In cosa consiste il "ragionevole dubbio"?

Aperto da Eutidemo, 17 Novembre 2021, 07:02:23 AM

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Eutidemo

La cosiddetta "regola B.A.R.D." del diritto anglosassone ("Beyond Any Reasonable Doubt"), giusta la modifica operata dall'art. 5, della legge 20 febbraio 2006, n. 46 all'art.533 del nostro Codice Penale, è stata "recepita" nel nostro ordinamento con la seguente lapidaria formula: "Il giudice (penale) pronuncia sentenza di condanna (solo) se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio."
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Il che, però, necessita di qualche precisazione.


1)
La "sentenza di assoluzione" non è affatto un "attestato di innocenza", ma soltanto un "certificato di non condannabilità penale".
Ed infatti, per spiegarmi meglio, detta sentenza:
- non costituisce affatto l'attestazione giuridica che il soggetto in questione  non abbia "effettivamente" commesso il "fatto" che costituisce reato;
- significa soltanto che non esiste una "certezza sufficiente", circa l'attribuibilità di tale "fatto" all'imputato, tale da rischiare che un innocente venga sottoposto a sanzioni penali (la principale delle quali è la privazione della sua libertà personale).
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Si tratta più di una "cautela" circa la garanzia della libertà personale dei cittadini, che di un "criterio" generale di accertamento della "verità processuale";  cioè, detto in parole povere: "Meglio dieci colpevoli a spasso, che un solo innocente in galera!"
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Ed invero, ad esempio, nel caso di "evasione fiscale", il giudice (tributario), se il "fatto" evasivo non supera i "limiti monetari" che comporterebbero la  "sanzionabilità penale",   può benissimo considerarlo presuntivamente "accertato" ben "al di QUA di ogni ragionevole dubbio"; e, di conseguenza, "condannarlo giurisdizionalmente" a sottostare alle previste sanzioni fiscali.
Ed infatti, in base al secondo comma dell'art.39 del DPR 600/722, ricorrendone le condizioni, un determinato soggetto potrebbe essere condannato in sede giurisdizionale anche in base a presunzioni prive dei requisiti della "gravità", della "precisione" e della "concordanza"; e cioè, appunto, ben "al di <<qua>> di ogni ragionevole dubbio"!
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Pertanto, sebbene ormai si dica che esiste soltanto l'"assoluzione con formula piena", e non più quella che, un tempo, si chiamava "assoluzione per insufficienza di prove", questo non significa affatto che, nelle "sentenze penali":
- si debba avere riguardo soltanto al "dispositivo", il quale deve far uso della "stessa formula" tanto se sia positivamente accertato che il fatto non sussiste, ecc., quanto se le prove che il fatto sussista, ecc., non siano sufficienti;
- ed infatti si può e si deve fare sempre riferimento anche alla "motivazione", in quanto la formula "perché il fatto non sussiste", può "di fatto" ricomprendere anche l'ipotesi della "mancanza o dell'insufficienza delle prove" in ordine alla sussistenza del fatto od all'attribuibilità di esso all'imputato sotto il solo profilo penale.
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Di conseguenza, la detta formula non deducibile, per espressa esclusione di legge, nel dispositivo della sentenza penale, non è di per se stessa ostativa all'introduzione del giudizio civile; al giudice del quale, infatti, è rimesso di accertare, previa interpretazione del giudicato penale sulla base della "motivazione" di esso (e non certo del solo "dispositivo"), se l'esclusione della responsabilità dell'imputato sia stata certa o dubbia e, di conseguenza, stabilire se l'azione civile ne sia, rispettivamente, preclusa o meno (vedi Tribunale Bologna sez. III, 23/01/2020, n.159).

