Le euristiche ed i "bias" cognitivi.

Aperto da Eutidemo, 20 Gennaio 2020, 09:03:27 AM

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Eutidemo

Il termine inglese "BIAS", deriva dal francese "biais", che significa "obliquo, inclinato";  il quale termine, a sua volta, deriva dal latino e, prima ancora, dal greco "epikársios", "obliquo".
Ma perchè?
Sembra che, in origine, il termine si riferisse ai  tiri "storti" nel gioco delle bocce,  che, cioè, mancavano il pallino; ma già dal rinascimento, tale termine acquistò il significato di "abbaglio intellettivo", in genere con tendenza all'"irrigidimento mentale". :)

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Attualmente, i bias cognitivi, vengono definiti come quegli automatismi mentali che ci portano ad assumere convinzioni in fretta e senza fatica; le quali, spesso, sono sbagliate perché fondate su percezioni errate o deformate della realtà (fisica, giuridica o di qualsiasi altro genere) .
Cioè, in sostanza, sono conclusioni prese a partire da un errore di giudizio.

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Di solito, i bias cognitivi, scaturiscono da scorciatoie "euristiche"; le quali, in genere, hanno una funzione molto utile e pratica, il quanto ci servono  per districarci nella complessità del mondo senza analizzare, pesare e valutare ogni singolo dettaglio.
Il che, nella maggior parte dei casi, ci porterebbe alla paralisi!
Le strategie di pensiero "euristiche", risalgono al termine greco "heurískein"; che vuol dire "trovare, scoprire".

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Non sempre le strategie "euristiche", conducono all'errore (bias), ma il problema è che esse sono scorciatoie così comode e rapide che facciamo fatica a rinunciarvi: i bias cognitivi sono euristiche inefficaci, logorate e corrotte, e, da scorciatoie, divengono vicoli ciechi nei quali ci addentriamo fino a sbattere contro un muro. :(

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Il modo più comune di incapparvi, è quello di desumere da un semplice esempio, ovvero da una considerazione isolata, un verità più generale, senza approfondire il tema e senza vagliare altri aspetti; soprattutto senza vagliare tutte le informazioni atte a far luce sul problema.

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Al riguardo, vi riporto un illuminante esempio personale di BIAS, in cui ero caduto con tutte le scarpe, se un mio amico, molto più attento e riflessivo di me, non mi avesse convinto che ero in errore; e ci ha faticato pure, all'inizio, perchè uno degli aspetti più negativi dei "bias", è che, in genere, si ha la tendenza ad intestardirvisi!

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ESEMPIO PERSONALE DI "BIAS"
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PREMESSA
1)
L'elenco dei cinque raggruppamenti di edifici, così come previsti dalla normativa catastale, sono classificati in: A B C D E (l'F residuale, in realtà, non riguarda gli edifici veri e propri, bensì le semplici aree urbane senza alcun edificio, o gli  edifici in costruzione).
2)
L'elenco dei cinque raggruppamenti di edifici previsti dalla normativa urbanistica, invece, vengono classificati come: residenziale, turistico-ricettivo, produttivo e direzionale, commerciale e rurale (con qualche variante definitoria).

                          ***
Le procedure per il "cambio di destinazione d'uso", che fanno riferimento ai raggruppamenti degli edifici previsti dalla normativa urbanistica, senza entrare in dettaglio:
- sono più complesse per la variazione d'uso da un edificio appartenente ad un raggruppamento ad un altro raggruppamento ;
-  sono più semplici per la variazione d'uso da un edificio ad un altro tipo compreso nello stesso raggruppamento.

ESEMPIO
                          ***
Essendo io del tutto ignorante in materia, per dare una mano ad un mio amico che deve fare il cambio di destinazione d'uso da A/10 (ufficio) ad A/2 (abitazione civile), ho fatto una ricerca di materiale al riguardo su INTERNET e gliel'ho inviata.

