Paura della morte

Aperto da Aspirante Filosofo58, 09 Marzo 2023, 11:31:43 AM

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Ipazia

Non intendo la vita metafisica dei prolife, intendo la vita biologica dei pulcini, cioè i singoli viventi.

Di ogni vivente essa è il bene assoluto incontrovertibile e la più plausibile archè dell'ambaradan valoriale.

Perchè dovremmo lasciare questo incontrovertibile dato biologico all'ideologia dei teisti prolife, prendendoci ovviamente la denuncia di nichilisti. Il Leone si tutela da sé, il Fanciullo ha bisogno che la sua vita sia tutelata e non possiamo lasciare tale compito ai teisti che, tirando l'acqua matafisica al molino dei loro numi, se ne occupano solo quando l'embrione deve nascere o quando il vivente e appeso ad una macchina, cerebralmente morto. Tutto il resto è opera dell'uomo o del demonio e quindi non possono fottersene di meno.

Invece no. L'umanesimo ateo sconfigge il nichilismo e il feticismo rivendicando il valore fondativo ed apicale della vita individuale ed a partire da lì costruisce la sua scala dei valori.

Del resto, che la scala dei valori parta da lì, lo dimostra, sotto i vari camuffamenti ideologici, l'intera storia dell'umanità e la sua evoluzione umanistica contro ogni forma di alienazione. Buttiamo via l'acqua sporca prolife, non il Fanciullo.

pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

niko

Citazione di: Ipazia il 11 Marzo 2023, 17:54:16 PMNon intendo la vita metafisica dei prolife, intendo la vita biologica dei pulcini, cioè i singoli viventi.

Di ogni vivente essa è il bene assoluto incontrovertibile e la più plausibile archè dell'ambaradan valoriale.

Perchè dovremmo lasciare questo incontrovertibile dato biologico all'ideologia dei teisti prolife, prendendoci ovviamente la denuncia di nichilisti. Il Leone si tutela da sé, il Fanciullo ha bisogno che la sua vita sia tutelata e non possiamo lasciare tale compito ai teisti che, tirando l'acqua matafisica al molino dei loro numi, se ne occupano solo quando l'embrione deve nascere o quando il vivente e appeso ad una macchina, cerebralmente morto. Tutto il resto è opera dell'uomo o del demonio e quindi non possono fottersene di meno.

Invece no. L'umanesimo ateo sconfigge il nichilismo e il feticismo rivendicando il valore fondativo ed apicale della vita individuale ed a partire da lì costruisce la sua scala dei valori.

Del resto, che la scala dei valori parta da lì, lo dimostra, sotto i vari camuffamenti ideologici, l'intera storia dell'umanità e la sua evoluzione umanistica contro ogni forma di alienazione. Buttiamo via l'acqua sporca prolife, non il Fanciullo.




Basterebbero i suicidi, a dimostrare la vita non e' PER TUTTI il valore assoluto.

La volonta' di vivere a volte entra in conflitto con la vita (biologica).

Perche'?

Ci si potrebbe chiedere...

Perche' la vita e' fatta per autosuperarsi, non per conservarsi.

Pure Giordano Bruno, avrebbe potuto abiurare il suo pensiero umanista e salvarsi la vita (biologica...) ma non ne ha voluto sapere.

L'immortalita' culturale e biologica, la figura dell'uomo che cambia e cambia per rimanere in fondo sempre uguale a se stesso, e dunque  l'antitransumanesimo di principio, che anche quello va tanto di moda, non devono diventare comodi nascondigli per non affrontare l'infinita' della vita.

Il fatto che, ben vengano a certe condizioni i figli biologici e la cultura, ma saremmo salvi anche se fossimo sterili e ignoranti.

Perche' la vita non ha il problema di salvarsi dalla morte.

La vita e' quello che succede a determinate condizioni, non ha uno scarto netto dalla condizione della materia inorganica, la vita e' prevista dalle leggi del cosmo.

