la funzione del libero mercato

Aperto da davintro, 09 Luglio 2019, 21:46:48 PM

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davintro

supponiamo che un giorno un movimento di ultradestra xenofobo, ancora più estremista della Lega salviniana, salisse al governo, e sulla base della sua ideologia razzista, antisemita od omofoba, arrivasse al punto di emettere un'ordinanza restrittiva sui luoghi pubblici, negozi, locali, ristoranti, a cui imporre divieto d'accesso per immigrati, ebrei, coppie omosessuali ecc. In un contesto economico di tipo totalmente collettivista/statalista, ove la proprietà dei mezzi di produzione appartiene allo stato, tutti i locali sarebbero obbligati ad aderire all'ordinanza,. In un contesto caratterizzato dal libero mercato, cioè da una molteplicità di proprietà private concorrenziali, invece ciascun privato resterebbe libero di introdurre o meno il divieto nel suo locale, e coloro che non condividono le folli idee dei governanti, manterrebbero aperto il locale a tutti. Nel secondo contesto i governanti non potrebbero che limitarsi a proporre appelli, pareri personali, senza alcun potere di obbligare i proprietari a imporre divieti di accesso nei loro locali (mi interessa tentare un raffronto tra due opposti modelli economici, intesi nella loro purezza ideale, non considerando eventuali sistemi misti, come l'Italia, dove locali seppur privati nella loro proprietà possono comunque essere vincolati a certi obblighi sulla base di leggi comunali o nazionali). Appare chiaro come nel modello liberale l'impatto delle ideologie discriminatorio di chi governa sarebbe molto minore rispetto all'impatto in un modello dove lo stato ha il pieno controllo dei mezzi di produzione,  come un monopolista che può' fare il bello e cattivo tempo nella consapevolezza che i cittadini non avrebbero alcuna alternativa, non essendo permessa alcuna fonte alternativa di produzione dei beni. Questa è la funzione, il ruolo fondamentale che in un sistema democratico svolge il libero mercato: preservare i cittadini dal ricatto di dover accettare le condizioni di vendita di un bene da parte di un ente monopolista, lo stato, che sfruttando l'assenza di qualunque concorrente può permettersi di produrre beni di scarsa qualità, a prezzi alti, nonché nell'esempio, fortunatamente surreale, di partenza, di fissare discriminazioni, razziali, sessuali, morali,  nell'accesso dei beni in questione. Il libero mercato ( magarsi  supportato da buone leggi antitrust) preserva da tale situazione tramite la dispersione del potere di proprietà in una molteplicità di enti in concorrenza, ciascuno dei quali, consapevole che l'insoddisfazione dei clienti, porterebbe al loro rivolgersi ad altri produttori, e per  evitare il fallimento sono spronati a fornire le migliori condizioni, in rapporto qualità-prezzo, e accessibilità ai loro clienti. Il libero mercato è dunque un sistema nel quale l'interesse personale del produttore viene di fatto a coincidere con la soddisfazione delle esigenze dei clienti, ai quali, avendo riconosciuta una varietà di scelte, hanno maggiori possibilità di incontrare un ente produttore su misura delle loro esigenze personali, in questo modo il libero mercato appare essere come il meccanismo più efficace di massimizzazione, sia in termini di distribuzione quantitativa, che di qualità assoluta, di benessere materiale all'interno di una collettività costituita dall'insieme dei cittadini consumatori.

La stessa situazione non riguarda solo i cittadini in quanto consumatori, ma anche come lavoratori. Esattamente come il principio concorrenziale impone ai produttori la soddisfazione dei clienti, per evitare si rivolgano ad altri produttori, esso impone anche la tutela di condizioni vantaggiose ai lavoratori, per evitare che possano dimettersi per andare a cercare occupazione in altre aziende o enti, finendo con il danneggiare la loro produzione in assenza di personale. Non vedo perché il principio per cui all'aumentare della varietà di opzioni (corrispondenti alla varietà di enti produttivi) aumentino anche le possibilità di realizzazione delle esigenze, valente per i consumatori, non dovrebbe valere anche per i lavoratori. La stessa funzione dei sindacati avrebbe ragion d'essere solo all'interno di un modello liberale: nel momento in cui si riconosce la distinzione tra la proprietà (privata) di un'azienda, e la platea dei lavoratori, ha un senso che le istanze di questi ultimi siano rappresentati da comitati contrattanti le loro condizioni di lavoro con i datori di lavoro, alla ricerca di una sintesi, sempre potenzialmente aggiornabile o migliorabile nel tempo tra i diversi interessi in gioco, mentre in modello collettivista, in cui proprietà e collettività del pubblico dei lavoratori coincidono, questi ultimi perdono la possibilità di un realmente autonomo organo di rappresentanza, in quanto proprietà e insieme dei lavoratori coincidono nello stato, e i lavoratori in quanto considerati in linea teorica come "proprietari" (perché membri dello stato) non potrebbero spontaneamente organizzarsi in opposizione alle modalità di gestione pubblica delle aziende, teoricamente espressione dell'interesse pubblico, ma praticamente attuata dalla burocrazia e dall'elite dei dirigenti statali, contestandole in nome di istanze autonomamente poste., e dunque di fatto non avrebbero strumenti di critica nei confronti della proprietà.


