Perchè non posso più dirmi "di sinistra".

Aperto da 0xdeadbeef, 01 Marzo 2018, 20:16:29 PM

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Socrate78

Io invece non sono mai stato di "sinistra", perché dovrei esserlo? Non comprendo poi perché si ritenga che chi è di sinistra sia dalla parte del bene, della giustizia, e chi è dalla parte opposta voglia solo sostenere i privilegi dei potenti a prescindere da tutto. Io ritengo che la cultura della sinistra sia contro la libertà dell'individuo: il comunismo è stata tra le peggiori disgrazia dell'umanità, sì, ha prodotto solo tirannia, deportazioni, riduzione della libertà individuale ed economica del singolo, in nome di un'uguaglianza imposta che è solo tirannia. Nessuno, e sottolineo nessuno, deve dirmi quanta ricchezza devo possedere, e i comunisti non facevano altro in Russia che deportare nei gulag i contadini più benestanti (i kulaki), senza tener conto del fatto che la ricchezza produce altra ricchezza, ed è follia rendere tutti più uguali facendo patire loro la fame. Non solo, la rivoluzione bolscevica era stata favorita dai gruppi di banchieri, era funzionale agli interessi capitalistici se non lo sapete.
Il valore dell'uguaglianza è qualcosa di assolutamente contrario alla libertà: infatti quando lo Stato decide di stabilire un'uguaglianza dall'alto, esso non fa altro che dare limiti e paletti all'intelligenza dell'individuo. Conta e deve contare solo il merito.

paul11

Citazione di: Socrate78 il 07 Marzo 2018, 20:43:09 PM
Io invece non sono mai stato di "sinistra", perché dovrei esserlo? Non comprendo poi perché si ritenga che chi è di sinistra sia dalla parte del bene, della giustizia, e chi è dalla parte opposta voglia solo sostenere i privilegi dei potenti a prescindere da tutto. Io ritengo che la cultura della sinistra sia contro la libertà dell'individuo: il comunismo è stata tra le peggiori disgrazia dell'umanità, sì, ha prodotto solo tirannia, deportazioni, riduzione della libertà individuale ed economica del singolo, in nome di un'uguaglianza imposta che è solo tirannia. Nessuno, e sottolineo nessuno, deve dirmi quanta ricchezza devo possedere, e i comunisti non facevano altro in Russia che deportare nei gulag i contadini più benestanti (i kulaki), senza tener conto del fatto che la ricchezza produce altra ricchezza, ed è follia rendere tutti più uguali facendo patire loro la fame. Non solo, la rivoluzione bolscevica era stata favorita dai gruppi di banchieri, era funzionale agli interessi capitalistici se non lo sapete.
Il valore dell'uguaglianza è qualcosa di assolutamente contrario alla libertà: infatti quando lo Stato decide di stabilire un'uguaglianza dall'alto, esso non fa altro che dare limiti e paletti all'intelligenza dell'individuo. Conta e deve contare solo il merito.
ciao Socrate(mi verrebbe da dire che sono Platone :D),
ritengo che si possa essere di destra nobile come di sinistra nobile quando sono chiari i valori le argomentazioni in primis culturali.Oggi nemmeno la destra ha qualità culturali, i giochi di potere partitici hanno fatto fuggire chi poteva e avrebbe voluto suggerire un minimo di cultura, riflessione.
Storicamente già in Grecia importanti filosofi erano contro la democrazia ad esempio e contro l'uguaglianza. e per il merito.
Mi va bene, personalmente ed è ribadisco nobile di pensiero e degna di essere tenuta in considerazione se relaziona il concetto sociale economico con la legge politica, insomma sarebbe da dire come i valori, i principi generali che fondano una comunità diventano diritto pubblico, diritto privato senza creare quella diseguaglianza tale per cui la tolleranza fra le classi mantenga unita ancora la comunità. In fondo le pensioni, gli assegni famigliari per i i figli, furono creati in Italia dalla destra sociale e non dalla sinistra. quindi per quanto mi riguarda l'importante è alzare il livello qualitativo del pensare e fare politica,rispettando i pensieri altrui.Questo è il tempo dell'ascolto per poter riflettere e ripensare la politica.Pensatori seri di destra e sinistra storicamente ve ne sono stati parecchi

Phil

@Lou
Il senso del mio intervento va a nozze con la tua prospettiva. Per me, la globalizzazione complica e diversifica più di quanto unifichi o disperda. Con un esempio banale direi che la globalizzazione è come avere nella mia città ristoranti indiani, cinesi e kebabbari che magari mandano parte dei soldi guadagnati in patria. Ciò non comporta che la cucina italiana sparisca o che in tutto il mondo si mangi allo stesso modo; nasce invece la possibilità (non la necessità) di meticciare la cucina italiana, creando nuovi menù.
Per quanto riguarda il flusso economico che non rimane in Italia e viaggia verso paesi esteri, è da valutare anche il percorso inverso, ovvero che i ristoranti italiani all'estero possono inviare qui parte del loro ricavo. Certamente i temi economici della globalizzazione sono molteplici e delicati, non voglio banalizzare troppo.

