Invidia e gratitudine

Aperto da doxa, 12 Gennaio 2025, 19:26:28 PM

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doxa

"Un uomo era invidioso del suo vicino. Un giorno gli apparve una fata: 'Puoi realizzare ogni tuo desiderio solo a questa condizione: il tuo vicino riceverà il doppio'. Quell'uomo pensò un po' e disse: 'Allora, cavami un occhio'."

Questa parabola è tratta dal saggio "Invidia e gratitudine", pubblicato nel 1957 e scritto dalla psicoanalista inglese di origine austriaca Melaine Klein, famosa per le sue teorie sul libero gioco dei bambini.

L'invidia è uno dei sette vizi capitali ed è la categoria con la quale si interpretano e si condannano le varie forme di antagonismo sociale e politico.

L'invidia è sofferenza per il bene degli altri; l'invidioso è colui che guarda di traverso (invidet) un altro individuo perché non sopporta che costui goda di un qualche bene che lui non possiede.

Di solito si prova compassione, solidarietà se un amico o un collega di lavoro soffre o ha problemi economici. Ma se l'amico o il collega si rivela più intelligente, più simpatico e più fortunato, comincia la diffusa pratica della critica verso di lui, e persino la calunnia.

L'invidia è il peccato sociale che rompe i legami tra le persone, impedisce la convivenza e la pace, suscita l'ira  e la violenza.

L'invidia dilaga ed emargina la gratitudine, che è un antidoto all'invidia. Infatti la gratitudine genera affetto verso chi ci ha fatto del bene, è un sentimento che fa ricordare il beneficio ricevuto e la riconoscenza.

Ricerche socio-psicologiche evidenziano che le persone riconoscenti hanno livelli più elevati di benessere soggettivo e  sono più soddisfatte delle loro relazioni sociali.  ::) ???

Jacopus

Importantissima psicoanalista di scuola inglese, anello di congiunzione fra la psicoanalisi classica dei coetanei di Freud e la scuola inglese (Winnicott, Bowlby). La
Sua distinzione fra posizione schizo-paranoide e posizione depressiva è ancora un modello che spiega molti comportamenti e viene utilizzata ancora come schema ideale generale.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

doxa

Ciao Jacopus, ogni tanto ci si incontra.  ;D

Il sostantivo "invidia" deriva dal latino "in – videre": unione del prefisso "in" (= sopra) + "videre" (= guardare); letteralmente, = guardare sopra; più liberamente, guardare con astio, con ostilità.

L'invidia è il sentimento avversivo che si prova per un bene o una qualità altrui che si vorrebbero per sé.


L'invidia è un sentimento bipolare


positivo, se  suscita  ammirazione ed emulazione, se dà ambizione e sprona a darsi da fare onestamente per arrivare allo stesso livello di chi è ricco, ha successo, ha un elevato status sociale, ha un oggetto che ci piace molto, ecc.;

negativo se invece provoca afflizione, astio per la fortuna, i beni o le qualità fisiche che ha un altro e li vorrebbe avere. L'invidia può condurre all'omicidio. Infatti, secondo il racconto biblico, fu  per invidia che avvenne l'uccisione di Abele da parte del fratello Caino.

L'invidia sociale: questo sentimento così intimo e inconfessabile, si sedimenta nella relazione che intercorre tra l'invidioso e l'invidiato. L'invidioso avverte con strazio il proprio scarso valore rispetto a colui che, invece, ha successo. 

L'invidia sociale motiva l'individuo a pretendere l'uguaglianza sociale: nessuno deve emergere
. Chi si distingue deve essere odiato ed emarginato. Siamo tutti uguali.

Giovanni Boccaccio nell'introduzione alla IV giornata del "Decameron" scrisse:  "... posso comprendere, quello esser vero che sogliono i savi dire, che sola la miseria è senza invidia nelle cose presenti...".

Il filosofo olandese Baruch Spinoza (1632 – 1677) nel suo libro dedicato all'etica riflette  sui comportamenti umani. Secondo lui le passioni sono caratterizzate da gioia o tristezza. Tra le passioni tristi c'è l'invidia: "Per l'invidioso nulla è più gradito dell'infelicità altrui, nulla è più molesto dell'altrui felicità".