2)
In che cosa consiste il "ragionevole dubbio", sussistendo il quale il giudice penale non può condannare l'imputato a subire le "sanzioni di carattere penale".
Premesso che il "ragionevole dubbio" riguarda soltanto le condanne del giudice penale, e non necessariamente, per gli stessi fatti, anche le condanne da parte di altri tipi di giudice, resta da vedere, limitatamente all'ambito prettamente penale, cosa si debba intendere per "ragionevole dubbio"!
Il che, in "teoria" è relativamente facile, ma, in "pratica", un po' meno.
Ed infatti:

a) In teoria.
Secondo la più recente giurisprudenza della Cassazione: "E' consentito pronunciare una sentenza di condanna, solo a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto 'ricostruzioni alternative' costituenti eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili 'in rerum natura' ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (Sez. 5, n. 1282 del 12/11/2018; Sez. 4, n. 48541 del 19/06/2018).
Il che, in teoria, non fa una piega!

b) In pratica
Rapportiamo la teoria ad un fatto realmente accaduto.
Qualche anno fa, vicino ad un BANCOMAT, un immigrato, di fronte a numerosi testimoni, strappò di mano ad un vecchietto il suo portafoglio dove aveva appena messo i soldi appena ritirati dal BANCOMAT, e cercò di fuggire portandeselo via; però, inseguito dai più giovani e gagliardi tra i presenti, venne ben presto catturato e consegnato alla polizia, che, ovviamente, lo arrestò per "flagranza di reato".
Anzi, tecnicamente, l'arresto lo fecero i cittadini che catturarono il ladro, perchè, in questo caso, ai sensi dell'art.383 CPP, "ogni persona è autorizzata a procedere all'arresto in flagranza"!
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Però, anche in questo caso, vige la "presunzione di innocenza"; ed infatti, l'immigrato in questione, si scusò nella seguente maniera (tradotta in corretto italiano).

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"Il giorno del mio arresto, circa un'ora prima che questo avvenisse, mi trovavo a viaggiare sull'autobus 324, diretto verso il mio luogo di lavoro; su di esso si trovava a viaggiare anche quel vecchietto, il quale, ad ogni frenata, mi spintonava in modo sospetto.
Ad un certo punto, lui scese dalla vettura pubblica, ed io, quindi, per sicurezza controllai se avevo ancora il mio portafoglio; accortomi che non c'era più, scesi immediatamente alla fermata successiva, e tornai di corsa alla precedente alla ricerca del mio presunto borseggiatore.
Lo trovai quasi subito, con il mio portafoglio in mano, mentre contava i soldi che c'erano dentro!
In stato d'ira, e, comunque, consapevole che nessuno mi avrebbe creduto, glielo strappai di mano e cercai di fuggire col mio portafoglio; per evitare di dover dare spiegazioni in una lingua che conosco poco.
Fu così che venni catturato e ingiustamente arrestato!
Poi, in effetti, il mio avvocato ha confermato che quel portafoglio era indubbiamente di proprietà di quel povero vecchio, ma giuro che era "identico" a quello mio; per cui, visto che, prima che lui mi spintonasse,  lo avevo ancora in tasca, e, dopo, non c'era più, cos'altro avrei dovuto pensare!
Ma giuro di essere innocente...non sono un ladro!!!"
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Al momento dell'arresto, in effetti, l'immigrato non aveva nessun portafoglio in tasca, se non quello sottratto al vecchio.
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Ora, prima di proseguire nella lettura del mio "post", soffermatevi un atto a riflettere, mettendovi nei panni del giudice.
La "spiegazione alternativa" del presunto furto fornita dall'imputato, sebbene senz'altro "possibile", vi sarebbe sembrata, come dice la Cassazione, "una ricostruzione degli eventi  al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della normale razionalità", tale da superare il "ragionevole dubbio" di cui all'art.533 CPP?
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Nella vostra eventuale replica, vorrei che mi precisaste se, "rebus sic stantitibus", cioè, stando così le cose, voi quel tizio lo avreste condannato, o no.
                SI'                               NO
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Bene!
Volete sapere cosa accadde nel "prosieguo" del processo?
L'avvocato difensore dell'immigrato, dichiarò e documentò che, in effetti, un addetto delle pulizie, aveva trovato, sotto uno dei  sedili del 324, un portafoglio identico a quello del vecchio; senza denaro, ma con dentro il permesso di soggiorno dell'immigrato.
Per cui, secondo la difesa, l'immigrato era stato evidentemente  derubato da un altro passeggero; ma era in perfetta buona fede, quando aveva sottratto il portafoglio al vecchio!
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Di conseguenza, in base all'art.533 CPP, l'immigrato venne assolto dal reato di furto (art. 624 CP), e venne condannato soltanto per "esercizio abusivo delle proprie (presunte) ragioni" (art.392 CP)!
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A ben vedere, nulla esclude che l'immigrato, il permesso di soggiorno, lo tenesse a casa, ben chiuso in un cassetto, e che un suo amico, per tirarlo fuori dei guai:
- abbia acquistato, nei grandi magazzini un portafoglio identico a quello del vecchio (che era uno dei tipi più comuni);
- ci abbia messo dentro il permesso di soggiorno dell'immigrato;
- infine lo abbia gettato in terra, sotto un sedile del 324, dove, prima o poi, qualcuno lo avrebbe ritrovato.
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E' senz'altro possibile, ma il "ragionevole dubbio" funziona solo a favore della "difesa", e non dell'"accusa"!
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;)
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anthonyi

