Perchè non posso più dirmi "di sinistra".

Aperto da 0xdeadbeef, 01 Marzo 2018, 20:16:29 PM

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0xdeadbeef

Dopo anni (anzi, ahimè dopo decenni...) passati nella militanza attiva in partiti della sinistra (cosidetta "estrema"), e dopo qualche anno di
riflessione "sabbatica", sono arrivato alla conclusione di non potermi più dire "di sinistra".
Sono ancora dalla parte dei più deboli, delle categorie più svantaggiate, degli operai, dei precari, dei pensionati al minimo etc. Il mio "problema",
se così vogliamo chiamarlo, è che non vedo più, nel frastagliato ed ormai ridotto ai minimi termini arcipelago della sinistra, nessuno in grado di
prendere le difese di suddette categorie.
Ma la faccenda è, per me, molto ma molto più grave, visto che sono arrivato a pensare che le suddette categorie non siano più difendibili con la
stessa teoria politica della sinistra: la sinistra, in altre parole, ha per me fallito "storicamente".
Non sto tanto parlando della situazione politica della sinistra nella stretta attualità (che è miserevole a dir poco); sto parlando della stessa
impalcatura "marxiana" della sinistra storica, che nell'attualità sta dimostrandosi totalmente avulsa dalle dinamiche sociali ed economiche in atto.
Il tentativo di Marx (che fino a prova contraria è stato l'unico pensatore "serio" in tutta la storia della sinistra...) di arginare il già montante
individualismo cercando di "surrogare" l'entità collettiva ideologica chiamata "popolo" con la medesima entità collettiva (ma materiale) chiamata
"classe" è fallito laddove il vincolo culturale della tradizione; della religione e financo del "sangue" si è mostrato ben più forte del vincolo
materiale ipotizzato da Marx.
Ciò che è fallita è, in altre parole, la costruzione di una "coscienza di classe"; ma questo, lungi dall'essere un particolare di poco conto, vuol
dire che è fallita la stessa sinistra che sul pensiero di Marx si è fondata.
Non meravigli, dunque, che oggi la sinistra si barcameni fra i liberisti del Partito Democratico (i quali, perlomeno, hanno almeno il buon gusto di
rifiutare l'etichetta di "partito di sinistra"); i liberali di Piero Grasso, ormai totalmente impegnati nella difesa delle libertà classiche dell'
individualismo di matrice anglosassone, e vari gruppuscoli insignificanti nel momento in cui mancano totalmente di una qualsiasi, e seppur debolissima,
analisi del reale (e Marx proprio sull'analisi del reale fondò tutta la sua teoria).
A parer mio, chi come ha coltivato e condiviso quelle tesi e quei valori si deve arrendere al seguente argomento: per opporsi efficacemente all'
individualismo mercatistico oggi dominante ci si deve rivolgere a quella entità collettiva chiamata "popolo".
Fuori dall'entità collettiva chiamata "popolo", vi può essere solo l'individuo, e quindi quel "contrattualismo" che dei rapporti fra gli individui è
la forma più efficace: vi può cioè essere solo il Mercato, ovvero l'odierna ed estrema forma che il capitalismo classico ha assunto.
Si rende dunque necessaria una ripresa "identitaria"; una ripresa del concetto di "nazione"; perchè quel "diritto" che, solo, può arginare il Mercato
e tutelare le classi svantaggiate, può sorgere solo ed esclusivamente all'interno di una entità collettiva culturalmente omogenea.
saluti

Phil

Non sono pratico di filosofia politica, e ancor meno del panorama politico attuale, tuttavia mi è capitato più di una volta di ascoltare persone, decennalmente "di sinistra", dichiarare con sinistro disappunto di non riconoscersi più totalmente in quell'ideologia, di sentirsi un po' più disincantati (e disimpegnati) nei confronti dalla fervente ambizione di rivoluzionare la società secondo quelle categorie. 
Ciò rappresenta, secondo me, un duplice sintomo: un cambiamento personale di prospettiva (quasi inevitabile, per una mente attiva, con il passare dei decenni) e la presa di coscienza del mutamento della società (e delle sue strutture) a cui si vorrebbe applicare un paradigma comunque figlio di altri tempi (forse gli ideali non scadono, ma le ideologie direi di si...).
Magari gli obiettivi e i valori di queste persone sono rimasti (circa) gli stessi, ma le modalità con cui sperano di realizzarli sono mutati (assecondando il duplice mutamento, individuale e della società), per cui il "programma" marxista li vede meno fiduciosi e coinvolti, talvolta persino "eretici"  ;D
Non voglio dire che si tratta di un mutamento "fisiologico" per chi è stato animato in gioventù dall'utopia comunista ("utopia" non è dispregiativo, ovviamente :) ), tuttavia suppongo non sia solo una questione di non potersi riconoscere in un partito attuale: parlare oggi di "borghesia" o "proletariato" (e forse persino di "classe") significa rischiare di essere inattuali, sganciati dalle dinamiche socio-economiche in atto; distacco anacronistico che infatti riconosci quando osservi che
Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Marzo 2018, 20:16:29 PMSi rende dunque necessaria una ripresa "identitaria"; una ripresa del concetto di "nazione"; perchè quel "diritto" che, solo, può arginare il Mercato e tutelare le classi svantaggiate, può sorgere solo ed esclusivamente all'interno di una entità collettiva culturalmente omogenea.
uno scenario in cui europa, multiculturalismo e globalizzazione (ovvero il mondo occidentale in cui viviamo, volenti o nolenti) dovrebbero riavvolgere la bobina della propria storia (che li ha affermati sul palcoscenico dell'umanità), per riportare la situazione ad almeno mezzo secolo fa, quando non c'erano dubbi su quale fosse il "vangelo di sinistra", e la sua promessa di un mondo migliore era ritenuta da molti attendibile.


