Non chiamatela religione

Aperto da Gibran, 14 Giugno 2016, 09:54:39 AM

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paul11

Gibran
quì ci diamo tutti del tu, non è assolutamente un problema.
Beh,,,,se vuoi leggere quel che penso di religioni ,spiritualità devi andare nel forum apposito attuale e/o visitare il vecchi forum,
ti aspettano centinaia di post: buona lettura.

Il problema è che hai scritto il post in questo forum  " tematiche culturali e sociali", per cui per mia deontologia verso il forum cerco di rispettarlo e quindi quì non discuto del Corano, sure e versetti, ma delle ricadute religiose dentro la struttura socio-culturale musulmana.
Quì, riprendendo parte di ciò che ho già scritto posso dire che il Dio ebreo è di " parte", perchè riguarda solo quel popolo eletto, quindi non ci sono principi universali per tuta l'umanità. 
L'islam è simile, ed è per questo che non smettono di farsi guerra ebrei e musulmani, quando Dio diventa il "Mio Dio" ovvero un possessivo, l'altrui è un infedele. Mentre l'ebreo non cerca di convertire l'altrui poichè è la nascita o meno nel popolo eletto che distingue, il musulmano vede l'altrui in maniera ambigua, o è infedele nemico o è infedele da convertire.
Il Cristianesimo, in cui personalmente credo, fa un enorme salto di qualità e quantità, non discirmina più il popolo eletto dall'altrui, anzi costruisce una fratellanza anche verso coloro che non credono, semplicemente l'apostolato diventa portare la "buona novella",ovvero la parola di Dio e di Cristo. Dio diventa universale, per tutti gli uomini indistintamente.

Questi tre modi diversi di porsi e vivere la religione, hanno motivato e atteggiato le persone in modo diverso, anche nella storia.
L'ebreo tende ad essere un gruppo chiuso, il musulmano come il cristiano più "espansivo", ma dove il primo vede diffidenza nell'infedele , il secondo deve vedere comunque fratellanza.

Le morali e le etiche hanno così preso alcune differenze sul sentiero della storia, mutando i costumi, le modalità di giusto/ingiusto e così via.

Gibran

Oh! finalmente una risposta schietta, chiara e precisa!  E la condivido pienamente.
Per quando riguarda il problema della collocazione del mio intervento, faccio il mea culpa, avevo già capito di essermi sbagliato. Ma ormai la frittata è fatta...  mi ero riproposto di andare a dare un'occhiata alla sezione religioni, ma prima volevo aspettare e vedere che reazione avrebbe suscitato qui.
 
Sono abbastanza soddisfatto di questa reazione, specialmente ora che sono riuscito a farti uscire dal guscio! (:-)  Come avrai capito il mio era un intervento provocatorio, per smuovere le acque e possibilmente suscitare una discussione-riflessione su cose che si considerano scontate. Certo non nego che il mio discorso aveva dei risvolti sociali e politici, uno di questi, per esempio, è la conversione all'Islam di molti - si fa per dire - giovani nostrani. Queste conversioni mi hanno lasciato sempre perplesso e dubbioso. Dubbioso perché sospetto che non siano per niente sincere ma - specie nel caso di donne che si sposano con musulmani, di comodo. Perplesso perché sinceramente non capisco come si possa preferire la religione islamica a quella cristiana che come dici tu " fa un enorme salto di qualità e quantità". Ma credo si possano spiegare con l'enorme degrado culturale e spirituale della nostra epoca dove i giovani ormai escono dalla scuola con una ignoranza spaventosa...  Inoltre, e perdonami se ritorno su questo argomento, non capisco proprio come si possa preferire una figura come quella di Maometto a quella di Gesù. Vedi secondo me ognuno si identifica proprio con ciò che vorrebbe diventare o essere. Perciò non è un caso che un pugile o un terrorista si converta all'Islam dato che quello che vuole è la supremazia, la conquista, il dominio. Ed è questo l'aspetto che oggi in Europa viene trascurato e sottovalutato, ed è per questo che non sono d'accordo nel considerare l'Islam una religione come un'altra. E' nata male, e finirà peggio lasciando dietro di se una scia di distruzione.
 
"Le morali e le etiche hanno così preso alcune differenze sul sentiero della storia, mutando i costumi, le modalità di giusto/ingiusto e così via."
 
Quello che qui stai prendendo in considerazione è la morale o le etiche basate su una dato modello culturale, e cioè su un condizionamento mentale. Ma c'è una morale che non si basa su modelli culturali.
 
Provo a farti un esempio: Puoi considerare l'uomo una creatura da educare o un'animale da soggiogare. Pensa a Mosè, forse non possedeva strumenti educativi adeguati, o forse era impossibile per quei tempi e quelle circostanze educare un popolo semiselvaggio come gli ebrei di allora e creare una società civile dove ci sia un minimo di rispetto delle regole. Allora l'unica alternativa rimaneva la coercizione, fisica o psicologica, la legge del taglione, presumendo che fosse l'unica legge che il suo popolo fosse in grado di capire. Ovviamente perché la legge fosse rispettata doveva provenire da Dio in persona, no? (:-)  Non sappiamo se Mosè fosse un opportunista, un invasato o solo un capo tribale pragmatico. Questo è un modello culturale che ha impregnato i popoli semiti per migliaia di anni e che ancora vogliono proporre. Maometto, secondo me era decisamente dalla parte del furbetto. Ha voluto imitare l'opera di Mosé - dato che era risultata vincente sul piano politico, e ha creato di sana pianta una pseudo-religione sulla falsariga di quella ebraica con qualche apporto di cristianesimo... essenzialmente un inganno. E' un inganno dire che il corano gli è stato trasmesso dall'arcangelo Gabriele, è un inganno creare una società facendo credere che sia Dio a volerlo. E da un inganno non può nascere né una religione vera né una società giusta.
 
Ora prendiamo Cristo, viene e ti dice: "ama il prossimo tuo come te stesso." Puoi prendere questa frase secondo il modello culturale semita e cioè come un ordine divino a cui si deve ubbidire. Ne nascerà come è accaduto una morale ipocrita dove le persone fanno il bene non per bontà, ma per sfuggire al castigo e procurarsi il premio. Oppure puoi prendere questa frase come un insegnamento o un orientamento intuitivo da capire e approfondire. L'ego è incapace di amore, e ciò che conosciamo come "amore" è solo l'attaccamento creato dal pensiero. Se capiamo questo allora l'amore può fiorire spontaneamente e con esso l'intelligenza. E quando ci sono queste due qualità non serve alcuna morale prefissata. Fai del bene e basta e questo bene non appartiene ad alcuna cultura.
 
Ma c'è un altro aspetto che mi hai posto in evidenza tu nel tuo intervento precedente. Maometto -capo polito/religioso (come sai nella cultura semitica queste due figure erano sempre unite) fa in effetti quello che hanno fatto i rivoluzionari comunisti (Lenin - Mao) e i nazisti: si crea una società utopica con l'idea che sarà la riforma della società a riformare o cambiare l'individuo. Come hai sottolineato tu, sono religioni più "sociali". Mi è sembrato di cogliere una simpatia in te verso questo tipo di religioni...
 
Ma l'idea di cambiare la società per cambiare l'individuo è un'idea fallace - vedi fallimento di tutte queste utopie - comunismo, nazismo, etc.) perché è l'individuo che crea la società e non viceversa. A dirla meglio non c'è divisione tra individuo e società (e questo invalida ciò che hai detto sulle religioni "individualistiche"), cioè l'interno (la struttura psicologica dell'io) prevale sempre sull'esterno (la struttura della società). Il cambiamento può avvenire solo all'interno, nell'individuo, e questa è la funzione della religione, e quindi l'individuo per forza di cosa creerà una società migliore. E' l'amore che cambia il mondo, non la politica o le utopie religiose. L'amore è la sola cosa realmente rivoluzionaria, e l'amore può fiorire solo nell'individuo. Una società coercitiva distorce e inibisce la mente individuale e crea degli automi.
 
Forse questo risponde meglio ai precedenti discorsi se si deve considerare l'Islam una religione.

Phil

Citazione di: Gibran il 15 Giugno 2016, 10:35:29 AMMi ritrovo a leggere risposte che riguardano il campo economico o sociologico. Capisco che anche questi campi hanno la loro importanza, ma possiamo portare la nostra attenzione al fenomeno religioso in sé? 
Non era mia intenzione andare fuori tema, ma per completezza volevo solo ricordare che la "crisi delle religioni" nella postmodernità non è a 360 gradi, ma prettamente filosofica.