Di fronte a queste argomentazioni, il collettivismo potrebbe contrapporre l'idea della distinzione fra "stato" e "governo", o "maggioranza parlamentare", rivendicando il carattere universalistico dello stato, che rappresentando la totalità degli interessi popolari non opererebbe mai come ente proprietario dei mezzi di produzione, in opposizione alla tutela del benessere e dei diritti del "popolo", di fatto coincidendo con esso. A mio avviso tale posizione è limitante nella sua astrattezza: per quanto formalmente lo stato, almeno nel modello democratico, si presenti come "cosa pubblica", rappresentante di tutti, nella pratica le decisioni vengono sempre prese dal gruppo ristretto di persone che scelgono la carriera politica e si trovano in ruoli di responsabilità nei quali, anche ammettendo le buone intenzioni, l'idea di "interesse pubblico" sarà sempre ricercato filtrandolo sulla base dei loro soggettivi interessi e giudizi di valori, mentre l'interesse pubblico, nella sua concretezza e completezza, resta sempre coincidente con l'insieme degli interessi dei singoli individui nella loro totalità, insieme impossibile da sintetizzare sulla base dell'ideale di interesse pubblico che hanno in mente i rappresentanti dello stato, che avendo la gestione dei mezzi di produzioni, si riserverebbero un potere che andrebbe inevitabilmente in conflitto con gli effettivi interessi dei cittadini (da qui l'esigenza tipicamente liberale di limitazione del potere di intervento dello stato nei confronti dei cittadini). Il punto è che lo slogan "lo stato siamo noi" resta retorica: in realtà "noi" non siamo lo stato, siamo un popolo che riconosce la necessità di darsi un'organizzazione statuale, per avere garantiti dei benefici che in una condizione di totale caos, in assenza di legge e stato, non sarebbero garantiti, ma questo non esclude affatto la contingenza di una cattiva gestione dello stato che entri in conflitto con le istanze popolari, istanze che meglio sarebbero tutelate preservando la più possibile gamma di scelte a disposizione dei singoli individui componenti il popolo, anche nell'ambito economico. Se lo stato fossimo davvero "noi", dovremmo dedurre per assurdo, ad esempio che l'esistenza del popolo ebraico sia cominciata con l'indipendenza dello stato d'Israele nel 1948, come se anche precedentemente, in assenza di un proprio stato, gli ebrei non avessero continuato a sentirsi parte di una comunità di spirito, cultura e tradizione, anche se geograficamente dispersa e senza formalizzazione sancita da un passaporto. In definitiva, anche considerando, come, da come ho avuto modo di intuire, le posizioni liberali in questo forum tendano a essere minoritarie, sarei curioso di come secondo i fautori di una società postcapitalista tali questioni potrebbero risolversi, in assenza delle soluzioni che il libero mercato appare presentare come massimamente efficaci

Jacopus

Condivido abbastanza tutto. Non a caso la democrazia antica e quella moderna sono nate nell'ambito di due nazioni di commercianti: le poleis greche e il commonwealth britannico. Ma non bisogna neppure mitizzarlo troppo questo sistema, poiché la storia non sempre segue lo stesso copione e non sempre i liberali-fautori del libero mercato sono stati fedeli alle loro idee di libera concorrenza. Inoltre spiegami come é possibile davvero una libera concorrenza se non si parte da posizioni uguali? Credi davvero che il nigeriano medio possa competere con lo svedese medio? Per questo occorrono meccanismi correttivi svolti da organi collettivi, che vadano al di là degli interessi dei singoli. Meglio ancora quando i singoli, che hanno avuto successo destinano parte dei loro proventi al riequilibrio sociale. In ogni caso il mondo attuale, dove domina il liberismo, é destinato ad essere squassato da profonde crisi se non vengono sanate le inverosimili diversità di reddito e di opportunità. Se il liberismo attuale permette che una persona guadagni 10.000 volte di più di un'altra, é inevitabile che, prima o poi, qualcuno inventi una ideologia per cui quella persona 10.000 volte inferiore é una non-persona, innescando cosí quei fenomeni autoritari e dispotici, che originariamente sono contrastati proprio dal libero mercato. In sintesi il libero mercato non é un concetto naturalistico immutabile ma va analizzato storicamente ed oggi qualche esamino della coscienza dovrebbe farselo. Ad ogni modo un bell'argomento Davintro.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

viator

Salve. Come in tutte le cose, le soluzioni non vanno cercate ai loro estremi ma (esercizio raffinato e difficile) nella loro "giusta" misura.
Perciò sì al mercato libero e no al mercato senza freni. Occorre introdurre una Autorità moderatrice. Ma chi vigila sulla incorruttibilità di tale Autorità ?.

