Perché l'uomo ha bisogno di una regola cui rifarsi?

Aperto da filippo_cevolani, 24 Luglio 2020, 23:24:10 PM

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filippo_cevolani

Salve,
mi chiamo Filippo e qualche giorno fa mi sono posto una domanda: perché l'uomo ha bisogno di ricondurre ogni cosa a una regola? Cercherò di chiarire al meglio il mio ragionare portando l'esempio da cui son partito, una linea di confine culturale che riguarda un aspetto particolarmente "caldo", la monogamia e la poligamia. Monogamia e poligamia sono scatole di pensiero (ideologie) alle quali ci rifacciamo per rapportarci a un aspetto della realtà, quello riguardante la costruzione di un rapporto esclusivo con l'altro; tale rapporto può legare i soggetti in sistema di uno a uno o di uno a più, entrambe le scatole sono valide perché entrambe si rifanno all'esigenza del singolo di affrontare e poter interpretare la realtà, lo spazio entro il quale egli si muove. Sembra quasi che la storia dell'uomo sia la storia di quell'unico animale che, avendo sviluppato diverse e più complesse capacità intellettive, abbia modificato a tal punto il rapporto con il proprio spazio da cadere vittima di una condizione di spaesamento; per far fronte alla perdita di orizzonti, in cerca di nuovi elementi di sicurezza, l'uomo ha dato vita alla regola. Perché, dopo essere passato attraverso numerosi momenti storici, dopo aver allenato il proprio pensiero in importanti palestre filosofiche, l'uomo -scrivo uomo e penso a ognuno di noi- non si sente ancora pronto ad uscire dalle sue scatole di pensiero? Perché l'uomo ha bisogno di una regola cui rifarsi? Forse abbiamo bisogno di sentire le spalle coperte quando incontriamo qualcuno che non si armonizza alla nostra stessa interpretazione di ciò che chiamiamo reale, perché rapportarsi con l'altro da soli, senza schemi cui rifarsi è cosa scomoda e la scomodità non piace; forse qualcosa sta cambiando, ma potremmo davvero liberarci della regola e dei suoi confini, per rapportarci finalmente con gli altri in maniera inclusiva e senza pregiudizi? 

anthonyi


Ciao Filippo, l'uomo non esiste, esistono gli uomini e sono tanti. Il singolo uomo non sentirebbe bisogno di regole, ma quando gli uomini sono tanti allora sentono il bisogno che gli altri rispettino le regole perché altrimenti il mondo diventa invivibile.
Considera il traffico su strada, una regola semplice, tutti camminano a destra e le automobili bene o male possono circolare, pensa se non ci fosse, con tutte le automobili che si incontrano/scontrano una di fronte all'altra.
Poi certo le regole sono convenzionali, tutti a destra o tutti a sinistra dà lo stesso risultato, ma è comunque essenziale che la regola sia la stessa per tutti.
In realtà la frontiera che tu tracci, comunque, non riguarda il ruolo della regola, perché monogamia e poligamia sono entrambi sistemi regolati, e in questa regolazione, poi, è fondamentale il rapporto di potere uomo/donna.
Il ruolo della regola entra in gioco nella contrapposizione tra amore regolato e amore libero.
Comunque secondo me è forzoso pensare che l'azione soggetta a regole sia una scelta comoda, solitamente è più comodo non rispettarle le regole.

viator

 Salve Filippo e benvenuto. Interpreto il tuo quesito come : "come mai l'uomo avverte una specie di bisogno psichico che lo porta a cercare delle regole all'interno del mondo con cui deve confrontarsi ?".
Se poi sbaglio, ed invece per te vale l'interpretazione rigorosamente ed esclusivamente socialeggiante data da anthonyi......vabbè, mi sarò appunto sbagliato, come spesso mi accade.


Dal mio punto di vista occorre banalmente premettere che l'uomo (se si accetta il punto di vista evoluzionistico classico) sia un vivente dotato – come moltissime altre specie - di istinto di sopravvivenza. Il fatto è che, superando poi la semplice condizione psichica animale, l'uomo si è trovato a sviluppare le cosiddette "funzioni mentali superiori", la prima delle quali fu rappresentata dalla coscienza.


Poichè la coscienza è la sede delle consapevolezze, e la prima delle consapevolezze umane consiste nella propria mortalità, ecco che l'utilizzo stesso della coscienza instaurò una insopportabile contraddizione tra l'istinto di sopravvivenza (a base genetica, a funzionamento automatico ed a localizzazione psichica) e ciò che ad un bel punto rappresentava la negazione della sopravvivenza, cioè appunto la coscenziale certezza di dover morire (a base mnemonica, a funzionamento volontario ed a localizzazione mentale).


Poichè, proseguendo nell'evoluzione delle funzioni mentali, noi sviluppammo altre interessanti funzioni e tendenze quali – ad esempio – il raziocinio e la curiosità.............ecco che, allo scopo di uscire dalla contraddizione, dall'interrogativo, dal dilemma descritto qui sopra, cominciammo ad utilizzare tali nuovi strumenti nel tentativo di "sanare" tale situazione.




Fu come se – ad un certo punto – l'istinto di sopravvivenza abbia detto, ad un cervello dotato ora di mente, di capacità di apprendere e di decidere : "Ehi tu, datti un poco da fare, raccogli quanti più dati puoi e mettili in relazione, vedi di capire in quali modi puoi tutelare la sopravvivenza eliminando il maggior numero possibile di cause di morte !".