Citazione di: Gibran il 15 Giugno 2016, 10:35:29 AME' significativo come sia Paul che Phil abbiano impostato la discussione su un piano impersonale, storico-sociologico e non hanno minimamente accennato al fatto di come loro vivono personalmente la religione.
Non so se ho frainteso il tema, ma un minimo di considerazione generale su un termine ricco di storia come "religione", mi era parsa inevitabile (e non per annacquare dottamente il discorso...); altrimenti c'è il rischio di un "opinionismo selvaggio" in cui tutto si riduce al "secondo me è così...", anche quando alcune definizioni, come quella di "religione", non sono poi molto opinabili (ben venga un tentativo di metterne in discussione il significato, ma un ancoraggio alla storia diacronica del temine credo sia doveroso per stabilizzare il discorso...).


Citazione di: Gibran il 15 Giugno 2016, 10:35:29 AMCi interessa riflettere alla religione come esigenza personale o la nostra è solo una discussione accademica? 
Non per essere cavilloso, ma l'"esigenza personale" non credo sia la religione; direi che la religione è una delle possibili risposte a quella esigenza, e su questa distinzione verte la non irrilevante possibilità di una vita non-religiosa: dare per scontato che debba per forza esserci una religione interiore, e si tratti solo di scoprirla o non contaminarla con la fallibilità delle chiese storiche, lascia fuori dalla porta la possibilità di avere una risposta legittima che non sia la religione (almeno se intesa secondo la definizione classica); siamo sicuri sia un presupposto attendibile?


Citazione di: Gibran il 15 Giugno 2016, 10:35:29 AMSinceramente non riesco a capire come lei si sia formato questa idea. Io in tanti anni di studio sono arrivato ad una conclusione opposta. Ma la mia opinione non conta nulla, ci sono studiosi di calibro mondiale che possono parlare più autorevolmente di me. Il Taoismo forse è la religione che ha subito più corruzione e contaminazioni 
Non sono certo un esperto, e proprio per questo se potessi avere qualche indicazione per approfondire il tema dell'amore nel taoismo, ti (diamoci pure del "tu"!) sarei grato...


Citazione di: Gibran il 15 Giugno 2016, 10:35:29 AMFare l'elemosina è amore? Non è l'atto in sé che lo decide ma la motivazione che lo spinge. Sì può amare e NON fare l'elemosina, e si può essere generosi ed essere profondamente egocentrici. Se faccio il bene perché me lo impone la mia religione, perché mi hanno detto che così andrò in paradiso, è amore? La maggioranza delle persone cosiddette religiose è intrinsecamente ipocrita perché in realtà sta perseguendo il proprio tornaconto. 
Lungi da me il quantificare l'amore o il monetizzare il voler-bene; ma mi sembrava interessante ricordare come nell'Islam, formalmente, ci fosse almeno una dimensione non di amore, ma quantomeno di "concreto sostegno" (parole che non ho scelto a caso) nei confronti del prossimo. Ad esempio, nel taoismo di cui ho letto, non c'è traccia né di amore fraterno e nemmeno di questo sostegno (ma ribadisco di averne una conoscenza molto parziale...).


Citazione di: Gibran il 15 Giugno 2016, 10:35:29 AMOvviamente ha tutti i requisiti per essere considerata una religione... da chi non ha nessuna voglia di capire cosa sia una vera religione! (:-) Ancora una volta mi viene da ripetere: vogliamo attenerci ai valori di facciata come milioni di "praticanti" o abbiamo sete e fame per qualcosa di più sostanzioso?
Questa fame che scarta pietanze, risparmiandosi per il "vero" pasto, non corre un minimo rischio di restare alla fine a bocca asciutta? Può essere anche un'interpretazione della storia del Bramino che hai citato...
Anche snobbando audacemente la definizione da manuale, se decidiamo di "emancipare" la religione dalla sua storia, dai suoi dogmi e dalla sua comunità (ministri di culto inclusi), ciò che resta è una spiritualità individuale che non so se possa essere definita "vera religione" (espressione davvero molto impegnativa) e che nondimeno si basa su un concetto di dio che è il lascito delle stesse religioni da cui sembra volersi emendare (religioni che probabilmente giudicherebbero, per quello che vale, tale auto-nomia come segno di debolezza, o ipocrisia, o eresia, o idolatria del Sè, etc.).

Citazione di: Gibran il 15 Giugno 2016, 13:00:20 PM[domanda di Gasacchino; corsivo-grassetto mio: Parli di fare esperienza diretta (e condivido appieno il non fermarsi ad uno stato passivo della conoscenza) ma cosa vuol dire? A cosa ti riferisci?]
Mi riferisco a tutto ciò di cui le varie religioni ci parlano: Dio, la vita oltre la morte, lo stato di grazia, lo spirito santo (per restare nella terminologia cristiana) o l'illuminazione, il satori, o la percezione della verità per usare la terminologia orientale.
 "Esperienza diretta" di tutto ciò? Metterei in guardia, anche se probabilmente non ce n'è bisogno, dal considerare ogni religione la "traduzione" di un'altra, quasi si trattasse di un'unica "philosophia perennis" espressa in modi differenti : l'essere divinità di Budda non è affatto l'essere divinità rivelata del dio ebraico, la grazia dello spirito santo non ha niente a che fare con il satori etc. (senza voler andare nell'accademico ricordando che il phanteon induista non è molteplice come è "molteplice" la trinità, etc. ).


Citazione di: paul11 il 15 Giugno 2016, 01:22:27 AMComplimenti Phil, una disamina in poche parole parecchio perspicace. Mi dai una migliore possibilità di risposta
Grazie... non ti nascondo che, alla prima lettura, quel tuo "in poche parole" mi era suonato quasi sarcastico! Poi leggendo la tua risposta mi sono piacevolmente ricreduto...

paul11

Sei sagace Gibran,
non molti capiscono che il modo in cui una religione è porta è figlia del suo tempo e quindi del livello di maturità personale.
La legge e il comando dispotico predominano agli albori delle civiltà, perchè sanno poco convivere e allora c'è bisogno di una legge sovraumana che sia "timor di Dio" affinchè quella legge sia praticata come giustizia.
Sia nella Bibbia , nel vecchio testamento che il Corano vi sono versetti inquietanti rispetto alle parti misericordiose, sapienziali, insomma di dettami di saggi maestri, Devono essere interpretati in un tempo e non hanno carattere eterno diversamente se davvero fossero presi per eterni allora salta tutta la spirtualità dell'intera costruzione del Testo Sacro.
Insomma, se qualche musulmano ritenesse un paio di versetti del Corano come principi ispirativi entrano in contraddizione con tutta l'opera,Quindi attenzione alla lettura dei particolari bisogna correlarli sempre con il principio ispirativo dell'intera opera.

Il mio modesto parere è che se una persona ha un'identità interiore debole cerca esternamente quell'identità per trovare forza in se stesso. I grandi maestri spirtuali  di tutte le tradizioni, non sono mai violenti, sono fortissimi interiormente e la forza la cercano dentro di sè. Chi è debole cerca forza nel gruppo identitario e la forza diventa violenza.La violenza diventa la forma di comunicazione esterna di un'identtà debole e che il tempo spazzerà via come un vento. i gruppi violenti non durano mai, perchè a sua volta quell'identità è debole perchè la violenza alla fine non paga mai la mancanza di una forza interiore.
Gesù non indica mai la via violenza quindi non si sceglie per manifestare violenze di gruppo.
Quanti gruppi terroristici di varie ispirazione sono nati e finiti negli ultimi 50 anni? Ma soprattutto è il vero musulmano che non segue una rotta di violenza perchè il popolo tende ad una vita pacificata,serena, ha già i suoi problemi per poterne crearsene altri e allora fugge dagli scempi.
Per forza di cose vincerà il dialogo, la tolleranza e il rispetto,.Ma il problema è che nel Medio Oriente c'è troppo dissesto politico e socio culturale, l'abbiamo visto un paio di anni fa dove  ci sono state scintille rivoluzionarie. Il problema è il livello culturale di quei popoli, perchè tendono nel caos a ritornare alle teocrazie e quindi basta qualche strumentalizzatore religioso a costruire teocrazie.
E adatto che uno dei modi migliori di chi governa un popolo eè dare la colpa agli altri della propria incapacità di governo, sobillano il popolo contro gli infedeli :perchè così è facile trovare il capro espiatorio alle proprie mancanze.
La colpa del loro stato socaile è quindi attribuita all'occidentale e non allo sceicco che vive anche meglio di un capitalista occidentale, porta i soldi nella City londinese e vive di petroldollari da una parte finanziando gruppi terroristici e dall'altra accettando le diplomazie  occidentali per continuare a fare soldi con il petrolio.
Ecco perchè dico che l'Islam è il pretesto e strumento ancora una volta come racconta troppo spesso la storia, di strumentalizzazioni di organizzazioni sociali fatiscenti, dove da un a parte c'è Dubai dove  si scia come sulle Alpi dentro in grattacieli futuristici e a qualche chilometro c'è la carovana con cammelli sulle piste del deserto:questo è il loro assurdo.

