La certezza del diritto

Aperto da Eutidemo, 11 Novembre 2022, 06:42:50 AM

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Eutidemo

La "certezza" è un valore intrinseco del diritto, che viene soddisfatto nei casi in cui al cittadino sia riconosciuta la possibilità di conoscere preventivamente la valutazione che il diritto darà delle sue azioni e situazioni concrete e di prevedere le conseguenze giuridiche che deriveranno dalla sua condotta.
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Sulla strada di tale "certezza", storicamente si sono fatti molti passi avanti, a cominciare da quello della "legge scritta"; ma fu un passo molto difficile e contrastato.
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In effetti, a parte qualche precedente orientale (vedi Hammurabi), soltanto nel VI-V secolo a.C. il mondo greco conobbe la legislazione scritta, e poco dopo anche quello romano con la legge delle "Dodici Tavole"; le quali furono pretese dai "plebei" nel quadro delle lotte tra "patrizi" e "plebei" che si ebbero all'inizio dell'epoca repubblicana.
Ed infatti, sino ad allora, il diritto era soltanto "tradizionale" ed "orale", ed era affidato all'arbitrio  del collegio sacerdotale dei "pontefici"; il quale  era composto esclusivamente da "patrizi".
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Tuttavia, per essere il più possibile "certo", il diritto, oltre ad essere "scritto", deve anche essere composto da norme "generali" e "astratte", "chiare" e "intellegibili"; le quali siano pubbliche e  prive di lacune e antinomie.
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Pertanto, a scanso di equivoci, l'art.12 delle nostre "preleggi" sancisce quanto segue:
"Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore.
Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i princìpi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato."
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L'art.14 delle nostre "preleggi", però, precisa che: "Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati".
Cioè, in tali ambiti, non è ammessa l'interpretazione "analogica".
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I citati articoli 12 e 14 delle preleggi risolvono importanti questioni relative alla interpretazione della "singola disposizione legge";  però, a volte, aiutano poco  in un contesto normativo caratterizzato da una pluralità di fonti eterogenee poste a diversi livelli e non sempre secondo una gerarchia ben definita.
In tal caso, infatti, quello che deve essere risolto è il "combinato disposto" di varie normative.
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Ed anche riguardo alla interpretazione della "singola disposizione legge", non bisogna dimenticare che anche gli art.12 e 14 delle "Preleggi" sono delle "disposizioni di legge" come le altre; le quali, quindi, devono essere a loro volta interpretate.
Ad esempio, cosa significa la locuzione "intenzione del legislatore" di cui si parla nell'art.12?
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Essendo tale questione controversa, sono dovuti intervenire i giudici per "interpretare" la norma che disciplina le le "modalità di interpretazione" della legge. :)
Ed infatti, secondo la Cassazione:  "per <<intenzione del legislatore">> si intende la <<volontà oggettiva>> della norma ("voluntas legis"), da tenersi distinta dalla <<volontà soggettiva>> dei singoli partecipanti al processo formativo di essa" (Cass Civ. Sez. III, sent. n. 3550 del 21-05-1988), e, in un'altra occasione: "La volontà emergente dai lavori preparatori non può sovrapporsi a quella obiettivamente espressa dalla legge, quale emerge dal suo dato letterale e logico" (Cass. civ. sez. I 27-02-1995, n. 2230).
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                                  CONCLUSIONE
Poichè l'uomo è per sua natura "imperfetto", nessuna branca delle umane conoscenze può essere "perfetta"; nè lo sarà mai l'operato dell'umanità o dei singoli uomini .
Ed infatti:
- come due medici possono emettere diverse diagnosi, prognosi e terapie  riguardo ad una stessa malattia, interpretandone in modo differente la sintomatologia e le modalità di cura;
- allo stesso modo, due giuristi possono formulare  diverse interpretazioni  riguardo ad una stessa normativa, interpretandone in modo differente il significato, la portata e l'ambito.
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Senza considerare che, essendo "scritta" e poi "votata" da esseri umani, a volte può benissimo capitare che la legge stessa sia stata scritta "male"; cioè, può risultare sintatticamente aberrante, poco comprensibile, ovvero ambigua e contraddittoria.
Ma questo non è colpa del "prodotto legislativo", bensì del "produttore"!
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Cioè:
- se un fornaio non sa fare bene il pane, la colpa non è del pane ma del fornaio;
- se un legislatore non sa fare bene  le leggi, la colpa non è delle leggi, ma del legislatore.
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Senza considerare che, purtroppo, esistono anche delle leggi molto chiare e comprensibili, ma che sono state fatte "ad usum delphini", cioè per favorire questa o quella "lobby" economica e/o finanziaria, nazionale o internazionale; o, addirittura, per favorire  gli interessi personali dello stesso legislatore (cosa avvenuta non di rado, specie in Italia).
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Intendiamoci, nessuno pretende che il legislatore sia:
- un Solone che sappia scrivere solo leggi perfette;
- un San Francesco che sappia scrivere solo leggi adamantine.
Si pretende solo che il legislatore abbia una minima conoscenza del diritto, e un minimo rispetto della decenza.
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Tuttavia, a parte tali aspetti "patologici", sotto il profilo "fisiologico", come ho già detto, è normale che, così come due medici possono emettere diverse diagnosi, prognosi e terapie  riguardo ad una stessa malattia, interpretandone in modo differente la sintomatologia, allo stesso modo, due giuristi possono formulare  diverse interpretazioni  riguardo ad una stessa normativa, interpretandone in modo differente il significato.
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E' nella natura umana!
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Jacopus