@Oxdeadbeef
Tornando in topic (non volevo deviare il discorso sulla globalizzazione decontestualizzandola dal tema che avevi proposto), se per globalizzazione intendiamo
Citazione di: 0xdeadbeef il 07 Marzo 2018, 20:05:27 PM
la globalizzazione è il processo per cui il "mercato" tende sempre più a diventare potere politico.
mi viene in mente, per quel poco che so, che la politica è andata sempre a braccetto con il "mercato": oltre alla supremazia militare, il potere politico si (auto)legittima anche economicamente.
Le azioni di un popolo per ottenere risorse da sfruttare economicamente, scandiscono la storia politica dell'uomo, basti pensare alle rotte pioneristiche degli esploratori (Marco Polo, Colombo e compagnia... e non intendo solo "compagnia delle Indie"), ai colonialismi-imperialismi vari (fino all'"esportazione della democrazia"), hanno sempre viaggiato sulle due "ali" dell'economia e della politica.
La globalizzazione è forse solo una questione di unità di misura (il globo), ma se definita come "politica mercatocratica" mi pare sia da sempre un movente cardine delle dinamiche inter-culturali (ovvero fra culture, popoli, stati e nazioni).

Citazione di: 0xdeadbeef il 07 Marzo 2018, 20:05:27 PM
Se nella democrazia (tanto per restare al nostro caso), i rapporti di forza sono stabiliti "ab-solutum" (cioè vi sono
leggi valide per tutti), nel mercato i rapporti di forza sono necessariamente subordinati al "contratto" fra privati
individui, per cui la parte contraente "forte" (ad es. una multinazionale) predomina su quella "debole" (un precario).
Questo vuol semplicemente dire che nella globalizzazione i diritti dei deboli vengono necessariamente subordinati alla
"compassione" (o, come quasi sempre, alla prepotenza) della parte contraente forte.
Una "comunità plurale" o "globalizzata", con differenti legami culturali radicati fuori dal suolo della patria, non è necessariamente in difficoltà nella difesa del debole sul suo territorio, dove vigono comunque leggi statali. Se tali leggi tutelano e aiutano il debole (sussidi, risorse varie, assistenza, etc.) la dimensione globalizzata della comunità e del mercato a cui partecipa, non intralcia affatto tale funzione di sostegno sociale.
Il che non significa certo che il precario possa vantare un ruolo di concorrenza alle multinazionali: il singolo soccombe sempre, anche il singolo più "forte" (economicamente e politicamente) è tale in virtù di accordi (più o meno formalizzati), relazioni delicate e vincolanti. Il mito dell'individualismo vincente (made in usa) si schianta proprio contro la ragnatela di relazioni di potere del mercato globale: il singolo è "di facciata", ha ruolo mediatico per una folla che ama la figura del leader, ma il singolo che splende in copertina riceve la luce da cento altri singoli, magari meno appariscenti, ma che fondano il potere di cui quel singolo è solo il "logo umano", il simbolo di marketing che trascende tutta la piramide che lo eleva. Attualmente "individuo di successo" è una contraddizione in termini, proprio per la complessità della struttura sociale, politica ed economica (nel microcosmo delle città-stato della Grecia era certo più facile che il singolo si guadagnasse il successo "individualmente").

Sicuramente c'è un legame fra leggi di mercato (basate sul dinamismo ben spiegato da paul11) e leggi politiche, ma non sono sicuro che i diritti dei deboli siano politicamente, legislativamente, "travolti"(cit.) di diritto da quelli strettamente economici (almeno dalle nostre parti). Certamente, di fatto, nessuno ama recitare il ruolo del debole e non è una consolazione avere qualche legge di tutela; eppure dare per scontate quelle leggi sarebbe, secondo me, una leggerezza esistenziale... (forse sono solo troppo ottimista).


@Socrate78
Anch'io non sono di sinistra (né di destra, né altro), ma trovo sia un interessante "esercizio ermeneutico" cercare di affrontare la questione della "inattualità della sinistra" posta da Oxdeadbeef, cercando di guardarla dall'interno (nei limiti del possibile), ovvero fermandosi un passo prima dall'impantanarsi nella questione "veritativa" dei giudizi di valore (è giusto/sbagliato, è vero/falso, è bene/male, etc.).

paul11

#33
c'è da fare chiarezza su un punto storico fondamentale.
La storia dei diritti sociali vine addirittura dall'Ottocento con lotte.nessuno o rari casi, ha volutamnte lasciato parte del proprio potere a vantaggio della parte più debole dandogli un diritto e un diritto se è legge diventa inalienabile e inviolabile.