Va comunque notato che la libertà d'impresa e di mercato - fondate sulla libera concorrenza - sono proprio ciò che invece vorrebbe eliminare la concorrenza e cioè la libertà d'impresa e di mercato.

Infatti lo scopo della concorrenza è quello di battere gli imprenditori antagonisti, eliminando  appunto la loro presenza sul mercato.

Io queste le chiamo le sagge contraddizioni della realtà, dalle quali il saggio dovrebbe saper star lontano. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

baylham

Sulla discriminazione si possono fare considerazioni opposte che valgono in numerose situazioni: una caratteristica del mercato è proprio la discriminazione dei soggetti, mentre lo stato si pone l'obiettivo opposto.
Mercato che non ha difficoltà a proporre, adattare e mantenere situazioni di discriminazione: sessuale, razziale, religiosa.
La discriminazione basata sul reddito, la ricchezza è specifica del mercato.

davintro

Citazione di: baylham il 10 Luglio 2019, 18:19:38 PMSulla discriminazione si possono fare considerazioni opposte che valgono in numerose situazioni: una caratteristica del mercato è proprio la discriminazione dei soggetti, mentre lo stato si pone l'obiettivo opposto. Mercato che non ha difficoltà a proporre, adattare e mantenere situazioni di discriminazione: sessuale, razziale, religiosa. La discriminazione basata sul reddito, la ricchezza è specifica del mercato.

lo stato, in quanto tale, non si pone autonomamente degli obiettivi, perché non è un soggetto personale dotato di una propria volontà e motivazioni etiche. Lo stato come rappresentante della volontà popolare collettiva è un'astrazione che si concretizza solo nella decisiva mediazione degli individui che assumono ruoli decisionali di responsabilità, ruoli tramite cui orientano l'agire statale verso obiettivi che nascono dalla loro, soggettiva e individuale, visione del mondo, impossibile da far coincidere con l'effettivo "interesse pubblico" in tutto e per tutto. L'essere cittadini, membri di uno stato, non ha impedito agli ebrei da parte dello stato nazista e ai curdi nello stato iraqeno di Saddam di subire i massacri e le persecuzioni che conosciamo. Se il potere di fare leggi e di farle applicare è uno strumento che consente alla classe politica di determinare un carattere verticale e gerarchico nel rapporto statuale tra essi e i cittadini, al contrario nel libero mercato prevale un carattere orizzontale: ciò che contraddistingue essenzialmente il mercato è l'interdipendenza tra compratore e venditore, e la discriminazione su base economica (insostenibilità dei prezzi per i consumatori) danneggia non solo questi ultimi ma i produttori stessi, la cui necessità di vendere può condurre alla necessità di abbassare i prezzi se serve a evitare il rischio di restare senza acquirenti e fallire, di modo che la loro sopravvivenza coincide con l'andare incontro alle esigenze della collettività. L'economia è il regno della quantità, del "più o meno", e fintanto che si resta nell'ambito del "più o meno" è sempre possibile arrivare a un compromesso, a un incontrarsi a metà strada, diversamente dall'ambito politico-ideologico, dove le discriminazioni e la volontà di sopraffazione poggiano su principi qualitativi, la cui applicazione non consente sfumature e mediazioni. Ecco perché le discriminazioni economiche, pur sempre presenti, non hanno mai l'aspetto di ineluttabilità e irrisolvibilità di quelle di natura politica, ideologica, sessuale, religiosa, a cui lo stato offre le armi legali per farle applicare

Ipazia

Mi pare che l'impostazione di davintro soffra di un bias totale che tende a vedere solo gli aspetti positivi del libero mercato e quelli negativi della politica. A questo punto mi chiedo perchè i coloni americani, non certo affetti da sovietismo, ad un certo punto preferirono lo sceriffo al far west. Politica ed economia hanno funzioni disgiunte, ma sovrapponibili. In tale sovrapposizione anche il mercato fa politica e, come già sottolineato da viator, jacopus e baylham non è sempre politica di libertà. Anche il mercato ha le sue dittature e gli esiti di queste si sono visti nella crisi del '29, e in quelle a raffica che stiamo vivendo in cui la dittatura del mercato ha arato e continua ad arare ingenti risorse pubbliche per salvare dittatori too big to fail.

