Migrazioni: una responsabiltà collettiva.

Aperto da Eutidemo, 03 Agosto 2019, 13:30:01 PM

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donquixote

@Eutidemo

Perdona se non rispondo punto per punto alle tue obiezioni ma siccome sono convinto che, come diceva Nietzsche, "Tutte le cose sono incatenate, intrecciate, innamorate" non ha senso dividere un argomento in parti e discuterle ad una ad una senza tenere costantemente presente la cornice in cui tali parti sono inserite che deve giustificarle in funzione di un equilibrio complessivo.
Per questa ragione tentavo di porre questa questione dal punto di vista culturale, poiché la cultura è il contesto che determina la collettività e deve giustificare ogni eventuale "soluzione".

Dopo aver letto, in varie parti del tuo messaggio,  quel che mi sembrano essere i concetti da cui partono i tuoi ragionamenti e i principi che li animano, mi pare che tu condivida in larga parte i presupposti della modernità (egualitarismo, legalitarismo, individualismo, umanitarismo), e per questa ragione mi appare logico chiarire da subito la conclusione del mio messaggio che a te era apparsa oscura: Aristotele diceva, nell'incipit della sua "Metafisica", che "Ogni uomo per natura tende al sapere" e gli archeologi ci raccontano che le più antiche iscrizioni umane che sono state trovate finora sono simboli del sacro, che è una forma astratta, concettuale e quindi elevata del sapere umano; l'uomo è dunque per natura un essere culturale, ed essendo anche, come diceva sempre Aristotele, "zoon politikon" ovvero un animale sociale, è semplice dedurre che l'uomo è tale (in generale) se si associa con altri suoi simili e condivide con loro una cultura, un "sapere" intorno alle cose del mondo e del sovramondo. Il concetto di "umanitarismo" moderno invece esclude dal suo orizzonte tutto ciò che è connesso alla cultura per definire "essere umano" ogni animale che abbia il pollice opponibile e cammini su due zampe, riducendolo ad un mero concetto biologico e relegando la cultura, come fa appunto l'era moderna, ad un orpello dipendente dalle preferenze e dai gusti di ognuno, alla stregua di un paio di pantaloni o un taglio di capelli che si "sceglie" perché ci piace in quel dato momento e si può cambiare quando ci è venuto a noia. Come racconta Claude Levi Strauss vi sono (o vi erano sino a circa un secolo fa) popoli che nella loro lingua definiscono con il termine "uomo" solo gli appartenenti alla propria comunità, mentre gli altri sono in qualche modo "non umani"; questo significa che loro avevano lo stesso concetto di "umanità" come lo intendeva Aristotele e tutti gli intellettuali di un certo livello, intimamente legato a ciò che caratterizza la nostra specie (la cultura appunto) e la differenzia dalle altre. Questo non significa però, e qui anticipo l'ovvia obiezione degli occidentalisti moderni, che a tutti coloro che erano considerati "non umani" fosse lecito fare ciò che ognuno voleva, anzi in qualità di "ospiti" erano trattati con maggiore riverenza rispetto agli appartenenti alla comunità stessa, dato che in tali comunità non esistevano gerarchie di "perfezione" o "evoluzione" come già esistevano da secoli nelle nostre terre e l'ospite rivestiva una particolare "sacralità", diversamente dall'occidente moderno in cui sono state stilate delle gerarchie di "civilizzazione" per cui coloro che lo erano meno (rispetto a noi che eravamo ovviamente  al vertice della "civilizzazione") dovevano essere "educati" oppure eliminati. Dunque umanità è sinonimo di cultura, e prescindere da questo concetto assimilando tutti gli esseri umani sulla base di mere esigenze biologiche (comuni a tutti gli organismi viventi di qualunque tipo) più o meno strutturate significa far trionfare la più pura disumanità.

La cultura occidentale attuale, caratterizzata dalle contraddizioni connaturate ad una società che assegna pari dignità a tutte le possibili visioni del mondo (a meno che non contrastino con il credo intangibile del consumo e del mercato) e dunque di fatto priva del concetto di "bene comune" che è di volta in volta declinato in base alle esigenze di individualità più o meno organizzate  e più o meno potenti, non può di fatto risolvere alcun problema per il semplice fatto che anche la nozione  stessa di "problema" varia  sull'onda dell'emotività collettiva che qualcuno riuscirà a sfruttare meglio di altri per acquisire consenso e quindi potere, e anche se un "problema" fosse tale per tutta la collettività lo si inserisce ad un livello superiore o inferiore della gerarchia di "problemi da risolvere" determinando di fatto la sua esaltazione o la sua scomparsa dalla linea d'orizzonte collettiva.
L'unica alternativa possibile sembra dunque quella di affidarsi alle "leggi" (nazionali e sovranazionali), che non essendo però tarate su di una cultura condivisa tendono a proteggere le individualità e quindi saranno fra di loro contraddittorie, e non traendo ispirazione da alcun principio di giustizia la loro rigorosa applicazione creerà gravi ingiustizie (summum ius, summa iniuria).
Se dovessimo ad esempio applicare rigorosamente l'art. 10 della nostra Costituzione, che appare quantomai chiaro, allora tutti i cittadini cinesi (oltre a quelli di almeno un altro centinaio di paesi del mondo) avrebbero il diritto di ottenere asilo in Italia: ti pare una cosa non dico possibile, ma anche solo teoricamente sensata?

L'assegnazione di "diritti" a chiunque, non limitata dalla cultura di appartenenza che li elabora e li distribuisce in modo razionale in funzione della persona e del ruolo ricoperto nella comunità, non è altro che un metodo per "disumanizzare" il mondo dichiarando l'obiettivo opposto.
Per questa ragione mi sembra un inutile esercizio discutere nel particolare di leggi nazionali e internazionali poiché queste  dovrebbero gestire le eccezioni ad una normalità che ognuno a casa propria dovrebbe riconoscere e istintivamente adeguarvisi; se invece l'eccezione è talmente diffusa da costituire essa stessa la normalità allora le leggi non hanno più alcuna funzione se non quella di alimentare l'ingiustizia. Se, come affermi, "La libera circolazione internazionale, infatti, è un diritto di tutti gli essere umani, in quanto CITTADINI DEL MONDO, e non solo del loro Paese", che senso avrebbe tracciare confini entro i quali ogni istituzione statale si organizza in modo diverso dalle altre? Tanto varrebbe abolire confini e istituzioni e ripristinare la legge del più forte che, quanto meno, è da che mondo è mondo più naturale e più semplice di tutti gli altri arzigogoli normativi che sono stati inventati in seguito per giustificarla razionalmente.
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

viator

Salve donquixote. Tu hai perfettamente ragione, ma in questo modo disturbi gli idealismi di un sacco di persone i quali (idealismi) forse non risolveranno nulla ma certo non faran male a nessuno.

Gustoso comunque il riferimento ai cinesi. Certo che l'Italia e la sua Costituzione rappresentano un gran faro di civiltà !.

Ti considero comunque un perturbatore della quiete idealistica. Saluti da un cinico.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

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