Sì temo anch'io che l'uomo non cambi nel suo essere, o troppo poco.La storia non ci ha maturati come invece avrebbe dovuto.
E' come il figlio che ripete gli errori del padre, non siamo ancora capaci di capire gli errori e di non ripeterli di generazione in generazione.
E' vero: l'amore è il più forte principio universalistico perchè è l'unico aspetto che ci rende comprensibili e condivisibili.

Gibran

Bene, abbiamo qualcosa di molto succoso su cui rimuginare!


Non ho ancora imparato come si fa una citazione qui e quindi uso il mio sistema personale.


"Non era mia intenzione andare fuori tema, ma per completezza volevo solo ricordare che la "crisi delle religioni" nella postmodernità non è a 360 gradi, ma prettamente filosofica."


Capisco le sue intenzioni che sono legittime e attinenti al tema ma le chiedo di capire anche il particolare punto di vista da me scelto per la discussione. Scelgo di esaminare le religioni su criteri forse troppo personali, e ovviamente potrei sbagliarmi e cadere in ingenui trabocchetti. Mi perdoni ma sono un assoluto principiante e così voglio restare perché ho imparato a diffidare della cultura accademica in ogni campo. Un'idea non è giusta solo perché condivisa da una maggioranza di persone, e a volte anche un bambino può avere una intuizione fresca e innovativa che sorpassa tutte le conclusioni accademiche accumulate...


"Non so se ho frainteso il tema, ma un minimo di considerazione generale su un termine ricco di storia come "religione", mi era parsa inevitabile (e non per annacquare dottamente il discorso...); altrimenti c'è il rischio di un "opinionismo selvaggio" in cui tutto si riduce al "secondo me è così..."

Accetto la tiratina d'orecchi. Ha ragione, sono stato troppo impulsivo e perentorio e questo è sempre controproducente. Non ho molta simpatia per le opinioni ma sono consapevole che è facile cascarci. Per rimediare posso dirle che ho apprezzato i suoi interventi.
"Non per essere cavilloso, ma l'"esigenza personale" non credo sia la religione; direi che la religione è una delle possibili risposte a quella esigenza, e su questa distinzione verte la non irrilevante possibilità di una vita non-religiosa: dare per scontato che debba per forza esserci una religione interiore, e si tratti solo di scoprirla o non contaminarla con la fallibilità delle chiese storiche, lascia fuori dalla porta la possibilità di avere una risposta legittima che non sia la religione (almeno se intesa secondo la definizione classica); siamo sicuri sia un presupposto attendibile?"

Mi spiace ma qui non posso essere d'accordo. No, non c'è alcuna sicurezza che sia un presupposto attendibile. La sicurezza è un tranello. Se è la sicurezza che vogliamo – ed è una esigenza molto umana- non ci potrà essere mai nessun cambiamento. Mi spiego, per me la religione è un tuffo nell'ignoto. Se siamo attaccati al noto, a ciò che già conosciamo continueremo sempre per la solita strada, la strada che ha portato il mondo a un passo dalla catastrofe. (Non mi accusi di catastrofismo ma  non saprei come definire gli scenari che si stanno delineando oggigiorno).

E' ovvio che la religione non sia l'unica esigenza personale, e nemmeno l'unica risposta a quella esigenza. Quello che io intendevo era se LEI, sentiva questa esigenza personale o no. Ma mi rendo conto ora che lei ha attribuito al termine personale il significato di una "religione personale". Non sto dicendo che ci debba essere per scontato una religione interiore, le sto solo chiedendo se lei sente questa esigenza o no. E questo semplicemente per sapere se e come continuare questa discussione. Se lei mi risponde che non sente questa esigenza, il discorsi si chiude qui. Nel rispondere a Paul ho accennato alla fallacia di considerare l'individuo e la società come due entità separate. E il mio argomento, se condiviso, rende superflua la distinzione tra religione collettiva o sociale e religione personale. Ma lungi da me presentare le mie idee come verità assoluta.

"Non sono certo un esperto, e proprio per questo se potessi avere qualche indicazione per approfondire il tema dell'amore nel taoismo, ti (diamoci pure del "tu"!) sarei grato..."

Avrei preferito che fossi tu (leggo solo ora il tuo invito a passare al tu) a fare il primo passo, dato che hai tirato fuori l'argomento, e mi spiegassi come sei arrivato al punto di vista che "nel taoismo c'è un egocentrismo profondo". Dopo tutto io potrei anche essermi sbagliato. Sono da molti anni che non prendo in mano un testo taoista e la mia affermazione si basava su quello che ricordavo.  Ora dovrei verificare, andare a pescare tutto ciò che ho letto... porterebbe via troppo tempo... Posso risponderti sulla base di quello che ho creduto di capire leggendo il tuo intervento e poi quello di Paul dove parlavate di religioni sociali e individuali. Ovviamente secondo il vostro punto di vista il taoismo appare come una religione nettamente individuale e cioè accentrata sull'individuo. Ma credo sia un tranello confondere l'individuo con l'ego. Come ho detto a Paul la religione è sempre un percorso di crescita e trasformazione personale che quindi avrà il suo ripercuotersi necessariamente all'esterno sulla società. Fare l'inverso porta solo al conformismo tipico di tutte le società totalitarie. Mi piacerebbe che mi spiegassi perché dai così importanza alla società. Questa è una posizione marxista.

"Questa fame che scarta pietanze, risparmiandosi per il "vero" pasto, non corre un minimo rischio di restare alla fine a bocca asciutta?"

Certo. Nulla di garantito. Si sa quello che si lascia ma non si sa quello che si trova. Insicurezza, dubbio, solitudine, perfino la paura di diventare pazzi.... (:-) E' una strada che non consiglio a nessuno. Molto più comodo attenersi al noto, alle idee condivise, la società ci offre sostegno e motivazione. Ma l'amore non ha motivazioni! (:-)

"Anche snobbando audacemente la definizione da manuale, se decidiamo di "emancipare" la religione dalla sua storia, dai suoi dogmi e dalla sua comunità (ministri di culto inclusi), ciò che resta è una spiritualità individuale che non so se possa essere definita "vera religione" (espressione davvero molto impegnativa) e che nondimeno si basa su un concetto di dio che è il lascito delle stesse religioni da cui sembra volersi emendare (religioni che probabilmente giudicherebbero, per quello che vale, tale auto-nomia come segno di debolezza, o ipocrisia, o eresia, o idolatria del Sè, etc.)."

Vedo che hai inquadrato bene il problema. Spero che Gasacchino lo legga e rifletta bene su tutto ciò. Quello che dici è sensato, ma ancora ti chiedo cosa hai contro una spiritualità individuale?  "Se qualcosa può accadere, può accadere solo nell'individuo." No, non è idolatria del sé (che lascio alle religioni semitiche) al contrario è la demistificazione di ogni attività del sé, dell'ego, possibile solo individualmente tramite ciò che i greci chiamavano conoscenza di sé, una conoscenza ovviamente fattuale e non intellettuale che può avvenire solo nella relazione. E' nelle relazioni che l'ego si rivela e lo possiamo osservare. Quindi quella che a te sembra una strada egocentrica e "individualista" è in realtà un processo globale di interazione col mondo che ci circonda.

""Esperienza diretta" di tutto ciò? Metterei in guardia, anche se probabilmente non ce n'è bisogno, dal considerare ogni religione la "traduzione" di un'altra, quasi si trattasse di un'unica "philosophia perennis" espressa in modi differenti : l'essere divinità di Budda non è affatto l'essere divinità rivelata del dio ebraico, la grazia dello spirito santo non ha niente a che fare con il satori etc. (senza voler andare nell'accademico ricordando che il phanteon induista non è molteplice come è "molteplice" la trinità, etc. )."

Anche qui c'è un certo grado di buon senso o di cautela che condivido. Ma devi capire che per rispondere a Gasacchino ho dovuto per forza di cose semplificare troppo. Tuttavia il punto di vista di base, per me rimane valido. Se crediamo valga la pena condurre una ricerca spirituale, se è questo il nostro orientamento religioso, allora il problema sarà, con quale strumento faremo questa ricerca?  Ma non ti sei mai chiesto di quale capacità, potere, o strumento erano dotati coloro che hanno "parlato in nome di Dio"? O accetti il mito, e cioè una visione infantile, oppure l'unica alternativa è che i "profeti" (meglio non definire questa parola) avevano una percezione diretta di quello di cui parlavano. E perché non noi?

"L'essere divinità di Buddha", è una espressione che non mi piace per niente. Forse confondi i Bodhisatva adorati dal popolo nei templi buddhisti come dei e li prendi come tali (un altro valore di facciata), e ignori forse che l'originale dottrina del Buddha non ha mai voluto (e a ragione) entrare nel merito dell'esistenza di Dio. Questo è un argomento che richiederebbe un approfondimento e che cozza con la nostra idea di Dio ereditata dalla cultura semitica.

Gibran

Paul,
cominciamo a trovare un terreno comune...