                             ***
Colpevolmente, però, non avendone il tempo, non mi sono soffermato a leggere "con attenzione" tutta tale documentazione (come invece ha fatto lui), ma mi sono basato soltanto su un esempio (autorevole), che "mi pareva" chiarisse il concetto in modo esemplare:
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"Una variazione d'uso da A9 (ad esempio un castello) ad A3 (abitazione economica), in quanto effettuata nell'ambito dello stesso raggruppamento funzionale, può essere effettuata con una procedura semplificata e più economica.
Diversamente, una variazione d'uso da C1 (ad esempio un negozio) ad A3 (abitazione economica), in quanto effettuata tra due raggruppamenti funzionali diversi, deve essere effettuata con una procedura un po' più complicata."
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Poi la faccenda veniva spiegata più in dettaglio, ma io, colpevolmente, non ho approfondito;  ed infatti mi sono limitato EURISTICAMENTE a supporre che i cinque raggruppamenti di edifici previsti dalla normativa urbanistica, corrispondessero "più o meno" ai cinque raggruppamenti di edifici, così come previsti dalla normativa catastale (a parte il sesto F residuale).

***
L'ho dato praticamente per scontato, sostenendo col mio amico che il suo cambio di destinazione d'uso da A/10 ad a A/2, sarebbe rientrato nella "procedura semplificata", e, cioè all'interno di uno stesso raggruppamento funzionale; ed invero, oltre al fatto che la differenza tra A/10 ed A/2 si riduce sostanzialmente, almeno nella maggior parte dei casi,  soltanto a predisporre i collegamenti di luce e gas per la cucina, il raggruppamento catastale mi sembrava quasi lo stesso di quello urbanistico "residenziale".
Ma era un errore dovuto al fatto che io ero ricorso ad una, sia pur plausibile, scorciatoia mentale (euristica)!

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Ed infatti, preso atto delle insistenze del mio amico, e verificando (finalmente) il "rognosissimo" testo di legge, mi sono accorto che, in effetti, è vero che ben 9 su 11 tipologie della cat."A", rientrano nello stesso raggruppamento urbanistico funzionale detto "residenziale": ma l'A/10, invece, rientra in un diverso raggruppamento urbanistico funzionale.
Ed infatti, negli "usi urbanistici residenziali",  rientrano solo le categorie catastali da A/1 a A5, da A/7 a A/9 e A/11.

***
Pertanto, se il mio amico avesse dovuto convertire un castello (A9) in una abitazione civile (A2), la procedura sarebbe risultata più semplice che dovendo convertire un ufficio (A10) in una abitazione civile (A2); il che, beninteso, non manca di una sua logica (sebbene un po' astratta), perchè sia il castello che la topaia sono due "residenze", mentre un ufficio non lo è.
Cosa su cui non avevo riflettuto! :(

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MORALE DELLA FAVOLA
Per cui, se dovete necessariamente decidere in fretta, ricorrete pure alle strategie "euristiche" (accettando il rischio di "bias"); ma, se potete, prima di farvi una convinzione (in qualsiasi campo):
- per prima cosa informatevi "bene"; ;)
- quindi ragionateci sopra "il tempo necessario"! ;)
E, soprattutto, se la vostra convinzione scaturisce da una strategia euristica, non intestarditevi troppo a sostenerla a spada tratta, se uno che si è studiata a fondo la questione cerca di convincervi che siete in errore! ;)

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iano

Bias ed eucaristico.
Ho imparato il significato di questi termini.Grazie.
Direi allora che non esistono decisioni non eucaristiche , per limiti di spazio e di tempo.😊
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Eutidemo

Citazione di: iano il 20 Gennaio 2020, 10:34:07 AM
Bias ed eucaristico.
Ho imparato il significato di questi termini.Grazie.
Direi allora che non esistono decisioni non eucaristiche , per limiti di spazio e di tempo.😊

Se il problema è troppo complicato, la vita umana può risultare troppo breve per venirne a capo senza ricorrere a strategie euristiche ;)


bobmax

CitazioneE, soprattutto, se la vostra convinzione scaturisce da una strategia euristica, non intestarditevi troppo a sostenerla a spada tratta, se uno che si è studiata a fondo la questione cerca di convincervi che siete in errore

In effetti, lo stesso conoscere necessita di un approccio almeno in parte euristico.
Senza il quale nulla potremmo conoscere.