P.s.
A scanso di equivoci, ribadisco che non ho posizione politica (poiché non me ne sono mai interessato), propongo questa osservazione senza voler quindi insinuare che la prospettiva di sinistra sia fallimentare o che il multiculturalismo sia un bene o che un ritorno alle nazioni in senso "forte" sarebbe un male (o sia impossibile). Il cambio di paradigma è quello che trovo interessante (per come lo intravvedo anche fra le righe del post di Oxdeadbeef), nella fattispecie la difficoltà di "aggiornare" l'ideologia di sinistra, che porta alcuni suoi (ex?)sostenitori alla posizione espressa dal titolo del post (essendo ignorante di politica, non mi interessano dunque tanto i giudizi di valore: giusto, sbagliato, etc. quanto piuttosto cercare di decifrarne le dinamiche "filosofiche").

Lou

Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Marzo 2018, 20:16:29 PM
Dopo anni (anzi, ahimè dopo decenni...) passati nella militanza attiva in partiti della sinistra (cosidetta "estrema"), e dopo qualche anno di
riflessione "sabbatica", sono arrivato alla conclusione di non potermi più dire "di sinistra".
Sono ancora dalla parte dei più deboli, delle categorie più svantaggiate, degli operai, dei precari, dei pensionati al minimo etc. Il mio "problema",
se così vogliamo chiamarlo, è che non vedo più, nel frastagliato ed ormai ridotto ai minimi termini arcipelago della sinistra, nessuno in grado di
prendere le difese di suddette categorie.
Ma la faccenda è, per me, molto ma molto più grave, visto che sono arrivato a pensare che le suddette categorie non siano più difendibili con la
stessa teoria politica della sinistra: la sinistra, in altre parole, ha per me fallito "storicamente".
Non sto tanto parlando della situazione politica della sinistra nella stretta attualità (che è miserevole a dir poco); sto parlando della stessa
impalcatura "marxiana" della sinistra storica, che nell'attualità sta dimostrandosi totalmente avulsa dalle dinamiche sociali ed economiche in atto.
Il tentativo di Marx (che fino a prova contraria è stato l'unico pensatore "serio" in tutta la storia della sinistra...) di arginare il già montante
individualismo cercando di "surrogare" l'entità collettiva ideologica chiamata "popolo" con la medesima entità collettiva (ma materiale) chiamata
"classe" è fallito laddove il vincolo culturale della tradizione; della religione e financo del "sangue" si è mostrato ben più forte del vincolo
materiale ipotizzato da Marx.
Ciò che è fallita è, in altre parole, la costruzione di una "coscienza di classe"; ma questo, lungi dall'essere un particolare di poco conto, vuol
dire che è fallita la stessa sinistra che sul pensiero di Marx si è fondata.
Non meravigli, dunque, che oggi la sinistra si barcameni fra i liberisti del Partito Democratico (i quali, perlomeno, hanno almeno il buon gusto di
rifiutare l'etichetta di "partito di sinistra"); i liberali di Piero Grasso, ormai totalmente impegnati nella difesa delle libertà classiche dell'
individualismo di matrice anglosassone, e vari gruppuscoli insignificanti nel momento in cui mancano totalmente di una qualsiasi, e seppur debolissima,
analisi del reale (e Marx proprio sull'analisi del reale fondò tutta la sua teoria).
A parer mio, chi come ha coltivato e condiviso quelle tesi e quei valori si deve arrendere al seguente argomento: per opporsi efficacemente all'
individualismo mercatistico oggi dominante ci si deve rivolgere a quella entità collettiva chiamata "popolo".
Fuori dall'entità collettiva chiamata "popolo", vi può essere solo l'individuo, e quindi quel "contrattualismo" che dei rapporti fra gli individui è
la forma più efficace: vi può cioè essere solo il Mercato, ovvero l'odierna ed estrema forma che il capitalismo classico ha assunto.
Si rende dunque necessaria una ripresa "identitaria"; una ripresa del concetto di "nazione"; perchè quel "diritto" che, solo, può arginare il Mercato
e tutelare le classi svantaggiate, può sorgere solo ed esclusivamente all'interno di una entità collettiva culturalmente omogenea.
saluti
Una domanda, la idea di sovranità nazionale come può essere situata in questo discorso?
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