"Il mio modesto parere è che se una persona ha un'identità interiore debole cerca esternamente quell'identità per trovare forza in se stesso. I grandi maestri spirtuali  di tutte le tradizioni, non sono mai violenti, sono fortissimi interiormente e la forza la cercano dentro di sè. Chi è debole cerca forza nel gruppo identitario e la forza diventa violenza. La violenza diventa la forma di comunicazione esterna di un'identità debole e che il tempo spazzerà via come un vento. i gruppi violenti non durano mai, perchè a sua volta quell'identità è debole perchè la violenza alla fine non paga mai la mancanza di una forza interiore."


E' esattamente quello che io penso e che intendevo parlando di Maometto.


"Ma soprattutto è il vero musulmano che non segue una rotta di violenza perchè il popolo tende ad una vita pacificata, serena, ha già i suoi problemi per poterne crearsene altri e allora fugge dagli scempi."


Perdonami il cinismo ma chi può dire chi è il vero musulmano? Perché non vedere semplicemente l'uomo dietro l'etichetta? E in ogni cultura o paese o religione ci sono individui "giusti" e intelligenti e individui che hanno un rapporto conflittuale con sé e con gli altri. Dopo tutto la volontà di dominio nasce da una incapacità a relazionarsi...


Ma siamo sicuri che i cosiddetti musulmani moderati prevarranno sugli estremisti? Ti confesso che sono pessimista perché c'è una tendenza "planetaria" come si usa dire oggi verso la violenza, l'estremismo, etc. è come se l'ego si fosse risvegliato e ringalluzzito...
Forse mi sbaglio, anzi forse farnetico, ma l'idea me la messa in testa l'anno scorso un australiano conosciuto in internet. La butto giù qui come ipotesi... e spero non sia vera.


Parlando di terrorismo, l'australiano che si è dichiarato un cristiano fervente, ha concluso il discorso citando l'apocalisse e la lotta finale tra il bene e il male, tra – credo l'arcangelo Gabriele e l'anticristo e dicendo che lui era sicuro che – proprio perché conosceva "il libro" (la bibbia) sapeva che l'esito finale della battaglia sarebbe stato a favore dei cristiani. Stava cioè dicendo che Maometto era il famoso anticristo... io ho sempre considerato l'apocalisse come il prodotto di allucinazioni, ma visto lo scenario apocalittico di oggi... (:-)


L'Australia è oggi, l'unica nazione che ha apertamente una posizione anti-islamica (o islamofobica come si usa dire (sic), in tutte le altre ormai non puoi permetterti di dire niente contro l'islam. Ho letto oggi questo articolo sul Times di Londra:

(dimmi se non capisci l'inglese e te lo traduco)

"Saudi Arabia's row with the United Nations over a report which accused it of killing hundreds of children during its war in Yemen has escalated, with the Kingdom demanding the UN reveal its sources.
After Riyadh threatened to issue a fatwa declaring the organisation "anti-Muslim" and cut millions of dollars of funding, the UN made an unprecedented retraction and removed Saudi Arabia from a list of nations accused of abuses against children.
Ban Ki-Moon, the UN secretary-general, said removing the country from the list just four days after the was made public was "one of the most painful and difficult"

Per me è un fatto gravissimo, nemmeno l'Onu può più permettersi si criticare il comportamento violento e spietato dell'Arabia, perchè altrimenti vieni accusato di essere anti-islam, come se l'islam comportasse l'uccidere I bambini!

Jean

Cit. Gibran - Ma l'idea di cambiare la società per cambiare l'individuo è un'idea fallace - vedi fallimento di tutte queste utopie - comunismo, nazismo, etc.) perché è l'individuo che crea la società e non viceversa. A dirla meglio non c'è divisione tra individuo e società (e questo invalida ciò che hai detto sulle religioni "individualistiche"), cioè l'interno (la struttura psicologica dell'io) prevale sempre sull'esterno (la struttura della società). Il cambiamento può avvenire solo all'interno, nell'individuo, e questa è la funzione della religione, e quindi l'individuo per forza di cosa creerà una società migliore. E' l'amore che cambia il mondo, non la politica o le utopie religiose. L'amore è la sola cosa realmente rivoluzionaria, e l'amore può fiorire solo nell'individuo. Una società coercitiva distorce e inibisce la mente individuale e crea degli automi. 

Da una parte direi che sia la somma degli individui a determinare (non userei "crea") la forma della società e le sue caratteristiche, dall'altra parte è il contesto sociale che agisce sull'individuo, sia positivamente – ottenendone in risposta collaborazione e integrazione – sia negativamente – con rifiuto e ribellione. 

In una visione d'insieme (un po' come la storia dell'uovo e della gallina che si risolve nell'ammettere una fase di coesistenza) si ha da principio un individuo che matura il rifiuto delle regole e necessariamente, salvo non si ritiri in isolamento, il suo proporre tale visione ad altri. 
Se avrà successo si formerà il primo nucleo di una società (intesa come appartenenza a regole/interpretazioni condivise) all'interno di quella prevalente (almeno come dimensioni/importanza). 

Un fluire continuo tra individuo e società che ricorda i meccanismi biologici, quando si sviluppano cellule di una "nuova" società che il "sistema" immunitario non è più in grado di eliminare. 
Se ci domandiamo il "perché" arriviamo a parlare, in senso lato, di "storia". 
Perché non c'è una "storia" (biochimica) cui far riferimento per affrontare quel qualcosa di nuovo, che magari ha trovato anche il modo di chiudere le porte (recettori) agli "ispettori". 
Che è quanto analogamente accade per la storia umana.   


Sul cambiamento che possa avvenire solo dall'interno (e sulla funzione della religione... secondo la definizione della Treccani quella musulmana/maomettana vi rientra a pieno titolo, ma comprendo l'intento provocatorio a fin di discussione del titolo della stessa) non mi pronuncio qui, per non estendere l'off-topic ... ma almeno vorrei considerare la possibilità dell'arbitraria divisione tra interno ed esterno... tra materia ed energia, osservatore ed osservato e così via.


Sull'amore che cambia il mondo, beh, sembra ancora un processo lungi dal compiersi e perennemente in divenire, salvo intenderlo a livello "locale", a macchia di leopardo all'interno delle comunità, sociali o religiose che siano. 
Nessuno nega l'esistenza dell'amore... come poterne parlarne altrimenti? 
Ma sovente ci si dimentica come sia una "forza" per definizione senza condizionamenti e, scusatemi, diffido di chi proclami di conoscerla e comprenderne i disegni. 
Solo chi ama conosce l'amore e l'amore di cui si parla non lo è.
 
 
Cordialmente
Jean

Phil

Citazione di: Gibran il 15 Giugno 2016, 18:37:48 PMMi spiego, per me la religione è un tuffo nell'ignoto. Se siamo attaccati al noto, a ciò che già conosciamo continueremo sempre per la solita strada, la strada che ha portato il mondo a un passo dalla catastrofe
Diciamo che prima ho "spezzato una lancia" in favore dell'Islam (ricordando l'elemosina), ora vorrei invece "fare l'avvocato" di quelli che non amano tuffarsi... ma non per il gusto di tifare per David contro Goliath (anche perché non sono affatto sicuro che qui vincerebbe David), ma solo per mantenere il discorso più "completo" possibile, senza penalizzare o scartare alcuni elementi che, di diritto, ne fanno parte...

Citazione di: Gibran il 15 Giugno 2016, 18:37:48 PMAvrei preferito che fossi tu [...] a fare il primo passo, dato che hai tirato fuori l'argomento, e mi spiegassi come sei arrivato al punto di vista che "nel taoismo c'è un egocentrismo profondo". Dopo tutto io potrei anche essermi sbagliato. 
Vado a memoria, ma credo che l'argomento non sia stato convocato da me, ma da chi (forse tu, non ricordo) sottolineava la differenza fra l'Islam e le altre religioni (comunque non importa, rispondo volentieri). Quel che ricordo del taoismo è basato sulla lettura dei cosiddetti "Classici" (commentati): I Ching (taoismo embrionale), Tao Te Ching, Chuang Tzu (ma non il Lie Tzi), più altri testi critici sul taoismo (fra cui consiglio il "Trattato dell'efficacia" di F. Jullien). Finora ho sempre trovato nell'ideale del saggio taoista una ricerca individuale che lo portava ad abbandonare la società, a snobbare onorificenze proposte, a vivere una vita semplice e tendenzialmente eremitica. Senza nessun accenno a far del bene al prossimo o alla necessità etica di predicare la propria saggezza (invisibile e incomunicabile, proprio come l'illuminazione dei koan zen). Per questo concluderei che nel taoismo c'è molta ricerca individuale della saggezza (chiamiamola così), ma per quanto riguarda l'apertura e l'amore verso il prossimo (di cui, se non erro, si parlava quando si è citato il taoismo), almeno sulla carta, l'Islam è decisamente più "filantropico".
Sul buddismo, opinione mia, non ha nemmeno senso dire che sia essenzialmente una religione; ho usato l'espressione "divinità di Budda" per restare nella visione comune di quel culto (senza far deviare il discorso troppo ad oriente), ma ti ringrazio di avermi dato l'opportunità di chiarirmi (anche se magari non tutti converranno con la mia interpretazione laica).