Ci sono quelli che pensano che rendere unica la vita, von tutte le conseguenze del caso, basti la Falce insanguinata e rugginosa della Morte, e poi ci sono quelli che pensano che a rendere unica la vita ci vorrebbe ben altro, cioe' la capacita' (mancata) di un sistema chiuso meccanicistico e deterministico di produrre eventi unici.

Davanti all'abisso dello spazio e del tempo, certe Falci si spuntano.

Io sono nella seconda categoria, non scrivo per portare acqua al "mulino dell'ovvio", e tanto meno pretendo di  piacere a tutti.

Pero', a quelli che vogliono tutelare la vita, finche' avro' voce rispondero' sempre che io voglio tutelare la qualita', della vita.

E che il compromesso, tra queste due posizioni, non e' facile.

Non e' facile come sembra.

Io non mi voglio salvare. 

Non mi interessa nessuna prassi o teoria della salvezza come obbiettivo e non come punto di partenza, ne' atea, ne' religiosa, ne' tecnologica, ne' di altro tipo.

Non mi importa, non sono interessato all'articolo, grazie, a posto cosi', sono gia' salvo.

Non ho paura della morte, ho paura della sofferenza.

Tanti lo dicono tanto per dire.

Ma io lo dico davvero.


Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Ipazia

La vita per il vivente è fondamento di ogni possibile valore: no life, no party

Quindi è coerente fondare i propri valori (etica) su ciò che ne è il naturale fondamento e preservarlo al meglio possibile, in sintonia con la legge naturale denominata istinto di conservazione (nessun Fanciullo pensa al suicidio, ma al gioco nel mondo di cui è signore).

Una volta convertito il fondamento in valore, ognuno che ne è titolare può disporne, anche sacrificandolo o prendendo atto del suo biologico (e psicologico) esaurimento, ma resta comunque la migliore soluzione etica antinichilistica fondarsi su di esso.



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Ipazia

Citazione di: niko il 11 Marzo 2023, 21:54:47 PMBasterebbero i suicidi, a dimostrare la vita non e' PER TUTTI il valore assoluto.

La volonta' di vivere a volte entra in conflitto con la vita (biologica).

Perche'?

Ci si potrebbe chiedere...

Perche' la vita e' fatta per autosuperarsi, non per conservarsi

Risposta squisitamente metafisica.

CitazionePure Giordano Bruno, avrebbe potuto abiurare il suo pensiero umanista e salvarsi la vita (biologica...) ma non ne ha voluto sapere.

L'immortalita' culturale e biologica, la figura dell'uomo che cambia e cambia per rimanere in fondo sempre uguale a se stesso, e dunque  l'antitransumanesimo di principio, che anche quello va tanto di moda, non devono diventare comodi nascondigli per non affrontare l'infinita' della vita.

"Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi", risponde l'umanesimo. E neppure di robot omologati aggiunge l'aggiornamento.

CitazioneIl fatto che, ben vengano a certe condizioni i figli biologici e la cultura, ma saremmo salvi anche se fossimo sterili e ignoranti.

Perche' la vita non ha il problema di salvarsi dalla morte.

La vita e' quello che succede a determinate condizioni, non ha uno scarto netto dalla condizione della materia inorganica, la vita e' prevista dalle leggi del cosmo.

Anche qui la risposta è squisitamente metafisica. Di sapore antico, in odore di 'mondo dietro il mondo' a principio fondativo del mondo. Peccato veniale (anche Nicce vi indugiava), ma mortale quando si dogmatizza.

CitazioneDavanti all'abisso dello spazio e del tempo, certe Falci si spuntano.

Davanti al 'qui ed ora' certi abissi si colmano.

CitazioneIo sono nella seconda categoria, non scrivo per portare acqua al "mulino dell'ovvio", e tanto meno pretendo di  piacere a tutti.

Pero', a quelli che vogliono tutelare la vita, finche' avro' voce rispondero' sempre che io voglio tutelare la qualita', della vita.

La qualità della vita è l'ovvia conseguenza della sua valorizzazione.