Ben scritto come al solito Eutidemo. Vorrei porre l'attenzione su un altro elemento che mette a rischio la certezza del diritto, ovvero la "violazione di massa" del diritto stesso. È notizia di oggi che una indagine sullo streaming illegale di partite di calcio riguarderebbe 900.000 utenti in Italia. Di fronte a questi numeri nessun sistema giuridico è in grado di applicare la legge e quindi il problema si pone in un momento logico addirittura antecedente alle possibili diverse applicazioni del diritto. Penso che questo sia il problema fondamentale, ovvero la diffusa mentalità per cui le regole sono dei fastidiosi cappi alla libertà e all'individualismo da far west dell'italiano medio.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

sapa

Ottimo, Eutidemo! Ti ringrazio per la pazienza e per l'impegno.

Eutidemo

Citazione di: Jacopus il 11 Novembre 2022, 08:39:01 AMBen scritto come al solito Eutidemo. Vorrei porre l'attenzione su un altro elemento che mette a rischio la certezza del diritto, ovvero la "violazione di massa" del diritto stesso. È notizia di oggi che una indagine sullo streaming illegale di partite di calcio riguarderebbe 900.000 utenti in Italia. Di fronte a questi numeri nessun sistema giuridico è in grado di applicare la legge e quindi il problema si pone in un momento logico addirittura antecedente alle possibili diverse applicazioni del diritto. Penso che questo sia il problema fondamentale, ovvero la diffusa mentalità per cui le regole sono dei fastidiosi cappi alla libertà e all'individualismo da far west dell'italiano medio.
Ti ringrazio per aver richiamato la nostra attenzione su un altro elemento che mette a rischio la certezza del diritto, e di cui io mi ero dimenticato.
Un saluto :)

Eutidemo

Citazione di: sapa il 11 Novembre 2022, 09:42:38 AMOttimo, Eutidemo! Ti ringrazio per la pazienza e per l'impegno.
Ed io ti ringrazio per l'elogio, non del tutto meritato, visto che non era tutta farina del mio sacco; buona parte dei miei chiarimenti, infatti, sono dovuti alle mie letture della "dottrina" e della "giurisprudenza".
In buona parte di quella della Cassazione, di cui ho riportato due importanti sentenze.
Un saluto :)

