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Penelope

Aperto da doxa, 21 Settembre 2024, 06:14:06 AM

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daniele22

Ciao a Bruno e un benvenuto nel forum. 

Visione ingenua e molto sintetica: a me sembra che più la donna si rende "indipendente" più il maschio perde la testa e dirotta verso altro la sua frustrazione; infine, dovrà pur farsene una ragione

Bruno P

Buongiorno Daniele e grazie per il tuo benvenuto in questo salotto.
La tua osservazione mi apre ad un altro tema, il rapporto tra uomo e donna, ma ho il timore di andare completamente fuori tema rispetto a quanto inizialmente proposto da doxa.
Provo solo ad accennarlo (non è facile) e mi scuso per il fuori-campo.
In un rapporto tra Uomo e Donna, questa la mia visione, il primo, ancor prima della seconda, deve avere coscienza che le sue esigenze/gratificazioni vengono dopo quelle della partner. A maggior ragione se ci sono figli: il padre viene per ultimo; sempre. Il mancato abbandono di una sorta di narcisismo primario maschile in età adulta porta inevitabilmente a una rottura, a un fallimento della coppia e della famiglia. Necessita quindi una struttura psichica adeguata, forte, capace di posticipare il "piacere", anche di rinunciare.
Prima di indirizzarmi verso Freud mi fermo.
Saluti

iano

#17
Un paese ci vuole, per potersene andare, come scriveva Pavese.
Ma non è propriamente da un paese che ce ne andiamo, ma da convenzioni sociali a quel paese funzionali, e che una volta relativizzate dal confronto con altre, dovremmo consapevolmente accettare, quando le davamo per scontate, ritornando.
Allora si realizzerà che non c'è più un paese per noi, perchè un paese per noi vale ormai potenzialmente l'altro, per cui ci troviamo nelle condizione di poter scegliere il paese in cui rinascere, non avendo potuto scegliere dove nascere.
Mettendomi nei panni di Ulisse, fingerò davanti a Penelope che nulla per me sia cambiato, ma non potendo reggere a lungo la finzione, dovrò rimettermi in viaggio in cerca di una nuova Penelope che mi accetti per quel che adesso sono, senza. avere aspettative si di me che non posso più soddisfare, se non a costo di una insostenibile finzione, che io sia ancora io e non altro, che io fossi colui che lei attendeva che tornasse.
Non è Itaca quella a cui Ulisse torna, o non è Ulisse a tornarvi.
La condizione di Penelope, prima ancora che l'esser donna, è quella di chi da Itaca non è mai uscita, ed è perciò che Ulisse ritrova la stessa fedele Penelope che aveva lasciata, eppur si sente tradito, perchè sente tradite tutte le sue aspettative.

Il problema in un rapporto di coppia non è quanta libertà reciproca si concedono i partners l'un l'altro, e se sia giusto o sbagliato  a priori, ma il problema sorge  quando questa libertà volenti o nolenti si ritratta, e quando viene ritrattata è più facile che ciò vada favore della donna, visto che mediamente per ragioni storiche è quella che più ne difetta.
Nel momento in cui un uomo accetta che tale ritrattazione avvenga, la donna assume la parte di Ulisse che sentendo la sua terra ormai straniera, l'abbandonerà.
Questa è dunque di fatto la prova d'amore più grande di un uomo verso la sua donna, lasciarla salpare per nuovi lidi dalla quale non la vedrà più tornare, o non riconoscendola se tornasse.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

green demetr

Citazione di: Bruno P il 03 Ottobre 2024, 08:28:58 AMRimane il fatto che i testi omerici, in questo caso nelle figure di Penelope e Elena, ci propongono delle interpretazioni in cui specchiare il nostro pensiero con riferimento alla società in cui viviamo
Si certo, e lo trovo problematico, una società che non sa più coltivare il senso, potrà anche avere idee cosmologiche più corrette, ma rispetto al vivere quotidiano è come se si fosse tolta le basi che si era faticosamente costruita.
D'altronde lo stesso Freud chiamava con urgenza una rilettura dell'erotica nella grecia e nella roma antica, nel senso che una maggiore aderenza ad esso porterebbe a miglioramenti sostanziali anche nell'ambito delle relazioni.
Certo nell'età post-moderna, ossia nell'età del depensamento assoluto, la cosa risulta assai più difficile, pur avendo per i soliti paradossi della storia, una competenza filologica infinitamente maggiore rispetto al passato.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

daniele22

@Bruno P
In effetti ho deviato io dal tema. A dirla tutta il tema segnalava una mostra, così come spesso si diletta fare doxa. Fintanto comunque che non senti una scossa psico-midollare anafasica, se ben memorizzai, effetto dell'utilizzo di un'arma potentissima misteriosa assai in uso ai nostri vigilanti osservandissimi moderatores, non preoccuparti moltissimo ... ma stai attento, sembra che l'anno scorso....uuh! tutto vapore, tutto vapore. Scherzi a parte, un saluto 

