro qualcuno è pronto a prestarlo

Prima di entrare nella scienza economica e nei suoi postulati egoistici,bisogna capire questo secondo dispositivo culturale.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 01 Aprile 2018, 11:18:43 AM
Ciao Paul, contraccambio di cuore il tuo augurio di una buona Pasqua.
Sto proprio adesso leggendo un saggio di M.Liverani ("Uruk, la prima città"), magnifico come del resto lo sono gli altri
di questo acuto storico e pensatore.
Fin dalle prime pagine, l'autore di interroga sulla cosiddetta "accumulazione originaria", mettendo in risalto il fatto
che le notizie cui siamo pervenuti sembrerebbero avvalorare l'ipotesi di un "surplus" produttivo che va a beneficio di
tutti (non sembrano esservi differenze sostanziali nella costruzione delle abitazioni private, così come le sepolture,
tutte simili, non mostrano mai segni di quell'opulenza nei corredi funerari che sempre è indice dell'avvenuta emersione
delle elites).
Sembra, insomma, che in questa forma proto-statuale la magnificienza, la ricchezza ottenuta dal surplus produttivo vada
ad esclusivo beneficio del "tempio"; sempre più grande ed opulento rispetto agli standard abitativi "privati".
Non facile è però risalire al momento in cui il surplus va ad arricchire anche i privati, o comunque le elites che
governano ed amministrano lo "stato-templare".
Secondo Liverani la fase immediatamente precedente la formazione proto-statuale (che Liverani chiama, mi pare sulla scia
di Childe, "chiefdom") già delinea una differenza; una distinzione che ancora nè le abitazioni né le sepolture rilevano.
Questa differenza, questa distinzione di "rango" verrebbe poi replicata all'interno del proto-stato templare.
In parole povere: "dove" comincia e in cosa consiste il "capitalismo"? La risposta non mi sembra facile; e neppure che
questa risposta possa avere i tratti della univocità.
Il capitalismo è forse l'arricchimento privato e la fortuna familiare? Certo questa risposta è molto generica, ma ci
evita di fare i conti con troppe definizioni "tecniche", non credi?
Sicuramente il Cristianesimo presenta molte affinità ed analogie con certe dinamiche e "meccanismi" del capitalismo.
Certo, tu parli (e non a sproposito) di "dispositivo culturale originario"; ma io preferisco, oltre a non fare una
troppo netta distinzione fra natura e cultura (come ti dicevo), pensare che questo "dispositivo originario" sia
in "ultima istanza" l'emergere dell'individuo.
Dal mio punto di vista il capitalismo non riguarda solo la cultura occidentale (diciamo "greco-cristiana-illuministica"),
anche se nella cultura occidentale il capitalismo ha, per così dire, trovato il terreno più fertile per la sua
affermazione. Ma lo ha trovato, e secondo me è questo il punto, perchè nella cultura occidentale è stato più forte
ed incisivo che altrove l'emergere dell'individuo.
Del resto a me sembra che lo stesso Cristianesimo sia intimamente legato, anzi che trovi la sua stessa ragione di esistere,
nei concetti di "merito" e di "colpa"; che sono concetti individualistici.
Per aggiungere qualcosa alle tue interessanti argomentazioni sul legame (indubbio) che sussiste fra Cristianesimo e
capitalismo, dirò che la Riforma Protestante offre forse quello che è un decisivo passo nella direzione di uno,
chiamiamolo, "sdoganamento" delle pulsioni egoistiche individuali (ma la Riforma è già, in nuce, nella distinzione
francescana di "ratio" e "fides").
Ora, qual'è il punto di maggior divergenza delle nostre rispettive posizioni?
Lo accennavo in una precedente risposta che forse ti è sfuggita. Tu sembri ritenere questo processo irreversibile,
come se questa forma estrema di capitalismo (che io chiamo "mercatismo") fosse inscritta nei nostri "cromosomi"
e nessun pragmatismo o ragionamento possa scalfirla.
Io invece penso che proprio il pragmatismo (altra nostra e decisiva "radice" culturale...) possa dire qualcosa
di importante.
Non è possibile che si continui ad essere ancora tanto miopi da assumere questo articolo di fede (il capitalismo)
come scienza indiscussa ed indiscutibile (contraddicendo in questo la stessa definizione di "scienza").
Prima o poi qualcuno dovrà pur svegliarsi da questo "sonno dogmatico"...
saluti (e ancora auguri)
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: Phil il 01 Aprile 2018, 12:09:57 PM
In questo giorno festivo, colgo l'occasione (fra il serio e il faceto ;) ) per alimentare la geneaologia congiunta fra fede e capitalismo:
Citazione di: paul11 il 31 Marzo 2018, 19:40:37 PM
Questo processo di SMATERIALIZZAZIONE svuoterò il denaro da ogni valore
( stranamente anche valore è sinonimo di un termine morale) divenendo puramente autoreferenziale.
Proprio come la spiritualità cristiana ha svuotato il corpo carnale di ogni valore, rendendolo guscio dell'anima e dello spirito che sono ciò che vale davvero, ciò che la divinità, "virtuosa virtualità"(impalpabile) ha "investito" in noi...

Citazione di: paul11 il 31 Marzo 2018, 19:40:37 PM
L'interesse economico nasce concettualmente dall'argomentazione che chi ha un capitale e lo presta compie UN SACRIFICIO, per cui l'ìnteresse è il compenso del sacrificio
Così come ogni gesto altruistico produce interessi-crediti per la vita in paradiso... il sacrificio di Gesù, valore miracolosamente materializzato-incarnato, moneta d'oro che è al contempo garante del Valore (riserva aurea) e pezzo di scambio (mercato dell'oro, baratto con Barabba, tradimento del "broker"-mediatore Giuda, etc.) è il sacrificio economico per eccellenza, che non può non concludersi con un ritorno all'origine (al Padre di tutti i valori), un'ascensione nei cieli del conio (inteso come "matrice", ciò che ha dato forma al mondo, generato all'uomo e stabilito i sacri comandamenti del mercato).