Crisi che senza l'ammortizzatore sociale della politica avrebbero avuto esiti ancora più disastrosi. Ma il mercato lo sa e continua ad operare i suoi sfracelli liberamente, i più nefasti dei quali sono l'economia finanziaria tossica che in tutta libertà ha intossicato il pianeta tanto quanto le scorie radioattive di Cernobyl. Incatenandolo forse ancor più in estensione e durata.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

baylham

Lo stato è una innovazione sociale che ha avuto successo nella storia umana.
Se lo stato, come l'interesse pubblico, è una astrazione lo è anche l'individuo, come l'interesse privato.
Le considerazioni che fai sullo stato valgono similmente per le associazioni e le società che caratterizzano le economie moderne.

La trattativa, l'accordo tra le parti è già una relazione sociale, economica, inserita in un contesto di relazioni sociali, economiche.
Perché col perfezionamento del contratto le parti non sono più libere, ma costrette, obbligate dal contratto stesso? La reciprocità di interessi delle parti viene messa a dura prova durante l'esecuzione del contratto. Chi le obbliga, le costringe a rispettare il contratto se non un soggetto collettivo esterno alle parti?
Anche i più intransigenti liberali come Nozick alla fine riconoscono la necessità, l'opportunità dello stato, sia pur minimo.

Per evitare equivoci:
non ritengo affatto che durante la trattativa contrattuale le parti siano libere, semmai essa stessa dimostra la loro dipendenza;
complessivamente valuto positivamente il mercato come forma di organizzazione economica della società, ma ritengo essenziale la partecipazione dello stato come regolatore del mercato e come fornitore quasi monopolista di determinati servizi.

La differenziazione della qualità e quindi del prezzo della merce o del servizio è alla base dell'economia di mercato, la discriminazione economica e sociale sottostante è evidente. Ho visto un inserto del Sole 24 Ore dedicato agli orologi: un orologio meccanico di precisione del valore di centomila euro o più ha un evidente valore di discriminazione sociale, come lo avevano le opere artistiche nel passato remoto.

davintro

per Jacopus

il tipo di uguaglianza che un  liberalismo dovrebbe perseguire è quella formale, legale, di diritti e doveri. Il perseguire ll'uguaglianza sostanziale invece rischia di entrare in conflitto con la preservazione di un principio superiore, che è la libertà individuale, superiore in quanto se, in ogni caso, la libertà è sempre condizione di realizzazione del proprio benessere sulla base delle soggettive inclinazioni della personalità (in fondo anche il rischio che la mia libertà danneggi quella altrui, è pur sempre un'idea che non smentisce la positività assoluta del valore di libertà, in quanto riguarderebbe una critica a una particolarizzazione della libertà, quella dell'individuo danneggiante, in favore di una più ampia realizzazione del principio di libertà che però di per sé resta lo stesso, inerente la libertà di un più ampio numero di individui), l'uguaglianza è un bene solo relativamente: bene quando è uguaglianza nel senso di livellamento verso l'alto e male quando lo è verso il basso, Occorre considerare quanto politiche di perequazione finalizzate a far convergere i redditi dei cittadini verso una soglia di ricchezza media omologante divenga fattore di limitazione dello spazio di libertà per ciascun individuo di perseguire un livello di successo economico sulla base dei propri desideri materiali, differiscono da persona a persona. Ricchezza oggettiva ed effettivo benessere soggettivo non coincidono meccanicamente, una politica di redistribuzione finalizzata a livellare la ricchezza di un amante del lusso e di un Socrate che girava per le strade di Atene osservando le botteghe ed esclamando "ma guarda di quante cose non sento alcun bisogno!" non vuol dire massimizzare in modo equo il benessere sociale, in quanto il primo sentirebbe di avere meno di quello che desidera, in favore di un'aliquota di ricchezza a vantaggio del secondo, che però non sentirebbe alcun bisogno di avere. Ovviamente non dico, sarebbe un'estremizzazione stupida, che in un'economia liberale i poveri sono tutti dei Socrate che stanno bene con quello che hanno, perché se avessero sentito il bisogno di migliorare la loro condizione economica lo farebbero, in assenza di ostacoli formali posti dalla legge, mi limito a pensare che l'istanza egualitaria pur valida entro certi limiti, debba comunque restare subordinata al principio del rispetto della libertà degli individui di ricercare spontaneamente una loro soggettiva misura di realizzazione di un ideale di benessere materiale, relativa alla loro soggettiva scala di valori personale, impossibile da prevedere e stabilire quantitativamente a livello politico e collettivo