daniele22

E' certamente interessante Eutidemo questo argomento che hai aperto. Quand'ero a scuola, pur essendo un pessimo studente ebbi il tempo di chiedermi perché al liceo non vi fosse una materia di insegnamento dedicata ai corpi giuridici. In merito alla tua premessa vorrei evidenziare solamente quanto scritto da Jacopus circa il disagio degli onesti qualora un diritto non venga onorato dalla giustizia, tema da me ripreso nel topic dedicato ad una ipotizzabile identità della sinistra.
Proseguendo nella lettura marchi il passaggio non facile dalla legge orale a quella scritta. Quanto tu esprimi nel tema si colloca nel periodo della storia documentata, quando cioè il diritto era già presente nella società. Tempo fa ebbi modo di speculare su tale passaggio, però collocandomi temporalmente nella preistoria. Ebbene, penso che ci si trovi difronte a due modi distinti di vedere la giustizia: In assenza del diritto vige la legge del gruppo con le sue gerarchie assecondando la tradizione, l'abitudine. Il diverso, colui che dà scandalo è prontamente redarguito data pure la facilità con cui verrebbe individuato il suo scandalo. In questa situazione possono intervenire dei correttivi del tipo "Non si fa così" o "Guarda che non puoi fare quello che vuoi", quand'anche qualche bastonata; insomma, il gruppo riesce ad autoregolarsi. Nel momento in cui compare il diritto vi è contestualmente sia la perdita dell'unità del gruppo poiché qualcuno sale ufficialmente in cattedra, sia la generazione di una sacca spazio temporale nella quale gravitano sicuramente gli osservanti e nella quale possono gravitare gli inosservanti. In pratica, un singolo atto orale che sancisce un diritto apre un tempo di azione all'ipotetico inosservante che va dalla concessione del diritto fino all'eventuale accusa e giudizio qualora lo stesso venga colto in fallo. Mi sembrerebbe pertanto ben pronunciata la distinzione tra i due modi di intendere la giustizia.
Da ultimo non mi rendo ben conto dell'influenza del ricorso all'intenzione del legislatore, ma a occhio e croce darei ragione alla Cassazione. Prendendo il caso ad esempio in cui dei partiti opposti ritengano entrambi di dover regolamentare una materia, risulta ovvio che l'intenzione del legislatore debba coincidere con l'intenzione di fare una legge e nulla più. Un saluto

Jacopus

Il diritto è una materia complessa, che, come la pedagogia, viene spesso considerata alla portata di tutti. Ovviamente non è così. Rispetto ai due modi di considerare il diritto, di cui parla Daniele, essi fanno riferimento a due momenti distinti della storia umana. La differenziazione della società, la specializzazione dei ruoli, la tesaurizzazione delle risorse, la creazione di  beni, ha reso necessario l'avvento di un ordinamento giuridico complesso che non poteva più essere quello della tribù, che deve regolamentare solo alcuni aspetti del vivere sociale, prevalentemente i rapporti familiari e la gestione di situazioni violente. Ad una società più complessa consegue la necessità di risposte più complesse ed anche di una cittadinanza in grado di gestire meglio la complessità, senza sperare allo stesso tempo che il diritto sia la soluzione di ogni conflitto. La soluzione di ogni conflitto in realtà, nel breve periodo, è sempre la spada di Alessandro che scioglie il nodo di Gordio. Il diritto è la sottile arte di creare uno spazio regolato in un campo animato dai mille casi della vita, fingendo di riuscire a tenere insieme tutte le istanze contrastanti dei mille casi della vita. Per far ciò usa una violenza concordata e concessa da tutti i consociati. L'immagine più corretta per comprendere il diritto è quella del pharmakon, antidoto e veleno allo stesso tempo. Ma se non si vuole cadere nell'eterno ritorno della spada di Alessandro Magno (o di Caligola o di Napoleone o di Hitler o di Putin) il diritto, può essere uno strumento valido per l'emancipazione umana. Ma affinché ciò sia possibile, bisognerebbe avere tutti una cultura giuridica di base, in modo tale da non parlare a vanvera e poter avere un ruolo reale di controllo sui meccanismi individuati nel corso dei secoli per rendere il diritto, il più certo possibile.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Eutidemo

Ciao Daniele22. :)
Le tue considerazioni sono tutte molto interessanti, e, in buona parte, condivisibili.
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Però devi tenere presente che:
a)
Prima della "legge scritta", non esistevano "leges", bensì soltanto "mores"; cioè la tradizione, l'abitudine  ed il costume.
b)
Con la "legge scritta", invece, a fianco dei "mores", sono state introdotte le "leges", le quali solo in parte corrispondono ai primi; per esempio, fino al secolo scorso, in determinate circostanze, i primi imponevano ancora il "duello", mentre le seconde lo proibivano.
Per cui:
- se rifiutavi la sfida a duello, davi scandalo e venivi prontamente redarguito e socialmente emarginato;
- se, invece, accettavi la sfida a duello, venivi socialmente elogiato, però finivi sotto processo.
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Discorso analogo vale per il "delitto d'onore", di cui il famoso film "divorzio all'italiana" ci fornisce un esempio paradigmatico; se non l'hai visto, guardatelo, perchè ne vale davvero la pena.
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A volte la legge scritta si evolve più velocemente dei costumi e della morale prevalente, mentre a volte accade il contrario; ti risparmio gli esempi, perchè sono sotto gli occhi di tutti.
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Quanto alla "giustizia", almeno secondo me, è una cosa diversa da entrambi; ma questo è un argomento troppo vasto e, per giunta, O.T., quindi merita un Topic a parte.
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Un saluto! :)
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Eutidemo