Citazione di: paul11 il 31 Marzo 2018, 19:40:37 PM
Il culto capitalistico non è diretto alla REDENZIONE ,ma alla COLPA.
La colpa ereditaria del peccato originale: appena si entra nel mondo-mercato, appena si nasce come homo economicus, si è già in debito per ciò che si ha...

Citazione di: paul11 il 31 Marzo 2018, 19:40:37 PM
Nè Nietzsche, nè Freud, nè Marx sono riusciti a vincere questo concetto del dispositivo culturale,paradossalmente ne sono solidali.Il SUPERUOMO. IL RIMOSSO e il SOCIALISMO hanno con sè ancora la colpa del rimosso peccaminoso
Poichè il mercato non può che risorgere (buona Pasqua!), trasfigurato, immortale: l'economia dell'eterno ritorno e il superuomo ripercorrono la ciclicità del mercato e l'ideale dell'imprenditore che domina il mercato senza esserne assoggettato; l'inconscio e il rimosso spiegano l'anima mistica che ci spinge inconsapevolmente ad essere acquirenti e investitori; il socialismo è una forma di monachesimo laico che cerca di inquisire l'eresia dell'alienazione nel lavoro...

Citazione di: paul11 il 31 Marzo 2018, 19:40:37 PM
L'antica PISTIS ,la FEDE era il credito di cui godiamo presso Dio.
Credito non maturato da un "debito celeste", ma concesso per amore dal Filantropo, che dona e investe non per lucro, ma per benevolenza.

Citazione di: paul11 il 31 Marzo 2018, 19:40:37 PM
La banca ha preso il posto della chiesa e governando il credito manipola LA FEDE.
La fede anche in termini di fide-iussione, "promessa di fede": genesi, parusia ed escatologia del capitalismo occidentale.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: paul11 il 02 Aprile 2018, 10:51:05 AM
Ecco gli artt. 91 e 95 del codice di Hammurabi, tratti dalla traduzione dell'ottimo libro "Il Codice di Hammurabi" di Luca Torre ed. Luca Torre Editore.
Il primo riguarda l'ipotesi in cui il creditore aumenti abusivamente il tasso di interesse rispetto al limite di legge.
La sanzione civile è chiara: il creditore che chiede più interesse del dovuto perde tutto ciò che ha prestato.
"Art. 91
Se un uomo, che ha ricevuto un prestito a interesse, non ha argento per restituir(lo), (ma) possiede dell'orzo, secondo la legge regia il mercante riceverà per il suo interesse tanto orzo (quanto) ne ha avuto (in proporzione al) in prestito; se il mercante ha aumentato (abusivamente) il suo interesse a più di 100 (qa) di orzo o a più di 36 ŠE (=1/6 di siclo + 6 ŠE) di argento per 1 siclo di argento e l'ha intascato, egli perderà tutto ciò che ha prestato."
La norma prevede una sorta di danno punitivo che condanna il creditore avido e premia il debitore che ha fatto condannare il primo.
Il secondo riguarda l'ipotesi in cui il creditore imbrogli il debitore dandogli in prestito orzo o argento "leggero", quindi meno capitale di quello concordato, mediante truffa sul peso, facendosi poi pagare dal debitore con orzo o argento più "pesante", quindi più di quanto ha ricevuto.
Anche in questo caso il mercante perde tutto ciò che ha prestato:
"Art. 95
Se un mercante ha prestato a interesse dell'orzo o dell'argento e, allorchè egli ha dato come prestito ad interesse dell'argento a peso leggero e dell'orzo in misura leggera, se quando gli è stato restituito, egli ha ricevuto argento a peso pesante, e dell'orzo in misura pesante, questo mercante perderà tutto ciò che ha prestato."
Il legislatore dell'epoca ha capito che, per punire l'avidità umana, bisogna agire attraverso sanzioni civili che colpiscono l'interesse a cui mira chi fa usura: il denaro.
Hai presente cosa significherebbe applicare queste norme oggi; per esempio all'usura, originaria o sopravvenuta oppure alla truffa sull'Euribor?
Mi sono anche chiesto come mai il legislatore con l'andar del tempo sia giunto ad una sanzione civile molto più debole, limitata solo agli interessi originariamente usurai, certamente non idonea a controllare il fenomeno, che addirittura si è propagato alle istituzioni bancarie. Non ho ancora una risposta.

tratto da
https://www.linkedin.com/pulse/usura-le-sanzioni-civili-previste-dal-codice-di-gianluca-dalla-riva

Mauro(Oxdeadbeaf), come vedi quattromila anni fa avevano capito la natura umana e come limitare e sanzionare.
Oggi siamo messi peggio.

La prima cosa da fare per qualunque partito parlamentare di sinistra(non solo italiano) sarebbe limitare il reddito patrimoniale e di lavoro, compreso il profitto sia per le persone fisiche, individuali, sia per le persone giuridiche ,società.

Faccio un altro  esempio di moda:reddito di cittadinanza.
A tutti(non entro nei particolari) vine stabilita un'integrazione al reddito mensile pari a mille euro.
C'è chi dice che non è possibile perchè il debito pubblico crescerebbe troppo.Chi fa questo esempio è o in mala fede o capisce ben poco di economia.
Se una persona riceve del denaro, la prima cosa che accade è che si trova in banca.Quindi il primo vero passaggio della transazione è che lo Stato ha dato a banche, Poste, o chi volete un'ammontare di denaro enorme( e al solito sono i primi che guadagnano sul capitale enorme un interesse).Il cittadino fa due cose, decide quanto spendere e decide quanto risparmiare.
Se spende attiva il PIL, perchè acquista beni o servizi, e le transazioni portano maggiore imposte indirette e dirette allo Stato.