Per Viator

non necessariamente l'obiettivo di un singolo concorrente è arrivare ad annientare i rivali, ma ci si può accontentare di un certo livello di successo, non tale da determinare il totale annientamento delle possibilità altrui. A fare la differenza è sempre, come scritto sopra, la soggettiva scala di valori e il soggettivo coefficiente di materialismo che porta a cercare avidamente all'infinito ricchezze. In ogni caso, in una sana concorrenza senza privilegi legali, ogni concorrente persegue il proprio interesse, tutelandolo così dagli eventuali tentativi distruttori degli altri, in condizioni normali la risultante finale dovrebbe il mantenimento di un certo equilibrio dinamico, che magari non accontenterà tutti idealmente, ma resta comunque il sistema di distribuzione più equo tra quelli possibile, almeno a mio avviso. E comunque, proprio per non ingenuamente cadere in un eccessivo ottimismo antropologico circa le capacità spontanee degli uomini di preservare questo equilibrio concorrenziale, avevo ammesso realisticamente la necessità di leggi antitrust, dunque riconoscendo la legittimità dello spazio per la funzione regolatrice dello stato


Un po' per tutti, il mio obiettivo non era affatto una mitizzazione del libero mercato e la negazione della funzione insostituibile dello stato, in settori come salute, istruzione, beni culturali, sicurezza pubblica, settori dove penso il libero mercato del tutto sregolato mostri dei limiti. Da parte mia nessuna sorpresa che si preferisca lo sceriffo al far west, come ricordava Ipazia, che il ruolo dello stato resti per certi aspetti insostituibile,. Il mio obiettivo in questa discussione era evidenziare la funzione positiva del libero mercato, riguardo l'impedimento di monopoli per quanto riguarda la produzione di beni di consumo con tutte le possibili ripercussioni del caso, che ho provato a esporre, e mi chiedevo in che modo un sistema alternativo, da molti spesso vagheggiato in questo forum, potrebbe ovviare a questo problema in modo più efficace. Quindi nessuna divinizzazione del libero mercato, solo, più pragmaticamente, il mio pensiero riguardo il suo essere il miglior sistema possibile in relazione a un certo aspetto della vita sociale, che non implica l'assenza delle sue imperfezioni riguardo altri settori, pur importanti

Ipazia

Libero-libero il mercato non lo è mai stato. Fin dall'inizio c'è stato qualcuno che si impossessato della terra, dei boschi, miniere. Una volta messi i paletti della proprietà il mercato non è più stato libero ma a vantaggio di chi aveva la proprietà sulle mercanzie. Peraltro prodotte da schiavi ... Libertà davvero poca.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Ipazia

#9
Citazione di: davintro il 12 Luglio 2019, 19:14:17 PM
... Il mio obiettivo in questa discussione era evidenziare la funzione positiva del libero mercato, riguardo l'impedimento di monopoli per quanto riguarda la produzione di beni di consumo con tutte le possibili ripercussioni del caso, che ho provato a esporre, ...

Opportuno sarebbe analizzare anche gli aspetti negativi, prima di trarre le conclusioni finali. Il primo aspetto negativo è l'espropriazione,  messa in scena magistralmente da Stainbeck in Furore: i piccoli contadini del midwest espropriati delle loro terre da infausti cicli economici e naturali, ridotti a straccioni che elemosinano un lavoro da schiavi viaggiando verso la California. Pacta sunt servanda, spiega baylham. Quelli con le banche li hanno espropriati.

Ma il libero mercato non si ferma all'espropriazione, perchè quegli stessi agricoltori avevano ereditato le loro proprietà dall'annichilimento dei nativi americani a seguito dell'invasione di migranti di cui, come noi, avrebbero volentieri fatto a meno. I nativi americani non conoscevano il libero mercato. La loro produzione era mirata all'autoconsumo e avveniva in forma comunitaria: piccola agricoltura e caccia al bisonte. Per loro il libero mercato globale non è stato certo una liberazione, ma la disintegrazione.

Potremmo crogiolarci nell'idea che quella storia sia passata, ma basta andare in Amazzonia, Africa e ovunque nel mondo vi siano venditori/popolazioni deboli e liberi mercatisti forti per verificare che quella storia continua a ripetersi. Esempi: la pesca industriale d'alto mare, l'acquisto/esproprio di terre d'uso comunitario per monoculture che il libero mercato esporterà nei paesi ricchi affamando gli indigeni, compravendita di bambini, organi, prestazioni sessuali e riproduttive,...

Insomma la leggenda del venditore e compratore "alla pari" appartiene a quelle che Marx definì robinsonate e non si è mai presentata nella storia antica o moderna.