E' quì che storicamente ha vinto il "progresso sociale" riformista che ha incanalato nei parlamenti degli Stati occidentali lotte e malcontenti concedendo diritti sociali. Oggi se c'è assistenza, previdenza, quello che è stato definito stato del benessere o welfare state è sicuramente un progresso nella storia umana sociale,Casi di morti di fame o di malsanità sono da telegiornali tanto sono eccezioni e non ordinarietà.Questo è un fatto ed è frutto sia di destra che sinistra  sociale.
Il rapporto conflittuale è sempre stato fra economia e politica, la prima del privato nello scambio economico che genera un valore aggiunto ,un surplus e la politica che sceglie a seconda del governo di sinistra o destra di generare una ridistribuzione attraverso la fiscalità da riversare nella previdenza, assistenza, sanità, scuola pubblica.Il ruolo quindi dello stato è regolatore della differenza economica per pacificare il conflitto sociale, mantenerlo nelle regole della tolleranza democratica.
Keynes diceva che lo stato sociale costruito dallo Stato era come un aumento di stipendio/salario, essendo gratuito o quasi.

Da qualche anno assistiamo al dissesto dello stato sociale, del welfare, e le sinistre di tutti i Paesi avanzati sono sparite, proprio nel momento in cui la globalizzazione ha accentuato il suo passo. E' accaduto, per farla breve che lo Stato ha tolto un poco o tanto delle risorse economiche nel welfare sociale e si è messo a fare welfare alle multinazioali e al potere finanziario delle banche.In questa logica sono caduti anche i governi di sinistra e non intendo solo in Italia,perchè il problema è internazionale e la cultura è internazionale .Il ruolo compensativo dello Stato sulle discrepanze, differenze economiche di reddito che era appannaggio dei programmi politiici della sinistra(salvaguardia dell'occupazione, più investimenti =più lavoro,ecc) è saltato.
Le leve del potere centrale degli Stati nell'Europa è passato ai commissari europei e al governatore della banca centrale europea.
Abbiamo visto tutti la sinistra direi radicale in Grecia doversi piegare alle volontà della centrale Europa ricattata dalla manovra economica imposta dal Fondo Monetario Internazionale e dalla BCE. Lo Stato singolo ha perso potere e adatto che la sinistra ha sempre avuto il ruolo sociale nel pragmatismo riformista, di regolare gli scompensi dei redditi privati, da allora non ha più quella indipendenza di governo, la sua manovra è molto più limitata per cui il suo pensiero politico storico entra in contraddizione con il potere economico della deregolazione dei diritti che impone il capitale internazionale, in quanto è il mercato(lo disse Monti quando la prima notizia dei telegiornali che per mesi ci tempestò sullo "spread" differenziale fra gli investitori del nostro debito in rapporto a quello tedesco.Il nostro destino era in mano agli investitori internazionali,mentre la Fornero racimolava risparmio sul diritto pensionistico dei lavoratori con un Parlamento silente al "colpo di Stato".

Qualche tempo fa collegai le date dei Trattati europei con i governi italiani di allora e l'accoglimento di qesuti dentro la legiìslaizone italiana.
Sono responsabili tutti i tipi di governo, dalla sinistra alla destra al centro, da Andreotti, Ciampi, Prodi a quelli di poc'anzi , con
Lega, pdi di D'alema.E' quì che la politica ha scavato la sua fossa.La crisi della sinistra è solo la punta dell'iceberg della crisi della politica in rapporto alla configurazione economica globale che ha mutato sociologicamente le condizioni sociali.
La prima condizione è la ripresa dell'autonomia e indipendenza dello Stato come leva del governo sul potere economico, diversamente è finita davvero la politica e stiamo andando verso qualcosa d'altro come i cinque stelle stanno dimostrando, privi di un programma sociale e di una cultura sociale storica. Voglio vederli confrontarsi con i poteri centrali europei che fra poco tuoneranno sui soliti indici e le speculazioni finanziarie degli avvoltoi che non tarderanno ad arrivare.,così come la coalizione di centro destra con il programma della lega in testa...........