La realtà è un 'altra, che se gli individui che ricevono il reddito di cittadinanza inizialmente hanno un vantaggio economico. dopo breve tempo i prezzi assorbiranno gli aumenti nominali con l'inflazione. Lo Stato se inizialmente si indebita e il debito lo fa divenire titolo di credito e apre aste con le banche, gli ritorna come pil maggiore e come maggiore gettito fiscale.
Le aziende aumentano i fatturati, il sistema finanziario è quello che ci guadagna di più perchè ha in mano ciò che il cittadino non consuma, vale a dire il risparmio, i titoli di Stato, crediti alle aziende che investirebbero di più.

Chi ci guadagnerà meno alla fine è proprio quel cittadino che ha avuto il reddito di cittadinanza..
Il problema economico attuale nella distribuzione delle ricchezze è che il mercato inizialmente dà un vantaggio essendo i prezzi attuali, ma poi tende ad assorbire quell'aumento di reddito di cittadinanza aumentando i prezzi e creando inflazione..

Questo è il secondo problema che una seria sinistra deve analizzare.Come i redditi reali, diventano nominali attraverso l'inflazione che alza i prezzi dei ben intermedi , strumentali e finali, così che solo nella prima fase c'è un guadagno dei bassi percettori di reddito, ma il mercato si riequilibra strutturandosi secondo la solita distribuzione iniqua.
Per cui in realtà alla fine del ciclo ci guadagnerà soprattutto il sistema finanziario.
Oggi qualunque aumento di reddito  generalizzato del popolo viene immediatamente riassorbito come inflazione,quindi con aumento dei prezzi
Questo è il problema della stasi economica.
Perchè non c'è il controllo dei prezzi nei passaggi economici, perchè non si limita chi ha potere di determinare quegli aumenti che non sono più di mercato, ma di puro parassitismo speculativo.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: paul11 il 02 Aprile 2018, 11:32:34 AM
Il due dispositivi culturali, il nomos dell'ordine e limite il cristianesimo, sono stati svuotati ,alterati, ma mantenuti come forma.
L'individualismo è emerso culturalmente quando la scienza e la tecnica hanno posto al centro del cosmos, l'uomo sganciato da ogni relazione esterna e dove la verità è stata spacciata come realtà empirica.
Si è fatto passare, secondo il canone attuale della cultura occidentale, come emancipazione della libertà umana.

In verità invece è aumentato l'arbitrio ai danni della giustizia. il corpus sociale è divenuto per la scienza politica ed economico il luogo dello scontro di interessi di gruppi e individuali, pacificato dallo Stato armato.
La scienza economica ad esempio riteneva il mercato quasi come forma metafisica oggettiva.L'oggettività del mercato trascendeva nel soggetto dispensatore di destini con l'equilibrio della domanda e dell'offerta.
Poi quella cultura inizialmente pragmatista(Mauro spero non ti riferisca a questa) statunitense, capace di analizzare in piccolo, nei particolari, mai in "grande", perchè non ha tradizione, ha analizzato nei particolari  i comportamenti umani applicando psicologia con test di gruppi e individuali.Siamo i topolini di Pavlov.
La seconda fase è stata quindi che il mercato "si fa", non è più un oggetto, ma sono i soggetti economici che determinano il mercato e l'economia.Ed è chiaro che chi ha rapporti di forza economica e politica altri determina più di altri che ne hanno pochi.

Deve finire la cultura statunitense per ripensare il capitalismo, e questo sta già accadendo e accadrà. 
La curva della forza USA declina e Trump difende la rendita di posizione del potere economico-militare.Ma sono destinati a finire..
Il loro modo di fare economia ,l'esportazione della loro cultura che ha rincoglionito anche gli europei, loro che hanno preso europei ed ebrei che  hanno invece la grande tradizione culturale, è così pervasiva che oggi come oggi non è possible fare nulla.Si può fare solo analisi, capire cosa va e cosa non va e progettare culturalmente prima dell'azione politica.
La sinistra deve ripensarsi, non solo in Italia.
Ma deve porre immediatamente il LIMITE economico che costituisce l'arbitrato individualistico contro la giustizia sociale
Questo per me è il primo passo...............
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: baylham il 03 Aprile 2018, 11:14:10 AM
Citazione di: paul11 il 02 Aprile 2018, 10:51:05 AM
Il legislatore dell'epoca ha capito che, per punire l'avidità umana, bisogna agire attraverso sanzioni civili che colpiscono l'interesse a cui mira chi fa usura: il denaro.
Hai presente cosa significherebbe applicare queste norme oggi; per esempio all'usura, originaria o sopravvenuta oppure alla truffa sull'Euribor?
Mi sono anche chiesto come mai il legislatore con l'andar del tempo sia giunto ad una sanzione civile molto più debole, limitata solo agli interessi originariamente usurai, certamente non idonea a controllare il fenomeno, che addirittura si è propagato alle istituzioni bancarie. Non ho ancora una risposta.

Nel Deuteronomio c'è anche l'anno sabbatico e il giubileo.

La risposta è semplice: queste limitazioni economiche hanno degli effetti retroattivi sul sistema economico: aumentano i debitori che non trovano un prestito, deprezzano il valore delle terre oppure il valore degli schiavi, in breve approfondiscono la gravità della povertà. Sono come l'equocanone di recente memoria, che riduce il prezzo delle locazioni ma riduce la quantità degli alloggi in locazione e promuove il mercato nero.

Sono misure che agiscono a monte, non a valle, sui processi che determinano la disuguaglianza creditore-debitore.

Il reddito di cittadinanza o il sussidio di disoccupazione è l'unica, o quasi, proposta di sinistra dei grillini. Ma l'unico modo di sinistra per finanziarlo stabilmente è aumentare le imposte, che attualmente sono anche progressive, non la flat tax, che è una proposta di destra, oppure ridurre stabilmente altre spese pubbliche.