0xdeadbeef

Ciao Phil, e grazie per avermi risposto.
Per me (per la mia pratica discorsiva, direbbero i semiologi), non si tratta di "riavvolgere la bobina della storia". Ritengo, anzi,
che coloro che vedono la storia come una marcia incessante nella quale non vi è mai un "ritorno" abbiano, in ultima istanza (direbbe
Marx...), una visione della storia orientata ad un finalismo di chiaro stampo metafisico.
No, credo che la storia offra sempre e solo "eterni ritorni" (anche se, chiaro, mai nelle stesse identiche modalità).
Da questo punto di vista, io vedo la contemporaneità come uno scontro fra l'individuo e l'entità collettiva (con il primo che,
almeno per il momento, risulta vincitore), ove con questo secondo termine io intendo "qualsiasi" entità collettiva; sia essa un
partito politico, un sindacato, uno stato, una religione.
L'individuo porta necessariamente al "mercato", cioè allo strumento più efficace nel dirimerne le controversie con gli altri
individui. Con l'emergere dell'individuo, è ineludibile che il Mercato (lo scrivo in maiuscolo in quanto per me esso ha assunto
una vera e propria portata ontologica) vada a riempire sempre più ogni spazio che prima era deputato all'entità collettiva.
Per cui non fa meraviglia che, letteralmente, vadano scomparendo i partiti politici (sostituiti da una sempre maggiore
personalizzazione della politica); i sindacati; gli stati; persino le religioni (il declino della religione è dovuto, a parer mio,
più all'emergere dell'individuo che non ad una supposta e tutta da dimostrare de-sacralizzazione).
In questo quadro, che ho molto sommariamente e molto semplicisticamente tracciato, la MIA entità collettiva, la "classe", ha
mostrato gravissimi limiti di attuabilità politica, sovrastata da altre entità collettive, quali appunto la nazione, il popolo,
etc.
Marx capi' perfettamente che un "diritto" (inteso come corpus normativo) può sorgere solo ed esclusivamente all'interno di un
gruppo socialmente omogeneo (tant'è che promosse la "dittatura del proletariato"), ma tutto questo è rimasto solo nelle
intenzioni e nella teoria, visto che già con Lenin (poi, macroscopicamente, con Stalin) cominciò ad emergere il "popolo"; la
"patria"; con tutto quel corollario di categorie filosofico-politiche che più estranee al marxismo non potrebbero essere...
Oggi come ieri e più che mai, il "diritto" può sorgere solamente all'interno di una entità collettiva. E, abbiamo visto, la
sola entità collettiva possibile è lo "stato", che si fonda sul popolo e sulle sue tradizioni culturali e religiose (dunque
non sulla "classe", che io avevo invece reputato possibile).
Dunque è per realismo politico che io ho deciso di guardare con simpatia a quelle forze che si rifanno all'identità culturale
e che vengono dette "populiste" (e dico questo pur non condividendone affatto moltissimi aspetti).
La sola alternativa possibile è stare dalla parte delle forze che sostengono il Mercato e il contrattualismo spinto che ne è
a fondamento; cosa che per me non è neanche pensabile.
saluti

anthonyi

Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Marzo 2018, 20:16:29 PM
Dopo anni (anzi, ahimè dopo decenni...) passati nella militanza attiva in partiti della sinistra (cosidetta "estrema"), e dopo qualche anno di
riflessione "sabbatica", sono arrivato alla conclusione di non potermi più dire "di sinistra".
Sono ancora dalla parte dei più deboli, delle categorie più svantaggiate, degli operai, dei precari, dei pensionati al minimo etc. Il mio "problema",
se così vogliamo chiamarlo, è che non vedo più, nel frastagliato ed ormai ridotto ai minimi termini arcipelago della sinistra, nessuno in grado di
prendere le difese di suddette categorie.
Ma la faccenda è, per me, molto ma molto più grave, visto che sono arrivato a pensare che le suddette categorie non siano più difendibili con la
stessa teoria politica della sinistra: la sinistra, in altre parole, ha per me fallito "storicamente".
Non sto tanto parlando della situazione politica della sinistra nella stretta attualità (che è miserevole a dir poco); sto parlando della stessa
impalcatura "marxiana" della sinistra storica, che nell'attualità sta dimostrandosi totalmente avulsa dalle dinamiche sociali ed economiche in atto.
Il tentativo di Marx (che fino a prova contraria è stato l'unico pensatore "serio" in tutta la storia della sinistra...) di arginare il già montante
individualismo cercando di "surrogare" l'entità collettiva ideologica chiamata "popolo" con la medesima entità collettiva (ma materiale) chiamata
"classe" è fallito laddove il vincolo culturale della tradizione; della religione e financo del "sangue" si è mostrato ben più forte del vincolo
materiale ipotizzato da Marx.
Ciò che è fallita è, in altre parole, la costruzione di una "coscienza di classe"; ma questo, lungi dall'essere un particolare di poco conto, vuol
dire che è fallita la stessa sinistra che sul pensiero di Marx si è fondata.
Non meravigli, dunque, che oggi la sinistra si barcameni fra i liberisti del Partito Democratico (i quali, perlomeno, hanno almeno il buon gusto di
rifiutare l'etichetta di "partito di sinistra"); i liberali di Piero Grasso, ormai totalmente impegnati nella difesa delle libertà classiche dell'
individualismo di matrice anglosassone, e vari gruppuscoli insignificanti nel momento in cui mancano totalmente di una qualsiasi, e seppur debolissima,
analisi del reale (e Marx proprio sull'analisi del reale fondò tutta la sua teoria).
A parer mio, chi come ha coltivato e condiviso quelle tesi e quei valori si deve arrendere al seguente argomento: per opporsi efficacemente all'
individualismo mercatistico oggi dominante ci si deve rivolgere a quella entità collettiva chiamata "popolo".
Fuori dall'entità collettiva chiamata "popolo", vi può essere solo l'individuo, e quindi quel "contrattualismo" che dei rapporti fra gli individui è
la forma più efficace: vi può cioè essere solo il Mercato, ovvero l'odierna ed estrema forma che il capitalismo classico ha assunto.
Si rende dunque necessaria una ripresa "identitaria"; una ripresa del concetto di "nazione"; perchè quel "diritto" che, solo, può arginare il Mercato
e tutelare le classi svantaggiate, può sorgere solo ed esclusivamente all'interno di una entità collettiva culturalmente omogenea.
saluti