baylham

Citazione di: paul11 il 08 Marzo 2018, 00:18:37 AM
Qualche tempo fa collegai le date dei Trattati europei con i governi italiani di allora e l'accoglimento di qesuti dentro la legiìslaizone italiana.
Sono responsabili tutti i tipi di governo, dalla sinistra alla destra al centro, da Andreotti, Ciampi, Prodi a quelli di poc'anzi , con
Lega, pdi di D'alema.E' quì che la politica ha scavato la sua fossa.La crisi della sinistra è solo la punta dell'iceberg della crisi della politica in rapporto alla configurazione economica globale che ha mutato sociologicamente le condizioni sociali.
La prima condizione è la ripresa dell'autonomia e indipendenza dello Stato come leva del governo sul potere economico, diversamente è finita davvero la politica e stiamo andando verso qualcosa d'altro come i cinque stelle stanno dimostrando, privi di un programma sociale e di una cultura sociale storica. Voglio vederli confrontarsi con i poteri centrali europei che fra poco tuoneranno sui soliti indici e le speculazioni finanziarie degli avvoltoi che non tarderanno ad arrivare.,così come la coalizione di centro destra con il programma della lega in testa...........

La prima condizione per ridare forza alla politica non è il nazionalismo, ma l'internazionalismo, come Marx aveva ben capito già nell'Ottocento: se il livello economico è globale anche la politica deve essere globale.  Le politiche sociali la Sinistra le deve proporre a livello europeo o mondiale per essere un minimo credibili.

L'europeismo perciò non ha scavato la fossa alla politica, ha fatto il contrario, ha colto la giusta dimensione della politica.

InVerno

Citazione di: Lou il 07 Marzo 2018, 17:56:08 PM
La discussione si è assai sviluppata, io mi chiedo se sia possibile considerare che il fronte globalizzazione non implichi di per sè la idea di uniformizazzione e omogeneità di "visioni" e annichilimento delle differenze, ma possa anche essere considerato quale latore della idea di pluralità, esagerando - di "comunità plurale". Forse perchè non sono del tutto convinta che la comunità sia necessariamente legata all' essere omogenei.
Penso che la comunità sia necessariamente legata ad un certo grado di omogeneità, per quanto mi riguarda per esempio è assolutamente impensabile fare una comunità Europea senza una lingua franca (il che nella migliore delle ipotesi prospetta un ulteriore travaglio di 30-40 anni alla sinistra, prima di avere una nazione europea). Penso tuttavia sia possibile salvaguardare le pluralità attraverso il federalismo, ma la problematica centrale del federalismo è il territorio, l'idea di città, lo sviluppo concreto di micro-comunità, quel collettivismo anticapitalista che pare non trovare alcun tipo di ombrello ove ripararsi e che si vorrebbe instaurare su un territorio sviluppato in maniera centralista.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

0xdeadbeef

Citazione di: Phil il 07 Marzo 2018, 22:27:57 PM

mi viene in mente, per quel poco che so, che la politica è andata sempre a braccetto con il "mercato": oltre alla supremazia militare, il potere politico si (auto)legittima anche economicamente.
Le azioni di un popolo per ottenere risorse da sfruttare economicamente, scandiscono la storia politica dell'uomo, basti pensare alle rotte pioneristiche degli esploratori (Marco Polo, Colombo e compagnia... e non intendo solo "compagnia delle Indie"), ai colonialismi-imperialismi vari (fino all'"esportazione della democrazia"), hanno sempre viaggiato sulle due "ali" dell'economia e della politica.
La globalizzazione è forse solo una questione di unità di misura (il globo), ma se definita come "politica mercatocratica" mi pare sia da sempre un movente cardine delle dinamiche inter-culturali (ovvero fra culture, popoli, stati e nazioni).


Una "comunità plurale" o "globalizzata", con differenti legami culturali radicati fuori dal suolo della patria, non è necessariamente in difficoltà nella difesa del debole sul suo territorio,