Ciao Jacopus. :)
Il tuo discorso sulla "certezza del diritto" merita senz'altro un doppio elogio, in quanto:
- è senz'altro molto ben argomentato;
-  affronta degli aspetti che io avevo trascurato.
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Ed infatti non c'è dubbio alcuno che, ad una società più complessa, consegue la necessità di risposte più complesse, per fornire le quali le norme orali consuetudinarie non sono più sufficienti; ma servono delle leggi scritte, le quali, però, siano certe, chiare e ben conosciute da tutti.
***
Tuttavia rendere il diritto il più "certo" possibile, non risolve tutte le problematiche ad esso connesse; ed infatti la "legislazione razziale" fascista del '38 era un esempio di "chiarezza" e di "certezza giuridica", ma non era certo una normativa particolarmente "commendevole" (almeno secondo me).
***
Al riguardo bisognerebbe trattare il tema controverso:
- del "giuspositivismo";
- del "giusnaturalismo".
Ma io l'ho già fatto in un apposito TOPIC del  04 Novembre 2016, al quale rinvio:
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Un saluto! :)
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daniele22

Grazie Eutidemo per la precisazione. C'era infatti quel tuo marcare il difficile passaggio dall'oralità alla scrittura che mi suonava interessante dando io quasi per scontato che esistesse già ben assestata e documentata la pratica del diritto in forma orale; comunque cambia poco nell'economia del discorso. Quello che infatti volevo evidenziare tirando magari acqua al mio mulino era solo la diversità di due modi di cercare di amministrare la giustizia. Dalla tua risposta mi sembra inoltre di capire che mi suggerisci di separare la giustizia da quel che riguarda la sua amministrazione. Hai ragione, ho usato un po' grossolanamente il termine, rappresentando a mio vedere la giustizia solo un sentimento che ciascuno di noi possiede in relazione alle controversie di cui è testimone e che lo porta quasi spontanemente ad emettere giudizi. Ricorrerei allora per inquadrarne meglio una relazione al corpo giuridico al concetto di intenzione del legislatore, il quale certamente si ispirerà a detto sentimento nel promuovere qualsiasi legge. Come ne esca poi la legge non si sa, essendo spesso oggetto di controversia la sua composizione (proprio come confermato dalle sentenze della Cassazione da te citate). Un saluto

Eutidemo

Ciao Daniele22. :)
Hai ragione: esistono "due modi" di amministrare la giustizia.
Ed infatti, in base all'art.113 del CPC (Codice di Procedura Civile), nel pronunciare sulla causa, il giudice:
- in generale, deve applicare le norme del "diritto scritto";
- però, in taluni casi, la legge gli consente di decidere anche secondo "equità".
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Nell'ordinamento vigente manca una definizione positiva di "equità", però, con la sentenza della Corte Costituzionale del 6 luglio 2004, n. 206, è stato chiarito che la funzione della giurisdizione di "equità" è quella di individuare "la regola di giudizio non scritta, che, con riferimento al caso concreto, consenta una soluzione della controversia più adeguata alle caratteristiche specifiche della fattispecie concreta";  però la Corte ha anche precisato che: "Alla stregua dei principi a cui si ispira la disciplina positiva, il giudizio di equità non è e non può essere un giudizio extra-giuridico, ma deve trovare i suoi limiti in quel medesimo ordinamento nel quale trovano il loro significato la nozione di diritto soggettivo e la relativa garanzia di tutela giurisdizionale, poiché una equità priva dei limiti normativi insidia alla base la <<certezza>> delle relazioni giuridiche" (Corte costituzionale, 6 luglio 2004, n. 206).
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Un saluto! :)
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Ipazia

I romani, che non imbiancavano sepolcri ideologici, non si facevano le pippe liberal-liberiste della giustizia giusta e coniarono il motto: dura lex, sed lex. Valido anche oggi ovunque il diritto positivo non vada oltre la giustizia di classe.