L'errore che fai, a mio parere, è quello di far coincidere l'idea di sinistra con il marxismo. Il marxismo è una versione del pensiero di sinistra, una versione che si è purtroppo rivelata fallimentare sia in termini di organizzazione economica, sia di previsioni storiche e sociali. Anche il pensiero liberale nasce nell'ambito della cultura di sinistra, cioè si pone nei termini di una progettazione moderna della società e del sistema economico, in contrasto a visioni tradizionali che lo caratterizzavano. Il pensiero liberale, per correttezza concettuale, non è liberismo, nel nostro paese la sola forza politica che può dirsi liberista è la lega, tutte le altre in realtà non lo sono e meno che mai lo è il PD. Certo il PD non è più marxista, ma non si può dire che non sia più di sinistra, tutte le politiche fatte in questi anni sono state indirizzate ad incrementare i diritti concreti (Non quelli formali scritti sullo statuto e lontani dalla realtà) dei lavoratori disincentivando le forme di lavoro meno gerantite e incrementando i posti di lavoro pur in presenza di crescite economiche non stratosferiche.

viator

Salve. Per Oxdeadbeef: Complimenti per la tua chiarezza di idee. Se ripenso alla caduta dell'utopia marxista mi commuovo quasi nel trovare che tale evento avrà generato il crollo di un intero mondo interiore in moltissimi. Carriere, sacrifici, esaltazioni che si sono rivelate infruttuose. Per alcuni è stato addirittura il crollo di una vera e propria religione e/o ragione di vita.
Io sono sempre stato antimarxista. Figuriamoci poi il mio atteggiamento verso il cosiddetto "socialismo reale".
Marx è stato comunque un genio. Un genio a suo modo ingenuo, come accade per tutti gli idealisti.
Vedi, il problema che rende fallimentari idealismi ed ideologie (ti assicuro che accadrà ancora in futuro) è che esse consitono in un processo di ripiegamento dell'uomo su sè stesso. L'uomo è parte della natura ma, da quando ha acquisito la coscienza, non può far altro che cercare egoisticamente di contrapporsi ad essa. Naturalmente, non potendo eliminare quegli aspetti della natura che non lo soddisfano, finisce per far finta che non esistano o che possano venir isolati dall'esistenza umana. Li trascura, prendendo appunto a ripiegarsi su visioni e progetti esclusivamente umani. Giusto. Deve pensare anzitutto a sè e dovrà farlo cercando di correggere le "ingiustizie", gli "errori", le "imperfezioni" della natura che all'uomo stesso "non fanno comodo".
l'idealista Marx, dotato di sensibilità ed intelligenza, si è impegnato nell'immaginare una costruzione umana di impronta egualitaria (tanti altri ancora lo hanno fatto e lo faranno). Nel farlo, non si è curato di indagare sul perchè il mondo naturale odii profondamente l'eguaglianza. Ha creduto che bastasse la buona volontà (o il sangue?) di molti per costruire - in tempi umani - una società di eguali che potesse funzionare e prosperare in barba ai meccanismi naturali che, nel nome della diversificazione (in ambito fisico la diversificazione è l'entropia dell'Universo, in quello chimico è la tendenza alla creazione dei composti, in quello biologico è la moltiplicazione ed evoluzione delle specie, in campo sociale è la strutturazione delle gerarchie, in campo economico è il capitalismo.....!!!)....nel nome della diversificazione, dicevo, odia l'uniformità, l'eguagliana, gli schemi precostruibili...... e naturalmente per l'uomo questa sarebbe l'ingiustizia del mondo. Praticamente l'uomo accusa la natura di non essere come lui la vorrebbe !!
Saprai certo benissimo perchè l'egualitarismo marxista e marxiano (ed il suo grottesco spettro del socialismo reale) si è afflosciato dal punto di vista pratico-strategico. La colpa è stata di quel tenero, commovente, idealistico motto : "A ciascuno secondo i suoi bisogni; da ciascuno secondo le proprie capacità".
Questa è semplicemente la formula dell'inefficienza produttiva. L'animo umano (che forse, grazie ai sacrifici degli idealisti, cambierà nel corso delle prossime 40-50.000 generazioni) una volta che venga inserito all'interno di una costruzione collettiva, purtroppo è portato a considerare l'assolvimento dei bisogni un diritto, e l'eventuale capacità un merito che vada remunerato con degli extra (diversamente quale mai incentivo avrebbe per lavorare di più? - qualcuno crede ancora nel mito di Stakanov?).
Ed è così che il capitalismo, il quale non è un'utopia, non è idealistico, non è un'ideologia ma semplicemente un gran calderone efficientistico, può continuare a macinare le nostre esistenze. Perchè esso è semplicemente l'incarnazione umana di principi naturali antichissimi e potentissimi ai quali l'uomo può certo cercare di opporsi........facendolo però da consapevole della dimensione delle forze in gioco e dei  tempi - tutt'altro che umani - che dovrà affrontare.
E' per questo che io sono per il socialismo cautamente riformistico.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