Nel precedente post, avevo definito la globalizzazione come il processo per cui il mercato tende sempre più a diventare
potere politico.
In realtà, come dicevo nel poscritto, rilegggendo quel post mi ero accorto di aver omesso una parte importante, e cioè
quella per cui il mercato necessita di una espansione continua (la qual cosa, evidentemente, porta alla globalizzazione).
Dunque correggo così la definizione: la globalizzazione è la dimensione massima dell'espansione del mercato (che tende
sempre più a diventare potere politico).
Che il mercato tenda sempre più a diventare potere politico mi sembra palese.
Da dove viene la perdità di sovranità degli stati di cui tanto si parla se non da un potere economico che gli stati ormai
sovrasta? Di esempi ve ne sono a bizzeffe; dal caso della Grecia alle continue ingerenze della tecnocrazia di Bruxelles
verso i nostri governi, come si suol dire, "democraticamente eletti" (laddove la suddetta tecnocrazia non lo è affatto,
ma è appunto espressione della "tecnica" mercatistica).
Che poi questa "tecnica mercatistica" non favorisca la parte contraente forte su quella debole è una affermazione che
mi lascia sbigottito (probabilmente devo inforcare un buon paio di occhiali quando vado a leggere certi dati sulla
povertà che avanza, visto che allora ci vedo male...).
La politica non è andata "sempre" a braccetto con il mercato. Se proprio devo individuare un periodo storico che somiglia,
sotto questo aspetto, alla contemporaneità direi proprio il Rinascimento; periodo in cui, e non certo per caso, il
potere politico fu preso dai mercanti e dai banchieri.
Intendiamoci, il potere politico non ha mai disdegnato la ricchezza (e ci ha spesso "flirtato"...), ma un conto è un
potere politico che regola (e magari sfrutta anche) la ricchezza; un altro è un potere politico che DALLA ricchezza è
deposto (come deposti furono i Comuni italiani medievali dal mercante (poi "signore") rinascimentale, e come tutto
sommato deposto fu il governo Berlusconi dagli omologhi "signori" della tecnocrazia europea e dei mercati finanziari
mondiali).
Ma, dicevo, bisogna spendere qualche parola sulla globalizzazione come dimensione massima dell'espansione del mercato.
Personalmente (ma non sono certo il solo...), definisco "mercatismo" la dimensione quasi "ontologica" che ormai hanno
assunto l'economia e le sue "leggi". Una dimensione che sta spazzando via ogni altro "potere" ad esse concorrente.
Per una fondamentale legge economica (detta "di scala"), vi è una intima relazione fra la dimensione e la produzione
di un impianto aziendale e la sua capacità di diminuire il costo medio unitario di produzione.
In parole povere (ma già quelle lo sono assai...), più una azienda è grande minore è il costo della merce
che essa produce (con grande beneficio della competitività, ovviamente).
Questo è, in radice, il motivo per cui al mercato stanno stretti i confini nazionali (e questo è anche il motivo per
cui l'economia si è "trasferita" dal piccolo reale al più grande virtuale...).
Non è certo per caso che la globalizzazione così come la intendiamo ha una precisa data di nascita. Nel 1989 infatti, a
"muro" non ancora crollato, R.Reagan e M.Thatcher firmarono la celebre intesa sulla libera circolazione di capitale,
cui presto seguirono le aziende "fisiche" (nel 92 nella sola città rumena di Timisoara vi erano 5000 aziende italiane)
e, da ultime, le persone.
saluti

Phil

Citazione di: 0xdeadbeef il 08 Marzo 2018, 20:27:41 PM
Che poi questa "tecnica mercatistica" non favorisca la parte contraente forte su quella debole è una affermazione che
mi lascia sbigottito (probabilmente devo inforcare un buon paio di occhiali quando vado a leggere certi dati sulla
povertà che avanza, visto che allora ci vedo male...).
A scanso di equivoci, chiarisco che con:
Citazione di: Phil il 07 Marzo 2018, 22:27:57 PM
Una "comunità plurale" o "globalizzata" [...] non è necessariamente in difficoltà nella difesa del debole sul suo territorio, dove vigono comunque leggi statali. Se tali leggi tutelano e aiutano il debole (sussidi, risorse varie, assistenza, etc.) la dimensione globalizzata della comunità e del mercato a cui partecipa, non intralcia affatto tale funzione di sostegno sociale.
[...]
Sicuramente c'è un legame fra leggi di mercato [...] e leggi politiche, ma non sono sicuro che i diritti dei deboli siano politicamente, legislativamente, "travolti"(cit.) di diritto da quelli strettamente economici (almeno dalle nostre parti).
non intendevo affatto che la povertà non stia avanzando (non conosco i dati, mi fido senza esitazione di te :) ), quanto piuttosto che sul piano politico, oggi la debolezza economica non è anche necessariamente una debolezza di diritti, una mancanza di difesa del debole (l'aspetto che hai individuato come perno fondamentale del discorso).
Chiedo: lo stato sociale di oggi è meno "accudente" di quello dei rampanti anni ottanta, soprattutto al netto della differenza di andamento economico ("boom vs crisi")?

Bisognerebbe forse fare una "fenomenologia della debolezza", distinguendo accuratamente il piano politico da quello economico, non perché i due non siano intrecciati (indubbiamente!), ma perché talvolta l'economia opprime ma il welfare decomprime, o almeno ci prova (fino a un secolo fa, il debole era oppresso in entrambi i settori, economia e diritti-sussidi, ora la debolezza economica va ripensata nel contesto democratico vigente). In questo senso scrivevo che il paradigma di sinistra "classico" va rivisitato nel cuore delle sue categorie, figlie di un'epoca differente (e, sempre a scanso di equivoci, non dico fosse un'epoca migliore o peggiore: nessuna teleologia storicistico-metafisica  ;) ).