Citazione
... e mi chiedevo in che modo un sistema alternativo, da molti spesso vagheggiato in questo forum, potrebbe ovviare a questo problema in modo più efficace. Quindi nessuna divinizzazione del libero mercato, solo, più pragmaticamente, il mio pensiero riguardo il suo essere il miglior sistema possibile in relazione a un certo aspetto della vita sociale, che non implica l'assenza delle sue imperfezioni riguardo altri settori, pur importanti

Sistemi alternativi a tutte le brutture viste sopra richiedono lo Stato, meglio se con una forte connotazione etica, tale da tutelare Abele contro Caino, sfruttati da sfruttatori. Il libero mercato lasciato alla sua autoregolazione è colonialismo, guerra, mafia, farwest. Anche monopolio/oligopolio. Ancora più grave se operante su servizi essenziali. Hobbes docet. E nel contesto capitalistico, in cui il fine è il profitto e non il benessere comunitario, il valore di scambio e non il valore d'uso, il piano inclinato etico e socioeconomico è inevitabile.
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pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

davintro

Citazione di: Ipazia il 13 Luglio 2019, 17:01:21 PM
Citazione di: davintro il 12 Luglio 2019, 19:14:17 PM... Il mio obiettivo in questa discussione era evidenziare la funzione positiva del libero mercato, riguardo l'impedimento di monopoli per quanto riguarda la produzione di beni di consumo con tutte le possibili ripercussioni del caso, che ho provato a esporre, ...
Opportuno sarebbe analizzare anche gli aspetti negativi, prima di trarre le conclusioni finali. Il primo aspetto negativo è l'espropriazione, messa in scena magistralmente da Stainbeck in Furore: i piccoli contadini del midwest espropriati delle loro terre da infausti cicli economici e naturali, ridotti a straccioni che elemosinano un lavoro da schiavi viaggiando verso la California. Pacta sunt servanda, spiega baylham. Quelli con le banche li hanno espropriati. Ma il libero mercato non si ferma all'espropriazione, perchè quegli stessi agricoltori avevano ereditato le loro proprietà dall'annichilimento dei nativi americani a seguito dell'invasione di migranti di cui, come noi, avrebbero volentieri fatto a meno. I nativi americani non conoscevano il libero mercato. La loro produzione era mirata all'autoconsumo e avveniva in forma comunitaria: piccola agricoltura e caccia al bisonte. Per loro il libero mercato globale non è stato certo una liberazione, ma la disintegrazione. Potremmo crogiolarci nell'idea che quella storia sia passata, ma basta andare in Amazzonia, Africa e ovunque nel mondo vi siano venditori/popolazioni deboli e liberi mercatisti forti per verificare che quella storia continua a ripetersi. Esempi: la pesca industriale d'alto mare, l'acquisto/esproprio di terre d'uso comunitario per monoculture che il libero mercato esporterà nei paesi ricchi affamando gli indigeni, compravendita di bambini, organi, prestazioni sessuali e riproduttive,... Insomma la leggenda del venditore e compratore "alla pari" appartiene a quelle che Marx definì robinsonate e non si è mai presentata nella storia antica o moderna.
Citazione... e mi chiedevo in che modo un sistema alternativo, da molti spesso vagheggiato in questo forum, potrebbe ovviare a questo problema in modo più efficace. Quindi nessuna divinizzazione del libero mercato, solo, più pragmaticamente, il mio pensiero riguardo il suo essere il miglior sistema possibile in relazione a un certo aspetto della vita sociale, che non implica l'assenza delle sue imperfezioni riguardo altri settori, pur importanti
Sistemi alternativi a tutte le brutture viste sopra richiedono lo Stato, meglio se con una forte connotazione etica, tale da tutelare Abele contro Caino, sfruttati da sfruttatori. Il libero mercato lasciato alla sua autoregolazione è colonialismo, guerra, mafia, farwest. Anche monopolio/oligopolio. Ancora più grave se operante su servizi essenziali. Hobbes docet. E nel contesto capitalistico, in cui il fine è il profitto e non il benessere comunitario, il valore di scambio e non il valore d'uso, il piano inclinato etico e socioeconomico è inevitabile. .