Tuttavia questo stesso conoscere è inficiato proprio dalle inevitabili trappole che tale approccio non può evitare.

Nella ricerca della Verità occorre perciò evitare il più possibile le certezze scontate.
Soprattutto quelle che derivano da impliciti processi euritici.
Come il convincimento dell'esistenza del libero arbitrio... ;)

Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

viator

Salve. Anche quelle in offerta ed in saldo. Ma facendolo state ben attenti a non intaccare le certezze contenute nei dizionari della lingua, come recentemente ho osato fare io. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Eutidemo

Ciao Bob :)
Sebbene io stesso sia tutt'altro che convinto dell'esistenza effettiva del libero arbitrio, tuttavia anche la convinzione che esso non esista, a ben vedere, potrebbe derivare da impliciti processi euristici.
Ed infatti, la convinzione che il libero arbitrio non esiste, in realtà, può consentire a chiunque di crogiolarsi  in un rilassante senso di "autoassoluzione" per tutti gli errori e le ingiustizie che ha commesso (e che commette); il che, psicologicamente, è indubbiamente molto distensivo, ma non è detto che sia più aderente alla realtà della molto più stressante opposta convinzione! :)
Personalmente, mi piacerebbe molto credere che il libero arbitrio sia soltanto una mera illusione; però non ne sono affatto sicuro, in quanto ho imparato che la probabilità che una cosa sia vera, è inversamente proporzionale al nostro desiderio che essa effettivamente lo sia. ;)
Un saluto! :)

bobmax

Ciao Eutidemo.
Perdona la mia sfacciataggine, ma mi sa proprio che questo tuo desiderio, che il libero arbitrio sia un'illusione, derivi in toto da processi euristici...
Ed è sempre un processo euristico quello che ti fa concludere che il credere nella sua non esistenza permetta una "autoassoluzione".
 
Mentre, al contrario, la constatazione dell'inesistenza del libero arbitrio ha davvero poco di euristico.
 
Perché questi processi, mai eliminabili del tutto, in effetti in cosa consistono?
Secondo me hanno queste caratteristiche principali:
1) Saltare a delle conclusioni dando per scontate alcune premesse, che in realtà scontate non lo sono per niente...
2) Trascurare altre necessarie premesse e tralasciare di compiere passaggi logici che sono invece indispensabili.
 
Da dove nasce infatti il desiderio che sia un'illusione? E per quale motivo in tal caso saresti autoassolto?
 
Mi pare evidente che vi sia qui una premessa data per scontata e che questa stessa premessa resti inalterata, nonostante l'ipotesi dell'inesistenza del libero arbitrio dovrebbe invece metterla in discussione.
 
Cioè in sostanza tu dici: "Se non sono libero, non sono colpevole, né per il passato né per il presente"
E cosa dai qui per scontato?
Te stesso, il tuo io!

Senza però considerare che l'assenza del libero arbitrio (che può essere solo TOTALE) annullerebbe il tuo stesso io. Perché se nulla liberamente vuoi, il tuo io non esiste!

Di modo che non vi è nessuno che si autoassolva, perché non c'è proprio nessuno!
E in questo non c'è alcun piacere...
Altro che "mi piacerebbe molto credere che il libero arbitrio sia soltanto una mera illusione", qui c'è invece sofferenza!
 
Infatti tu salti l'inghippo, e giungi a delle conclusioni in realtà contraddittorie, perché segui un processo euristico...
 
Non vi è nulla di piacevole nel dissolversi dell'illusione del libero arbitrio.
Sia perché non è mai piacevole l'annichilimento, e soprattutto perché in quel mentre ti ritrovi come all'origine di tutte le cose, responsabile di tutto il male del mondo!
 
Il dissolvimento dell'illusione del libero arbitrio ha molto poco di euristico. Perché di norma necessita di andare all'inferno.
Finché c'è un io, l'inferno è la sua destinazione.
Solo allora, all'inferno, può forse sorgere l'idea di non essere ciò che si è sempre creduti essere...
 