InVerno

Citazione di: 0xdeadbeef il 08 Marzo 2018, 20:27:41 PMPer una fondamentale legge economica (detta "di scala"), vi è una intima relazione fra la dimensione e la produzione
di un impianto aziendale e la sua capacità di diminuire il costo medio unitario di produzione.
E' proprio il prezzo marginale, azzerato lentamente dalla digitalizzazione, a mettere in atto quell'esaurimento del sistema. Leggendo però Socrate (l'utente) che contrappone una sinistra egalitaria e classista, ad una destra libertaria e meritocratica, mi rendo conto di una contraddizione. La forza politica che ragiona per classi orizzontali, ad oggi, è la destra. Non la destra riformista (o centralista) e neoliberista che bene o male sta seguendo lo stesso andamento della controparte, ma quella destra nazionalista (in europa "lepenista") che sta invece guadagnando terreno, spaventando proprio quel capitale che riconosce nelle pastoie nazionali una iattura "antimeritocratica". Se tanto mi da tanto, quando Benoist descriveva il fascismo come "un socialismo senza materialismo e internazionalismo" , Socrate e noi dovremmo ben ponderare le analisi. E' inutile comunque paventare spauracchi "fascisti", esistono esempi ben più gentili di queste transizioni politiche, come accadde in America a cavallo dell'ultimo secolo dove partito Repubblicano e Democratico si scambiarono  diametralmente di posizione ruotando intorno all'idea della dimensione dello stato, tensione che poi terminerà nel New Deal, da parte di quella forza politica che trentanni prima predicava turboanarcocapitalismo.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

green demetr

Citazione di: paul11 il 07 Marzo 2018, 19:23:33 PM
Il mercato "odia" la stagnazione e l'uniformazione.,Vige la teoria fisica  idraulica ed elettrica, differenze di potenziale, differenze di volumi, di livelli diversi, affinchè si renda dinamico, "si muova" il mercato speculativo.

....Ma è chiaro che le culture tendono a difendersi, i quartieri cinesi, marocchini, africani, sono difese di identità culturali, baluardi verso l'esterno.E' del tutto normale questa forma di resistenza.La storia degli ebrei e delle loro comunità "chiuse"fino al ghetto  è un esempio millenario.


Concordo con tutto quanto hai detto finora.

Il punto è che il mercato non è una specie di entità fantasma.

Il mercato è il desiderio feticista della gente.

Il problema non è tanto gestirlo, quanto sorpassarlo. Credo che in fondo di questo si occupi Marx quando prova l'ipotesi della abolizione della proprietà privata.

Ora non mi sembra che l'ipotesi della fine della storia di Marx-Hegel, sia cosa carina da dirsi.

Che facciamo aspettiamo che la gente si dissolva da sè? Ma intanto dissolve il Mondo, come spesso piace dire a Sgiombo.


Certo che fin quando pensiamo al mercato come entità a se stante...non siamo certo nemmeno sul tavolo della discussione politica.
Poi se la socialdemocrazia mette a capo Macron in Francia, e ora il capo dell'ILVA in Italia....non saprei.

In Francia ha funzionato...ma in ITALIA la vedo dura.

Periodo complicato per le menti grige che vogliono vendere fumo.....

E comunque il problema intellettuale rimane, cosa fare?
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: Lou il 07 Marzo 2018, 17:56:08 PM
La discussione si è assai sviluppata, io mi chiedo se sia possibile considerare che il fronte globalizzazione non implichi di per sè la idea di uniformizazzione e omogeneità di "visioni" e annichilimento delle differenze, ma possa anche essere considerato quale latore della idea di pluralità, esagerando - di "comunità plurale". Forse perchè non sono del tutto convinta che la comunità sia necessariamente legata all' essere omogenei.

Ti pare che in Arabia la pensino come noi???

No la tua preoccupazione è eccessiva.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: Phil il 07 Marzo 2018, 17:36:58 PM
P.s.
In fondo, anche "proletari di tutto il mondo unitevi" voleva essere una forma di globalizzazione metaculturale, no? ;D


Ma globalizzazione è intesa infatti del mercato, non delle nazioni.

A mio parere l'internazionalismo è ancora molto importante.

Ma il dibattito pubblico, che seguo tramite Zizek, è alquanto modesto, e legato alle poltrone.

Per esempio il problema della immigrazione è noto da moltissimo tempo.

Ma quei pochi intellettuali di sinistra che hanno spinto ad affrontarlo sono stati tacciati di filo-capitalismo....

In realtà è solo che non volevano affrontare un tema tabù che normalmente era nella faretra della ideologia di sinistra. Per mantenere la poltrona.

Li fai fessi una, due tre volte, alla quarta la sinsitra è sparita  repentinamente in tutta europa!!!

E non vedo proprio come possa ricostituirsi...sono fermi agli anni 70. Concordo con Paul....