Sullo Stato. Lo Stato è il più potente strumento a favore del privato e dell'ingiustizia. Infatti nella storia non si contano i leader politici e militari che hanno utilizzato lo Stato per i loro interessi: Hitler, Stalin, Trump, Putin, i dittatori in generale, hanno popoli interi al loro servizio, al servizio dei loro capricci, umori, idee più o meno strampalate, idiote.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: InVerno il 03 Aprile 2018, 12:04:54 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Aprile 2018, 11:18:43 AMSecondo Liverani la fase immediatamente precedente la formazione proto-statuale (che Liverani chiama, mi pare sulla scia di Childe, "chiefdom") già delinea una differenza; una distinzione che ancora nè le abitazioni né le sepolture rilevano. Questa differenza, questa distinzione di "rango" verrebbe poi replicata all'interno del proto-stato templare.In parole povere: "dove" comincia e in cosa consiste il "capitalismo"? La risposta non mi sembra facile; e neppure chequesta risposta possa avere i tratti della univocità.
In genere è dalla metallurgia in poi che i silos "privati" non sono più sufficienti, sia per il surplus dovuto alla tecnica, sia per la necessità di decidere chi avrebbe dovuto foraggiare gli artigiani. Il capitalismo agricolo si fonda su cheferie, che però non vanno confuse con una sorta di protocomunitaresimo, è ovvio che a Uruk e Gerico etc non si trovino nelle forme e negli spazi le tipiche organizzazioni statuali, perchè è la città in se ad essere statuale, la fortificazione è formata dal perimetro esterno delle case (senza accessi) e la militarizzazione è una sorta di "part-time" dell'agricoltore, ma questo non significa che tutto era di tutti, perchè anche senza gli artigiani, i templari erano improduttivi e dovevano essere foraggiati, ma godevano di stima ben più superiore di quella degli artigiani, ben simboleggiati dallo storpio Vulcano, Gourhan sintetizzerà ciò con la separazione del dispositivo mano-cervello applicata al corpo sociale. Ps. la ceramica ha lo stesso effetto della metallurgia ma su minore scala per via di mille motivi.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 04 Aprile 2018, 15:42:01 PM
X Paul
Beh, c'è da dire che le steli mesopotamiche, che come accennavo venivano in genere poste nei luoghi di mercato (...),
intendevano rimarcare il potere sovrano proprio quando tale potere era particolarmente debole...
I modi per aggirare la norma erano anche allora tanti (fra i tanti, degne di menzione sono le finte "adozioni",
metodo usato per aggirare il divieto di cessione di terreni ai non appartenenti ad un certo nucleo familiare),
comunque non c'è dubbio che vi fosse piena consapevolezza sui possibili guasti cui poteva condurre un "affarismo"
estremo; una consapevolezza che oggi manca drammaticamente...
Da questo punto di vista, a proposito dell'usura, che si sia giunti a sanzioni molto più deboli non mi soprende
affatto. Bah, a quei tempi il surplus era costituito perlopiù dall'orzo, poi attraverso molti (ma nemmeno tanti)
cambi di paradigma si è giunti all'attuale finanza (alias: aria fritta...). Insomma: non mi pare davvero il
caso di pensare che un potere capitalistico possa colpire duramente l'usura (...) senza colpire duramente la sua
medesima essenza, non credi?
Ci sono però un paio di cose su cui dissento (almeno parzialmente) dal tuo ragionamento.
L'individuo è senz'altro "emerso" attraverso varie tappe. Però, se proprio dovessi indicarne la "data di nascita", mi
sentirei di dire la divisione; la specializzazione del lavoro (la cui retribuzione era perlopiù individuale).
Soprattutto, penso che la "nascita" dell'individuo corrisponda con quella del "capitalismo" (inteso naturalmente come
io lo intendo; e cioè genericamente, come l'arricchimento privato e la fortuna familiare - nel senso di famiglia
"moderna", cioè mononucleare).
Dunque un capitalismo chè è presente fin dall'arcaicità; che è quasi "connaturato" all'uomo, e che dunque è possibile
solo cercare di limitare nei suoi aspetti più deleteri. Come?
Beh, l'osservazione empirica (avevo più che altro in mente questo quando parlavo di "pragmatismo"...) mi sembra ci dica
chiaramente che solo un rinnovato senso comunitario; un senso dunque di stato come "nazione"; può porre argini alla
globalizzazione affaristica mondiale.
Su questo punto devo dissentire da Baylham, laddove afferma: "Lo Stato è il più potente strumento a favore del privato
e dell'ingiustizia". Certo, è possibile che lo stato sia questo; ma è anche possibile non lo sia, e gli esempi
storici sono innumerevoli.
Non ho mai detto che lo stato sia "necessariamente" il miglior strumento a nostra disposizione; ho detto che "in
possibilità" lo stato è l'unico antidoto al dilagante mercatismo; che, questa volta invece proprio "necessariamente",
consente alla parte contraente forte di prevaricare quella debole.
Infine sul reddito di cittadinanza: giusto ma non mi pare al momento (e per chissà quanto...) possibile.
Perchè? Sostanzialmente perchè siamo nell'euro, e qualsiasi aumento (anche momentaneo) del debito pubblico dà
il via ad una sfilza di conseguenze negative. E poi anche perchè un'inflazione della moneta (sempre perchè essa
è l'euro...) su iniziative di un solo stato è di fatto resa impossibile.
Le cose da dire su questo argomento sarebbero tante. Per quel che mi riguarda, non sono di quelli che credono
alle politiche monetarie "espansive". Certo esse aiutano non poco nel breve-medio periodo (e sono di fatto
impossibili...), ma nel lungo termine un paese deve dotarsi di una solida struttura agricola e industriale, o
sono comunque dolori...
saluti
(per InVerno: a me risulta - i testi su cui mi baso sono "Antico Oriente" e "Uruk, la prima città" di Liverani-
che i primi silos siano stati "pubblici", e ben antecedenti la metallurgia)
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: paul11 il 04 Aprile 2018, 22:30:24 PM
ciao Mauro,
chiariamo alcuni punti, dico quello che penso:
1) la natura umana non è mai cambiata, quello che muta è la cultura
2) la cultura è "l'ambiente" in cui vive l'uomo, l'orizzonte in cui si muove e crea delle condizioni
3) il rapporto evolutivo fra natura umana e cultura è data dalla coscienza ed è dipendente da due aspetti
a) interiore individuale
b) esteriore sociale
quindi: la coscienza individuale è comunque  condizionata da quella socio-culturale
lo scontro "interiore" è fra propria morale ed etica socio-culturale.