Ho l'impressione, eutidemo, che quanto dici coincida formalmente con la tesi espressa pubblicamente da Davigo, cioè che gli assolti sono gli accusati dei quali non si è riusciti a dimostrare la colpevolezza, una tesi per la quale lui è considerato un giustizialista.
Una tesi che però comporta comunque una macchia culturale nei confronti di chi è stato accusato.
In passato esistevano due tipi di assoluzioni, per insufficienza di prove, e per non aver commesso il fatto, è almeno, in questo secondo caso, la giustizia cancellava questa macchia. Credo sia stato un errore abolire questa differenziazione, anche perché, appunto, la formula oltre ogni ragionevole dubbio è assolutamente formale, e non tiene conto della fallacità umana dei partecipanti al processo e delle stesse perizie.
Ultimamente abbiamo discusso di un caso, quello di Marta Russo, nel quale i ragionevoli dubbi sono tanti, e li abbiamo avuto una condanna, da non dimenticare, poi, le stranezze probatorie del delitto di Cogne.
Il problema è che il nostro sistema giuridico ha ancora una natura inquisitoria, nella quale l'inquirente, convintosi che qualcuno è colpevole, cerca di ottenere le prove della sua colpevolezza, quando invece dovrebbe investigare sulla verità dei fatti senza convinzioni pregiudiziali.

Eutidemo


Ciao Anthony. :)
Non sono minimamente d'accordo con Davigo, secondo il quale "gli assolti sono degli accusati dei quali non si è riusciti a dimostrare la colpevolezza".
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Sono invece d'accordo con l'Imperatore Giuliano, il quale assolse un imputato che si era semplicemente limitato a dichiararsi innocente.
L'accusatore protestò: "Chi mai verrà condannato, se, per essere assolti, è sufficiente negare le accuse?"
E l'Imperatore Giuliano gli replicò: "Già, ma chi mai verrà assolto, se, per condannare qualcuno, è sufficiente accusarlo?".
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Io ho detto una cosa completamente diversa da quella che tu attribuisci a Davigo; sempre che lui abbia veramente detto una simile sciocchezza, che non mi sembra proprio da lui.
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Ed infatti io ho detto soltanto che essere assolti nel "dispositivo" con formula piena, "per non aver commesso il fatto":
- non costituisce affatto l'attestazione giuridica che il soggetto in questione  non abbia "effettivamente" commesso il "fatto" che costituisce reato;
- significa soltanto che non esiste una "certezza sufficiente", circa l'attribuibilità di tale "fatto" all'imputato, tale da rischiare che un innocente venga sottoposto a sanzioni penali (la principale delle quali è la privazione della sua libertà personale).
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E' solo dalla "motivazione" della sentenza, che ci si può rendere effettivamente conto della reale "credibilità" circa l'"effettiva" innocenza dell'imputato.
Ad esempio:
- se taluno viene assolto dall'imputazione di omicidio perchè , dalla motivazione della sentenza, è risultato che, da più videoregistrazioni di pubbliche videocamere, lo si è visto passeggiare in un'altra città a braccetto di due ragazze, è pressochè certo che sia innocente dell'omicidio attribuitogli, il quale, in quel momento, avveniva in un'altra città;
- se, invece, taluno viene assolto dall'imputazione di omicidio perchè , dalla motivazione della sentenza, è risultato che, lui si trovava a passeggiare in un'altra città a braccetto una ragazza, che è l'unica testimone di tale circostanza, non si può certo dire che sia "sicuro allo stesso modo" che lui sia innocente dell'omicidio attribuitogli, il quale, in quel momento, avveniva in un'altra città.
Il "dispositivo" della assoluzione è identico in entrambi i casi del mio esempio ("per non aver commesso il fatto"); ma mi consentirai di valutare ben diversamente, al di fuori delle regole del processo penale, le posizioni dei due assolti!
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Tanto è vero che, mentre nel processo penale all'imputato è concesso di avvalersi di "testi a discarico", in altri tipi di processo, invece come quello tributario, la cosa non viene minimamente concessa; ed infatti, nel processo tributario, vige il principio di inammissibilità della prova testimoniale, ai sensi dell'art. 7 d.P.R. 546 del 1992.
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Un saluto! :)
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anthonyi