Citazione di: Gibran il 15 Giugno 2016, 18:37:48 PMNulla di garantito. Si sa quello che si lascia ma non si sa quello che si trova. Insicurezza, dubbio, solitudine, perfino la paura di diventare pazzi.... (:-) E' una strada che non consiglio a nessuno. Molto più comodo attenersi al noto, alle idee condivise, la società ci offre sostegno e motivazione. Ma l'amore non ha motivazioni! (:-) 
Qui metterei in ballo una "terza via": c'à la via della ricerca personale (a cui alludi, se non ho frainteso), la via delle sicurezze sociali (più o meno religiose), ma c'è anche la via della non-ricerca religiosa che tuttavia non si rassicura né con le "coccole" della comunità, né con l'amore come "collante esistenziale"... e, come potrai  ben intuire, anche questa è una via che è piastrellata di "Insicurezza, dubbio, solitudine, perfino la paura di diventare pazzi" (tua citazione).


Citazione di: Gibran il 15 Giugno 2016, 18:37:48 PMMi piacerebbe che mi spiegassi perché dai così importanza alla società. Questa è una posizione marxista. 

Citazione di: Gibran il 15 Giugno 2016, 18:37:48 PMQuello che dici è sensato, ma ancora ti chiedo cosa hai contro una spiritualità individuale? 
Un "marxista" che aborra la "spiritualità individuale": devo essermi espresso e presentato davvero male se ti ho dato questa impressione (forse sono più simile a tutto il contrario!).
Assolutamente niente contro la spiritualità individuale,  Il mio intento era solo distinguere fra la religione, vissuta collettivamente come "da manuale", e la ricerca individuale che, proprio essendo più libera da vincoli "sociali" (semplifichiamo), ha una tonalità differente, ma per nulla deprecabile, anzi...


Citazione di: Gibran il 15 Giugno 2016, 18:37:48 PMMa non ti sei mai chiesto di quale capacità, potere, o strumento erano dotati coloro che hanno "parlato in nome di Dio"? O accetti il mito, e cioè una visione infantile, oppure l'unica alternativa è che i "profeti" (meglio non definire questa parola) avevano una percezione diretta di quello di cui parlavano. E perché non noi? 
Anche qui tertium datur: o si crede alla visione canonica delle religioni, o i profeti avevano raggiunto-esperito una consapevolezza originaria, o... si, c'è anche un terzo orizzonte...

Veniamo adesso alla nota dolente:
Citazione di: Gibran il 15 Giugno 2016, 18:37:48 PM E' ovvio che la religione non sia l'unica esigenza personale, e nemmeno l'unica risposta a quella esigenza. Quello che io intendevo era se LEI, sentiva questa esigenza personale o no. 
[...] E questo semplicemente per sapere se e come continuare questa discussione. Se lei mi risponde che non sente questa esigenza, il discorso si chiude qui. 
Non ho più questa esigenza (ma ho vissuto anche la sua sferzante presenza) e quel "più" è solo cronologico, non implica un essere migliorato/peggiorato; ognuno può giudicare la mia posizione come vuole, ma spero non lo faccia leggendo solo queste ultime frasi, ma anche un po' quanto scritto prima e altrove...

Ora ti propongo un "gioco linguistico": prova a redigere una definizione di "religione" in cui rientrino tutte le religioni che consideri tali, ma non l'Islam... 
poi confrontala con la definizione di "religione" del vocabolario e così potrai salvaguardare, anche in futuro, questa discussione da possibili fraintendimenti...

Gibran

#23
Jean,
grazie di questo tuo contributo (continuo col tu dato che mi è stato detto che qui si usa così).


In generale posso concordare con le precisazioni che fai, che rispecchiano la concezione del rapporto individuo società in voga nella nostra cultura. Ma nel contempo non rinuncio a proporre una diversa e non condivisa visione di questo rapporto.  Non ha senso accettare o respingere questa visione sulla base dell'autorevolezza di chi parla o sul solo ragionamento logico. Dobbiamo avere questa visione per via empirica (non so quanto sia appropriata questa mia espressione).

"Da una parte direi che sia la somma degli individui a determinare (non userei "crea") la forma della società e le sue caratteristiche, dall'altra parte è il contesto sociale che agisce sull'individuo, sia positivamente – ottenendone in risposta collaborazione e integrazione – sia negativamente – con rifiuto e ribellione. "

Vorrei – se ne fossi capace – instaurare un dialogo Socratico, un dialogo che sia al contempo un'indagine e quindi una scoperta e non solo una disquisizione logica o uno sfoggio di conoscenza acquisita per via intellettuale. Allora facciamo la prova: chiediamoci cosa sia l'individuo e cosa sia la società. Se rispondo subito in base a ciò che già so, a ciò che ho letto, imparato dai libri o dalla viva voce di qualcun altro, l'indagine non può partire. Ma se pongo seriamente la domanda a me stesso e rifiuto ogni conoscenza di seconda mano allora da prima mi sembra di trovarmi in una impasse: la risposta sincera sarebbe: "non lo so". Questo riconoscimento di "non sapere" (ricordiamo sempre Socrate) pone un alt momentaneo ai meccanismo automatici della nostra mente e ci costringe a guardare al problema da un punto di vista diverso, ci spinge cioè a guardare dentro di noi per capire direttamente cos'è quella cosa che sembra vivere dentro la nostra testa e che chiamiamo io. Cosa ci trovo? Fai la prova, senza dire so già cosa sono... ci troverai solo un cumulo di memorie, di immagini, alcune richiamate da stimoli esterni alcune che sorgono senza una apparente logica. E troveremo anche tutta una serie di identificazioni con queste immagini, alcune positive  e alcune negative. (Questo mi piace e questo no) e cioè mi troverò ad avere a che fare con le emozioni associate alle immagini, e quindi a quei grossi nodi psicologici che sono la paura e il desiderio. C'è altro oltre a questo? C'è la sofferenza (o il ricordo di essa), c'è la ricerca del piacere, che è ancora qualcosa relativo alla memoria, e ci sono una infinità di pensieri verbali. E' "roba nostra" tutto questo? Come risponderemo a questa domanda? Questa è ciò che si chiama la coscienza individuale. Ma quanto è realmente individuale questa coscienza?

C'è il senso di un io, ovviamente, e la convinzione molto radicata di essere individui separati dagli altri. Ma ciò che ci dà il senso dell'io, di una individualità separata,  è solo un fenomeno di identificazione con alcuni dei contenuti mentali, la mia casa, la mia famiglia, i miei possessi, i miei hobby, etc. , e l'io dà vita e continuità a queste memorie del passato. Dobbiamo capire questo processo di identificazione.


Proseguendo l'indagine possiamo chiederci: la mia coscienza individuale è diversa da quella di un altro individuo?  Sì, e no. Ci saranno delle differenze nella memoria dato che ognuno ha vissuto esperienze diverse, ma fondamentalmente la struttura della coscienza è uguale per tutti gli uomini. La nostra sofferenza è la sofferenza dell'umanità, e possiamo arrivare a vedere come ci sono contenuti mentali in noi che non provengono dalla memoria delle nostre esperienze vissute. Noi condividiamo con il resto dell'umanità non solo la nostra struttura biologica ma anche quella psicologica. Noi siamo pesantemente condizionati dal mondo esterno non solo per le idee e convinzioni che assorbiamo da esso ma perché in realtà siamo parte di una "coscienza collettiva".  C'è un biologo inglese di cui ora mi sfugge il nome che ha scoperto prove di questa coscienza collettiva anche negli animali. Ma è molto più semplice scoprirla in noi stessi...

Allora, è vero come dici tu che "dall'altra parte è il contesto sociale che agisce sull'individuo," ma mentre l'individuo può esistere senza la società, la società non può esistere senza l'individuo, è per questo che ho detto che l'individuo crea la società. La società è lo specchio fedele della nostra coscienza, se siamo violenti dentro, creeremo una società violenta e a nulla serviranno le coercizioni esterne. Quindi siamo allo stesso tempo un prodotto e la causa della società.  Ma è vano cercare di cambiare o migliorare l'individuo agendo socialmente, cioè condizionandolo dall'esterno – l'azione deve iniziare all'interno.  Se non cambia l'individuo (che ha in sé la coscienza collettiva) la società non potrà mai cambiare perché è la diretta emanazione di questa coscienza. Detto in parole povere: noi siamo il mondo e il mondo è noi, e se vogliamo cambiare il mondo dobbiamo cambiare noi stessi.

(Mi viene in mente la frase di Gesu: voi siete il sale della terra... ma non sono sicuro che c'entri!).