Il come ogni individuo riesce a dirimere nella propria coscienza lo scontro/incontro fra propria intima interiorità
e LEGGE (che è la formalizzazione delle condizioni sociali), è la propria EDUCAZIONE.

Questo, a mio parere c'è sempre stato in ogni tempo e latitudine da quando c'è una umanità con una cosicenza, linguaggio,
"che si è guardata attorno" e ha cercato di capire.

Quindi da sempre ,nelle organizzazioni umane dalle comunità alle città-stato, la LEGGE doveva limitare l'arbitrio di quella parte della natura umana che tende ad "oltrepassare" egoisticamente i confini del sociale, il LIMITE oltre il quale c'è la sanzione.
Se quattromila anni fa sanzionano l'usura è perchè il rapporto economico sociale sarebbe alterato.
Adatto che è soprattutto l'economia a creare le basi sociali che vanno dalla sopravvivenza e sussistenza della vita, fino agli agi e privilegi, è quindi questo ambito che doveva essere regolato.
Il rapporto quindi Stato come socialità e individualità come egoismo è sempre stato da sempre conflittuale.
Lo Stato doveva e deve tenere insieme il povero e il ricco, l'ignorante e l'intelligente, chi ha responsabilità individuale e sociale e il "menefreghismo" individuale e sociale.
Quella che viene spacciata come evoluzione culturale storica ha confuso la conoscenza tecnica con la coscienza individuale e sociale.Noi oggi "stiamo meglio" non perchè abbiamo una coscienza più alta, bensì per una tecnologia sempre più evoluta.
E' quindi evoluta la cultura della tecnica, non quella "sull'uomo".Ed è chiaro che la tecnica evolve l'economia e viceversa,
ma l'uomo...., la società....?
Siamo ancora oggi a chiederci dell'Atene di Pericle.
Quello che indubbiamente è stato fatto è il passaggio dai valori ai diritti civili e sociali.
Ma i diritti entrano in conflitto con l'economia e la contraddizione si evidenzia proprio nel rapporto dipendente, datore di lavoro.
Il capitalismo nasce con la tecnica della macchina a vapore e 'avvento della borghesia commerciale,che nulla ha a che fare con il concetto di Stato-Legge.E' proprio questa dicotomia che nasce dalla scelta culturale di evidenziare e centralizzare l'uomo come principio universale, fuori da qualunque relazione con l'universale "senza l'uomo"(il cosmos).

Lo Stato dovrebbe garantire più il debole che l'arbitrio del forte. Tant'è che una delle definizioni della libertà è "obbedienza alla legge".Questa dovrebbe essere uno dei paradigmi della politica di "sinistra".
Se nel codice di Hammurabi c'è una legge con tanto di quantità sul concetto di usura e oggi ci sono i tassi di usura per legge
è così difficile quantificare i limiti patrimoniali, vale a dire di accumulazione del capitale? Senza questo è inutile parlare di politica
seriamente.
Trovo incredibile come si sia riuscito a inculcare culturalmente che l'indice pil/debito pubblico è giusto (ma dove sta scritto che è giusto? E solo una scelta POLITICA) Sembra il nuovo comandamento venuto fuori chissà da dove.
Se si ritiene incompatibile, così come si aderì ai trattati ieri, domani si superano.Se riteniamo di essere incatenati ai rapporti globali e temiamo che uscirne significhi affossarci, non abbiamo capito che per l'economia globale il mercato italiano del consumo è troppo importante per i fatturati di aziedde estere che ci hanno colonizzato.
Tutto è possibile, ma proprio perchè il capitalismo ha tolto i limiti a tutto.Trovo paradossale che il capitalismo detti le regole e lo Stato si regola adattandovisi.. La nostra cultura ha totalmente rovesciato i rapporti.Mai accaduto storicamente.
Se questa non è decadenza?
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: green demetr il 05 Aprile 2018, 09:18:30 AM
Ma limitare il credito non è esattamente il meccanismo del tasso di sconto, come insegnato dal ceo della waterbridge?
Ossia il meccansimo primo della crisi sul credito alle banche e il gioco del rating?

L'errore della sinistra venuta ormai al nodo del pettine, è proprio questa idea di limite.
(è bastato un imbonitore come Berlusconi per far saltar il banco).

Che poi per natura umana, è equivalso a quella di castrare l'apparato pubblico, sogno di un popolo fascista e stitico come quello italiano, sempre pronto a veder il vicino morto.

Oggi l'argento leggero è il leverage finanziario, che inghiotte le ambizioni e i sogni della classe media.
Non so bene quanti film siano usciti che spieghino bene la questione dei derivati finanziari.

Ma poi sarebbe appunto ancora fare politica, decidere quale forma preventiva.

Ma infine il problema è quello della natura umana: come sovvertire il lupo senza farlo diventare un castrato?

E' questo il tema comunitario della sinistra intellettuale. A venire.