L'invidia non concede tregua. Il "corteo" che l'accompagna è descritto da Paolo di Tarso nella  seconda Lettera ai Corinzi: "litigi, invidie, orgoglio  dissenso, maldicenze, pettegolezzi, fanatismi, immoralità" (2Corinzi 12, 20).

L'antidoto per non soffrire d'invidia è l'umiltà, unita alla generosità e alla sincerità.


Koba II

L'invidia, appunto "non poter guardare", "non sopportare la vista", sembra riguardare un certo bene posseduto dall'altro (di cui si sente apparentemente la mancanza) solo come pretesto. Ciò che non si sopporta è la sua condizione generale di autosufficienza. Si vede nell'altro qualcosa che a noi manca radicalmente: la completezza, la pace che viene dalla prosperità, dall'avere a disposizione tante risorse.
Ecco perché alcuni studiosi vedono nelle radici dell'invidia un odio generale per la vita: odio per la sua imperfezione, per la sua mancanza perenne. Un odio poi proiettato sul singolo che ci sta davanti il quale sembra fare sfoggio di cose che rimanderebbero a una completezza immaginaria.
L'aggressività dell'invidioso non viene dalla frustrazione di non riuscire ad ottenere ciò che ha l'invidiato.
La sua violenza è odio verso la vita, è volontà di distruzione, è desiderio di azzerare tutto e ricominciare, di cancellare questo mondo miserabile, insufficiente, complicato, pieno di oscurità.

doxa

Ciao Koba, per ringraziarti del tuo intervento ti dedico questo post.  ;D

Di solito l'invidioso è una persona con bassa autostima e scarsa capacità introspettiva, perciò  tenta di sminuire gli altri screditandoli.

L'invidia cela differenti sentimenti: senso di inferiorità, inadeguatezza, frustrazione, odio e rabbia per il successo dell'altro/a. Non tollera chi emerge al di sopra della mediocrità, vuole l'uguaglianza sociale. Chi si distingue deve essere odiato ed emarginato.  

E' un sentimento intimo e inammissibile, rabbioso, come quello covato dal ragionier Ugo Fantozzi.  In una intervista Paolo Villaggio disse: "L'invidia è considerata un peccato di cui vergognarsi, invece è un sentimento nobile, in una cultura dominata dall'idea del successo. Un tempo mi facevo vedere ovunque per ostentare il mio successo. Invecchiando sono diventato più buono, non invidio più nessuno e non cerco di suscitare invidie.... Io difendo gli invidiosi, perché tutti coloro che sono felici invidiano chi è più felice di loro....L'italiano medio si lamenta dicendo 'Sono tutti ladri!', ma il suo non è vero disprezzo è semplicemente invidia. In realtà vorrebbe rubare anche lui, solo che non ne ha l'abilità, né il coraggio. Il sogno di molti italiani è di fare una rapina in banca".
 
 La scrittrice e filosofa statunitense di origine russa  Ayn Rand O'Connor (1905 – 1982),  fu sostenitrice dell'individualismo e dell'egoismo razionale, da lei inteso come la più naturale e importante delle virtù, in quanto consiste nel cercare il proprio bene senza arrecare danno agli altri. E con riferimento al collettivismo comunista nell'ex Unione Sovietica, scrisse:    "Non vogliono possedere la tua fortuna, vogliono che tu la perda; non vogliono riuscire, vogliono che tu fallisca".


Questo "augurio" è una "gufata".

Perché si dice "gufare" ? In molte culture il gufo è considerato portatore di sventure, perciò  l'affermazione:   "smetti di gufare" ad una persona  quando sta dicendo qualcosa che può "portare sfortuna", ad esempio prevedendo un evento negativo.

Spesso la gufata viene usata in ambito sportivo, oppure al bar negli "sfottò" tra amici, quando parlano del prossimo incontro di calcio della squadra che amano.  

Il verbo gufare deriva dal verso del gufo, rapace notturno  e solitario


Gufo reale

Le abitudini notturne, l'essere solitario e il verso cupo, detto "bubolare"  hanno portato la credenza popolare a raffigurare il gufo come un animale tenebroso, portatore di sfortune.

Ma non sempre si è visto il gufo come un animale del malaugurio. Infatti nel Medioevo il gufo era un simbolo di sapienza e saggezza, e così viene presentato ai giorni nostri  nel film "La spada nella roccia".