Jean

Grazie a te per l'occasione, Gibran,
 
sono sostanzialmente d'accordo su quanto dici... un po' troppo per  la mia capacità di replicare... non avendo una grande autonomia e prediligendo la sintesi. 
Mi dispiace ancora per l'errore di collocazione (della discussione) e temo (per dire, eh...) l'eventualità di sconfinare nell'off-topic, per cui ne discende una premessa: discutere di religioni e delle loro caratteristiche (al di là del significato assunto dal  vocabolario) può implicare il dover ripercorrerne  l'origine... e l'origine di tutto sta nel pensiero e il senso dell'io che ne scaturisce. Così potrebbe essere, per chi lo vorrà compiere, un lungo viaggio, lettore avvisato...
 
Nello specifico, concordo con le tue parole (che puoi ritrovare quasi nella medesima forma nella mia discussione sul vecchio forum: Che siamo, da dove veniamo, dove andiamo): "Se rispondo subito in base a ciò che già so, a ciò che ho letto, imparato dai libri o dalla viva voce di qualcun altro, l'indagine non può partire."

... ponendoti tuttavia la questione se "tutta quella roba nostra",  che chiami la coscienza individuale, sia davvero momentaneamente stoppata dal riconoscimento di non sapere. 
Certo può esserne l'espressione attraverso il pensiero, ma è dal medesimo "serbatoio" che procederà (riattivata la funzione del pensiero) sia pur per un differente percorso, l'elaborazione mentale.
E da questo (tra i tanti) differente percorso richiamo la tua attenzione su conclusioni e certezze cui giungi:

"In realtà non c'è alcuna divisione tra contenuti e contenitore. Ciò che chiamiamo l'io è solo un fenomeno di identificazione con alcuni di questi contenuti, la mia casa, la mia famiglia, i miei possessi, i miei hobby, etc. , e l'io dà vita e continuità a queste memorie del passato. Ciò che chiamiamo pensiero (che non è disgiunto dalle emozioni) e che riteniamo una facoltà "spirituale" è in realtà un processo meccanico che non ha nulla di spirituale."
 
Tanta roba, eh...

 
Adesso ti propongo un'ipotesi...

...nella coscienza collettiva, il serbatoio dei serbatoi, sarà certamente (non potrebbe essere altrimenti) registrato questo approccio, magari, anche se dubito, fu proprio Socrate a immaginarlo, e quando nell'attuale coscienza individuale vien riproposta la medesima modalità, lo stesso schema... lo stesso input, ecco che al termine dell'indagine, come la chiami, si arriva alle conclusioni... ma c'è un problema, non son le stesse per tutti. 
Ciò inficia l'approccio, o questo ha una limitata validità? 
Oppure ritorniamo sempre lì, tutto è vero e falso (ahinoi, il principio di non contraddizione...) allo stesso tempo e non c'è una sola verità?
 
E a cosa mirano le religioni se non a proclamare l'unica verità?
Ma c'è un problema... attingono anch'esse dal medesimo serbatoio...
 
 
Cordialmente

Jean   

Gibran

Jean,


"... ponendoti tuttavia la questione se "tutta quella roba nostra",  che chiami la coscienza individuale, sia davvero momentaneamente stoppata dal riconoscimento di non sapere.

Certo può esserne l'espressione attraverso il pensiero, ma è dal medesimo "serbatoio" che procederà (riattivata la funzione del pensiero) sia pur per un differente percorso, l'elaborazione mentale."


Ho riletto oggi quello che ho scritto ieri e mi sono accorto che il mio discorso presentava sia dettagli che appesantivano il ragionamento  e sviavano dall'indagine principale (ora le ho eliminate) sia parti non espresse bene e anche un po' confuse. Una di queste è quella che tu citi.


Sì, hai perfettamente ragione, l'elaborazione mentale procederà sempre dal medesimo serbatoio, a meno che non sia in opera un'azione diversa. Questa azione è semplicemente l'osservazione pura, o se preferiamo la consapevolezza. Questo è un punto che meriterebbe un approfondimento che non voglio fare ora.


Il riconoscimento del non sapere, significa essenzialmente vedere i limiti della conoscenza accumulata ed essere disposti a metterla da parte almeno quanto basta per permetterci una osservazione pura, non influenzata cioè da ciò che il pensiero dà per scontato. Sarà qualcosa magari di pochi secondi, o anche solo una frazione di secondo, dato che il pensiero si insinuerà comunque e inevitabilmente nella nostra osservazione. Non si tratta di concentrarci ma di rimanere consapevoli di questo oscillare da un polo all'altro, l'osservare passivamente da un lato e l'attività del pensiero che vuole sempre giudicare, accettare, respingere, etc. dall'altro lato. Entrambi i fenomeni fanno parte della nostra coscienza. Questo basta per una prima indagine che ci permetta di capire in concreto cosa sia la coscienza individuale. La scoperta di non essere individui separati viene spontaneamente una volta che siamo radicati nella consapevolezza interiore.

"...nella coscienza collettiva, il serbatoio dei serbatoi, sarà certamente (non potrebbe essere altrimenti) registrato questo approccio, magari, anche se dubito, fu proprio Socrate a immaginarlo, e quando nell'attuale coscienza individuale vien riproposta la medesima modalità, lo stesso schema... lo stesso input, ecco che al termine dell'indagine, come la chiami, si arriva alle conclusioni... ma c'è un problema, non son le stesse per tutti.
Ciò inficia l'approccio, o questo ha una limitata validità?
Oppure ritorniamo sempre lì, tutto è vero e falso (ahinoi, il principio di non contraddizione...) allo stesso tempo e non c'è una sola verità?"


Verissimo. E' proprio il maggior pericolo e quello che inficia in molti casi l'indagine interiore.


"E a cosa mirano le religioni se non a proclamare l'unica verità?
Ma c'è un problema... attingono anch'esse dal medesimo serbatoio... "


Detto così le cose sembrano senza via d'uscita. Siamo sempre condizionati e quindi le "verità" religiose saranno "sempre" delle verità condizionate. Questo è un buon argomento a favore di chi diffida delle religioni. Io sono uno di quelli. Come ho accennato raccontando la storiella del bramino indiano, la maggior parte delle vie religiose portano solo a delle illusioni, perché in realtà partono già sapendo cosa vogliono scoprire, e ovviamente lo scopriranno ma sarà una proiezione di ciò che volevano scoprire. E' un meccanismo perverso a pensarci bene! (:-)


Il mio discorso precedente voleva solo rispondere al problema se la religione deve essere individuale  o collettiva come suggerito da alcuni. Il problema che hai sollevato tu è fondamentale e richiede una trattazione a parte. Forse ne parlerò in seguito se c'è qualcuno a cui interessa.

Buona giornata.

Gibran

Phil,

"Finora ho sempre trovato nell'ideale del saggio taoista una ricerca individuale che lo portava ad abbandonare la società, a snobbare onorificenze proposte, a vivere una vita semplice e tendenzialmente eremitica. Senza nessun accenno a far del bene al prossimo o alla necessità etica di predicare la propria saggezza (invisibile e incomunicabile, proprio come l'illuminazione dei koan zen). Per questo concluderei che nel taoismo c'è molta ricerca individuale della saggezza (chiamiamola così), ma per quanto riguarda l'apertura e l'amore verso il prossimo (di cui, se non erro, si parlava quando si è citato il taoismo), almeno sulla carta, l'Islam è decisamente più "filantropico".

Ora capisco meglio quello che intendevi. Sì, in un certo senso hai ragione, se ci atteniamo ad una visione esteriore del fenomeno. Ma ci sono due fattori da considerare:

1) Molte delle notizie sui saggi taoisti sono solo delle leggende, in ogni caso racconti frammentari e parziali. Chi fossero in realtà queste persone, come si comportavano (o comportassero – io come Fantozzi scivolo sempre sui congiuntivi)  nella vita è qualcosa che non possiamo sapere con certezza. E poi ovviamente ci saranno state delle differenze da persona a persona. Ma lo stereotipo del taoista che si nasconde nelle montagne e bada solo ai fatti suoi esiste ed è ben radicato nella cultura cinese, quindi la tua impressione ha un fondamento. Io credo che il vero illuminato taoista non poteva prescindere dal riversare verso il prossimo l'amore che era fiorito in lui, altrimenti la sua sarebbe stata una illuminazione fasulla.
Mi viene in mente ora una storiella Zen, riportata nel libretto "101 storie Zen" che conferma la mia visione che le spiritualità orientali non siano prive di una azione "sociale".  Un medico giapponese aveva sentito parlare dello Zen e per saperne di più si era recato da uno stimato maestro. "Cosa fai nella vita" gli chiese costui. "Il medico" rispose l'altro. "Allora ama i tuoi pazienti e prenditi cura amorevolmente di loro. Questo è lo Zen."  La storiella ha un seguito ma per la nostra discussione non è rilevante.