iano

Ciao oxdeadbeef
un nickname più facile no ,eh...😄
Io mi sono trovato ad essere di sinistra in quanto di famiglia numerosa.Il classico proletario.
Una dozzina di fratelli la famiglia dei nonni.
Sei o sette quella dei padri.
Quattro la mia ,definibile ancora proletaria , e via così a regredire.
Non sono mai stato molto di sinistra , ma col tempo lo sono diventato sempre più, man mano che gli altri abbandonavano 😀.Anche qui una questione di numeri più che altro.
A quanto pare sono rimasto uno degli ultimi comunisti senza mai esserlo stato veramente.
L' individualismo in se' non è un male , anzi.
Ma a dire il vero di individualisti ne vedo pochi in giro.
Se esistessero davvero dovrei vedere persone diverse una dall'altra che fanno ognuna cose diverse . cose che esse ritengono sia il bene per loro.
Magari fosse così.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

0xdeadbeef

Grazie a tutti voi delle gentili ed interessanti risposte.
Chiaramente, l'idea di sovranità nazionale è centrale in questo discorso. Bisogna poi vedere se ancora plausibile è
l'idea di "nazione" così come essa si è venuta a determinare nei secoli passati; plausibile è però certamente l'idea
di sovranità politica; una sovranità che "deve" (...) riprendere il suo posto di guida e di determinazione dei fini
cui l'economia (che, fino a prova contraria, è lo studio dei mezzi più efficaci per raggiungere uno scopo politicamente
dato) è chiamata a condurre.
In altre parole, trovo necessario che sia di nuovo la politica a determinare l'economia, non il contrario come sta adesso
invece verificandosi.
Per passare ad altro, non sono molto d'accordo con l'amico Anthony laddove egli squalifica Marx (non parlerei di "marxismo",
che è stata l'applicazione politica e, soprattutto, "totalitaria" del pensiero di Marx) a "versione del pensiero di sinistra".
A parer mio, Marx è stato l'unico grande pensatore della sinistra; una sinistra che, semmai, non ha mai saputo "storicizzarlo",
e sviluppare le sue teorie alla luce dei mutamenti nell'economia e nella società.
Dico "storicizzarlo" proprio per evidenziare particolarmente un aspetto del pensiero di Marx che gli epigoni non hanno
compreso. Egli parlò infatti del materialismo definendolo come "storico", mentre i successori troppo spesso hanno inteso
la teoria marxiana come "scientifica", arrivando in tal modo a risultati concreti davvero sconcertanti.
A tal proposito, devo dire che certe teorie politiche di Marx sono state davvero molto discutibili. La sua statura di politico
non avvicinava neppure da lontano quella da economista; campo nel quale è stato, ritengo, davvero geniale.
Quindi lasciamo perdere, ad esempio, la "dittatura del proletariato" quale fase transitoria verso il "paradiso" rappresentato
dall'anarchismo assoluto del comunismo, e concentriamoci sul Marx economista.
La domanda che dovremmo porci ritengo sia sostanzialmente questa: può una teoria autenticamente di sinistra fare a meno della
devastante critica che Marx ha portato al capitalismo (una critica, per certi versi, ancora inconfutata)?
A parer mio non lo può, naturalmente a meno di perdere ogni sua caratterizzazione "di sinistra"...
In realtà qualcuno ci ha provato, e molto seriamente. Ad esempio Anthony Giddens, padre del "blairismo", nella fondamentale
opera: "Capitalismo e teoria sociale".
In essa (che fra l'altro consiglio caldamente a chi voglia veramente capire cosa e come la sinistra contemporanea sia diventata
quello che è), l'acuto pensatore inglese individua proprio in quel "a ciascuno secondo i suoi bisogni; da ciascuno secondo le sue
capacità" l'essenza del problema (come anche l'amico Viator sottolinea).
La risposta di Giddens è radicale: la sinistra contemporanea deve rigettare quel principio ed abbracciare il "merito" individuale.
Senonchè, quell'abbraccio è stato, per così dire, "mortale". Ed ha portato la sinistra europea intera ad assumere posizioni
politiche ancor più liberali (e dunque liberiste, perchè il liberismo altro non è se non la "libertà" declinata economicamente)
di quelle della destra.
Si poteva fare diversamente? Forse sì, ed il "come" farlo mi sembra di poterlo individuare proprio nel concetto di "identità"; di
"popolo" e dunque di sovranità politica.
Ma la sinistra non ha proprio "visto" questa strada, ritenendo (e, intendiamoci, non completamente a torto) quelle categorie
come patrimonio ed esclusiva della "destra storica".
Dunque miopia politica ed estremismo concettuale non hanno permesso alla sinistra di poter individuare una via d'uscita diversa.
Questa è, seppur in estrema sintesi, la mia opinione.
saluti

anthonyi

Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Marzo 2018, 11:58:37 AM
non sono molto d'accordo con l'amico Anthony laddove egli squalifica Marx (non parlerei di "marxismo",
che è stata l'applicazione politica e, soprattutto, "totalitaria" del pensiero di Marx) a "versione del pensiero di sinistra".
saluti

Lasciando perdere il pensiero di Marx, il punto centrale è la crisi del pensiero socialista e il fatto che visioni di stampo liberale si innestano nel pensiero di sinistra sostituendosi al primo.

Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Marzo 2018, 11:58:37 AM
La sua statura di politico
non avvicinava neppure da lontano quella da economista; campo nel quale è stato, ritengo, davvero geniale.
saluti

Io invece reputo certamente  Marx un grande pensatore sociale (Nel rapporto struttura-sovrastruttura c'è una chiave di sintesi fondamentale della realtà sociale) ma un pessimo economista il cui pensiero ha profondamente confuso l'analisi del sistema economico.

InVerno

Penso che il buon Marx possa mettersi l'anima in pace, il capitalismo sta finendo (o sta mutando radicalmente) in maniera enteogena, per esaurimento. Per il resto penso che la radicalità del pensiero di Marx non possa tradursi nell'azione parlamentare, vecchio argomento forse, ma da rivalutare di fronte a questo tipo di delusione. Alla sinistra è cresciuta la barba, sono diventati professori di quelle università che occupavano, si inseriscono nella definizione di Marx "comitato d'affari della borghesia" con tutte e due le scarpe, come è normale che sia.. Per di più, visto che si parla di liberismo, nella sinistra attuale c'è una puzza insopportabile di pedagogismo, troppa voglia di insegnare, poca di imparare.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Jacopus

Condivido molte delle affermazioni di Ox, salvo l'esito, ovvero credere nei valori di nazione e popolo come unici antidoti alle leggi di mercato. Anche questo è un film già visto, che ha portato solo dolore e violenza.
Non ho ricette da offrire in cambio se non quella di augurarmi che i "timonieri" si rendano conto che il capitalismo non può proseguire ancora per molto in questo modo. La globalizzazione ha reso molto più difficile una crisi, perché la rete che avvolge l'intero sistema economico è capace di ammortizzare in un luogo la crisi che si svolge in un altro, salva la possibilità che una crisi globale come non ne abbiamo mai viste spazzi via l'intero sistema sociale in atto.
L'ho già detto altrove, il capitalismo si trova nella condizione di non avere concorrenti, e questo è una contraddizione in termini, che sta già provocando un cambiamento di mentalità: da un lato chi crede di essere "teologicamente" dalla parte del giusto e chi cerca di rovesciare il sistema.
Menti lungimiranti e competenti ne vedo poche e più cresce il bisogno di competenza e lungimiranza, piu' si è avvolti da una cultura del pressapochismo, dello scaricabarile e del capro espiatorio.
La sinistra, più che da pedagogismo, come dice Inverno, è affetta, a mio parere, da assenza di "ideali collettivi". Si "campicchia" come direbbe Totò, avendo sempre in primo piano il conto corrente bancario.
Una sinistra inoltre, che in assenza di un vero e consistente strato sociale "liberale", come esistono in molti altri paesi europei, si è sempre lasciata tentare dalla possibilità di tenere il piede in due staffe, dando luogo ad uno dei tanti esempi di "trasformismo" politico.
La frammentazione del quadro politico è non solo il derivato di una cultura tipicamente "per bande" dell'italiano medio, ma anche il risultato di una frammentazione della società, senza la possibilità di risalire a quei valori unificatori  e universalistici del passato, religione, stato in primo luogo.
Restano le ricette infantili del voto via web, il richiamo del proprio campanile e la proiezione della responsabilità verso soggetti o non responsabili (immigrati) o solo parzialmente responsabili (politici).
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

0xdeadbeef

Non c'è alcun dubbio, tanto per rispondere ad Anthony, che nella crisi del pensiero socialista vi sia il fatto che visioni di
stampo liberale si innestino nel pensiero di sinistra sostituendosi al primo.
A questo mi riferivo appunto nella citazione del saggio di Giddens, dove egli propone (mi pare fosse il 1971, ma non vorrei dire
castronerie) la sostituzione dell'egualitarismo con il merito individuale.
Senonchè, ripeto, quella sostituzione (avvenuta fra l'altro acriticamente) è stata "mortale" per la sinistra, che da quel
momento in poi ha cessato di essere tale.
Si poteva fare diversamente? Beh, sulla base di quanto vado dicendo si poteva forse assumere il merito individuale in maniera
diversa, "attenuandolo" con lo strumento del controllo statuale, cioè senza rimmettersi in tutto e per tutto al Mercato.
Questo sarà anche un film già visto, come afferma Jacopus, ma abbondantemente già visto è anche il film dell'assenza del potere
statuale e dell'avvento degli appetiti individualistici (fin dai tempi sumero-accadici, figuriamoci - quindi già conosciamo il
possibile finale...).
Che invece, su quella base, possano sorgere (ma sono già sorte) nuove forme di nazionalismo e xenofobia è un problema che ammetto
reale.
Ma è anche per questo che la sinistra non doveva assolutamente lasciare l'egemonia dell'entità collettiva a quella destra cosiddetta
"storica" che, lasciatemelo dire, in termini elettoralistici la sta facendo fruttare veramente bene.
E' tanto difficile capire che il "diritto"; la "legge"; che potenzialmente può tutelare e difendere i deboli sorge NECESSARIAMENTE
solo all'interno di una entità collettiva ("classe" materiale o "popolo" idealistico che sia)? Cioè che sorge necessariamente
all'interno di un potere politico di tipo statuale?
Fin dai tempi sumero-accadici, tanto per riprendere il "film", abbiamo visto che in assenza del potere politico statuale la sola
forma di "legge" che sorge è quella del "contratto" fra privati individui (e che in tal "contratto" la parte contraente forte
prevale), che è null'altro che lo strumento particolare che poi forma quella categoria generale che siamo usi chiamare "Mercato".
Eppure, a sinistra e nelle immediate adiacenze, non c'è stato nessuno che abbia fatto questa elementare considerazione...
Perchè? In estrema sintesi (poi se qualcuno è interessato posso riprendere il discorso) perchè la sinistra ha assunto il dogma,
l'articolo di fede liberale, secondo cui basta "lasciar fare" al mercato (tanto una miracolosa "mano invisibile" interverrà
per mettere tutto a posto, come nelle parole del Reverendo Adam Smith...).
Per concludere, vorrei dire ad Anthony che, personalmente, su Marx la penso in maniera opposta.
Per me non fu un grande pensatore sociale. Nel rapporto struttura-sovrastruttura, ad esempio, egli diede un'interpretazione
che trovo troppo univoca (anche se, ad onor del vero, definì "in ultima istanza" la determinazione della sovrastruttura da parte
della struttura - ma è, trovo, un'"indebolimento" che non muta troppo la sostanza delle cose).
Viceversa, io penso sia stato un grandissimo economista.
Chiaramente si muoveva ancora all'interno di una economia "classica" (un'economia che non aveva ancora il concetto di valore
economico come valore di scambio), ma certe sue intuizioni sono ancora, fino a prova contraria, inconfutate.
Che dire, ad esempio, della teoria del "plusvalore"? Non spiega forse, essa, le ricorrenti crisi di sovraproduzione
che per il capitalismo sono "struttura" (ieri merci, oggi soldi ma sempre di sovraproduzione si tratta).
Ma non vorrei con questo ridurre questa discussione a una diatriba sul pensiero di Marx...
saluti