Ciao eutidemo, al di là delle interpretazioni di Davigo, secondo me questa idea della certezza della colpevolezza è meramente retorica, la gestione delle prove nel contesto processuale è sempre probabilistica, perché probabilistica è ogni tipo di conoscenza reale.

Eutidemo

Ciao Anthony. :)
E' fuori discussione che la "certezza processuale", così come, in genere, ogni "certezza umana", deve essere intesa come una "certezza probabilistica"; ed infatti, come tu giustamente scrivi "ogni tipo di conoscenza reale è probabilistica".
Su questo non ci piove!
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Ciò premesso, la "certezza processuale", che è soltanto un modo più "sintetico", ma non certo "retorico", per dire "certezza probabilistica in ambito processuale", può essere di vario "grado" e anche di vario "genere" a seconda del particolare "tipo" di processo di cui stiamo parlando.
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Per cui, come già avevo scritto in vario modo e con diversi esempi, la "certezza probabilistica in ambito processuale penale", è quella certezza che si raggiunge mediante il ricorso a criteri di valutazione del materiale probatorio relativo al caso di specie (cosiddetta "evidenza disponibile"), previsti dal diritto e dalla procedura penale; ed all'esito dei quali, si possa affermare che il rapporto causale tra agente e reato sussiste o meno in termini di "alto grado di credibilità razionale" o in termini di "elevata probabilità logica" (per usare due espressioni della Corte Cass. a Sezioni Unite del 10 luglio 2002).
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Detto in parole povere (a prescindere da altre prove e indizi circostanziali da considerare, che possono "aliunde" influire sul convincimento del giudice), in ambito penale un imputato "potrebbe"  essere assolto con formula piena "per non aver commesso il fatto":
- tanto se c'è un solo testimone, magari la moglie, a testimoniare che al momento del delitto era altrove;
- quanto se ci sono dieci testimoni imparziali, magari poliziotti, a testimoniare che al momento del delitto era altrove.
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Il "dispositivo" della sentenza risulterà identico in entrambi i casi, ma, dalla "motivazione" della sentenza, chi la legge si potrà fare una opinione ben diversa del differente "grado di certezza" della pronunciata "innocenza"  del soggetto assolto; ed infatti, come tu giustamente scrivi,  "ogni tipo di conoscenza reale è probabilistica", ma non sempre con lo stesso "grado" di probabilità fattuale.
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Ed infatti, la "certezza probabilistica in ambiti processuali diversi da quello penale", può raggiungersi mediante il ricorso a criteri di valutazione del materiale probatorio relativo al caso di specie, ben diversi da quelli previsti dal diritto e dalla procedura penale; ad esempio, vietando il ricorso alla "prova testimoniale".
Per cui la "certezza in ambito processuale" non solo è "probabilistica",  ma è anche "relativa"; varia, cioè, a seconda del diverso tipo di processo in considerazione.
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Un saluto! :)
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