Che risolve anche la paura della sofferenza e della morte. Non promette salvezze eterne e loro surrogati allucinogeni, compromessi tra estremi impresentabili, ma l'innocente piacere del gioco. Finché  dura.
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niko

Citazione di: Ipazia il 12 Marzo 2023, 09:05:53 AMRisposta squisitamente metafisica.

"Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi", risponde l'umanesimo. E neppure di robot omologati aggiunge l'aggiornamento.

Anche qui la risposta è squisitamente metafisica. Di sapore antico, in odore di 'mondo dietro il mondo' a principio fondativo del mondo. Peccato veniale (anche Nicce vi indugiava), ma mortale quando si dogmatizza.

Davanti al 'qui ed ora' certi abissi si colmano.

La qualità della vita è l'ovvia conseguenza della sua valorizzazione.

Che risolve anche la paura della sofferenza e della morte. Non promette salvezze eterne e loro surrogati allucinogeni, compromessi tra estremi impresentabili, ma l'innocente piacere del gioco. Finché  dura.

Noi siamo venuti per divenire.

L'unica metafisica (contemplazione di quello che non c'e') e' la conservazione, tanto, piu' quando essa pretende di farsi istinto.

Metafisica e' non vivere il contrasto tra vita e natura quando questo contrasto e' nell'attimo ed e' qui ed ora, non capire che anche la fine e l'inizio convergono, e divengono.

Non c'e' nessun mondo dietro il mondo, semmai per ogni vivente c'e' un mondo dentro il mondo, un punto di vista, una prospettiva.

La vita che dissemina, a sua volta e' disseminata: su un ramo, puoi vedere gli uccelli riprodursi e figliare, nel cielo, puoi vedere gli uccelli a miriadi; cosi' pure per i pesci nel mare, e ovunque e' cosi'; ampliando il punto di vista, ampliando il "cerchio" dell'individuazione e della ricerca dell'oggetto/vita nello spazio e nel tempo, prima o poi la vita, subisce, nel grande, la disseminazione che, nel piccolo, agisce. Prima o poi, in un cerchio abbastanza grande, si rivela come una raccolta di simili gia' compiuta e non da compiere in un proggetto di etica della salvezza; il contrasto, tra vita e natura, si risolve solo sacrificando il "senso" della vita, accettandone il non senso e l'assurdo.

E mi permetto anche di dire, che avremo sempre bisogno, di un certo tipo di "eroi".

Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Aspirante Filosofo58

Ecco il punto di vista di un buddista, sulla morte:

Quando si sta per morire è più facile riconoscere che ogni minuto, ogni respiro è importante.
Ma la verità è che la morte è sempre con noi, inseparabile dalla vita stessa.
Tutto cambia continuamente, niente è permanente.
Questa idea ci può sia terrorizzare sia ispirare.
Però, se ascoltiamo bene, il messaggio che riceviamo è: non aspettare. «Il problema della parola pazienza» disse il maestro zen Suzuki Roshi «è che implica che stiamo aspettando qualcosa di meglio, stiamo aspettando qualcosa di buono che verrà.
Una parola più precisa per
indicare questa qualità è perseveranza, la capacità di essere con ciò che è vero momento per momento.»
Accettare la verità che tutte le cose debbano inevitabilmente finire ci incoraggia a non aspettare per incominciare a vivere ogni momento in maniera profonda.
Smettiamo di sprecare il tempo in attività senza senso.
Apprendiamo a non fissarci su opinioni, su desideri e perfino sulle nostre identità.
Invece di legare le nostre speranze a un futuro migliore, focalizziamoci sul presente e ringraziamo per ciò che abbiamo davanti, proprio adesso.

Diciamo «ti amo» più spesso perché comprendiamo l'importanza dei rapporti umani.
Diventiamo più gentili, più compassionevoli e più disposti al perdono.
Non aspettare indica la via per la pienezza ed è un antidoto al rimpianto.
È quasi banale dire queste cose, eppure dobbiamo sottolinearle continuamente: tutto è creazione, tutto è cambiamento, tutto è flusso, tutto è metamorfosi.


di Frank Ostasesky
(insegnante buddhista statunitense)
da: "I cinque inviti" 
La teoria della reincarnazione mi ha dato e mi dà risposte che altre teorie, fedi o religioni non possono, non sanno o non vogliono darmi. Grazie alle risposte ottenute dalla reincarnazione oggi sono sereno e sono sulla mia strada che porterà a casa mia!