L'inferno è una realtà assoluta, non il risultato di un processo mentale, euristico o meno.
 
Ma tu all'inferno non vuoi andare...
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Eutidemo

Ciao Bob. :)
Come ho già scritto, io sono tutt'altro che convinto dell'esistenza effettiva del libero arbitrio.
Peraltro, sapere che si tratta solo di una mera illusione, mi conforterebbe molto; poichè, allora, qualunque stupidaggine io facessi o dicessi, me ne sentirei completamente "deresponsabilizzato"!
Che sollievo!!! :)
E sarei ancora più sollevato a convincermi che il mio "io" non esiste affatto; ma allora, "chi" mai si sentirebbe sollevato? ???

***
Ti garantisco che non è affatto un processo euristico quello che mi fa concludere che il credere nella sua non esistenza mi permetterebbe una "autoassoluzione", in quanto:
a)
Come conclusione, secondo me, è del tutto "logica";
b)
Comunque, anche se non fosse una conclusione "logica", nel mio caso produrrebbe indubbiamente una inequivocabile sensazione "psicologica" di distensione e rilassamento (a torto o a ragione).
Puoi legittimamente contestare a), ma non certo b)! ;)

***
Condivido perfettamente la tua descrizione delle caratteristiche dei procedimenti euristici fallaci:
- saltare a delle conclusioni dando per scontate alcune premesse, che in realtà scontate non lo sono per niente (spesso sotto la forma di "petizione di principio");
- trascurare altre necessarie premesse e tralasciare di compiere passaggi logici che sono invece indispensabili.
Sottoscrivo parola per parola! ;)

***
Peccato, però, che poi tu stesso incappi nelle stesse fallacie che giustamente deprechi; ed infatti dai per scontato che il mio io non esista, però non lo dimostri in alcun modo. :)
Quindi tutto il tuo ragionamento si basa su una premessa non dimostrata, esonerandomi dal confutarlo.

***
Quanto al fatto che non è mai piacevole l'annichilimento, con me ti sbagli proprio di grosso: ed infatti non c'è niente che io desidererei maggiormente, quanto il "non esserci" (di non esserci mai stato prima, e di non doverci essere ancora), e che il mio "io" sia soltanto un'illusione. ::)
Ma proprio il fatto che io desidererei non esserci, dimostra che, purtroppo, "ci sono", eccome (sebbene, per fortuna, ancora non per molto); ed invero, se il mio "io" non ci fosse, non potrebbe desiderare nulla!
Come rispose Sileno al re Mida, che gli chiedeva quale fosse la cosa migliore e più desiderabile per l'uomo, lui rispose: "Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è morire il prima possibile!". (F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Adelphi, pp. 31-32)

***
E credo che, tutto sommato, tu desideri la stessa cosa che desidero io; solo che io non mi illudo di "non esserci", mentre tu sì.
Per questo ti invidio, in quanto io sono troppo logico per illudermi che il mio io non esista, proprio nel momento in cui lui si "autodimostra", desiderando di non esserci!
Se non ci fosse sul serio, non potrebbe farlo! ;)

***
Sei tu che, senza rendertene minimamente conto cadi in una "fallacia euristica", dando per scontata l'"inesistenza" del tuo io, la cui "esistenza", invece, tu stesso dimostri, negandola.
Ed è davvero un peccato, perchè, in questo caso, se solo potessi, io vorrei darti mille volte ragione, invece di essere costretto a contraddirti! :(
Ci ho pure provato...ma non ci riesco proprio :(

***
Un saluto! :)

viator

Salve Eutidemo. Purtroppo basta un niente per per perdere la giusta concentrazione che permetta la completa efficacia logica. Capita prima o poi a tutti. Infatti, citandoti : "Peccato, però, che poi tu stesso incappi nelle stesse fallacie che giustamente deprechi; ed infatti dai per scontato che il mio io non esista, però non lo dimostri in alcun modo.
Quindi tutto il tuo ragionamento si basa su una premessa non dimostrata, esonerandomi dal confutarlo"
.
Il fatto è che nessuno può dimostrare l'inesistenza di qualcosa. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Eutidemo

Ciao Viator. :)
Sono d'accordo con te che nessuno (almeno paralogisticamente argomentando) può dimostrare l'inesistenza di un qualcosa, se si tratta di un qualcosa di non accessibile alla nostra conoscenza diretta o indiretta; e, quindi, la cui esistenza o inesistenza non possono essere verificate (o falsificate) in alcun modo. 