L'antidoto  alle gufate e nei confronti dei gufatori è l'ironia.

Il gufatore è un  "haters", parola inglese che  deriva da "hate" (= odio).

Gli haters sono persone che esprimono con cattiveria o maleducazione il proprio dissenso verso un individuo, oppure un post, un articolo, un video. A Roma li chiamiamo "rosiconi" ed anche roditori (roders).

Gli haters sono diffusi nei social.

Nella lingua tedesca il gufatore è definito "schadenfreude": parola  composta da  "schaden" (= danno) + "freude" (= contentezza, gioia), allude al piacere che si prova alla sfortuna di un'altra persona. 

Il malevolo compiacimento verso il prossimo spesso è causato dalla bassa autostima  del gufatore.
Tutto nasce dall'invidia per qualità che si sa di non possedere. Non a caso Nietzsche citava la "vendetta dell'impotente" per spiegare il significato di "schadenfreude".

doxa

Gelosia e invidia in comunità religiose



"Congregavit nos in unum Christi amor" (= la vita fraterna in comunità): è il titolo del documento emanato  nel 1994 dalla Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica.

In un capoverso c'è scritto: "La comunità religiosa, nella sua struttura, nelle sue motivazioni, nei suoi valori qualificanti, rende pubblicamente visibile e continuamente percepibile il dono di fraternità fatto da Cristo a tutta la Chiesa. Per ciò stesso essa ha come impegno irrinunciabile e come missione di essere e di apparire una cellula di intensa comunione fraterna che sia segno e stimolo per tutti i battezzati".

Vita fraterna in comunità ? bugia ! E quanta ipocrisia in quel documento  del Vaticano.

E' noto che la vita comunitaria religiosa è afflitta da gelosie e invidie tra "confratelli" e tra "consorelle". 

Per esempio, se una suora (o monaca)  riesce a frequentare l'università e la mattina esce dal convento o dal monastero, suscita invidia perché le altre pensano che abbia più libertà rispetto a loro. 


Un prete ha scritto:
"A volte penso che sia più facile confidarmi con una persona esterna al mio ambiente che con un confratello. Ho visto confronti e scontri che nascono da una sorta di gelosia o invidia tra di noi, sebbene non abbiamo incarichi di potere che giustifichino i nostri atteggiamenti diffidenti! ".

Gelosia e invidia sono due cose differenti, e ne argomenterò in un altro topic.

Nel linguaggio comune la gelosia è associata a una relazione significativa di amicizia o di amore. Si possono provare sentimenti di gelosia verso un amico da cui ci sentiamo trascurati o verso il partner, quando ci sembra che non ci guardi con gli stessi occhi di un tempo e magari rivolga attenzioni privilegiate a qualcun altro.

L'invidia, invece, suscita rancore di fronte al benessere o al successo altrui.

Il  "carrierismo", il bisogno di primeggiare angustiano anche le comunità religiose.

Papa Francesco nella meditazione mattutina del 23 gennaio 2014 ha parlato di "Cuori liberi da invidie e gelosie", fra l'altro ha detto "cosa succede in concreto «nel cuore di una persona quando ha questa gelosia, questa invidia». Due le principali conseguenze. La prima è l'amarezza: «La persona invidiosa e gelosa è una persona amara, non sa cantare, non sa lodare, non sa cosa sia la gioia; guarda sempre» a quello che hanno gli altri. E purtroppo quest'amarezza «si diffonde in tutta la comunità», perché quanti cadono vittima di questo veleno diventano «seminatori di amarezza».

La seconda conseguenza è rappresentata dalle chiacchiere. C'è chi non sopporta che un altro abbia qualcosa — ha spiegato il Papa — e allora «la soluzione è abbassare l'altro, perché io sia un po' alto. E lo strumento sono le chiacchiere: cerca sempre e vedrai che dietro una chiacchiera c'è la gelosia e c'è l'invidia».
Dunque «le chiacchiere dividono la comunità, distruggono la comunità: sono le armi del diavolo. Quante belle comunità cristiane — ha commentato amareggiato il Pontefice — abbiamo visto che andavano bene», ma poi in qualcuno dei loro membri «è entrato il verme della gelosia e dell'invidia, ed è venuta la tristezza".

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