Ma le regole poi,..............che sono ? Sia che si tratti di regole aritmetiche piuttosto che sociali piuttosto che etiche piuttosto che del gioco del poker........le regole sono sempre e solamente degli strumenti che devono permettere di tutelare qualcuno o qualcosa dalla imprevedibilità del futuro e dal pericolo di imbattersi in ciò che si vuole evitare.


Ecco allora che tutto il lavoro svolto dalle "funzioni superiori" citate prima consiste nel cercare o impostare delle regole di comportamento (cioè delle sequenze di cause-effetti note o conoscibili) che ci permettano di vivere o sopravvivere  nel modo più "certo" possibile e che dipenda non più solamente dal "caso" o dalla benevolenza della natura o di qualche oscura divinità. Con ciò ti saluto.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Socrate78

#3
Il bisogno delle regole è derivato da fattori ambientali, ma a mio avviso non ha basi nella genetica. Il bambino infatti lasciato a se stesso è quanto di più sregolato ci possa essere: vuole sperimentare il mondo e lo fa con istintiva libertà, senza regole appunto, e proprio per questo rischia di farsi male o di combinare dei pasticci se non interviene l'autorità materna o paterna a "gestirlo". La curiosità e la vivacità del fanciullo sono di per sé qualcosa che non conosce regola. La coscienza morale che distingue il bene dal male e che porta la maggior parte delle persone a non trasgredire le norme della società in cui vive non deriva dalla genetica, ma dall'educazione genitoriale e poi sociale (scolastica ad esempio), ma senza questi fattori si avrebbe a mio modesto avviso un individuo "selvaggio" che penserebbe solo a soddisfare con ogni mezzo i propri bisogni, molto simile semmai agli animali che all'uomo evoluto come noi lo intendiamo.

viator

Salve socrate78. Io ho viaggiato sull'Autostrada del Sole dell'evoluzione, partendo dalle origini GENETICHE della vita psichica per giungere al MENTALISMO di un esemplare adulto umano. Il giro è lungo qualche milione di anni.

Tu ci proponi un giretto percorrendo il viottolo dell'evoluzione sociale partendo dalla infanzia di un umano sino al suo completo inserimento in una società. Il tuo giro è lungo 18 anni.

Percorsi completamente diversi, non trovi ?.

Il problema del mio approccio a tutte questi argomenti è semplice : mentre quasi tutti gli amici del forum ne trattano a livello di ragionamenti uman-sociali (non esistono - secondo loro - altri livelli o prospettive ai quali trattarne)...............io proprio "me ne fotto" di Uomo e Società, nel senso per il quale io non voglio occuparmi della attualità o della storicità dei rapporti uman-sociali, ma sono interessato solamente a cercare di interpretare in qual modo, attraverso quali sviluppi, la vita non umana abbia generato le tematiche ed i modi di sentire e di comportarsi tipici degli umani. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Jacopus

#5
Filippo, intanto bentrovato. Tocchi una questione interessante. Perché non immaginare una società dove sia possibile praticare la poligamia e la monogamia, contemporaneamente? In realtà ciò già avviene. Avviene di fatto. Così come in passato avveniva (di fatto e poi regolamentate) l'interruzione volontaria di gravidanza o la professione di ateismo.
In realtà ciò verso cui tu sembri aspirare è già in moto da diversi secoli.
Se il motto latino "ubi societas ibi ius " continua ad essere vero, quello ius è diventato contemporaneamente più liquido e più complesso. Le garanzie in una società aperta, come la nostra, si sono moltiplicate, e con loro i codici e gli studi legali.
Ma la crescita è anche in altre direzioni.
Dove non è prevista la tutela dell'orfano,  non serve neppure il tutore e il giudice tutelare. E dove l'orfano viene tutelato, inevitabilmente ci si domanda il senso dello ius, invasivo, etico? Allo stesso tempo, le regole (ius) moderne ampliano gli spazi di libertà, divorzio, aborto, libertà di opinione, fino a giungere al mitico "diritto alla felicità ". Per maneggiare tutto questo occorre una più acuta concettualizzazione da parte di tutti i cittadini e la consapevolezza che tutto ciò ha un costo, economico e culturale.
Le regole così si trasformano da "recinto chiuso", volto a difendere un mondo ordinato a "recinto aperto", un meccanismo disponibile per forgiare prometeicamente la società. Il diritto penale, il padre di ogni diritto è ormai relegato in un angolino. Altri diritti occupano la scena e si contendono il primato e diventano essi stessi promotori di conflitti invece di risolverli.
La domanda allora è la seguente. Come conciliare il diritto mite e aperto con la necessità di orientare la società e di non aumentare la confusione? Che nesso vi è fra questo diritto "aperto" e la redistribuzione della ricchezza? E fra questo diritto e la diffusione di un alto livello di cultura? E fra questo diritto e la trasmissione di un grado soddisfacente di fiducia reciproca? E ancora che nesso fra queste regole aperte e le singole culture sociali, visto che in una cultura individualista come quella italiana vi saranno (e vi sono) effetti diversi rispetto ad una cultura organicista come quella giapponese.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

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