Figurati se si mettono lì a ragionare (e a recuperare 50 anni di critiche scomode, e riconsiderarle poi....ma sai che affronto!)....fa da sfigato!....meglio diventare altra cosa....ossia populisti migliori degli altri.....

Che la giostra cominci.....io i pop corn li ho già presi  ;D

temo che finirò alla scheda bianca...o comincerò a votare partiti sotto il 3%.

Oddio ad oggi non ne vedo nemmeno uno...ma non si sa mai.  ;)   (è pur vero che non li conosco tutti).
Vai avanti tu che mi vien da ridere

anthonyi

Citazione di: paul11 il 08 Marzo 2018, 00:18:37 AM

E' quì che storicamente ha vinto il "progresso sociale" riformista che ha incanalato nei parlamenti degli Stati occidentali lotte e malcontenti concedendo diritti sociali. Oggi se c'è assistenza, previdenza, quello che è stato definito stato del benessere o welfare state è sicuramente un progresso nella storia umana sociale,Casi di morti di fame o di malsanità sono da telegiornali tanto sono eccezioni e non ordinarietà.Questo è un fatto ed è frutto sia di destra che sinistra  sociale.
Il rapporto conflittuale è sempre stato fra economia e politica, la prima del privato nello scambio economico che genera un valore aggiunto ,un surplus e la politica che sceglie a seconda del governo di sinistra o destra di generare una ridistribuzione attraverso la fiscalità da riversare nella previdenza, assistenza, sanità, scuola pubblica.Il ruolo quindi dello stato è regolatore della differenza economica per pacificare il conflitto sociale, mantenerlo nelle regole della tolleranza democratica.
Keynes diceva che lo stato sociale costruito dallo Stato era come un aumento di stipendio/salario, essendo gratuito o quasi.

Da qualche anno assistiamo al dissesto dello stato sociale, del welfare, e le sinistre di tutti i Paesi avanzati sono sparite, proprio nel momento in cui la globalizzazione ha accentuato il suo passo. E' accaduto, per farla breve che lo Stato ha tolto un poco o tanto delle risorse economiche nel welfare sociale e si è messo a fare welfare alle multinazioali e al potere finanziario delle banche.In questa logica sono caduti anche i governi di sinistra e non intendo solo in Italia,perchè il problema è internazionale e la cultura è internazionale .Il ruolo compensativo dello Stato sulle discrepanze, differenze economiche di reddito che era appannaggio dei programmi politiici della sinistra(salvaguardia dell'occupazione, più investimenti =più lavoro,ecc) è saltato.
Le leve del potere centrale degli Stati nell'Europa è passato ai commissari europei e al governatore della banca centrale europea.

Mi sembra che alla base del tuo ragionamento ci sia l'idea che il welfare sia un prodotto dell'azione politica, mentre invece la prima precondizione del welfare è la crescita economica, se non ci sono risorse il welfare non può essere finanziato. Purtroppo un certo pensiero di sinistra è capace solo di riflettere sulle dimensioni delle fette di torta e non capisce che prima di fare le fette bisogna fare la torta. Ci sono evoluzioni della sinistra più liberali che invece lo hanno capito ed è per questo che dedicano la loro attenzione alle multinazionali (ma anche alle industrie nazionali) e alle banche, e lo fanno per creare/mantenere quelle condizioni di crescita economica che altrimenti non ci sarebbero. Purtroppo questo non lo hanno capito tanti cittadini del nostro paese che preferiscono credere alle sirene di illusorie maxi-torte alle quali abbuffarsi che non si capisce bene chi preparerà.

0xdeadbeef

Citazione di: Phil il 08 Marzo 2018, 21:37:03 PM
non intendevo affatto che la povertà non stia avanzando (non conosco i dati, mi fido senza esitazione di te :) ), quanto piuttosto che sul piano politico, oggi la debolezza economica non è anche necessariamente una debolezza di diritti, una mancanza di difesa del debole (l'aspetto che hai individuato come perno fondamentale del discorso).
Chiedo: lo stato sociale di oggi è meno "accudente" di quello dei rampanti anni ottanta, soprattutto al netto della differenza di andamento economico ("boom vs crisi")?

Bisognerebbe forse fare una "fenomenologia della debolezza", distinguendo accuratamente il piano politico da quello economico, non perché i due non siano intrecciati (indubbiamente!), ma perché talvolta l'economia opprime ma il welfare decomprime, o almeno ci prova (fino a un secolo fa, il debole era oppresso in entrambi i settori, economia e diritti-sussidi, ora la debolezza economica va ripensata nel contesto democratico vigente). In questo senso scrivevo che il paradigma di sinistra "classico" va rivisitato nel cuore delle sue categorie, figlie di un'epoca differente (e, sempre a scanso di equivoci, non dico fosse un'epoca migliore o peggiore: nessuna teleologia storicistico-metafisica  ;) ).