quando sento parlare di "forte connotazione etica"  riferita allo stato, ho sempre un brivido. Perché è qualcosa che riecheggia l'idea che lo stato, in quanto tale sia depositario di valori superiori da dover imporre ai singoli individui. Dove è scritto che una classe dirigente statuale (l'elite di persone che in concreto si incarica di interpretare, sempre con un inevitabile margine di interpretazione, l'idea di "bene comune") dovrebbe avere un senso morale superiore rispetto a quello dei cittadini privati, che dovrebbero così subire l'invadenza di un potere che presume di sapere meglio di loro cosa è giusto e cosa è sbagliato, come si dovrebbe vivere? Se appunto il compito dello stato e della politica è quello di massimizzare il benessere di una comunità di cittadini, il primo dato da tenere in considerazione è la diversa personalità che contraddistingue ogni singolo cittadino, da cui discendono le diverse accezioni etiche di giustizia e di benessere. Il benessere deriva dalla coerenza di ciascuno con il proprio sistema soggettivo di valori, e dunque la linea di massima promozione di benessere non può essere che quella di lasciare il più possibile liberi i singoli di compiere scelte finalizzate a tale coerenza, preservando, da parte statale, un margine di controllo e regolamentazione atta a impedire che la libertà di ciascuno arrivi a limitare, oltre certi limiti, la libertà degli altri, a sua volta condizione del loro benessere. L'economia è ambito fondamentale, non l'unico, di tale ricerca di coerenza, nel quale le risorse vengono gestite appunto in funzione della ricerca di un livello di benessere materiale funzionale alla realizzazione dei valori personali. Ogni regolamentazione che fuoriesce da questo minimo necessario funzionale a preservare la libertà degli altri, diventa un abuso, una moralistica imposizione di un ideale di giustizia da parte dei rappresentanti dello stato nei confronti dei cittadini. Se il benessere è determinato dalla libertà di ciascuno di vivere in coerenza con i propri soggettivi valori, allora qualunque intervento statale funzionale, non a rimuovere gli ostacoli che impediscono tale coerenza, ma imporre un proprio, "pubblico" ideale di giustizia, non potrebbe che danneggiare tutte quelle persone il cui modo di vivere non si conforme a tale ideale, che in realtà non è altro che quello dei governanti di uno stato, spacciato per unico possibile per tutti gli altri. Quindi non ha senso contrapporre il "profitto" capitalista al "benessere comunitario", perché la comunità (lo stato non è propriamente una comunità, ma una società, la differenza è basilare), intesa come complesso dei cittadini, comprende lo stesso capitalista e chiunque cerchi di migliorare la propria condizione economica, ricercando così un profitto. Contrapporre le due cose implica proporre un ideale di "bene comune", che non si identifica con l'insieme degli interessi della comunità in senso reale, ma si restringe alla rappresentanza di quegli individui che agiscono conformemente all'etica dei governanti. Solo questo insieme ristretto sarebbe destinatario dei benefici che l'intervento statale in economia comporterebbe. Il "bene comune", altro non è che l'insieme delle idee soggettive di bene che contraddistinguono l'etica dei singoli individui, e di fronte a questa molteplicità di sensibilità valoriale, il compito dello stato dovrebbe esser quello di mediare, non discriminare, come fosse una sorta di Dio biblico che distribuisce premi e punizioni, sulla base di criteri di giustizia che non hanno alcuna autorità per spacciarsi oggettivamente come migliori di altri

Ipazia

Citazione di: davintro il 15 Luglio 2019, 19:57:06 PM
quando sento parlare di "forte connotazione etica"  riferita allo stato, ho sempre un brivido. Perché è qualcosa che riecheggia l'idea che lo stato, in quanto tale sia depositario di valori superiori da dover imporre ai singoli individui.

La provocazione non è casuale volendomi inoltrare in uno dei feticci del pensiero liberal-liberista, ovvero l'orrore dello stato etico, glissando sul fatto che ogni società umana lo é, perché ...

CitazioneDove è scritto che una classe dirigente statuale (l'elite di persone che in concreto si incarica di interpretare, sempre con un inevitabile margine di interpretazione, l'idea di "bene comune") dovrebbe avere un senso morale superiore rispetto a quello dei cittadini privati, che dovrebbero così subire l'invadenza di un potere che presume di sapere meglio di loro cosa è giusto e cosa è sbagliato, come si dovrebbe vivere?

... il suo ethos non sta scritto in un potere dittatoriale personale arbitrario ma nel corpus di leggi, giuste o sbagliate che siano, stampate nei suoi codici civili e penali

CitazioneSe appunto il compito dello stato e della politica è quello di massimizzare il benessere di una comunità di cittadini, il primo dato da tenere in considerazione è la diversa personalità che contraddistingue ogni singolo cittadino, da cui discendono le diverse accezioni etiche di giustizia e di benessere. Il benessere deriva dalla coerenza di ciascuno con il proprio sistema soggettivo di valori, e dunque la linea di massima promozione di benessere non può essere che quella di lasciare il più possibile liberi i singoli di compiere scelte finalizzate a tale coerenza, preservando, da parte statale, un margine di controllo e regolamentazione atta a impedire che la libertà di ciascuno arrivi a limitare, oltre certi limiti, la libertà degli altri, a sua volta condizione del loro benessere.