***
Ad esempio, nessuno, tecnicamente, può dimostrare l'inesistenza delle fate, ovvero l'inesistenza  di una tromba intangibile, invisibile, inudibile, inodore, ed insapore, posata sulla mia scrivania (sebbene, però, non possa neanche dimostrarne l'esistenza).
Tuttavia, come già ho scritto in un altro mio topic, in fondo si tratta soltanto del sofisma della "falsa isostenia"; cioè, una sorta di gioco di prestigio verbale!
Un trucco ;)
https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/la-mano-e-la-moneta/

***
Però, a parte il sofisma della "falsa isostenia", se ti sparo un acuto in un orecchio con la mia tromba di solido ottone, e poi te la sbatto in testa, una volta rinvenuto, sei tu che mi devi dimostrare l'inesistenza di quella tromba (e che si tratta soltanto di una illusione), e non certo io a dovertene dimostrare l'esistenza. ;D

***
Quindi, direi che, "a fortiori", se si è in presenza di ciò che più di ogni altra cosa è accessibile direttamente alla mia conoscenza diretta, come il mio "io", sei tu che mi devi dimostrare la sua inesistenza (e che si tratta soltanto di una illusione), e non certo io a dovertene dimostrare l'esistenza. ;)

***
Per cui, così come per la mia tromba di ottone, se qualcuno dà per scontato che il mio io non esista, è lui che lo deve dimostrare in modo inoppugnabile, e non certo io a dover dimostrare che esiste.

Un saluto. :)

bobmax

Ciao Eutidemo.
Sono lieto che tu ti consideri "troppo" logico. Anch'io infatti ritengo di possedere una logica non banale, e alla fin fine ingombrante nella mia ormai non breve vita.

Prima di "mostrarti" il passaggio logico che porta a mettere in discussione l'io, vorrei premettere che questo per me è un confronto tra amici, dove nessuno ha la pretesa di conoscere la Verità.
Di modo che l'intento non è quello di affermare, bensì di negare certezze.

Non mi trovo nel regno della Verità da dove ti invito ad entrare.
Tutt'altro!
Sono invece le certezze di questo nostro esserci che vorrei mettere in discussione, perché vi è molto che, logicamente, non torna...

Nella mia esposizione le affermazioni e le negazioni dovrebbero essere sempre accompagnate da un "secondo me", o da un "probabilmente", o al massimo da un "quasi sicuramente". Non devono cioè essere mai intese come certezze assolute. Anche se per semplicità e chiarezza evito di intercalare ogni volta queste avvertenze.
D'altronde, pur consci che queste sono "certezze instabili", su esse dobbiamo pur contare almeno un po' per inoltrarci nel mondo.

Di modo che non vi è una "verità" da proporre, piuttosto vi sono certezze date per scontate che dovrebbero essere messe in discussione. Certezze che derivano da processi euristici, che non considerano la loro insita debolezza.

***
Ora proverò a mostrarti la fallacia del tuo ragionamento, riguardo a quanto ritieni che sarebbe bello per te se il libero arbitrio non esistesse.
Non che tu "credessi" che non esista, ma proprio il fatto che il libero arbitrio non esiste.

Concorderai con me che l'io coincide con la "propria volontà".

E' la volontà propria che fa sì che l'io esiste.

Con "propria" si intende che sia originata liberamente. Ed è proprio la manifestazione di una volontà propria a farci concludere che vi deve essere un io. L'io è infatti l'origine incondizionata di quella volontà.

Se si manifestasse una volontà che però è condizionata, diremmo che non è propria di quel io. Cioè non lo manifesta. Non è lui a volere davvero.