Innanzitutto devo scusarmi, caro Phil, di aver usato espressioni non proprio "felici" (come quella degli occhiali...).
Così come di aver espresso delle tesi in maniera non chiarissima (me ne accorgo solo adesso rileggendo il mio post).
A mia parziale scusante, diciamo che avevo avuto una giornata piuttosto pesante (tanto dovevo,anche perchè capisco di
trovarmi davanti una persona estremamente gentile ed educata, e che quindi merita altrettanto riguardo).
Quello che io sostengo è che se lo stato va sempre più obliandosi, necessariamente anche le sue leggi seguono il medesimo
destino.
Ogni cosa, e lo vediamo quotidianamente, è sempre più regolata non da "leggi", ma da "contratti" (il compianto e valente
giurista Guido Rossi, ad esempio, già qualche anno fa sosteneva che di fatto il Codice Fallimentare risultava privatizzato).
Direi, anzi, che la stessa "legge" è sempre più intesa come "contratto", laddove sempre più si giudica non dell'"in sè"
normativo, ma della privata convenienza o meno di ripettare quell'"in sè".
Guarda, tanto per fare un esempio davvero "classico", alla miriade di contratti di lavoro sorti negli ultimi anni. Si è
sempre meno rispettato un contratto nazionale unico di categoria (che non è certo "legge" ma che ad una legge è, tutto
sommato, molto somigliante) per dare sempre più spazio a contratti detti "di secondo livello", o aziendali, ove non
addirittura personali, visto che di fatto nulla impedisce più alle aziende di applicare contratti personalizzati.
Tutto questo ha forse portato benefici ai lavoratori (che, in questo caso specifico, rappresentano i "deboli")?
Sicuramente negli anni 80 lo stato sociale era ben più "accudente" di quello di oggi.
Questo è dovuto, naturalmente, a vari motivi. Forse oggi quel modello non è riproponibile, ma non c'è a mio parere
dubbio che tutto ciò sia dovuto "anche" ad una redistribuzione sempre meno equa della ricchezza prodotta (certi
squilibri non sono dovuti a nessuna "crisi", ma rispondono a criteri "meritocratici" che sempre meno tengono conto
delle condizioni di vera ed autentica sofferenza delle classi meno abbienti - e che sono, in ultima analisi, i criteri
introdotti dalla forma-mentis mercatistica).
Mi pare piuttosto che da certe tue considerazioni emerga una distinzione fra i cosiddetti "diritti civili" e quelli
detti "sociali".
A mio modo di vedere, il "diritto" è sempre e solo stabilito dall'autorità statuale; e lo distinguerei dalla "libertà"
così come da sempre intesa nel mondo anglosassone (la libertà preesiste all'autorità statuale, che deve solo rispettare
la sua originarietà). Ma non intendo divagare ed andare a parare in un campo che poco c'entra con quello di cui stiamo
discutendo.
Al "mercato" poco importa dei diritti "civili" (secondo il mio paradigma parlerei comunque di "libertà civili"...).
Al mercato interessa solo ed esclusivamente che il "diritto sociale" non vada ad intaccare i principi su cui si regge
la sua impalcatura ideologica (spacciata spudoratamente per scienza economica).
Al mercato interessa che ogni cosa sia soggetta ad esso stesso. Per cui non può esistere un contratto nazionale unico
(tanto per restare al nostro esempio) stabilito da due parti contraenti "ufficiali" (ad es. Confindustria e il Sindacato)
che rappresentano la pluralità delle parti contraenti; ma tale pluralità deve poter esplicarsi "privatamente", cioè senza
nessuna rappresentanza "collettiva".
Questo perchè il Mercato è, in ultima analisi, l'antitesi di qualsivoglia "entità collettiva" (e l'entità collettiva è,
come vado dicendo lungo tutto questo post, l'unico rimedio al suo strapotere).
saluti

Lou

#44
Citazione di: green demetr il 09 Marzo 2018, 02:55:34 AM
Citazione di: Lou il 07 Marzo 2018, 17:56:08 PM
La discussione si è assai sviluppata, io mi chiedo se sia possibile considerare che il fronte globalizzazione non implichi di per sè la idea di uniformizazzione e omogeneità di "visioni" e annichilimento delle differenze, ma possa anche essere considerato quale latore della idea di pluralità, esagerando - di "comunità plurale". Forse perchè non sono del tutto convinta che la comunità sia necessariamente legata all' essere omogenei.

Ti pare che in Arabia la pensino come noi???

No la tua preoccupazione è eccessiva.
Più che una preoccupazione era un intervento, a suo modo espressione di una nota in disaccordo con alcune altre posizioni espresse.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

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