iano

Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Marzo 2018, 11:58:37 AM
Grazie a tutti voi delle gentili ed interessanti risposte.
Chiaramente, l'idea di sovranità nazionale è centrale in questo discorso. Bisogna poi vedere se ancora plausibile è
l'idea di "nazione" così come essa si è venuta a determinare nei secoli passati; plausibile è però certamente l'idea
di sovranità politica; una sovranità che "deve" (...) riprendere il suo posto di guida e di determinazione dei fini
cui l'economia (che, fino a prova contraria, è lo studio dei mezzi più efficaci per raggiungere uno scopo politicamente
dato) è chiamata a condurre.
In altre parole, trovo necessario che sia di nuovo la politica a determinare l'economia, non il contrario come sta adesso
invece verificandosi.
Per passare ad altro, non sono molto d'accordo con l'amico Anthony laddove egli squalifica Marx (non parlerei di "marxismo",
che è stata l'applicazione politica e, soprattutto, "totalitaria" del pensiero di Marx) a "versione del pensiero di sinistra".
A parer mio, Marx è stato l'unico grande pensatore della sinistra; una sinistra che, semmai, non ha mai saputo "storicizzarlo",
e sviluppare le sue teorie alla luce dei mutamenti nell'economia e nella società.
Dico "storicizzarlo" proprio per evidenziare particolarmente un aspetto del pensiero di Marx che gli epigoni non hanno
compreso. Egli parlò infatti del materialismo definendolo come "storico", mentre i successori troppo spesso hanno inteso
la teoria marxiana come "scientifica", arrivando in tal modo a risultati concreti davvero sconcertanti.
A tal proposito, devo dire che certe teorie politiche di Marx sono state davvero molto discutibili. La sua statura di politico
non avvicinava neppure da lontano quella da economista; campo nel quale è stato, ritengo, davvero geniale.
Quindi lasciamo perdere, ad esempio, la "dittatura del proletariato" quale fase transitoria verso il "paradiso" rappresentato
dall'anarchismo assoluto del comunismo, e concentriamoci sul Marx economista.
La domanda che dovremmo porci ritengo sia sostanzialmente questa: può una teoria autenticamente di sinistra fare a meno della
devastante critica che Marx ha portato al capitalismo (una critica, per certi versi, ancora inconfutata)?
A parer mio non lo può, naturalmente a meno di perdere ogni sua caratterizzazione "di sinistra"...
In realtà qualcuno ci ha provato, e molto seriamente. Ad esempio Anthony Giddens, padre del "blairismo", nella fondamentale
opera: "Capitalismo e teoria sociale".
In essa (che fra l'altro consiglio caldamente a chi voglia veramente capire cosa e come la sinistra contemporanea sia diventata
quello che è), l'acuto pensatore inglese individua proprio in quel "a ciascuno secondo i suoi bisogni; da ciascuno secondo le sue
capacità" l'essenza del problema (come anche l'amico Viator sottolinea).
La risposta di Giddens è radicale: la sinistra contemporanea deve rigettare quel principio ed abbracciare il "merito" individuale.
Senonchè, quell'abbraccio è stato, per così dire, "mortale". Ed ha portato la sinistra europea intera ad assumere posizioni
politiche ancor più liberali (e dunque liberiste, perchè il liberismo altro non è se non la "libertà" declinata economicamente)
di quelle della destra.
Si poteva fare diversamente? Forse sì, ed il "come" farlo mi sembra di poterlo individuare proprio nel concetto di "identità"; di
"popolo" e dunque di sovranità politica.
Ma la sinistra non ha proprio "visto" questa strada, ritenendo (e, intendiamoci, non completamente a torto) quelle categorie
come patrimonio ed esclusiva della "destra storica".
Dunque miopia politica ed estremismo concettuale non hanno permesso alla sinistra di poter individuare una via d'uscita diversa.
Questa è, seppur in estrema sintesi, la mia opinione.
saluti.
L'economia determina la politica e viceversa.
Per poter descrivere questa dinamica occorre individuare i soggetti in gioco , e le nazioni sono sempre meno papabili perché sottodimensionate rispetto alle multinazionali , in genere.
Quindi una nazione forte è una necessità contingente che nel nostro caso deve guardare all'Europa.
Cosa problematica sulla breve distanza , ma che non ha alternative.
In questo nuovo quadro le ideologie non sembrano avere gioco.
Una grande nazione oggi è una necessità , non una ideologia , purtroppo.
Purtroppo , perché hai ragione tu , se lo fosse tutto diventerebbe più semplice .
Al momento l'unica cosa furba che siamo riusciti a far in tal senso è il progetto Erasmus.
L'Europa c'è. Adesso bisogna fare gli europei.
Arridaie 😅
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