Socrate78

In realtà il tema proposto è interessantissimo, ma vi state sbagliando tutti dal mio punto di vista nell'individuare la vera CAUSA della non accettazione da parte dell'uomo della morte. La vera e profonda causa del fatto che l'uomo rifiuta la morte e non la accetta non è di tipo culturale ma è di tipo metafisico, poiché l'uomo era stata creato originariamente da Dio per non morire, per essere di fatto preservato da ogni tipo di morte, sia fisica sia spirituale. Il primo Adamo, vero figlio di Dio, era destinato a non sperimentare (a differenza del regno animale) il decadimento fisico che porta alla morte, per lui Dio aveva previsto che dopo un periodo molto lungo di tempo trascorso sulla Terra (più lungo della vita anche dell'uomo più longevo di oggi) si addormentasse per poi essere "traslato" in Cielo con il corpo, proprio come accadde per i credenti a Cristo dopo la resurrezione. La morte con il suo carico di sofferenza, di decadimento, è il risultato tragico del peccato originale, ecco perché l'uomo non l'accetta, perché nel fondo dell'animo di ognuno di noi vi è la nostalgia inconscia di quello stato di grazia in cui siamo stati creati originariamente, c'è la percezione istintiva che questa morte, come la viviamo ora, non era prevista nel piano originario di Dio, come non era prevista la malattia fisica (specie genetica), la sofferenza, le doglie del parto, la malattia mentale, il decadimento fisico che conduce al decesso.

Ipazia

#37
@Socrate78

Socrate non sarebbe d'accordo. Egli sapeva di non sapere. E quando interrogava gli ateniesi non gli bastavano le testimonianze di fede. Dai troppe cose per scontate. Socrate nell'agorà non te le avrebbe passate.

@aspirantefilosofo58

Mi inchino al 'qui ed ora' della saggezza orientale, che non ha bisogno di alcun atto di fede. Anch'io ringrazio quando le cose mi vanno davvero bene. Alla Violeta Parra: gracias a la vida.

@niko

"Siamo venuti per divenire" è ancora metafisica, finalistica.

Noi siamo venuti per stare, il più a lungo possibile nelle migliori condizioni possibili. Il senso della vita è questo.

"Finì con un flauto spezzato, e un ridere rauco, e ricordi tanti, e nemmeno un rimpianto". E questo è il senso migliore della morte.
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niko

Citazione di: Ipazia il 12 Marzo 2023, 20:32:17 PM@niko

"Siamo venuti per divenire" è ancora metafisica, finalistica.

Noi siamo venuti per stare, il più a lungo possibile nelle migliori condizioni possibili. Il senso della vita è questo.

"Finì con un flauto spezzato, e un ridere rauco, e ricordi tanti, e nemmeno un rimpianto". E questo è il senso migliore della morte.


Tu come "stare", fisicamente, e non metafisicamente, in un mondo che tanto, in nessun modo "sta" e in nessun modo, "permane" non te lo chiedi proprio.

:(

Il Papa e il Re gli dicono: 
"sta ferma!"

Eppur si muove.

La terra, al tempo di Galileo.

E pure nostro.

E vale pure per il mondo in generale, e la vita in cui siamo gettati.

Tu gli puoi dire "sta ferma!", "sta fermo!".

Quanto ti pare.

Eppur si muove.

Il tuo "stare" puo' essere solo un movimento.

Siamo venuti PER divenire, perche' siamo venuti NEL divenire.

Il tempo ben scorre anche senza  di noi, ma vivere e' provare a decidere come e  verso cosa farlo scorrere.

Noi al massimo corriamo per stare, lungo una terra che corre e basta.

Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Ipazia

Nel nostro stare abbiamo imparato a governare il divenire, mettendo d'accordo Parmenide ed Eraclito per l'arco di spaziotempo in cui siamo in vita. 

Questa condizione ci immunizza dal fatalismo metafisico connesso al divenire, dal dogmatismo metafisico connesso all'essere e dall'ipertrofico nichilismo connesso all'esserci.

In parole povere: il senso della vita è la vita stessa. Da qui si costruisce "tutto" (antropologico, non metafisico). E si impara a convivere con la natura finita di esso. Con la morte. 
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niko

#40
Citazione di: Ipazia il 12 Marzo 2023, 21:51:03 PMNel nostro stare abbiamo imparato a governare il divenire, mettendo d'accordo Parmenide ed Eraclito per l'arco di spaziotempo in cui siamo in vita.

Questa condizione ci immunizza dal fatalismo metafisico connesso al divenire, dal dogmatismo metafisico connesso all'essere e dall'ipertrofico nichilismo connesso all'esserci.

In parole povere: il senso della vita è la vita stessa. Da qui si costruisce "tutto" (antropologico, non metafisico). E si impara a convivere con la natura finita di esso. Con la morte.


Il senso della vita e' la vitalita'.

Cioe' la non-differenza assoluta tra vita e materia; la soggiacenza della materia vivente come  pure di quella non vivente alle medesime leggi di natura, da un lato, e il grande potere plasmativo della vita rispetto al mondo e al contesto che la ospita, dall'altro.

In poche parole, vitalita', ovvero il poter essere attributo (e quindi, in senso aristotelico non sostanza) della vita stessa.

Vitalita', come aggettivo apponibile sull'altro dalla vita, sia pure nel suo essere inconoscibile.

Io non diffido mai dei significati che si autocontengono, ma sempre dei "sensi", se lo fanno.

Il grande elemento che hanno in comune Parmenide ed Eraclito e' l'attualismo (la focalizzazione di entrambi su un continuo ed inconcusso presente) in un sistema culturale mediterraneo con ancora molte influenze iraniche ed orientali ("il sole e' nuovo continuamente"), ma io personalmente mi risolvo in senso Eracliteo, con l'attualismo del divenire e dell'impermanenza, e non con quello di un invisibile quanto fideistico essere.

Del resto, la ragione, se vuole rimanere strumento umanamente fungibile, non puo' sconfessare l'esperienza e la coscienza (e l'esperienza, e anche la sensorialita', attestano il divenire e l'impermanenza, non il loro contrario), e questo anche lasciando momentaneamente da parte la questione della ben rotonda verita', la questione della conoscenza.


Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Ipazia

La coscienza del divenire necessita dell'essere. Parmenide non è opzionale. L'attributo vitale necessita di una sostanza vivente. La vita non è riducibile ad accidente dell'universo quando diviene autocosciente. 

Il senso si impone da sè comunque, e non conviene lasciarlo deflagrare nel caos, nella superstizione,  ma offrirgli una direzione che va dal "conosci te stesso" al "diventare quello che si è". 

La ragione è consapevole del suo destino mortale, ma le modalità che si può dare per viverlo non sono tutte nichilisticamente equivalenti. 
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Aspirante Filosofo58