2) Hai mai sentito parlare dell'idea taoista che il saggio, pur nella solitudine delle montagne è capace di influenzare il mondo intero?  Dato che il taoismo attuale è intriso di magia (una delle tante corruzioni) questa idea può ovviamente essere scartata come una idea magica.  Ma curiosamente ho trovato conferma di questa idea nel concetto moderno di coscienza collettiva (vedi mia risposta a Jean). Se ammettiamo che esiste una coscienza collettiva allora la trasformazione interiore influenzerà il mondo esterno senza che ci sia una apparente azione da parte nostra. E forse potrebbe essere questo il maggior contributo che l'illuminato è in grado di dare all'umanità.

"Qui metterei in ballo una "terza via": c'à la via della ricerca personale (a cui alludi, se non ho frainteso), la via delle sicurezze sociali (più o meno religiose), ma c'è anche la via della non-ricerca religiosa che tuttavia non si rassicura né con le "coccole" della comunità, né con l'amore come "collante esistenziale"... e, come potrai  ben intuire, anche questa è una via che è piastrellata di "Insicurezza, dubbio, solitudine, perfino la paura di diventare pazzi" (tua citazione)."

Mi sembra di capire che tu propenda per questa terza via?

"Anche qui tertium datur: o si crede alla visione canonica delle religioni, o i profeti avevano raggiunto-esperito una consapevolezza originaria, o... si, c'è anche un terzo orizzonte..."

Beh, non sarebbe il caso di essere meno misterioso e dirmi quale sarebbe questa terza via?

"Non ho più questa esigenza (ma ho vissuto anche la sua sferzante presenza) e quel "più" è solo cronologico, non implica un essere migliorato/peggiorato; ognuno può giudicare la mia posizione come vuole, ma spero non lo faccia leggendo solo queste ultime frasi, ma anche un po' quanto scritto prima e altrove..."

Io non giudico nessuno, tanto meno l'evoluzione che prende la nostra ricerca. Avrai le tue buone ragioni e aspetto di sentirle.

"Ora ti propongo un "gioco linguistico": prova a redigere una definizione di "religione" in cui rientrino tutte le religioni che consideri tali, ma non l'Islam...
poi confrontala con la definizione di "religione" del vocabolario e così potrai salvaguardare, anche in futuro, questa discussione da possibili fraintendimenti..."

Sono sempre stato negato per i giochi linguistici, e mi trovo quindi a mal partito nel soddisfare questa tua richiesta. Sii gentile e svelami tu l'arcano.

paul11

Leggo che si riesce a confrontarci con una leggerezza dell'essere su argomenti non facili:bene

Maometto e l'Islam non sono violenti in sè e per sè.L'Isis è violento.

Le religioni sono strutturazione a volte formale(teologie) di un pensiero spirituale che ha al proprio interno
un'architettura di psiche e concetto, di emozioni e saggezza, in cui si contraddistinguioo una cosmogenesi,
un origine, una parusia ed escatologia, un fare un evoleversi verso un fine , la cui esistenza del singolo umano è all'interno di
questi significati.
Le spiritualità a differenze delle religioni vere e proprie non hanno questa strutturazione
Le religioni sono sociali chi più o meno in funzione del messaggio spirituale interno nel testo sacro che ne fanno origine ispirativa divina.
Si potrebbe dire che le religioni sono le chiavi di lettura che Dio da all'uomo per dare una signifcazione alla propria esistenza, va da sè quindi che ne escano etiche e morali, modalità di comportamento in funzione di un bene e di un male.

Il fare del bene nelle religioni ha sempre un aspetto sociale, perchè relazionano l'individuo alla famiglia, ai conoscenti alla società.
Quindi per la prima volta nella storia implicitamente o esplicitamente si arriva al Bene comune come somma delle azioni singole individuali.

Tornando ai musulmani, un problema fondamentale è che non hanno la figura autorevole come per il cattolicesimo lo è il Papa.
L'Isis in questo è furbo quando pubblicizza la rinascita del califfato, proprio perchè non hanno il Vicario di Maometto.

Se una religione storicamente si è divisa con diaspore, come fra sunniti e sciti, il testo sacro diventa elemento interpretativo per giustificare scelte di "campo", politiche.La mancanza di autorità autorevoli si presta ad avere ambiguità strumentali da parte della politica e quei popoli come si trovano in situazioni di malessere sociali tendono conformisticamente a cercare la via islamista reazionaria(anche se travestita di rivoluzione).
In politica e diplomazia la cosa peggiore è non avere interlocutori autorevoli, credibili e rappresentativi, perchè quella società si disfà atomizzandosi in innumerevoli satelliti dove non è più chiaro il centro di gravità, ovvero il nucleo paradigmatico  e fondativo di quella società. Se non si ha chi tira le fila e dirima le interpretazioni e non sa trasportare il messaggio spirituale nel sociale quotidiano di ogni musulmano dandogli una via, quella società dal punto di vista religioso è allo sbando.
Loro sono da troppo tempo in questa situazione, ma sono altrettanto convinto che l'occidente democratico teme da sempre 
un'unità musulmana ,perchè le religioni essendo sociali diventano politica confessionale creando partiti di ispirazione religiosa,
Le religioni non possono esimersi di enrtare nella vita culturale e sociale, è il dettame sociale del messaggio religioso.

Gibran

Paul,


su alcuni punti ci troviamo in sintonia ma su altri no. E' giusto così.


Ho voluto pubblicare il mio primo intervento sull'Islam per presentare una visione delle religioni o di cosa sia una religione, diversa e anzi all'antitesi di quella comunemente accettata. Prendo atto che questa visione non è condivisa dai partecipanti di questo forum e chiudo qui il discorso.


Provo però a continuare la discussione relativa al problema delle violenza, ISIS, etc. impostando la discussione però da un diverso punto di vista.


"Maometto e l'Islam non sono violenti in sè e per sè. L'Isis è violento."


Hai mai riflettuto al problema della sostanziale differenza e quindi possibile discrepanza tra ciò che è un fatto, e l'immagine, l'idea, che ci siamo fatti di questo fatto?


L'immagine è una astrazione, è ciò che noi vorremmo che fosse o come le cose dovrebbero essere. In sintesi un ideale. Solo il fatto è reale, l'immagine no. Se siamo attaccati alle immagine che ci siamo creati o che abbiamo preso dall'esterno non vedremo mai la realtà. Così abbiamo una immagine di noi stessi, ovviamente sempre positiva (o nel depresso, negativa), di nostra moglie, del nostro paese, e della nostra o altrui religione. E spesso la relazione tra due individui si basa su queste immagini, su queste astrazioni e perciò non si incontra mai l'altro. Questa era solo una premessa generale necessaria a capire il mio discorso sull'Islam è la violenza.


Veniamo quindi allo specifico. Quando dici Maometto e l'Islam non sono violenti ti stai riferendo ad un fatto reale, a persone reali, o ad una immagine che ti sei fatta di una religione, della sua storia, etc.? Nessuno di noi ha conosciuto Maometto e quindi in ultima analisi non siamo stati testimoni dei fatti. Il discorso si potrebbe chiudere qui ma ci sono dei fatti riportati dalla storia, storia beninteso condivisa anche dai fedeli musulmani e che quindi possiamo prendere per vera. Questa storia narra che Maometto si mise a capo di una banda di uomini armati e marciò contro la città di La Mecca rea di aver respinto i suoi insegnamenti. Gli abitanti di la Mecca infatti erano pagani e adoravano vari idoli, idoli che Maometto voleva abolire. Dopo la conquista militare di la Mecca M. continuò la sua battaglia armata contro i pagani che – secondo lui lo perseguitavano e fu quindi a capo di numerose guerre contro le tribù rivali non certo pacifiche.
Ho citato questo fatto ad un musulmano italiano e mi ha risposto – per giustificare l'operato di Maometto, che l'avevano minacciato di morte. Da qui la sua vendetta.


Allora lascio a te, al tuo buon senso decidere se questo sia un comportamento violento o no.


Ma ciò che i musulmani ieri o oggi presentano di loro stessi e della loro religione è solo una immagine idealizzata dove è tutto amore e fratellanza. Come sai questa fratellanza è sono un ideale, cioè un'astrazione. Nei fatti sono secoli che si scannano tra loro (sciiti contro sunniti) e continuano a scannarsi. Quindi da un lato abbiamo il musulmano ideale (come dovrebbe essere) e dall'altro abbiamo il musulmano reale, quello che realmente è o è stato. Ovviamente non tutti i musulmani sono violenti ma nel momento in cui il corano prescrive la guerra santa contro gli infedeli, e il sacrosanto diritto di ucciderli o di farli schiavi, questo implica un incitamento alla violenza.