Per ora siamo ancora alle dissidenze, ossia alle forme di disimpegno. Con deliri annessi di Teologia politica.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 06 Aprile 2018, 14:28:04 PM
Se osserviamo la storia del capitalismo, vediamo chiaramente che la sua forse maggior caratteristica è la
necessità dell'espansione.
Ieri questa espansione era geografica, poi produttiva fino ad arrivare all'attuale espansione finanziaria.
Tale caratteristica è facilmente deducibile dallo strumento che più di altri forma e costituisce il
capitalismo: quello che Marx chiamava "plusvalore".
Il capitalismo, senza "plusvalore", ovvero senza espansione, non è più capitalismo, e quindi si esaurisce,
"muore".
Questo però significa che quantificare i limiti dell'accumulazione di capitale risulta di fatto impossibile.
Perchè un capitalismo "limitato" non è più un capitalismo "strictu sensu", ma qualcos'altro.
Ma, ancora, questo può solo voler dire che pensare di avere, nel medesimo tempo, politica E capitalismo
è impossibile (a meno di, consapevolmente, subordinare una di queste categorie all'altra).
Concordo quindi senz'altro laddove Paul11 afferma: "è così difficile quantificare i limiti patrimoniali,
vale a dire di accumulazione del capitale? Senza questo è inutile parlare di politica".
E questo era ben chiaro agli antichi Greci, che infatti subordinavano l'economia alla politica...
Perchè alla fin fine a questo si riduce tutto il nostro ragionamento.
Pensare di lasciar "briglia sciolta" al capitalismo significa solamente accettare che l'economia subordini
la politica (anzi, che la determini); mentre pensare ad un ruolo "attivo" della politica non necessariamente
significa riesumare il "socialismo reale" (come qualche "eruditissimo" liberale darebbe ad intendere...),
ma significa primariamente ribadire la supremazia della politica; il suo ruolo di guida dei processi strumentali
economici d cui, essa, è chiamata a stabilire gli scopi.
saluti
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: anthonyi il 06 Aprile 2018, 17:23:06 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Aprile 2018, 14:28:04 PM

Pensare di lasciar "briglia sciolta" al capitalismo significa solamente accettare che l'economia subordini
la politica (anzi, che la determini); mentre pensare ad un ruolo "attivo" della politica non necessariamente
significa riesumare il "socialismo reale" (come qualche "eruditissimo" liberale darebbe ad intendere...),
ma significa primariamente ribadire la supremazia della politica; il suo ruolo di guida dei processi strumentali
economici d cui, essa, è chiamata a stabilire gli scopi.
saluti

Ciao 0xdeadbeef,
non è un caso che l'Economia si chiama Economia Politica, per cui il ruolo attivo della politica c'è già.
Il problema è un altro però, perché la politica spesso tende a concentrare il potere e, come faceva notare Hayek, questo effetto si moltiplica quando la politica domina il sistema economico. Purtroppo è lo scarto tra visioni ideali e realtà, chi sostiene il dominio della politica sull'economia spesso lo fa in buona fede perché vede in questa una partecipazione più democratica alle scelte sociali, ma l'esperienza reale ci dice che le economie pianificate sono sempre delle dittature, oltretutto economicamente poco sviluppate.
Un saluto.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 06 Aprile 2018, 19:41:53 PM
Ciao Anthonyi
Ti dico francamente che a me pare che la visione "ideale" sia quella di Von Hayek quando afferma (e non è una
affermazione fra le tante...) che l'ordine spontaneo creato dal mercato è anche un ordine giusto.
Probabilmente aveva in mente la celebre "mano invisibile" del Reverendo (...) A.Smith, ma soprassediamo.
Tanto per occuparci un pò di "reale", ci sarebbe da dire che attualmente (notizie fresche di cronaca...) è
una dittatura (la Cina) ad ergersi a paladino del libero mercato. Noto anche che di tale dittatura tutto può
dirsi fuorchè sia economicamente poco sviluppata (benchè le interpretazioni di tale termine possano non
essere univoche...).
Qualche anno fa, l'ho citato in una precedente risposta, in una delle pochissime (almeno così mi risulta) ricerche
sul rapporto che intercorre fra democrazia e mercato, l'economista francese J.P.Fitoussi affermava che il
"miglior" (leggasi: economicamente più efficiente) rapporto era raggiunto dal Messico (ora non ricordo se
nell'attualità o nel recente passato), che non mi pare possa essere portato ad esempio di liberalità democratica...
Credo in definitiva che dovremmo tutti un pò, come dire, "aggiornarci", ed evitare di trasferire acriticamente
al presente teorie economico-politiche nate (anche per esigenze ideologiche) nell'immediato dopoguerra o nel
periodo della guerra fredda.
saluti
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: green demetr il 10 Aprile 2018, 08:16:10 AM
cit Oxdeadbeef

"Se osserviamo la storia del capitalismo, vediamo chiaramente che la sua forse maggior caratteristica è la
necessità dell'espansione."

"Tale caratteristica è facilmente deducibile dallo strumento che più di altri forma e costituisce il
capitalismo: quello che Marx chiamava "plusvalore".
Il capitalismo, senza "plusvalore", ovvero senza espansione, non è più capitalismo, e quindi si esaurisce,
"muore".
Questo però significa che quantificare i limiti dell'accumulazione di capitale risulta di fatto impossibile."

Ed ok, ora si comincia a ragionare!

Il punto focale dell'analisi marxista sta a monte il funzionomaneto strutturale del capitale.

Ossia nel problema del feticismo.

La cui natura alla luce delle recenti indagine delle scienze psicologiche è sempre un desiderio di controllo.

Nella sua forma schizoide e psicotica è però il contrario: ossia è il soggetto che diviene prigionero delle sue manie di accumulazione bulimica.

Nella sinistra politica che non fa i conti con la sua intellettualità sottesa, il risultato sono proprio le economie come dici tu di real politik. Ossia si passa dalle forme di controllo, che pur servono, alla suo rovescio della medaglia, con la corsa alla nomenklatura. All'accumulo di onerificenze etc...

Se di delirio, o nel migliore dei casi di egocentrismo, si parlava all'epoca di Berlusconi, lo stesso si fa oggi per Renzi.

L'accumulazione che è una funzione del soggetto ma di tipo simbolico è scambiata con l'accezione di bene materiale.

Il marxismo va reinterpretato alla luce dei cambiamenti storici, come giustamente anche tu annoti a fine discussione.

Ma non il suo carattere psicologico, ossia le cause scatenanti dei fenomeni dell'economia.

Se vi deve essere gestione dei beni (Come vorrebbe la radice greca della parola stessa oikos) vi deve essere prima gestione del rapporto fra soggetto e struttura.

Se prima il rapporto era fra operaio e fabbrica, e si risolveva nella grande stagione dei diritti sul e del lavoro.