Bruno P

Citazione di: iano il 03 Ottobre 2024, 16:13:35 PMUn paese ci vuole, per potersene andare, come scriveva Pavese.
Ma non è propriamente da un paese che ce ne andiamo, ma da convenzioni sociali a quel paese funzionali, e che una volta relativizzate dal confronto con altre, dovremmo consapevolmente accettare, quando le davamo per scontate, ritornando.
Allora si realizzerà che non c'è più un paese per noi, perchè un paese per noi vale ormai potenzialmente l'altro, per cui ci troviamo nelle condizione di poter scegliere il paese in cui rinascere, non avendo potuto scegliere dove nascere.
Mettendomi nei panni di Ulisse, fingerò davanti a Penelope che nulla per me sia cambiato, ma non potendo reggere a lungo la finzione, dovrò rimettermi in viaggio in cerca di una nuova Penelope che mi accetti per quel che adesso sono, senza. avere aspettative si di me che non posso più soddisfare, se non a costo di una insostenibile finzione, che io sia ancora io e non altro, che io fossi colui che lei attendeva che tornasse.
Non è Itaca quella a cui Ulisse torna, o non è Ulisse a tornarvi.
La condizione di Penelope, prima ancora che l'esser donna, è quella di chi da Itaca non è mai uscita, ed è perciò che Ulisse ritrova la stessa fedele Penelope che aveva lasciata, eppur si sente tradito, perchè sente tradite tutte le sue aspettative.

Il problema in un rapporto di coppia non è quanta libertà reciproca si concedono i partners l'un l'altro, e se sia giusto o sbagliato  a priori, ma il problema sorge  quando questa libertà volenti o nolenti si ritratta, e quando viene ritrattata è più facile che ciò vada favore della donna, visto che mediamente per ragioni storiche è quella che più ne difetta.
Nel momento in cui un uomo accetta che tale ritrattazione avvenga, la donna assume la parte di Ulisse che sentendo la sua terra ormai straniera, l'abbandonerà.
Questa è dunque di fatto la prova d'amore più grande di un uomo verso la sua donna, lasciarla salpare per nuovi lidi dalla quale non la vedrà più tornare, o non riconoscendola se tornasse.

Gentile iano
con il tuo post mi inviti a diverse letture. Laddove dici "Mettendomi nei panni di Ulisse, fingerò davanti a Penelope che nulla per me sia cambiato, ma non potendo reggere a lungo la finzione, dovrò rimettermi in viaggio" interpreto Ulisse come la Scienza che si allontana dalla Filosofia in un viaggio infinito. E' certo che l'Ulisse che ritorna a Itaca non è il medesimo di quando era partito: ha intrapreso un viaggio verso la conoscenza empirica, conoscenza che lo ha profondamente cambiato. Per contro Penelope rappresenta la conoscenza a priori, da non confondere con un immobilismo a priori. E quando Ulisse si confronta con Penelope rimane frustrato perché comprende come le sue poche e brevi esperienze lo hanno si portato lontano da Itaca ma non ha la capacità di misurare questa sua distanza: tanta, poca, .... non lo sa ma rimane comunque convinto che da Itaca doveva uscire.
Poi, "Nel momento in cui un uomo accetta che tale ritrattazione avvenga, la donna assume la parte di Ulisse che sentendo la sua terra ormai straniera, l'abbandonerà." Penelope intraprende anch'essa la via della Scienza, si emancipa. E la Filosofia? E  l'episteme? Come ci insegna la storia della Filosofia contemporanea, l'episteme è stata abbandonata, ricacciata, negata, a favore della Scienza.
Infine "... lasciarla salpare per nuovi lidi dalla quale non la vedrà più tornare, o non riconoscendola se tornasse." E' la frantumazione della conoscenza umana in infiniti rivoli che si allontanano tra di loro perdendo completamente l'Unità che invece è propria dell'episteme.

iano

#21
Citazione di: Bruno P il 04 Ottobre 2024, 08:28:23 AME' la frantumazione della conoscenza umana in infiniti rivoli che si allontanano tra di loro perdendo completamente l'Unità che invece è propria dell'episteme.
La cosa in se, se non esistesse bisognerebbe inventarla, e di fatti è una inconsapevole invenzione.
Essendo una cosa in se, non occorre affermarla, così come non occorre dire che l'evidenza è evidente.
Quindi è significativo che si senta l'esigenza di affermarlo, perchè affermarlo è il  passo necessario per poterlo poi negare,  quando pure lo si affermava nel tentativo di trattenerlo.
Ma una volta negato, non potendone comunque fare a meno, in quanto costituente del mondo in cui viviamo, occorrerà riaffermarlo consapevolmente, di modo che torni a nuova esistenza, ma in tal modo non potrà più essere quel che era.
Questo è propriamente il dramma di Ulisse, il prendere coscienza dell'impossibilità di un ritorno, e che la vita è un viaggio non circolare, senza meta.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Bruno P

Citazione di: iano il 04 Ottobre 2024, 15:34:27 PMma in tal modo non potrà più essere quel che era
Gentile Iano
premettendo il fatto che sono un ignorante, considero, nei miei limiti, la "cosa in sé" immutabile, altrimenti non sarebbe tale e farebbe parte del divenire. Amo Kant.
La cosa in sé rimane l'asintoto cui tendere e Ulisse, che verrebbe definito come arguto, non ha consapevolezza dell'irraggiungibilità dell'episteme. Egli è l'archetipo dell'Uomo che naviga nella sua esistenza e ritiene di aver ottenuto una verità ad ogni infinitesimale scoperta, scientifica o meno, perdendo di vista - e non potrebbe essere diversamente - l'orizzonte che si pone all'infinito. Dove si situa l'episteme.