Mi è arrivato il brano che segue, che secondo me aiuta a riflettere sul tema della morte: 
"Cinque sono le cose che un uomo rimpiange quando sta per morire. E non sono mai quelle che consideriamo importanti durante la vita. Non saranno i viaggi confinati nelle vetrine delle agenzie che rimpiangeremo, e neanche una macchina nuova, una donna o un uomo da sogno o uno stipendio migliore. No, al momento della morte tutto diventa finalmente reale. E cinque le cose che rimpiangeremo, le uniche reali di una vita.
  La prima sarà non aver vissuto secondo le nostre inclinazioni ma prigionieri delle aspettative degli altri. Cadrà la maschera di pelle con la quale ci siamo resi amabili, o abbiamo creduto di farlo. Ed era la maschera creata dalla moda, dalle false attese nostre, per curare magari il risentimento di ferite mai affrontate. La maschera di chi si accontenta di essere amabile. Non amato.
  Il secondo rimpianto sarà aver lavorato troppo duramente, lasciandoci prendere dalla competizione, dai risultati, dalla rincorsa di qualcosa che non è mai arrivato perché non esisteva se non nella nostra testa, trascurando legami e relazioni. Vorremmo chiedere scusa a tutti, ma non c'è più tempo.
  Per terzo rimpiangeremo di non aver trovato il coraggio di dire la verità. Rimpiangeremo di non aver detto abbastanza "ti amo" a chi avevamo accanto, "sono fiero di te" ai figli, "scusa" quando avevamo torto, o anche quando avevamo ragione. Abbiamo preferito alla verità rancori incancreniti e lunghissimi silenzi.
  Poi rimpiangeremo di non aver trascorso tempo con chi amavamo. Non abbiamo badato a chi avevamo sempre lì, proprio perché era sempre lì. Eppure il dolore a volte ce lo aveva ricordato che nulla resta per sempre, ma noi lo avevamo sottovalutato come se fossimo immortali, rimandando a oltranza, dando la precedenza a ciò che era urgente anziché a ciò che era importante. E come abbiamo fatto a sopportare quella solitudine in vita? L'abbiamo tollerata perché era centellinata, come un veleno che abitua a sopportare dosi letali. E abbiamo soffocato il dolore con piccolissimi e dolcissimi surrogati, incapaci di fare anche solo una telefonata e chiedere come stai.
  Per ultimo rimpiangeremo di non essere stati più felici. Eppure sarebbe bastato far fiorire ciò che avevamo dentro e attorno, ma ci siamo lasciati schiacciare dall'abitudine, dall'accidia, dall'egoismo, invece di amare come i poeti, invece di conoscere come gli scienziati. Invece di scoprire nel mondo quello che il bambino vede nelle mappe della sua infanzia: tesori. Quello che l'adolescente scorge nell'addensarsi del suo corpo: promesse. Quello che il giovane spera nell'affermarsi della sua vita: amori."

(Alessandro D'Avenia -Ciò che inferno non è)
La teoria della reincarnazione mi ha dato e mi dà risposte che altre teorie, fedi o religioni non possono, non sanno o non vogliono darmi. Grazie alle risposte ottenute dalla reincarnazione oggi sono sereno e sono sulla mia strada che porterà a casa mia!

niko

#43
Citazione di: Ipazia il 13 Marzo 2023, 07:10:58 AMLa coscienza del divenire necessita dell'essere.

Non di un "essere" nel senso in cui lo intende Parmenide.

Il divenire, per essere tale, non necessita affatto di un essere metafisico, percepibile solo con gli "occhi" della ragione in quanto impercettibile con i sensi. Non necessita affatto di un essere che nel suo essere "essere", e nel suo essere "fermo", e nel suo essere "uno", renda illusione il (caleidoscopicico e roteante) mondo sensibile.

La solidita' logicamente necessaria del divenire, il concetto di "cio' che diviene dentro il divenire" per me e' il ritornare, non l'essere.

(Per continuare la metafora, il "ritornare", sarebbe la limitatezza delle configurazioni risultanti tra cristalli del caleidoscopio, anche stante una sua rotazione eterna.)

Qui ci stiamo avviando in un campo minato, per essere sintetico direi solo che il mondo greco, soprattutto con Socrate, inventa il concetto di "anima" a fini gnoseologici: la principale caratteristica dell'anima per i Greci e' quella di conoscere, e in particolare di conoscere quello che i sensi non conoscono (le idee platoniche, l'essere metafisico appunto di Parmenide, perfino gli atomi in Democrito, sono oggetti di conoscenza animica, perche' certo non sono oggetti di coscienza sensoriale, in quanto non si vedono).