Oggi questo rapporto è saltato.

Quando lavoro in un call center o nelle amministrazioni statali, ossia nel mondo del terziario, la produzione non è più reale.

Ma rimane simbolica. Da quello che ho iniziato a leggere, mi pare che Marx fosse conscio di questa differenza.

Dunque la produzione simbolica che produce surplus, se una volta era fisica, che ne sò, una macchina, oggi è per lo più finanziaria, che ne so per esempio una casa. Se il valore prima dipendeva dalla domanda offerta, oggi più che mai è invece apprezzabile la qualità, ossia il valore di una merce.

La dipendenza della prima ondata, quella delle macchine, è oggi quella degli smartphone.
E dei loro valori aggiuntivi, come le app.

Se da un lato dunque vi è un differenza radicale, tra mondo produttivo industriale e mondo del marketing.(celebre è la polemica tra il capo della cgil e il ceo della fiat, che ribadisce come la macchina oggi sia solo una questione di marchio, di griffe).

Dall'altra non vi è differenza nelle complesse, ma benissimo indagabili, forme di assoggetamento al desiderio di accumulo.

La critica della sinsitra al capitalismo, come destinalmente fallimentare, perchè le risorse sono limitate, non ha ancora capito che la ricchezza del capitalismo è proprio nell'apparato simbolico umano, in grado di moltiplicare i suoi desideri ad libitum, all'infinito.
Pensiamo solo al marketing sulle opere di fantasia.
La fantasia ha un limite? Io non credo proprio: basta fare una ricerca per "unicorno" su google per capire quanto questo fenomeno stia ormai debordando: egli non ha fine, poichè gli unicorni sono infiniti!


Ora una politica che pretende che il capitalismo sia finito, è esattamente il motivo per cui la politica di sinistra è morta e sepolta.

I problemi da affrontare sono a monte: ossia come superare il feticismo.

Essendo il feticismo un prodotto della società che divide, il suo antidoto è naturalmente la comunità, il cui compito sarebbe quello di unire.

Sopratutto in Italia abbiamo visto invece come la sinistra si sia sbriciolata in mille pezzetti.

Non è solo questione storica, ma è anche una conseguenza del problema non affrotato psicologico a monte.
E su cui Engels sprona a pensare i marxisti della sua epoca, ma potremmo dire di tutte le epoche, a tornare a Marx!

Il profondo abisso che separa il marxismo da marx è d'altronde uno dei molti temi a sinistra che ogni tanto salta fuori, per poi ripiombare nel silenzio rassegnato, di chi vuole risultati immediati, senza sguardi a lunga gittata.

Poichè il tema psicologico che si unisce al politico ha un nome ben noto a tutti: ideologia, sarebbe il caso di nuovo a tornare a parlare della ideologia e del suo potere egemonico.

Perchè da quel che mi pare di capire, siamo fermi agli anni 70......

(certo mi rimane da indagare come mai ci si è fermati a quegli anni).
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 22 Aprile 2018, 09:39:39 AM
Citazione di: green demetr il 10 Aprile 2018, 08:16:10 AM

Il punto focale dell'analisi marxista sta a monte il funzionomaneto strutturale del capitale.




Un'imprenditore che conosco (fra l'altro titolare di una grande azienda di rilievo nazionale), molto intelligente,
una volta mi raccontò che alle riunioni di Confindustria cui spesso partecipa fece un intervento nel quale in
sostanza disse: ma come si fa a far crescere sempre il PIL? Io mangio tre volte al giorno, devo forse
crepare di indigestione per farlo crescere?
Nessuno, aggiunse, rispose al suo intervento, solo qualche risatina...
Mi sembra significativo, no? E nessuno in verità poteva rispondere, visto che quella era la pura e semplice
verità (come del bambino che grida: "il re è nudo!"), cui non può esservi risposta "sensata" senza che questa
faccia cadere tutta l'impalcatura ideologica (e che ideologia grossolana poi...).
Dunque sì, dicevo che il capitalismo ha bisogno di espandersi, sempre. Per cui, tanto per riprendere l'aneddoto,
chi soffre di colesterolo alto, ipertensione, diabete e altri malanni dovuti ad un eccesso di cibo DEVE SEMPRE
E COMUNQUE mangiare. Ma anzi, direi che più importante è quanto si mangia OGGI, al momento (per cui un affamato
che mangia al momento molto è "capitalisticamente" più efficiente di un grassone che, già sazio, mangia meno di lui).
Non sfugga, insomma, che per il sistema capitalistico è più importante l'andamento del PIL che non l'accumulo (tanto
che un paese come il nostro, con una grande propensione al risparmio ma un PIL basso, non viene ritenuto, appunto,
capitalisticamente efficiente).
A mio parere, questo succede proprio perchè la caratteristica primaria del capitalismo è, più dell'accumulo,
l'espansione.
Per il capitalismo, che la produzione sia "reale" o meno non ha nessuna importanza (importante è che si registri
sempre e comunque un plusvalore - ed esso si registra sempre e solo nell'espansione).
Dunque terrei innanzitutto fermo questo punto dell'espansione, che certo Marx intuì ma che forse troppo subordinò
al principio di accumulo.
A tal proposito, "storicizzare" Marx potrebbe, ad esempio, voler dire rileggere le sue (fondamentali) tesi alla
luce di quanto affermò Schumpeter in "Capitalismo, socialismo e democrazia" già negli anni 40 del 900 (opera
nella quale si analizza la trasformazione dell'economia "fordista" e l'avvento, di fatto, della finanza come
evoluzione strutturale dell'ecomonia di mercato).
Discorso lungo, ma estremamente interessante.
saluti
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: green demetr il 22 Aprile 2018, 13:10:19 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 22 Aprile 2018, 09:39:39 AM
Citazione di: green demetr il 10 Aprile 2018, 08:16:10 AM

Il punto focale dell'analisi marxista sta a monte il funzionomaneto strutturale del capitale.