E questa violenza c'è stata in abbondanza nella storia dell'espansione dell'impero arabo o musulmano. Ci siamo dimenticati di come nel medioevo impalavano i cristiani che catturavano e che non si volevano convertire e ci siamo dimenticati di almeno otto secoli di vero e proprio terrorismo che i "saraceni" cioè i musulmani delle nazioni nord-Africane: Algeria, Tunisia, Libia, ad occidente e Turchia a oriente, hanno perpetuato in tutto il bacino del mediterraneo. Conosci le torri saracene? Furono costruite tra il 1200 e il 1700 proprio per difendersi da queste incursioni saracene. Arrivavano all'improvviso e attaccavano i villaggi isolati vicino alla costa, uccidendo, depredando e facendo schiavi i giovani di entrambi i sessi. Nell'immagine che i musulmani hanno di sé questa violenza non c'è, ma al contrario lamentano la violenza perpetrata dai "crociati" quando questi rispondevano alle loro malefatte. E oggi gli europei che hanno scordato la loro storia, e hanno il complesso di colpa di aver colonizzato l'Africa (che tra l'altro quando sono arrivati gli europei era già stata colonizzata dai Turchi) per cui credono ormai alla versione dei musulmani...


L'ISIS non è un fenomeno né nuovo né disgiunto dalla storia dell'Islam, l'Isis è la naturale conseguenza del seme gettato da Maometto. Conosci la storia della setta degli assassini? Se non la conosci leggitela, ne esistono varie versioni in internet. Si può notare una stretta rassomiglianza nelle tattiche e negli intenti dell'ISIS.


Poi c'è una violenza più sottile ma ugualmente deleteria, la schiavizzazione delle donne (che ipocritamente negano), e l'arroganza con cui ti sbattono in faccia a casa nostra i loro dogmi religiosi come se fossero verità assolute e pretendono che sia legge dello stato anche per noi. E ogni critica alle loro superstizioni tribali viene presa come un'offesa all'Islam o al profeta e quindi minacciano rappresaglie o gridano all'Islamofobia. Quindi negano il nostro diritto alla critica. Ache questa è violenza. Valgono solo i loro diritti e secondo molti occidentali siamo noi che dobbiamo adattarci a loro, e questo è in pratica ciò che è successo.  Se una persona prende una critica per offesa vuol dire che ha una personalità disturbata e debole ed è lui che deve essere "curato". Ma vuoi col fatto che minacciano rappresaglie fisiche vuoi per il potere dei loro petro-dollari ormai tutti gli danno ragione.


Hai letto l'articolo del Times? L'Onu aveva emesso una delibera contro l'Arabia Saudita perché ha compiuto stragi di bambini in Yemen. L'Arabia si è infuriata accusando L'ONU (di cui fanno parte tutte le nazioni del mondo) di essere anti-islam (non puoi esserlo)  e ha minacciato di togliere i suoi finanziamenti all'ONU che si è visto costretto a ritirare la delibera. Ma ti rendi conto?


Allora se sai tutta la violenza che viene perpetuata in Arabia Saudita, decapitazioni, stupri etc. come fai a dire che l'Islam non è violento? L'Islam non-violento è l'Islam come dovrebbe essere, ma l'Islam com'è di fatto è violento.

paul11

Gibran,
eccome se ho riflettuto e ancora rifletto su realtà, coscienza, immaginazione e via dicendo.

Ribadisco: il testo sacro di una religione è il suo paradigma, è come dire che le assiomatizzazioni dell'aritmetica è matematica è giusta, ma non riesco a trovare una soluzione di un'equazione.metti in discussione forse gli assiomi di base?
Quegli assiomi , i primitivi, in una religione è il testo sacro ,e per l'Islam è il Corano. Il resto è interpretazione politica, pragmatica, di ancora un' altra interpretazione che è cosa ci ha ispirato il testo sacro. Bisogna scindere prima i due aspetti e arrivare all'origine di una religione se vogliamo capire se esiste una coerenza esegetica del testo e allora si entra direttamente sulle sure e versetti per capire differenze interpretative e chiarire le diverse posizioni. Quindi prima c'è il procedimento esegetico ed ermeneutico del testo sacro, perchè da lì non si scappa.

Io non ho nemmeno conosciuto il mio bisnonno e per questo dovrei mettere in discussione la mia esistenza?

Maometto è il profeta  che ha scritto il Corano. Se giudico il Corano non violento significa che chi lo ha scritto non ha intenzioni violente  e questo è un fatto.

Devo ripetermi: anche nella Bibbia si descrivono fatti violenti, anche nel  Mahabharata di origine ariana si descrivono guerre.

C' è una ingenuità illusa di fondo in questo, e pensavo che tu non l'avessi. Pensiamo che una religione che è sociale e vale per un popolo non si scontri nel Bene e nel Male denrro il sentiero della vita e della storia?
Molti non credenti adducono questo pretesto per non credere per poi agire ipocritamente nella loro esistenza, una forma di autogiustificazione. O una religione è fatta di  tutto martiri e quindi muore già sul nascere perchè non vuole agire nella storia e nell'esistenza oppure deve sapere che la vita e la storia è fatta di amore e di spada se vuoi vivere e trasmettere un messaggio e una tradizione. Quindi la spada implica sapere dove è il bene e dove è il male perchè la giustizia separa e non unisce.
Se non ci fosse violenza, non ci sarebbe bisogno di legge,di sanzione, di etiche e morali.
E' implicito in tute le cosmogonie la battaglia fra il bene e il male.

(un paio di precisazioni: a phil dico che la trinità cristiana è pari alla trimurti induista e a  Gibran che l'arcangelo che si batte contro Lucifero nello scontro finale è Michele e non Gabriele)

Se l'uomo avesse pensato davvero che i valori come libertà, giustizia e fratellanza fossero mere illusioni, non saremmo mai pervenuti a guerre di liberazione e d'ìindipendenza e se oggi siamo in uno "stato di diritto" è grazie a martiri spirituali e laici che vi hanno creduto come significazione della loro esistenza, quella che oggi abbiamo perso facendoci diventare dei bipedi intelligenti e senza un senso di marcia cioè insignificanti.

vedo che insisti nella violenza.
Bisogna dirimere prima una questione o si pensa che una religione è serva dell'uomo a uso e consumo  come strumento di un suo fine materiale e allora parliamo di altro, oppure che è spiritualità formalizzata come ho scritto nel precedente post, ma in cui l'uomo ponendosi storicamente può anche sbagliare in quanto interprete di quello scritto.Sono due paradigmi fondamentalmente diversi, perchè la prima implica una storia antropologica in assenza di spiritualità, oppure è una storia spirituale che entra anche nell'antropologia ma ne rimane essenza.
Penso che tu ritenga l'Islam non una religione, ma essenzialmente uno strumento ad uso e consumo , ribadisco ancora, c'è un testo sacro di riferimento e personalmente  traggo i miei giudizi confrontando testo e azioni per verificarne congruenze o contraddizioni.

ma guarda che tutto ciò vale anche per la società laica. Abbiamo la Convenzione di Ginevra, abbiamo Costituzioni che indicano la strada delle legislazioni e riforme successive che devono essere coerenti con i principi paradigmatici del diritto costitutivo di un popolo che da nazione si fa Stato: quanta coerenza c'è oggi fra le azioni degli agenti sociali economici e politici all'interno di quei diritti istitutivi?

Se non capiamo che è l'uomo in quanto interprete, soggetto,agente sociiale, con il suo pensiero, coscienza, che fa e disfa sia nel mondo dello spirito che nel mondo quotidiano del vivere, non potremo che fare scontri di opinioni dimenticando la'gente umano che è contraddittorio in sè, sia nelle religioni che nelle istituzioni delle organizzazioni sociali umane.

Sono cristiano per nascita e poi lo sono ridivenuto per scelta, E' chiaro che l'Islam ha delle contraddizioni.
Il cristianesimo è stato rivoluzionario perchè ha preso le difese degli ultimi dentro le relazioni sociali, questo ha permesso in seguito di alimentare la strada laica del diritto. Loro non conoscono il laicismo come lo abbiamo percorso noi storicamente,sono rimasti alla teocrazia come forma di governo e assenza di una vera dialettica laica che da noi ha permesso che anche filosofi si interessassero di politica e di etica.Ma l''antica ispirazione vine dal messaggio di Cristo.

Quindi sì, la società musulmana tende ad un integralismo  che può arrivare al fanatismo per mancanza al loro interno di pensatori laici che insegnino almeno la tolleranza che da noi è implicita in in quel ama il prossimo tuo come te stesso.

Ma io penso che vi arriveranno, si vede nell'arte e nella cultura come espressione di una denuncia di segregazione e una voglia di libertà, di diritti elementari.
Noi dobbiamo aiutarli in questo ,ma dobbiamo costruire dialoghi per isolare i fanatismi, e costruire cooperazione internazionale.
La vedo difficile più sul piano economico-politico che non su quello artistico-culturale a cui bisogna dargli continuità, aiutarli a farsi conoscere affinche altri musulmani vedano e imparino la tolleranza e la democrazia.
Non è andando lì a imporre la nostra cultura o democrazia  la strada, avremo sempre reazioni contrarie perchè non è nel loro DNA religioso e culturale.