Poi nel mondo cristiano il concetto di anima diventa fortemente connotato con caratteri antropologico-identitari e soteriologici, come non lo era mai stato nel mondo greco; la principale caratteristica dell'anima nel mondo cristiano e' quella di "salvarsi", di essere essenza dell'uomo, di essere tra gli enti eterni-e-creati, quindi di essere assolutamente asimmetrica nella sua stessa presenza e occupazione temporale, in quanto dotata di futuro eterno, e passato limitato.

Tutta questa digressione sull'anima mi e' stata necessaria se parliamo di Parmenide, perche' per Parmenide l'essere e' sostanza individuabile con la ragione e non certo con i sensi, e' sostanza individuabile con un "logos" che e' concetto archetipico di anima, che ne e' presagio.

I sensi attestano il divenire, e Parmenide questo non lo nega, ma squalifica il mondo diveniente mostrato dai sensi  a illusione, poiche' la ragione invece, secondo lui, attesterebbe un unico essere indivisibile e immobile, eterno non tanto nel "tempo" (per dire che e' eterno nel tempo ci vorra' Melisso), ma eterno nella continuità sempre riproponentesi dell'attimo presente.

Siamo sempre al concetto dell' "occhio" dell'anima, che vede quello che l'occhio dei sensi non vede, e poi l'anima stessa sceglie di risolversi per la verita' della sua stessa visione, "accecando", piu' o meno figurativamente, i sensi.

In questo caso, da Parmenide viene visto con l'occhio dell'anima uno sfondo eterno imperturbato e immobile su cui, come proiettate, tutte le cose che cambiano e si muovono, appunto, cambiano e si muovono (l'essere).

E questo sfondo, viene proclamato piu' reale del reale, piu' reale delle cose che su di esso cambiano e si muovono (l'essere, e non il divenire, e' la verita'), in base al principio generale che, quanto visto con gli occhi dell'anima, ovvero quanto argomentato in modo corretto e filosoficamente persuasivo (perche', fuor di metafora "vedere con gli occhi dell'anima" e' fare filosofia) e' sempre, e non solo in questo caso, piu' reale di quanto visto con gli occhi reali, dei sensi.

Si potrebbe rispondere a Parmenide che la ragione, l'anima, non puo' sconfessare quanti visto con i sensi e ridurlo a illusione; per fare buona filosofia, ci vuole piuttosto un accordo tra ragione e sensi.

I sensi sono importanti, perché contigue ai sensi sono le emozioni e l'esperienza, e l'uomo non vive di sola ragione.

Argomentare contro l'evidenza dei sensi, che mostra il divenire, e' argomentare contro noi stessi, dato che il nostro vissuto stesso e' continuo divenire (e non inconcusso essere).

Da cui la mia preferenza per Eraclito.


Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

niko

Citazione di: Ipazia il 13 Marzo 2023, 07:10:58 AML'attributo vitale necessita di una sostanza vivente. La vita non è riducibile ad accidente dell'universo quando diviene autocosciente.



L'attributo vitale non necessita affatto di una sostanza "vitale".

Necessita di una sostanza di cui a un certo livello di elementarita' e' impossibile, dire se sia vitale o no.

I nostri atomi sono gli stessi dell'acqua e del carbone e del ferro, eppure noi siamo un po' diversi, da acqua carbone e ferro.

Per questo la vita(lita') e' attributo.

La vita e' funzione e processo, funzione e processo che in linea di principio possono essere svolti dai piu' vari tipi di materia.

In generale noi moriamo, e la morte e' un fenomeno termodinamico, che necessita' della numerosita' e della complessita' delle particelle per darsi.

Se un nostro atomo fosse isolato dagli altri non morirebbe virtualmente mai.

Con ogni probabita' la vita e' come la temperatura, e' una proprieta' emergente.

L'autocoscienza anche.

Autocoscienza con cui di base l'universo si RIFLETTE, certo non si trasforma, ne' si sdoppia.

Lo sdoppiamento a partire da una mera riflessione e' impossibile, quanto alla trasformazione, che di per se' dall'autocoscienza non deriva, quella ce la dobbiamo guadagnare, e la dobbiamo ben indirizzare.


Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

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