Pensare che il legislatore liberal-liberista sia mosso dal principio di equità è una ingenuità assoluta. Ci provarono i comunisti ed è finita com'è noto.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Jacopus

Ipazia, il principio di equità viene applicato quotidianamente dai tribunali italiani e non c'entra niente con i sistemi liberal/liberisti. Il tuo atteggiamento è quello di parlare di ogni cosa sotto la lente distorcente del conflitto capitalistico, ma anche Marx aveva compreso gli elementi emancipatori delle rivoluzioni borghesi e fra questi elementi vi è l'organizzazione del diritto continentale a partire dal code Napoleon. Mi confermi quello che penso da tempo, ovvero che i marxisti duri e puri hanno un approccio al mondo esattamente come gli integralisti islamici (o cattolici): nessuno spazio alla mediazione e logica amico/nemico.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

daniele22

A scanso di equivoci vorrei fare una precisazione nel dire che non sono d'accordo col pensiero di Jacopus esposto nel post nr.6, che però corrisponde pure al pensiero più volte espresso da molti altri per non dire da tutti. Voglio cioè dire che la storia della complessità sociale e della necessità delle scelte sarebbe a mio vedere un grande luogo comune privo di qualsiasi fondamento. Una società, per quanto sia complessa, potrebbe benissimo autoregolarsi senza l'esistenza di diritti e doveri se non in riferimento alla sola cosa che le potrebbe mancare rispetto ad una società poco complessa, ovvero l'organizzazione del lavoro. Dunque, come già detto in altro luogo e in altri termini, la consistenza di tale necessità sarebbe invece quella di corrispondere a scelte non propriamente necessarie, bensì a scelte compiute dal più forte nel momento in cui concede qualcosa ... e c'è da dire pure che i più forti non sono tutti uguali. In ogni caso non è che voglio abolire lo stato di diritto, sarebbe un insulto all'intelligenza umana

daniele22

Chissà come mi passa per la testa un'analogia con la relazione che intercorre nell'Islam tra la Sunna ed il Corano, oppure tra il cristianesimo e la legge giudaica, ma in quest'ultimo caso marcatamente rovesciata rispetto alla successione temporale, come se il cristianesimo pretendesse quasi imporre un primato alla tradizione rispetto alla scrittura. Ma sorvoliamo. Eutidemo, ti dirò che il linguaggio della giurisprudenza mi è assai ostico proprio come quello della filosofia, se non più ancora. Faccio prima a dirti quel che penso in relazione a quello che hai detto e poi magari mi dici qualcosa. In riferimento pure a quanto ho letto nel topic che avevi segnalato tramite il link ho la netta sensazione che il punto nodale converga su come dimensionare le interferenze che possano esservi tra la tradizione e la legge scritta. Non so se il principio di "equità" a cui tu fai riferimento in questo topic rimandi a tali questioni, magari ho colto male il senso. Comunque, se penso al fatto che, secondo quello che hai esposto, nel codice penale non si possa applicare l'interpretazione analogica, mi verrebbe quasi da dire che questa non applicazione sia in fondo corretta dato che forse all'interno della procedura penale sarebbe già presente un segno che rimanda alla tradizione e che si renderebbe manifesto attraverso l'applicazione di "attenuanti" e/o "aggravanti" ad una pena che si vada ad infliggere. Tornando da ultimo alla tua visione sul diritto giuspositivo come naturale emanazione del giusnaturalismo, penso che questa visione sia più che corretta, non in senso rigidamente deterministico, ma come manifestazione probabilistica che asseconda una legge di natura. Dovessi ricorrere ad una similitudine mi viene in mente l'azione di un virus che penetra in un organismo il cui regime sia conforme alla regola della tradizione orale. A questo punto potrebbe intervenire una crisi più o meno violenta in cui il virus incuba all'interno dell'organismo. Ad un certo punto, se la crisi non viene radicalmente risolta al suo interno, dovrebbe manifestarsi finalmente la malattia, in questo caso il passaggio alla tradizione scritta. Ovvio sarebbe che io vedo un virus dove altri vedono un impulso dovuto all'intelligenza, anche se stimando le evidenze attuali la vedo dura a magnificare tale intelligenza. In ogni caso il fenomeno resterebbe lo stesso, e corrisponderebbe a quello di una stratificazione storica delle vicende umane, grandi o piccole che siano. Un saluto

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