anthonyi

Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Marzo 2018, 20:11:38 PM
su Marx la penso in maniera opposta.
Per me non fu un grande pensatore sociale. Nel rapporto struttura-sovrastruttura, ad esempio, egli diede un'interpretazione
che trovo troppo univoca (anche se, ad onor del vero, definì "in ultima istanza" la determinazione della sovrastruttura da parte
della struttura - ma è, trovo, un'"indebolimento" che non muta troppo la sostanza delle cose).
Viceversa, io penso sia stato un grandissimo economista.
Chiaramente si muoveva ancora all'interno di una economia "classica" (un'economia che non aveva ancora il concetto di valore
economico come valore di scambio), ma certe sue intuizioni sono ancora, fino a prova contraria, inconfutate.
Che dire, ad esempio, della teoria del "plusvalore"? Non spiega forse, essa, le ricorrenti crisi di sovraproduzione
che per il capitalismo sono "struttura" (ieri merci, oggi soldi ma sempre di sovraproduzione si tratta).
Ma non vorrei con questo ridurre questa discussione a una diatriba sul pensiero di Marx...
saluti

Nessuna diatriba, sono questioni già maturate, il limite della teoria economica socialista è nella funzione imprenditoriale. Si tratta di un limite che arriva direttamente dal materialismo che è proprio della sua visione economica, per cui il valore non può che essere prodotto dal lavoro materiale e il profitto deve essere sottratto a questo valore. Marx non concepisce il fatto che l'azione imprenditoriale crei un di più rispetto al valore dei fattori perché l'azione imprenditoriale è organizzativa e quindi immateriale.

InVerno

#14
Citazione di: Jacopus il 04 Marzo 2018, 19:06:13 PMLa sinistra, più che da pedagogismo, come dice Inverno, è affetta, a mio parere, da assenza di "ideali collettivi". Si "campicchia" come direbbe Totò, avendo sempre in primo piano il conto corrente bancario.
Non devi porre in antitesi questi nostri due ragionamenti, che sono invece complementari, il pedagogismo infatti è un eufemismo per dire penilunghismo, ove ognuno appone il proprio fallo sul simbolo elettorale risultante in quel frazionamento tipico "de sinistra" che impedisce qualsiasi idea di collettività alla partenza. E mi riferisco ovviamente al panorama Italiano, supponendo che la generalizzazione "sinistra" sia nazionale, visto che poi c'è una sinistra che ha una qualche presa, anche se si trova in america latina (a dire il vero, anche la sinistra portoghese dovrebbe essere guardata con interesse), e chi dice che questo papa è più di sinistra che tanti politici, dice il vero, sentendo semplicemente l'odore lontano della sinistra latina (altro che blairiana). Detto ciò, tutti i ragionamenti massimalisti che si possono fare sono invalidati se poi la proposta risultante è il ritorno al nazionalismo. Abbiamo già vissuto un periodo simile con il gold standard, sappiamo cosa vuol dire giocare la carta nazionalista, non ci penserebbe nemmeno un bambino che si è appena scottato, inutile assurgere a stratificazioni del pensiero altisonanti se la risultante (di sinistra) è questa. La mancanza di ideali collettivi non è certo prerogativa della sinistra, la destra ne manca in egual modo, si salva con il cameratismo e la comodità dell'opposizione, non con ideali di certo. La liquefazione della società avrà a che fare con la forma-partito? Oppure la forma-partito rimane illesa, come vorrebbero tanti protettori di clientele associati? E' nato poco tempo fa un partito (o movimento come piace oggi) che incarna questa liquefazione, che è un partito internazionale e di scopo, con tanto di data di scadenza nel nome, è il primo, e penso che salvo brutali virate, molti si accoderanno. Gli stessi M5S si impongono delle scadenze (2 mandati, democrazia diretta poi ci sciogliamo etc) sono bambinesche forse (loro devono elaborare il lutto di Rousseau anzichè Marx), ma essendo neonati hanno annusato bene quale sia l'aria che tira: movimenti di scopo a scadenza. Piace o non piace, Marx diceva questo e quello, vinceranno loro (e hanno vinto), perchè hanno la miglior analisi storica sulla forma-partito.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

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