Se nessuna volontà di un individuo fosse davvero sua (propria), ovvero libera, allora l'origine delle sue volontà non sarebbe un io. Vi sarebbe certo sempre un individuo, ma senza un io.

Di modo che, se il libero arbitrio non esiste (non che "credo" che non esista, non esiste davvero!) allora io non esisto.
E se non esisto, vi è poco da rallegrarmi autoassolvendomi, perché non vi è nessuno da assolvere.

Mi ritrovo in sostanza puro spettatore di ciò che avviene.

Pensieri, desideri, dolori, piaceri... sorgono influenzando l'evolversi della mia vita e poi se ne vanno sostituiti da altri.
Vi gioca pure la mia volontà, che però è "mia" solo per modo di dire, anche se la maggior parte delle volte mi ci identifico.

Anche il pensiero che il libero arbitrio è un'illusione rientra nella trama della mia vita. Una trama in cui non decido liberamente nulla. Neppure di autoassolvermi... Neppure di provarne conforto...

Ma tutto avviene,  a prescindere da me.
Per la semplice ragione che non esisto.

Chi allora pensa, desidera, vuole...?

Eh, si dovrebbe riuscire a completare il processo...
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Ipazia

... ma per completarlo bisogna con-prenderlo: il processo è dialettico, non sillogistico.

L'argomento causale "ab origine" funziona ontologicamente nelle catene processuali lineari, proprie del metodo scientifico classico, basato sul rigore della riproducibilità, ma laddove non vi è automatismo riproduttivo quel metodo non produce conoscenza; al massimo dogmi su paradigmi fallaci.

La rottura del principio di riproducibilità sillogistica avviene al sorgere, geneticamente ancora misterioso, della vita, quando alla "materia" spuntarono le gambe che le permisero un primo rudimentale l.a. (en passant: il mistero produce le mitologie e il "senso del sacro" ...).

Ma divenne decisamente ingestibile sillogisticamente quando alle gambe spuntò un snc che iniziò a voler fare di testa sua generando l'io. Un io individuale che, a complicare ancor più la scena, incontrando altri io individuali si mise a copulare generando, fisicamente e metafisicamente, degli io collettivi. Che ad ulteriore complicazione incontrando altri io (individuali e collettivi) alternarono, dialetticamente, eros e polemos, generando altri io. E così via nei secoli dei secoli. Amen.

Questa è la genesi dell'io, che ha pure una sua formuletta metafisica: la quantità produce qualità. La quantità di che ? Della diversificazione e sintesi della materia in forme sempre più complesse, la più complessa e intrigante delle quali è la struttura modulare del DNA, tale da impedire che il figlio sia la fotocopia del genitore. In tale differenziazione e reciproca interazione si muove il processo identificativo individuale, l'euristica fondativa dell'io.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

bobmax

Ipazia, il discorso che ho fatto partiva dall'ipotesi della non esistenza del libero arbitrio.
Da cui ne consegue logicamente che in tal caso pure l'io non esiste.
È un ragionamento squisitamente logico, qui la dialettica non c'entra nulla.

Viceversa la dialettica è fondamentale per spingersi ai limiti della stessa logica. Ma rispettandola, sempre!

Mentre ipotizzare un salto tra quantitativo e qualitativo, su cui poi fondare la propria interpretazione del mondo, vuol dire rinnegare la logica in nome di ciò che più piace...
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

viator

Salve Ipazia. Citandoti : "Questa è la genesi dell'io, che ha pure una sua formuletta metafisica: la quantità produce qualità. La quantità di che ? Della diversificazione e sintesi della materia in forme sempre più complesse, la più complessa e intrigante delle quali è la struttura modulare del DNA, tale da impedire che il figlio sia la fotocopia del genitore. In tale differenziazione e reciproca interazione si muove il processo identificativo individuale, l'euristica fondativa dell'io".
Ottimo. Preciserei "............tale da impedire che il figlio sia la fotocopia del genitore pur giacendo su di un supporto che deve essere identico all'originale".
Infatti questa è la meraviglia citata da Freud quando egli parla di "archetipo prototipo". Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.