Un'imprenditore che conosco (fra l'altro titolare di una grande azienda di rilievo nazionale), molto intelligente,
una volta mi raccontò che alle riunioni di Confindustria cui spesso partecipa fece un intervento nel quale in
sostanza disse: ma come si fa a far crescere sempre il PIL? Io mangio tre volte al giorno, devo forse
crepare di indigestione per farlo crescere?
Nessuno, aggiunse, rispose al suo intervento, solo qualche risatina...
Mi sembra significativo, no? E nessuno in verità poteva rispondere, visto che quella era la pura e semplice
verità (come del bambino che grida: "il re è nudo!"), cui non può esservi risposta "sensata" senza che questa
faccia cadere tutta l'impalcatura ideologica (e che ideologia grossolana poi...).
Dunque sì, dicevo che il capitalismo ha bisogno di espandersi, sempre. Per cui, tanto per riprendere l'aneddoto,
chi soffre di colesterolo alto, ipertensione, diabete e altri malanni dovuti ad un eccesso di cibo DEVE SEMPRE
E COMUNQUE mangiare. Ma anzi, direi che più importante è quanto si mangia OGGI, al momento (per cui un affamato
che mangia al momento molto è "capitalisticamente" più efficiente di un grassone che, già sazio, mangia meno di lui).
Non sfugga, insomma, che per il sistema capitalistico è più importante l'andamento del PIL che non l'accumulo (tanto
che un paese come il nostro, con una grande propensione al risparmio ma un PIL basso, non viene ritenuto, appunto,
capitalisticamente efficiente).
A mio parere, questo succede proprio perchè la caratteristica primaria del capitalismo è, più dell'accumulo,
l'espansione.
Per il capitalismo, che la produzione sia "reale" o meno non ha nessuna importanza (importante è che si registri
sempre e comunque un plusvalore - ed esso si registra sempre e solo nell'espansione).
Dunque terrei innanzitutto fermo questo punto dell'espansione, che certo Marx intuì ma che forse troppo subordinò
al principio di accumulo.
A tal proposito, "storicizzare" Marx potrebbe, ad esempio, voler dire rileggere le sue (fondamentali) tesi alla
luce di quanto affermò Schumpeter in "Capitalismo, socialismo e democrazia" già negli anni 40 del 900 (opera
nella quale si analizza la trasformazione dell'economia "fordista" e l'avvento, di fatto, della finanza come
evoluzione strutturale dell'ecomonia di mercato).
Discorso lungo, ma estremamente interessante.
saluti

Il mattone di Schumpeter è sugli scaffali in attesa di essere letto  ::)

Certo l'espansione è l'effetto inevitabile della bulimia di accumulo, in termini psicologici è esattamente la nevrosi occidentale.
Tutti corrono, si affrettano, si indaffarano.....Ma per far che????
E' per dare spazio al peso dell'immondizia simbolica di cui si caricano.
Dati, numeri, oggett.....e poi ci si chiede cosa succede ai nostri giovani incantenati agli smartphone... ;D

Dunque anche l'espansione è spiegabile come forma di nevrosi.
Anzi è l'effettiva psicosi, la schizo-frenia, la corsa isterica al colasso della schisi di se stessi.
Ossia la presa di distanza dal mondo degli affetti.
Titolo: Re:Perchè non posso più dirmi "di sinistra".
Inserito da: 0xdeadbeef il 22 Aprile 2018, 14:44:13 PM
Beh, direi che l'espansione (anzi: la necessità del capitalismo all'espansione) è frutto non di meccanismi psicologici,
ma piuttosto economici.
Ormai diversi anni fa, a seguito del "crack" della Parmalat, a Calisto Tanzi fu posta la seguente domanda: "ma lei,
invece di cercare strade impervie e rischiose, perchè non è rimasto il lattaio di Parma?"
Così rispose Tanzi: "vede, questo sistema economico non ti consente di stare fermo".
E il punto è esattamente questo, ben analizzato già da Schumpeter (che tutto era fuorchè di sinistra...) ormai una
settantina di anni fa.
L'azienda "fordista" si trasforma in SpA (in ciò appoggiandosi ed aprendosi al capitale bancario) per meglio reggere
la competitività; perchè all'interno dell'economia capitalistica una azienda grande assorbe NECESSARIAMENTE una azienda
più piccola che produce la stessa merce (legge delle "economie di scala").
Questo è il motivo per cui, dicevi, il ceo della FIAT afferma che la "macchina", oggi, è solo una questione di brand, di
griffe: perchè è solo attraverso la diversificazione del prodotto finale che una azienda piccola può salvarsi dal
meccanismo perverso della legge delle economie di scala.
La domanda è però sul "quanto"; sul "fin dove"; la diversificazione del prodotto finale può consentire all'azienda più
piccola di sopravvivere (soprattutto nel momento in cui i trattati commerciali internazionali sempre meno consentono
questa, chiamiamola, "ancora di salvataggio"). Sicuramente la tendenza, necessaria, all'espansione è da tenere ben in
considerazione laddove si considerino i "grandi numeri" di una economia globale (ad esempio quando si parla di gas,
di acciaio, di petrolio o di strumenti finanziari).
Per realizzare un "plusvalore" maggiore (dunque per realizzare una forma capitalistica efficiente) occorre quindi essere
grandi e grossi, oppure agire in una cosiddetta "nicchia di mercato" (il brand di cui dicevo); oppure ancora agire in
mercati "protetti" (pensiamo solo al settore dei servizi essenziali); ma siamo, in quest'ultimo caso, già fuori da una
forma capitalistica efficiente.
La cosa fondamentale da capire è che in un regime di mercato "libero" o si è grandi e grossi (naturalmente I PIU' grandi
e grossi...) o si devono trovare nicchie di mercato in cui il "valore aggiunto" compensi un costo marginale necessariamente
più alto (sempre per la legge delle economie di scala). Ma si tratta, ripeto, di volumi produttivi relativi, non tali da
modificare sostanzialmente la "legge" che vuole il pesce piccolo mangiato dal grande.
saluti