In linea di principio filerebbe tutto liscio, peccato non si tenga conto del conflitto tra le libertà individuali che spesso assomiglia più ad un giusnaturalistico "mors tua vita mea" che ad una armoniosa associazione di libertà individuali

CitazioneL'economia è ambito fondamentale, non l'unico, di tale ricerca di coerenza, nel quale le risorse vengono gestite appunto in funzione della ricerca di un livello di benessere materiale funzionale alla realizzazione dei valori personali. Ogni regolamentazione che fuoriesce da questo minimo necessario funzionale a preservare la libertà degli altri, diventa un abuso, una moralistica imposizione di un ideale di giustizia da parte dei rappresentanti dello stato nei confronti dei cittadini. Se il benessere è determinato dalla libertà di ciascuno di vivere in coerenza con i propri soggettivi valori, allora qualunque intervento statale funzionale, non a rimuovere gli ostacoli che impediscono tale coerenza, ma imporre un proprio, "pubblico" ideale di giustizia, non potrebbe che danneggiare tutte quelle persone il cui modo di vivere non si conforme a tale ideale, che in realtà non è altro che quello dei governanti di uno stato, spacciato per unico possibile per tutti gli altri. Quindi non ha senso contrapporre il "profitto" capitalista al "benessere comunitario", perché la comunità (lo stato non è propriamente una comunità, ma una società, la differenza è basilare), intesa come complesso dei cittadini, comprende lo stesso capitalista e chiunque cerchi di migliorare la propria condizione economica, ricercando così un profitto. Contrapporre le due cose implica proporre un ideale di "bene comune", che non si identifica con l'insieme degli interessi della comunità in senso reale, ma si restringe alla rappresentanza di quegli individui che agiscono conformemente all'etica dei governanti. Solo questo insieme ristretto sarebbe destinatario dei benefici che l'intervento statale in economia comporterebbe. Il "bene comune", altro non è che l'insieme delle idee soggettive di bene che contraddistinguono l'etica dei singoli individui, e di fronte a questa molteplicità di sensibilità valoriale, il compito dello stato dovrebbe esser quello di mediare, non discriminare, come fosse una sorta di Dio biblico che distribuisce premi e punizioni, sulla base di criteri di giustizia che non hanno alcuna autorità per spacciarsi oggettivamente come migliori di altri.

L'economia é l'ambito fondamentale in cui la sopraffazione degli uni sugli altri ha fornito, e continua a fornire, un repertorio antropologico di grande varietà. In tale contesto impedire l'appropriazione esclusivistica dei "beni comuni" é alta funzione etica che solo un'istituzione sovra individuale può garantire. I beni comuni non sono idee o valori immateriali, ma il mondo naturale prima che i paletti della proprietà stabilissero dei criteri di godimento e di esclusione. Tali paletti possono avere anche le loro ragioni, ma non sono "naturali" e vanno analizzati nella loro legittimità di volta in volta, considerando anche la possibilità di una loro radicale messa in discussione alla luce della priorità dell'interesse comune rispetto a quello individuale.

Tale messa in discussione é di tipo etico e si evolve con le condizioni della vita sociale degli umani e del loro ambiente.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

anthonyi

Citazione di: Ipazia il 15 Luglio 2019, 22:27:04 PM



L'economia é l'ambito fondamentale in cui la sopraffazione degli uni sugli altri ha fornito, e continua a fornire, un repertorio antropologico di grande varietà. In tale contesto impedire l'appropriazione esclusivistica dei "beni comuni" é alta funzione etica che solo un'istituzione sovra individuale può garantire. I beni comuni non sono idee o valori immateriali, ma il mondo naturale prima che i paletti della proprietà stabilissero dei criteri di godimento e di esclusione. Tali paletti possono avere anche le loro ragioni, ma non sono "naturali" e vanno analizzati nella loro legittimità di volta in volta, considerando anche la possibilità di una loro radicale messa in discussione alla luce della priorità dell'interesse comune rispetto a quello individuale.

Tale messa in discussione é di tipo etico e si evolve con le condizioni della vita sociale degli umani e del loro ambiente.

Ciao Ipazia, ma non avrebbe più senso dire che questa messa in discussione sia di tipo efficientistico. D'altronde il discorso non cambierebbe molto perché l'etica è costruita sulla base di considerazioni di efficienza sociale (A meno che tu non ti riferisca ad un'etica proveniente da un'entità superiore all'uomo).
Saluti

Ipazia

Non credo che l'efficienza sia il criterio guida dell'evoluzione etica. Prima vengono i bisogni e i desideri. Efficienza é strettamente legata al concetto di produttività. Ma che senso ha produrre di più in condizioni di infelicità e per giunta irrazionalmente lasciando marcire la sovrapproduzione negli scaffali, armadi e discariche ?

Riconosco comunque che più le società umane divengono complesse quantitativamente e qualitativamente più la loro conservazione richiede efficienza, ma si tratta solo di un mezzo che abbisogna di supporti etici da ricercare altrove; non forzatamente in valori trascendenti, ma umanistici. Dei quali i trascendenti sono proiezioni, dal mio p.d.v.
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